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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Differenze di opinione sugli investimenti fatti per la squadra di calcio e per l'editoria

Baruffa in casa Agnelli per la Juve

Si accendono i primi focolai tra John Elkann e Marchionne

di Sergio Luciano - Italia Oggi - 15-11-2012

Cime tempestose a Torino, dentro casa Agnelli e tra John Elkann e Sergio Marchionne. Niente di grave, almeno per ora: ma si tratta di due piccoli-grandi focolai di dissenso scoppiati sulla Juventus e sull'editoria, che stanno seminando zizzania da una parte tra John Elkann e il cugino Andrea e dall'altra, soprattutto, tra John e Marchionne. Di che si tratta? Si tratta di soldi, soldi da spendere in un momento di penuria, in cui peraltro è preferibile piangere miseria e non certo dissipare le risorse della Real Casa, che ha contro metà opinione pubblica del Paese per il rischio permanente dei tagli all'occupazione Fiat in Italia. I soldi di cui si tratta sono quelli da spendere per ricapitalizzare l'Itedi, la holding editoriale che controlla La Stampa, con un'iniezione di almeno 15 milioni di euro, ma forse 25; soldi da spendere (qui potrebbero essere un'ottantina, i milioni di euro) per sottoscrivere la quota Fiat nell'inevitabile aumento di capitale Rcs: per poi, pensa Marchionne, vedersi maltrattare dal Corriere della Sera anziché essere ossequiato a comando; soldi da spendere (41,5 milioni) per realizzare le nuove infrastrutture della Juventus, davanti allo Stadio delle Alpi, su 33 mila metri quadrati della Cascina Continassa, inopinatamente svenduti dal Comune alla squadra (a 58 centesimi al metro!) per contribuirne agli allori e soprattutto perché, povero sindaco Fassino, quattrini da investire per riqualificare in proprio quell'area proprio non ce ne sono. E allora...chi meglio della Juve? Su quest'ultima iniziativa, è stato John (prima e più che Marchionne) a risentirsi con Andrea la Juve, del resto, è controllata dalla holding di famiglia, la Exor, e quindi sono soldi che, semmai, potrebbero essere meglio investiti in Fiat, ma, quanto meno, non escono dalle casse Fiat; sulle due «necessità » editoriali invece ad essere scossa è proprio la cassa Fiat, che Marchionne custodisce gelosamente. Ma come dire no a John sul tema più caro a nonno Gianni, anche più della Juve? Quanto alla Juve. si vedrà. alla fine. quale compromesso troveranno i due cugini. Certo che, per la giunta di Fassino, quest'operazione è stata quasi un autogol, che oltretutto spaccata in due la maggioranza (cinque consiglieri della maggioranza «ribelli», due hanno votato contro, il democratico Mangone e l'ex assessore dell'Idv Sbriglio, e tre si sono astenuti, i «renziani» Alunno, Genisio e Muzzarelli).

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RETROMARCIA DEI NUOVI SOCI: A RISCHIO PURE LO STADIO

Interi i milioni dei cinesi •A PAGINA 10

Dietrofront cinese

E l'inter si infuria

A rischio lo stadio e i 55 milioni del 15 per cento Ma la società ribatte: «Ci sono i contratti firmati»

STEFANO PASQUINO - Tuttosport - 15-11-2012

MILANO. C'è una muraglia tra l'Inter e gli imprenditori cinesi che, in base agli accordi firmati il 1° agosto, avrebbero dovuto rilevare il 15% del pacchetto azionario in possesso della famiglia Moratti. Il che, considerato che l'affare sarebbe stato propedeutico anche alla costruzione del nuovo stadio - grazie all'intervento della China Railway Construction Corporation - mette seriamente in dubbio pure la realizzazione dell'impianto di proprietà tanto desiderato da Massimo Moratti. Una trattativa, quella con Pechino, nata male (i cinesi non gradirono per nulla l'eco mediatica data dalla firma degli accordi), proseguita nell'incertezza e oggi vicina al punto di non ritorno. La questione rischia di avere comunque strascichi legali considerato che I'Inter, forte dei contratti firmati, potrebbe riscuotere importanti penali per insolvenza degli accordi presi, penali comunque che rappresentano una briciola rispetto ai 55 milioni di euro promessi dai cinesi che avrebbero ridato un po' di ossigeno ai bilanci nerazzurri, dopo che l'esercizio 2011-2012 ha chiuso con perdite superiori ai 77 milioni (e il prossimo non sarà molto meglio perché l'abbattimento del monte ingaggi sarà compensato dai mancati introiti per la partecipazione alla Champions, una perdita pan a 26-28 milioni).

I DUBBI DI PECHINO L'operazione che avrebbe portato i cinesi nel Cda dell'Inter si è incagliata tra problemi burocratici e difficoltà insormontabili nel trasferimento dei capitali tra gli imprenditori provenienti da Pechino e la holding che controlla I'Inter Secondo l'iter stabilito dalla legislazione cinese, come spiegato da ll Sole 24 ore e dal sito in-temei di La Repubblica, per rendere possibile l'operazione sono necessarie cinque autorizzazioni: quella del Ministero del commercio, dell'Ufficio cambi, del National Development and Reform Commission, di Sasac e Consob locale. Ma c'è dell'altro: a corredo, sarebbero infatti affiorate in seno alla cordata cinese alcune perplessità sia sull'investimento in sé (che implicherebbe una copertura delle perdite fin qui con cadenza annuale), sia sull'iter burocratico per il nuovo stadio nerazzurro che verrebbe costruito dalla China Railway Construction Corporation. Secondo fonti cinesi interpellate dal Sole 24 ore l'affare sarebbe -un equivoco destinato a chiarirsi nei prossimi mesi..

L'IRA DI MORATTI Non c'è nessun equivoco per Massimo Moratti che, da New York, ha seguito con grande trasporto tutta la vicenda. In proposito, da Palazzo Saras emerge una presa di posizione granitica sulla vicenda: -Non è saltata nessuna trattativa perché non si può neanche parlare di trattativa in quanto esistono dei contratti già firmati e vincolanti che non sono entrati ancora nella fase esecutiva. A tal proposito non c'è allarmismo, ma la volontà di lavorare per trovare una soluzione perché i contratti in essere diventino esecutivi Il disappunto dell'Inter è dovuto anche al fatto che i cinesi, dopo aver monitorato per mesi i conti dell'Inter, avevano condiviso pure il futuro piano industriale della società.

L'ULTIMO VERTICE Inter che, in questa fase è in una posizione di forza, considerato che, qualora - come tutto ormai fa pensare - i cinesi dovessero disattendere gli accordi presi, sarebbero previste una serie di penali legate alla condizione di insolvenza. In ogni caso tutto sarà più chiaro quando si sarà insediato il nuovo Comitato centrale nato dal 18 Congresso del Partito comunista cinese, organismo che dà indirizzo programmatico alla China Railway Construction Corporation. A tal proposito le parti potrebbero organizzare un nuovo (forse l'ultimo) appuntamento per capire se l'affare si può fare o è destinato a rimanere sulla carta. Per l'Inter l'impasse è dovuta soltanto alle difficoltà nel passaggio di capitali tra gli investitori cinesi e il club (un'operazione che dovrà coniugare le esigenze delllnter e le norme in vigore in Cina), il problema è che da Pechino arriva un'altra verità, legata al fatto che i cinesi non siano più per nulla convinti della bontà dell'operazione. Se così fosse, la rottura sarebbe inevitabile

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A MAGGIO IL PRIMO INCONTRO

Tutti i segreti di un affare durato sei mesi

Dopo i contatti iniziali, il l agosto il sito dell'Inter annuncia che un gruppo cinese diventerà il secondo azionista del club

22 MAGGIO Massimo Moratti incontra il presidente della China Railway Construction Corporation, Fengchao Meng, nella sede del colosso cinese delle costruzioni a Pechino. La Crcc comunica che si è parlato della realizzazione di un nuovo stadio.

1° AGOSTO Il sito dell'Inter annuncia che un "gruppo di investitori cinesi" entrerà nel capitale del club nerazzurro, diventandone "il secondo più grande azionista" (15%1). "Contestualmente China Railway e Inter hanno avviato una collaborazione per la costruzione di un nuovo stadio di proprietà entro il 2017". Vengono anche indicati i nomi dei tre nuovi membri del cda nerazzurro in rappresentanza dei nuovi soci: Kamchi Li, Kenneth Huang e Fabrizio Riodi.

2 AGOSTO China Railway smentisce l'acquisto di quote azionarie dell'Inter. "La trattativa riguarda solo la costruzione di un nuovo stadio". L'Inter in realtà aveva genericamente parlato di "un gruppo di investitori cinesi", ma la precisazione si rende necessaria perché la legge cinese vieta ad aziende pubbliche di investire all'estero al di fuori dal "core business", come sarebbe nel caso di una società di costruzioni che entra in un club calcistico

FINE AGOSTO Si inizia a parlare di un imminente "dosing", il termine tecnico che indica l'intesa esecutiva sul trasferimento di quote azionarie successiva alla firma del contratto. Ma questo passaggio continuerà a essere rivista.

29 OTTOBRE In programma l'assemblea dei soci che, oltre ad approvare il bilancio, avrebbe dovuto ufficializzare l'ingresso nel cda di Kamchi Li, Kenneth Huang e Fabrizio Rindi. Non e ancora possibile farlo, ma Moratti rassicura: «Chiuderemo entro l'anno. L'entusiasmo del nuovo socio sta crescendo».

14 NOVEMBRE L'annuncio del dietrofront, malgrado il viaggio in Cina del dg Marco Fassone nel tentativo di appianare gli ostacoli.

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LIPPI porta i cinesi al MILAN!

Guiderà a Milanello i dirigenti del suo Guangzhou: si parlerà del lóro ingresso nella società italiana

E l'ex ct mondiale potrebbe diventare dg rossonero

Sono in arrivo i cinesi di Lippi

L'ex ct, ora allenatore del Guangzohu Evergrande, guiderà una delegazione asiatica a Milanello

Dalla redazione Furlo Fedele

MILANO - Marcello Lippi come Marco Polo. In realtà l'ex-cittì campione del mondo farà il viaggio al contrario. Sarà lui a venire in Italia, a inizio dicembre, portando i cinesi alla Si discuterà di un possibile ingresso nella società rossonera. Per Lippi un futuro da dg nel Milan? scoperta del nostro calcio. Più precisamente di quello grifato Milan. E' attesa, infatti, per il primo week-end del prossimo mese una delegazione del club (Guangzhou Evergrande) che Lippi ha preso in consegna lo scorso maggio portandolo alla conquista del secondo titolo consecutivo nazionale. Gli ospiti cinesi assisteranno, fra l'altro, alla sfida di martedì 4 dicembre quando il Milan affronterà a San Siro lo Zenit di San Pietroburgo nell'ultima e decisiva partita del girone di qualificazione di Champions League.

CONTATTI - In questi mesi ci sono già stati numerosi contati] (anche in video-conferenza) fra via Turati e il management cinese che è particolarmente interessato a stabilire un solido rapporto d'affari con il Milan. Nonostante Liu Yongzhuo (presidente del Guangzhou) sia un potentissimo imprenditore edile (40.000 dipendenti; 2,7 miliardi di euro la stima del suo patrimonio personale) si parlerà soprattutto di calcio giocato e non di possibili investimenti sullo stadio che, a dire il vero, il Milan ha già anche perchè dovrebbe essere I'Inter (entro il 2017) a traslocare altrove. Il club cinese ha intenzione di allestire una squadra ancora più forte per la prossima stagione che sia in grado di vincere la Champions League asiatica. Obiettivo fallito da Lippi che nella scorsa edizione si è arenato ai quarti di finale. Eliminato dall'Al Ittiahd che si era imposto (4-2) nella gara d'andata mentre a Guangzhou la squadra saudita è riuscita a segnare il gol dell'1-2 che ha messo fuori causa Lippi. Per non fallire su questo fronte questo motivo la società cinese farà shopping a Milanello.

FUTURO - Lippi concluderà sabato la sua prima avventura cinese guidando il Guangzhou nella partita di ritorno della Coppa Nazionale. Sabato scorso, nella gara d'andata, ha pareggiato (1-1) in casa del Guizhou Renhe. Il tecnico viareggino è gratificato ancora da due anni di contratto con il club di Liu Yongzhuo che in due anni ha portato il Guangzhou dalla seconda divisione al successo in campionato. Un obiettivo che non può restare isolato, anche se il giovane (31 anni) e ambizioso uomo d'affari cinese avrebbe manifestato un certo interesse anche per il Milan.

PARTNER - Come è noto lo stesso Berlusconi aveva manifestato l'intenzione di individuare nuovi soci pronti a sostenere soprattutto la campagna-acquisti rossonera. Lo scorso 7 ottobre aveva disertato il derby per andare a festeggiare il compleanno dell'amico Putin. In quell'occasione aveva conosciuto il re dell'alluminio russo Oleg Deripaska. Un incontro che aveva alimentato le speranze di poter avere in tempi brevi un importante sostegno economico. Ma il presidente rossonero, pur accettando l'entrata di un socio, intende mantenere piena autonomia decisionale su tutti i fronti.

SOCI - Liu Yongzhuo potrebbe porre solide basi economiche all'interno del Milan iniziando con uno shopping importante (due milanisti da scegliere fra Robinho, Boateng e Mexes...) che avrebbe effetti immediati. Per poi passare, grazie alla figura garante di Marcello Lippi, a una presenza più radicata considerati anche gli ottimi rapporti personali del tecnico viareggino con l'ad Galliani e, in genere, con l'ambiente rossonero. Quindi, in tempi da stabilire, Lippi potrebbe diventare un dirigente (probabilmente con l'etichetta di direttore tecnico) a tutti gli effetti configurato come portavoce del potente e ricchissimo socio cinese. Che ha anche bisogno di un pregiato biglietto da visita come quello milanista per poter avere un certo credito internazionale soprattutto con i giocatori di alto livello.

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Invece gli asiatici si allontanano dall'Inter

L'ALTRO CLUB MILANESE

Gli investitori cinesi invece si allontanano dall'Inter

MILANO - Se la Cina sembra avvicinarsi ai colori rossoneri, pare clamorosamente allontanarsi invece da quelli nerazzurri. Resta da capire se in maniera definitiva. L'indiscrezione è di ieri pomeriggio ed è stata rilanciata dall'agenzia Radiocor. Il problema, come già emerso, riguarda l'esecuzione tecnica nell'operazione, in sostanza le modalità secondo cui dovrebbe avvenire, da una parte, il trasferimento del denaro, ovvero i 55 milioni di euro, dagli investitori cinesi all'Inter e, dall'altra, il passaggio del 15% delle quote. E' questa la ragione di tutti rinvii: da quello di fine agosto a quello del 29 ottobre, in occasione dell'Assemblea degli azionisti dell'Inter che avrebbe dovuto sancire l'ingresso del Cda dei 3 investitori cinesi (Kamchi Li, Kenneth Huang e Fabrizio Rindi). TCi sono lungaggini burocratiche, ma per Natale credo che ufficializzeremo l'accordo., aveva comunicato Moratti. Ebbene, pare che, a causa di ulteriori problemi burocratici, l'empasse sia diventata ancora più complicata da sciogliere, tanto da mettere a serio rischio la felice conclusione dell'intera operazione. E, a ruota, anche la realizzazione del nuovo stadio, in partnership con la China Railway Construction Corporation (Crcc).

DUBBI CINESI - Stando ai rumors, il raffreddamento verrebbe dal fronte cinese. La Crcc è una compagnia statale e la possibilità di effettuare investimenti all'estero deve passare attraverso 5 differenti autorizzazioni ministero del Commercio, Ufficio Cambi, National Deve-lopment and Reform Commission, Sa-sac e Consob locale, con una data limite che dovrebbe essere fissata per il 20 di novembre. Evidentemente, la situazione è lontana dallo sbloccarsi e da qui sarebbero nate tutte le perplessità. Entrare in una società calcistica, infatti, imporrebbe anche la copertura delle perdite. Senza trascurare inoltre che le lungaggini burocratiche italiane renderebbero meno appetibile anche il business della costruzione del nuovo stadio.

RASSICURAZIONI - Al momento non esisto- no conferme ufficiali. Anzi, le parti garantiscono che le comunicazioni non si sono interrotte - prova ne sia il recente viaggio in Cina del dg nerazzurro Fessone, che però potrebbe essere interpretato pure come un segnale delle crescenti difficoltà - e che, anzi, proseguono proprio allo scopo di trovare una soluzione. ,4E' sbagliato sostenere che sia in corso una trattativa - fanno sapere da corso Vittorio Emanuele -. Perché una trattativa c'è già stata ed è stata conclusa ad agosto, con le regolari firme su contratti vincolanti. Non c'è stata alcuna rottura, il problema è soltanto l'eccessiva lentezza dell'eseguibilitd degli accordi..

