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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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murales di GIANNI MURA (GUERIN SPORTIVO | DICEMBRE 2012)

CORAGGIO,

CARI GIORNALISTI

IL MEGLIO È PASSATO

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Tanto per dire come vanno le cose: telefona Marani, monsieur le directeur, e chiede a bruciapelo: ma tu, avessi vent'anni oggi, rifaresti questo mestiere? No, gli ho risposto subito. Benissimo, ha replicato, basta che spieghi perché e la rubrica del prossimo mese è bell'e fatta. Ci provo.

Primo motivo: non mi assumerebbe nessuno. Prima di essere assunti, quando va bene, bisogna fare anni di precariato e sfruttamento. A volte mi chiamano a parlare di sport nelle scuole e succede che mi chiedano come ho cominciato. Quando lo dico non ci crede nessuno, ma lo dico ugualmente. In quegli anni (nel mio caso, 1964), la Ġazzetta aveva una specie di accordo con uno dei due licei classici considerati i migliori di Milano: il Manzoni (l'altro era il Parini). In parole povere, si faceva segnalare, terminato l'esame di maturità, i due studenti più bravi in italiano. Se aveva spazio, li contattava e diceva: fermo restando il dovere di far bene l'Università, se vi va di venire qua a imparare un mestiere le porte sono aperte. Così nel novembre del '64 entravamo in via Galilei, io della III C e Gianni Menichelli della III B, grande appassionato di basket, poi passato alla Stampa e morto in un incidente sulla Milano-Torino.

Secondo motivo: se anche mi assumessero, avrei pochissima libertà. Ecco, oggi so che ci sono ancora molti ragazzi che hanno una visione ideale del giornalismo. Non è sbagliato, ce l'avevo anch'io e credo di avercela ancora. La libertà, se hai 20 anni, è anche quella di sbagliare, ma intanto crescere. E i primi anni sono decisivi. La mia fortuna è stata quella di aver trovato colleghi più anziani che mi hanno insegnato l'abc del mestiere. Prima quello della cucina, che oggi si chiama desk. Come passare i pezzi, titolarli, tagliare in tipografia le bozze ancora umide (sparite da un pezzo), come scrivere le notizie brevi e i pezzi più lunghi, come fare le interviste. Oggi si arriva a un giornale, quando va bene, dopo aver seguito una scuola di giornalismo. Si arriva già "imparati". E si è soli, perché difficilmente qualcuno ti spiega qualcosa.

Terzo motivo: i tempi, le misure, la tecnologia. Certo, se avessi vent'anni dovrei essere un maghetto del computer, avrei l'iPad e andrei a cercare i commenti dei calciatori su Twitter. Ma avrei, per esprimermi, spazi sempre più compressi, testi sempre più magri a scapito di titoli immensi e di quel che si chiama infografica. Uno slogan del '68 chiedeva l'immaginazione al potere, invece c'è andata l'impaginazione, guarda un po' il refuso. Per me, ma ancora per molti penso sia così, giornalismo è stare fuori dalla redazione, trovare storie da raccontare, raccontarle. Sarà utile ricordare che una volta tutti i giornali, anche gli sportivi, avevano una terza pagina: i corsivi, gli elzeviri, le opinioni, i ritratti. Era il salotto delle penne buone e tutti ne disponevano. La Ġazzetta aveva Raschi, Gianoli, Valentini, Berra, Violanti. Tuttosport Caminiti, Morino, Ormezzano. Stadio Bardelli, Roveri, Cucci. Il Corriere dello Sport Ghirelli, Neri, Marchesi. E chissà quanti ne dimentico. Come cronista di calcio ho esordito con un Pavia-Cuoiopelli sospesa per nebbia, Serie D, e poi man mano la C, la B, la A, come cronista di ciclismo sono entrato subito nella pista Grande, Giro del '65 e primo Tour nel '67. Non mi riconosco meriti particolari, in tutto questo. Mi hanno aiutato in tanti e ci ho messo del mio, tutto qui.

