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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Doni e Conte:

“Tutti sapevamo”

L’EX CAPITANO DELL’ATALANTA INTERCETTATO

DA “PRESADIRETTA”: “LE COMBINE DEL SIENA?

NON SONO MAI STATE UN MISTERO. PER NESSUNO”

TUTTO GIÀ DECISO L’ex nazionale gestisce un bar a Maiorca: “Noi dovevamo

arrivare primi, le altre si erano dette: se a fine stagione qualcuno ha bisogno...”

DOMENICA SU RAI3 Il giocatore è stato squalificato, eppure – contro la prassi

– il club ha pagato regolarmente lo stipendio fino a fine contratto. Perché?

di FEDERICO RUFFO & ALESSANDRO MACINA (il Fatto Quotidiano 12-01-2013)

Cinque anni e mezzo di squalifica e due punti di penalizzazione all’Atalanta per responsabilità oggettiva. Tradotto dal gergo del processo sportivo, Cristiano Doni ha fatto tutto da solo, la società non sapeva ma non ha vigilato. E questo ha raccontato Doni ai magistrati dopo tre giorni di carcere. Voleva tornare in Serie A con l’Atalanta, aveva sentito nell’ambiente che Piacenza e Padova erano disposte a perdere, così aveva deciso di adeguarsi al sistema per favorire la “Dea”. Il Gip Guido Salvini non ci crede e lo scrive nell’ordinanza che porta i carcere Doni: “agiva per conto di imprecisati dirigenti dell’Atalanta”. Chi siano, nessuno lo sa, anche perché Doni scopre molto presto di essere attenzionato e si regola di conseguenza. Dunque per la giustizia l’Atalanta non sapeva. Solo che, a sbirciare dalle carte, si scopre che la società ha continuato a pagare lo stipendio a Doni fino alla fine del suo contratto, nel giugno scorso. 27 mila euro al mese, nonostante arresto e confessione. Un caso unico, tutte le altre squadre coinvolte hanno bloccato qualunque pagamento ai calciatori confessi. La stessa Atalanta con Andrea Masiello, imputato per fatti risalenti a quando giocava a Bari, ma in forza all’Atalanta quando confessò. Doni invece viene pagato per altri 6 mesi, perché?

Lo troviamo a Palma di Maiorca, dove finisce ogni volta che viene accusato di aver combinato una partita. Qui ha giocato nel 2002, dopo la prima accusa di frode sportiva per Atalanta-Pistoiese, Coppa Italia 2001. Condannato in primo grado, fu assolto in appello, assieme a Zauri, Siviglia e all’attuale allenatore del Milan Allegri.

HA APERTO un beach bar sulla spiaggia di Palmanova, a Maiorca. Il suo socio è un altro indagato, Filippo Russo, ristoratore di Bologna, amico di vecchia data. Dimagrito, capelli tagliati, bermuda e maglietta, serve birra e calamari ai tavoli pieni. Sembra sorpreso del nostro arrivo, ma non della domanda, tanto che quando gli chiediamo se lo stipendio non sia servito a pagare il suo silenzio, sfoggia un enorme sorriso “Tu devi essere una persona intelligente, secondo te, ora che sono quaggiù e che le acque si sono calmate, vengo a raccontarti certe cose?”. Anche lui è intelligente, conosce le carte della Procura di Cremona, sa che Gianfranco Parlato, ex calciatore di Viareggio che con Doni scommetteva, ha raccontato di aver appreso “che l’Atalanta, per ottenere la promozione in A, era disposta a spendere dei soldi”. Sa che Marco Pirani, il dentista di Ancona col vizio delle scommesse tra i primi a essere arrestato, durante l’interrogatorio ha specificato che “quando parlo di Doni è come se parlassi dell’Atalanta, nel senso che questi agiva per conto della società”. E sa che Massimo Erodiani, titolare di un’agenzia di scommesse di Pescara, uno degli uomini chiave del calcio scommesse, ha raccontato a molti degli arrestati che il Piacenza aveva venduto una delle gare incriminate all’Atalanta attraverso il tramite di Doni, “perché Doni ne ha già fatte 50”.

Così mentre si parla del processo ad Antonio Conte per i fatti di Siena, qualcosa si lascia sfuggire “Anche perché mi son rotto di raccontare ştronzate. Si sapeva che quelle partite del Siena sarebbero finite così, lo sapeva da inizio anno! Lo sapevamo che noi dovevamo arrivar primi e che altre squadre si erano dette “se a fine stagione qualcuno ha bisogno”. Nella sua versione dei fatti, come dice “per l’Atalanta ho fatto tutto, ho rinunciato alle offerte delle grandi squadre, ho dato tutto! Ho sbagliato, lo so, perché in un dato momento della mia carriera volevo tornare in A”.

Dettaglio non trascurabile quello della Serie A, visto che Antonio Percassi, vulcanico imprenditore bergamasco ed ex calciatore dell’Atalanta, aveva comprato la squadra proprio quell’anno, quando era appena retrocessa. Nessuno della società risulta ad alcun titolo indagato o anche solo menzionato nelle carte. Di certo c’è che, bilancio 2011 alla mano, con quella promozione con le partite “comprate” da Doni, i diritti tv pagati ai nerazzurri sono saliti dai 2 milioni in Serie B a 17 (per soli 6 mesi) in A; gli incassi dello stadio sono passati da 900 mila a 2,8 milioni di euro e gli sponsor da 2 a quasi 5 milioni. Totale fruttato dalla promozione: un gruzzolo da 38 milioni di introiti in più.

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DOMANI IN TV A PRESADIRETTA SU RAI3

Il boss rivela: «Il calcio è nelle mani delle cosche»

Bonaventura: «A Crotone ero amico di tutti. E aggiustavamo le partite»

di TIZIANA BOTTAZZO (GaSport 12-01-2013)

Si occupa di calcioscommesse «Ladri di calcio», la seconda puntata di «PresaDiretta» di Riccardo Iacona e Francesca Barzini (domani su Rai3 ore 21,30) con l'intervista inedita al boss-collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura. Immagini alla mano, Bonaventura svela il disegno folle e criminoso: «Volevamo portare il Crotone in Serie A, il progetto era di farne un nuovo Chievo, una squadra da metà classifica su cui scommettere aggiustando i risultati». Un giro consistente di denaro e armi. Bonaventura rivela i piani per controllare club e campionati. Svela di essere amico di molti calciatori, tra i quali Salvatore Aronica e Giuseppe Sculli, e di aver «aggiustato» molte partite. Già su La Repubblica aveva raccontato i rapporti tra 'ndrangheta e calcio, lui, reggente di una delle cosche più potenti della costa ionica e capo della security del Crotone del cugino Raffaele Vrenna. «Ero in rapporti con tutti i giocatori, Aronica, Sculli, Cardinale, Generoso Rossi, Geraldi. C'era anche Nocerino. A Crotone miei uomini avevano il compito di falsare le gare. Avvicinavamo i dirigenti, compravamo giocatori. Le partite contro il Benevento (playoff 2003-2004) e il Locri (stagione 1997) ce le siamo aggiustate. Sapevo che su Salernitana-Bari del 2009 c'era stato qualche accordo, e di una raccolta di scommesse sull'over per Inter-Chievo. A quanto ne so c'entra anche la camorra».

Video compromettenti «Prima di entrare in regime di protezione il boss è riuscito a prendere un paio di video che comprovano la frequentazione dei giocatori con la criminalità organizzata», racconta Federico Ruffo, autore dell'intervista a Bonaventura. Ruffo, assieme a Alessandro Macina, ripercorrono «l'annata tragica, 2010-2011, 800 partite sospette, un giro d'affari di 50 milioni di dollari» come sottolinea Riccardo Iacona. Ecco quindi i due inviati di PresaDiretta Marco Paoloni e Vittorio Micolucci, rei confessi, che raccontano in dettaglio come si truccavano le partite, quindi a Palma di Maiorca dove Cristiano Doni, che ha aperto un bar a Palma Nova, ammette fra le righe la responsabilità dell'Atalanta. Il viaggio prosegue nel cuore delle organizzazioni mafiose, dai Balcani a Singapore sulle tracce di Tan Seet Eng, considerato il vertice del calcioscommesse, uno degli uomini più ricchi del mondo, ricercato in tutta Europa.

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Domani in tv

L’inchiesta di Presadiretta

“Più di 800 partite sospette”

art.non firmato (la Repubblica 12-01-2013)

ROMA - Un´inchiesta giornalistica durata mesi, le voci e i volti di tutti i protagonisti dello scandalo che sta cambiando il calcio italiano e nuove rivelazioni: le partite sospette del campionato 2010-2011 sarebbero più di 800. Domani "Presadiretta" (21.30, Rai Tre) racconta tutto il caso Calcioscommesse: al programma di Riccardo Iacona e Francesca Barzini parlano in tanti tra i coinvolti, molti per la prima volta in tv. Dal difensore Vittorio Micolucci che spiega quanto è facile "truccare" un match («in ogni squadra forse c´era una persona disposta ad alterare il risultato») a Cristiano Doni, incontrato a Palma di Maiorca dove vive. Gli autori dell´inchiesta "Ladri di calcio" Alessandro Macina e Federico Ruffo volano a Singapore, in cerca dei vertici dell´organizzazione che gestisce le scommesse, ma indagano anche sugli interessi della criminalità organizzata italiana: il pentito di ‘ndrangheta Luigi Bonaventura parla alle telecamere di risultati concordati in cambio di milioni e partite di armi. Il racconto va alle radici dello scandalo: Francesco Baranca, dirigente della sks 365, l´agenzia di scommesse internazionali che ha fatto le prime segnalazioni alla magistratura di flussi di denaro sospetti, rivela: «Nel 2010-2011 assistevamo a iniezioni di denaro venti volte superiori alla media». Una "stranezza" che si è verificata in ben 870 casi.

Modificato da Ghost Dog

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“Vorrei vedere la Nazionale

nella casa della Juve”

Abete sarà rieletto presidente Figc: “La causa di Agnelli? Siamo sereni”

CANDIDATO UNICO Da lunedì il nuovo mandato: «Meccanismo da rivedere»

di PAOLO BRUSORIO (LA STAMPA 12-01-2013)

È torrenziale, «dimensione comunicazionale» la chiama lui e allora bisogna cercare di arginarlo per trovare il filone giusto. Giancarlo Abete comanda il calcio dal 2007, lunedì sarà rieletto al vertice della Figc.

Presidente, in un Paese in cui ci si candida per ogni strapuntino, lei è rimasto senza concorrenti. O è bravissimo o il calcio è così malmesso da non trovarle nemmeno un oppositore.

«Ho atteso fino al 14 dicembre per dare la mia disponibilità, volevo capire chi avrebbe potuto esprimere la Lega. Hanno rinunciato e allora rieccomi. Ma il meccanismo elettorale è da cambiare».

Scommesse e razzismo, due piaghe. Cominciamo dalla prima. Impossibile sapere come e quando finirà?

«Dopo il trauma dei primi arresti conviviamo da 20 mesi con questa faccenda. Provo un’enorme delusione e una grande frustrazione. Un conto è il singolo, un altro è un sistema di squadra cui assistiamo leggendo le intercettazioni».

Razzismo: voi e il Viminale avete ribadito la validità di regole già esistenti, ma mai utilizzate. Perché: mancava forse il coraggio agli attori?

«Abbiamo voluto dare un segnale all’ambiente. C’è un coro razzista? Interrompete la partita. Secondo le regole, ma fatelo. Senza pensare alle gare da recuperare o se valga la pena o no».

Il momento peggiore della sua gestione?

«Gli arresti per scommesse».

Il migliore?

«Quello legato ai risultati della Nazionale. Le vittorie agli Europei con Inghilterra e Germania. E anche la nuova immagine acquisita grazie a Prandelli».

Sulla revoca dello scudetto 2006 all’Inter vi siete dichiarati incompetenti: non avete sprecato un’occasione per sistemare una volta per tutte la questione?

«La Figc, organo politico, non aveva la titolarità per giudicare la sentenza di un organo giuridico. Da qui l’incompetenza. Qualcuno ha obiettato? L’Alta Corte del Coni ci ha dato ragione, la questione è chiusa per noi»

Vista ora, si aspettava che Moratti rinunciasse alla prescrizione?

«No. Ora vedremo gli scenari che arriveranno dalla conclusione del processo di Napoli fermo restando però che stiamo parlando di due piani diversi di giustizia. E comunque, voglio vedere quante persone hanno rinunciato alla prescrizione».

Sperava che Agnelli e Moratti si riavvicinassero?

«Non più di tanto. Non perché vogliano per forza mantenere il conflitto aperto, ma anche perché rappresentano due realtà diverse di tifo».

Quindi niente pace solo per questioni di bandiera?

«L’evento è traumatico e troppo fresco. Ancora si parla di quel Juve-Inter 9-1 degli Anni Sessanta e del gol di Turone...».

La causa che vi ha intentato la Juve per 444 milioni quanto influisce sui vostri rapporti?

«In nessuna maniera. Sarebbe molto triste il contrario. Il prossimo passaggio giudiziario sarà nel 2014, noi siamo sereni».

E portare la Nazionale a giocare allo Juventus Stadium in segno di pace?

«Non avremmo alcuna preclusione. Certo che mi piacerebbe farlo».

Dopo il flop in Sudafrica non si è dimesso: perché?

«Mai pensato. Non ravvisai, e continuo a farlo, un nesso tra la sconfitta sul campo e la gestione del presidente. Presi Lippi, tecnico campione del mondo, non un Tizio qualsiasi per guidare la nazionale»,

Lo rifarebbe?

«Certo, troppo facile cambiare idea a giochi fatti».

Sacchi, Rivera e Baggio nel settore tecnico: qualche luce, molte ombre. Che futuro hanno?

«Sacchi ha fatto un ottimo lavoro con le nazionali giovanili, dall’Under 21 in giù. Rivera ha portato la sua esperienza al settore didattico. Quanto a Baggio? Beh, non ci si inventa tecnici da un momento all’altro, ha avuto difficoltà»

Quindi rapporto esaurito?

«Le cariche saranno rinnovate, i programmi rivisti. Poi sarà lui a decidere».

La Lega è ancora senza presidente: per chi tifa?

«Conoscendo la loro sensibilità, meglio che non mi esprima».

Un commissariamento è possibile?

«Diciamo che non è auspicabile»

In 25 anni, e fino al 2012, 145 società non si sono iscritte ai campionati professionistici per problemi di bilancio: basterà riformare i calendari per evitare altri stillicidi?

«No, ma già eliminare una categoria di professionisti - la Seconda Divisione - renderà la filiera più agile».

Nel futuro c’è la serie A a 18 squadre?

«Ci abbiamo pensato, ma la Lega ha lo jus primae noctis in materia. E non l’ha mai messo all’ordine del giorno. Fanno resistenza e se non aprono il fronte loro...».

Seconde squadre, altra idea che piace alle big. Da che parte sta la Figc?

«Ne abbiamo parlato in Consiglio federale, chiesto un incontro con un rappresentante della Lega, ma non si è visto nessuno. Ci sono tre formule: seconde squadre fuori classifica, torneo riserve o multiproprietà. Come Lotito con la Salernitana. La strada va trovata, ma voglio vedere qualcosa di concreto».

La riforma degli stadi giace nelle cantine del Parlamento da oltre due anni, in Francia e Germania fu approvata in 50 giorni. Come andrà con la futura legislatura?

«È una nostra priorità, ma ce lo dicano che cosa vogliono fare. Almeno saranno vergini di schieramento i nuovi politici, in quella precedente i relatori sono partiti da una parte e sono finiti nell’altra».

Prandelli può stare tranquillo sugli stage pre Mondiale?

«Sì, gli garantiremo quello che serve alla Nazionale. Poi, però, capisco anche i legittimi timori dei club a dare i giocatori».

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Conte: «Un obbrobrio giuridico»

Il legale che ha difeso la Roma per la partita di Coppa: «Parlare di concomitanza fa ridere. La Fiorentina era imbarazzata

Se la Corte fosse entrata nel merito, avrebbe dovuto darci ragione e questo avrebbe squassato il sistema regolamenti»

di MAURO MACEDONIO (IL ROMANISTA 12-01-2013)

«Un obbrobrio giuridico». Definisce così, l’avvocato Antonio Conte, il pronunciamento della Corte di Giustizia Federale in risposta al ricorso presentato dalla società giallorossa sull’inversione di campo di Roma-Fiorentina di Coppa Italia. «La valutazione va fatta seguendo due profili – spiega in esclusiva a Il Romanista l’avvocato, che non rappresenta l’As Roma, ma l’ha assistita in questo caso specifico da consulente. – Il primo riguarda la procedura, il secondo è di mero merito. Sul piano della procedura, benissimo ha fatto la Roma a ricorrere alla Corte di Giustizia, poiché eravamo, e siamo ancora convinti, che esistesse una sua competenza in materia. La dimostrazione lampante è che una Camera di consiglio che comincia alle 15 e finisce alle 19,30, per dichiarare la “non competenza”, ha di fatto - come si suol dire tra noi avvocati - deciso di… non decidere. Anche se è evidente che c’è stata una discussione molto intensa, perché è altrettanto evidente che tutta la Corte di Giustizia avesse chiaramente compreso che la Roma, nel merito, aveva ragione da vendere. La realtà è una: ovvero, un regolamento della Lega che nasce con una insindacabilità che non esiste in nessuna norma di diritto. Non c’è infatti regolamento, in associazioni private, come in istituzioni, società o enti, che non sia impugnabile. E allora, a voler essere corretti, diciamo pure che è stato commesso un errore. Ma, se c’è un errore, ho bisogno di sapere: a chi mi devo rivolgere perché questo errore venga corretto? »

A cosa avete pensato di potervi appellare per ottenere ragione?

C’è una norma, che è l’art. 42 dello Statuto della Lega, che dice che per tutto ciò che non rientra nel regolamento dello Statuto, ci si rivolge alla Federcalcio. Quest’ultima ha un articolo, nel proprio codice di giustizia sportiva, il 31, che elenca tutta una serie di casistiche di propria competenza, quale Cassazione del calcio. Dice anche che essa si può occupare di tutti quei casi da dirimere previsti dalla giustizia sportiva. Mantenendosi su un piano di genericità, non entrando cioè nello specifico di calendari e quant’altro. Non esclude però che se ne possa occupare. Ed è proprio ciò che abbiamo scritto nella nostra memoria, sostenendo la non esclusione della sua competenza. E siccome la Giustizia sportiva ricerca sempre l’autonomia, ripetendo sempre che non deve essere travolta dalla giustizia ordinaria, trovo che la Roma sia stata correttissima, ricercando una soluzione nell’alveo della giustizia domestica. La competenza c’era, perché bastava combinare l’articolo 42 della Lega con l’articolo 31 del codice di giustizia sportiva. A mio parere, i giudici della Corte federale hanno molto vacillato, perché nel merito avremmo avuto ragione piena.

Ne è uscita invece una decisione palesemente illogica, per non dire espressione di ottusità mentale.

La questione è di italiano. Se si parla di “concomitanza”, ci si riferisce a “presenza simultanea”. La Lazio ha giocato tre giorni fa, la Roma giocherà mercoledì prossimo, otto giorni dopo, e parlare di concomitanza fa ridere tutti. Da questo punto di vista, se fossero entrati nel merito, avrebbero dovuto darci ragione e questo avrebbe squassato il sistema regolamenti.

Sul piano strettamente procedurale, quale iter è stato seguito?

Alla Roma ho fatto preparare dapprima un’istanza di correzione, che è stata inviata dal dottor Fenucci. E poi, il reclamo vero e proprio. Abbiamo cioè cercato di far sì che la Lega, con un provvedimento di autotutela, correggesse l’errore. La Lega, invece, se n’è fregata. Anzi, ha fatto di peggio. In maniera molto scorretta, ha permesso alla Fiorentina di vendere i biglietti ancor prima dell’udienza della Corte federale.

Un modo, anche quello, per esercitare una pressione.

Ciò che ha detto Franco Baldini in proposito non era una battuta. So per certo che quelli della Fiorentina erano veramente imbarazzati, perché si rendevano conto che avevamo ragione. Ma tutto ha ruotato intorno alla decisione della Lega, e al fatto che questa non abbia voluto ammettere un proprio errore.

C’è da credere che, magari la prossima estate, il regolamento verrà modificato di conseguenza al reclamo della società giallorossa.

Il ricorso della Roma era innanzitutto doveroso, perché sarebbe stato sbagliatissimo accettare supinamente questa decisione. La Roma ha comunque creato un clamore sulla vicenda e questo farà sì che la prossima volta ci staranno più attenti. Questo ha anche dimostrato che, nell’ambito della giustizia sportiva, vi sono due pesi e due misure. La Lega continua ad avere la stessa protervia, contro cui combatteva anche Franco Sensi, di considerare i regolamenti inattaccabili.

Soprattutto quando, come in questo caso, sono soggetti a interpretazione. Può essere che non debba esistere un giudice terzo in grado di dirimere la questione?

La Roma non lo farà. Ma, sia pure in astratto, la Roma dovrebbe rivolgersi ora al giudice ordinario. Ripeto, non lo farà, perché la gara si gioca la prossima settimana e, soprattutto, il suo risultato lo ha già raggiunto. Facendo vedere ai propri tifosi di aver costruito una battaglia giuridica sul tema.

Cosa è possibile trarre, come insegnamento, da questa vicenda?

Innanzitutto, che le norme vanno fatte e applicate, non interpretate. E dire che la soluzione gliel’avevamo servita su un piatto d’argento. Nella conclusione della nostra memoria, avevo infatti copiato cosa dice il regolamento della Lega, chiedendo l’applicazione di quella norma. E che quindi la Roma non doveva giocare in concomitanza con la Lazio. Ma anche che, avendo deciso – giustamente – di far giocare le due gare a distanza di una settimana, era possibile che entrambe giocassero all’Olimpico. Al contrario, per rendere plausibile la norma, avrebbero dovuto far giocare Lazio-Catania e Fiorentina-Roma lo stesso giorno. Più chiaro di così…

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Giovedì a Roma si discutono i ricorsi del club e di Grava e Cannavaro (6 mesi di stop)

Il processo

La rabbia di Napoli

«Ridateci i due punti»

Regolarità Decisioni tardive e durante l’attività agonistica: il torneo è viziato

La linea della società «Parte lesa in questa vicenda»: l’attacco dei legali a Gianello

La Corte federale Il presidente Mastrandrea emetterà la sentenza in tempi molto rapidi

Danni Lotta scudetto compromessa se non viene annullata questa penalizzazione

di FRANCESCO DE LUCA (IL MATTINO 12-01-2013)

Cinque giorni e poi il Napoli, i suoi grandi campioni e i suoi tifosi appassionati, potrebbero essere colpiti da un’altra profonda ingiustizia. Alla squadra i giudici della Disciplinare hanno tolto due punti e due difensori, Cannavaro e Grava, e giovedì 17 tocca a quelli della Corte federale evitare un altro scempio, che comprometterebbe la regolarità del campionato. Perché il Napoli dovrebbe essere secondo e non terzo, a cinque punti e a non a sette dalla Juve capolista: sempre più in lizza per lo scudetto. Invece, quel -2 è un’offesa per la giustizia e il buonsenso. Situazione più kafkiana di questa non esiste: una squadra e due giocatori puniti per non aver fatto niente, coinvolti dall’ex portiere-scommettitore Gianello in questa storia che farebbe ridere se non fosse drammatica. A Castelvolturno ci sono calciatori stranieri che si chiedono in quale Paese sono capitati e perché da un giorno all’altro, per niente, il Napoli si è trovato più giù in classifica. Ci sono tifosi basiti.

Un pensiero fisso da venticinque giorni accompagna i giocatori del Napoli: vincere per loro, Paolo e Gianluca. Cinque giorni su sei Cannavaro e Grava frequentano il campo e lo spogliatoio dove Mazzarri costruisce i suoi successi. Nel giorno della partita tornano a casa, vittime della sentenza di primo grado della giustizia sportiva. L’azzurro del Napoli è da quel 18 dicembre - il primo verdetto - un azzurro carico di rabbia. La Corte federale ha un’importante opportunità: ristabilire la giustizia, restituendo quanto è stato indebitamente sottratto alla squadra dai giudici della Disciplinare. Il Napoli - una società che si vanta della correttezza dei suoi tesserati e della correttezza dei suoi conti, oltre che dei brillanti risultati in campo - si trova messo così perché nella primavera di tre anni fa (18 maggio 2010) un suo ex calciatore, Gianello, fece una squallida avance a due compagni, Cannavaro e Grava appunto: «Ci sarebbero un po’ di soldi se perdiamo contro la Samp».

Il Napoli perse la partita perché più forti erano le motivazioni degli avversari, a un passo dalla qualificazione in Champions League. Quell’illecito non è stato mai consumato e mai sono circolati soldi tra Gianello e i suoi amici scommettitori. Esiste una fondamentale differenza tra illecito e tentato illecito e non sfugge ad esperti di diritto. Il Napoli ha pagato con il -2 in classifica perché non ha chiesto il patteggiamento in primo grado. E perché avrebbe dovuto ammettere responsabilità, colpe, che non ha? È stato un giudizio paradossale, contestato da autorevoli esperti della materia, super partes, e il club cerca di ribaltare il provvedimento in secondo grado. Non c’è stata una replica vittimistica, anzi Mazzarri e i giocatori hanno avuto una vigorosa reazione alla squalifica, vincendo due partite consecutive e posizionandosi al terzo posto, alle spalle della Lazio che presto finirà sotto processo per il coinvolgimento di Mauri, il suo capitano, nell’inchiesta della Procura di Cremona.

Abete, che lunedì sarà rieletto presidente della Federcalcio (unico candidato), ha ammesso che il codice di giustizia sportiva va riformato. Ma è inaccettabile che vi siano provvedimenti a carico delle società e dei giocatori durante il campionato: questo dovrebbero saperlo inquirenti e giudici della Federcalcio. Rallentare la corsa della squadra è grave ed è clamoroso che il Napoli sia stato giudicato in primo grado a dicembre, esattamente trentuno mesi dopo un illecito fortunatamente mai attuato e rimasto nei tortuosi pensieri di Gianello, che ha detto tutto e negato tutto durante gli interrogatori davanti ai pm della Procura di Napoli e alla Procura federale. Ma che giustizia è questa? E quanti danni economici e tecnici arreca a un club che fattura 150 milioni ed è in corsa per vincere lo scudetto?

Il Napoli va avanti portandosi sulle spalle il peso di un’ingiustizia, come i suoi tifosi, e confida in un ricorso legittimo, fondato sotto l’aspetto giuridico e non soltanto emotivo. «Mi auguro che Dio illumini quei giudici», dice l’avvocato Ruggiero Malagnini, legale di Paolo Cannavaro, il capitano del Napoli che ha seguito l’ultima partita dei suoi compagni nella curva del San Paolo, ricevendo gli incoraggiamenti dei tifosi. Lui e Grava sono stati fermati sei mesi per omessa denuncia: avrebbero dovuto riferire ai loro dirigenti e alla Procura federale l’indecente proposta del compagno. Ma quante cose si dicono negli spogliatoi? Quante ne escono fuori e vengono denunciate? E perché non bisogna credere alla buona fede di Cannavaro e Grava, professionisti esemplari come la loro carriera ampiamente dimostra, in questo calcio che vede ancora tra i suoi protagonisti - legittimamente, fino ad eventuale condanna - Mauri, che ha ricevuto pesanti accuse dai magistrati di Cremona e da quelli svizzeri?

Se non ci fosse buonsenso ad ispirare il verdetto del 17 gennaio, potrebbero non bastare avvocati bravi come Cavani per vincere questa partita che può decidere il campionato, perché 2 punti sono tanti, anche sotto l’aspetto psicologico. Il ricorso degli avvocati Grassani e D’Antonio, docente dell’Università di Fisciano, è basato su incontestabili dati di fatto: non sono circolati soldi su Samp-Napoli e non c’è stato seguito alle chiacchiere di un calciatore che era emarginato dallo spogliatoio, assolutamente non in grado di incidere sui compagni, come ha ricordato il procuratore federale Palazzi, che aveva chiesto il -1 per il Napoli. Ma i giudici della Disciplinare hanno applicato il «tariffario» secondo cui vale il -2 la responsabilità oggettiva, obsoleto pilastro della giustizia sportiva, che ha pochi riscontri in quella ordinaria.