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L’inchiesta sul tifo estremista

Sei anni di violenze

Indagati 147 ultrà

A sei contestata l'associazione per delinquere

di GIULIANA UBBIALI (Corriere della Sera - Bergamo 15-11-2012)

Le scritte sul palazzo del governo contro il prefetto e il questore e quelle ai tornelli dello stadio contro la Digos, gli scontri in occasione delle partite dell'Atalanta contro il Catania e contro l'Inter, la manifestazione davanti alla questura, l'assalto al centro Bortolotti di Zingonia, le bombe carta alla Bèrghem fest contro la tessera del tifoso. E, ancora, supporters avversari e un giornalista aggrediti. Non fatti isolati, ma anelli di una stessa catena. Episodi — quelli dal 2006 al 2010 (i pestaggi sono del 2011 e del 2012) —, che per il pubblico ministero Carmen Pugliese sono stati organizzati da un'associazione per delinquere con tanto di capo, fedelissimi, partecipanti occasionali, ruoli e gerarchie, ritrovi e programmazioni.

Il pm contesta l'associazione a sei tifosi atalantini. I loro nomi sono nella lista dei 147 indagati a cui è arrivata la notifica della chiusura delle indagini sul tifo violento: 56 sono catanesi, gli altri atalantini. Ora hanno 20 giorni per presentare le memorie difensive, poi il pm deciderà se chiedere il rinvio a giudizio. Gli «associati» sono Claudio Galimberti, alias «Bocia», 39 anni, capo della curva, «promotore e organizzatore». Gli altri cinque «con il ruolo di partecipi» sono Andrea Piconese, «Pico», 26 anni, di Osio Sotto; Luca Valota, «Leu», 33 anni, di Grassobbio; Davide Francesco Pasini, «Pazol», 27 anni, di Crema; Andrea Quadri, «Rasta», 24 anni, di Stezzano e Giuliano Cotenni, «Conte», 45 anni, di Villongo. A Daniele Belotti, ex assessore regionale della Lega, è contestato il concorso esterno, come «consigliere» e, in alcuni casi, «organizzatore delle azioni di protesta». Altro nome noto — ma fuori dall'associazione — è Alberto Maffi, sindaco di Gandosso, accusato di aver fatto da vedetta durante gli scontri di Atalanta-Inter del 13 dicembre 2009. Contro di lui telefonate e sms a Galimberti, del tenore: «Ci sono i blu nascosti dentro. Rischio trappola», riferendosi — per l'accusa — alle forze dell'ordine.

Il gip a cui il pm aveva chiesto delle misure cautelari nei confronti dei sei ultrà, aveva mandato «in esilio» il Bocia ma aveva bocciato l'ipotesi dell'associazione. Ma il pm è convinto del contrario e la contesta ancora a fine indagini. Anzi, con l'aggravante di essersi associati «scorrendo per le pubbliche vie in armi», cioè «bottiglie, sassi e oggetti contundenti». Un «dettaglio» che vale una condanna da 5 a 15 anni. Il pm aveva supportato le richieste di misure cautelari con le intercettazioni telefoniche. Galimberti è il protagonista. «Se si perde e c'è la prestazione niente, invece al contrario si va a contestare fuori», diceva prima di Atalanta-Roma del 2009. «Il Quadri deve caricare i romani...voi dovete andare in carcere per uno scontro», altra conversazione che per il pm era la conferma della distribuzione dei ruoli. È dopo gli scontri di Atalanta- Catania del 2009 che il magistrato vuole vederci chiaro. «Il ripetersi di ripetuti atti di violenza faceva fondatamente ritenere che ci si trovava di fronte a un'azione ben programmata». Quindi le intercettazioni che «hanno evidenziato come gli scontri sono stati il frutto di una strategia programmata in anticipo, in base e in risposta al comportamento della squadra in campo». Almeno nove gli episodi. L'ultimo di un'escalation nell'agosto del 2010, alla Bèrghem fest, quando la protesta contro la tessera del tifoso era sfociata nel lancio di bombe carta e auto incendiate. Sul palco c'erano tre ministri, tra i quali Roberto Maroni (Interno). Atti che erano costati il trasferimento al questore Matteo Turillo. Poi una pausa. La violenza è tornata nel dicembre del 2011 con l'aggressione al giornalista de L'Eco di Bergamo Stefano Serpellini e, nel maggio del 2012, a due juventini.

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Il capo della curva La frase incriminata: «Còpel de bote»

Lo juventino picchiato

Accuse anche al Bocia

Il magistrato: «È stato lui a istigare»

La difesa «L’Associazione per delinquere è tutta da vedere, anche il gip l’aveva

bocciata. Valuteremo se rendere l’interrogatorio o presentare le memorie difensive»

di GIULIANA UBBIALI (Corriere della Sera - Bergamo 15-11-2012)

Claudio Galimberti, 39 anni, giardiniere, alias Bocia, capo della Curva Nord atalantina. E ancora, «promotore e organizzatore» dell'associazione per delinquere, scrive il pubblico ministero Carmen Pugliese nell'avviso di conclusione delle indagini sul tifo violento lievitate fino a 147 indagati. Con 33 procedimenti tra aperti e conclusi, tra penali e amministrativi (Daspo), Galimberti compare negli episodi più significativi elencati dal pm. E, notizia che non era ancora emersa, è accusato anche di essere «l'istigatore» del pestaggio di Francesco Mazzola, operaio di 40 anni, di Dalmine, «colpevole» di essere passato per Piazza Vittorio Veneto, a fianco dell'Atalanta store, con al collo la sciarpa della Juventus. Aveva appena festeggiato lo scudetto della Signora con il figlio e stava andando a prendere l'auto, quando è stato affrontato da un ultrà. Secondo l'accusa, Jean Luc Baroni, 27 anni, di Villa d'Almè, «lo ha colpito alla testa e al volto con una cintura munita di una grossa fibbia». Ma non era lì da solo. A dargli supporto Galimberti che «intimava al Baroni "còpel de bote"», tradotto uccidilo di botte. Un altro juventino subì lo stesso trattamento, ma non è stato identificato. Lo è stato invece, il suo aggressore, un terzo ultrà nerazzurro.

Nella carrellata di episodi contestati a Galimberti c'è di tutto. Dalle minacce alla partecipazione ai disordini allo stadio. Il suo ruolo di leader emerge più volte. Come quando, il 23 settembre del 2009, in occasione di Atalanta-Catania «minaccia gli agenti di ulteriori disordini peggiori di quelli già avvenuti se non avessero liberato i supporters già arrestati», scrive il pm. Che cita la frase del Bocia: «...altrimenti ho una curva dietro di me, qui salta tutto, ci vediamo dopo la partita». Quando, il 4 ottobre dello stesso anno, una Volante sta controllando dei ragazzi intenti a imbrattare i muri, lui grida ai poliziotti: «Vi spacco la faccia, domani brucio voi e la questura», tanto da far desistere gli agenti, «considerato che le minacce venivano proferite alla presenza di circa 30 amici e simpatizzanti del Galimberti», annota il pm. Nella carrellata ci sono anche Daspo violati, scritte contro la Digos sui tornelli dello stadio, sulla prefettura, la rissa in occasione di Atalanta-Catania e di Atalanta-Inter con tanto di lancio di oggetti pericolosi. E ancora, l'incursione al centro Bortolotti, l'assalto alla Bèrghem fest di Alzano e l'aggressione al giornalista Stefano Serpellini.

«Che l'associazione per delinquere sussista è tutto da vedere — commenta l'avvocato Enrico Pelillo, che assiste Galimberti insieme al collega Andrea Pezzotta —. Ricordo che il gip non l'aveva riconosciuta. Ora valuteremo se chiedere l'interrogatorio oppure se presentare le memorie difensive».

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Il politico Il pm: ha concorso all’organizzazione di proteste

«Belotti, consigliere

e consulente occulto»

Lui: ho già chiesto di essere interrogato

La svolta dopo Alzano «Dopo i fatti della Bèrghem fest non sono più andato

in curva, ma rimango un grandissimo tifoso e vado sempre alla festa della Dea»

di GIULIANA UBBIALI (Corriere della Sera - Bergamo 15-11-2012)

Daniele Belotti, 44 anni, ex assessore regionale della Lega, tifoso. Non solo. Per il pubblico ministero Carmen Pugliese è più di uno sfegatato della Dea. Tanto che nell'avviso di conclusione delle indagini sul tifo violento gli contesta il concorso morale nell'associazione per delinquere attribuita a Galimberti e altri cinque ultrà. Il ruolo è di «consigliere e di organizzatore, in alcuni casi, delle azioni di protesta».

Nella richiesta di misure cautelari ai sei associati, nel 2010 il pm si era spinto oltre, definendo Belotti «ideologo della tifoseria». Limato tutto il resto, sono quattro gli episodi contestati. Quando Galimberti chiede a Belotti se per l'esposizione dello striscione contro Guarente in campo era prevista la diffida, lui «gli assicura di no, evidenziandogli la necessità di chiedere l'autorizzazione al magistrato». Quando poi, sempre il capo della curva gli preannuncia disordini a seguito della diffida ricevuta da un altro ultrà proprio per quello striscione, il tifoso-politico «promette di interessarsi». E lo fa. Al Bocia risponde che «il questore si è impuntato». C'è poi la mano del leghista nei volantini di protesta contro le forze dell'ordine. «Sono arrivati dove dovevano arrivare», dice al telefono. «La paternità è stata accertata anche attraverso le tracce lasciate sul suo computer e trovate da un solerte giornalista», si legge nelle carte dell'inchiesta. Infine, quarto episodio, Belotti dà indicazioni in occasione della manifestazione di protesta davanti alla questura: «Per far casino c'è sempre tempo», viene intercettato al telefono. È la frase finale dopo altre: «Falla in silenzio — dice al Bocia che gli annuncia la protesta — , ne porti là 400 persone, arrivano giornalisti e fotografi e almeno si capisce, visto che questo qui (il questore, ndr) vuol farsi la carriera qua». Un benestare, secondo il pm.

L'indagato ha già chiesto di essere interrogato: «È un bene che le indagini siano arrivate alla conclusione. Così avrò la possibilità di chiarire la mia posizione», dice Belotti. Che assicura di essere «sereno». Eppure ci sono delle intercettazioni che dimostrano il suo legame saldo con la curva. Almeno fino ai fatti di Alzano, dopo i quali ha preso le distanze dalla Nord. «Chiarirò proprio sulla base delle intercettazioni che sono alla base delle accuse che mi vengono rivolte. Non entro nel merito perché è giusto che lo faccia davanti al magistrato». Addio curva, quindi? «Dopo la Bèrghem fest non ci sono più andato». Ma non è stato un addio all'Atalanta: «Resto un grandissimo tifoso e tutte le sere sono alla festa della Dea come volontario». E il Bocia? «Lo conosco dall'87. Non andando più in curva, i rapporti si sono ridotti. Ma è sempre una persona che conosco da 25 anni».

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LA PRESA DI DISTANZA CHE NON C’È

SE IL «BOCIA» DETTA LEGGE

di FABIO FINAZZI (Corriere della Sera - Bergamo 15-11-2012)

Impressiona il numero degli indagati: 147 ultrà. Impressiona la gravità dell'accusa per sei di loro: associazione per delinquere, grave quanto difficile da sostenere nei vari gradi di giudizio. Impressiona il coinvolgimento di un uomo delle istituzioni, l'ex assessore regionale della Lega Daniele Belotti, accusato di concorso esterno con il ruolo di «consigliere». Impressiona, infine, il clamore dei fatti evocati. Su tutti l'assalto alla Bèrghem Fest di Alzano (25 agosto 2010), con contorno di bombe carta, auto incendiate e altissima tensione per Maroni, Tremonti e Calderoli, i tre ministri sul palco. Un exploit che costò il posto al questore di Bergamo, Matteo Turillo, e una crisi di tormentato revisionismo anti-curva allo stesso assessore Belotti.

Ma soprattutto, in questa fenomenologia — ahinoi assai esaustiva — delle famigerate gesta degli ultrà atalantini, ci impressionano alcuni episodi solo apparentemente minori. Il primo riguarda un collega de L'Eco di Bergamo, Stefano Serpellini, colpevole agli occhi dell'inquisizione ultrà di fare (bene) il proprio mestiere. L'8 dicembre del 2011 fu affrontato all'esterno del tribunale (quello vero) da Claudio Galimberti detto il Bocia, il capo dei tifosi, preso per il bavero e colpito con una testata. Non si doveva permettere, il Serpellini, di dare notizia di un processo che riguardava un altro ultrà. Incredibile vero? Eppure è successo. Per la cronaca, l'articolo è regolarmente uscito. In compenso, una volta resa pubblica la storiaccia, ben poche voci indignate si sono alzate in città.

Che dire poi del pacifico supporter juventino aggredito nel maggio 2012 in pieno centro? Reato: avere esibito la sciarpa bianconera, in compagnia del figlio, in occasione della festa scudetto. Non sapeva, il poveretto, che è vietatissimo dalla legge extraterritoriale ultrà invadere il campo bergamasco. Condanna immediata. Pena: cinghiate in faccia. Ora si apprende un simpatico retroscena. Accanto al picchiatore, c'era il Bocia che incitava: «Còpel de bote», ammazzalo di botte.

Il quadretto non è ancora completo. In questa paciosa città di provincia, può infatti accadere che un'auto della polizia, incaricata di eseguire controlli su alcuni tifosi, venga accerchiata, minacciata e infine costretta a battere in ritirata da una banda di agguerriti ultrà capitanata dal solito Galimberti. Non vi ricorda in modo molto (troppo) suggestivo una di quelle scenette da profondo Sud dove la polizia a caccia di boss viene respinta dal quartiere in rivolta, provocando la nostra profonda indignazione di gente del Nord?

Bene, fermiamoci qui. Non sappiamo come finirà la vicenda giudiziaria, giunta alla fase di chiusura delle indagini. Ma poiché tra le carte emerge un intreccio di amicizie e coperture (penalmente non rilevanti) tra mondo ultrà, giocatori, ex dirigenti e perfino agenti della Digos, auspichiamo da subito qualche energica presa di distanza.

Si dice sempre che il primo passo per sradicare la violenza nel calcio è dare un taglio netto al cordone ombelicale che lega le società ai tifosi più estremisti. Tutti lo dicono, nessuno lo fa. Sarebbe bello che fosse proprio l'Atalanta a cominciare. Basterebbero poche parole, ma molto chiare: «Non vogliamo avere nulla a che fare con questa gente. Non esiste una legge parallela degli ultrà. Esiste una sola legge, quella dello Stato. E tutti devono rispettarla».

___

BERGAMO SI RIBELLA

Dalla curva alla sbarra:

147 ultrà a processo

Associazione a delinquere per violenze dentro e fuori dagli stadi.

Coinvolti 2 politici leghisti. È il primo vero attacco al sistema

di VALERIO FELLETTI (LIBERO 15-11-2012)

Calcio e processi sono due argomenti che, negli ultimi anni, vanno praticamente a braccetto. Ma un’inchiesta di questo tipo è una novità nel mondo del pallone. Ieri infatti il pm di Bergamo Carmen Pugliese ha chiuso le indagini per associazione a delinquere a carico degli ultrà della Curva Nord dell’Atalanta e chiederà il processo per ben 147 persone. Un maxi processo, un attacco frontale al mondo del tifo organizzato. Che, nel caso della curva bergamasca, viene indicata dagli inquirenti come come una associazione per delinquere finalizzata a compiere atti di guerriglia.

Sono molti infatti gli eventi di violenza che vengono ricondotti alla tifoseria nerazzurra, fatti che andrebbero dal 2006 al 2011. Ci sono in particolare gli scontri dopo Atalanta-Catania (settembre 2009), Atalanta-Inter (dicembre 2009), la manifestazione fuori dalla questura (gennaio 2010), la contestazione dei tifosi al centro sportivo Bortolotti di Zingonia (maggio 2010) e, infine, l’assalto con tanto di bombe molotov alla “Bèrghem fest” di Alzano dell’agosto 2010, quando sul palco c’era l’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni. Questa commistione con la politica è anche resa evidente dalla presenza, tra i 147 rinviati a giudizio, di due politici: l’ex assessore regionale ed ex segretario provinciale della Lega Nord di Bergamo Daniele Belotti, storico militante del Carroccio e altrettanto storico frequentatore della curva dell’Atalanta, a cui è contestato il concorso esterno nell’associazione, e il sindaco di Gandosso Alberto Maffi, sempre leghista, che avrebbe avuto il ruolo di “palo”, avvisando il gruppo ultrà dell’arrivo della polizia. «C’è puzza di blu, io me ne vado», la frase che avrebbe usato Maffi al telefono con i tifosi.