Se anche mi assumessero non sopporterei la vita di redazione. D'accordo, le redazioni di una volta non erano un esempio di autodisciplina. Sembrava di entrare in una fumeria d'oppio, nei cassetti delle scrivanie c'erano dadi, mazzi di carte di tutti i tipi, bottiglie di whisky o di grappa, palle di gomma leggera, si attaccavano a un chiodo due cestini della spazzatura appositamente sfondati e si giocava a basket. Quando entro in una redazione mi sembra di essere in una banca o nell'ufficio di una compagnia d'assicurazioni: asettiche, ripulite da ogni possibile vizio umano, senza un briciolo d'allegria. Mi sento come un vecchio cavallo cui è stata lasciata la corda lunga. Oggi è corta, toglie il fiato, toglie la voglia di fare il giornalista, anzi fa venir voglia di un altrove.

Se anche mi assumessero (ma non credo, adesso la parola d'ordine è pensionare, prepensionare, tagliare) non riuscirei a fare bene il mio lavoro perché sono venute a mancare le condizioni indispensabili. Mi spiego: sono cresciuto in un giornalismo pane e salame, interviste col taccuino e la biro, grande vicinanza tra atleti (anche campioni) e giornalisti. Per avere un'intervista da Mazzola o Rivera bastava fare un cenno con la mano, mentre s'allenavano. Ci vediamo dopo? Cenno affermativo con la testa. Oppure: cenno con le mani, cinque dita più due, cioè chiamami a casa alle 19. Mai preso un bidone, non perché fossi bravo e bello ma perché c'era rispetto dei ruoli. La tv, le tv non erano così piene di calcio, il giornale era il modo più semplice di rivolgersi ai tifosi. Anche i tifosi, per inciso, avevano più rispetto dei ruoli. Non pretendevano che un giornalista ragionasse come loro. Il postino, in caso di critiche o lodi, portava i loro messaggi in redazione. Oggi col web t'arrivano a casa vagonate di insulti pesantissimi. Ora, io credo (ma non posso dimostrarlo) che tutte o quasi le nuove tecnologie stiano uccidendo il giornalismo d'antan, che avrà avuto tanti difetti ma non conosceva il copia-e-incolla. A noi i direttori dicevano di consumare le scarpe, oggi le scarpe godono di ottima salute ma i polpastrelli e gli occhi non ne possono più. Nel ciclismo era anche più facile: invece di prendere calci, spintoni e anche qualche manganellata oltre il traguardo si andava nelle camere dei ciclisti, durante il massaggio o anche mentre stavano in una vasca da bagno. Meglio per noi e per loro, più rilassati. Da Mercx a Girnondi, da Ocana a Poulidor le ho visitate tutte, tranne quella di Anquetil. Ma è già un buon percorso. Da molti anni le camere dei ciclisti sono inaccessibili e anche i grandi bus da cui scendono due minuti prima della firma del foglio di partenza, già col casco in testa e, non tutti, qualche guardia del corpo (più comunemente body guard) al fianco. Anche per i calciatori, addio cenni con la mano. Una volta l'addetto-stampa era uno solo, spesso a mezzo servizio, e faceva da ponte tra calciatore e giornalista; adesso sono tantissimi e fanno da muro al calciatore, ci vogliono molti fax e telefonate per arrivare all'agognata intervista in cui, nove su dieci, il calciatore guarda l'orologio ogni due minuti e piazza aria fritta per mezzora. Sono sempre più lontani per quanto prima erano vicini, con qualcuno capitava pure di diventare amici, adesso vivono in altri mondi e nemmeno so se leggono i giornali o se c'è chi lo fa per loro.

Ma questo è un altro discorso, non m'importa se leggono o no perché se avessi vent'anni non farei il giornalista. Sarei disoccupato e incazzatissimo. Se qualcuno mi trova pessimista, posso rispondere di non avere fondati motivi per essere ottimista. E se proprio volessi essere originale, direi che la speranza è l'ultima a morire. E ci credo, ma la vedo palliduccia, la speranza.

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Lavoro&Professioni

Lo sport cerca una nuova classe dirigente

I MANAGER DIVENTANO FIGURE PROFESSIONALI DALLE ELEVATE

COMPETENZE, SPECIALIZZATI IN MARKETING, MERCHANDISING,

FINANZA. RICHIESTO UN PERCORSO FORMATIVO SPECIFICO

di DANIELE AUTIERI (la Repubblica AFFARI&FINANZA 12-11-2012)

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Abbandonato lo stereotipo del direttore del piccolo club il cui compito principale è la ricerca di nuovi tesserati e l’accordo per la gestione del campetto di quartiere, i nuovi manager dello sport sono figure professionali dalle elevate competenze, specializzati in marketing, merchandising, finanza, accordi sindacali, tutte attitudini che richiedono un percorso formativo specifico.