Aspettando la riforma del Codice sportivo, non si può restare a guardare, lasciando che la classifica resti questa e legittimando una palese ingiustizia, con una squadra e una tifoseria che non sanno più in cosa credere e una storia del campionato che rischia di essere rovinata irrimediabilmente. La credibilità del calcio passa attraverso il processo di Roma. Segnatevi la data: giovedì 17 gennaio. Non è importante soltanto per il Napoli.

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L’esperto

Capello: possibile ribaltare

il verdetto in secondo grado

di DARIO SARNATARO (IL MATTINO 12-01-2013)

L’avvocato Pierfilippo Capello, figlio del tecnico Fabio, è esperto di diritto sportivo e ha difeso atleti e club su problematiche antidoping e disciplinari.

Avvocato, il 17 ci sarà l’udienza di secondo grado sul caso Gianello: il Napoli, Cannavaro e Grava potrebbero essere prosciolti?

«Non è un’ipotesi impossibile ma concreta se la posizione di Gianello fosse derubricata da illecito a slealtà sportiva. È già capitato che la Corte Federale accolga la tesi della difesa modificando anche sostanzialmente il giudizio della Disciplinare».

Cannavaro, Grava e il Napoli possono contare nella riduzione, quantomeno, della pena?

«Me lo auguro per la simpatia che ho per il Napoli ma credo che sia anche probabile. In secondo grado, in base a fatti concreti, la società può avere un giudizio più favorevole e a maggior ragione lo stesso dicasi per i due atleti. Anche perché bisogna pur pesare la gravità dell’illecito contestato, quanto leda sull’interesse sportivo. Inoltre con pene meno severe inizierebbe a passare il messaggio di dover rivedere la responsabilità oggettiva».

Il Napoli si ritrova con due punti e due giocatori in meno proprio per l’applicazione rigida di tale principio…

«È tempo che la sua applicazione vada mitigata e ridefinita. Credo che sia interesse del calcio creare una commissione omnicomprensiva, con esponenti di Figc, Assocalciatori, Lega e organi di giustizia, affinchè venga ridiscusso tale principio, in modo da compenetrare le ragioni di diritto con gli interessi dei club. Il Napoli che perde 2 punti in questo modo ha subito un grave danno».

Qual è la strada da seguire?

«Nel doping una commissione di tre saggi ha previsto che la responsabilità oggettiva non si applica in casi eccezionali. Potrebbe accadere anche per il calcioscommesse. Del resto gli atleti che scommettono, aggiustano il risultato o omettono di denunciare, non lo fanno certo a vantaggio della società».

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Conte e la giustizia sportiva

Una partita ancora tutta da giocare

Decisiva sarà l'interpretazione delle parole di Kutuzov e Gillet

Pro e contro Contro l’allenatore della Juve il precedente. A favore, la ritrattazione del portiere del Toro

di ANDREA ARZILLI & ARIANNA RAVELLI (CorSera 12-01-2013)

MILANO — Che Antonio Conte inciampi di nuovo nella giustizia sportiva che l'ha già giudicato colpevole di omessa denuncia, al momento, è solo una possibilità. Ma il rischio c'è. Solo dopo la solita procedura della Procura di Palazzi, che in primavera darà il via al valzer di audizioni per approfondire la questione in prospettiva di un processo da istruire intorno a giugno, le cose saranno più chiare per tutti sulle due combine del Bari (con Treviso, maggio 2008, e Salernitana, maggio 2009).

Ma la possibilità non è da escludere se si fa un parallelo tra le due inchieste, Cremona e Bari, dalle quali è transitato Conte. Il terreno preparato dai verbali baresi potrebbe essere, se vogliamo, ancora più scivoloso rispetto all'estate scorsa per due motivi: il primo è che Conte ha già una condanna passata in giudicato (i 4 mesi) che costituiscono un precedente; il secondo è che i 4 mesi di squalifica per AlbinoLeffe-Siena sono arrivati per la confessione dell'illecito resa da Stellini, all'epoca suo collaboratore, e quindi perché Conte «non poteva non sapere».

Il fatto è che ora, a Bari, qualcuno si è sbilanciato di più dichiarando che il tecnico «sicuramente» sapeva di quel Salernitana-Bari. Certamente non dei soldi sottobanco, infatti non è mai stato indagato dalla Procura pugliese (mentre risulta ancora indagato a Cremona), ma che la partita avrebbe potuto prendere la piega che poi ha preso. Decisivo sarà capire se Conte aveva solo capito che la squadra non si sarebbe impegnata, o se aveva capito che avrebbe perso.

La Procura Figc ascolterà tutti gli interrogati a Bari o zone limitrofe, Conte compreso. E, in particolare, approfondirà le posizioni dei tre che potrebbero rimettere nei guai l'attuale tecnico della Juve. Diciamo due e mezzo considerata l'inversione a «U» di Gillet tramite fax. Per ora Palazzi legge e rilegge il verbale del portiere e capitano di quel Bari, la ricostruzione del rifiuto a giocare di Colombo («Disse di non voler giocare in una squadra ‘‘moscia''») espresso davanti al tecnico («...c'era anche Conte che, ascoltate le parole di Colombo, non lo schierò. Ci fece capire di volere sempre il massimo e prese atto della situazione»). Una versione che, prima di Natale, l'«ondivago» Gillet ha ritrattato, nessuna riunione e nessun episodio, generando negli inquirenti baresi qualche sospetto. E poi ci sono le dichiarazioni di Kutuzov e Lanzafame che devono essere analizzate dall'angolo della giustizia sportiva visto che a Bari dell'omessa denuncia non importa niente. Kutuzov è più esplicito: «Ci disse che lui era comunque con noi (...) Sicuramente sapeva qualcosa». Ma, essendo un giocatore svincolato, che ha ormai chiuso la carriera, potrebbe anche non presentarsi in Figc, lasciando così Palazzi senza le parole più dure contro Conte. Anche Lanzafame, per la partita col Treviso, insinua il dubbio: «Ci disse che se ci fosse stato qualche comportamento sleale avrebbe sostituito qualche giocatore anche dopo 10'», il che fa balenare l'idea di una consapevolezza del tecnico.

E poi c'è il Tnas con il suo dispositivo su Conte per il caso-Siena, nel quale si sottolineava il lasso di tempo senza denuncia che passò dalla confessione di Stellini all'audizione del tecnico in Procura Figc. Ora potremmo tornare alla stessa situazione: «Stellini venne da me e disse che su Bari-Salernitana c'era qualcosa — si legge nel verbale di Conte —. Io lo mandai via brutalmente e non lo feci nemmeno parlare».

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Il verbale Le accuse di Iacovelli, amico dei calciatori biancorossi

«Aggiustarono la partita

poi puntarono sull'Inter»

La verità di Angiolino

di VINCENZO DAMIANI (CORRIERE DEL MEZZOGIORNO - BARI 12-01-2013)

BARI — Mentre allo stadio San Nicola si giocava (in maniera fittizia) Bari-Treviso, sfida dal risultato pilotato, i calciatori biancorossi avevano un orecchio alla radiolina per seguire le sorti di altre partite: Inter-Atalanta e quelle in cui erano impegnate il Rimini e l'Ancora. L'interesse era tutto economico: alcuni giocatori pugliesi, infatti, avevano scommesso su quelle gare e incrociavano le dita affinché tutto filasse liscio. Tanto al San Nicola tutto era già stato deciso a tavolino. A rivelare altre presunte combine è l'ausiliario amico dei giocatori, Angelo Iacovelli. Interrogato dai carabinieri e dal pm Ciro Angelillis il 21 settembre del 2012 nell'ambito dell'inchiesta sul calcio scommesse, fa mettere a verbale: «Durante la partita Treviso-Bari cu furono delle giocate fatte da alcuni ragazzi del Bari che in campo seguivano le vicende di altre partite di quel giorno. Quella dell'Ancona - elenca - del Rimini e di Inter-Atalanta. Scommisero e scommisi sull'over di Inter-Atalanta, vincendo. Non ricordo il risultato di Rimini e Ancona. Nell'Atalanta giocava Doni. Me lo riferirono Marco Esposito, Guberti e Raffaele Bianco».

E poi spunta anche un altro match sul quale però la magistratura non ha trovato riscontri, Bari-Genoa. È sempre «Angiolino» a riferirne, anche se con alcune contraddizioni: «Su Bari-Genoa - racconta - Stellini mi disse che doveva andare a Genova per concordare il risultato, 0 a 0, sicuramente con qualcuno che conosceva. Stellini lo disse a Ventura. La partita finì 3 a 0. Sculli, nel tunnel, prese per la gola Sullo, il secondo di Ventura. L'anno dopo, a Genova, io ho pensato che Ventura volle perdere quella partita, che il Bari giocò in 11 contro 10 per gran parte della partita».

Tornando indietro ai campionati di serie B, la presunta combine Bari-Treviso del 10 maggio 2008, venduta secondo la Procura per 70mila euro, divise in due lo spogliatoio biancorosso. In particolare, gli stranieri erano assolutamente contrari e c'è chi persino ebbe una crisi di nervi, come ricorda l'ex difensore Marco Esposito. «Mariano Martin Donda - dice ai carabinieri - ebbe addirittura una discussione con Santoruvo a seguito della quale si mise a piangere. Eravamo in ritiro, andai a dirgli: "Stai tranquillo, tu fai quello che devi fare, non ti preoccupare perché comunque tu sei abituato a fare... fai quello che devi fare, cioè fai la tua partita come devi farla. E fu così. Lui...Donda fece la sua partita perché non era persona da fare queste cose». La sera prima del match, l'attaccante Nicola Strambelli ricorda che persino il direttore sportivo, Giorgio Perinetti, si raccomandò con i calciatori. «Passò stanza per stanza - riferisce - a dire a tutti i calciatori di giocare al meglio quell'incontro. Non sono sicuro se in tutte le camere, però bussò alla mia camera, non ricordo con chi ero in camera, e ci disse che dovevamo giocarci... cioè dovevamo fare il meglio che noi potevamo fare perché dovevamo vincere la partita, e basta».

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Bari, ora tocca a Palazzi

Il procuratore Figc esamina il faldone di Bari. Da verificare la posizione di Conte

Diverse situazioni riguardano l’attuale allenatore della Juve ma non sono

chiare dai verbali della Procura: il tecnico rischia nel caso di omessa denuncia

di EDMONDO PINNA & ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 12-01-2013)

Stefano Palazzi ha in mano tutte le carte dell'indagine della Procura di Bari sul centro-combine organizzato dai giocatori del club biancorosso, in particolare su Bari-Treviso 0-1 dell'11 maggio 2008 e Salernitana-Bari 3-2 del 23 maggio 2009. Il procuratore federale avvierà l’indagine nelle prossime settimane, fra mille impegni (giovedì prossimo - ad esempio - dovrà sostenere l'accusa nell'Appello alla Corte di Giustizia federale sul caso-Gianello, quello che ha coinvolto il Napoli, Cannavaro e Grava), stilerà il calendario degli interrogatori per poi far partire i deferimenti su questo nuovo capitolo del calcio scommesse (scommesse sul calcio che, come riporta Agipro, sono scese in Italia del 5%, colpa degli scandali). Deferimenti che non dovrebbero arrivare prima della prossima (tarda) primavera, come ci fosse un gentleman's agreement, per evitare processi e provvedimenti disciplinari durante la stagione. Proprio il caso Napoli sarebbe l'esempio da non seguire.

VERIFICHE - Fra le posizioni da verificare, anche quella di Antonio Conte, l'allenatore della Juventus già finito sotto processo nella scorsa estate per vicende legate alla sua esperienza a Siena. La Procura della Repubblica pugliese ha inviato a 27 fra giocatori ed ex l'avviso di chiusura indagini. L'indagine sportiva, però si preannuncia ancora più delicata e potrebbe allargare il numero delle persone coinvolte a vario titolo. Prendete Ranocchia, Gazzi e Barreto: per loro i pm di Bari hanno chiesto l'archiviazione, sono fuori dalle beghe penali, ma potrebbero - teoricamente - finire invischiati nelle maglie di quella sportiva. Ecco perché i federali vogliono capire bene prima i fatti che emergono dalle carte che il procuratore di Bari, Laudati, ha consegnato a Palazzi per poi disporre gli interrogatori.

DENUNCE NON FATTE - Fra le persone che saranno ascoltate dagli uomini di Palazzi ci sarà anche Antonio Conte, che era già stato sentito dagli 007 nell'ultima estate. L'allenatore della Juventus, che all'epoca di questi nuovi fatti guidava il Bari, potrebbe essere sentito dopo i giocatori coinvolti nella vicenda, seguendo un calendario già utilizzato dalla Procura di Bari. Dalle carte arrivate dalla Puglia emergono aspetti non univoci, situazioni che meritano alcuni approfondimenti ad uso e consumo della sola giustizia sportiva. Conte dovrebbe essere chiamato a chiarire le dichiarazioni di Kutuzov ( «Ci disse che lui era comunque con noi (...) Sicuramente sapeva qualcosa» ), Lanzafame (rispetto alla partita contro il Treviso «ci disse che se ci fosse stato qualche comportamento sleale avrebbe sostituito qualche giocatore anche dopo 10 minuti» , discorso meritevole per un verso ma che potrebbe sottointendere, e questo dovranno appurarlo i federali, se lui sapesse), in parte anche quelle (ritrattate) di un Gillet ritenuto ondivago dai pm, ma anche quelle da lui rese nell'interrogatorio a Monopoli: «Quando venne fuori la notizia che si stava indagando su Bari-Salernitana e Bari-Treviso, Stellini venne da me e disse "Mister, su Bari-Salernitana c'è qualcosa" e io risposi: "Cristian per favore tu sai quello che sto passando, non mi dire un c..., esci, vattene"» . Anche in questo caso, bisognerebbe stabilire tempi e modi di come il tecnico sia venuto a conoscenza del "qualcosa", anche perché la recente sentenza del Tnas sui quattro mesi a Conte richiama proprio la confessione fatta da Stellini al suo tecnico, avvenuta ben prima della sua convocazione dai federali, senza che lui abbia però mosso un dito. Molti suoi ex giocatori hanno fatto mettere a verbale che, secondo loro, il tecnico era all'oscuro delle combine. Nel caso di una nuova omessa denuncia, per l'allenatore della Juve sarebbe una "recidiva" e la sua posizione sarebbe - teoricamente - più complessa. «Ho avuto Carobbio, ho avuto Masiello, ho avuto Doni, e io sono un cog...» ha fatto mettere Conte a verbale a Bari, sottolineando che quando i giocatori vogliono agire di nascosto, ci riescono. «Come c... facevano questi a essere organizzati?» ha aggiunto. Già, bella domanda...

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Antonio, il mister che non capiva troppo

DA AREZZO A BARI, PASSANDO PER BERGAMO E LA TOSCANA. DOVUNQUE GUAI.

MA LUI GIURA DI NON ESSERSI MAI ACCORTO DI NULLA

NUOVA TEGOLA Scontata la squalifica per omessa denuncia per i tarocchi

del 2011, ora – accusato da due giocatori – rischia per le combine dei pugliesi

di PAOLO ZILIANI (il Fatto Quotidiano 12-01-2013)

Essere l’allenatore di 20 giocatori che giocano per far perdere la squadra intascando soldi, e non accorgersene. Essere l’allenatore di giocatori onesti che scoppiano a piangere, avendo realizzato la sconcezza di quel che si sta combinando (Gazzi), e non accorgersene. Essere l’allenatore di una squadra (il Bari) definita dai magistrati “una vera e propria centrale di calcio scommesse” e di un’altra (il Siena) indagata per 8 partite combinate, e non accorgersene. Dopo Essere John Malkovich, benvenuti sul set del film Essere Antonio Conte: viaggio nella testa di questo strano signore 43enne al cui confronto il dr. Jeckyll & mr. Hide era un tipo tutto d’un pezzo. Caso, sfortuna, cattive abitudini: qualunque sia il motivo, non c’è dubbio che la Conte-story si srotoli in modo sinistro fin dai suoi inizi. Ad Arezzo Conte precipita in C all’ultima giornata perché la Juve post-Calciopoli si fa battere in casa dallo Spezia: 2-3, gol di Padoin al 95’ e Conte che (da Treviso) spara a zero sul suo vecchio club. “Per fortuna siamo nell’era del calcio pulito: begli amici, alla Juve sappiano che non stimo nessuno, solo i tifosi”. Sei mesi dopo Antonio è sulla panchina del Bari. Ci resta una stagione e mezza e ne succedono di tutti i colori. La Procura, che ha indagato sulla “compravendita di partite” del club pugliese, ha rinviato a giudizio 37 persone tra cui 20 giocatori allenati da Conte dal 2008 al 2009. Confessioni e riscontri hanno incastrato Lanzafame, Esposito e Gillet per il doppio tarocco contro Treviso e Salernitana (si sono messi in tasca 14. 000 euro a testa); e De Vezze, Colombo, Caputo, Strambelli, Ganci, Galasso, Bonomi, Esposito, Belmonte, Edusei, Andrea Masiello, Guberti, Rajcic, Santoruvo, Kutuzov, Stellini, Parisi e Santoni, un solo tarocco alla modica tariffa di 7. 000 euro cadauno. Venti giocatori che ora rischiano una squalifica per illecito di almeno 3 anni e mezzo.

A BERGAMO, dove Conte arriva nell’estate del 2009 (e debutta in A), il tecnico dura 13 partite: ma pochi mesi gli bastano per finire dritto nell’inchiesta penale sugli ultrà violenti del pm Pugliese che lo intercetta mente blandisce al telefono il pluripregiudicato capo ultrà Galimberti detto “Il Bocia”, manifestandogli solidarietà per la condanna ricevuta e “sputtanando” (il termine è della Procura) la dirigenza dell’Atalanta. La puntata 4, quella di Siena, è storia di ieri: tuttora indagato dalla Procura di Cremona per associazione a delinquere e frode sportiva, Conte viene squalificato dalla giustizia sportiva per 10 mesi (omessa denuncia), poi ridotti a 4 dal Tnas.

Tornando a oggi, nubi pesanti tornano ad addensarsi sulla sua testa. Ai pm Conte ha giurato e spergiurato di non sapere niente di Bari-Treviso 0-1 e di Salernitana-Bari 3-2, ma diversi giocatori lo hanno inguaiato. Come Kutuzov (tarocco con la Salernitana: “Conte ci disse che lui era con noi se anche non avessimo giocato con il massimo impegno, dal momento che avevamo già vinto il campionato”), come Gillet: (“Durante il prepartita Colombo disse: “Già non gioco mai, se devo giocare questa partita con una squadra moscia, dico di no!”. Conte era un po’ dispiaciuto, ma prese atto”). Come si vede siamo in odore di illecito, visto che l’allenatore ha il potere di schierare la Primavera, se lo ritiene opportuno. Ma anche in caso di incolpazione più lieve (omessa denuncia), la recidiva rende stavolta impossibili sconti di pena. Insomma, tenetevi forte: la notizia è che Conte rischia un anno di squalifica. La telenovela continua.

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UN TESTIMONE, UN UOMO

CONFESSIONI

DI UNA MENTE

PERICOLOSA

Conte: dalle bugie a Del Piero alle liti preventive con i suoi

di GIAMPIERO TIMOSSI (IL SECOLO XIX 12-01-2013)

LA MIGLIOR DIFESA È L’ATTACCO

Ogni anno metto in preventivo di litigare con 2/3 giocatori, magari ne perdi uno, ma ne guadagni 20

ANTONIO CONTE allenatore della Juventus

«IO SONO UNO MOLTO esigente, uno che comunque chiede tanto in allenamento. Uno che non le manda a dire, nel senso che non nego che ogni anno metto in preventivo il fatto di dover litigare con due, tre giocatori, però sono situazioni che ti permettono magari anche di perdere un giocatore, però di guadagnarne venti, perché capiscono comunque che devono fare il loro dovere».

Se fosse un film questo sarebbe “Confessioni di una mente pericolosa”. Pericolosa e (piuttosto) sgrammaticata. Ma Antonio Conte non è un film, «io al cinema ci porto la squadra, la sera prima della partita ». L’uomo che allena la Juventus è fatto così, è tutto vero. Irruente, anche nel lessico. Uno “che non ci fa, ma ci è” calato nella parte. Uno che riesce a sbatterti in faccia la sua vincente antipatia. La sua sicurezza che sfida sempre il confine della spocchia. Ci riesce anche in una caserma dei carabinieri, a Monopoli, il 6 settembre di un anno fa. Impone il gioco, pure davanti al procuratore capo di Bari, Antonio Laudati e a un bel gruppo di magistrati e investigatori che stanno cercando di sbrogliare la matassa di un nuovo calcioscommesse. Conte a Bari non è indagato, è solo un testimone. Non ha nulla da raccontare, predica. Attacca e l’immagine è ancora più forte. Più di quanto possa regalare una sua conferenza stampa. Più forte della parodia del tecnico messa in scena dal comico Maurizio Crozza.

E poi, nelle 96 pagine del verbale d’interrogatorio, non c’è modulo che tenga. Un passo falso? Forse, quando cita l’ex capitano Alessandro Del Piero. Se ne parlava in tv diceva: «Ale, perché chiamarlo Del Piero a me viene strano, trasmette qualcosa di speciale anche quando respira». Diversa la versione che confessa ai magistrati, decisamente più funzionale: «Io che comunque per questione di equilibri faccio giocare alcuni giocatori come Del Piero... Storari. Perché? Per questione di equilibri, in campionato li tengo tranquilli. Però noi, se arriviamo in finale di campionato, voi sarete titolari».

Chiaro? Del Piero non è solo un mito, ora è anche uno da tener buono, con la stessa promessa che puoi fare a un qualsiasi portiere di riserva.

Anche così il velo si strappa e Conte in campo mette tutto. Timido? Insicuro? Imbarazzato? Mai. Il procuratore Laudati gli chiede di «alcuni particolari che sono da film» (e ci risiamo), di pagamenti sulle avvenute combine fatti direttamente nello spogliatoio del Bari. E Conte che fa? Contrattacca: «Che mi sembra? Che è una vergona! Che è una vergogna! Chiariamo, e ribadisco un concetto, il campo è una cosa, fuori è un’altra. Perché se io avessi saputo una cosa del genere a uno a uno gli staccavo la testa». E poi, come si fa indovinando una sostituzione a metà gara, è l’allenatore che cerca di ribaltare l’equilibrio. Si rivolge al procuratore e al tenente colonnello dei carabinieri, lascia da parte i formalismi, passa al «tu» e a far le domande ci pensa lui: «Capisci cosa voglio dirti? Perché io dico che il fatto dei soldi è una cosa vergognosa ». E Laudati, almeno psicologicamente, sembra piegarsi: «Guardi, io la considero uno dei migliori allenatori italiani».

Il tecnico sfida, cambia ancora scenario: «Lei mi sta parlando di organizzazione, io dico: ma come ċazzo facevano questi a essere organizzati? Ma come facevano? Ma come faceva?». Rafforzare, fino allo sfinimento, per piegare l’avversario. Avanti così, un passo dopo l’altro, in un parlare fitto, senza mai cedere al dubbio. Ribadendo, allo sfinimento (altrui), che lui non lo poteva sapere, perché con i giocatori «non sono amico», perché anche tornando negli spogliatoi, alla fine del primo tempo, le loro strade si separano. «Perché se sono incazzato arrivo prima, prima perché mi preparo».

Perché la vita di un uomo così è sempre una battaglia. Uno che arrivò e disse: «Voglio una Juve antipatica ». È sulla buona strada.

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Bari, chi barava e chi no

Kutuzov: «Conte non sapeva

e ci disse "Io sto con voi"»

Contro il Genoa era combine

Il tuttofare Iacovelli: «Sculli prese per il collo Sullo, il vice di Ventura»

Micolucci tira in ballo Sommese per la gara contro la Salernitana

di FRANCESCO CENITI & ALEX FROSIO (GaSport 12-01-2013)

Ancora verbali, ancora particolari sulle combine. Pubblichiamo nuovi stralci degli interrogatori condotti dai pm di Bari nell'inchiesta sul calcioscommesse (richiesta di rinvio a giudizio per 27 giocatori, frode sportiva l'ipotesi di reato). Tra pianti, bustarelle e calciatori pronti a tutto.

Interrogatorio Kutuzov

A rispondere è l'attaccante bielorusso. Premessa d'obbligo perché le frasi non sono di facile interpretazione. Specie sul fatto se Conte sapesse o meno della combine. Alla fine un «no» secco sembra spazzare via ogni sospetto. «Ci furono discorsi espliciti riguardanti la vittoria da lasciare alla Salernitana. Ricordo che Gillet propose di non giocare impegnandosi al massimo in quanto eravamo gemellati con le tifoserie. Tutta la squadra, alla fine, fu d'accordo. L'allenatore Conte ci disse che lui era con noi anche se non avessimo giocato col massimo impegno. Conte disse questa cosa perché credo avesse sentito qualche voce che circolava negli spogliatoi. Ha detto: "Ragazzi, se voi andate in Salernitana, potete giocare come volete alla fine. Se si decide insieme che la gara a voi non serve, magari... ma tutti insieme io sto con voi"». Gli inquirenti chiedono: «Conte era al corrente di un accordo?», la risposta di Kutuzov è netta: «No».

Interrogatorio Conte

Lo stesso Conte si rende conto che «quando i calciatori vogliono chiudere la porta, in senso metaforico, l'allenatore non ci arriva. Non puoi pensare di percepire determinate cose». Prima di Bari-Treviso Conte chiese l'intervento della società: «Parlai con Giorgio (Perinetti, il d.s., ndr) e dissi: "Giorgio, fai un discorso bello forte, teniamo alta la tensione. Non è che il campionato è finito, siamo arbitri di promozione". Come fai a pensare, e come fai... Capite che mi sono passati i soldi così e non me ne sono accorto? Da questo uno deve capire la figura. La figura! Oggi me ne esco da qui che dico: "È meglio che cambio mestiere", capito?».

Interrogatorio Strambelli

Il discorso del d.s. Perinetti lo ricorda anche Nicola Strambelli: «Bussò alla mia camera e ci disse che dovevamo fare il meglio perché dovevamo vincere. Solo per quella gara venne». Strambelli insiste di non aver preso soldi per quel Bari-Treviso, perché era un Primavera che si stava affacciando alla prima squadra (e con la moglie incinta). Andrea Masiello lo tira in ballo nella riunione che precedette quella combine: gli inquirenti insistono cercando di metterlo alle strette, Strambelli scoppia in lacrime: «Non c'ero, non c'ero, lo spogliatoio era unico ma diviso in due da un muro, io stavo con i giovani». I Carabinieri stoppano tutto e gli fanno bere un bicchiere d'acqua per farlo riprendere.

Interrogatorio Iacovelli

Angelo Iacovelli è il «factotum» che gravitava intorno ai giocatori del Bari. Da lui arrivano parecchi spunti interessanti. «Sono stato con un signore a vedere la gara a casa di Marco Esposito. Sapevo che era un ufficiale dei Carabinieri di nome Ciccio, aveva una busta con dei soldi: 300 mila euro. Alla fine mi consegnò la busta e andò via in macchina». Quei 300 mila euro (ma per Esposito che li distribuì erano 150 mila) saranno dati a molti giocatori del Bari. Non a tutti. «Ranocchia non li ha presi perché era un ragazzo. So che con quei soldi facemmo una festa». Da Iacovelli, rivelazioni anche su altre partite e scommesse: «Su Bari-Genoa, Stellini mi disse che doveva andare a Genova per concordare il risultato, che doveva finire 0-0, sicuramente con qualcuno che conosceva. Stellini lo disse a Ventura. La partita finì 3-0. Sculli era al Genoa, nel tunnel, prese per la gola Sullo, il secondo di Ventura. L'anno dopo, a Genova, io ho pensato che Ventura volle perdere quella partita, che il Bari giocò in 11 contro 10 per gran parte della partita. Per i falsi dell'anno precedente disse: "Questa partita noi la dobbiamo perdere". Lo disse per farsi perdonare, ma questa è una deduzione mia. Vincevamo 1-0 e perdemmo 2-1. Poi da quella partita è successo tutto: la società non pagava gli stipendi, nessuno ascoltava più Ventura e ognuno faceva i porci comodi loro». Un passo indietro a Treviso-Bari: «Durante la gara, ci furono delle scommesse fatte da alcuni giocatori del Bari che in campo seguivano le vicende di altre sfide. Quella dell'Ancona, del Rimini e Inter-Atalanta. Scommisero e scommisi sull'Over di Inter-Atalanta, vincendo. Non ricordo il risultato di Rimini e Ancona. Nell'Atalanta giocava Doni: si è venduto anche l'anima».