L’uomo al centro di tutta questa attività è però uno solo: Claudio «Bocia» Galimberti, il leader della Curva Nord bergamasca, un tifoso con alle spalle ben 33 tra procedimenti e provvedimenti a carico, tra indagini e daspo. Che sarebbe stato oggetto di visita nel 2009 da parte di quattro giocatori dell’Atalanta tra cui il capitano Doni, una sorta di pellegrinaggio con tanto di magliette da portare in dono, per scusarsi di una sconfitta contro Lumezzane in Coppa Italia. Sempre Doni sarebbe stato “avvisato dallo stesso Galimberti che «se i giocatori avessero continuato a fare chiacchiere inutili e pettegolezzi vari, lui con il suo gruppo ultrà avrebbe fatto ingresso negli spogliatoi per mettere al muro tutti i giocatori, in particolar modo Chevanton colpevole di atteggiarsi a protagonista a scapito dello spirito di squadra». I giocatori comunque sembrano al di fuori della vicenda dal punto di vista penale.

Ma dalle carte sembrano emergere riferimenti ai rapporti non solo tra calciatori e tifosi, ma anche tra gli ultrà e la società Atalanta. Tant’è che l’ex presidente dei bergamaschi, Alessandro Ruggeri, sempre dopo la sconfitta in Coppa Italia, avrebbe inviato questo sms a Galimberti: «Mi scuso io a nome dei miei giocatori per la prestazione di questo pomeriggio. Da domani tutti in ritiro. Solo Atalanta».

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L'ECO DI BERGAMO 15-11-2012

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Agghiaccianti: su queste basi condannano chi vogliono, è licenza di uccidere non giustizia

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Sono riuscito a leggere, in verità in modo molto veloce, la sentenza su Alessio. Pensieri tutti contorti, poco comprensibili, e contrari tra loro.

Praticamente, si capisce che dovevano per forza condannarlo.

Del resto, potevano sbugiardare le precedenti sentenze?

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Corriere della Sera 16-11-2012

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LE MOTIVAZIONI DEL TNAS

Stellini rende credibile Carobbio:

i 4 mesi a Conte “colpa” del... vice

di EDMONDO PINNA (CorSport 16-11-2012)

ROMA - Il paradosso della squalifica di Conte è tutto in dodici pagine, ovvero nelle motivazioni del Tribunale Nazionale Arbitrale dello Sport presso il Coni ai quattro mesi di squalifica (si partiva da dieci) che termineranno il prossimo 8 dicembre. Il paradosso è che colui che “affossa” l’allenatore bianconero non è il suo nemico giurato, ovvero Filippo “Pippo” Carobbio, che sembrava essere come la mangusta per il cobra. Bensì, la persona che lo ha accompagnato per le sue imprese in giro per l’Italia, cioè il suo vice Cristian Stellini. E dire che la difesa di Conte si era affannata, in tutti i gradi di giudizio, a demolire la figura dell’ex attaccante del Siena, definendolo un bugiardo (eufemismo). Invece, è stato il suo fedele vice ad affossarlo, con quella confessione che ha reso più credibile lo stesso Carobbio. Incredibile, no?

LOGICA - Lo dicono il prof. Massimo Zaccheo, il prof. Guido Calvi e l’avvocato Enrico De Giovanni, presidente e arbitri del collegio del Tnas che ha giudicato Conte (e Alessio) e che ieri hanno reso note le motivazioni della decisione presa il 5 ottobre scorso (per il Tnas dieci mesi sono una pena «eccessiva», soprattutto dopo la il crollo del teorema Mastronunzio. L’iter seguito dal collegio del Tnas parte dall’affermazione dell’autonomia della giustizia sportiva, dalla mancanza della «prova regina» a carico di Conte, dalla consacrazione del «non poteva non sapere» alla confessione di Stellini che toglie «ogni residuo dubbio» su Carobbio. «Il principio dell’assenza di necessità di raggiungere la certezza, aldilà di ogni ragionevole dubbio» scrivono i giudici, basta per processare l’allenatore della Juve. E la confessione di Stellini alla procura federale del 29 luglio, quella nella quale ribalta completamente le prime dichiarazioni, da corpo al “non poteva non sapere”. «Pare decisamente più logico per il contesto organizzativo in cui Stellini era inserito, ritenere che abbia informato Conte..». E per questo, alla domanda: sapeva o non sapeva, «l’una pare più plausibile dell’altra».

CAROBBIO CREDIBILE - Ecco perché, dunque, Filippo Carobbio viene tenuto altamente credibile, visto che le sue dichiarazioni «sono state integralmente confermate dal sig. Stellini». Vero, manca la “prova regina”, quella al di là di ogni ragionevole dubbio. Ma per affermare la responsabilità di un incolpato «basta un grado inferiore di certezza (...) siffatto standard probatorio è previsto, nell’ordinamento sportivo, in materia di violazione dele norme antidoping, con previsione che appare ragionevolmente applicabile anche alle violazioni disciplinari».. Insomma, Conte non poteva non sapere. Non solo, ma visto che “sapeva”, sapeva anche che Stellini l’8 marzo aveva mentito agli 007 e ha avuto tempo fino al 29 luglio (giorno della confessione) per denunciarlo.

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LE MOTIVAZIONI IL COLLEGIO RICONOSCE L’INFORTUNIO DI MASTRONUNZIO

MA RITIENE CREDIBILE CAROBBIO NONOSTANTE LE CONTRADDIZIONI

«Conte sapeva dei fatti

almeno da marzo»

Il Tnas e i quattro mesi di squalifica:

«Stellini lo aveva informato dell’illecito»

di FRANCESCO CENITI (GaSport 16-11-2012)

Avviso ai naviganti (o meglio ai tesserati): bisogna sempre denunciare un illecito. E fin qui nulla di sconvolgente all’orizzonte. Ma la novità messa nera su bianco nelle motivazioni con le quali il Tnas ha ridotto a 4 mesi la squalifica di Antonio Conte nella vicenda legata al calcioscommesse è questa: «Come ammesso dalla stessa difesa di Conte, quest’ultimo avrebbe avuto conoscenza dell’illecito accaduto in data 8marzo 2012. La confessione di Stellini è datata 29 luglio 2012. Ne discende che Conte, anche a voler seguire la tesi sostenuta dalla difesa, avrebbe omesso di denunciare il fatto illecito una volta venutone a conoscenza, quanto meno a far data dal giorno 8 marzo 2012». In sostanza nonostante l’indagine della Procura di Cremona su AlbinoLeffe-Siena fosse nota e gli 007 di Stefano Palazzi avessero già verbalizzato le accuse di Filippo Carobbio, un tesserato ha l’obbligo di denunciare alla Procura federale tutti i fatti saputi. E non basta farlo dopo 4 mesi: era stato Conte nell’audizione del 13 luglio a dirlo a Palazzi.

Carobbio tiene L’omessa denuncia, comunque, per il Tnas «tiene » anche senza questo colpo a sorpresa. Così come la riduzione della squalifica è un fatto dovuto nel momento in cui è caduta la cosidetta aggravante Mastronunzio (formula usata della Corte di Giustizia federale, ma che si è rivelata un boomerang). Scrive il Tnas: «Mastronunzio non era stato messo fuori rosa per essersi rifiutato di partecipare all’illecito, ma perché infortunato». Su Filippo Carobbio, il grande accusatore, il Tnas riconosce «alcune contraddizioni in cui è incorso nelle diverse deposizioni» ma aggiunge «di non ritenere che le dichiarazioni rese siano frutto di un accanimento perpetrato a danno di Conte». A ribadirne la credibilità secondo il Collegio sarebbe inoltre l’ammissione dell’ex collaboratore di Conte, Cristian Stellini. Infine un rimando all’ordinamento sportivo dove non c’è «necessità di raggiungere la certezza al di là di ogni ragionevole dubbio».

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la Repubblica 16-11-2012

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COMBINE SIENA-ALBINOLEFFE: LE MOTIVAZIONI DEL LODO FANNO DISCUTERE

Il ragionevole dubbio

Il Tnas: Conte squalificato senza prove certe

“Il vice ha ammesso, lui non poteva non sapere”

Stellini non ha mai fatto il suo nome

E su Mastronunzio smontata l’accusa

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 16-11-2012)

Dodici pagine per spiegare come il collegio arbitrale del Tnas abbia ridotto la squalifica di Antonio Conte da dieci mesi a quattro. Il Lodo Arbitrale emesso ieri dal professor Massimo Zaccheo (presidente del collegio) e dagli arbitri Guido Calvi ed Enrico De Giovanni puntella un principio che, però, è oggetto di diverse interpretazioni in sentenze emesse dalle stesse corti. Conte non poteva non sapere dell’illecito per la partita AlbinoLeffe-Siena (1 a 0) del 29 maggio del 2011 perché di quell’illecito si è autoaccusato il suo più fidato collaboratore tecnico Cristian Stellini: da qui l’omessa denuncia e la panchina proibita fino al prossimo 9 dicembre. E, a quel non poteva non sapere, il collegio arbitrale della Cassazione dello sport arriva «applicando il principio della assenza di necessità di raggiungere la certezza al di là di ogni ragionevole dubbio» e perché tra le due ipotesi (sapeva o non sapeva appunto) «l’una appare più probabile e plausibile dell’altra...».

La condanna a restare in tribuna quattro mesi, per Conte, non nasce dal caso Mastronunzio («Gli argomenti logici e le prove documentali offerte portano a concludere che Mastronunzio non era stato messo fuori rosa da Conte per essersi rifiutato di partecipare alla commissione dell’illecito, ma perché - così nel lodo infortunato in quel lasso temporale»). Ma per il collegio l’auto-confessione resa da Stellini «toglie ogni dubbio residuo sulla attendibilità delle dichiarazioni di Carobbio (il grande accusatore di Conte, ndr)...». Stellini, nella sua confessione, ammette di aver partecipato all’illecito del 29 maggio del 2011, ma in quelle dichiarazioni auto-accusatorie non dice mai che Conte fosse a conoscenza degli accordi per truccare AlbinoLeffe-Siena. Per i tre arbitri del Tnas non occorre che ci sia la prova provata perché il tecnico della Juve, all’epoca dei fatti sulla panchina del Siena, venga comunque fermato, seppur con la riduzione della pena di sei mesi. Diversamente la pensarono i giudici di primo grado quando la Commissione Disciplinare, a pagina 19 delle proprie motivazioni, giudicò usando per tutti la regola dei «termini di certezza...». Alla condanna di dieci mesi per una sola omessa denuncia arrivò, poi, la Corte Federale della Figc in un processo d’appello dove fece di nuovo ritorno il principio della non necessità di raggiungere la certezza al di là di ogni ragionevole dubbio, così come scritto dal Tnas ieri, ma dallo stesso Tnas non seguito in altri suoi lodi recenti.

Conte non poteva non sapere degli accordi per la gara del 29 maggio di un anno fa, dunque. Non poteva non sapere per le confessioni di Stellini che, al suo allenatore, raccontò, mentendo, soltanto l’8 marzo scorso che si era recato negli spogliatoi al termine di Siena-AlbinoLeffe dell’andata perché c’era bisogno di riportare un po’ di calma fra i giocatori avversari in campo. Il collegio arbitrale del Tnas ha scritto i motivi della squalifica di Conte in dodici pagine: fermo ai box dal 10 agosto scorso, il tecnico campione d’Italia con la Juve tornerà in panchina il prossimo 9 dicembre a Palermo.

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Calcioscommesse Le motivazioni del Tnas

«Stellini inguaiò Conte»

Perchè lo sconto La riduzione da 10 a 4 mesi di

stop è dovuta al crollo dell’accusa su Mastronunzio

di PAOLO FRANCI (Quotidiano Sportivo 16-11-2012)

«Il principio dell’assenza di necessità di raggiungere la certezza, aldilà di ogni ragionevole dubbio». E’ la base della giustizia sportiva, attraverso la quale il Tnas motiva in 12 pagine di dispositivo, la condanna a 4 mesi per Antonio Conte. Secondo il Tnas, «Conte non può essere ritenuto responsabile» per l’illecito di Albinoleffe-Siena del maggio 2011, ma è la confessione del suo più stretto collaboratore, Cristian Stellini suo vice al Siena, resa alla procura federale il 29 luglio, a delinearne i contorni di colpevolezza. «Pare decisamente più logico — scrive il collegio arbitrale — per il contesto organizzativo in cui Stellini era inserito, ritenere che abbia informato Conte..». E tra le due ipotesi — glielo ha detto oppure no? — «l’una pare più plausibile dell’altra». In estrema sintesi, è proprio Stellini a rendere solido l’impianto accusatorio e credibile il nemico numero uno di Conte, il pentito Carobbio, le cui dichiarazioni, osserva il collegio: «Sono state integralmente confermate da Stellini». Se di prova schiacciante sulle responsabilità di Conte non v’è traccia, secondo gli arbitri del Tnas «appare superfluo» cercarne per due motivi ritenuti decisivi. Il primo: La confessione di Stellini toglie «ogni residuo dubbio» su Carobbio. Il secondo: Stellini mente a Palazzi, sul match con l’Albinoleffe l’8 marzo e «come ammesso dalla difesa di Conte, quest’ultimo avrebbe avuto conoscenza dell’illecito dell’8 marzo». Quindi, secondo il collegio — che segue la linea-Palazzi: «Conte non poteva non sapere» — tra quella data e il 29 luglio 2012, giorno della confessione di Stellini, il tecnico avrebbe potuto e dovuto denunciarlo. Ma perchè la riduzione da dieci a quattro mesi? I giudici hanno ritenuto «eccessiva» la pena e non solo: il crollo del ‘teorema Mastronunzio’ «su cui la sanzione della Corte di Giustizia Federale risulta fondata», ha rappresentato una solida attenuante.

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LE MOTIVAZIONI

E il Tnas spiega

la sua condanna

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 16-11-2012)

TORINO. Conte è stato condannato a quattro mesi per omessa denuncia perché ritenuto probabilmente colpevole. Alla faccia di uno dei principi fondamentali del diritto (e della nostra Costituzione) secondo il quale si deve condannare un individuo solo «al di là di ogni ragionevole dubbio». Principio nelle motivazioni con cui il Tnas ha confermato la condanna per Conte (pur scontando la pena da 10 a 4 mesi). Le motivazioni sono state pubblicate ieri pomeriggio e in dodici pagine gli arbitri che hanno giudicato il caso hanno abbassato l’asticella dello standard probatorio fino al limite del probabile. Non serve - si legge - «la certezza assoluta della commissione dell’illecito, né il superamento di ogni ragionevole dubbio», ennesima aberrazione giuridica commessa in nome della specificità della giustizia sportiva, sbandierata e spiegata in modo impeccabile anche in questo caso. Il problema è che l’asticella di cui sopra sembra abbassarsi e alzarsi secondo le esigenze.

LA RISPOSTA Stavolta gli arbitri (l’avvocato Massimo Zaccheo, il professor Guido Calvi e l’avvocato Enrico De Giovanni) hanno deciso così. E se il «tema Mastronunzio» (topica presa nel precedente grado di giudizio dove una mancata convocazione per infortunio era stata confusa per la prova che Conte aveva partecipato all’illecito e aveva escluso chi non era d’accordo con la combine) viene liquidato velocemente, gli arbitri si concentrano su Carobbio e Stellini, puntellando con la confessione del secondo la traballante credibilità del primo, anche in virtù del legame fra Conte e lo stesso Stellini. Peccato che Stellini nella sua confessione abbia sempre specificato che Conte non sapeva niente della combine di Albinoleffe-Siena e che nelle motivazioni si dia un’interpretazione un po’ generosa a una dichiarazione di Conte stesso. Oltre all’ormai famoso «non poteva non sapere», il Tnas aggiunge, infatti, un’altra omessa denuncia a carico di Conte, scrivendo: «Come ammesso dalla stessa difesa di Conte, quest’ultimo avrebbe avuto conoscenza dell’illecito in data 8 marzo 2012. La confessione di Stellini è del 29 luglio 2012. Ne discende che il sig. Conte avrebbe omesso di denunciare il fatto illecito una volta venutone a conoscenza, cioè, quanto meno, a far data dal giorno 8 marzo 2012». Peccato che Conte, nell’interrogatorio alla Figc, riferendo del colloqui con Stellini dell’8 marzo, non fa menzione dell’illecito, ma racconta che Stellini gli aveva riferito solo della rissa dopo la partita dell’andata e del modo con cui aveva cercato di pacificare gli animi in vista del ritorno.

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GIANNI BRERA

«La poetica del Santo Catenaccio,

antica lezione che il paese ha rimosso»

Venti anni fa moriva il padre del giornalismo sportivo

italiano. Intervista al critico letterario Massimo Raffaeli

Domani Milano ricorda lo scrittore di San Zenone Po con un convegno di storia

«Fu il primo critico di calcio a recensire la partita come fosse un’opera d’arte»

«Oggi avrebbe tenuto il blog dell ’Arcimatto e apprezzato il genio astrale di Messi»

di MATTEO PATRONO (Pubblico 16-11-2012)

Sono quasi venti anni che se n’è andato Gianni Brera e domani a Milano Bookcity organizza un convegno di storia (appuntamento dalle 10 all’Acquario Civico, sala Vitman) per ricordare il giornalista di San Zenone Po scomparso il 19 dicembre 1992 in un incidente stradale tra Codogno e Casal Pusterlengo. A raccontarne «La Poetica del Catenaccio» è stato invitato Massimo Raffaeli, filologo e critico letterario (il manifesto, La Stampa) che al rapporto tra calcio e letteratura ha dedicato nel tempo articoli e volumi fondamentali (su tutti L’angelo più malinconico, Affinità elettive 2005) e di Brera ha curato una meravigliosa antologia di cronache, ritratti e scritti vari (Il più bel gioco del mondo, Rizzoli 2007) che merita di essere custodita negli scaffali del cuore di ogni appassionato di sport.

Professore, quale è l’eredità più importante che Brera ha lasciato al giornalismo e alla cultura italiana?

Brera è stato, in Italia, il primo critico di calcio nel senso specifico della parola. Dal principio degli anni ‘50, giovanissimo direttore della Ġazzetta dello Sport, ha preso a recensire la partita come fosse un testo letterario o un’opera d’arte inventando un linguaggio così originale da condannare al ridicolo chiunque volesse imitarlo. Senza la premessa della critica non esisterebbe nemmeno la poetica, cioè il calcio all’italiana, difesa chiusa e contropiede, il modulo di gioco che ha dato alla nazionale quattro titoli mondiali, compreso quello di Berlino 2006 (perché la squadra di Marcello Lippi, che non aveva attacco, disponeva però di una difesa impenetrabile).

Nell’era del calcio globale, tutto business e televisione, ha ancora senso parlare di lui o è solo nostalgia?

Sì, davanti al calcio formattato, ubiquitario, Brera può sembrare una meteorite. Non è che oggi non esistano dei critici, è che la loro voce è soffocata dalla giaculatoria mediatica, la quale si presenta nei modi del dogmatismo fanatico o di un vero e proprio fondamentalismo.

Per Brera il calcio era una questione antropologica. Perché in un paese a corto di cultura sportiva, non si insegna Brera sui banchi di scuola?

Brera si potrebbe pure leggere a scuola ma resta il fatto che in Italia, negli ultimi vent’anni, lo spirito critico si è indebolito e la parola «critica» è divenuta persino sospetta, mentre ci viene detto dalla mattina alla sera che questo è il migliore dei mondi possibili. Magari fosse solo questione di leggere Brera.

Paracadutista prima, partigiano poi, Brera rivendicò sempre con orgoglio di non aver mai sparato ad un essere umano.

Tutta la vicenda intellettuale e politica di Brera è ancora da ricostruire e per questo sarà interessante ascoltare, al convegno di Milano, la relazione di Franco Contorbia, filologo e massimo storico del giornalismo italiano.

L’Arena di Milano oggi porta il suo nome. Brera era nato con l’atletica.

Brera, nel dopoguerra, entrò alla giornalaccio rosa occupandosi di atletica, il suo eroe era il discobolo Adolfo Consolini. Studiò l’atletica come base di ogni disciplina e appunto dedusse dalla indigenza delle specialità fondistiche, in Italia, la convinzione che nel calcio si dovesse adottare un modulo in grado di «saltare » il centrocampo e di esaltare invece la velocità degli scattisti, vale a dire i difensori e gli attaccanti.

Il Santo Catenaccio, virtù salvifica degli italiani scaltri e malnutriti.

La poetica di un paese povero, che ne è consapevole e non si vergogna di esserlo. Se vogliamo è l’arma di Davide contro Golia. È il contrario del calcio esoso, da nuovi ricchi o presunti tali, che detta legge da vent’anni. L’Italia, ad ogni livello, sta tornando rovinosamente povera ma pare abbia dimenticato l’antica lezione.

Perché dopo il trionfo del mundial ’82, Brera smise di riconoscere e di essere riconosciuto dal calcio con dieci anni di anticipo sulla sua morte?

A me sembra l’opposto, perché proprio nel decennio in cui nasceva ciò che due analisti sociali, Guido Liguori e Antonio Smargiasse, avrebbero chiamato il Neo-Calcio, Gianni Brera veniva accettato come il Maestro: in quegli anni scriveva su Repubblica, la fabbrica del mainstream all ’italiana, e non tutti si accorgevano che il calcio, oramai, gli dava un senso di evidente sazietà e rigetto. Naturalmente, dopo morto Brera è stato giubilato e, in sostanza, rimosso.

Perché Umberto Eco lo definì un «Gadda spiegato al popolo»?

Nonostante appaia un’enciclopedia ambulante, viene il sospetto che Eco non sappia nulla di calcio: la sua definizione è sprezzante, sbagliata, e poi Brera detestava Gadda quasi quanto Alessandro Manzoni, purtroppo.

Alcuni anni fa il presidente del Chievo, Luca Campedelli, disse che l’unico rimpianto della sua vita era non poter leggere un pezzo di Brera sul Chievo. Esiste oggi una squadra che sarebbe piaciuta a Brera?

Brera ha molto amato il Verona del grande Osvaldo «Schopenhauer» Bagnoli, l’ultima provinciale che abbia vinto, nel 1985, uno scudetto, forse gli ricordava qualcosa del Padova anni cinquanta e dei Manzi di Rocco. Anche a me piace immaginare una sua predilezione per il Chievo di Luciano e Pellissier, squadra che oggi smentisce la megalomania e il ridicolo di chi inneggia a Dream Team, Top player e simili idiozie.

Il Barcellona sarebbe stato derubricato alla voce «masturbatio grillorum»?

Non lo so, ma c’è da giurare che lo avrebbero colpito sia la magnanimità dei costruttori di gioco, Xavi e Iniesta, sia il genio astrale di Leo Messi.

Una delle critiche più frequenti che si muove a José Mourinho, è quella di essere l’erede dell'antico catenaccio italiano. Brera lo avrebbe amato?

Credo che Mourinho sia un grande allenatore postmoderno, capace di utilizzare e riadattare tutto, anche il catenaccio: la sua non è la Maginot di Rocco ma una specie di Vallo di Adriano, su due linee, che infatti ha permesso alla sua Inter di eliminare il Barcellona.

Un altro allenatore, Fabio Capello, il Gran Bisiaco, fu uno dei pochi uomini di calcio al funerale di Brera. Perché?

Non lo so, mi ha raccontato lo scrittore Andrea Maietti, suo biografo, che al funerale i grandi calciatori non c’erano. È penoso perché molti di costoro lui li aveva inventati, letteralmente.

Pochi anni dopo la morte di Brera, la letteratura calcistica è esplosa con un boom di titoli, autori e popolarità senza precedenti. Che ruolo ha avuto Brera nel traghettare il calcio dentro la letteratura?

Penso sia stato importante quanto gli scrittori coetanei che lo facevano a tempo pieno come Giovanni Arpino o saltuariamente come Mario Soldati, Manlio Cancogni, Alfonso Gatto, Luciano Bianciardi, Oreste del Buono e Pier Paolo Pasolini. Oggi c’è il problema opposto, perché i libri di calcio sono troppi, pochi gli autori (mi vengono in mente Darwin Pastorin e Carlo D’Amicis) e pochissimi i titoli davvero necessari.

Riesce a immaginare Brera alle prese con internet, blog e twitter?

Twitter direi di no, perché non riesco a immaginare un Brera cinguettante. Invece il blog potrebbe essere ideale per l’Arcimatto, la rubrica del Guerin Sportivo dove Brera rispondeva ai lettori e teneva la sua personale accademia discutendo dello scibile umano. Quel lenzuolo verde era una lettura obbligata e mi fa piacere che il Guerino, che quest’anno ha compiuto 100 anni, resista ancora grazie a Matteo Marani. Come mi fa piacere che uno studioso di scritture sportive, Alberto Brambilla, dallo scorso anno pubblichi i Quaderni dell’Arcimatto, rassegna di studi breriani.

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La guerra degli Antonio

peggio di un derby Bari-Lecce

CONTINUA IL DUELLO A DISTANZA TRA I PUGLIESI CASSANO E CONTE,

A SUON DI INSULTI E ACCUSE. TRA STRAFALCIONI LINGUISTICI E MEMORIA CORTA

CALCI E PAROLE Il giocatore dell’Inter: “Se viene a parlare a me di moralità

siamo finiti”; lo juventino: “Mai parlato di moralità, ma io ne sono ben fornito”

di PAOLO ZILIANI (il Fatto Quotidiano 16-11-2012)

Una guerra tra titani quella in corso tra i due Antonio più famosi del calcio italiano, Antonio Cassano, l’attaccante dell’Inter che fino a ieri si era distinto per la dichiarazione: “ƒroci in nazionale? Mi auguro che non ce ne sono!”, e Antonio Conte, l’allenatore (squalificato) della Juventus passato alla storia per aver detto: “Di questa giustizia sportiva io ho paura: è agghiacciande!” (con la “d” finale come da imitazione di Crozza, ndr): roba da fare invidia all’Accademia della Crusca. I tempi, si sa, sono quelli che sono, il trash impazza e questo duello rusticano in salsa pugliese spuntato dal nulla come un fungo velenoso è quel che passa il convento del pallone italico. Non più Rocco vs Herrera, non più Sacchi vs Trapattoni, non più Zeman vs Moggi: oggi dobbiamo accontentarci di Cassano e Conte che si sfidano a tenzone, mulinando lo spadone invece del fioretto, che è un po’ come passare da Clay-Foreman a Modugno-Guglielmino. Non proprio il massimo.

PER CHI si fosse perso il meglio della telenovela pallonara “made in Puglia”, ecco il riassunto delle puntate precedenti. Cassano viene invitato da Fabio Fazio a Che tempo che fa e parlando del più e del meno dice: “Ho detto di no alla Juve. Mi hanno cercato tre volte, ma io non voglio andarci perché loro vogliono dei soldatini che vanno diritto e io invece voglio girare a destra o a sinistra e uscire dai binari se ne ho voglia”. Antonio Conte, sul divano di casa, sobbalza, si sistema il parrucchino e parte al contrattacco: in una chat con i tifosi bianconeri dice che solo un quaraqquaqquà può dire certe cose, poi si mette in fila a Rai3, stacca il numerino e a Fazio assicura: “Alla Juve non ci sono soldatini, ma professionisti seri. E se dietro l’uomo c’è solo un chiacchierone, allora preferiamo lasciare questo giocatore agli altri”. A Cassano vanno le patatine di traverso e così ai microfoni di Sportmediaset dichiara: “Quaraqquaqquà non sono io, ma lui che è stato squalificato per omessa denuncia. Ho fatto tante cassanate nella mia carriera, ma se lui viene a parlare di moralità ame è finito il mondo”. La contro-replica di Conte è già arrivata: “Leggo con stupore le dichiarazioni del signor Cassano, a seguito delle quali mi trovo costretto a fare alcune precisazioni. Non ho mai proferito il termine moralità, della quale sono molto dotato, nonostante la squalifica”. Ma una cosa è certa: in questo duello di eminenze grigie, il tecnico juventino non ha certo brillato per tempismo.

NON BASTASSE la figura barbina di allenatore tonto che prima a Bari, poi a Siena non si accorge mai che giocatori e stretti collaboratori gli vendono le partite sotto il naso non una, ma dozzine, di volte ed ecco che dalla maxi-inchiesta sugli ultrà condotta a Bergamo dal pm Carmen Puglisi (147 indagati, molti con accusa di associazione per delinquere) esce proprio oggi la figura di un Conte viscido e vile che si prostra di fronte alla figura del capo ultrà atalantino Galimberti, detto “Bocia”, uno con una lunga lista di precedenti penali. Un mese dopo la fine del rapporto di Conte con l’Atalan - ta, la Squadra Mobile racconta che l’allenatore “inspiegabil - mente sente la necessità di chiamare il “Bocia”. Il contenuto delle parole del Conte consiste nell'elogiare il capo ultrà e tutta la sua tifoseria e nello sputtanamento della società Atalanta e dei giocatori. Nello specifico il Conte esordisce dicendo che voleva salutare il Galimberti perché ha un gran rispetto per lui (.. . ) poi prosegue riferendo che lui è diventato un capro espiatorio in quanto la stampa, i tifosi, l'ambiente proteggevano il marcio della società; attacca i giocatori più vecchi che non lo hanno aiutato e la società che non lo ha mai tutelato”. Addirittura, pochi giorni dopo Conte invia al “Bocia” – condannato per violazione del Daspo – un sms grondante solidarietà: “Ho letto sul giornale che ti hanno dato 5 mesi. Mi dispiace molto, spero che tu stia bene. Un abbraccio. Antonio C”. Che dite? Penoso? Mettiamola così: prima della Juve, Conte ha allenato (andando a ritroso) Siena, Atalanta, Bari e Arezzo. Ebbene, a oggi non si ha notizia di guapperie commesse ai tempi dell’Arezzo. Vuoi vedere che anche Conte, quando vuole, riesce a non essere quaraqquaqquà?

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Racism in football not

a black and white issue

"There is an element of mischief-making in what they are doing"

by SIMON BARNES (THE TIMES 16-11-2012)

I caught that goal from Zlatan Ibrahimovic in the press box in Ahmedabad even though Virender Sehwag was doing his best to distract me. Football does that single magic-moment thing better than most sports. The goal was beautiful, audacious, almost ridiculous, sending a shaft of joy through the supporters of the beaten team.

If you are not a footballing person and you missed it, check it out on YouTube and it will almost convert you. There he is, back to goal, 35 yards out, tumbling overhead kick, glorious parabolic flight. Joe Hart, the goalkeeper, did not think he could do that; I don’t suppose anyone else did either. Football can do that sort of thing, that’s why we watch it.

Meanwhile, Peter Herbert, the chairman of the uncompromisingly named Society of Black Lawyers, continues his own fascination with the game by saying: “We think the Football Association is institutionally racist.” Why is he doing it?

Because football brought us Ibrahimovic’s goal.

The Society of Black Lawyers is doing all it can to turn football’s present problem into a crisis. It’s called publicity-seeking. There is an element of mischief-making in what they are doing — the phrase “institutionally racist” is chosen quite deliberately to recall the Stephen Lawrence case, in which the Metropolitan Police were damned with that exact phrase.

I think we can all agree — black lawyers, white journos and all — that there is a difference, if only in degree, between soft-pedalling a racially motivated murder and handing out a soft punishment to John Terry.

Why pick on football? Why the Football Association? There are plenty of other organisations that pursue more obviously racist policies, plenty of organisations that are more urgently in need of sorting out. Football has tried harder than most, with its support of Kick It Out, and its publicity given to black players.

They could target the military, perhaps, or the civil service, or the banks, or big companies, and perhaps they would find the same lazy thinking about race, the same feeling that we try quite hard and that’s surely enough. The snag is that people would be a lot less interested.

That’s because civil servants and soldiers and bankers and so forth don’t score goals like Ibrahimovic. They very seldom make us go: “Phwoar.” I very seldom look up their day’s work on YouTube.

Sport thrills. Football, over the past 20-odd years, has come to dominate the sporting landscape, and it does so because it produces Ibrahimovic moments on a regular basis; not always so flabbergastingly lovely, but often enough to make you gasp. Everything in football, from tribalism to prawn sandwiches, comes because football can serve up such moments as a matter of routine. Football has an extreme ability to be gorgeous — and that’s what brings in people such as the Society of Black Lawyers.

Why pick on football? Because football fascinates, and therefore everything in football is on the news agenda. Ibrahimovic moments keep us enthralled by football, and Herbert and Co are out to exploit this fascination.

“Publicity-seeking” is a pejorative term. We apply it to every politician who is photographed with a victorious athlete, shuffling into shot like Benny Hill’s Fred Scuttle with the same ingratiating smirk.

In exactly the same way, the Society of Black Lawyers is using football for reasons other than love of football.

But the question that matters is this: for whom is it seeking publicity? You can claim that Herbert is seeking publicity for Herbert, or that the Society of Black Lawyers is doing it for the Society of Black Lawyers. But it has also succeeded in getting publicity for the question of racism in what we like to think is a post-racism society.

It has asked a question that is worth asking of football — and by being asked in football, it is, by implication, asking it of other organisations the length and breadth of the country.

The question is this: to what extent are established organisations — organisations that claim to deplore racism, that take measures to eliminate racism, that would (and do) object in genuinely bewildered terms when accused of racism — less than perfectly egalitarian?

The FA is run by a board of 12, 11 of whom are middle-aged white men. Like practically everything else. Non-white club managers are still unusual. The leagues are full of black footballers because there is less room for subjective (and therefore prejudiced) judgments in sport than in most other areas of life.

You don’t need a committee to tell you that Pelé could play a bit.

But where it’s a matter of opinion, the FA, like so many other organisations, is off the pace. The implication that it is an evil organisation is unfounded; there is a kind of innocence involved here. It believes that it is not remotely racist, but ancient, atavistic and unnoticed traces of racism cloud the way the organisation acts and thinks.