Interrogatorio Spadavecchia

Era il secondo portiere. Nega di aver preso soldi per Bari-Treviso ma spiega: «Santoruvo dopo qualche giorno mi disse che c'erano dei soldi, la mia parte per la sconfitta. Non li presi. Lo riferii a Stellini che mi disse: "Hai fatto bene"».

Interrogatorio Micolucci

Era ex Bari, ma aveva saputo alcune informazioni dal compagno Sommese (erano all'Ascoli). Il sospetto degli inquirenti è un network di scommesse: i giocatori si comunicano le gare alterate. «Sommese mi disse che i giocatori del Bari avevano preso soldi per perdere con il Treviso. Sempre Sommese sapeva dell'accordo con la Salernitana e mi riferì che la partita con il Piacenza sarebbe finita di sicuro pari. Sommese e Pederzoli sapevano della combine di Bari-Livorno di Coppa Italia. Mi dissero che fu fatta solo da quelli del Livorno. E sapeva anche dell'accordo saltato per Bari-Samp dopo l'offerta di Guberti».

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POSIZIONI DIVERSE Con Ranocchia, escono dall’inchiesta anche Gazzi, Barreto, Ghezzal, Donda, Rivas e soprattutto l’ex team manager Tarantino

Ecco perché le 27 archiviazioni

I ristoratori baresi estranei al giro

Singolare la posizione dell’ex calciatore del Lecce Vives: mentì per evitare squalifiche

di GIOVANNI LONGO (LA ĠAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 12-01-2013)

Giuseppe Vives non è punibile perché ha mentito solo per evitare un grave danno. L’avvocato Andrea Starace si è trovato nel posto sbagliato al momento giusto. I ristoratori baresi Franceco De Napoli, Aldo Guarino e Onofrio De Benedictis non hanno nulla a che fare con le frodi sportive. Le dichiarazioni accusatorie di Andrea Masiello nei confronti di Andrea Ranocchia non sono state riscontrate. «Ci siamo attenuti a regole rigidissime per quanto riguarda la prova, le semplici dichiarazioni non sono state ritenute sufficienti per esercitare l’azione penale», ha spiegato il procuratore della Repubblica di Bari Antonio Laudati. L’altra faccia dell’inchiesta barese sul calcioscommesse sono le 27 richieste di archiviazioni.

VIVES E STARACE - L’ex centrocampista del Lecce era indagato per false dichiarazioni al pm in relazione al derby Bari-Lecce del 15 maggio 2011 (0-2). Laudati e i sostituti Ciro Angelillis e Giuseppe Dentamaro sono convinti che Vives, oggi al Torino, ha mentito, negando di avere «sancito» la combine con una pacca sulla spalla di Masiello. L’episodio, raccontato in modo univoco oltre che da Masiello, anche da Gianni Carella e Fabio Giacobbe, era stato negato da Vives il quale, ascoltato dai Carabinieri del nucleo investigativo di Bari, nella veste testimone, avrebbe mentito «solo» perché se avesse confermato di avere saputo della presunta combine, si sarebbe reso responsabile dell’illecito sportivo per omessa denuncia. Facile comprendere come la questione giuridica, possa avare conseguenze, la di là del caso concreto, sul piano della responsabilità penale.

Quanto all’avvocato Andrea Starace, la procura di Bari ha concluso che il professionista è intervenuto per la prima volta nella vicenda il 22 agosto 2011 quando nell’hotel Tiziano di Lecce avvenne l’ennesimo pagamento. Il dubbio che quella volta Starace si sia presentato come rappresentante del Lecce Calcio oppure che abbia finto di rappresentare la società al solo fine di assecondare un raggiro di Quarta non è stato fugato. In entrambe le ipotesi è intervenuto in un momento successivo agli accordi presi tra Carlo Quarta in rappresentanza di Pierandrea Semeraro e Masiello, Carella e Giacobbe, e dopo la gara, quando il reato di frode sportiva era già stato consumato.

RANOCCHIA E GLI ALTRI - Secondo le dichiarazioni di Marco Esposito e di Angelo Iacovelli, l’attuale difensore dell’Inter venne tenuto fuori dalla combine nella gara contro la Salernitana: era appena arrivato, era giovane, doveva essere tenuto fuori. Escono dall’inchiesta Gazzi, Donda, Ghezzal, Barreto e, soprattutto l’ex team manager del Bari Luciano Tarantino. Per quest’ultimo le dichiarazioni accusatorie di Esposito non hanno trovato alcun riscontro.

I RISTORATORI - Francesco De Napoli, in un primo momento verosimile destinatario delle scommesse dei calciatori baresi, non ha invece posto in essere comportamenti riconducibili al reato di associazione a delinquere finalizzato alla frode sportiva. L’accusa cade anche per Onofrio De Benedictis. Per Aldo Guarino le dichiarazioni di Esposito non bastano. Non hanno nulla a che a fare con le frodi sportive anche Arianna Pinto, Armand Caca e Leonardo Picci. Anche per loro la Procura ha chiesto l’archiviazione.

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I VERBALI L’EX TUTTOFARE BIANCOROSSO RACCONTA DI COSE ASCOLTATE DA STELLINI E DI DEDUZIONI PERSONALI

Bari-Genoa: Iacovelli tira in ballo

mister Ventura: quanto è credibile?

di GIOVANNI LONGO (LA ĠAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 12-01-2013)

Sull’asse Bari-Genoa, Angelino Iacovelli tira in ballo il Bari di Giampiero Ventura. Tra cose che dice di avere sentito da Stellini e sue «deduzioni», Iacovelli racconta la sua sul doppio confronto tra pugliesi e liguri nelle stagioni del Bari di «mister Libidine».

Pm Angelillis: «Che è successo?».

Iacovelli: «A Bari-Genoa Cristian Stellini mi disse che Ventura doveva andare al Genoa».

Pm Dentamaro: «Stellini giocava ancora nel Bari?»

Iacovelli: «Sì, considerarono l’uomo spogliatoio più Stellini che non Gillet, e Stellini mi disse che doveva andare a Genova per concordare la partita perché il Bari non riusciva più a vincere, non riusciva più a fare risultato. Poi Stellini ha giocato anche nel Genoa e mi disse lui che doveva andare a Genova per concordare il risultato, che quella partita doveva finire 0 a 0».

Ma qualcosa non andò per il verso giusto. «L’accordo - prosegue Iacovelli - fu preso sullo 0-0, però qualcuno siccome aveva sospettato che la partita si era venduta se la giocarono e il Bari vinse 3-0. Poi sotto al tunnel successo di tutto perchè Sculli si prese... non dico quasi a pugni, prese al secondo per la gola (...) perché in quella partita “Pezzi di ɱerda”, si sentivano le parole: “Pezzi di ɱerda”, non si fa così”. L’anno dopo...».

«Stellini - aggiunge Iacovelli - mi disse che sicuramente il mister aveva parlato con Stellini, gli avrà detto: “Vado a genova che qua non si riesce a vincere ” (...) almeno che prendevano un punto».

La stagione successiva il Bari parte bene vincendo la prima partita con la Juventus, poi però «successe il tracollo». «Giocammo a Genova, noi in 11, il Genoa in 10 - ricorda Iacovelli - là c’è lo zampino di Ventura perché per i falsi dell’anno precedente disse: “Questa partita noi la dobbiamo perdere”». La sua «deduzione », come lo stesso Iacovelli la chiama, lo porta a dire: «quella partita la potevamo vincere ad occhi chiusi; sicuramente qualcosa è successo nello spogliatoio e poi di là è successo il patatrac perchè nessuno ascoltava il mister. Ecco perché ci furono le contestazioni».

Iacovelli racconta anche di altre partite non del Bari. Prendiamo Inter-Atalanta del 2009 terminata 4-3. «Quella partita la giocarono parecchi ragazzi, come l’ho giocata anch’io», dice Iacovelli che punta non sull’«1», ma sull’«over». «Si stappava champagne», dice. Chi gli avrebbe riferito di scommettere su quella gara, così come su una partita con del Rimini e dell’Ancona? «Marco Esposito, Guberti», risponde Iacovelli al pm Angelillis che, a sua volta gli chiede: «Le ha detto anche come faceva Esposito a sapere. . . ». Risposta: «No, questo no, però le loro amicizie ce le avevano dappertutto, sicuramente. . . non so i contatti come avvenivano». Iacovelli punta 10 euro e vince 1850 euro. Fece giocare anche i suoi famigliari, per quanto era sicuro. Eppure, ecco qual è il suo sui calciatori è il seguente: «Dei giocatori l’80% sono tutte finzioni, cioè sono tutte bugie che dicono (. . . ) perché qua si vogliono salvare il ċulo, ma non se ne salva nessuno».

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IL «TIRO AL PALLONE»

NUOVO SPORT DEI PENTITI

di FRANCESCO COSTANTINI (LA ĠAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 12-01-2013)

Grande confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente. Lo diceva Mao Tze-Tung, il leader cinese di una rivoluzione che a raccontarla oggi nemmeno ci si crederebbe più. Se avesse ragione lui, allora i tifosi del Bari potrebbero davvero dormire sonni tranquilli.

Mai come in questo momento, in 105 anni di storia le cose biancorosse sono apparse così ingarbugliate e le nubi addensate sul futuro così nere. Prendete trenta milioni di eurodebiti, un presente societario che definire nebuloso è puro ottimismo, aggiungeteci questa vicenda del calcioscommesse, e avrete una situazione da brividi, che più confusa non si può, al punto da dubitare dell’esi - stenza stessa in vita del «glorioso» club biancorosso.

Da due-tre giorni avvocati, tifosi e cronisti sono impegnati a spulciare tra quasi duemila pagine di interrogatori, di dichiarazioni, di forse, non so, non ricordo, mi sembra, potrebbe essere. E pure là dentro di capirci qualcosa non se ne parla neppure. Certo, i fatti sono più o meno acclarati, nel senso che sulla ipotesi che siano accaduti realmente non ci piove. Ma troppe circostanze, troppe situazioni, troppi collegamenti, anche deduttivi, sembrano improbabili, fantasiosi. I pentiti tirano acqua al loro mulino: todos caballeros, insomma, come avrebbe detto il sovrano spagnolo Carlo V proclamando d’un botto tutti i sudditi di Alghero appunto cavalieri, con tutti i vantaggi che ne conseguivano. Nel senso che più s’allargano le maglie della giustizia, più protagonisti vengono coinvolti, più si diluiscono le responsabilità individuali.

In quelle carte spuntano supposizioni, ipotesi, accuse per sentito dire. Per esempio l’ormai celeberrimo factotum Iacovelli (e fermiamoci a questa definizione) dice che Stellini gli avrebbe riferito che Mister Libidine, cioè Giampiero Ventura, preoccupato della piega che stava prendendo il finale di una stagione semitrionfale come la prima dopo il ritorno in serie A, si sarebbe recato a Genova per accordarsi con l’entourage della squadra rossoblù per un eventuale pareggio 0-0 nella gara del girone di ritorno. Le cose - dice in sostanza Iacovelli - avevano preso una brutta piega e il Bari doveva fare almeno un punto.

I biancorossi invece vinsero tre a zero. Nel dopo partita - dice sempre Iacovelli - il genoano Sculli aggredì il vice di Ventura, Sasà Sullo, nel tunnel degli spogliatoi, e lo insultò pesantemente per il «tradimento». Per questo - deduce il solito Iacovelli - nella partita che i tifosi del Bari considerano la madre di tutte le sciagure, Genoa-Bari dell’ottobre dello stesso 2010, persa 2-1 per un gol di Toni al 95’, Ventura volle perdere: per risarcire il Genoa del torto subito. Per capirci, è la famosa gara che il Bari domina, va in vantaggio, mette quattro (quattro) volte un uomo solo davanti al portiere, ha il vantaggio di un uomo per l’espulsione di un giocatore dei liguri, e alla fine perde incredibilmente. E da lì in poi si squaglia come neve al sole.

Non c’è - almeno per ora - un’inchiesta su quella partita, però Iacovelli usa il metodo che tutti i pentiti usano in questa vicenda: fa la cacca nel ventilatore e lo accende. Perché lo fa? Difficile capirlo, forse i giocatori, alla cui amicizia tiene così tanto, lo prendevano anche in giro, raccontandogli fanfaronate senza capo né coda, forse orecchiava e non ha ben compreso cosa realmente sia accaduto. Chissà, non è chiaro. È veleno puro lanciato sulle ferite, su quelle dei tifosi del Bari soprattutto, gli ultimi a restare attaccati a quella maglia.

Però, un dubbio viene leggendo quelle pagine: troppe sono le storie raccontate «per sentito dire», pochi, troppo pochi i testimoni oculari. In questi mesi abbiamo letto ogni genere di anticipazione: scatole per scarpe contenenti centinaia di migliaia di euro (avete letto bene: centinaia di migliaia di euro) portate negli spogliatoi con distribuzione del denaro mano nella mano e festa tribale conseguente, adesso la lunga sfilata dei giocatori a casa di Marco Esposito la sera stessa della partita per incassare subito la loro fetta di torta. Qualcuno visto di persona, qualcuno solo ipotizzato, qualcuno certamente assente e poi «retribuito » da qualcun altro.

La vicenda di Ventura che va a Genova, la sua città, con le indicazioni di Stellini, ex capitano del Genoa, per concordare uno zero a zero che non serviva a nessuno (né Bari né Genoa correvano più rischi di classifica), sembra però francamente troppo, l’ennesima polpetta avvelenata. Attendiamo riscontri, perché se davvero le cose fossero andate così, non rimarrebbe che chiudere baracca e burattini e darci tutti alla pesca. Là almeno quando i pesci abboccano all’amo è sicuro che a prenderli sia stato tu.

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Accuse anche a Ventura:

"Ordinò di perdere"

Nei verbali di Iacovelli spuntano altre tre gare: c´è Inter-Atalanta

Il pentito contro il tecnico del Toro E sul match di San Siro: "Guadagnai anche io..."

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 12-01-2013)

Tre nuove partite di serie A (Inter-Atalanta, Bari-Genoa e Genoa-Bari) e il coinvolgimento definitivo di allenatori e società. Quella che potrebbe essere la nuova fase dell´inchiesta penale e sportiva sul calcioscommesse di Bari comincia dal verbale di Angelo Iacovelli, il portantino-factotum dei calciatori biancorossi per conto dei quali raccoglieva denaro e organizzava contatti in vista delle combine.

Nel suo ultimo interrogatorio, datato 21settembre, Iacovelli ha raccontato particolari "pesanti" su altre gare. Partendo da un aneddoto: come si sta in panchina ai tempi del calcioscommesse. «Durante Bari-Treviso (del 2009, ndr)- si legge nel verbale - in panchina c´ero anche io. I giocatori avevano tutti le radioline nell´orecchio. Ci furono sicuramente delle giocate fatte - e non nascondo che l´ho fatto anche io - da alcuni ragazzi del Bari. Insomma si erano scommesse alcune partite. Una era l´Ancona, forse Albinoleffe-Ancona. Poi c´era il Rimini. E poi c´era una partita di serie A...». Quale? «Inter Atalanta. Era sicuro l´over». La partita effettivamente finì 4-3. «All´inizio avevano le facce che arrivavano giù, poi i risultati cambiarono e cominciarono a tirarsi su, a ridere, scherzare, si stappava champagne. Poi sicuramente sapevano che avevano fatto una grossa vincita.... Io non so come lo facevano a sapere: però le loro amicizie ce le avevano dappertutto...».

Iacovelli parla poi anche di Bari-Genoa, della stagione 2009-2010, tirando in ballo l´allora allenatore (oggi al Torino) Giampiero Ventura. La partita finì 3-0 per il Bari ma doveva essere un X. «Stellini mi disse che Ventura, che è di Genova, andò per concordare lo 0-0 (...) Un punto andava bene a tutte e due le squadre, il Bari non riusciva a fare risultato e le contestazioni si cominciavano a sentire (...)». Poi che accadde? «Qualcuno, come Almiron, siccome aveva sospettato che la partita si era venduta se la giocò e il Bari vinse 3-0. Poi sotto al tunnel successe di tutto perché Sculli si prese... non dico quasi a pugni, prese al secondo di Ventura per la gola, Sullo (...) Si sentivano le parole: "Pezzi di ɱerda, non si fa così..." (...) perché la partita non doveva finire così». Il racconto di Iacovelli prosegue. «Dal caos all´anno dopo... (...) Il Bari vinse con la Juve, giocammo a Genova noi in 11, il Genoa in 10, la c´è lo stampino di Ventura perché per i falsi dell´anno precedente disse: "Questa partita noi la dobbiamo perdere". Questa però è una mia deduzione (...) Sicuramente qualcosa è successo nello spogliatoio e poi di là è successo il patatrac perché nessuno più ascoltava il mister».

Tutto materiale che al momento non è stato verificato dai carabinieri, dal procuratore Antonio Laudati e dai sostituti Ciro Angelillis e Giuseppe Dentamaro. E che dovrà essere vagliato anche dagli uffici di Stefano Palazzi. Che avrà anche un altro compito: capire il ruolo delle società (dal Bari alla Samp, dalla Salernitana al Treviso). «Dal punto di vista logico - scrive l´ufficiale dei Carabinieri, Riccardo Barbera, nell´informativa finale - è inverosimile che i calciatori di una squadra cedano il proprio denaro per addivenire ad un risultato che possa giovare quasi esclusivamente alla società stessa». Ora tocca a Palazzi che già la prossima settimana potrebbe partire convocando i tesserati: nell´elenco sicuramente ci sarà Antonio Conte.

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Scandalo scommesse

Il tuttofare Iacovelli inguaia Ventura

"Con il Genoa ordinò di perdere"

Le rivelazioni sulle due gare del Bari. Con la rivolta di Almiron

"Stellini mi disse che nel 2008 il mister si era accordato per lo 0-0. La partita finì 3-0"

"L´anno successivo i liguri erano in 10 potevamo vincere facile, perdemmo in malo modo"

di GIULIANO FOSCHINI (la Repubblica - Bari 12-01-2013)

IL BARI dei miracoli e il suo allenatore, Gianpiero Ventura, entrano nell’inchiesta sul calcioscommesse. Li tira dentro il portantino Angelo Iacovelli, l’uomo di fiducia dei calciatori, in un interrogatorio agghiacciante del 21 settembre scorso. «A Bari-Genoa - dice ai pm Dentamaro e Angelillis - Stellini doveva andare a Genova per concordare il risultato di 0-0 che però non c’è mai stato».

La partita finì 3-0 per il Bari al termine però davvero di una situazione incredibile che Iacovelli racconta così: «Stellini mi disse che aveva detto a Ventura che doveva andare a Genova per parlare della partita, almeno che prendevano un punto. Ventura è di Genova. Andò così solo Ventura per concordare lo 0-0. Me lo disse Cristian Stellini per concordare lo 0-0». Cosa successe poi? «Qualcuno aveva capito... Tipo Almiron che disse: "Vi siete venduti la partita", gli disse a Cristian. Disse: "No, non ci siamo venduti niente". "No, voi siete mercenari". Insomma l´accordo fu preso sullo 0-0. Un punto andava bene a tutte e due le squadre, il Bari non riusciva a fare risultato e le contestazioni si cominciavano a sentire (...) Però qualcuno siccome aveva sospettato che la partita era venduta se la giocarono e il Bari vinse 3-0. Poi sotto al tunnel successe di tutto perché Sculli si prese... non dico quasi a pugni, prese al secondo di Ventura per la gola, Sullo (...) Si sentivano le parole: "Pezzi di ɱerda, non si fa così..." (...) perché la partita non doveva finire così ma doveva finire con la vittoria del Bari».

Il racconto di Iacovelli prosegue. «Dal caos all´anno dopo (...) Il Bari vinse con la Juve, giocammo a Genova noi in 11, il Genoa in 10, la c´è lo stampino di Ventura perché per i falsi dell´anno precedente disse: "Questa partita noi la dobbiamo perdere". Questa però è una mia deduzione (...) Noi quella partita la potevamo vincere a occhi chiusi. Sicuramente qualcosa è successo nello spogliatoio e poi di là è successo il patatrac perché nessuno più ascoltava il mister. Ecco perché ci furono le contestazioni».

Queste dichiarazioni di Iacovelli fanno parte ora di una seconda tranche dell´inchiesta che la Procura sta verificando. Intanto però dai verbali dei giocatori vengono fuori particolari incredibili su come andavano le cose nello spogliatoio biancorosso. Emblematica la storia di Mariano Donda che, in occasione della partita venduta con il Treviso, lui che era contrario alla combine «ebbe - racconta Marco Esposito - una discussione con Santoruvo a seguito della quale si mise a piangere: Eravamo in ritiro - racconta - Andai io a dirgli: ´Stai tranquillo, tu fai quello che devi fare, non ti preoccupare perché comunque tu sei abituato a fare... fai quello che devi fare, cioè fai la tua partita come devi farla". E fu così. Lui, Donda - sottolinea - fece la sua partita perché non era persona che fa queste cose".

Esposito racconta che dopo quella gara, il ds Giorgio Perinetti parlò di partita «ridicola» e disse alla squadra che se avessero perso il derby contro il Lecce li avrebbe mandati in ritiro sino alla fine dell´anno. Di Perinetti parla anche Strambelli: «Passò stanza per stanza - racconta - a dire a tutti i calciatori di giocare al meglio quell´incontro».

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SCOMMESSE, NEL MIRINO LE GARE DEL BARI CON TREVISO E

SALERNITANA: LE CONSEGUENZE SULLA GIUSTIZIA SPORTIVA

Rischia ancora?

Tecnico mai indagato. Ma Palazzi, pm della Figc, lo ascolterà entro fine febbraio

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 12-01-2013)

Ora che i racconti dei protagonisti delle combine (per soldi) di Bari-Treviso e SalernitanaBari sono racchiusi in verbali della procura della Repubblica barese non più secretati, la giustizia sportiva può scendere in campo. Il pm del pallone Stefano Palazzi ha ricevuto la scorsa settimana gli atti dell’inchiesta penale e, a breve, riunirà il suo pool di lavoro per cominciare a dividersi i compiti: lungo e non senza difficoltà si presenta il cammino degli investigatori federali. Se, infatti, per gran parte dei destinatari degli avvisi di chiusura indagine il rischio - quasi inevitabile - è quello di un possibile rinvio a giudizio (sportivo) per illecito, un’approfondita riflessione dovrà esser fatta sul nome di Antonio Conte.

Mai indagato, anzi di aiuto alle indagini così come affermato dallo stesso procuratore capo di Bari Antonio Laudati, Conte si trova al centro di alcuni dei passaggi degli interrogatori dei suoi ex calciatori ai tempi in cui l’allenatore campione d’Italia con la Juve guidava i pugliesi (e sarà sentito dal pm del pallone entro fine febbraio). Tutto ruota attorno alla vigilia della sfida che il Bari, già promosso in A, avrebbe dovuto disputare a Salerno, squadra «amica» dei tifosi biancorossi e disperatamente in cerca di punti per la salvezza. Kutuzov, attaccante bielorusso del Bari in quella stagione, racconta ai magistrati come Conte «...diceva “Ragazzi, io...”. Cioè come fa a stimolare la squadra di farti vincere la partita? L’allenatore come poteva fare? “Giocate, se volete giocare, cioè per me ho fatto il massimo, ho vinto il campionato”...». E ancora: «...ha lasciato via libera, ha detto: “Io sto con voi”».

Loro, i giocatori di quel Bari, la partita con la Salernitana se l’erano venduta per 7 mila euro a testa: si trattava di un incontro tra squadre con ultrà gemellati che, per tutta la settimana, così come radio e tv locali, chiedevano ai biancorossi di lasciare strada ai campani. La squadra, così, pensò bene di trovare il modo di truccare la partita. «Ma Conte era al corrente che c’era un accordo con la Salernitana...», chiede il tenente colonnello Rizzo a Kutuzov a pagina 37 dell’interrogatorio. «No...», risponde l’attaccante. «...O era sua presunzione?», insiste l’investigatore. «Secondo me...», così il bielorusso. «O si era sparsa la voce che c’era questo accordo con la Salernitana, o pensava che non si sarebbero impegnati fino in fondo i calciatori?», ribatte Rizzo. «Secondo me - precisa Kutuzov - più quello, magari quell’impegno della squadra non va più di tanto e lui diceva: “Voi giocate come volete”». Kutuzov, così come altri imputati, parla del suo ex allenatore come di un tecnico messo più o meno a conoscenza delle intenzioni non bellicose della squadra una volta sul campo di Salerno, ma nessuno indica Conte come persona informata dell’accordo nato fra giocatori. I pm di Bari hanno provato a capire se il tecnico bianconero avesse avuto un ruolo nella combine: certi della sua completa estraneità, non hanno mai iscritto Conte nel registro degli indagati.

Palazzi dovrà ascoltare Kutuzov e gli altri 26 accusati di frode sportiva anche con l’obiettivo di accertarsi se Conte si sia tenuto al di sotto dell’omessa denuncia. Cosa avrebbe dovuto denunciare l’ex tecnico del Bari? Quando fu Filippo Carobbio a raccontare le sue verità, in parte poi smontate nei passaggi fra le varie corti sportive, l’ex difensore del Siena parlava di un Conte a conoscenza di accordi fra club: da qui il deferimento di Palazzi per Novara-Siena ed AlbinoleffeSiena per omessa denuncia. E una delle due non denunce di Conte è arrivata fino al Tnas perché, scrissero i giudici di terzo grado, il tecnico era stato messo a conoscenza dal collaboratore Stellini della combine di Bergamo. Oggi, forse, Conte avrebbe dovuto denunciare non accordi, ma atteggiamenti: qual è la linea di demarcazione fra lo scarso impegno festaiolo e la mancanza di lealtà sportiva? Il lavoro di Palazzi sarà, dunque, molto delicato perché individuare un eventuale profilo di colpevolezza di Conte non sarà certo facile.

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Anche il riciclaggio

Non solo scommesse. Bari, nuove accuse

Si tratta di un nuovo filone che segue in prima persona il procuratore

capo di Bari, Antonio Laudati. Interessi più importanti delle frodi sportive

di IVAN CIMMARUSTI & SIMONE DI STEFANO (l'Unità 12-01-2013)

PUNTATE PER MILIONI DI EURO SU ALCUNI INCONTRI DEL BARI CON BOOKMAKER STRANIERI. DENARO LA CUI PROVENIENZA SAREBBE POCO CHIARA ALLA PROCURA PUGLIESE CHE, CHIUSE LE FRODI SPORTIVE, È PRONTA AD ACCELERARE SUL FILONE DEL RICICLAGGIO DI DENARO SPORCO. Il fascicolo è secretato ma emerge un particolare di non poco conto nell’interrogatorio del 30 luglio scorso dell’ex difensore del Bari, Andrea Masiello. «L’indagato - dicono i pm nella fase preliminare dell’audizione - viene altresì avvertito che viene ascoltato come persona indagata in procedimento connesso a fatti di riciclaggio e altri reati». L’ex calciatore biancorosso, reo confesso di una serie di combine del Bari, non sarebbe direttamente indagato per questo reato ma risulterebbe coinvolto nel fascicolo. Si tratta di un filone che segue in prima persona il procuratore capo di Bari, Antonio Laudati, con l’aiuto dei sostituti Ciro Angelillis e Giuseppe Dentamaro. Secondo le ipotesi ci sarebbero stati interessi ben più importanti dietro le frodi sportive. Un’organizzazione avrebbe utilizzato le soffiate dei calciatori infedeli, per ripulire denaro di provenienza illecita attraverso scommesse milionarie compiute su diversi bookmaker stranieri. Di questo ci sarebbe una traccia specifica: puntate anomale in corrispondenza dell’incontro del Bari con la Salernitana.

BARI-GENOA E LA MANO ALLA GOLA DI SULLO

Negli atti depositati alla Procura federale, poi, risultano esserci particolari di un’aggressione che avrebbe ricevuto Salvatore Sullo, l’ex allenatore in seconda di Gianpiero Ventura, da parte del calciatore del Genoa Sculli. Lo racconta il factotum del Bari, Angelo Iacovelli, nel corso dell’interrogatorio del 21 settembre scorso. «Su Bari-Genoa, Stellini mi disse che doveva andare a Genova per concordare il risultato, 0 a 0, sicuramente con qualcuno che conosceva. Stellini lo disse a Ventura. La partita finì 3 a 0. Sculli, nel tunnel, prese per la gola Sullo. L’anno dopo, a Genova, io ho pensato che Ventura volle perdere quella partita, che il Bari giocò in 11 contro 10 per gran parte della partita».

Nell’organizzazione delle combine un ruolo sarebbe stato giocato anche da alcune consorti dei calciatori. Questo emerge dall’interrogatorio del 30 luglio scorso di Masiello. In particolare, afferma che «Ivan Rajcic fu un altro promotore dell’accordo» per manipolare la partita Bari-Treviso, «tanto da mandare la propria consorte Nives Matasic a Treviso, per ritirare il compenso per i calciatori del Bari». Si tratta di una partita che aveva creato un clima di tensione all’interno dello spogliatoio. È Lanzafame a raccontarlo alla Procura, affermando che «ricordo una scena che mi colpì molto, me la ricordo come se fosse ieri (…) Alessandro Gazzi si mise a piangere dalla tensione di tutta la settimana, e fu una scena molto molto particolare e inusuale nel nostro mondo…».

VERO PENTITO

Davide Lanzafame, ex enfant prodige del vivaio juventino e uno dei più giovani nel Bari di Conte, dopo Micolucci, è il nuovo pentito. Ha chiesto di essere sentito in procura federale di sua spontanea volontà appena ad agosto apprese che Andrea Masiello aveva parlato ai pm di due nuove partite truccate. Non sapeva nemmeno di essere stato nominato, tanto valeva scrollarsi di dosso un peso.

Le parole di Lanzafame aprono un altro filone, quello delle pressioni esterne allo spogliatoio barese e perpetrate dall’ex Antonio Bellavista e dai suoi «scagnozzi»: «Una volta Bellavista, nel corso della stagione 2008/09 mi avvicinò - rivela Lanzafame alpm - . Mentre andavo a trovare mio fratello in macchina, Bellavista, in compagnia di tale “Robertone” (che Lanzafame riconoscerà poi nella persona di Roberto Nori, ndr) che lavorava per la sicurezza dello stadio, mi fermò. Io mi avvicinai al suo Suv. Aprì il cofano della macchina e mi mostrò uno scatolone con schede telefoniche intestate a zingari o rumeni. Mi propose di prenderle per contattarlo anche in seguito. “Robertone” mi guardava con fare minaccioso. Io presi alcune schede ma quando tornai a casa le buttai in presenza della mia ragazza. Bellavista mi diede un paio di schede e mi chiese di sapere qualche notizia per scommettere su alcune partite di calcio».

NON FINISCE QUI

L’episodio ricorda molto un incontro simile avuto da Micolucci con Gervasoni in un parcheggio di Ascoli, dove il «pentito» riconobbe lo zingaro Ilievski attraverso una cicatrice sul volto. Lo stesso Micolucci si è preso la sua parte con un fax vergato a penna e spedito in procura federale, in cui delineava in modo definitivo la rete di contatti tra scommettitori: «... e i personaggi le posso dire: Ivan Tisci secondo il mio punto di vista è l’uomo collegato con tutti quelli che cercano di fare le partite». A questo punto Micolucci elenca i nomi e tra questi ci sono Bettarini, Bombardini e anche Cristian Vieri, già indagati dalla procura di Cremona: «Bellavista, Erodiani, zingari e il gruppo dei milanesi - indica Micolucci - con Bettarini, Bombardini e Vieri». Va ricordato come da un’informativa della squadra mobile di Cremona, l’ex attaccante di Lazio, Inter e Atletico Madrid risultava presente a Roma nei giorni di Lazio-Genoa, gara ancora nel limbo per quanto riguarda l’eventuale processo sportivo a carico di Stefano Mauri e Omar Milanetto.

NUOVE SQUADRE

In riferimento al campionato 2010/11, Micolucci spiega: «Le squadre che erano spesso disposte sono Livorno, Piacenza e Sassuolo». Poi indica il Padova come squadra più “attiva” nel combinare le partite di quel campionato: «Il Padova le ultime partite le ha tutte comprate per arrivare ai play-off». Alcune di queste squadre (Sassuolo e Padova) non sono state mai indagate dalla giustizia sportiva, e forse è anche per questo che il pm di Bari, Antonio Laudati, in una recente intervista a Tgcom ha rivelato: «Finita l’inchiesta? No».

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IL CASO CONTE

A febbraio va da Palazzi

Difficile il deferimento

Procura federale al lavoro sui presunti accordi del Bari con Salernitana e Treviso

Le parole di Kutuzov «Il tecnico aveva capito che non ci saremmo impegnati, ma non sapeva di accordi»

di PAOLO FRANCI (Quotidiano Sportivo 12-01-2013)

DELINEARE i contorni del ‘laboratorio del tarocco’ andato in scena negli spogliatori del Bari, questa volta sarà più semplice per il pm del calcio Stefano Palazzi. L’illecito sportivo è conclamato per molti dei tesserati raggiunti da avviso di conclusione indagini nell’inchiesta penale e, per loro, il deferimento arriverà con l’accusa più pesante.

In mezzo a tante certezze, c’è però un caso spinoso, che riguarda Antonio Conte. L’allenatore della Juve, all’epoca delle due partite incriminate con il Treviso e la Salernitana, siedeva sulla panchina del Bari. Di lui, parla a lungo Vitali Kutuzov, ex attaccante dei biancorossi, nelle 95 pagine di interrogatorio degli inquirenti baresi.

Un passo indietro. La Salernitana gioca con il Bari una partita che vale la salvezza. La squadra di Conte è già promossa in A. In città, a Bari, radio, tv e tifoseria intonano un coro di festa per gli amici di Salerno, con il quali i supporters pugliesi sono gemellati. In sostanza: lasciategli i tre punti. Un gemellaggio talmente forte che Conte, ascoltato in qualità di testimone e mai indagato racconterà: «Quando la Salernitana segnava, si abbracciavano i loro tifosi con quelli del Bari».

Kutuzov, in un’altalena di sì e no, reso più difficoltoso dalla comprensione della lingua, spiega nell’interrogatorio che la squadra, già promossa e reduce da allenamenti a dir poco festaioli, dopo averne parlato in una sorta di riunione improvvisata — alla quale Conte non partecipò, chiarisce l’attaccante — non si sarebbe impegnata e avrebbe lasciato la partita alla Salernitana, riferisce come Conte avesse capito l’antifona: «Ragazzi, io sto con voi, io ho vinto il campionato...». Conte sa, secondo Kutuzov, che la sua squadra non giocherà alla morte, d’altra parte in città non si parla d’altro. Ma alla domanda precisa rivolta dal Tenente colonnello dei carabinieri Rizzo: «Conte era al corrente che c’era un accordo con la Salernitana?», Kutuzov risponde: «No». Il carabiniere incalza: «Era una sua presunzione?» e il giocatore risponde: «Secondo me..». Ancora Rizzo: «Si era sparsa la voce che c’era questo accordo con la Salernitana, o (Conte ndr) pensava che non si sarebbero impegnati fino in fondo i calciatori?». E Kutuzov: «Secondo me più quello, magari quell’impegno della squadra non va più di tanto, e lui diceva: ‘Voi giocate come volete’». Conte, racconterà invece di aver chiesto alla squadra il massimo impegno.

PALAZZI dopo aver studiato gli atti, convocherà gli ex giocatori del Bari accusati di frode sportiva — alcuni di questi hanno raccontato come l’allenatore fosse più o meno a conoscenza delle intenzioni non bellicose della squadra — per interrogarli e capire, anche, se Conte si sia tenuto al di sotto della linea dell’omessa denuncia. Cosa avrebbe dovuto denunciare l’ex tecnico del Bari, dato per certo che non sapesse della partita in realtà venduta? Il clima da rompete le righe della squadra? Qual è la linea di demarcazione tra lo scarso impegno festaiolo e la mancanza di lealtà sportiva? Il lavoro di Palazzi sarà dunque molto delicato — rispetto al caso Siena nel quale Conte fu accusato dai pentiti di aver avuto un ruolo negli illeciti con Novara e Albinoleffe — perché individuare con certezza un profilo di responsabilità per Antonio Conte, che sarà convocato da Palazzi a fine febbraio, non sarà certo facile. Anzi.

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Scommesse

Soldi di Bari a una donna

di SIMONE DI STEFANO (TUTTOSPORT 12-01-2013)

ROMA, Quando i soldi della combine li intasca la consorte. Sarebbe stata l’ex moglie dell’allora giocatore del Bari Ivan Rajcic, Nives Matasic, a ritirare il compenso (7 mila euro ciascuno) per dieci calciatori biancorossi in cambio della sconfitta con il Treviso, 0-1 nel maggio 2009. Ad affermarlo è Andrea Masiello durante il suo interrogatorio di fronte ai carabinieri di Bari lo scorso 30 luglio. «So perfettamente - fa mettere a verbale Masiello - che l’ex moglie di Rajcic doveva andare a Treviso a prendere questi soldi e portarli a Bari». I carabinieri annotano: «Santoruvo negli spogliatoi - sintetizzano quindi gli investigatori - comunicò che i giocatori del Treviso erano disposti a dare i soldi per vincere la partita e per salvarsi». A breve il materiale verrà studiato dal pm federale Palazzi. Dopo l’archiviazione di Gazzi e Barreto (a rischio omessa denuncia), il torinista che rischia di più è il portiere Gillet, secondo molti tra i principali fautori della combine con la Salernitana. Il belga ha temporeggiato, facendo irritare il pm che lo ha definito «ondivago». Presto tornerà faccia a faccia con Palazzi, per lui il rischio è 3 anni e mezzo di squalifica per illecito. La magistratura invece cerca ancora di fare chiarezza sulla già nota Bari-Genoa del 2009/10, sulla quale è tornato il “tuttofare” Angelo Iacovelli nell’interrogatorio del 21 settembre scorso: «Su Bari-Genoa, Stellini mi disse che doveva andare a Genova per concordare il risultato, 0-0, sicuramente con qualcuno che conosceva. Stellini lo disse a Ventura. La partita finì 3-0. Sculli, nel tunnel, prese per la gola Sullo, il secondo di Ventura. L’anno dopo a Genova, io ho pensato che Ventura volle perdere quella partita, che il Bari giocò in 11 contro 10 per gran parte della partita». Va ricordato come Ventura parlò già di quella gara - da testimone - ai pm: «Genoa-Bari? Era impensabile da perdere. aveva dell’incredibile, dominata in lungo e largo, palle gol pulitissime, questi (il Genoa, ndr) non avevano mai tirato in porta e pigliamo gol al 94’ su una palla da fermo, cioè prendi gol, succede, però mi ero arrabbiato».

Modificato da Ghost Dog

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Stand up if you hate

growing fan exploitation

‘American ownership has not

enriched the English game exactly’

Manchester City supporters’ decision to not pay £62 for tickets

at Arsenal is not a boycott, or at least not an organised one

by OLIVER KAY (THE TIMES 12-01-2013)

Let us be clear about this. It is not a boycott, or at least not an organised one. No matter how appealing it might be to buy into the narrative that Manchester City’s fans have taken collective action in refusing to pay £62 to watch their team at the Emirates Stadium tomorrow afternoon, the reality — and perhaps it is more damaging — is that this watershed moment is, as the general secretary of the supporters’ club put it, “an individual thing”.

It is a lot of money, you see: £62 to sit in the freezing cold and watch your team play a match that is being shown live on Sky Sports; £77.30 for an off-peak return from Manchester Piccadilly to London Euston (unless you are organised enough to pre-book specific trains there and back, which might halve your train fare); throw in a Tube ticket, the price of a pie and a pint inside the ground and you are looking at £150, which is an awful lot to ask in January, in this economic climate, when you can sit at home, or at the local, and watch it on television with minimal impact on your finances or your family life.

If it were a protest, it would not be a very persuasive one — the sight of 912 empty seats in an away end of 3,000, when every other ticket in a 60,361-capacity stadium has been sold (which in Arsenal’s case is not quite the same as saying that every seat is taken).

That equates to 98.5 per cent occupancy and, given that Arsenal’s average attendance at Highbury exceeded 30,000 just once between 1981-82 and 1987-88, those halcyon days when football was “affordable”, there are some very obvious ripostes to quieten those of us who feel that ticket prices have spiralled too far. Arsène Wenger, the Arsenal manager, suggested yesterday that “the only way we can pay the wages and compete without any external help is the ticket prices because it’s our main income” — that line about “external help” perhaps being a slight dig at Manchester City, who, courtesy of Sheikh Mansour’s largesse, have been able to buy leading players while taking just £25.9 million in matchday revenue in 2010-11 (as opposed to Arsenal £93.1 million and Manchester United’s £108.6 million).

Without question, the Mansour effect, building on the earlier Roman Abramovich effect, has caused players’ wages in the Premier League to soar out of control. To some Arsenal supporters, there is a delicious irony in supporters of City, of all clubs, decrying ticket prices at the Emirates Stadium. This might be true, but it is merely shifting the argument; a group of Arsenal supporters wrote to the club this week to demand a freeze on all ticket prices next season, saying: “You would be hard pressed to find any football fan who considers the club’s ‘Category A’ prices (£62 to £126) reasonable.”

The particular type of brand loyalty — we used to call it allegiance — that football inspires means that you will almost always find enough mugs willing to pay the price, but, again, this seems to be missing the point. Despite Wenger’s reasoning over the need for such costs, Arsenal had cash reserves of £153.6 million at the end of the last financial year. Whether in terms of wages or transfer expenditure, whether due to extreme prudence on Wenger’s part or to restraints placed on him from ownership level, the club does not “compete”, financially, in a way that explains the ticket prices.

Looking around, not just at Arsenal but at United and other clubs, it is becoming increasingly difficult to defend the notion that their attempts to drive up revenue, whether through ticket sales, broadcast revenue or commercial income, are about trying to increase their competitive advantage, particularly if they can dupe enough other clubs into seeing only the self-interest in the Financial Fair Play model. Sure they will invest what they feel they have to in order to shore up their position, but above all, it seems to be about driving revenues up and keeping costs down — about profits and about balance sheets, rather than about glory.

Increasingly, it feels as if it is the American way: the Glazers at Old Trafford, Stan Kroenke at Arsenal. It is a way of creating a self-sustaining business — far preferable in principle to a business reliant on a benefactor — but it has, like the sugar-daddy model at Chelsea and City, been taken to an extreme. It is easy to see the value that American ownership has added to United and Arsenal as a business, but not to the football side of that business. Do not be fooled by United’s trophy haul in the past seven years; it has been achieved in spite of the Glazers, not because of them.

American ownership has not exactly enriched English football. The Tom Hicks and George Gillett Jr regime almost took Liverpool into administration and has been replaced by Fenway Sports Group [FSG], who, while unquestionably an upgrade, seem, for a group that spoke of restoring intelligent decision-making and stability to Anfield, to have spent an awful lot of time undoing their own mistakes.

Randy Lerner, at Aston Villa, was known as “the good American”, because unlike the Glazers and Hicks and Gillett, he cared.

And he still does care, but if he is watching carefully enough, he will look at the impact of the cost-cutting over the past 2½ years, during which time Villa have gone from being an established top-six club to a bottom-six club, and realise that they need to invest in a player or two for the here and now.

Their youth-oriented approach this season might be laudable, but it has required them to take a step back in order to take two steps forward under Paul Lambert; having avoided relegation with little to spare last May, leaving themselves reliant on so many inexperienced players, has put them on the precipice.

The great legacy of American ownership in the Premier League is increased commercialism, higher ticket prices and reduced investment, relative to turnover, in football operations. This is often portrayed as a more rational, businesslike approach, particularly when it entails something like FFP, which will keep player wages under control.

But the worry is that self-sustainability is becoming a deception; an excuse for the type of exploitation that will be so much easier as curbs on spending are tightened. Amid all the discussions on what form those new regulations should take, as the Premier League clubs seek to protect themselves from the temptation to squander the windfall from the enormous broadcast deal, there is never any talk of capping ticket prices or indeed shareholder dividends or the “management fees” beloved of the Glazer regime.

It was encouraging to learn yesterday that, in a recent meeting of all 20 Premier League clubs, Tony Scholes, the Stoke City chief executive, proposed free coach travel for away fans, to reduce costs, and also suggested that visiting ticket prices should never be more expensive than the cheapest home ticket. There is a man — in fact, there is a club — who recognises not only the value that supporters bring to the Premier League experience but the value that they deserve in return.

At too many other clubs, there is far too little respect for the supporters; lip service for the “twelfth man” concept when it appeals but otherwise it is “take, take, take and if you don’t pay up then we’ll find some other mug who will”.

“They have a choice,” Wenger said yesterday of the prices that supporters are being asked to pay to watch football. “You can choose to go to the theatre or not. Of course it’s fair. They can choose to go to Manchester United. They can choose to go to Manchester City or Barcelona.”

This is rather missing the point, and if it was said by a chief executive, rather than a highly respected manager, it would provoke outrage. The point about the theatre is also an unconvincing one. Theatre companies exist to entertain and to make profits. Football clubs exist not to make profits — or indeed to satisfy the cravings of a Russian billionaire or serve as a promotional tool for an emirate, let alone a Indian poultry firm — but to entertain and to bring pride to their community. Or at least they should do.

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Premier League clubs consider

free coach travel for away fans

Arsène Wenger, the Arsenal manager, acknowledges that high

ticket prices is a delicate subject for home and away supporters

by OWEN GIBSON (The Guardian 12-01-2013)

Premier League clubs are expected to consider a range of proposals, including a radical suggestion that all 20 offer free coach travel to away supporters for every match, against a backdrop of growing outrage from fans over the price of away tickets.

A central attendance and ticketing working group was established by the Premier League in May to consider all issues around the topic and is drawing up proposals that are likely to be discussed at the next full shareholders' meeting in February and could be voted on in the summer.

But the ongoing discussions are unlikely to be enough to placate increasingly angry supporters' groups who feel the issue is reaching a tipping point and plan to work together to campaign for action.

The talks have covered not only the vexed issue of pricing for away fans, which has snowballed in the wake of Manchester City returning almost a third of their allocation of 3,000 tickets priced at £62 for their trip to the Emirateson Sunday, but the overall matchday experience and transport.

At a recent meeting of all 20 Premier League clubs, Stoke City suggested offering free coach travel to all away fans in the Premier League to cut down on costs for travelling fans. The Stoke chief executive, Tony Scholes, also put forward an alternative suggestion: that away ticket prices should never be more expensive than the cheapest home ticket. While the Premier League continues to believe that pricing is essentially a matter for individual clubs and that it will be hard to come up with proposals that would satisfy the two-thirds majority required to pass new rules, there is also a recognition that the atmosphere created by away fans is central to a product that will bring in more than £5.5bn in TV revenues over the next three seasons.

Just as the bumper TV deal has accelerated discussions around a form of financial fair play for Premier League clubs, so it is believed to have focused minds on growing fan unrest about the complex issue of away ticket prices and the matchday experience.

Rival supporters' groups, including those from Liverpool and Manchester United, this week revealed they planned to work together to campaign on the issue and the Football Supporters' Federation has called for a cap of between £25 and £30 on tickets for away fans.

In a document drawn up last year in response to government calls for changes in the way football is governed, the Football Association said ticket pricing and strategy was a matter for the Premier League and Football League. But many fans would like to see co-ordinated action on the issue, driven from the centre, rather than it being left to individual clubs.

Ahead of the City match, the Arsenal manager, Arsène Wenger, has said the situation around ticket prices is "delicate". His club charge home fans up to £162 and have been criticised for charging the away fans of some clubs almost double the amount paid by fans of other teams due to the way matches are categorised.

Wenger said Arsenal were more reliant on ticketing revenue than other clubs such as City and Chelsea, who are able to rely on benefactor funding, and he was more concerned about his own fans than visitors.

"I am really worried they are high for our supporters. For the visitors, it only happens once a year, so that is less of a concern," he said. "We sell out our games, but ideally you want ticket prices to be affordable to everybody. It is a very delicate subject."

Roberto Mancini, the Manchester City manager, said it was a shame that fans were unable to follow their team to London because they felt it was too expensive: "We are disappointed for this because we need our fans away. We have fantastic fans, fantastic support. We are sorry for this."

Modificato da Ghost Dog

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Il caso Urla, litigi e accuse, prima e dopo l'unica votazione finita con una fumata nera. Venerdì 18 una nuova assemblea

Niente presidente, Lega di A nel caos

Bocciati Abodi e Simonelli, l'idea è confermare Beretta fino a giugno

Fabio Monti - CorSera - 12-01-2013

MILANO — È più facile eleggere il presidente degli Stati Uniti che quello della Lega di serie A. La convulsa giornata di ieri ha chiarito bene che i 20 presidenti non vogliono avere un vero presidente e tantomeno una Lega autorevole e coesa, che rappresenti l'elemento di sintesi e di traino del movimento, così come avviene nel resto dell'Europa pallonara. L'urna, nell'unica votazione che si è svolta, dopo un prologo di riunioni separate, urla, proteste e insulti, è servita a bruciare i due candidati, che avevano illustrato i loro programmi nel disinteresse generale: Andrea Abodi ha raccolto 8 voti (erano stati i i il 20 dicembre), Ezio Maria Simonelli è sceso a 3 voti (erano stati 6). In più 2 voti a Lotito, il regista della doppia bocciatura, uno a Beretta, il presidente in scadenza di mandato e due bianche. Ma il senso di maturità dei presidenti è emerso dal contenuto delle schede nulle («votantonio»; «w i pagliacci»; «Habodi»).

Abodi, sostenuto da Juve e Inter, ha lanciato durissime accuse: «Il Palazzo ha perso un'occasione, non con me, ma con tutti Non c'è orgoglio di appartenenza, prevale sempre l'idea della divisione. Qui bisogna ancora decidere se il calcio è di chi lo ama o di chi lo usa. Deluso? Mi piace sognare e continuo a sognare un caldo diverso perché la passione della gente va rispettata. L'assemblea è iniziata alle 16.30, due ore e mezza dopo la convocazione. Questo deve far capire tutto. Qui si ha la sensazione che non abbiano voglia di cambiare». E Simonelli, sostenuto dal Milan, ha commentato: «Avevo aderito con passione alla proposta di candidatura Ho lavorato con entusiasmo; spero che quanto da me fatto sia stato apprezzato e possa costituire una base su cui la Lega possa lavorare in futuro. Credo di aver dimostrato che i margini di crescita quantitativa e qualitativa sono enormi e che questo lavoro potrà essere utile a chiunque in futuro sarà chiamato dai presidenti a questo prestigioso incarico».

Dopo una tumultuosa coda di assemblea, nella quale sono volati gli stracci, si è deciso: 1. oggi Beretta incontrerà il candidato alla presidenza Figc, Abete, per manifestare l'appoggio (formale) della Lega di A alla rielezione di lunedì, in cambio dell'accettazione di un programma già noto (riforma della giustizia sportiva, seconde squadre in Lega Pro e altri dettagli); 2. nuova assemblea convocata per il 18 gennaio, con prologo rappresentato dal Consiglio, che potrebbe sbloccare la situazione. Le idee sono poche e confuse: allo stato, l'orientamento è quello di rieleggere Beretta fino al 3o giugno, per tirare avanti in qualche modo, con l'obiettivo teorico di rivedere la governance, restituendo più potere al presidente. La Juve è contraria all'ipotesi, ma non si vede come possa emergere in 7 giorni un nuovo candidato.

La Lega di A si considera la locomotiva del caldo italiano, ma è finita su un binario morto. Nelle ultime tre assemblee elettive della Figc, non ha mai esercitato un ruolo politico, perché mai ha designato un candidato presidente. NeII'Uefa l'immagine è ormai quella di un organismo ingovernabile. E ancora: nei mesi scorsi, di fronte a varie ipotesi tra seconde squadre/campionato riserve e proprietà multiple (Lotito con Lazio e Salernitana), la Figc ha costituito un gruppo di lavoro con i rappresentanti di tutte le componenti: la mancata nomina del rappresentante della A ha bloccato tutto.

Nonostante le dichiarazioni di intenti, il problema di un eventuale cambio di format da 20 a 18 squadre non è mai stato all'ordine del giorno dell'assemblea, sebbene per modificarlo esista un vincolo statutario che prevede la condivisione della componente interessata. Ora c'è il rischio che i rappresentanti della Lega restino fuori dal prossimo Consiglio Figc, che non sarà convocato lunedì, come da prassi, ma che dovrà riunirsi entro il 31 gennaio, termine fissato dal Coni per i budget di tutte le federazioni.

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URLA, INSULTI E SCHEDE NULLE: ALTRO RINVIO PER IL PRESIDENTE

«Vota Antonio» e «Viva i pagliacci» nell'urna di Lega

t.c. - La Stampa - 12-01-2013

Meglio l'anarchia che un nuovo presidente di Lega. Meglio urlare e insultarsi piuttosto che nominarlo. L'assemblea milanese, come del resto accade spesso, è finita in una bolla di sapone. Nell'urna che, «come diceva a mo' di battuta, un famoso presidente del Coni, è mignotta», dice Galliani lasciando via Rosellini -, sono stati trovati 8 voti per Abodi, 3 per Simonelli, 2 per Lotito, 1 per Beretta, 4 schede nulle (dove è stato scritto «Vota Antonio» e «Viva i pagliacci») e 2 bianche. Un risultato che allontana definitivamente Abodi, pronto al ritorno in B, così come Simonelli e che sottolinea come I presidenti della serie A non abbiano voglia di cambiare adesso. Una nuova assemblea è stata fissata per venerdì prossimo. Un incontro prima del quale è previsto un Consiglio di Lega «per cercare di sbloccare la situazione», spiega Galliani. L'idea è quella di trovare un presidente per i prossimi 6 mesi, forse l'uscente Maurizio Beretta e poi si vedrà.

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Lega di serie A Venerdì nuovo round

Confindustria nero fumo: brucia candidati

Abodi fatto fuori: «Nessuno vuole cambiare». Vince la linea Lotito

Davide Pisoni - Il Giornale - 12-01-2013

Si fa imbarazzante lo stallo in Lega Calcio. Infatti va a vuoto anche la seconda assemblea elettiva per dare alla Confindustria del pallone un nuovo presidente. I venti presidenti della Serie A non hanno trovato la quadratura del cerchio su un nome. Anzi. Alla fine di un'assemblea tesa, tesissima, l'unica certezza rimane quella di una spaccatura netta.

Non ce l'ha fatta Andrea Abodi, già alla guida della lega cadetta, non ha sfondato Ezio Maria Simonelli, presidente del collegio dei revisori della Lega di via Rosellini. A questo punto esce "bruciato" Abodi che si presentava forte delle undici preferenze raccolte il 20 dicembre. Stavolta si ferma a otto nella prima votazione, lontanissimo dalle quattordici necessarie, con Simonelli retrocesso a quattro e il resto dei voti disperso tra schede bianche e nulle. A quel punto è diventato evidente che ricomporre la frattura sarebbe stato impossibile e dopo una lunga discussione si è deciso di soprassedere sulle altre due votazioni. Rinvio a venerdì prossimo. E così il candidato proposto da Juve, Inter e Roma è finito fuorigioco. A conferma del fatto che il vertice del mattino tra i dirigenti di Milan e Juve non avesse sortito effetto alcuno. Anche perché la candidatura di Simonelli, opposto ad Abodi da Galliani, è finita su un binario morto.