It’s a bit unfair to pick on football, because football is hardly alone. But that’s the very point of picking on football. Football is at fault — and so are many other organisations, so are many other people. Many of us, no matter what race we belong to, are perfectly capable of making decisions and choices that contain trace elements of racism.

It’s not fair on football, but that’s part of being a sport. We love sport for the things it shows us about humans; it brings us heroes, it showcases virtues such as courage and does so in a million different ways.

We can leave the disasters and horrors and nastiness and veniality of the front pages of this newspaper and turn to the back to read of nobility and guts and determination and skill.

More than anything that ever appears on the front pages, sport is fun.

Sport lifts our spirits, brings us those Ibrahimovic moments. Because of that, everything around sport is interesting: David Beckham’s tattoos, the price of Wayne Rooney’s cigarettes, Alastair Cook’s first day as permanent England captain, how the England scrum will do against Australia tomorrow, how Andy Murray’s holiday goes.

So when someone calls someone else a f***ing black c***, it’s a paragraph if it happens in a bank and 12 months’ worth of newsprint if it happens in the Barclays Premier League. If you run an industry based on popularity, you must learn also how to deal with notoriety.

The FA in particular and football in general is not racist in the manner of the Ku Klux Klan. Nor are most organisations and individuals in this country.

Football, like many, has changed a great deal and in the right direction. But like many, like most, it has done so imperfectly and still has a long way to go before it achieves perfect integration.

So football is jumped on because it’s football, because it can provide these Ibrahimovic moments. It’s not fair, but it’s only right and proper that this is the case.

The real point made by the black lawyers is not the shortcomings of football, it’s the shortcomings of a society that likes to think it has cracked the racism thing while practically every item on the agenda is set by middle-aged white men.

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Premier League steps

closer to break-even rule

by ASHLING O’CONNOR (THE TIMES 16-11-2012)

Premier League clubs yesterday moved closer to the introduction of tighter financial controls that would require them to break even.

Sixteen clubs are thought to support the concept that substantial combined losses in the world’s richest league should be curbed by compelling its 20 members to align their spending to their income. Four clubs — Manchester City, Fulham, West Bromwich Albion and Everton — are against the idea that would make it impossible for clubs in future to be propped up by rich benefactors.

It is the fifth time in recent months that the issue of cost control has been on the agenda at a meeting of the 20 club chairmen, but yesterday’s discussions are said to have been the most constructive to date.

“I think we will get a consensus on this,” Huw Jenkins, the Swansea City chairman, said. “The main issue is that in the present economic climate, we as a league portray the right image and make sure that everyone involved in football is looking after the supporters and making sure everything is kept under control and is run in the right manner.” Proposals will be drawn up before a vote in February and the new rules could be in place by next season. Any plan would require approval from a majority of 14 clubs.

The talks come after the Premier League boosted its income by agreeing a three-year, £3 billion domestic television rights deal with BT — an increase of £1.25 billion on the previous deal. BSkyB will continue to show the majority of matches having secured the rights to screen 116 games per season.

With broadcasting income for the three-year cycle forecast to exceed £5 billion once all the overseas deals are concluded, clubs are keen to hold on to a greater proportion of funds than they have managed previously. In the 2010-11 season, the most recent for published accounts, the top 20 clubs made a collective loss of £361 million despite record income of £2.3 billion. A total of £1.6 billion, or 70 per cent, was spent on player wages. Only once in the league’s 20-year history, the 2004-05 season, have wages fallen.

Faced with the conclusion that this is unsustainable, clubs are moving towards an agreed solution. However, there are still substantial issues to resolve. The most fundamental of these being what constitutes “break even”. The definitions vary wildly.

Some clubs, including Manchester United and Arsenal, back the model proposed by Uefa that will from next season demand that clubs in its competitions balance their books over three seasons. By 2018, their deficits should be lower than £8.8 million or they will not be allowed to take part in the Champions League or Europa League.

But other clubs such as Newcastle believe this is too draconian. They favour allowing a limited amount of investment by owners, who would issue themselves more shares in the company in exchange for a cash injection. At the other end of the spectrum, there is the lobby for granting owners the freedom to invest unlimited sums.

A form of salary cap was also discussed but there was less consensus on how this would work. Ellis Short, the Sunderland chairman, has proposed imposing a limit on the percentage of revenue that can be spent on wages.

Analysts say an increase in salaries is inevitable, whatever controls are introduced. “Unless a measure is introduced that has teeth, market forces will drive the extra money the way of players. They always have,” Dan Jones, of Deloitte’s Sports Business Group, said.

By the numbers

£5bn

Anticipated broadcast income for the top 20 clubs between 2013 and 2017

70

Percentage of Premier League revenues in 2010-11 spent on wages

£195m

Manchester City’s record annual loss in 2010-11

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ziliani un giorno o l'altro finirà per imbattersi in uno juventino con le palle troppo girate .asd

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Scommessopoli

Erodiani torna davanti al Pm

Ribadite le accuse a Lotito (Lazio)

di GABRIELE MORONI (Quotidiano Sportivo 16-11-2012)

Non ha deluso. Ha mantenuto tutte le promesse e questa mattina risale a Cremona per andare a sedersi di fronte al procuratore Roberto di Martino. Massimo Erodiani, tabaccaio e gestore di un’agenzia di scommesse, arrestato nella prima tranche dell’inchiesta cremonese sul calcioscommesse, il 29 ottobre è stato protagonista di un’audizione durata sette ore. Dopo le accuse messe a verbale col procuratore federale Stefano Palazzi, di Martino voleva che Erodiani si ripetesse a Cremona. Convinto, fra l’altro, che il massiccio tabaccaio conosca molte più cose di quante non ne abbia rivelate finora. Erodiani non si è sottratto. Sulla presunta combine per Lazio-AlbinoLeffe di Coppa Italia del 25 novembre 2010, ha detto che era «gestita» dal presidente biancoceleste Claudio Lotito (che da tempo ha annunciato querela). Un’accusa pesante non basata su una conoscenza diretta ma su voci raccolte secondo cui Marco Pirani (il dentista coinvolto con Erodiani nell’inchiesta) avrebbe parlato di una sorta di braccio operativo di Lotito: Ermanno Pieroni, ex presidente dell’Ancona Calcio, reclutato per evitare che Lotito si esponesse in prima persona. Nei giorni che precedono l’incontro vengono intercettati 123 contatti telefonici fra Erodiani e Hristiyan Ilievski, esponente di punta del gruppo di scommettitori «zingari», che poi passa il telefono al sodale Almir Gegic. Sul conto di Gegic e Ilievski si rincorrono da mesi, con ciclica regolarità, i rumors sulla decisione di tornare in Italia e costituirsi. È probabile che oggi di Martino voglia approfondire il discorso sull’attività degli «zingari».

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IL CASO DELLE MAGLIE

Partita col Siena, i rossoblù

tornano davanti alla Disciplinare

SANZIONE CONFERMATA Respinto il ricorso contro la multa di 30 mila euro

di ROBERTO SANGALLI (Il Secolo XIX 16-11-2012)

ROMA. Colpo di scena al processo sportivo per Genoa-Siena del campionato scorso. La Corte Federale ha annullato il proscioglimento dei giocatori rossoblù. È il caso delle maglie. Era il pomeriggio di domenica 22 aprile: il Genoa ospitava il Siena in una partita salvezza. All’inizio del secondo tempo i toscani segnarono il quarto gol, a zero, e scoppiò la contestazione. I tifosi minacciarono l’invasione di campo e pretesero che i giocatori si togliessero le maglie: «Non siete degni di indossarle». La Procura federale deferì la società e 16 giocatori, rei di aver alimentato con il loro comportamento la protesta. La Commissione disciplinare inflisse 30mila euro di ammenda al Genoa ma prosciolse 15 giocatori (con l’eccezione di Sculli). Ieri il colpo di spugna. La Corte di Giustizia federale ha accolto il ricorso presentato dal Procuratore federale contro l’improcedibilità pronunciata nei confronti del presidente del Genoa, Enrico Preziosi, del dirigente accompagnatore Francesco Salucci e dei calciatori Frey, Granqvist, Rossi, Palacio, Mesto, Bovo, Kucka, Gilardino, Biondini, Kaladze, Jorquera, Zé Eduardo,Veloso, Birsa e Antonelli.

La decisione è stata presa in base all’articolo 37, coma 4, del Codice di giustizia sportiva che recita così: “La Corte Federale se ritiene insussistente l’improcedibilità dichiarata dall’organo di prima istanza o rileva la violazione delle norme sul contraddittorio annulla la decisione impugnata e rinvia all’Organo che ha emesso la decisione, per l’esame del merito ». Il deferimento, insomma, dovrà essere nuovamente valutato dalla Disciplinare. Evidentemente la tesi che indusse la Disciplinare ad archiviare il tutto, e cioè la teoria del “ne bis in idem, ovvero non si può giudicare una persona due volte per lo stesso episodio, non è stata ritenuta sufficiente. L’avvocato del Genoa, Mattia Grassani, sostenne che sui fatti si era già pronunciato, il giornodopola gara, il Giudice sportivo che aveva tutti gli elementi per valutare i fatti. Elementi che sono poi gli stessi alla base del deferimento alla Commissione Disciplinare. Quindi, “ne bis in idem”.

La Corte Federale ieri ha invece respinto il ricorso del Genoa contro l’ammenda di 30 mila euro e la squalifica per un mese di Sculli, ora tesserato Lazio. Il deferimento del giocatore fu ritenuto «parzialmente fondato» dalla Disciplinare in quanto «dalle intercettazioni emerge la prova delle costanti e prolungate frequentazioni tra l’incolpato ed elementi di spicco della frangia di contestatori autori degli episodi del 22 aprile».

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La Ġazzetta dello Sport 16-11-2012

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l'Espresso 22 novembre 2012

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Modificato da Ghost Dog

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Tnas: come volevasi dimostrare, Conte condannato senza una prova

Xavier Jacobelli - calciomercato.com - 16-11-2012

Le sentenze non si commentano, dicono. Ma le motivazioni sì. E leggendo riga per riga quelle del Tribunale Nazionale di Arbitrato Sportivo (Tnas) sul caso Conte, si ha la prova provata che l'allenatore sia stato condannato senza lo straccio di un risconro certo e che la drastica riduzione della squalifica a soli 4 mesi, in scadenza il prossimo 9 dicembre, sia la foglia di fico dietro la quale nascondere il crollo totale dell'impianto accusatorio.

Ancora una volta, viene dimostrato il meccanismo aberrante alla base di un sistema che non è da riformare, ma da rifondare: quello che ingiunge all'incolpato di provare la propria innocenza; quello che impedisce gli avvocati dell'incolpato di controinterrogare i pentiti; quello che considera credibile i pentiti, ma a corrente alternata; quello che stanga le società con la responsabilità oggettiva anche se le società non hanno fatto nulla. E potremmo andare avanti ancora per molto.

Conte è stato squalificato, anche se non c'è stato "il superamento di ogni ragionevole dubbio, risultando invece sufficiente un grado inferiore di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire una ragionevole certezza sulla commissione dell’illecito...".

Sostiene il Tnas nelle dodici pagine di motivazione: «Sotto il profilo probatorio per affermare la responsabilità di un incolpato di una violazione disciplinare sportiva non occorre la certezza assoluta della commissione dell’illecito né il superamento di ogni ragionevole dubbio, come nel diritto penale, risultando invece sufficiente un grado inferiore di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire una ragionevole certezza sulla commissione dell’illecito; siffatto standard probatorio è previsto, nell’ordinamento sportivo, in materia di violazione delle norme anti-doping, con previsione che appare ragionevolmente applicabile anche alle violazioni disciplinari».

Capita l'antifona? Siccome non c'era un riscontro oggettivo che avvallasse il coinvolgimento di Conte, ci si è salvati in calcio d'angolo citando lo standard probatorio dell'antidoping. Ma, in materia, non sono fondamentali analisi e controanalisi di laboratorio, cioè dati scientifici e non testimonianza di pentiti ritenute valie per un caso e inattendibili per un altro?

Ma dove il tonfo dell'impianto accusatorio è più sordo, è sulla posizione di Mastronunzio. Secondo la stessa accusa, Mastronunzio era stato escluso dalle ultije gare stagionali del Siena perchè punito in quanto si era rifiutato di partecipare alla combine di Albinoleffe-Siena. Tesi smontata dallo stesso giocatore, dai certificati medici e dai comunicati stampa che ne documentavano l’infortunio. Tant'è vero che lo stesso Tnas ne prende atto, demolendo il pilstro del verdetto emesso dalla Corte Federale.

Quanto a Stellini, l'ex collaboratore di Conte riafferma la totale estraneità del tecnico, ma, siccome lavorava nel suo staff ecco che scatta il meccanismo perverso del "non poteva non sapere".

A pagina 11 si legge: «Come ammesso dalla stessa difesa di Conte, quest’ultimo avrebbe avuto conoscenza dell’illecito accaduto in data 8 marzo 2012. La confessione di Stellini è datata 29 luglio 2012. Ne discende che il sig. Conte, anche a voler seguire la tesi sostenuta dalla difesa del medesimo, avrebbe omesso di denunciare, ai sensi dell’art.7, comma 7, il fatto illecito una volta venutone a conoscenza, cioè, quanto meno, a far data dal giorno 8 marzo 2012». Conte, interrogato dalla procura federale avrebbe ammesso di aver parlato con Stellini l’8 marzo 2012 e di aver saputo da Stellini medesimo della combine. Ergo ammesso e non concesso che non lo sapesse dal 2011, Conte ha omesso omesso di denunciare Stelini dall’8 marzo 2012.

Peccato che nel verbale dell'interrogatorio di Conte, non ci sia traccia di questa ammissione. Dichiara testualmente l'ex allenatore del Siena: “Non mi accorsi di nulla in particolare in occasione di Siena-Albinoleffe dell’8 gennaio 2011, in quanto essendo molto arrabbiato per il gol subito nei minuti finali andai via velocemente. Stellini solo recentemente, a seguito delle notizie stampa che lo indicavano come coinvolto in presunti accordi presi dal Carobbio per la partita di ritorno, mi ha riferito che, al termine della gara in oggetto, vi era stata una rissa fra i calciatori delle due squadre alla quale il medesimo aveva partecipato e, pertanto, essendo preoccupato che potessero accadere incidenti nella gara di ritorno sollecitò Carobbio, quale ex dell’Albinoleffe, a parlare con i suoi ex compagni per cercare di stemperare gli animi. Lo scrupolo di Stellini derivava dal fatto di essere rimasto coinvolto in prima persona nella rissa e pertanto si sentiva ancora più responsabile”. Qualcuno trova in queste righe una parola che dimostri come Stellini avesse informato Conte della combine? No.

Il presidente della Juve, Andrea Agnelli, commentando a suo tempo il verdetto del Tnas che riduceva da 10 a 4 mesi la squalifica di Conte, disse: "Ora più che mai la riforma della giustizia sportiva è ineludibile". Giusto.

In fondo, sono soltanto anni che se ne parla e non se ne fa nulla. E, a forza di parlarne e basta, il sistema partorisce il caso Conte, squalificato senza una prova a suo carico ed esposto per mesi alla gogna mediatica di illazioni, congetture, sputasentenze un tanto al chilo che forse non avevano mai letto manco una riga di tutto il procedimento. Proibito dimenticare le parole di Conte, pronunciate in piena bufera: "Non auguro a nessuno di passare ciò che sto passando io". Abbiamo capito perchè.

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CRISI / TRAMONTO DI UN TYCOON

SPENDING REVIEW

IN CASA BERLUSCONI

Conti in rosso. Calo d'ascolti. Tagli.

La stagione più difficile per l'impero del Cavaliere

di VITTORIO MALAGUTTI & LUCA PIANA (l'Espresso | 22 novembre 2012)

Licenziare Allegri? Parliamone, ma con calma. E magari aspettiamo la prossima stagione. Perché è vero che il Milan se la passa male, ma il patron Silvio Berlusconi sta facendo la spending review a casa propria. E allora, con quattro allenatori già a libro paga, è meglio evitare di assumerne un altro, continuando a stipendiare Massimiliano Allegri fino al 2014, quando scadrà il suo contratto. Si viaggia al risparmio, quindi, nella speranza di un colpo d'ala che permetta al Milan di evitare catastrofi (calcistiche).

I tifosi si rassegnino. In casa Berlusconi si sono messi a fare i conti. I conti con la recessione, che ha dato mazzate pesanti al business pubblicitario, quello che alimenta le tv targate Mediaset. E i conti con la politica, dove la Fininvest come partito azienda è giunta ormai al capolinea per effetto del tramonto di re Silvio e del conseguente sfaldamento del Pdl. Addio leggi ad aziendam, allora. Niente più corsa degli inserzionisti pubblicitari per omaggiare a suon di spot le televisioni del politico imprenditore. Nulla sarà più come prima nel regno di Arcore. I fuoriclasse in fuga dal Milan. Villa Certosa in vendita. Resiste, per adesso, il vitalizio alle Olgettine, l'obolo di qualche migliaio di euro al mese destinato alle ragazze gradite ospiti delle ormai celebri «serate eleganti» dell'ex presidente del Consiglio. È tempo di taglia e cuci, ormai.