Alla fine, se proprio si vuole trovare un vincitore, quello è Lotito che ottiene l' ennesimo rinvio. Resta così in sella ancora Maurizio Beretta, dimissionario dal marzo 2011. Il presidente della Lazio vorrebbe una sua proroga fino a giugno. Lo spettro di un commissario rimane comunque lontano. Lunedì sono previste le elezioni federali, ma Abete ha in tasca la riconferma e ha già detto: «Non ci sarà subito il Consiglio, vogliamo dare alcuni giorni di tempo alla Lega per sostituire gli organi di rappresentanza».

Tra i nomi possibili gira quello di Francesco Ghirelli, attuale direttore generale della Lega Pro. Il biglietto da visita sarebbe anche convincente: «La Lega Pro è l'unica che sta facendo la riforma dei campionati».Un'altra ipotesi sarebbe invece una soluzione-ponte da qui al 30 giugno per cambiare lo statuto. Appunto. In via Rosellini da tempo si parla dirivoluzioneecambiamento. Tutti d'accordo, ma nessun accordo. Solo parole. Come conferma sbattendo la porta Abodi: «Il palazzo ha perso un'occasione. Prima di pensare ai soldi bisogna chiarire se il calcio di chi lo ama o di chi lo usa». E poi l'affondo: «Si respirava un'atmosfera tesa, la sensazione è che qui nessuno voglia cambiare. Non c'è rispetto delle regole. La serie B? Quella sì che è una Lega».

Difficile però che i presidenti di A riescano a seguire l'esempio dei colleghi "cadetti" nel giro di pochi giorni, in vista della prossima assemblea. Anche se sarebbe indispensabile perché l'Abete-bis in Figc per avviare l'auspicata e non più rinviabile riforma del pallone ha bisogno che la Lega nomini il presidente, il consiglio e i due rappresentanti da far sedere in consiglio federale. Ma per ora la confindustria del calcio emette solo fumate nere. E colleziona scivoloni in serie.

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Stagliano: "Se non fosse

Conte sarebbe deferito"

Parla l'ex vice capo Ufficio indagini Figc: "Si è dato del

ċoglione? Per non essersi accorto di nulla un grande ċoglione"

di GIOVANNI CAPUANO (PANORAMA.IT 12-01-2013)

"Se non fosse Conte e non ci fossero state le polemiche di questa estate" le carte di Bari porterebbero dritte a un nuovo deferimento per omessa denuncia del tecnico della Juventus: senza dubbi né interpretazioni anche se si tratta di una situazione "border line". A dirlo in un colloquio con Panorama.it è l'ex vice capo dell'Ufficio indagini della Figc, Mario Stagliano, oggi avvocato esperto di diritto sportivo. Il suo giudizio su Conte è durissimo: ""Dice di non essersi mai accorto di nulla? Si è dato del ċoglione da solo... Un grande ċoglione".

Avvocato Stagliano, quanto inciderà l'andamento del processo della scorsa estate nell'interpretazione delle carte provenienti da Bari da parte della Procura Federale?

"Temo in maniera particolarmente pesante. Da qualche anno a questa parte, mentre la Commissione Disciplinare ha un atteggiamento lineare e in qualche modo ha sanzionato tutti nella stessa maniera, la Corte Federale si è comportata diversamente e non parliamo del Tnas la cui funzione dal punto di vista di uomo del diritto mi lascia sconcertato. La Procura Federale risentirà del nuovo clima e dei nuovi orientamenti delle corti superiori"

Risentirà?

"Senza sottacere un discorso particolarmente pesante per quanto riguarda la pressione dell'opinione pubblica e le conseguenze di politica sportiva"

Mi sta anticipando che difficilmente ci sarà un nuovo deferimento per omessa denuncia per Conte?

"Direi che sarà molto difficile che ci troviamo nuovamente davanti a un Conte deferito per omessa denuncia"

Perché nelle carte non c'è nulla o per il nuovo clima?

"Senta, io ho frequentato per anni gli spogliatoi quando ero nell'Ufficio Indagini. Ero fuori dagli spogliatoi e dentro (c'erano ndr) calciatori, fisioterapisti, medico, team manager che fa avanti e indietro e l'allenatore. Io ho uno studio in cui sono una sorta di primus inter pares: è possibile tutto, anche che vista l'età io sia diventato sordo e non mi accorga di nulla. Ma pur avendo i miei colleghi stanze diverse dalla mia, se ci fosse qualcuno che facesse cose illecite penso che me ne accorgerei"

Lei non crede a Conte che dice di non essersi mai accorto di nulla

"Ho letto che si è dato del ċoglione da solo. Per carità, è possibile tutto. E' possibile che uno sia un grande ċoglione"

Per non accorgersene dovrebbe essere un grande ċoglione?

"Eh... Un grande ċoglione. Per come sono strutturati gli spogliatoi non ti sei accorto di nulla per quanto riguardava Albinoleffe-Siena, non ti sei accorto di nulla per quanto riguardava Siena-Novara e non ti sei accorto di nulla per quanto riguardava Treviso-Bari e Bari-Salernitana. Se fossero vere le cose che ho letto e cioè che la distribuzione del denaro sarebbe avvenuta addirittura all'interno dello spogliatoio..."

Con le buste sulle sedie...

"Con le buste sulle sedie. Ragazzi... L'ultima volta che ho sentito parlare di una busta con dentro del denaro era per Genoa-Venezia"

Impossibile non accorgersi?

"Quanto meno molto improbabile. Se uno non se ne accorge o sta pensando al dialogo sui massimi sistemi oppure personalmente stento a credere"

Conte ha detto che quando i giocatori vogliono tenerti fuori dalla porta ti tengono fuori dalla porta...

"Su questo non c'è ombra di dubbio. Se i giocatori si incontrano in un ristorante come avvenne per Atalanta-Pistoiese uno non viene mai a saperlo"

Ma non in uno spogliatoio...

"Qui hanno detto che il discorso è stato fatto nello spogliatoio. Poi è possibile tutto ma visto come è andato a finire nelle altre partite, sulla base di quello che emerge... A partire da Gillet che sta facendo marcia indietro. E poi c'è Kutuzov..."

Kutuzov dice che Conte gli disse che era con loro e che lo staff era a conoscenza. Parole da deferimento?

"Queste parole dovrebbero portare al deferimento di Conte. Sicuramente"

Anche se lui stesso a domanda diretta dei carabinieri risponde che Conte non è coinvolto nella combine?

"Sulla base di queste dichiarazioni fino a qualche mese fa, e se non si chiamasse Conte, sì. Salvo poi dimostrare che quanto ha detto Kutuzov è diversamente interpretabile e portare al proscioglimento"

Se l'allenatore di quel Bari fosse meno importante di Conte?

"E se non ci fossero state le polemiche di questa estate credo che andrebbe davanti alla Commissione Disciplinare"

Il fatto che Stellini faccia capire a Conte che c'è stato qualcosa ma solo quando lo scandalo è già scoppiato potrebbe avere un peso per la giustizia sportiva?

"Nessuna omessa denuncia. La cosa è già nota all'opinione pubblica e non ha obbligo di denuncia"

E' diverso dal caso di Siena?

"Sì, tanto è vero che difendendosi questa estate cercarono di spostare più avanti possibile il momento del colloquio tra Stellini e Conte e della conoscenza da parte di Conte. Qui è sicuro che è successivo al colloquio tra Palazzi e Laudati. Non c'era nessun obbligo"

Conte la fedina sportiva macchiata dalla squalifica di 4 mesi. Peserà nella valutazione delle carte?

"No. Eventualmente dopo il deferimento e al momento di una condanna per quantificare la pena ma non in un eventuale deferimento. Se Palazzi ritiene di avere gli elementi deve deferire ma non credo che lo farà. La situazione è border line. Le parole di Kutuzov un po' più di border line. Se non fosse Conte e non ci fossero state le polemiche di questa estate probabilmente si tornerebbe agli organi giudicanti. Non credo avverrà così"

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Lega allo sbando, dinosauri in Figc: al calcio manca un Grillo che rompa tutto

Xavier Jacobelli - calciomercato.com - 12-01-2013

L'ultimo spettacolo[/b] è stato il più deprimente. Purtroppo, altri ne verranno. La Lega di A è andata in frantumi, dopo essersi riunita a Milano nel tentativo di eleggere il nuovo presidente per la seconda volta in ventidue giorni: l'attuale è dimissionario da 1 anno e 10 mesi, ma è tuttora lì e, secondo Lotito, dovrebbe restarci per altri sei mesi, in regime di prorogatio. D'altronde, siamo o non siamo il Paese delle proroghe, del provvisorio, delle deroghe? Lotito sarebbe felice se tutto rimanesse com'è, se lui e Cellino continuassero a fare i consiglieri federali; se il consiglio di Lega rimanesse inalterato, con il corollario di dimissioni annunciate per il giugno prossimo. Ma vi pare normale?

Il quorum per eleggere il presidente della Lega è di 14 voti: ieri sera, Abodi è sceso da 11 a 8 (Juve, Inter, Roma, Samp, Catania, Pescara, Siena e Atalanta; Palermo, Udinese, Napoli e Fiorentina se ne sono andate); Simonelli da 6 a 3 (Milan, Torino, Chievo). Beretta 1 (indovinate chi ha votato per lui); Lotito 2, bianche 2, nulle 4. C'è stato anche chi ha fatto lo spiritoso e ha scritto "Vota Antonio". Ma Totò faceva ridere, questi fanno piangere.

Ha detto bene Abodi, che verrà sicuramente rieletto presidente della Lega di B dove ha fatto un ottimo lavoro: "Ma il calcio è di chi lo usa o di chi lo ama? Speravo in un sussulto di dignità, ma non c'è stato. Non ho parlato di programmi perchè, finché non c'é chiarezza su come stare assieme, è inutile. La Lega prima di parlare di fatturati deve mettere ordine sulle regole dello stare insieme. I progetti contano poco, contano le pesone. Non c'è orgoglio di appartenenza, ci sono troppe divisioni".

Il fatto è che, per troppi dirigenti del pallone o nel pallone, tanto è la stessa cosa, contano solo i soldi delle tv, come ripartire i soldi delle tv, sino a quando ci saranno i soldi delle tv. Stop. Il resto? Chissenefrega.

Così, la riunione di ieri è cominciata con due ore e mezzo di ritardo perchè prima c'era un supervertice nella sede del Milan, convocato da Galliani, ospiti le altre Grandi e Lotito: figuratevi come gli altri club possano averla presa.

In un clima da lunghi coltelli, un professionista del calibro di Ezio Maria Simonelli ha avuto cinque minuti cinque per illustrare il suo programma di lavoro. Calciomercato.com l'aveva illustrato in anteprima ieri mattina.

La piattaforma è di Luca Scolari, attuale presidente di un fondo di investimento internazionale, brillante manager di estrazione sportiva, con un passato in Lotto e Ferrero. Le idee di Simonelli e Scolari sono decisamente rivoluzionarie per un sistema votato all'immobilismo.

Se Simonelli fosse stato eletto, grazie al lavoro di Scolari sui mercati internazionali avrebbe potuto contare anche sulla disponibilità di un fondo sovrano arabo, pronto ad investire 250 milioni nella Lega di A. Visto che in Lega non hanno voluto ascoltare Sinonelli, per i sordi e quelli che fanno finta di non sentire, giova ricordarne i cinque punti.

1) nuove funzioni della Lega; 2) risoluzione del problema stadi; 3) merchandising; 4) internazionalizzazione del marchio della Lega e penetrazione del calcio italiano sui mercati stranieri dove soffre terribilmente la concorrenza di Premier League, Bundesliga e Liga; 5) mondo digitale: rivoluzione del sito internet e sfruttamento della Rete, sviluppo dell'e-commerce.

Assodato che, compreso l'indotto, il calcio italiano paga 2,4 miliardi di euro di tasse; che il contributo dell'industria calcio, diretto o indiretto, allo Stato si traduce in circa il 2% del prodotto interno lordo, Simonelli e Scolari hanno individuato nella gestione diretta delle scommesse da parte della Lega una nuova fonte di introito capace di garantire ai club almeno 250 milioni di euro all'anno.

Questa è soltanto una delle sorgenti alternative di introito, poichè i ricavi delle società sono legati in misura eccessiva ai diritti tv (65%, a fronte del 50% in Premier, del 38% in Liga e del 32% in Bundesliga). Ancora: sponsor e commercializzazione del marchio costituiscono una opportunità di crescita sinora sfruttata poco e male. Basti pensare che il valore delle Grandi di A risulta 2,3 volte inferiore rispetto alla media europea (67 milioni di euro sono la media di Milan, Inter e Juve contro i 155 milioni di Real, Barcellona, Manchester United, senza contare i passi da gigante già mossi dal Psg).

Il valore complessivo della serie A risulta di soli 852 milioni di euro, rispetto ai 2.300 della Bundesliga; ai 3.168 della Premier. Il fatturato della Lega di A (17 milioni di euro) è inferiore rispetto alla Liga (19,5), alla Premier (28,5) e alla Bundesliga (34,8 milioni).

Simonelli e Scolari, nel loro programma battono e ribattono sulla necessità che la Lega incrementi i ricavi e il valore di tutti i club e non soltanto dei più importanti. Il modello di riferimento è la Germania: il valore medio di un club della Bundesliga è di 115 milioni (90 milioni se viene tolto il Bayern), il valore medio di una società di A è di 42 milioni (20 milioni senza Juve, Inter e Milan).

La Lega sinora ha bistrattato la forza di Internet, sottovalutandone la potenza dirompente. Risultato: i visitatori unici del sito ufficiale sono 280 mila al mse; l'Nba ne conta 13,8 milioni al mese; la Bundesliga 1,6 milioni al mese, la Premier 4 milioni al mese.

Simonelli sottolinea che una parte dei nuovi ricavi dovrà essere reinvestita nel sociale, con progetti mirati per le scuole, gli oratori, i centri sportivi. Il video che correda il discorso programmatico si chiude con un'immagine beneaugurante: uno stadio desolatamente vuoto che si ripopola grazie al lavoro della nuova Lega.

La stessa che, invece, è teatro di un gioco allo sfascio, sulla pelle del calcio italiano.

Lunedì 14 gennaio, a Roma, l'assemblea generale della Federcalcio elegge il suo presidente. Candidato unico, Giancarlo Abete, presidente uscente dopo essere stato per dieci anni il vice di Carraro e dopo avere ricoperto il primo incarico federale nel 1989.

Venerdì 18 gennaio, a Milano, l'assemblea di Lega si riunirà un'altra volta per contare i cocci e cercare di rimetterli insieme. Se la Confindustria del Pallone non rinnova le proprie cariche e non sceglie i propri rappresentati, in consiglio federale resta fuori dalla stanza dei bottoni. Intanto, per non sapere né leggere né scrivere, Maurizio Beretta, presidente dimissionario della Lega di A, ha dichiarato: "Incontro Abete su mandato dell'assemblea di A, favorevole alla riconferma di Abete".

Se ne deduce che a tutti i club del massimo torneo, in questi mesi schierati contro Abete e la sua federazione in materia di giustizia sportiva, mancata riforma della responsabilità oggettiva, immobilismo gestionale, eccetera eccetera, stia bene la riconferma di Abete.

A cominciare da Andrea Agnelli, presidente della Juve che, en passant, ha una piccola controversa giudiziaria con la Figc, in base alla quale chiede la modica cifra di 443,7 milioni di euro, a titolo di risarcimento danni per le conseguenze di Calciopoli.

Con la Lega allo sbando e il Palazzo in mano ai dinosauri, per cambiare il calcio italiano ci vorrebbe un Grillo che rompesse tutto. Purtroppo, all'orizzonte s'intravede solo il vecchio che avanza. Auguri.

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Più facile prendere una decisione in un condominio che eleggere un Presidente di Lega serie A

Marcel Vulpis - 12-01.-2013 - www.formiche.net

La Lega calcio di serie A ha perso, ieri pomeriggio, una grande occasione: votare un manager (Andrea Abodi) con esperienza anche di politica sportiva (considerati i suoi recenti trascorsi nella Lega calcio di serie B e alla Coni SpA) pronto a rilanciarla e a introdurre diversi elementi di novità che l’avrebbero fortemente modificata. Per la seconda volta consecutiva Abodi ha conquistato più voti di tutti gli altri candidati (8 su 20 disponibili e 11 nella precedente votazione di alcuni giorni fa).

Una battuta è d’uopo: è più facile votare una modifica in una riunione di condominio che far eleggere un presidente di Lega calcio. E sì perché in Italia, in seconda convocazione, vige la regola della maggioranza relativa, mentre in Lega serie A, “qualche mente evoluta” ha deciso tempo fa, che, invece, bisognava inserire una “maggioranza qualificata” per eleggere la figura del Presidente. Così, grazie a un gioco di veti incrociati, bastano 7 club per imporre ad altri 13 la loro volontà.

Tipicamente italiana come metodologia, ma segno inequivocabile del declino della politica sportiva collegata al calcio tricolore. Chiedo però solo una cosa: chi dovrebbe guidare adesso la Lega calcio? Un candidato nuovo o uno di quelli che ha preso anche meno voti di Abodi? Ci rendiamo conto di come si sta distruggendo l’industria del pallone? Ma soprattutto: per favore non chiamatela più la “Confindustria del Pallone”. Ma quale Confindustria, per favore. Non c’è neppure l’idea abbozzata di una “Governance”, che, invece, Andrea Abodi avrebbe attivata immediatamente. Adesso Abodi, a sentire almeno le sue prime dichiarazioni, se ne tornerà in Lega calcio serie B, ma abbiamo sprecato una chance come Paese. E’ una pagina “nera” credetemi e le altre Leghe europee si rafforzeranno ulteriormente proprio grazie a questo autogol interno.

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Inchiesta scommesse In estate qualcuno tentò di costruire una versione da fornire agli inquirenti ma fu smascherato

Una «rete» tra calciatori per fermare la Procura

Ventura contro Iacovelli: «Denuncio chi usa il mio nome a sproposito»

di VINCENZO DAMIANI (CORRIERE DEL MEZZOGIORNO - BARI 13-01-2013)

BARI — Giugno 2012, estate calda per gli ex giocatori del Bari e non solo per le alte temperature. Sui giornali filtra l'indiscrezione che la Procura sta indagando su altre due partite, Salernitana-Bari e Bari-Treviso. I 26 calciatori ex biancorossi, ad uno ad uno, vengono convocati dai carabinieri per essere interrogati, tra i giocatori inizia a scorrere la paura e qualcuno - sospettano gli inquirenti - prova a contattare i suoi ex compagni di squadra probabilmente per mettersi d'accordo sul da farsi, sulla versione da dare e magari chiedere di non essere tirato in ballo. È quanto emerge dalle carte dell'inchiesta bis sul calcio scommesse: nei documenti depositati dalla Procura c'è la traccia che qualcuno cercò di mettersi al riparo da possibili guai giudiziari. I carabinieri lo scoprono e ad ogni interrogatorio pongono la stessa domanda: «Lei è stato contattato da ex compagni di squadra?». Accade, ad esempio, all'argentino Benito Rivas, ascoltato dai militari in caserma, il maggiore Riccardo Barbera gli chiede se, nei giorni precedenti, si fosse sentito con qualcuno telefonicamente. Il centrocampista si giustifica così: «Tra i miei ex compagni del Bari calcio ultimamente mi sono sentito con Gillet per chiedergli consigli per la scelta di un legale e con Ranocchia in quanto siamo amici». Lo stesso interrogativo viene posto anche all'attaccante brasiliano Vitor Barreto, che ammette: «Prima di venire qui, ieri mi ha chiamato al telefono Guberti ma io non ho risposto». Il pm Giuseppe Dentamaro lo incalza, domandandogli se avesse «timore che magari le proponesse qualcosa di poco leale» e il brasiliano risponde: «E non lo so, io non ho risposto e non so cosa...».

L'ex allenatore barese

Non è stato mai indagato, la Procura lo ha ascoltato solo una volta come persona informata dei fatti, ma l'ex allenatore del Bari, Giampiero Ventura, è stato tirato in ballo dall'ausiliario Angelo Iacovelli e potrebbe rischiare dal punto di vista della giustizia sportiva. Il tuttofare amico dei giocatori ai pm baresi ha riferito di una presunta combine fallita tra Bari e Genoa, sostenendo che sarebbe stata architettata da Cristian Stellini ma che Ventura ne fosse a conoscenza, anzi che avrebbe persino dato una sorta di avallo. Parole pesanti che, penalmente non hanno rilievo, ma per la giustizia sportiva potrebbe bastare per un deferimento per omessa denuncia. Il tecnico, ieri, ha replicato così: «Sono rimasto basito, ho chiamato il mio avvocato per dargli mandato di fare denuncia per calunnia contro chiunque utilizza il mio nome a sproposito. Oggi chiunque si può alzare al mattino e può dire sciocchezze, è giusto che si assuma le responsabilità».

Il rischio penalizzazione

Intanto, in casa Bari si studiano le contromosse per affrontare l'inevitabile processo sportivo, il secondo in un anno. Tuttavia il pericolo penalizzazione dovrebbe slittare al prossimo campionato. Il club, che quasi certamente sarà deferito dalla Procura federale e sceglierà di patteggiare, non rischia questa stagione che gli vengano sottratti punti dalla classifica. Il processo sportivo, difatti, prevede tempi medio-lunghi, la Procura penale di Bari ha inviato, a Roma, venerdì scorso le carte dell'inchiesta bis sul calcio scommesse. Nei prossimi giorni sarà costituito un pool di magistrati che inizierà a spulciare la voluminosa documentazione, dopodiché gli 007 federali decideranno chi e quanti testimoni convocare. La lista, visto il numero degli indagati, sarà corposa, non meno di una cinquantina di persone. Gli interrogatori andranno avanti per tutta la primavera e, si ipotizza negli ambienti della Procura federale, i deferimenti potranno essere decisi tra maggio e giugno. Dopodiché comincerà il processo che si concluderà entro luglio, prima della formazione dei nuovi calendari.

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IL SECOLO XIX 13-01-2013

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L’INCHIESTA LA PROCURA DI BARI LO AVREBBE ASCOLTATO PER CAPIRE I

LEGAMI TRA MAFIE E PALLONE. IL BARI PERÒ STAVOLTA NON C’ENTRA NULLA

Un pentito calabrese apre nuovi scenari

di GIOVANNI LONGO (LA ĠAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 13-01-2013)

La procura di Bari «alza il tiro». Un pentito ha aperto nuovi scenari agli investigatori. Gli accertamenti sono solo all’inizio e c’è molta cautela nel valutare le sue dichiarazioni, anche perché non sarebbe a conoscenza diretta di episodi «baresi».

Non solo partite truccate, dunque. L’interessamento della mafia intorno al mondo del pallone è da sempre nel mirino del procuratore Antonio Laudati.

L’audizione del collaboratore è avvenuta nelle scorse settimane. Mentre gli accertamenti sulle presunte partite truccate sono praticamente conclusi, a meno che la Procura decida di aprire un fascicolo autonomo su Bari-Genoa per approfondire le dichiarazioni di Angelo Iacovelli che aveva ha tirato in ballo mister Giampiero Ventura in un ipotetico tentativo di combine, gli investigatori continuano a muoversi in altre direzioni, a dimostrazione che l’i nchiesta barese sul calcioscommesse non è affatto conclusa.

Dopo l’avviso di chiusura indagini notificato nei giorni scorsi dai carabinieri del nucleo investigativo a 33 persone in relazione alle ipotesi di frode sportiva per le partire Salernitana-Bari, Bari-Treviso, Palermo-Bari e Bari-Sampdoria dunque, gli inquirenti vanno avanti. Il collaboratore di giustizia, calabrese, uno dei pochi pentiti della ‘ndrangheta, mafia notoriamente più «impermeabile» alle collabora zioni rispetto alle altre mafie, avrebbe svelato nuovi scenari in particolare sui meccanismi attraverso i quali la malavita interviene nel mondo del calcio.

Dal tentativo di «scalare» società professionistiche all’inserimento di calciatori «amici»; dalla gestione delle contestazioni dei tifosi ad altri metodi per «convincere» qualcuno a perdere una partita.

Le sue dichiarazioni sono confluite nell’altro procedimento aperto per «riciclaggio e altri reati». Nelle richiesta di archiviazione, ad esempio, non ci sono alcuni indagati, evidentemente non coinvolti nelle partite truccate, ma che avrebbero avuto un ruolo nella vicenda, da un altro punto di vista. Nel mirino degli investigatori la possibilità che le vincite bancate possano nascondere una comoda possibilità per riciclare denaro proveniente da attività illecite.

In altre inchieste anche della Procura di Bari è già emerso l’interessamento della criminalità organizzata alle agenzie di scommesse, in astratto, possibili «lavatrici» di denaro sporco. Questo secondo aspetto, dunque, sembra ancora tutto da scrivere. Calciatori «infedeli», infiltrazioni degli scommettitori esteri, il ruolo della mafia nel sistema scommesse. Sono questi i perni attorno ai quali ruotano le inchieste baresi sul calcio malato. Le dichiarazioni del pentito calabrese avrebbe svelato alcuni di questi meccanismi.

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Scommesse, la rabbia di Ventura

"Accuse grottesche, denuncerò"

L´allenatore, oggi al Torino, parla di Gillet: "Turbato? No pensa alla nascita del figlio"

di ENZO TAMBORRA (la Repubblica - Bari 13-01-2013)

«Denuncerò per calunnia chi ha utilizzato il mio nome a sproposito». Giampiero Ventura è pronto a rispondere per vie legali alle insinuazioni sul suo conto emerse dai verbali dell´interrogatorio al portantino Angelo Iacovelli, che a proposito della gara persa a Marassi dal Bari contro il Genoa, nella stagione maledetta 2010-2011, ha lasciato intendere che l´ordine di perdere potrebbe essere arrivato proprio dall´allora tecnico dei biancorossi. A leggere le parole di Iacovelli, una sconfitta riparatoria, dopo che la stagione precedente in presenza di un presunto accordo per fare zero a zero, il Bari travolse il Genoa al San Nicola con un vistoso tre a zero.

«Oggi chiunque si può alzare al mattino e può dire sciocchezze: è giusto che chi lo fa, si assuma le responsabilità. È tutto veramente grottesco», ha tuonato ancora Ventura ieri durante la conferenza stampa di presentazione della gara del Torino contro il Siena. Sta di fatto che quanto emerso dai verbali dell´interrogatorio del tuttofare dei calciatori, ha fatto riafforare nella memoria dei tifosi quella che considerano la madre di tutti i guai del Bari. I biancorossi avevano iniziato benissimo il campionato, battendo la Juventus e pareggiando a Napoli, ed anche a Marassi stavano giocando una grande partita. Sembrava scontata la vittoria dopo che sull´uno a uno la squadra di Ventura si trovò anche in superiorità numerica per l´espulsione di un genoano, ma dopo avere sbagliato alcune clamorose opportunità per passare in vantaggio, nel finale arrivò addirittura la sconfitta firmata da Toni di testa, con i difensori baresi a guardare.

Dopo quella gara, nulla è stato più come prima. Ventura ieri ha parlato anche di quello che era ai tempi del Bari ed è ancora oggi il suo portiere, il belga Jean Francois Gillet, finito nel mirino della Procura barese con il sospetto di avere intascato due volte 7mila euro, per perdere sia con il Treviso che a Salerno. «Non l´ho visto preoccupato per la questione del calcioscommesse - sono state le parole di Ventura - Mi sembra più preoccupato per dover affrontare il Siena e poi per la nascita di suo figlio prevista nei prossimi giorni, non per le questioni di Bari». Sull´ex capitano biancorosso, Ventura è pronto a mettere la mano sul fuoco. «Mi stupirei ci fossero sue responsabilità, vista la serietà del giocatore. Se avessi avuto solo un pensiero sul suo conto, mai lo avrei fatto prendere al Torino».