HOLDING IN PANNE Tra poche settimane, Berlusconi e i cinque figli si riuniranno per il tradizionale via libera ai bilanci delle sette holding di famiglia e dovranno fare a meno, per il secondo anno consecutivo, dei dividendi della Fininvest. Per carità, nessun dramma. In base ai calcoli più aggiornati, le società che stanno in cima alla catena di controllo vantano ben più di un miliardo di liquidità. Come dire che Silvio e i suoi eredi possono attingere a piene mani alle loro casse personali ancora per un bel pezzo. Il problema è un altro. I motori che hanno alimentato la crescita del gruppo si stanno raffreddando sempre di più.

La Mondadori, come gli altri editori del Paese, è alle prese con un doloroso piano di tagli e la prevista chiusura di diverse riviste. Mentre i conti, come annunciato martedì 13 novembre, segnano il passo: gli utili dei primi nove mesi sono calati del 63 per cento a 16 milioni di euro, per effetto soprattutto del crollo della pubblicità nel settore dei periodici. Lo stesso giorno anche Mediaset ha comunicato una perdita nei primi nove mesi dell'anno pari a 45 milioni di euro, un vero e proprio tracollo rispetto ai profitti di 164 milioni realizzati nello stesso periodo del 2011. Non era mai successo che l'azienda di Cologno Monzese chiudesse in rosso i primi tre trimestri dell'anno. Sui risultati dell'intero 2012 c'è grande incertezza ma è l'azienda stessa a prevedere che a fine anno le perdite si assesteranno sullo stello livello dei primi nove mesi dell'anno. Uno choc, se si pensa che per Mediaset è la prima perdita della storia. Così, prima della diffusione dei dati della trimestrale, il titolo del gruppo ha virato al ribasso di quasi il 3 per cento, avvicinando pericolosamente il minimo storico di 1,14 euro toccato lo scorso giugno. Nel giro di un anno Mediaset ha perso quasi la metà del suo valore di Borsa e, rispetto al 2009, la quotazione si è sgonfiata addirittura del 70 per cento. Bastano questi dati per intuire che analisti e investitori non nutrono grande fiducia sulle prospettive di recupero, almeno nel breve termine.

LA TV DELLE VECCHIETTE L'origine dei guai di Silvio è tutto sommato semplice. Le sue televisioni non tirano più come in passato. Stanno soffrendo quella che si potrebbe definire una vendetta del destino. Un tempo il creatore di Canale 5 poteva vantarsi di aver catturato con le sue reti non soltanto il grande pubblico ma anche quello pubblicitariamente più ghiotto: i giovani, i benestanti, le persone che chiedono sempre l'ultima novità. La Rai, è vero, ha mantenuto il primato dell'audience. Ma, come ripetevano i venditori di Publitalia, Mediaset spopolava fra le tribù metropolitane, lasciando alla tivù di Stato le vecchiette dei paesini sperduti dell'Appennino. Poco sotto mamma-Rai in termini di quote di spettatori, Mediaset si ingozzava così di pubblicità, grazie anche ai vincoli imposti alla tivù pubblica, già sovvenzionata dal canone.

Oggi, però, il ricordo di questi successi sbiadisce. I giovani si divertono con Internet e consumano meno tivù. "Striscia la notizia", tuttora uno dei programmi di maggior successo, va in onda ormai da 24 anni. E la concorrente Sky sta facendo strage di diritti nello sport, puntando al pubblico più fedele. La televisione satellitare di Rupert Murdoch ha trasmesso in esclusiva buona parte delle Olimpiadi di Londra, che la Rai è stata costretta a comprimere su una sola rete. Il prossimo anno undici Gran Premi di Formula Uno su venti saranno visibili solo su Sky. La quale, a partire dal 2014, ha strappato a Mediaset il mondiale di motociclismo, un evento capace di surclassare le gare delle monoposto nel gradimento dei giovani. Proprio il pubblico caro a Mediaset.

CERCASI SCEICCO Con Berlusconi fuori da Palazzo Chigi, la raccolta pubblicitaria del suo gruppo ha iniziato a scendere più di quanto avesse fatto nella prima fase della crisi, tra il 2008 e il 2011. Tra gennaio e settembre il calo è stato del 15 per cento rispetto a un anno prima, solo leggermente meglio della Rai, che finora era crollata più rapidamente. La tivù pubblica, ora, si sta riorganizzando: ha chiamato nuovi manager alla Sipra, la propria concessionaria di pubblicità, e annunciato il trasferimento della sede da Roma a Milano, una mossa per stare più vicino agli investitori pubblicitari e lontana dai palazzi della politica. Così, per non subire il contrattacco di un concorrente per troppo tempo azzoppato dal conflitto d'interessi di Berlusconi, Mediaset si trova costretta a reagire.

Un primo fronte è la ricerca di soci con cui condividere i business più problematici. Qui si entra nel campo delle indiscrezioni, più che dei fatti. Circolano voci, riprese anche dai mezzi d'informazione della famiglia Berlusconi, su contatti con investitori del mondo arabo per rilevare una quota del Milan. E più volte sono state pubblicate notizie di incontri per individuare un partner per i canali a pagamento di Mediaset Premium, l'esempio più evidente di come il gruppo fatichi a uscire dall'impasse.

Rispetto a Sky, Mediaset Premium è stata lanciata fin dall'inizio come un'alternativa a basso costo. È riuscita, in effetti, a fermare la crescita della tivù di Murdoch, intercettando parte del suo pubblico e costringendola a nuovi investimenti, dall'alta definizione alla trasmissione sui tablet. Il dilemma che turba gli uomini che Silvio ha messo alla guida di Mediaset, il vecchio amico Fedele Confalonieri e il figlio Pier Silvio, è che l'azienda non può impoverire troppo i propri canali tradizionali, altrimenti rischia il tracollo della pubblicità, che si concentra in gran parte su Canale 5, Italia 1 e Rete 4. Allo stesso tempo, però, non può spendere più di tanto per arricchire l'offerta a pagamento delle reti Premium, che continuano a perdere un sacco di quattrini e che - se costringessero gli utenti a sottoscrivere abbonamenti più costosi - finirebbero per vanificare il proprio vantaggio competitivo rispetto a Sky. Di qui, come ha scritto a più riprese "Il Sole 24Ore", i contatti prima con Al Jazeera, colosso televisivo arabo con base a Doha, nel Qatar. E poi con i francesi di Canal Plus, i maggiori concorrenti di Murdoch in Europa.

Difficile dire che cosa ci sia di vero dietro queste indiscrezioni. E, soprattutto, se gli acquirenti interpellati abbiano lasciato una porta aperta a un investimento che, visto da fuori, presenta grandi margini d'incertezza. Acquistare una quota di minoranza in un'azienda in perdita, per di più abituata a una gestione strettamente familiare, non è infatti il massimo, anche per i tycoon arabi. Forse per questo fonti interpellate da "l'Espresso" minimizzano: «Ci sono stati incontri mirati per eventuali accordi produttivi e per uno scambio di informazioni sul sistema dei diritti televisivi del calcio», è la versione che viene fatta circolare.

ARRIVANO I PICCONATORI Insomma cavalieri bianchi in vista al momento non se ne vedono. Non ci sono sceicchi, o più semplicemente fondi di private equity internazionali, pronti a sborsare decine di milioni, o magari centinaia, per prendersi una fetta del business della pay tv targato Mediaset. E allora nel gruppo Fininvest devono arraggiarsi con quello che hanno in casa. Provando a fare meglio quello che hanno sempre fatto. Gli uomini, ecco è una questione di uomini. O meglio di manager. Gli osservatori più attenti dell'impero berlusconiano non hanno mancato di notare che nei mesi scorsi sono stati varati un paio di cambi nell'organigramma, tali da far intravedere una nuova rotta rispetto al passato.

Al vertice di Publitalia, quella che una volta era l'invincibile armata degli spot, è arrivato un manager di peso come Stefano Sala, con i gradi di amministratore delegato commerciale. Dal prossimo gennaio affiancherà il numero uno Giuliano Adreani, l'uomo che ormai dal 1994 manovra la corazzata pubblicitaria del gruppo Fininvest. Le fonti ufficiali si sono affrettate a buttare acqua sul fuoco spiegando che in realtà non cambia nulla negli assetti di vertice. Tradotto: la posizione di Adreani, che ha da poco compiuto 70 anni, non è in pericolo. Almeno per il momento.

È chiaro però che per affrontare una crisi che non ha precedenti, in cui vengono a mancare tutti i punti di riferimento, in Fininvest devono aver pensato che era indispensabile un rinforzo al vertice, un manager con l'elmetto pronto a giocarsi la carriera in una battaglia senza precedenti. Prima di tutto perchè l'ombrello protettivo della politica pare ormai non offririre più nessuna tutela. E poi, ovviamente, perché nessuno ricorda un mercato con un andamento così negativo. Nei primi nove mesi del 2012 la raccolta pubblicitaria delle tv di Mediaset è crollata del 15 per cento circa rispetto allo stesso periodo del 2011: da 1,94 a 1,65 miliardi di euro. Sono quasi 300 milioni di denaro cash che sparisce di botto alla voce ricavi. E per l'ultimo trimestre nessun analista osa prevedere che il mercato possa riprendersi in tempi rapidi.

A Sala, che comincia nel 2013, tocca fare i conti con questa situazione. E lo dovrà fare destreggiandosi tra uomini di fiducia della famiglia, fortissimi in azienda, come il capo della finanza Fulvio Pravadelli o il direttore marketing Luigi Colombo. Anche il nuovo amministratore delegato, per la verità, non è esattamente un uomo nuovo dalle parti della Fininvest. Bocconiano, esperienze a Telepiù e al gruppo Cairo, Sala arriva da un colosso internazionale della pubblicità come il gruppo Wpp ed è descritto dagli addetti ai lavori come un ex pupillo di Romano Comincioli, il vecchio sodale di Berlusconi (suo compagno di classe poi in Parlamento con Forza Italia) morto alcuni mesi fa. Con ogni probabilità nel mare magnum degli spot si navigherà a vista ancora per molti mesi. Difficile immaginare una ripresa del mercato nel corso del 2013. Nel frattempo, per stare a galla, Mediaset non potrà fare altro che affidarsi a nuovi tagli di costi.

Si giocherà sullo stesso terreno, quello dei risparmi, anche la prossima partita della Mondadori, l'altra provincia del gruppo multimediale targato Fininvest. Con il mercato pubblicitario dei periodici che viaggia in calo del 20 per cento e più e le vendite di libri che nei nove mesi del 2012 hanno perso un altro 7 per cento circa, anche la casa editrice di Segrate ha varato nelle settimane scorse una riorganizzazione manageriale che viene letta in chiave difensiva. È nata una nuova divisione periodioci affidata a Ernesto Mauri, una vecchia conoscenza del gruppo, già in predicato di raggiungere la poltrona di numero uno nel lontano 1997, quando gli venne preferito l'attuale amministratore delegato Maurizio Costa. Nel 2007 Mauri è rientrato a Segrate per poi prendere la responsabilità di Mondadori France. Adesso gli tocca la grana dei periodici. Che vuol dire, in soldoni, gestire nuovi tagli. Brutto affare. Ma nel settore libri potrebbe andare ancora peggio. Perchè quest'anno a contenere i danni si è aperto il paracadute del'incredibile successo delle "Cinquanta sfumature": 2,4 milioni di copie vendute tra giugno e settembre. Difficile che il miracolo si ripeta.

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Anche i calciatori piangono

di ALESSANDRA BIANCHI (l'Espresso | 22 novembre 2012)

Il provvedimento che più ha avuto impatto mediatico e che ha caratterizzato la prima fase dell'era Hollande è sicuramente quello che riguarda la tassa del 75 per cento per i guadagni superiori al milione di euro l'anno, inserito nella Finanziaria dal primo ministro francese Jean-Marc Ayrault.

In questa fascia finiscono naturalmente artisti e calciatori. E la nuova tassa non ha certo raccolto consensi unanimi. Sono 146 su circa 400 i giocatori di Ligue 1, la serie A francese, a guadagnare più di un milione l'anno. Nomi famosi su cui svetta tra tutti l'acquisto più prestigioso del Paris Saint-Germain targato Qatar, e cioè Zlatan Ibrahimovic (12 milioni annui). In questa speciale classifica ovviamente la parte del leone la fa proprio la squadra parigina che, a parte lo svedese, paga profumatamente anche Thiago Silva, Javier Pastore, Thiago Motta ed Ezequiel Lavezzi, tanto per citare i più importanti. Poi seguono Lione e Marsiglia che pur non potendo garantire le cifre della capitale, sono comunque squadre che offrono stipendi importanti a giocatori come Yohann Gourcuff, Michel Bastos, Steve Mandanda, Mathieu Valbuena, André-Pierre Gignac.

Chi pagherà questa tassa? Anche il calcio francese ha i suoi problemi, Psg a parte. Vincent Labrune, per esempio, presidente del Marsiglia, una delle squadre più seguite a popolari della Ligue 1, ha già dichiarato che non potrà aiutare in nessun modo i suoi giocatori: «La tassa riguarda il 75 per cento della mia squadra. Allo stato attuale non possiamo permetterci di aumentare gli stipendi per attenuarne l'effetto». Il Paris Saint-Germain invece prenderà a carico questo supplemento di tasse. Ma si teme anche che questa imposizione fiscale renda più difficile gli arrivi di calciatori prestigiosi nel calcio francese.

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Da Unicredit Factoring

altri 20 mln alla Roma

di ANDREA MONTANARI (MF Milano Finanza 16-11-2012)

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Continuo e pieno sostegno economico da parte di Unicredit alla Roma americana. L’azionista finanziario (40% della controllante Neep Roma Holding) e finanziatore dall’arrivo del socio Usa (la Di Benedetto As Roma LLc) nei giorni scorsi ha concesso una seconda linea di credito da 20 milioni attraverso la controllata Unicredit Factoring già esposta per 25, 2 milioni nei confronti del club giallorosso «nell’ambito degli accordi inerenti la cessione del pacchetto di controllo della società, per anticipazioni ricevute su maturandi crediti da licenza da diritti audiovisivi della stagione 2012-2013 e di sponsorizzazione tecnica», si legge nella relazione di bilancio al 30 settembre della squadra di calcio presieduta da James Pallotta.

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Precisazione dei legali di Antonio Conte

La sentenza del TNAS addebita ad Antonio Conte di aver saputo da Stellini sin dall’8 marzo 2012 dell’illecito commesso dai calciatori in Albinoleffe-Siena. E pertanto, secondo i Giudici del CONI Conte almeno da quella data avrebbe omesso di denunciare.

Evidentemente i membri del Tribunale Arbitrale non hanno valutato compiutamente e correttamente le parole di Antonio Conte verbalizzate il 13/7/2012: “Stellini solo recentemente a seguito delle notizie di stampa che lo indicavano come coinvolto in presunti accordi presi dal Carobbio per la partita di ritorno mi ha riferito che, al termine della gara in oggetto vi era stata una rissa tra i calciatori delle due squadre al quale il medesimo aveva partecipato, e, pertanto, essendo preoccupato che potessero accadere incidenti nella gara di ritorno, sollecitò Carobbio, quale ex dell’Albinoleffe a parlare con i suoi ex compagni per cercare di stemperare gli animi; lo scrupolo di Stellini derivava dal fatto di essere rimasto coinvolto in prima persona nella rissa e pertanto si sentiva ancor più responsabile. Stellini non mi esplicitò i motivi della rissa anche perché non entrai nei particolari, essendo rimasto molto contrariato per non essere stato informato tempestivamente di quanto accaduto”. Dunque Stellini non ha mai riferito a Conte di accordi presi per accomodare la partita di ritorno Albinoleffe-Siena bensì ha riportato esclusivamente quanto avvenuto negli spogliatoi di Siena, al termine della gara di andata.

Un solo commento: dopo la falsa accusa su Siena-Novara, dopo la falsa attribuzione della esclusione di Mastronunzio dalla rosa per fini illeciti, il TNAS non potendo più utilizzare le dichiarazioni di Carobbio ha addebitato ad Antonio Conte ed alla sua difesa una ammissione di responsabilità per la verità mai avvenuta. Errore al quale non è più possibile porre rimedio.

Chi avrà tempo e modo di leggere gli atti constaterà quanto da noi affermato.