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SCOMMESSOPOLI

La marcia indietro dell’avvocato

«Iacovelli ha fatto solo deduzioni»

Il legale del “tuttofare” che accusa Ventura smorza i toni e parla del rapporto tra il tecnico e Stellini

di SIMONE DI STEFANO (TUTTOSPORT 13-01-2013)

ROMA. «Sono solo deduzioni di Iacovelli , non penso proprio che per Ventura ci possa essere un seguito, né da parte della giustizia ordinaria, né da parte di quella sportiva». A riferirlo a Tuttosport è l’avvocato Melpignano , che ha assistito il “tuttofare” Angelo Iacovelli nel suo ultimo interrogatorio lo scorso 12 settembre in magistratura. In quella sede Iacovelli rivelò alcuni particolari nuovi relativi alla gara Bari-Genoa della stagione 2009/10 e la successiva sfida 2010/11 che a Marassi vide il Grifone prevalere 2-1 e che destò qualche sospetto allo stesso Ventura che ne parlò ai pm in questi termini: «Una gara impensabile da perdere». Iacovelli parlò proprio dell’attuale tecnico del Toro e di un suo coinvolgimento diretto tramite il suo ex giocatore, Cristian Stellini : «Stellini - la frase di Iacovelli che accusa Ventura - mi disse che sicuramente il mister (Ventura appunto, ndr) aveva parlato con Stellini, gli avrà detto: “Vado a Genova che qua non si riesce a vincere”». A scanso di equivoci lo stesso avvocato Melpignano tiene ora a precisare: «Non è che Iacovelli ha tirato in ballo Ventura all’improvviso. Gli è stato chiesto di Bari-Genoa e lui ha detto quello che aveva sentito in giro». I pm Dentamaro e Angelillis sono interessati al Genoa e alla figura di Giuseppe Sculli , così chiedono a Iacovelli ed esce fuori la presunta rissa tra Sculli e il vice di Ventura Sullo . «Ma quando ha detto che si trattava di sue deduzioni - conferma il legale - io ho chiesto agli inquirenti di evitare di mettere le “deduzioni a verbale”: teniamole fuori dal processo, ho detto». E così è stato, perché altrimenti (oltre al fatto che Ventura non è indagato e non è stato rinviato a giudizio), non si spiegherebbe il motivo per cui la procura di Bari non ha estrapolato tali passaggi per la notifica di chiusura indagine. Il verbale sintetico (quello che i pm porteranno a processo) non contiene infatti le considerazioni del “tuttofare” riguardo Bari-Genoa, ma soltanto le parti riguardanti Salernitana-Bari e Bari-Treviso. Tanto più che fonti investigative confermano l’inattendibilità di Iacovelli su tutta questa parte di interrogatorio e la volontà da parte dei pm di andare oltre. Lo stesso Stellini, in un’intercettazione con un tifoso che gli chiede il risultato di Bari-Genoa dice: «Senti, ti faccio un favore, non ci scommettere sopra perché giochiamo per vincere e può venire qualsiasi risultato». I due pm non vanno oltre.

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Salvatore Aronica

“terzino d’onore”

NON SOLO SCULLI. STASERA A “PRESA DIRETTA”

I RAPPORTI TRA IL DIFENSORE E LA ‘NDRANGHETA

NOZZE E CORTESIE Il boss e il calciatore al suo matrimonio:

“Era accompagnato dalla cosca dei Vitale di Palermo.

Suggellava un patto tra noi e la mafia”

di FEDERICO RUFFO (il Fatto Quotidiano 13-01-2013)

Posso farti vedere i filmati, così capisci che non ti racconto storie”. Sparisce dietro la porta della camera da letto e inizia a frugare nei cassetti dell’unico armadio. Ci promette di tornare con le prove che alcuni calciatori di Serie A sono in rapporti stretti con esponenti della ’ndrangheta.

Non dovrebbe essere una ricerca lunga, di mobili nell’abitazione che gli ha assegnato il ministero dell’Interno ce ne sono pochi e di suoi non ne ha potuti portare. La notte stessa in cui ha deciso di pentirsi, Luigi Bonaventura è stato trasferito lontano da Crotone senza passare da casa. Quando sei il capo mandamento della cosca Vrenna-Bonaventura, devi diventare invisibile prima che i tuoi capiscano che hai tradito. La mattina dopo anche sua moglie e i suoi figli erano lontani, pochi vestiti, niente effetti personali, qualche foto e due filmati.

Quando torna dalla camera ha in mano due nastri, ma prima ci racconta tutto il resto. “Il calcio in Calabria è quasi tutto controllato dalla ‘ndrangheta, ci sono decine di squadre controllate. Non è per una questione di soldi, ma di potere. Senza il calcio non diventi istituzione, non diventi antagonista allo Stato, non crei consenso popolare, quel consenso che ti crea un serbatoio di voti che, al momento giusto, puoi dirottare su chi ti fa comodo. A questo servono le squadre in Calabria: a esercitare controllo”.

GNE GNE, come lo chiamavano i suoi uomini, sa quello che dice quando parla di calcio secondo i magistrati, tanto che a fine novembre lo hanno ascoltato anche a Bari in merito al filone del calcio scommesse. Per più di 10 anni di questo si è occupato a Crotone: calcio e ‘ndrine. “Fu mio zio Pino Vrenna a volerlo. Quando mi scelse come suo erede, decise di spostarmi dalla gestione dello smaltimento dei rifiuti all’Fc Crotone, che era stata comprata da mio cugino Raffaele Vrenna. Mi nominarono responsabile della security”. Dal 1994 a oggi il Crotone passa dai dilettanti ai vertici della Serie B, un’ascesa costante, a cominciare dallo spareggio promozione per la C2 del 1997 contro il Locri, controllato dal clan Cordì: “Comprammo la partita, è cosa nota nell’ambiente. Per 400 milioni di lire e una partita di kalashnikov. Non tutti erano d’accordo tra i Cordì, tanto che nell’intervallo qualcuno di noi fu costretto a tirare fuori il coltello, alla fine però, andò come volevamo noi”.

Passano 7 anni ed è di nuovo promozione, stavolta in Serie B. Nella semifinale dei play off il Crotone affronta il Benevento. “Imponemmo la partita a suon di schiaffi. Li aspettammo quando scesero dal pullman e cominciammo a malmenarli. Botte e minacce negli spogliatoi, in campo. Mandammo un messaggio ai dirigenti e ci lasciarono vincere. Il presidente del Benevento ci andò a denunciare, anche in tv. Ci pensai io a far sparire la denuncia”. Ci vede perplessi, sorride: “Sono tante le cose possibili in questo paese. I miei erano preoccupati, erano stati riconosciuti e identificati. Chiamai Raffaele (Vrenna, ndr) e lui mi disse di stare tranquillo “È cosa nostra, già risolta”. “Il mio ruolo era questo, mi preoccupavo che tutto andasse bene. Spaventavo gli ultras quando erano agitati, le denunce, le partite da addomesticare e i biglietti da inviare alle altre cosche. Prendete Crotone-Juventus, quando la Juve era in B, pensate che la ‘ndrangheta non ci fosse in quello stadio? C’era eccome! La ‘ndrangheta pesante, quella che conta! Inviai personalmente i biglietti ai boss e nessuno si accorse di nulla”. Gestivamo tutto, mi ripete, anche i calciatori “vicini” e le loro carriere.

“Ci sono carriere accompagnate, trattamenti di riguardo per chi è vicino alle famiglie, si fa in modo di mandarli a giocare lontano per avere dei referenti in altri club, in questo modo puoi avvicinare grandi nomi e realtà che altrimenti non potresti contattare”.

Sullo schermo iniziano a scorrere le immagini di un giovane Bonaventura il giorno del suo matrimonio, nel 2000. Il principe designato a guidare la cosca vestito di tutto punto. Meno di 200 selezionatissimi invitati. Parenti stretti, uomini d’onore finiti in carcere o al camposanto. Poi arriva Salvatore Aronica, difensore del Palermo, fino a gennaio in forza al Napoli. “200 invitati sono niente per un matrimonio di ‘ndrangheta, hai idea di quanta gente ho lasciato fuori? Aronica era l’unico calciatore presente”.

Sul perché Aronica sia al matrimonio del boss, Bonaventura non ha dubbi: “Aronica era accompagnato dalla cosca dei Vitale di Palermo, coi quali ero stato in carcere a Crotone. Gli dovevamo un trattamento di riguardo. Lui quel giorno veniva a portare rispetto, era un modo per far sapere a tutti che stava con noi. Facendosi vedere a quel tavolo suggellava un patto tra noi e la mafia”.

QUELLO tra Aronica e il boss sembra un rapporto che dura nel tempo. Nuovo nastro, data diversa. Due anni dopo si festeggia il compleanno del primogenito di Bonaventura: “Nel mio locale! Sapevano tutti che era un ristorante della ‘ndrangheta”. Aronica arriva a metà festa, prende in braccio il bambino, c’è confidenza col boss, scambiano battute, sorridono. Non è la prima volta che il nome di Aronica finisce accanto a quello di un boss. Sul registro degli indagati “lucchetto palermitano” (come lo chiamano i tifosi) compare nel 2009: ce lo scrive Antonio Ingroia, dopo che il pentito Marcello Trapani gli racconta di una combine voluta proprio dalla mafia nel 2003, quando Aronica gioca con l’Ascoli. Il Palermo cerca di tornare in Serie A, i Lo Piccolo vogliono facilitare la promozione e, secondo il racconto di Trapani, pagano 200 mila euro ad Aronica e ai compagni Vincenzo Montalbano e Franco Brienza, per perdere. 3 a 0 per il Palermo, l’allenatore Bepi Pillon, che forse ha odorato qualcosa, lascia i 3 in panchina. I fatti però sono vecchi di 6 anni, Ingroia archivia vista l’imminente prescrizione.

Peppe Sculli era diverso, lui nasce già vicino ai clan, è il nipote di Peppe Morabito (detto U Tiradrittu, considerato per un quindicennio il capo assoluto della ‘ndrangheta), con lui si parlava tra pari, ci capivamo al volo. Si vendette una partita mentre era con noi al Crotone. Vero: nel 2002 viene accusato di aver venduto la partita tra Crotone e Messina (2 a 1 per gli isolani) e squalificato per 8 mesi. Lo incastrano le intercettazioni. Alla fidanzata che gli chiede di un calcio di punizione battuto da lui e non dallo specialista, risponde: “Se batteva lui, amore, facevamo gol e io perdevo, invece c’era un vento, un “ventello” amore... Ti compro un bel telefonino”.

Finisce il nastro, tv nera. Restiamo a chiederci nello sport più bello del mondo cosa sia ancora vero e cosa no.

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La Ġazzetta Sportiva 13-01-2013

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Libero 13-01-2013

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Doni da brividi

«Certe cose non le racconto»

Stasera l’ex atalantino a «Presa Diretta»

Intervista «rubata», con una frase sibillina

I verbali di Bari: «Si vendeva anche l’anima»

di ROBERTO BELINGHIERI (L'Eco di Bergamo 13-01-2013)

«Certe cose». Due parole dietro le quali si potrebbe nascondere tanto, o niente. Il problema è chi le dice, queste due parole: Cristiano Doni. Sembra il secolo scorso, l’incubo del calcioscommesse. Eppure è solo un anno e mezzo fa, più spiccioli.

Cristiano Doni tornerà alla ribalta questa sera, «intervistato» dalla trasmissione di Rai Tre «Presa Diretta», condotta da Riccardo Iacona (ore 21,30). Le virgolette sono d’obbligo, visto che a quanto trapela le parole che sentiremo sono state registrate da una telecamera nascosta. L’intervistatore insiste sullo stipendio pagato dall’Atalanta anche in pendenza dello scandalo, e Doni risponde: «Tu devi essere una persona intelligente, secondo te, ora che sono quaggiù (l’incontro si è svolto nei mesi scorsi sulla spiaggia di Palma di Maiorca dove Doni si era trasferito, ndr) e che le acque si sono calmate, vengo a raccontarti certe cose?».

Ecco le due parole attorno alle quali torneranno a costruirsi dubbi e sospetti. Sospetti, cioè, che come immaginano gli autori dell’inchiesta di Rai Tre, quegli stipendi pagati all’indagato Doni siano serviti per farlo tacere su chissà cosa. Vedremo questa sera se sarà mandato in onda altro materiale riferito all’Atalanta, o se il «succo» dell’inchiesta su Doni sia tutto qui. Certo è che la frase si presenta quantomeno sibillina e si presta a interpretazioni da far tremare i polsi. Come quella avanzata ieri mattina dalla Ġazzetta dello Sport: «Doni, tra le righe, ammette la responsabilità dell’Atalanta». Un’interpretazione forzata, ma la forzatura è agevolata proprio dalle parole di Doni. Non avesse nulla da raccontare, avrebbe tagliato corto: «Ho preso quello stipendio perché mi spettava, punto». Invece, lasciandosi andare a quella considerazione scivolosa, rischia di finire in un nuovo polverone, destinato a non spegnersi con il ripetersi di una giustificazione già sentita nei mesi scorsi: «Per l’Atalanta ho fatto tutto, ho rinunciato alle grandi squadre, ho dato tutto. Ho sbagliato, lo so, perché in un dato momento della mia carriera volevo tornare in serie A». Chissà se i magistrati di Cremona vorranno saperne di più, nei prossimi giorni.

«Ma Conte sapeva»

Così come forse altre parole di Doni apriranno nuovi fronti forse non giudiziari, ma quantomeno di forte polemica. Nel mirino il suo nemico di sempre, Antonio Conte, nel 2010/11 tecnico del Siena, squadra poi finita nella bufera. «Si sapeva che quelle partite del Siena sarebbero finite così - dirà Doni stasera -. Lo sapeva da inizio anno. Lo sapevamo che noi dovevamo arrivare primi e che altre squadre si erano dette: "Se a fine stagione qualcuno ha bisogno..." ».

Ieri in serata è arrivata la smentita da parte dell’avvocato Salvatore Pino, legale di Doni: «Cristiano Doni smentisce categoricamente di avere mai rilasciato interviste con riferimento al Siena e a Conte. Le notizie apparse su alcuni organi di stampa in relazione a tale pretesa intervista sono dunque destituite di ogni fondamento».

Gli autori di «Presa diretta», oltre a Doni, proporranno anche l’intervista - questa non «rubata » - a Vittorio Micolucci, il grande pentito del calcioscommesse. Micolucci risponde alla domanda di Iacona: come si fa a taroccare una partita? «Basta una trattenuta in area - risponde l’ex ascolano - basta stare due metri più avanti o due metri dietro per non far scattare il fuorigioco, metodi ce ne sono tanti». E lo spettro degli interrogatori di Almir Gegig: «Se parla Gegic sono do- lori, lui conosce tanti altri giocatori che non sono venuti fuori. In ogni squadra forse c’era una persona che poteva essere disponibile per alterare un risultato».

Poi interviste a esperti di internazionali di scommesse, che spiegano come nella stagione rovente individuarono circa 800 partite con puntate anomale, mentre nell’anno seguente solo una di serie A (Chievo-Siena). Parla anche Marco Paoloni, uno dei principali protagonisti dell’inchiesta di Cremona. Racconta come cercò di mettere una pezza ai suoi debiti con Massimo Erodiani: «Gli dissi di puntare sull’over di Inter-Lecce, ma finì 1-0. Allora mi chiamò il commercialista di Beppe Signori, dicendomi che avevo fatto perdere tre milioni di euro a loro e a gente asiatica. Per tenerlo buono gli dissi di giocare l’over su Benevento- Pisa, che però finì anche quella 1-0. E successe un gran casino: ci fu chi venne a Benevento a minacciarmi con le pistole».

Inter-Atalanta nei verbali

Ma l’Atalanta torna al centro dell’attenzione per i verbali degli interrogatori del filone di Bari. In particolare, interessa quello di Angelo Iacovelli, il tuttofare che gravitava attorno ai giocatori del Bari. Racconta tra l’altro Iacovelli: «Durante Treviso-Bari ci furono delle scommesse fatte da alcuni giocatori del Bari che in campo seguivano le vicende di altre sfide. Quella dell’Ancona, del Rimini e Inter-Atalanta. Scommisero e scommisi sull’over di Inter-Atalanta, vincendo. Nell’Atalanta giocava Doni: si è venduto anche l’anima». L’Inter-Atalanta di cui fa cenno Iacovelli è quella del 31 maggio 2009, finita 4-3, partita già emersa nell’autunno scorso da altre dichiarazioni dello stesso personaggio pugliese. Mai pensare che sia finita, questa storia.

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Quel patriarca gentiluomo

che teneva in pugno il Paese

Dopo la scomparsa del grande imprenditore il 24 gennaio 2003 è rimasto

solo un album di ricordi. L’eredità del capostipite e le scelte della famiglia

PASSATO Con lui se n’è andata una pagina di storia di Torino e dell’Italia

FUTURO Sarebbe orgoglioso del lavoro di John e divertito dall’estro di Lapo

di TONY DAMASCELLI (il Giornale 13-01-2013)

Dieci anni sono nulla. Sono un bambino che incomincia a sognare di diventare adulto, sono un tempo assai breve di una vita lunga, sono l’arco intenso di un amore. Sono il vuoto che non è stato riempito da quando Giovanni Agnelli morì nella sua dimora di Torino (era il 24 gennaio del 2003) e con lui se ne andò una fetta grande di storia, non soltanto di quella città, ma dell’Italia intera e di mille persone che di quell’epoca e di quel personaggio furono contorno. La presenza dell’assente, questo è oggi ancora Giovanni Agnelli, continua il viaggio inutile alla ricerca di qualcosa che si è ormai perso e non smarrito, che Fiat ha soltanto nelle fotografie di repertorio e in un ossequioso, formale rispetto piemontese per il patriarca; la pagina è stata girata, altri uomini, altre figure, altri personaggi, altre parole. Finì la propria vita, un anno dopo, anche il fratello Umberto e, con la scomparsa dei loro figli, Giovanni Alberto ed Edoardo, fu come la conclusione di un’era, quasi di una dinastia, un libro chiuso di colpo, stracciate le ultime pagine, incompleto il racconto, avvolto anche dai misteri, tra dubbi e angosce. Giovanni Agnelli nulla sa di questa Fiat, di Marchionne, dei suoi maglioni improbabili e della sua barba imprevedibile, nulla sa di un’Italia che, in modo gattopardesco, finge di cambiare tutto perché tutto rimanga come prima. Nulla sa perché non poteva certo nemmeno immaginarlo, la sua Fabbrica Italiana Automobili Torino, come era solito pronunziare quasi sillabando, le sole quattro parole italiane, nei discorsi in lingua inglese, la Fiat, dunque, socia di americani, Torino e Detroit, unite per lo stesso interesse imprenditoriale.

Nemmeno avrebbe immaginato e ipotizzato un’eventuale fuga dal Paese, come da tempo le voci si inseguono per poi smentirsi. In fondo era anche questa la caratteristica di un uomo di mondo, Gianni Agnelli per l’appunto, comunque legato a Villar Perosa, a Torino, le radici, La Stampa e la Juventus, dopo la belle epoque del play boy, Costa Azzurra, New York, il ranch argentino con Priscilla Rattazzi che fotografava quel narciso con i capelli bianchi al vento e la camicia jeans aperta sul petto, il bagno all’alba nella caprese grotta azzurra, i Kennedy e Kissinger, Gheddafi e Lanza di Trabia, un album che ogni volta ritorna per ricordare, appunto, questo vuoto decennio, spesso riempito con la stessa frase: «Ah se ci fosse l’Avvocato». Non ha fatto in tempo a vedere e vivere le splendide Olimpiadi invernali che hanno trasformato Torino, rendendola di nuovo lucida, elegante, bellissima come avrebbe desiderato; non ha avuto il tempo di assistere e soffrire alla caduta vergognosa, mortificante della Juventus e dei suoi dirigenti, liquidati in un giorno e abbandonati senza difesa alcuna; non avrebbe previsto che un altro Agnelli, il nipote Andrea avrebbe ridato dignità al club e di nuovo vinto sul campo; non avrebbe potuto prevedere le pratiche legali tra parenti e una famiglia spezzata per un’eredità sbattuta in piazza; si sarebbe divertito dinanzi alla simpatica rinascita e riapparizione della Cinquecento, da un’idea bizzarra di un bizzarro nipote come Lapo che di lui è forse il solo ad aver conservato fascino maledetto e alcuni tratti somatici; di sicuro sarebbe fiero della crescita di John al quale era stato, dallo stesso nonno, affidato il futuro dell’azienda, provocando la rabbiosa, umana e silenziosa reazione di Edoardo, il figlio quasi dimenticato, evitato, poi tragicamente scomparso. Quest’ultimo fotogramma accadeva prima di quel gennaio del Duemila e tre, ma forse fu il giorno più lungo in cui la luce prese ad affievolirsi negli occhi di un uomo già sofferente, appoggiato a un bastone, bianchissimo nei capelli e nel colore della pelle, consapevole che il sole stesse per tramontare.

La morte di Umberto e quella di Susanna tagliarono l’ultimo nodo della corda che teneva assieme, per il popolo, la famiglia intera. Dieci anni sono un tempo davvero breve ma ormai lontanissimo. Trascorsi senza quell’uomo ancora presente.

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MADRID · Tra gli ultrà del Rayo Vallecano

Dallo stadio alla piazza,

i Bukaneros nel mirino

Anticapitalisti, antifascisti, antirazzisti, una tifoseria guardata a vista

di GIUSEPPE GROSSO (il manifesto 13-01-2013)

«Cifuentes escucha, Madrid está en lucha» (Cifuentes ascolta, Madrid è in lotta). Così i Bukaneros, gli ultras della squadra di calcio madrilena del Rayo Vallecano, hanno salutato mercoledì scorso un loro compagno (in tutti sensi, dato l’orientamento politico della tifoseria) all’uscita dal carcere in cui aveva trascorso 56 giorni in isolamento per una controversa «detenzione preventiva» legata ai disordini dello sciopero generale dello scorso 14 novembre.

Il messaggio era per Cristina Cifuentes, la delegata del governo nella Comunidad de Madrid, con riferimento all’ondata di proteste antigovernative che sta animando la capitale in questi mesi. Ma anche alla battaglia privata che - soprattutto dalla detenzione di Alfonso Fernández, detto Alfon - oppone i bucanieri di Vallecas, storico quartiere operaio di 250.000 abitanti alla periferia della capitale, alla delegata del governo. Quasi un’ossessione per Cifuentes - una delle personalità più reazionarie del Partido popular - che ha ormai iscritto la tifoseria Rayista nell’elenco dei nemici pubblici più pericolosi. Sarà forse per l’intreccio di tifo e politica, che ha in più occasioni portato i Bukaneros dalle gradinate dello stadio alla piazza: la bandiera dei pirati-ultras «anticapitalisti, antifascisti e antirazzisti» era infatti presente nei vari assedi al parlamento del passato autunno e ha svettato a sostegno di quasi tutte le proteste madrilene, dagli indignados alla marcia contro i licenziamenti dei minatori, turbando la serenità della delegata e attirando la sorveglianza speciale delle autorità.

Un vero e proprio emblema, i Bukaneros, della sinistra antagonista di Madrid e del suo cuore geografico, Vallecas, «simbolo e orgoglio della classe operaia»; ed emblematica è anche la contestazione nei confronti della scintillante ma indebitatissima liga spagnola, altro bersaglio dei Bukaneros, che ogni domenica si battono (anche) contro la concezione del calcio come business, rimpiangendo i tempi in cui il Rayo - squadra da sempre modesta in tutte le accezioni e dagli altalenanti esiti sportivi - militava nelle «categorie nobili del nostro calcio».

D’altra parte già il logo del gruppo - fondato nel 1992 da 7 ragazzi e composto ora da circa 250 tifosi-attivisti - è una dichiarazione d’intenti: sotto un teschio un po’ inquietante campeggia un cheguevariano e inequivocabile «hasta la victoria sempre». Calcistica o politica che sia. Non deve fare poi molta differenza per una tifoseria che intreccia sport e impegno sociale, fa politica allo stadio e porta la curva in piazza. I Bukaneros hanno sostenuto dagli spalti numerose campagne: con i loro striscioni hanno detto «no alla guerra imperialista in Libia» e al «genocidio di Israele in Palestina»; hanno sostenuto la causa del movimento nato in seguito alla morte di Carlos Palomino, un giovane antifascista ucciso da un militare neonazista nel metrò di Madrid nel 2007 e hanno fatto dell’impegno antirazzista uno dei loro tratti distintivi, tanto che nel 1997 il gruppo ha istituito una giornata dedicata alla lotta al razzismo, che viene celebrata tutti gli anni.

E, certo, non poteva mancare qualche «dedica» al nemico giurato Cristina Cifuentes, di cui, tra un coro e l’altro, hanno più volte chiesto le dimissioni. «Cifuentes ci ha preso di mira e vuole distruggerci - ha dichiarato il gruppo subito dopo la perquisizione della sede che seguì di poche ore l’arresto di Alfon, il passato 14 novembre. Un arresto per detenzione di materiale esplosivo che l’opposizione ha definito «arbitrario» ed «emblematico dell’attitudine repressiva del Pp» e che Alfon, in un’intervista al giornale Público di venerdì scorso, dice essere stato basato su prove false e prodotte dagli stessi poliziotti.

In tutto questo non sorprende più di tanto (anche perché già successo in passato) che il difensore basco del Rayo, Mikel Labaka, abbia espresso il suo appoggio alla manifestazione di ieri a favore dei prigionieri dell’Eta. Proprio in coincidenza, peraltro, col la partita tra la squadra vallecana e l’Athletic de Bilbao, giocata l’altro ieri nel País Vasco. Per la cronaca: 1-2 per imadrileni e Rayo a un rispettabilissimo sesto posto in classifica.

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El Gráfico | ENERO DE 2013

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Il processo Responsabilità oggettiva, è scontro

«Norma da rivedere

Napoli, troppo dura

la prima sentenza»

Caia, presidente avvocati partenopei «Il -2 può decidere

la stagione». Longhi: serve una riflessione serena

Corte federale Giovedì l’esame dei ricorsi del club e di Grava e Cannavaro

Il procuratore Palazzi ieri a Castelcapuano ha evitato di fare commenti

di ANGELO ROSSI (IL MATTINO 13-01-2013)

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C’era anche Stefano Palazzi ieri a Castelcapuano. Nella vecchia dimora del Tribunale napoletano, il procuratore federale ha preso parte alla manifestazione «Toghe e medaglie» per celebrare i meriti degli avvocati con oltre 40 anni di servizio. Elegante come sempre, nemmeno in presenza di colleghi e amici ha fatto previsioni sul caso Napoli, limitandosi a qualche timido sorriso prima di infilarsi in auto e andare via.

La questione, mai sopita, è prepotentemente attuale visto che giovedì, la Corte federale discuterà l’appello presentato dal Napoli contro le decisioni di primo grado della giustizia sportiva: due punti di penalizzazione alla squadra e sei mesi di squalifica per Cannavaro e Grava.

«Il Napoli vive una situazione paradossale – dice Francesco Caia, presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati napoletani – la penalizzazione è una sanzione troppo pesante rispetto al comportamento tenuto dal club in questa vicenda. Non c’è dubbio che la norma sulla responsabilità oggettiva vada necessariamente rivista, il calcio deve adeguarsi ai tempi moderni, il suo sistema è troppo arretrato. Nel caso degli azzurri, due punti tolti o restituiti possono decidere un’intera stagione: non è giusto visto che i fatti risalgono a due anni fa».Per Caia proprio il «caso Napoli» deve rappresentare la spinta necessaria per compiere il passo decisivo. «È giunto il tempo delle innovazioni: cambiano tutti gli ordinamenti, quello del calcio è ancorato a princìpi spesso anacronistici. Spero che il Napoli, club virtuoso e in piena sintonia con il fair-play finanziario, ponga adesso la questione in maniera seria e forte. La responsabilità oggettiva può resistere ma solo per casi estremi, quello del Napoli è invece un paradosso assurdo e ingiusto».