Giulia Bongiorno, Luigi Chiappero e Antonio De Rensis

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La tendenza Molti club spostano la loro sede legale Oltremanica: così si aggirano i debiti e la crisi

L’Inghilterra gioca in paradiso. Fiscale

di FABIO CAVALERA (CorSera 17-11-2012)

LONDRA — Di inglese è rimasto ben poco nella patria del calcio. E non soltanto perché 11 società su 20 della Premier League hanno proprietari americani o arabi o russi o indiani che non lesinano capitali e investimenti in tempo di austerità. Il problema serio è un altro e tutto sommato nuovo: da un po’ di mesi alcuni di questi magnati stanno spostando la sede legale dei loro club Oltremanica. E, guarda caso, questo trasloco prende rotte particolari, tipo Isole Cayman, tipo Gibilterra, tipo Isole Vergini Britanniche, tipo Svizzera.

Già, il paradiso del calcio cerca e trova rifugio nei paradisi fiscali. La ragione non ci vuole molto a scoprirla. Lì, nelle enclave dove le imposte sono un peccato mortale, si ottiene il magnifico make up dei bilanci: le perdite si trasformano in attivi, i debiti si impacchettano, le azioni si vendono senza il pesante orpello delle tasse. E allora via alla grande fuga.

Il Manchester United, glorioso gioiello della famiglia Glazer (americani), a luglio ha spostato la base operativa (in termini legali) alle Isole Cayman. Tutto in fil di diritto anglosassone ma la magia — ha scoperto qualche giorno fa la rubrica «Lex» del Financial Times — ha portato un immediato beneficio perché d’incanto, da luglio a settembre, i conti trimestrali sono passati dal segno meno al segno più (utile di 20 milioni di sterline, grazie proprio al «tax credit »). Non che si siano cancellati i 390 milioni di euro di debito accumulati in questi anni, ma l’artificiale boccata d’ossigeno ne rafforza l’immagine e serve alla causa. Eccome, se serve.

Se il budget dà segni di ripresa (vera o finta non importa) è più facile richiamare gli sponsor e per il Manchester United significa firmare, come avvenuto, un contratto di sette anni da 559 milioni di sterline (700 milioni di euro, un record), a partire dalla stagione 2014-2015, con il brand Chevrolet. Ossia General Motors. Suggestivo. Dimostrazione di potenza planetaria. Ma sotto sotto le fragilità (i debiti) restano.

Il Manchester United fa notizia in quanto è il Manchester United. Ma la verità è che si è messo nella scia di altre società magari non tanto blasonate o vincenti. Ad esempio, lo scrigno del Reading, che è nel portafoglio del russo Anton Zingarevich, è a Gibilterra. Quello del Leeds (nella B inglese) e del Southampton (Premier) è in Svizzera. Il Bolton, il Birmingham e il Blackburn, pur essendo in serie cadetta, ingrassano all’Isola diMan, alle Cayman e a Jersey. E chissà quante altre.

Per le società fuori dalle competizioni europee il fair play di Monsieur Platini non vale. Ma per le altre? Il rifugio nei paradisi fiscali è l’ultimo trucco del calcio di sua maestà.

Manchester United

THE LEX COLUMN (Financial Times 15-11-2012)

What is a Cayman Islands address for, after all? Manchester United set its corporate self up in the tax haven before its New York Stock Exchange listing in the summer. Its first set of quarterly results yesterday show the tax advantages. Revenue hit a record £76m for the three months to September. That helped the football club to swing to net income of £20m from a loss a year ago. The turnround, though, was due entirely to a handsome tax credit of more than £26m related to the change of ownership. Moreover, the club has unrecognised potential deferred tax assets of at least £60m to offset against future US tax liabilities.

Absent the tax credit, the club would have incurred a small loss due to timing and seasonal factors. It played just one game in the Uefa Champions League – a widely watched and lavishly funded club competition – in the quarter against two a year ago, cutting broadcasting revenue by a third. The club’s real strength as a commercial enterprise, though, is its ability to attract sponsors. It secured no fewer than 10 in the quarter, including its $600m multiyear deal with General Motors to sponsor the club’s red shirt.

Manchester United still has significant debt – the issue that has alienated many supporters from the Glazer family, which controls the club. Its net debt of £310m at the end of September was down 17 per cent from a year earlier. That should fall below three times the club’s expected adjusted earnings before interest, tax, depreciation and amortisation for its 2013 financial year, assuming net debt remains static. Manchester United’s shares have drifted down about $1 from their listing price of $14, a valuation that always looked a bit stretched. Given the financial mess of much of the rest of the football world, however, the Glazers can afford for the moment to just ignore the people gloating in the away section.

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il doppiopesismo dei manganelli

MA SE PICCHIA L’ULTRÀ

IL CELERINO È UN EROE

di GIUSEPPE DE BELLIS (il Giornale 17-11-2012)

Va bene che tutto è relativo, ma spiegateci questa: abbiamo letto che i poliziotti che hanno caricato i manifestanti violenti di Roma, di Milano, di Torino, di Padova sono dei picchiatori ingiusti, mentre quelli che ogni domenica manganellano gli ultrà negli stadi fanno bene, anzi sono dei poveracci che vengono spediti a prendere insulti, monetine, sputi per quattro spiccioli. Due pesi e due misure, classico dell’Italia: non esiste una realtà, ma la realtà modificata dalla propria percezione di un fatto. La piazza dei manifestanti è sacra, la curva no. Chi indossa un casco e fa la testuggine contro gli agenti, chi imbraccia mazze e bastoni per aggredire i poliziotti, chi sradica sanpietrini per lanciarli contro non può essere diverso da chi nello stadio fa la stessa cosa. Invece da noi è così: il luogo fa la differenza. Il comportamento è il medesimo, ma la polizia non può reagire nello stesso modo. È la follia, ma si sa: questo Paese dà alla piazza e ai cortei una dignità che supera abbondantemente la loro portata politico-culturale. I ragazzi coi caschi e le bandane a coprire il volto non sono diversi da quelli a torso nudo che millantando il tifo per una squadra cercano lo scontro con poliziotti e carabinieri. Dice: in piazza a manifestare ci vanno i ragazzi che hanno valori, che rappresentano il futuro dell’Italia, mentre allo stadio ci vanno i barbari, quelli che il futuro non ce l’hanno, non lo vogliono, quindi figurati se possono rappresentarlo.

Balle. È il razzismo della massa: la verità è che l’humus degli ultrà violenti e quello dei manifestanti violenti è identico. I secondi sono soltanto più furbi: usano parole più efficaci per raccontare la stessa cosa, e cioè che vogliono menare, vogliono fare male, odiano le divise, odiano lo Stato, odiano tutti. Gli ultrà, invece, sono sempliciotti.

Così chi si indigna oggi per le manganellate (i lacrimogeni sparati dalle finestre del ministero appartengono ad altro) date al corteo contro la crisi, cita Pasolini quando vede i poliziotti che reagiscono alla violenza delle curve: in pratica se i violenti sono politicizzati, è la polizia che è fascista e squadrista; se i violenti sono tifosi di calcio, la polizia picchia per difendere la civiltà.

Siamo un Paese ridicolo che si copre di ridicolo. I poliziotti sono gli stessi e reagiscono allo stesso modo: allora perché questo doppiopesismo? Perché dobbiamo sempre trovare una chiave sociologica per raccontare la violenza di piazza. Per giustificarla. Per dire: la polizia non ha guardato in faccia a nessuno, ha colpito i cattivi e i buoni alla stessa maniera. Ecco: qualcuno alza il dito per dire che accade la stessa cosa anche negli stadi? No. Il problema è semplice: la polizia ha ragione in un caso e nell’altro. Qui non si parla di esagerazioni, ovvio. Ma di reazioni a un’offesa, a un’aggressione. Che è uguale se avviene per la strada dietro gli striscioni contro la crisi e se avviene in una curva dietro lo striscione di una squadra di calcio. Ma forse questo è un discorso troppo semplice per essere capito.

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Carte false per la Coppa

di MASSIMILIANO PEGGIO (LA STAMPA 17-11-2012)

Gabbati, altro che «gobbi». Attratti dal sogno di una notte magica in Champions League, alcuni tifosi della vecchia signora hanno acquistato on line i biglietti del «big match» di martedì prossimo col Chelsea sborsando 600 euro. Un capitale, per un posto in tribuna est centrale allo Juventus Stadium. Tutto per dire «io c’ero».

Macché. Quei biglietti, venduti ad un prezzo maggiorato del 200%, con un’impennata da bolla speculativa, sono falsi. Carta straccia. A scoprirlo sono stati gli uomini della Guardia di Finanza del comando provinciale di Torino, da tempo impegnati a dare la caccia a bagarini e truffatori di tifosi.

I biglietti erano banali «fotocopie», frutto di un trucco digitale. A vendere i tagliandi falsi sono stati due portali internet «riconducibili a società con sedi in Spagna e nel Regno Unito», scrivono i finanzieri nei loro atti. Imbroglioni che beffano sognatori di coppe. Dall’inizio dell’anno sono 150 le sanzioni inflitte dalle Fiamme Gialle contro «bagarini» e tifosi «irregolari».

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Dopo sette anni

Offese a Materazzi

Il Senato assolve Salerno

art.non firmato (LA STAMPA 17-11-2012)

Dopo sette anni è stata votata la pronuncia di insindacabilità delle opinioni di Roberto Salerno, allora senatore, da parte del Senato della Repubblica: lo annuncia l’interessato. Nel 2005 fu condannato a un mese di reclusione per aver espresso, secondo il giudice, opinioni lesive pubblicate sulla stampa e relative al calciatore dell’Inter Materazzi: accadde durante la partita Inter-Juve, quando Materazzi commise un fallo su Ibrahimovic criticato da Salerno. Nell’occasione non venne chiesto il parere della Giunta per le Autorizzazioni ed immunità del Senato, che valuta se le dichiarazioni rientrano nel diritto costituzionale di libertà di espressione e di opinione dei parlamentari. Da qui il riesame del procedimento e poi l’annullamento della condanna. Ora, nel merito si è pronunciato il Senato in seduta pubblica per l’insindacabilità delle opinioni espresse all’epoca.

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I LEGALI DEL TECNICO

«Conte non ha ammesso nulla»

di ALBERTO ABBATE (CorSport 17-11-2012)

Nessun autogol, giurano i legali Bongiorno, Chiappero e De Rensis: «Dopo la falsa accusa su Siena-Novara, dopo la falsa attribuzione dell'esclusione di Mastronunzio dalla rosa per fini illeciti, il Tnas, non potendo più utilizzare le dichiarazioni di Carobbio, ha addebitato ad Antonio Conte e alla sua difesa un’ammissione di responsabilità per la verità mai avvenuta. Errore al quale non è più possibile porre rimedio». Gli avvocati del tecnico bianconero non ci stanno, diffondono una nota ufficiale sul sito della Juve: «La sentenza addebita ad Antonio Conte di aver saputo da Stellini sin dall'8 marzo 2012 dell'illecito commesso dai calciatori in Albinoleffe-Siena. E pertanto, secondo i Giudici del Coni, Conte almeno da quella data avrebbe omesso di denunciare. Evidentemente i membri del Tribunale arbitrale non hanno valutato compiutamente e correttamente le parole di Antonio verbalizzate il 13 luglio 2012, che recitavano così: “Stellini solo recentemente, a seguito delle notizie di stampa che lo indicavano come coinvolto in presunti accordi presi dal Carobbio per la partita di ritorno, mi ha riferito che, al termine della partita, vi era stata una rissa tra i calciatori delle due squadre al quale il medesimo aveva partecipato, e, pertanto, essendo preoccupato che potessero accadere incidenti nella sfida di ritorno, sollecitò Carobbio, quale ex dell'Albinoleffe, a parlare con i suoi ex compagni per cercare di stemperare gli animi.Stellini non mi esplicitò i motivi della rissa anche perchè non entrai nei particolari, essendo rimasto molto contrariato per non essere stato informato tempestivamente di quanto accaduto". Dunque, Stellini non ha mai riferito a Conte di accordi presi per accomodare la partita, bensì ha riportato esclusivamente quanto avvenuto negli spogliatoi di Siena, al termine del match d’andata».

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LA SENTENZA

Gli avvocati di Conte replicano al Tnas

art.non firmato (GaSport 17-11-2012)

Dopo la pubblicazione delle motivazioni della sentenza del Tnas, è arrivata la risposta dei legali di Antonio Conte. Giulia Bongiorno, Luigi Chiappero e Antonio De Rensis: «La sentenza del Tnas addebita a Conte di aver saputo da Stellini sin dall’8 marzo 2012 dell’illecito di Albinoleffe-Siena. Evidentemente non sono state valutate compiutamente e correttamente le parole di Conte del 13 luglio 2012: "Stellini solo recentemente mi ha riferito che al termine della gara in oggetto vi era stata una rissa tra i calciatori delle due squadre al quale ilmedesimo aveva partecipato e pertanto sollecitò Carobbio quale ex dell’Albinoleffe a parlare con i suoi ex compagni per cercare di stemperare gli animi". Un solo commento: dopo la falsa accusa su Siena-Novara, dopo la falsa attribuzione della esclusione di Mastronunzio dalla rosa per fini illeciti, il Tnas non potendo più utilizzare le dichiarazioni di Carobbio ha addebitato a Conte e alla sua difesa una ammissione di responsabilità mai avvenuta. Errore al quale non è più possibile porre rimedio».

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Scommesse

Conte e le sentenze

“Mai ammesso nulla”

di MATTEO PINCI (la Repubblica 17-11-2012)

Uno slalom tra contraddizioni e retromarce: l’iter processuale che ha portato ai 4 mesi di squalifica per Conte — dalla Disciplinare al Tnas — non può non lasciare perplessi. Il Tribunale di Arbitrato Sportivo ha valutato la sua colpevolezza «in ordine alla assenza di necessità di raggiungere la certezza al di là di ogni ragionevole dubbio », replicando la sentenza della Corte di Giustizia. La stessa Corte che ad agosto 2011 proscioglieva il presidente del Ravenna Fabbri «in assenza della prova al di là di ogni ragionevole dubbio». In fondo, anche per la Disciplinare la condanna a Conte meritava «l’affermazione di responsabilità solo in termini di certezza». Ma dal 10 agosto il quadro di colpevolezza è mutato a ritmo frenetico. Per il giudice di 1° grado Conte è responsabile di due omesse denunce, stante la «assoluta credibilità» del pentito Carobbio. Etichetta crollata in 2° grado con l’assoluzione per una delle due accuse. Compare però la figura di Mastronunzio, che porta i giudici a ventilare una «più grave incolpazione», l’illecito. La formulazione sbagliata dell’accusa dovrebbe però suggerire l’assoluzione con riformulazione accusatoria, non la sentenza. Palla allora al Tnas. Che abbatte anche il “tema Mastronunzio”, affermando le «contraddizioni » di Carobbio. Nuova sentenza di colpevolezza però. Anche a causa di quello che il lodo articola come autogol della difesa. «Il Tnas ha addebitato a Conte e alla sua difesa un’ammissione di responsabilità mai avvenuta. Errore cui non è più possibile porre rimedio», la risposta dei legali bianconeri. Ma il riferimento del collegio arbitrale era alla domanda contenuta nell’istanza istruttoria presentata dai difensori a pagina 57, nel capitolo d’interrogatorio a Stellini: «Vero che lei riferì al mister Conte tale episodio solamente quando fu ascoltato, avanti la Procura Federale della Figc in data 8 marzo 2012?». Domanda formulata secondo la procedura standard, ma che lascia aperto il dubbio di un’affermazione implicita, e dunque di una prova logica. Ma a cui Stellini avrebbe potuto rispondere smentendo la circostanza. Una risposta che — respinte le istanze istruttorie — nessuno ascolterà mai.

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Calcioscommesse I legali di Conte: «Mai ammesse responsabilità»

«Il Tnas ha interpretato male su Stellini»

art.non firmato (Quotidiano Sportivo 17-11-2012)

«Dopo la falsa accusa su Siena-Novara, dopo la falsa attribuzione dell’esclusione di Mastronunzio dalla rosa per fini illeciti, il Tnas, non potendo più utilizzare le dichiarazioni di Carobbio, ha addebitato ad Antonio Conte e alla sua difesa una ammissione di responsabilità per la verità mai avvenuta. Errore al quale non è più possibile porre rimedio». Comincia così la ‘precisazione’ dei legali di Antonio Conte, che è una chiara accusa al modo di procedere del Tnas. «La sentenza — prosegue la nota — addebita ad Antonio Conte di aver saputo da Stellini sin dall’8 marzo 2012 dell’illecito commesso dai calciatori in Albinoleffe-Siena. E pertanto, secondo i Giudici del Coni, Conte almeno da quella data avrebbe omesso di denunciare. Evidentemente i membri del Tribunale arbitrale non hanno valutato compiutamente e correttamente le parole di Antonio Conte verbalizzate il 13 luglio 2012». Secondo i legali «Stellini non ha mai riferito a Conte di accordi presi per accomodare la partita di ritorno Albinoleffe-Siena, bensì ha riportato esclusivamente quanto avvenuto negli spogliatoi di Siena, al termine del match d’andata».

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LE MOTIVAZIONI DELLA DISCORDIA

I legali di Conte attaccano il Tnas

«Dopo le false accuse su Siena-Novara e Mastronunzio,

addebitata a Conte un’ammissione mai avvenuta»

art.non firmato (TUTTOSPORT 17-11-2012)

TORINO. Per Antonio Conte la squalifica è quasi terminata. L’amarezza, quella, resta intatta. Anzi, le motivazioni del Tnas sui quattro mesi di stop hanno riaperto una ferita che fatica a rimarginarsi. Così ieri Giulia Bongiorno , Luigi Chiappero e Antonio De Rensis hanno prodotto un documento riportato sul sito ufficiale della Juventus che recita: «La sentenza del TNAS addebita ad Antonio Conte di aver saputo da Stellini sin dall’8 marzo 2012 dell’illecito commesso dai calciatori in Albinoleffe-Siena. E pertanto, secondo i Giudici del CONI Conte almeno da quella data avrebbe omesso di denunciare. Evidentemente i membri del Tribunale Arbitrale non hanno valutato compiutamente e correttamente le parole di Antonio Conte verbalizzate il 13/7/2012: («Stellini solo recentemente a seguito delle notizie di stampa che lo indicavano come coinvolto in presunti accordi presi dal Carobbio per la partita di ritorno mi ha riferito che, al termine della gara in oggetto vi era stata una rissa tra i calciatori delle due squadre al quale il medesimo aveva partecipato, e, pertanto, essendo preoccupato che potessero accadere incidenti nella gara di ritorno, sollecitò Carobbio, quale ex dell’Albinoleffe a parlare con i suoi ex compagni per cercare di stemperare gli animi; lo scrupolo di Stellini derivava dal fatto di essere rimasto coinvolto in prima persona nella rissa e pertanto si sentiva ancor più responsabile. Stellini non mi esplicitò i motivi della rissa anche perché non entrai nei particolari, essendo rimasto molto contrariato per non essere stato informato tempestivamente di quanto accaduto»). Dunque Stellini non ha mai riferito a Conte di accordi presi per accomodare la partita di ritorno Albinoleffe-Siena bensì ha riportato esclusivamente quanto avvenuto negli spogliatoi di Siena, al termine della gara di andata. Il TNAS non potendo più utilizzare le dichiarazioni di Carobbio ha addebitato ad Antonio Conte ed alla sua difesa una ammissione di responsabilità per la verità mai avvenuta. ...Errore al quale non è più possibile porre rimedio».

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Fair-play debate

dominated by self-interest

by OLIVER KAY (THE TIMES 17-11-2012)

The difficulty in buying into English football’s sudden interest in Financial Fair Play (FFP) is that it requires you to believe it is being done for the right reasons.

We can all see how player wages have spiralled beyond all reason, with the 20 Premier League clubs spending a total of £1.6 billion on salaries in the 2010-11 season.

We can all see that unbridled spending is irresponsible, with the danger that Portsmouth could be a fourth-tier club by the time they recover from the ruinous extravagance of Alexandre Gaydamak and the incompetence of those who followed. And we can all see that, when so much is being spent on wages at a time when more and more supporters are being priced out of watching their team, something has to give.

FFP, as laid out by Michel Platini during the early part of his presidency of Uefa, was supposed to be about protecting football from its worst excesses: debt, blind ambition and irresponsible spending. But once Real Madrid, Bayern Munich, AC Milan, Manchester United and others had had their say, the version Uefa ended up adopting — and which clubs such as United and Arsenal want implemented in the Premier League — seemed to be about protecting profits and minimising the threat posed to the elite clubs by big-spending arrivistes such as Manchester City and Paris Saint-Germain.

Self-interest is everywhere in this debate. It can be seen both in the way that City oppose the introduction of financial regulation to the Premier League and in the way FFP has become a rallying point for some of their rivals. Prudence is long established at United and Arsenal, and both should be applauded for remaining competitive and yet self-sufficient in the oligarch era.

But you do not have to be an arch-cynic to spot that those two clubs and Liverpool have in common big fanbases, huge global commercial appeal and American owners who regard English football as a means of making money rather than an exhilarating way of losing it.

When the top-flight clubs generated a combined income of £2.3 billion in 2010-11, 70 per cent of that sum went on player wages. That looks unsustainable, extravagant and decadent, even if the wealth of the Champions League elite means that the biggest dangers seem to arise not from the biggest salaries (Fernando Torres, Yaya Touré, Wayne Rooney and so on) but, as seen in the Portsmouth case, from big contracts sanctioned by smaller clubs, a warning to Queens Park Rangers and others.

With that income set to soar over the next few seasons through domestic and overseas broadcast deals, which could amount to £5 billion over the next three-year cycle, the concern at several clubs is that, unless spending is regulated, this money will end up filtering straight into the bank accounts of players and their agents and from there into the local Bentley dealership. (Credit to West Bromwich Albion, incidentally, for suggesting that each club should be responsible enough to look after themselves.) But what is the alternative to the free market? Financial regulation would be easier to swallow were it not for the suspicion that it might see one fat-cat culture, among players, replaced by another. Increasingly, we are hearing about owners wanting a return on their investment. That is business, you might say, but I have yet to be given a compelling reason why a community asset, such as a football club, should be allowed to be taken into private ownership and then exploited for profit.

Far better for an entertainment industry’s profits to go to the entertainers than to the owners. And far better a benefactor such as Mohamed Al Fayed at Fulham, Peter Coates at Stoke City or Dave Whelan at Wigan Athletic than one such as the Glazer family, whose ownership of United has been made possible and propped up by more than £500 million drained from the club’s accounts in debt repayments over the past seven years.

It is clearly desirable for clubs to break even. The need to make profits — long-term profit of the type that sits in bank accounts while managers complain unconvincingly of a lack of value in the transfer market — is less clear. In Arsenal’s case, profits have at least allowed the club to pay off much of the debt incurred by building the Emirates Stadium.

In United’s case, there should be no self-congratulation at the latest reduction in their debt; it is a scandal that it arose in the first place.

At least the new TV deal has got the clubs talking. For instance, it gives them the chance to invest far more than ever before in youth development, infrastructure, charitable causes and helping more money to trickle down the pyramid, from the npower Championship to grassroots level. English football is good at this, but it could do far more.

And wouldn’t it be nice if, with so much more money swilling around, the talk was not just about regulating spending on wages but finding a way to make some tickets more affordable to those on lower incomes?

As it is, the reaction to the new deal has been all about controlling player wages. If that is all about trying to protect football’s best interests, all well and good. If it is about protecting profits and controlling competition, that is an entirely different matter. There is a serious debate and some very important decisions to be made about this, but right now it seems to be dominated by self-interest.

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L'ÉQUIPE 17-11-2012

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L’INTERROGATORIO

Scommesse, Erodiani

altre 5 ore sotto torchio

Attesi fra circa dieci giorni in Italia Gegic e Ilievski.

Ferrario ribadisce la proposta illecita di Zamperini

di ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 17-11-2012)

CREMONA - In attesa che tra una decina di giorni a Cremona si costituiscano Gegic e Ilievski, ieri davanti al pm Di Martino Massimo Erodiani ha ribadito e puntualizzato per 5 ore i concetti già espressi nell’interrogatorio di fine ottobre davanti alla giustizia ordinaria e in quello estivo in Figc. Il contenuto dell’interrogatorio è stato secretato esattamente come era successo 2 settimane fa. Erodiani ha presentato una documentazione che è stata definita «utile e interessante» ovvero le stampe di molti dei dialoghi che ha avuto tramite Skype con Paoloni e altri protagonisti della vicenda, ma soprattutto ha mostrato agli inquirenti una quindicina di sms che aveva conservato sul suo telefono e che gli erano stati inviati da Gegic e da altri esponenti del gruppo degli Zingari dopo il fallimento della combine su Inter-Lecce. I contatti erano già provati dai tabulati telefonici, ma adesso gli investigatori conoscono anche il contenuto dei messaggi, il luogo degli incontri e le minacce che Erodiani ha subìto perché considerato il garante di Paoloni per l’accordo millantato dall’ex portiere attraverso un incontro al casello di Termoli con 3 sedicenti giocatori del Lecce (Rosati, Vives e Corvia). Erodiani ha parlato anche dei contatti con il gruppo dei bolognesi e ha fatto alcune sottolineature su gare di Lega Pro negando però di essere a conoscenza di combine in gare della Pro Patria.

ZINGARI, PC E BARI - Importanti anche i contatti che gli inquirenti hanno avuto negli scorsi giorni con il nuovo legale nominato da Gegic e Ilievski, Roberto Brunelli. L’avvocato è stato a Cremona e a breve stabilirà la linea con i suoi assistiti: dopo una lunga attesa tutto lascia pensare che entrambi si costituiscano a breve (il primo dovrebbe essere Gegic). Gli investigatori intanto hanno consegnato a un perito un centinaio di computer sequestrati nel corso delle indagini per svolgere l’incidente probatorio richiesto, mentre altri pc sono stati inviati a un consulente per un’altra valutazione. Slitteranno al 2013 (inoltrato) eventuali patteggiamenti. A Bari invece entro Natale attese novità di rilievo: possibile l’avviso di chiusura delle indagini, ma non sono esclusi colpi di scena.

FERRARIO - Il difensore è stato interrogato ieri per un’ora dalla Procura Federale sulla presunta combine di Lecce-Lazio. Ferrario ha ribadito quando dichiarato a marzo ovvero che era stato avvicinato da Zamperini per una proposta illecita, ma che l’aveva immediatamente declinata. La prossima settimana in Figc audizioni, tra gli altri, per Mauri e Sculli.

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Scommessopoli Cento computer al setaccio

Erodiani minacciato anche su

Facebook per Lazio-Albinoleffe

di GABRIELE MORONI (Quotidiano Sportivo 17-11-2012)

Non smettono le minacce a Massimo Erodiani. Il tabaccaio di Pescara ne parla nel suo secondo colloquio con il procuratore di Cremona Roberto di Martino. La sua pace personale è andata in frantumi dopo le accuse messe a verbale con il procuratore federale Stefano Palazzi e ripetute davanti a di Martino a proposito di una presunta combine per una partita della Lazio. I messaggi che gli arrivano su Facebook lo minacciano di morte o comunque di pesanti ritorsioni per avere riferito di voci raccolte sulla manipolazione di Lazio-Albinoleffe di Coppa Italia del 25 novembre 2010. Erodiani, uno dei primi arrestati nell’inchiesta cremonese sul calcioscommesse, ha parlato di rumors secondo cui il dentista Marco Pirani avrebbe parlato dell’azione di una sorta di braccio operativo del presidente biancoceleste Claudio Lotito: Ermanno Pieroni, 66 anni, ex presidente dell’Ancona Calcio, condannato per il fallimento della squadra per il quale ha anche scontato 53 giorni di carcere. Il procuratore cremonese si accinge a prendere una iniziativa che dà sola dà l’idea della estesa complessità delle indagini. Nominerà un consulente che esaminerà circa cento computer, la metà di quelli interessati dall’inchiesta “Last Bet”, alla ricerca di eventuali file cancellati. Per gli altri cento si procederà invece con la formula dell’incidente probatorio.

Erodiani consegna a di Martino quindici sms conservati nella memoria del suo cellulare scambiati con Almir Gegic, esponente di punta del gruppo degli “zingari”, all’indomani di Inter-Lecce del campionato 2010-2011. Era stato Marco Paoloni, portiere della Cremonese e del Benevento, a millantare di poter garantire un Over. Il portiere s’incontrò con gli “zingari” al casello autostradale di Termoli. Lo accompagnavano tre uomini che presentò come Corvia, Rosati e Vives, calciatori della squadra salentina. In realtà si trattava di tre figuranti arruolati per l’occasione da Paoloni che ricevette 200mila euro. La partita terminò con la vittoria dei nerazzurri 1-0 dopo che i pugliesi si erano impegnati alla morte. Una volta scoperti il raggiro e la sceneggiata, era esplosa la collera degli “zingari” che, come documentano gli sms, si appuntò anche contro Erodiani, accusato di essere venuto meno al suo ruolo di garante dell’operazione. Si parla anche di partite di divisioni minori. Di Martino chiede a Erodiani notizie di un incontro della Pro Patria, ma il tabaccaio sul punto non ha nulla da dire.

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SCOMMESSE, NUOVI RISVOLTI PER L’OMESSA DENUNCIA

De Lucia: Livorno risarcito

Il portiere, che patteggiò 5 mesi di squalifica, perde 5

mensilità di stipendio e pagherà 17.000 euro di danni

di SIMONE DI STEFANO (TUTTOSPORT 17-11-2012)

ROMA. La squalifica per omessa denuncia costa stipendio, risarcimento del danno e spese legali al giocatore coinvolto. Per la prima volta l’arbitrato anticipa le nuove norme dell’accordo collettivo e per un calciatore coinvolto in Scommessopoli arriva anche la condanna al risarcimento del suo club. Si tratta di Alfonso De Lucia , portiere del Livorno, che nell’ultimo processo sul calcioscommesse patteggiò a 5 mesi di squalifica un’omessa denuncia dopo le rivelazioni in presa diretta di Alessando Sbaffo riguardo la gara Livorno-Piacenza del 14 maggio 2011. Il presidente del club toscano, Aldo Spinelli , difeso dall’avvocato Mattia Grassani , è andato fino in fondo, fino al Collegio Arbitrale che nei giorni scorsi si è così espresso: «De Lucia - si legge nel lodo - ha violato i principi di diligenza e dell’obbligo di fedeltà» nei confronti del datore di lavoro e per questo, oltre ad aver perso le 5 mensilità che gli deve il club toscano durante la sua squalifica, dovrà anche pagare al Livorno il risarcimento dei danni procurati, quantificati in 15.000 euro più 2.000 per le spese legali e i costi amministrativi del collegio e dei suoi componenti. Una pronuncia innovativa che potrebbe essere adottata da altri club per perseguire i dipendenti «infedeli».

LECCE-LAZIO Si va verso i deferimenti per i casi relativi a Lecce-Lazio e Lazio-Genoa del 2011, che tuttavia potrebbero far slittare il processo a gennaio. Coinvolti Mauri , Milanetto , Sculli , oltre al massaggiatore della Lazio, Romano Massimo Papola . Tutti saranno ascoltati martedì, giornata cruciale per le sorti dell’inchiesta. Ieri il primo assaggio con Stefano Ferrario , che su Lecce-Lazio ha confermato la versione fornita durante la sua prima audizione in Procura federale: « Zamperini mi propose la combine». Un’ammissione che potrebbe costargli almeno l’omessa denuncia.

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Cellino, altri guai: ancora indagato

di BARTOLO DEVECCHI (IL ROMANISTA 17-11-2012)

Martedì, la Corte di Giustizia Federale metterà la parola fine a questo tormentone. Deciderà sul ricorso del Cagliari per lo 0-3 a tavolino assegnato alla Roma. Ma quello che è accaduto ieri, anche se non direttamente collegato alla partita (mai disputata) con la squadra di Zeman, complica sicuramente la posizione del club rossoblù. Se non altro, lo rende politicamente meno difendibile. Al suo presidente, a Massimo Cellino, è stata notificata una comunicazione di reato. In altre parole, un avviso di garanzia. Per la Questura del capoluogo sardo, la società ha violato l’autorizzazione emessa dal Comune di Quartu Sant’Elena sull’utilizzo della stadio "Is Arenas" per Cagliari-Catania. Autorizzazione che prevedeva l’accesso soltanto per Curve, Distinti e Settore Ospiti, per un totale di circa 13 mila spettatori.

Poco prima delle 17, però, il colpo di scena. Giornalisti, ospiti e autorità, tra le quali l’arcivescovo di Cagliari, fanno il loro ingresso nella Tribuna Main Stand. Nel capoluogo sardo si difendono sostenendo che la limitazione disposta dal G.o.s., il Gruppo operativo di sicurezza, non sarebbe mai stata notificata a Cellino & Co. Quindi, per il Cagliari era agibile tutto lo stadio.

In ogni caso, il Cagliari deve fare i conti anche con un altro provvedimento. È stata inviata alla Prefettura la contestazione di illecito amministrativo per la violazione della legislazione per la sicurezza degli impianti sportivi: in fase di prevendita, un addetto alla biglietteria del Cagliari - si legge in una nota della Questura - è stato venduto un tagliando senza accertare le generalità dell’acquirente. Non è la prima volta che succede in casa Cagliari. La scorsa stagione, un biglietto era stato venduto a un ragazzo sotto Daspo e Cellino era stato condannato a pagare una multa di 40 mila.

L’appuntamento più importante resta comunque quello di martedì, con la sentenza della Corte di Giustizia Federale sullo 0-3 per la Roma, conseguenza obbligata della decisione del Prefetto di Cagliari e conseguenza, a sua volta, del comunicato firmato da Cellino in cui venivano invitati i tifosi rossoblù ad andare allo stadio nonostante il divieto imposto dalle autorità. A Trigoria sono fiduciosi. In ballo c’è qualcosa persino più importante dei 3 punti in classifica. È l’immagine del calcio italiano.

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