Anche l’avvocato Sergio Longhi, che presiede l’associazione «Azzurra Lex», sollecita la revisione di alcune norme dell’ordinamento sportivo. «Malgrado un sempre più vasto movimento d’opinione spinga per l’abolizione del principio della responsabilità oggettiva, la Commissione Disciplinare ha confermato un certo automatismo della relativa applicazione, dichiarandone l’assoluta inderogabilità: ma il caso Napoli può e deve aprire una riflessione serena e costruttiva sulle prospettive di revisione dell’istituto della responsabilità oggettiva, così come attualmente disciplinato nell’articolo 4, quanto meno in riferimento ad ipotesi nelle quali la società risulti danneggiata in senso sportivo dalla condotta dei propri tesserati ed abbia posto in essere tutte le misure idonee a prevenire comportamenti illeciti da parte degli stessi. Chissà che non stiano maturando i tempi perché si affermino ipotesi di esclusione della responsabilità del datore di lavoro, sulla falsariga di quanto già avvenuto nella giurisprudenza ordinaria di legittimità».Se una norma è in vigore, va rispettata, piuttosto ci si adoperi a cambiarla se ritenuta poco congrua: questo in sintesi il parere di Eduardo Campese, magistrato presso l’Ufficio di massimario della Corte di Cassazione. «Compito del giudice è applicare la legge anche se quello calcistico è un contesto particolare. Sul caso Napoli, da tifoso mi faccio alcune domande e rispondo con fede e passione visto che la questione può condizionare un’intera stagione. Da giurista sono più distaccato e freddo e dico: probabilmente il principio della responsabilità oggettiva è odioso ma è una norma in vigore, tra l’altro accettata da tutti i tesserati, e come tale va rispettata perché ogni Paese civile vive basandosi sul rispetto delle regole”.

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laLega

I CLUB DEVONO METTERSI D'ACCORDO

O NON POTRANNO CAMBIARE IL CALCIO

di MARCO IARIA (GaSport 13-01-2013)

Stadi vuoti, finanze fuori controllo, competitività a picco, combine, razzismo. Il cahier de doléances del calcio italiano è debordante. E cosa hanno fatto i nostri presidenti? Niente. Anzi, non smettono di litigare tra loro e di deturpare l'immagine di una Lega di Serie A che dovrebbe essere il motore del movimento e che, invece, si presenterà domani alle elezioni federali senza aver rinnovato i suoi organismi. L'assemblea di venerdì è stato un brutto spettacolo: insulti, urla, «non accavallatevi» avrebbe tuonato Biscardi, andirivieni indisciplinato, proposte strampalate, totale assenza di una visione comune. Non proprio un approccio aziendale per un gruppo che, aggregando i ricavi dei 20 club, fattura 1,6 miliardi, quanto Coin o Ikea. Eppure si trattava di eleggere il presidente di Lega che, per statuto, non ha alcun potere. Figuriamoci se si fosse trattato di una figura chiamata a decidere i destini della categoria.

Il deus ex machina Claudio Lotito si vanta dei risultati conseguiti negli ultimi anni dalla Lega sotto la presidenza di Maurizio Beretta: separazione dalla B, accordo collettivo, vendita record dei diritti tv. Provi a chiedere ai milioni di tifosi che fortunatamente amano ancora questo sport: la risposta unanime sarebbe di delusione e sconforto per uno spettacolo piegato alle esigenze televisive e sordo alle istanze degli appassionati, impoverito dall'austerity e dalla miopia manageriale, fiaccato dalle polemiche. La Lega di A non ha saputo risolvere le criticità al suo interno né darsi un'impronta in stile Bundesliga o Premier, in grado di attirare ricavi alternativi alle tv e di valorizzare il prodotto collettivo; non è stata in grado di esercitare un ruolo di guida nell'ambito della politica federale; non ha infine esercitato quell'attività di lobbying in Parlamento tesa a modificare leggi vecchie (professionismo) o approvarne di nuove (stadi).

L'incontro di ieri a Roma di Beretta e Lotito con Giancarlo Abete, che domani verrà riconfermato al timone della Figc, è stato un modo per salvare la faccia. È stato assicurato il sostegno della A alla candidatura unica di Abete a patto che vengano condivisi alcuni punti programmatici, come la riforma della giustizia, un nuovo format dei campionati con l'introduzione di seconde squadre o le multiproprietà. Ma se venerdì i club non si metteranno d'accordo sulle nomine interne, resteranno fuori dai giochi federali. E non potranno cambiare nulla. Sempre che lo vogliano davvero.

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Deficit, litigi e una Lega senza guida

com´è lontano il modello Premier

Riforme urgenti, ma la serie A non sa cambiare. E in Figc domani sarà rieletto Abete

di MATTEO PINCI (la Repubblica 13-01-2013)

ROMA - Riunioni carbonare, ritardi di ore, votazioni farsa: la (mancata) elezione del presidente della Lega di serie A ha offerto venerdì il quadro più rappresentativo, e decisamente sconfortante, della situazione istituzionale del calcio italiano. Di qui la resa del candidato Abodi, di fronte a una serie A che «non vuole cambiare». Eppure cambiare dovrebbe, per porre riparo a suoi guasti più profondi, recenti e non: fuga dagli stadi, perdita di fascino e di competitività sui mercati esteri, l´alto tasso di conflittualità interna. La Confindustria del calcio, ogni volta che può, interpreta il copione becero di una riunione di condominio: soggetti interessati a tutelare la propria bottega - quando non addirittura privilegi - a discapito del movimento. Ne è un esempio la guerra per la distribuzione dei diritti televisivi, chiusa con toni che invocavano la «spartizione del bottino»; persino la morte di Morosini, con la necessità di far slittare il campionato, generò liti accesissime.

Lega è ormai solo una parola. Un guscio vuoto, privo di una logica di profitto collettivo. Concetto che all´estero hanno invece intuito in fretta, tanto da scavare un abisso fra noi e loro. In Inghilterra già vent´anni fa, quando i club si unirono per una secessione dalla Football League utile a formare la Premier League. È nato il campionato più affascinante del mondo, il più equilibrato economicamente se è vero che l´ultima in classifica nel prossimo triennio incasserà oltre 60 milioni di diritti tv annui, quanto da noi una "big" come Roma o Napoli. Merito del contratto più alto mai sottoscritto, 6 miliardi tra diritti domestici e dall´estero dal 2013 al 2016. Un risultato raggiunto grazie al marchio-Premier, promosso in 152 Paesi con tour e campagne pubblicitarie da un´organizzazione unita, che tutela a sufficienza le piccole (il 50% degli introiti tv sono equamente ripartiti). Producendo il campionato mediamente più premiato anche dal merchandising, con una sostanziale uniformità nelle ripartizioni.

Se gli inglesi hanno guardato con attenzione allo sviluppo internazionale, in Germania dopo la crisi del sistema sportivo dei primi anni Duemila sono ripartiti da un solido mercato interno. Merito della politica della Deutsche Fussball, la federazione che vende i diritti tv e ripartisce i ricavi in modo che il colosso Bayern non riceva più del doppio dell´ultima (da noi la Juve prende quattro volte più del Pescara). Tutto senza svuotare gli stadi, anzi: con quasi 43 mila spettatori per gara è il campionato più seguito dal vivo in Europa, con percentuali di riempimento che sfondano il 90%. Hanno i prezzi più bassi del continente e ridistribuzione dei ricavi che riducono la dipendenza dalle tv (solo il 30% del fatturato dei club) consentendo spese per migliorare gli impianti. Un circolo virtuoso da cui l´Italia si tiene distante. Per tacere degli esempi che giungono dalle Leghe pro dello sport Usa. Abodi, il candidato bocciato venerdì, aveva provato a sperimentare in serie B idee e riforme: intese su larga scala (anche con il sindacato calciatori), salary cap, contingentamento delle rose, revisione del format con partite durante le festività natalizie e una più lunga sosta invernale. È scappato via. «La serie A non vuole cambiare». Ora si cerca un presidente a tempo: 6 mesi. Poi si vedrà. E nulla cambierà in Federcalcio, dove lunedì sarà rieletto al vertice Giancarlo Abete, 62 anni, senza concorrenti dopo un quinquennio.

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"da noi la Juve prende quattro volte più del Pescara"

come se gli introiti fossero dovuti ai tifosi del Pescara, che sono un millesimo di quelli della Juventus!

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L’epoca di ghiaccio e il calcio dei ricchi

di ELIO MATASSI (ilFattoQuotidiano.it 14-01-2013)

La contemporaneità si presenta come l’epoca “di ghiaccio” per eccellenza – l’espressione lungimirante è di Tocqueville – ossia l’epoca in cui l’omogeneizzazione è ormai giunta al culmine, è diventata un “destino”, come commenta con finezza Adorno nel capitolo della Filosofia della musica moderna dedicato a Schoenberg. L’ideale dell’eguaglianza e il conseguente processo mimetico hanno prodotto quella massificazione estrema che è sotto gli occhi di tutti. Ma l’omogeneità è solo uno dei due volti dell’epoca di ghiaccio, il suo contraltare sta infatti nell’esasperazione dell’ideale economicistico insito nella globalizzazione e che produce, insieme alla massificazione, diseguaglianze reali sempre più marcate.

Diseguaglianze che si verificano in ogni ambito della società e che sono altrettanto palesi anche nel mondo apparentemente ‘dorato’ del calcio. Un giornalista molto competente del settore, Mario Sconcerti, ha pubblicato di recente un volume dal titolo provocatorio, Il calcio dei ricchi. Si potrà più vincere senza spendere un tesoro? (Baldini & Castoldi, Dalai Editore, Milano 2012), con una trasparente allusione alle differenze abissali che separano alcune squadre europee da tutte le altre. Un libro che segnala un problema reale e che merita un’attenta riflessione, almeno in alcune sezioni, mentre in altre, in particolare nella IV, La guerra Juve-Inter e lo scudetto sbagliato, rappresenta l’espressione della communis opinion media dell’epoca di ghiaccio, facendo emergere una difficoltà ‘concettuale’ a capire fino in fondo che cosa sia l’etica.

Non entro nel merito di quest’ultimo aspetto, a cui ho già dedicato un post specifico, e, invece, approfondisco il problema delle diseguaglianze; se si comparano tutti i campionati europei degli ultimi dieci anni, queste differenze diventano veramente macroscopiche con una accentuazione negli ultimi tre anni, che hanno dimostrato in maniera inequivoca il sostanziale fallimento del progetto riassumibile nella formula ‘Fair Play Finanziario’, seguito con assoluta fedeltà solo dalle protagoniste del calcio italiano e disatteso, se non addirittura violato, invece, in maniera flagrante, dalle altre squadre europee e, in particolare, dal Paris Saint-Germain. Il significato centrale del Fair Play Finanziario viene prospettato da Michel Platini, presidente dell’Uefa, nei termini seguenti: “l’essenza del gioco deve rimanere immutata, nonostante il calcio sia sempre più dominato da interessi economici e commerciali…Con l’introduzione del Fair Play Finanziario diminuirà la differenza tra grandi e piccoli club. Questo contribuirà sicuramente a rendere più avvincenti e incerti alcuni campionati che si giocano sempre e soltanto fra due o tre squadre”. Nobilissime parole, peccato che a pronunziarle sia proprio un esponente del calcio francese, ossia della stessa nazionalità della squadra, il Paris Saint Germain, che ha ridicolizzato sostanzialmente le premesse stesse del progetto. Del resto, in un mondo sempre più dominato dalle oligarchie finanziarie e da diseguaglianze sempre più profonde, cominciare una regolamentazione, partendo proprio dal calcio, risulta scarsamente credibile oltre che inapplicabile.

A mancare, nel calcio, come in tutti gli ambiti della società, è la restaurazione del primato dell’etica, quello che dovrebbe essere l’unico discrimine – di ogni governo, del sistema economico e di quello calcistico. Altrimenti tutte le altre iniziative velleitarie come quella del Fair Play Finanziario, limitandosi a sancire una razionalizzazione delle differenze già acquisite, non approderanno a nulla.

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Le memorie di «Luciano Uragano»

‘In un libro racconto amici e nemici’

Gaucci scrittore a Santo Domingo. A 74 anni ha avuto il nono figlio

Se ne sta laggiù ormai da un paio d’anni. Ha lasciato le spiagge bianche e le palme da cocco di Punta Cana per trasferirsi a Santiago de Los Caballeros, nella regione del Cibao a nord dell’isola, la seconda città del paese, la più europea, una metropoli con un milione di abitanti che si sviluppa tra le colline interne.

E da un paio d’anni che Luciano Gaucci non aveva lasciato tracce di sè: una comparsata televisiva, per nulla trascendentale, su La 7 quando era stato trascinato nella vicenda politica della casa di Montecarlo di Gianfranco Fini e della sua ex (di Lucianone) Elisabetta Tulliani. Poi più nulla.

La sua vicenda penale, nel frattempo, si era esaurita e tre anni fa era anche tornato in Italia, con la moglie dominicana Yayaira e una parte della sua numerosa prole (è arrivato al nono figlio), ma non si era trovato bene nella sua Roma ed era ripartito. Accasandosi nella città dei suoi suoceri.

Lo risentiamo, arzillo nonostante i 74 anni, ed è «esplosivo» come sempre. Altro che pensionato: «big Luciano» è ancora una miniera, un fiume di parole. Dai potenti del mondo al fallimento del Grifo fino alla sua sterminata prole. E parla a cuore aperto, come sempre.

di STEFANO DOTTORI (LA NAZIONE 13-01-2013)

Gaucci, come va la vita?

«Lo sa cosa sto facendo? Oltre a godermi Lucianino junior, che ha qualche mese, sto scrivendo le mie memorie, un romanzo sulla mia vita. E ne ho per tutti: dallo sport alla politica, dagli amici veri a quelli falsi che mi hanno tradito e abbandonato... Credo di finirlo entro uno o due mesi».

Del tipo?

«Eh, ce ne sono tanti. Ma racconto anche le cose belle, dalla mia famiglia a una città come Perugia che mi ha dato tanto».

In questi anni il mondo è cambiato. Il suo amico Bush si è ritirato, Gheddafi, addirittura, è stato ammazzato e il figlio Saadi è in fuga, latitante...

«Una brutta storia, questa della Libia. E dire che fui io a portare il figlio di Bush nel 2000 a Tripoli per far riallacciare i rapporti tra i due paesi».

E l’Italia?

«Non mi manca, quaggiù sto bene, la vita è senza pressioni, si vive serenamente, mi godo la famiglia e i figli. Roma, la mia Roma, ho faticato a riconoscerla».

Ma non tornerà?

«Prima o poi forse sì. Ma non è più il paese in cui sono nato, cresciuto e in cui ho vissuto per una vita intera, o quasi. Un tempo si viveva meglio. Con questa crisi sento che tanti amici, commercianti, industriali, sono in serie difficoltà».

E la storia del suo fallimento col Perugia?

«Una vicenda finita male, che non doveva chiudersi così. Il Perugia e Perugia sono sempre nel mio cuore, a cominciare dai tifosi della squadra. Io li amerò sempre. E voglio ribadire che non ho fatto nulla di male. Se potessi tornare indietro non cederei mai la società: mi batterei di più contro poteri che in quella occasione sono stati più forti».

Il calcio le manca?

«Sì, mi manca, ma non è detto che un giorno non possa rientrarci. A Perugia ho avuto soddisfazioni tra le più belle della mia vita».

I suoi rapporti con Geronzi, col quale ha ingaggiato una battaglia personale durata anni?

«Storie passate e chiuse. Ma ne parlerò nel libro come di altre persone e faremo quello che c’è da fare. I miei avvocati sono al lavoro...».

Una minaccia?

I RAMPOLLI MAGGIORI UNO LAVORA CON IL CADICE, L’ALTRO SI OCCUPA DI PULIZIE

Alessandro manager, Riccardo consulente

di STEFANO DOTTORI (LA NAZIONE 13-01-2013)

I due figli maggiori di Luciano Gaucci che fine hanno fatto? A Perugia se lo chiedono in molti, perché sia Alessandro che Riccardo Gaucci (insieme nella foto a sinistra) sono entrati per anni nella storia del Grifo ma anche in quella della città. Tutti e due hanno avuto ruoli importanti all’interno della società e di Alessandro non va dimenticata l’attività costruita con la Galex, azienda di articoli sportivi.

E dunque: Alessandro, il più grande, dall’estate scorsa (dopo che per diversi anni aveva ha fatto il mediatore di calciatori a livello internazionale) è il manager del Cadice, squadra di «Segunda Division» spagnola, che attualmente, dopo un brillantissimo avvio di campionato, naviga nella zona medio bassa della classifica.

«Ho scoperto la città più bella del mondo — dice Alessandro — Ci vivo con la mia fidanzata Francesca (originaria di Città di Castello, ndr) e mi sto occupando della squadra. Stiamo un po’ faticando ma sono covinto che alla fine centreremo i play-off e la possibilità di salire in serie B».

Riccardo, invece, vive tra Spoleto e Roma con la sua famiglia, ha due figli, e si occupa di consulenze in imprese di pulizia, il vecchio ramo lavorativo del padre.

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«Il silenzio di Doni fu pagato»

Ma Presadiretta è piena di errori

In tv accuse choc sull’Atalanta: «Erano d’accordo». Marino: «Ci tuteleremo»

Incredibili imprecisioni nella trasmissione: «La società se l’è cavata con un punto»

di ROBERTO BELINGHERI (L'Eco di Bergamo 14-01-2013)

Sono le 22,08 quando la faccia sorridente di Cristiano Doni torna a incrociare gli occhi dei bergamaschi. Lo fa attraverso gli schermi di «Presadiretta», la trasmissione di Rai Tre che ieri sera ha affrontato lo scandalo del calcioscommesse. Ci si aspettava incredibili rivelazioni, ci si è ritrovati alla fiera dell’errore.

Il nome dell’Atalanta viene fatto per primo da Antonio Bellavista, ex capitano del Bari. Dice Bellavista: «Chi ha giocato a calcio in un modo o nell’altro al 90% è stato coinvolto nelle partite combinate. Atalanta-Piacenza, per esempio, era già stata combinata: c’erano i soldi dell’Atalanta, i soldi di Parlato, i soldi degli zingari».

Atalanta-Piacenza è la partita simbolo della parte di bufera che ha riguardato l’Atalanta. E dunque Doni. Lo si rivede a testa alta, lo si vede giovane giovane nelle aule dei processi di Atalanta- Pistoiese, si vedono gli ultras in piazza per difenderlo nell’estate 2011. Si vede lui, Doni (presentato come autore di un Mondiale e un Europeo in maglia azzurra, ma l’europeo non l’ha mai giocato, imprecisione numero 1, ndr), alla festa della Dea, che parla della «gente che mi vuole bene. Io non vi piglio per il c...».

Oltre ad Atalanta-Piacenza, la trasmissione cita anche le partite con Padova e Ascoli, commettendo l’imprecisione numero 2: erano partite in trasferta, e loro le citano come partite casalinghe dell’Atalanta, associando immagini sbagliate. Infine un’altra imprecisione, gigantesca, la numero 3: hanno detto che l’Atalanta «se l’è cavata» con un punto di penalizzazione. Una superficialità incredibile - e abbastanza inaccettabile - per una trasmissione di questo livello, solitamente ben costruita e documentata.

Poi riecco Doni, che esce dal carcere. «Possibile - si chiede la voce narrante - che abbia fatto tutto da solo?». Si racconta del contratto pagato fino all’ultimo centesimo. «Pagato fino al termine - racconta Roberto Pelucchi, giornalista bergamasco della Ġazzetta dello Sport, profondo conoscitore delle carte dell’inchiesta - ma per esempio la Cremonese si è rifiutata di pagare Gervasoni e Paoloni, mentre l’Ascoli non ha pagato Micolucci e Sommese e la Lega di serie B l’ha difesa quando i giocatori hanno fatto causa. Il sospetto dei magistrati - dice Pelucchi - è che sia stato pagato per non allargare le responsabilità».

E questo va chiesto a lui, Doni. Eccolo a Palma di Maiorca, sorridente dietro il bancone del Chiringo. Serve birre ai tavoli. Si parla dell’anno della serie B, dell’Atalanta e del Siena. «Sono sicuro, sicurissimo, che sia andata così. Lo sapevamo anche noi dell’Atalanta, si erano detti a inizio campionato: chi ha bisogno alla fine... Il Bari? Pure i tifosi volevano scommetterci». Frasi non troppo connesse, nelle quali in ogni caso il nome di Conte - «sparato» nelle anticipazioni - non viene mai fatto.

Poi il tema dello stipendio pagato fino all’ultimo. «Sei una persona intelligente - dice Doni, ridendo, all’inviato Rai -. Mi spiace, sei venuto qui per niente, ma secondo te dopo quello che è successo vengo a dire a te... fai i ragionamenti che vuoi, ma io sono passato per quello che non sono, ho sbagliato perché volevo vincere. Ho avuto informazioni da un amico che alcuni si erano venduti la partita col Piacenza. Ma sarebbe finita in quel modo anche se io non ci fossi andato». Infine la frase già annunciata: «Per l’Atalanta ho dato tutto, ho rinunciato alle grandi squadre...».

Ma il grosso delle accuse all’Atalanta non sta nelle parole di Doni. Sta per esempio in quelle dell’odontoiatra Marco Pirani. Secondo Sommese e Micolucci - dicono a Presadiretta - l’Atalanta aveva messo soldi per comprare le partite. «Ma come no - risponde lui - c’è una mia intercettazione in cui dico che l’Atalanta voleva fare la partita con l’Ascoli, mi parlavano di Doni che era il depositario, loro lo dicevano. Faceva lui tutto, per loro. Pagato fino all’ultimo? È una cosa strana anche per la Procura Federale». Il carico da 11 lo cala Massimo Erodiani: «Sono certo che l’Atalanta c’entrava, da Percassi in giù. Doni ormai era finito, si è preso tutte le colpe lui, e l’Atalanta non paga. Sono certo di un accordo tra presidente, società e Doni». Prove concrete, zero.

D’obbligo la parola alla società. Dicono che l’ufficio stampa non ha mai risposto, trasmettono una telefonata con Luca Percassi che rimanda a Pierpaolo Marino, intercettato poi fuori dalla Lega Calcio. Marino dribbla: «Lo stipendio di Doni è materia di avvocati, parlate con loro». A Presadiretta degli avvocati dell’Atalanta però non c’è traccia, la trasmissione prosegue con un viaggio a Singapore, e nei mille meandri delle partite truccate. L’Atalanta sparisce, cotta e mangiata.

Ma la parola, all’Atalanta, va data. Perché è abbastanza incredibile che in tv volino accuse così, su temi già trattati e definiti nelle aule di giustizia. In tardissima serata, ecco le parole di Pierpaolo Marino: «A loro non ho risposto perché pensavo fossero delle Iene. In ogni caso lo stipendio di Doni è stato pagato perché sulla materia l’Atalanta chiese un parere scritto allo studio legale Morelli di Milano. Ci fu risposto che non pagando ci saremmo esposti a rischi di penalizzazioni, a quel parere ci siamo attenuti e nel futuro processo, contro Doni, ci costituiremo parte civile. Non c’è stata differenza di trattamento con Masiello, perché lui era sottoposto a un altro tipo di contratto collettivo e con lui c’è stata possibilità di trovare un accordo per la sospensione dello stipendio. Questo va detto per fare chiarezza. Quanto a tutto il resto e alla posizione della società, i nostri legali valuteranno se e come tutelare l’Atalanta in ogni sede possibile. Dico solo che se qualcuno aveva cose da dire le avrebbe potute dire nei tribunali, non parlando alla televisione ». Fine della puntata. Si annunciava un polverone, ma la prima impressione è che, tra uno sfondone e l’altro, sia stato lanciato controvento, concentrandosi sull’Atalanta e dimenticandosi, per esempio, di raccontare bene la vicenda di Stefano Mauri, capitano della Lazio. Masiello fu sospeso. Mauri ieri era in campo, contro l’Atalanta.

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Il caso

Aronica: «Io e il boss? Stupidaggini»

art.non firmato (IL MATTINO 14-01-2013)

«Stupidaggini». Affatto stizzito, Aronica è apparso tranquillo, sminuendo quanto è emerso dalla trasmissione di ieri sera, nel corso della trasmissione «Presadiretta», intitolata «Ladri di calcio», nella quale si è affrontato lo scandalo calcioscommesse e tutto ciò che di poco lecito ruota intorno al calcio. Aronica, quando giocava nel Crotone (dal 1998 al 2002), ha partecipato al matrimonio di Luigi Bonaventura, considerato reggente di una delle cosche più potenti della ‘ndrangheta, nel 2000. «Era amico mio», ha detto Bonaventura, indicandolo mentre mostra il video del matrimonio. Aronica spazza via ogni dubbio: «Ho già diffidato tutti», alludendo a possibili vie legali in caso di diffamazione. «Sono stupidaggini. Era il cugino del presidente, che ne potevo sapere io?».

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Ladri di calcio

di MAURIZIO MARTUCCI (ilFattoQuotidiano.it 14-01-2013)

Repetita iuvant, magra consolazione senza il grande botto. L’inchiesta di ‘Presa diretta’ sui mali del calcio non ha aggiunto nulla di nuovo, se non mostrare al grande pubblico maschera e volto di Scommessopoli, da Singapore a Crotone, nelle viscere delle holding internazionali del crimine, con tanto di omicidio a mano armata in Bulgaria, da aggiungere al giallo su Calciopoli, spy story con misterioso suicidio all’italiana.

Di calcio si muore? Ma il calcio è già morto. E’ finito negli scandali della finanza creativa che ne ha rubato l’anima. E’ deceduto nell’eccesso di burocratizzazione (e di perbenismo) da stadio, nel turbo capitalismo, nelle bufere dei suoi inattendibili interpreti (non solo doping) e nella globalizzazione del prodotto, voluta da chi – senza pietà – ne ha impropriamente usato tribù, ritualismi e pathos, infrangendone storia e tradizione secolare.

L’indagine di ieri sera (condotta con fiuto) dalla squadra di Riccardo Iacona, ha avuto comunque un pregio, la conferma del dato: il neo-calcio è uno zombie, è più che un moribondo, la copia sbiadita del caro vecchio estinto foot-ball, tenuto in vita con artifizi e inganni da abili trasformisti. Solo perché il giocattolo, alla fin fine, fa sempre comodo a molti. Ma non più a tutti: per una decrescita felice è ora che i tifosi non si limitino solo ad aprire gli occhi, continuando a donar per fede quel che resta nel loro portafogli, e che la politica non si limiti più alle provocazioni di Mario Monti (“fermiamo il calcio”, disse il premier).

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Una tassa sulla bolletta della luce

così il Niger dà lo stipendio al ct

di LUIGI GUELPA (la Repubblica 14-01-2013)

Se un abitante del Niger leggesse che si stanno accendendo i riflettori sulla Coppa d’Africa potrebbe reagire in malo modo. Anche perché sta contribuendo di tasca propria all’accensione di ogni singola lampadina, sostenendo l’ennesimo sacrificio chiesto dal governo per inviare la nazionale di calcio al torneo di Johannesburg. Il presidente Mahamadou Issoufou in persona ha disposto infatti l’introduzione di una tassa pro tempore sulla corrente elettrica, stimando un introito pari a 3 milioni di euro. Denaro che verrà utilizzato per versare gli emolumenti (arretrati) al commissario tecnico tedesco Gernot Rohr, per l’acquisto da Al Jazeera dei diritti tv dell’evento e per pagare volo e albergo alla squadra che esordirà domenica prossima a Port Elizabeth contro il Mali. Si tratta di un sacrificio economico considerevole per una nazione prossima a una crisi alimentare senza precedenti (come riferiscono i dati dell’Unicef) e che «vanta» un reddito pro capite di poco superiore a un dollaro al giorno. Il governo guidato dal premier Brigi Rafini non è nuovo a imposte e balzelli last minute per patrocinare il pallone. Lo scorso anno infatti la trasferta delle «Menas», letteralmente «le gazzelle», in Gabon era stata agevolata da una tassa sulla telefonia mobile. Per tutto il periodo della Coppa d’Africa infatti su ogni telefonata effettuata col cellulare era stata applicata un’imposta pari a 1,5 centesimi di euro. Un onere significativo dato che il costo medio della chiamata al minuto equivale a quelle latitudini a 12 centesimi. E se l’anno scorso la popolazione non protestò, orgogliosa della storica qualificazione alla fase finale del torneo continentale, questa volta per le strade della capitale Niamey si sono segnalati cortei di protesta contro Issoufou. Il «padre padrone » del Niger viene accusato tra le altre cose di ospitare ormai da un anno e mezzo, a spese dei contribuenti, Saadi Gheddafi, figlio del defunto colonnello e conosciuto anche in Italia per aver «giocato» con Perugia, Udinese e Sampdoria. Gheddafi jr vive in una delle residenze presidenziali alla periferia di Niamey e secondo stime attendibili il governo nigerino avrebbe speso fino ad ora per mantenerlo quasi 2 milioni di euro. «Non poteva esserci regalo migliore di un ospite così illustre», ha dichiarato Issoufou di recente. Giocandosi con questa frase, tutt’altro che diplomatica, una possibile rielezione e le simpatie dell’Interpol.

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Il processo

Cannavaro e Grava in curva,

giovedì la Corte di giustizia federale

di ROBERTO VENTRE (IL MATTINO 14-01-2013)

Cannavaro e Grava hanno visto la partita dalla curva, come contro la Roma. L’hanno vissuta da tifosi in attesa del giudizio di giovedì a Roma della Corte di giustizia Federale (presidente Gerardo Mastrandea) che esaminerà il ricorso del Napoli sul meno due alla società (responsabilità oggettiva) e sulle squalifiche di sei mesi del capitano azzurro e del difensore casertano (omessa denuncia).

La società azzurra è difesa dall’avvocato Mattia Grassani, affiancato da Virgilio D’Antonio, docente di Diritto privato comparato presso l’Università di Fisciano, professionista salernitano al quale si è rivolto il presidente De Laurentiis dopo il giudizio di primo grado.

Un ricorso che possa restituire al Napoli i due punti di penalizzazione e fare giurisprudenza, evidenziando la differenza che esiste tra illecito sportivo e tentato illecito, questo l’obiettivo della difesa del Napoli. La novità è rappresentata dal fatto che il Napoli non punterà più al concetto di parte lesa, che alla Disciplinare ha sbattuto sul muro della rigidità procedurale della giustizia sportiva. Il professore D’Antonio intende puntare a far emergere quello che già avviene nella giustizia ordinaria: la differenza sostanziale e formale tra un tentativo di illecito e un illecito vero e proprio e che pertanto la società e i suoi tesserati devono essere assolti. Eventualmente, ci sarebbe un terzo grado di giudizio, rappresentato dal Tribunale nazionale dello sport del Coni.

La strategia è chiara, il Napoli punta all’assoluzione piena su tutti i fronti nel processo per l’illecito tentato e non attuato dall’ex portiere Gianello in occasione dell’ultima partita del campionato 2009-2010, persa dal Napoli per 1-0 sul campo della Sampdoria il 18 maggio 2010.

Le richieste del Procuratore Palazzi erano state: un punto di penalizzazione per il Napoli e nove mesi di squalifica per Cannavaro e Grava. In primo grado i giudici della Commissione Disciplinare hanno deciso di aumentare la pena al Napoli (due punti di penalizzazione) e di ridurre quella per il capitano e il difensore (sei mesi).

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Il commento

Ora cancellare l'ingiustizia

di MARCO CIRIELLO (IL MATTINO 14-01-2013)

Il futuro entra negli spogliatoi prima che accada sul campo. Sembra un film, ma è solo il tentativo del portiere di riserva, Gianello, di una combine rifiutata da Cannavaro e Grava, non denunciata e punita.

Era il maggio 2010, il Napoli non pensava di trovarsi in corsa per vincere lo scudetto, e invece ora che accade, ha un peso improprio di una penalizzazione che ne invalida il campionato. Per quel tentativo di combine ha perso il capitano Cannavaro e il difensore Grava per sei mesi, e ha due punti in meno in classifica. Senza quei due punti sarebbe a una sola vittoria dalla Juventus, con uno scontro diretto in casa, e la possibilità storica del primo posto. Sì, è un gioco di se e ma, in mezzo c’è una decisione che il 17 gennaio la Corte di giustizia della Federcalcio, potrebbe rivedere, accogliendo il ricorso del Napoli. I motivi sono molteplici, quello principale è che colpisce la società nel campionato in corso e non all’inizio del prossimo, come sarebbe giusto. Basterebbe pensare al caso Mauri, giocatore fondamentale per un’altra squadra che pure lotta per lo scudetto, la Lazio, fortemente coinvolto nell’inchiesta sulle scommesse, che serenamente gioca segna e fa segnare.

La questione è che non c’è una decisione unanime, ma un caso per caso, e l’anomalia di questo decidere volta per volta e non con una sentenza unanime, crea il caos. E il caos non fa bene alla giustizia, se ci sono delle infrazioni è giusto che si puniscano ma allo stesso modo e con penalità inflitte prima dell’avvio del campionato come è accaduto per la Sampdoria, il Siena e per l’allenatore della Juventus, Conte. Invece, messa giù così diventa una trama di Stephen King col passato che altera il futuro in corso. C’è la beffa di ritrovarsi a giocare con un peso improprio la partita più importante degli ultimi 30 anni, e di perdere una occasione storica, quella che Hamsik, Cavani e Mazzarri dribblano nelle parole, e si chiama scudetto.

I più smaniosi e sensibili al complotto vedono questa penalizzazione come una catastrofe pilotata, il resto ha accettato la cosa passivamente. Ma noi invece, che siamo crociani, pensiamo che il presente richieda la valutazione e la scelta degli avvenimenti in atto, che non devono essere accettati passivamente. Chi governa gli sport dovrebbe difendere l’allegria e la speranza come un diritto oltre a far rispettare le regole, le cose sono intrecciate. Non in questo caso. Ogni vittoria del Napoli ha questo buco che, nelle ultime due settimane, si è allargato come una ferita e fa male a una città che ha nello sport l’unica possibilità di fuga, anche perché tutti sanno che nessuno ha vinto mai un campionato con una penalità che gli piomba addosso in corsa. Per quanto ci sia un Cavani fuori dalla normalità calcistica che condiziona le partite come solo Ibrahimovich ha fatto in passato, c’è una istanza psicologica e matematica che spariglia quello che la squadra apparecchia. Si vivono i due punti come una colpa, per via della sproporzione tra omissione e pena inflitta.

Il calcio significa troppe cose per Napoli, come solo in altre poche città nel mondo, e se anche la giustizia si mette in fila col torto, all’improvviso, poi, è come abbattere i palazzi abusivi senza far uscire la gente che li abita. Perché le sentenze non dovrebbero avere il suono della condanna ma della possibilità, sempre.

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la Repubblica - Napoli 14-01-2013

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INCIDENTI PRIMA E DOPO LA GARA

Gli ultras Juve assaltano un bar

E’ stato preso di mira uno dei ritrovi dei tifosi gialloblù:

due feriti tra i sostenitori emiliani, uno in serata tra i bianconeri

di ALESSANDRA GIARDINI (CorSport 14-01-2013)

PARMA - Qui non è mai una partita come le altre. Per i tifosi del Parma quella contro la Juve è il derby, chissà perché. Forse perché fu proprio Parma-Juve la prima, storica partita in serie A, nel lontano ’90-91. Forse perché contro la Juve, nel ‘92, il Parma vinse il suo primo trofeo, la Coppa Italia. O magari per alcune supposte ingiustizie. Sono passati tredici anni da un altro uno a uno, quello passato alla storia per il gol “definitivo” di Hernan Crespo, quello del pareggio al 92’ in nove contro undici, con Dino Baggio che aveva fatto il gesto dei soldi con le dita all’indirizzo dell’arbitro Farina. Insomma, anche se Donadoni cerca a tutti i costi di farla sembrare una partita come un’altra, Parma-Juve un po’ di brivido ce l’ha sempre. Peccato che a qualcuno non basti mai quello che si vede in campo. Ieri mattina, infatti, alcuni ultrà della Juve, arrivati a bordo di due pullman (da Milano, sembra) sfuggiti al controllo delle forze dell’ordine, hanno preso d’assalto il bar Gianni, tradizionale ritrovo dei tifosi del Parma, a circa 150 metri dal Tardini, in zona Cittadella.

Secondo alcuni testimoni, il gestore del locale vedendo arrivare gli ultrà avrebbe abbassato le serrande, a quel punto i tifosi bianconeri si sono scagliati su bidoni e transenne con bastoni e spranghe di ferro: negli scontri che ne sono seguiti hanno avuto la peggio due tifosi del Parma, lievemente feriti. Uno di loro, un trentottenne di Busseto, una volta medicato e bendato, è riuscito comunque ad andare alla partita. Secondo le forze dell’ordine, l’assalto sarebbe stato premeditato. La polizia è arrivata sul luogo degli scontri quando gli ultrà bianconeri si erano già dileguati. Segnalati anche alcuni tafferugli, senza feriti, nella zona di San Leonardo, non lontano dal casello autostradale di Parma. Detto che Parma-Juve è una sfida classica, bisogna purtroppo aggiungere che le due tifoserie non si amano anche se in passato non c’erano stati episodi del genere. Infatti la tragica morte di Matteo Bagnaresi, tifoso del Parma travolto il 30 marzo del 2008 da un pullman nell’area di servizio Crocetta Nord lungo la Piacenza-Torino, poche ore prima di uno Juventus-Parma, non è da considerarsi un incidente fra tifosi opposti. Al termine della partita di ieri si sono poi verificati nuovi scontri, questa volta a ridosso dell’ingresso della tifoseria bianconera e questa volta ad avere la peggio è stato un tifoso juventino di Novara picchiato da alcuni rivali. Anche per lui comunque ferite di lieve entità.

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GLI INCIDENTI

Ultrà bianconeri seminano il panico in centro

di SILVIA GILIOLI (Il Messaggero 14-01-2013)

Ancora scontri fuori dallo stadio Tardini. Avvennero nel maggio 2008, per Parma-Inter, con scudetto ai nerazzurri e retrocessione emiliana, e nel febbraio 2006, per una trasferta della Roma, con l'accoltellamento di untrentenne parmigiano.

Ieri, verso mezzogiorno, una settantina di tifosi juventini arriva da Milano, su due pullman. In mancanza delle forze dell'ordine, armati di bastoni e spranghe di ferro, prendono d'assalto il bar Gianni, in viale Duca Alessandro, nei pressi della Cittadella, ritrovo dei tifosi crociati. Il gestore raccoglie i presenti nel locale e abbassa le saracinesche, mentre all'esterno c'è il finimondo, con lancio di transenne metalliche e di cassonetti della spazzatura.

Danni per migliaia di euro, due tifosi del Parma contusi, un 38enne di Busseto è medicato al pronto soccorso per una ferita alla fronte e poi dimesso, mentre alcuni bambini che assistono alla scena restano choccati. «Ero a spasso con mio figlio - racconta un parmigiano -, è stato uno spettacolo indegno». L'agguato era pianificato.A duecento metri dallo stadio, dapprima erano passate due auto, a forte velocità, aprendo la strada a quei settanta. Un'azione di pochi secondi e all' arrivo della polizia la fuga verso la curva ospite.

Prima della gara, tafferugli anche nel quartiere San Leonardo, a nord di Parma, nei pressi del casello dell'Autosole, fortunatamente senza feriti. E, al termine, nuovi scontri. All'uscita della tifoseria juventina dalla curva sud ha la peggio un novarese, picchiato da alcuni ultras emiliani, se la cava con ferite lievi.

Ai parmigiani la Juve è antipatica dalle sfide di metà anni '90, con in palio trofei,mala rivalità è degenerata per la prima volta. Cinque anni fa, il 30 marzo del 2008, morì a 28 anni l'ultrà gialloblù Matteo Bagnaresi, a cui è dedicata la curva di casa, al Tardini: fu una fatalità, con la retromarcia del pullman nell'area di servizio Crocetta Nord, lungo la Piacenza-Torino, poche ore prima di Juventus-Parma. A ogni partita casalinga, la zona dello stadio è sempre controllatissima, il fatto che l'impianto sia in centro storico complica però il lavoro degli agenti.

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IL SECOLO XIX 14-01-2013

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INCIDENTI A PARMA IN SERATA IDENTIFICATI GLI OCCUPANTI DI DUE PULLMAN «SOSPETTI»

Ultrà Juve assaltano un bar pieno di famiglie

Vile attacco di 70 incappucciati a un bar vicino al Tardini: c'erano anziani e bambini

di ANDREA TOSI (GaSport 14-01-2013)

La vigilia della sfida del Tardini è stata movimentata da incidenti avvenuti in città, poco lontano dallo stadio, che hanno visto protagonisti una settantina di tifosi juventini arrivati con due pullman da Milano nella città emiliana intorno alle undici del mattino. I sostenitori bianconeri, in gran parte col volto coperto e armati di bastoni e altri oggetti contundenti, hanno assalito il bar Gianni, ritrovo abituale dei sostenitori emiliani, nella centrale via Duca Alessandro, devastando alcune suppellettili e la parti esterne col lancio di un paio di rudimentali bombe carta. C'è stato un momento di panico e grande paura anche perché in quel momento il bar era frequentato da anziani e famiglie con bambini, due avventori che si trovavano all'interno del locale per consumare un aperitivo, sono stati feriti.

Feriti Il più grave, un 38enne residente a Busseto che indossava una sciarpa coi colori gialloblù, ha riportato un taglio alla fronte causato da una bastonata. Condotto all'ospedale Maggiore per le cure del caso (alcuni punti di sutura), è stato dimesso nel pomeriggio senza ulteriori conseguenze. Immediatamente è intervenuta la Polizia per riportare l'ordine senza compiere fermi perché i sedicenti tifosi si erano nel frattempo dileguati. Il gestore è riuscito a limitare i danni, comunque abbastanza pesanti, abbassando la saracinesca dell'esercizio. Anche nella periferia nord di Parma, in zona San Leonardo, sono stati registrati alcuni tafferugli.

Dopo gara Invece un giovane juventino, a fine gara, è rimasto contuso alla testa dopo uno scontro con un gruppo di ultras emiliani. Peraltro, il deflusso dallo stadio è stato regolare, senza ulteriori contatti tra le due tifoserie.

Identificati In serata le forze dell'ordine hanno fermato due pullman di tifosi juventini e hanno provveduto all'identificazione totale. Da valutare le specifiche responsabilità da codice penale dei singoli mentre, per tutti, dovrebbe scattare un daspo di 5 anni se il gruppo risulterà essere lo stesso dell'assalto al bar. Il calcio può fare tranquillamente a meno di deficienti che, alla domenica mattina, si mettono a picchiare dei papà a passeggio con i bambini.

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la Repubblica 14-01-2013

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SCONTRI ANCHE DOPO LA GARA

Ultrà bianconeri

assaltano un bar

di ANTONIO BOELLIS (TUTTOSPORT 14-01-2013)

PARMA. Parma-Juve è da sempre una partita ad alto rischio per l’ordine pubblico. I fatti accaduti ieri, prima dell’inizio della partita, sono l’ennesima conferma: poco dopo le 12 un nutrito gruppo di tifosi juventini, a quanto pare giunti da Milano bordo di due pullman, hanno assaltato il Bar Gianni in via Duca D’Alessandro, abituale luogo di trovo dei Boys (storico gruppo ultras del Parma). Il bilancio è di due feriti lievi: per uno di loro - un 38enne residente in provincia di Parma - che ha riportato una ferita alla testa, sono state necessarie le cure dei medici del pronto soccorso dell’ospedale Maggiore. Stando al racconto del titolare del bar e di alcuni testimoni, circa 70 tifosi bianconeri con il volto parzialmente coperto dalle sciarpe, armati di bastoni, bombe carta e bottiglie di vetro, hanno preso d’assalto il locale, distante 300 metri dallo stadio Tardini e affollato di tifosi gialloblù, ma anche di famiglie e bambini, rimasti terrorizzati. Per fortuna il proprietario è riuscito ad abbassare le saracinesche, impedendo ai teppisti di entrare. All’esterno del bar sono rimasti solo alcuni tifosi gialloblù, aggrediti con pugni e bastonate. Lo scontro è durato un paio di minuti, poi sono arrivati carabinieri e polizia e gli ultras bianconeri si sono dileguati. «Siamo salvi per miracolo» esclama il titolare del locale. «Poteva finire molto male, erano armati fino ai denti» aggiunge un altro testimone. Sull’accaduto indaga la polizia che in queste ore sta cercando di identificare gli aggressori. Poco dopo le 12 altri momenti di tensione nella zona nord della città, nei pressi del casello autostradale. Nuovi tafferugli tra opposte tifoserie, ma per fortuna nessun ferito. Gli scontri sono proseguiti anche al termine della partita, in via Torelli, sempre nei pressi dello stadio. Due gruppi di tifosi sono venuti in contatto e un tifoso juventino residente a Novara ha riportato una ferita al volto.

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Fans pay for their loyalty but clubs

know which buttons to press

by SEAN INGLE (The Guardian 14-01-2013)

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Illustration: David Humphries/Graphic

The moment Manchester City returned 912 tickets, priced at £62 a pop, for Sunday's trip to Arsenal, the nostalgics become futurologists. There were predictions of a growing fans' backlash. An overdue realignment in the relationship between club and supporter. A line in the sand.

The broader evidence, alas, does not yet back that up. Despite a raging recession, galloping ticket prices and the growing predictability of the Premier League, fans are still flocking to stadiums, buying the merchandise; sucking it up.

The extent of fan – what is the right word? Loyalty? Lust? – for football in the modern era is staggering. Between 1983-84 and 1988-89, as Britain boomed, top-flight attendances averaged under 20,000 for four out of six seasons – yet from 2009 to 2012, with an economy mired in stagnation, average Premier League attendances for each season bobbed gently between 34,215 and 35,363.

These figures seem jumbled up, twisted. They are not. And seat occupancy rates – perhaps a better indicator – have barely changed either: 92.4% in 2009-10, 92.2% in 2010-11 and 92.6% last season. They may even be rising. According to a league spokesman, seat occupancy is 95% for the 2012-13 season.

Those statistics are even more remarkable when you consider how much ticket prices have gone up. A 2011 study by Dave Boyle for the High Pay Centre found the cheapest ticket to see Manchester United in 1989 cost £3.50 – with Liverpool £4 and Arsenal £5. Adjusted for inflation, those tickets would still have been under £10 in 2011. Instead they went up between 700 and 1,025%.

Of course there is churn every season, with some fans deciding enough is enough. But what is striking in the top-flight is how robust this support remains. Take Spurs: White Hart Lane has a capacity of 36,000 – and a season ticket waiting list of 39,850.

How can this be? Fan loyalty, of course, has much to do with it: once you are in, you are often hooked. Although academics differ on how much loyalty affects demand for tickets – fans are hardly a uniform group – everyone agrees that for many supporters it is unflinchingly deep. As one study wryly put it: "How many shoppers will sing 'loyal customers' as they make their weekly shopping trip to Asda?"

That is not new. What has changed during the past decade is the extent to which clubs have massaged this loyalty and cultivated fresh fans. They now know exactly which supporters' buttons to press .

As an executive from one Premier League club put it: "If a club can capture a fan at seven or eight they know the average amount they will make from them in their lifetime. And if they don't know, they're not doing their jobs." I know of one club that has investigated how much revenue they might make in future decades by giving every seven-year-old close to their stadium a free team shirt.

Clubs would also argue that their product has become classier in the Premier League era, thus justifying higher ticket prices. There is some truth in that. In the 1990s stadiums improved, ensuring hooliganism slunk away from the grounds and middle-class fans felt safer attending. Better players also arrived post Euro 96, further swelling the numbers watching.

But it has been only in the last 10-12 years that clubs have zeroed-in on maximising revenue for every seat and supporter. Ticket prices used to vary little between stands or opponents. Now football has become like the theatre, with a wide variety of price points even in the same section of a ground.

As professor Robert Simmons of Lancaster University's management school, who has investigated football for two decades, puts it: "Clubs are cuter than they used to be. They are continually staying one step ahead." Dave Boyle, once the chief executive of Supporters Direct, is blunter: "The clubs have either been incredibly clever, or fans have been incredibly stupid. I think it's more of the latter."

But while dynamics around every club are unique and constantly changing, a central tenet remains. It's all about supply and demand. "We just wring it out," says one club official. "We maximise every seat for the highest amount we can get." Increasingly that includes using companies such as Viagogo and StubHub to capitalise on the secondary ticket market.

Fulham, for instance, have broadened their fan base by advertising in Visit Britain and establishing a neutral section for casual supporters and tourists. Spurs have a scheme for junior members called My Home Debut – that lets them do a lap of honour to crowd applause before their first game.

Indeed, as professor David Forrest of Salford University points out, it could be worse. "The stadia are so often full, which suggests there is room for further price increases," he says.

This is not to suggest that aggrieved supporters do not have a legitimate case. Or that the Premier League might yet throw them a bone or two – such as providing free coach travel for away fans – because they know that packed stadiums are a major selling point. But while fans continue to display the sort of loyalty that would impress a cocker spaniel, radical change is unlikely.

The prices will climb, the tills will trill and the carousel will continue to whirl.

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Sport faces barren future left in

hands of those who uproot tradition

by TONY EVANS (THE TIMES 14-01-2013)

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Football’s lingering identity crisis was thrown into sharp relief by the City fans’ mini-protest about admission prices Anthony Devlin

The journey to yesterday’s Super Sunday started with two churches and two groups of workmates. In a railway depot in East Manchester and an armaments factory in South London, workers got together to play sport for pleasure.

What would the groups of workers who formed teams to play football for recreation have made of their mutated descendants, Manchester United and Arsenal?

And how would the congregations of St Domingo’s and St Mark’s view Liverpool and Manchester City, the entities that grew from those parish initiatives? Perhaps they’d think it the most perverse case of transubstantiation in history.

The four clubs who met in televised matches yesterday illustrate just how disconnected the game is from its roots.

Football’s lingering identity crisis was thrown into sharp relief by the City fans’ mini-protest about admission prices at the Emirates. More than 900 tickets were sent back as the away supporters refused to pay an inflated entrance fee. Any thoughts that this would be the first rumblings of a fans’ uprising were soon undermined. Arsenal fans had little sympathy, somehow equating Sheikh Mansour’s spending and budget with that of the disgruntled City stayaways.

Then, the City supporters who stumped up Arsenal’s prices sang “£62 and we’re still here” with glee. Being fleeced was a point of pride. It was classic fan behaviour from both sides. Sectarian, blinkered and mired in short-termism. Ticket prices are prohibitive for many, but this is only the beginning. Wait until Financial Fair Play (FFP) kicks in.

The new television contract — with its 71 per cent increase in revenue — might have given Premier League clubs some incentive to keep ticket prices down, but Michel Platini’s crackpot FFP scheme kills that idea. The Football Supporters’ Federation estimates that the TV money would allow clubs to cut ticket prices by £32. Clearly that would never happen, but the fiscal bonanza might have encouraged a slowing down of prices. FFP does the opposite.

By tying expenditure to income, FFP will make squeezing every penny out of every income source imperative to bankroll the transfer and wages arms race. It means that the make-up of a football crowd is likely to change even more than it has over the past 20 years.

Richard Scudamore talked yesterday of “95 per cent occupancy” of seats in the Premier League. The league’s chief executive also noted the “shift in the demographic of the audience”.

Much of what Scudamore alludes to is positive. More women and minorities watch football live than before. The Premier League has created a feeling of inclusiveness. However, large sections of society are increasingly being priced out. FFP will make it worse. The people’s game is becoming the spectator sport of the rich.

And football is treading dangerously by alienating its traditional audience.

The road from the canteen and chapel to Super Sunday was built on loyalty and the power of mass participation. The belief that football is not mere entertainment but a symbol of a community has been the philosophical force that has driven its growth.

Today, financial investment is valued more than emotional investment. But to make the game elitist would remove its foundations.

Full houses and the noise they provide make the televisual experience more compelling. This is taken for granted. Platini’s manifesto for greed assumes that the “big” clubs will always pack their stadiums. FFP will ringfence the superpowers.

Uefa expects that demand to watch Real Madrid and Manchester United will never fade. In Nyon, they are only thinking about their cash cows. Can’t afford £62? Tough.

The Arsenal fans’ reaction to the visiting supporters’ complaints tells us there will be no mass protest. Any empty seats will not be generated by boycotts. Fans will continue to pay until devotion becomes just too expensive. Then they will stop turning up.

Loyalty is hard to buy but easy to squander. FFP and the desperate pursuit of income may be the tipping point. Squeezing every penny from supporters could cost the game dear. Growth needs roots. And football has forgotten where it came from.

Modificato da Ghost Dog

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Tempo Scaduto di ALIGI PONTANI (Repubblica.it 14-01-2013)

Abete rieletto, allora va tutto bene...

Non si cambia, certo che no. Il calcio non ama mai farlo, è uno sport conservatore, dev'essere per questo che conserva fiero i suoi guasti e i suoi capi. Va avanti con giudizio: rielegge Giancarlo Abete per il prossimo quadriennio, senza neppure provare a trovare alternative. E' lui l'uomo giusto per guidare il movimento, lo dice la democrazia delle elezioni federali, nella perfetta e sana autonomia garantita allo sport di scegliersi la sua classe dirigente. Va tutto bene, no? Dunque, che bisogno c'è di cambiare?

Abete è una brava persona, onesto e lavoratore, ci mancherebbe altro. E' in federcalcio da 25 anni, non ha mai rubato nulla, mai uno scandalo che lo riguardasse in prima persona, mai un passo falso nei toni e nelle maniere, ottime amicizie, eccellente famiglia, solide conoscenze e innata capacità di stare al mondo, nel bene e nel male, appresa da giovane deputato della vecchia Dc. Guida il calcio come presidente da poco meno di sei anni, dunque ne è il responsabile oggettivo, come lo era Franco Carraro a tempi di Calciopoli, quando Abete era il vice: Carraro si dimise, oggettivamente travolto dalla scandalo, Abete invece rimase al suo posto, oggettivamente distratto. Non aveva visto né sentito nulla, di tutta quella rumorosa gente che secondo i processi sportivi e penali manometteva i cardini del suo sport, ma può capitare, non era lui quello oggettivamente responsabile della baracca. Lui lo è diventato dopo, e ha fatto questo: ha scelto Lippi per il mondiale 2010, licenziando Donadoni, e si sa com'è finita in Sudafrica; ha candidato l'Italia per organizzare due edizioni degli Europei, finendo dietro Ucraina e Polonia la prima volta e dietro Francia e Turchia la seconda; ha gestito il dopo Calciopoli prendendo e perdendo tempo due, tre anni, fino a decidere che non si poteva decidere nulla e dunque nulla fare, e pazienza se le scorie avvelenano ancora tutti e la Juventus ha fatto causa alla Figc per 444 milioni; ha preso Prandelli per il dopo Lippi, stavolta azzeccando in pieno la scelta, anche se poi Prandelli se l'è un po' dovuta cavare da solo nei rapporti con i club fornitori dei giocatori azzurri, avendo la Figc rapporti ridicoli con la lega di serie A; ha assistito a sua insaputa all'esplosione dello spaventoso scandalo delle scommesse, scrollando le spalle prima ("pochi episodi isolati"), promettendo tolleranza zero poi, scivolando infine nel limbo del caos organizzato, quello che permette alla sua procura federale di gestire indagini e processi senza alcuna omogeneità né di giudizio né di tempi; ha assistito da spettatore alla fine degli spettatori negli stadi, ormai ridotti a sinistre rovine del bel passato che fu il calcio dal vivo in Italia; infine, ha soprattutto auspicato, perché Abete è uno che auspica molto: una legge sugli stadi, un clima migliore tra lega di A e Figc, una maggior collaborazione tra club e nazionale, un efficace contrasto dei fenomeni criminali che inquinano il calcio, una ferma risposta al fenomeno del razzismo, un maggior rispetto per la classe arbitrale.

Agli auspici, purtroppo, non sono seguiti fatti o provvedimenti che modificassero il quadro, ma dev'essere colpa di qualcun altro, se il calcio ha deciso una conferma tanto trionfale, neppure provando a chiedersi: non sarà il caso di provare a fare di meglio? Evidentemente no, al calcio va bene così. Io auspichiamo che me la cavo.

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