«La richiesta di formazione manageriale nel settore sportivo – commenta Nicola Schiavone, direttore risorse umane di Coni Servizi e responsabile dei corsi sul management dello sport organizzati dal Comitato Olimpico insieme all’università Luiss – sta crescendo in modo significativo negli ultimi anni. Il fenomeno dipende dal fatto che il mondo dello sport si va sempre più professionalizzando e scopre, ogni giorno che passa, di avere bisogno di figure manageriali dall’elevata competenza tecnica. Da qui la decisione del Coni di inaugurare, ormai cinque anni fa, il master sul management sportivo dove si spazia su tematiche che vanno dal marketing alla gestione societaria, dalla finanza alla contabilità fino alle relazioni sindacali».

«E proprio la dimensione contenuta della maggioranza delle società sportive – continua – non gli consente di strutturarsi con supporti esterni, ma le obbliga ad assumere al loro interno manager che abbiano sviluppato competenze gestionali come in una qualunque altra azienda».

Ad oggi le società sportive in Italia sono quasi 70mila ma solo poche hanno la struttura aziendale e finanziaria dei grandi club del calcio oppure di una scuderia di Formula 1 come la Ferrari.

«Purtroppo – spiega Katia Bassi, country manager in Italia della Nba (la National Basket Association americana), con un passato in Ferrari e all’Inter – scontiamo nel nostro Paese una sostanziosa dose di dilettantismo, figlia di un pregiudizio culturale secondo il quale chiunque si può occupare di sport. La realtà è ben diversa ed economie come quella statunitense o anche europee sono oggi molto più sofisticate in termini di management sportivo e considerano lo sport per quello che è: una delle industrie più ricche».

«Il manager sportivo – prosegue Bassi – non è un appassionato di sport o un tifoso, ma un professionista che applica tutte le dinamiche della managerialità tipiche di qualunque azienda. Negli Stati Uniti, ad esempio, i manager sportivi non sono quasi mai ex-atleti, ma vengono spesso scelti tra professionisti che hanno fatto esperienza in settori lontani anni luce dallo sport, come ad esempio la grande distribuzione».

E infatti, tolta la massa dei dirigenti che guidano società sportive di piccole dimensioni, generalmente non strutturate professionalmente al loro interno, i grandi manager chiamati a gestire realtà complesse dove lo sport prende le fattezze di un business milionario, superano di poco le 4mila unità.

«Un presidente classico di una società sportiva – commenta Federico Fantini, direttore del Master in Strategie per il Business dello Sport (il corso post lauream organizzato dal Gruppo Benetton e dall’università di Ca’ Foscari e considerato tra i primi MBA dello sport nel ranking mondia-le, davanti anche alla Business School del Real Madrid) – preferisce investire per aumentare gli stipendi di un atleta piuttosto che assumere una risorsa specializzata nel marketing, nel ticketing o nel merchandising, senza capire il valore aggiunto che si può trarre da queste attività. Pensiamo solo al tema delle infrastrutture. Uno stadio classico, di proprietà comunale, è un involucro vuoto che viene aperto solo il giorno della partita e il resto della settimana controllato perlopiù da un guardiano. Il nuovo impianto della Juventus, primo caso in Italia di stadio realizzato e gestito da una società sportiva, è invece un’attività commerciale costante, dove lavorano oltre 100 persone ».

«Fortunatamente – continua Fantini – la cultura e la percezione delle società sportive sta cambiando. Si investe di più nelle risorse umane e nei manager capaci di gestire questi cambiamenti. E noi lo vediamo dalle richieste di partecipazione che arrivano al nostro Master, in aumento sia nel numero che nella motivazione di chi le presenta».

La conferma di questo crescente interesse da parte del mondo dello sport nei confronti di figure professionali dotate di competenze tecniche elevate arriva anche dai protagonisti del management. «Negli ultimi quindici/venti anni – dichiara il presidente di Manageritalia, Guido Carella – la presenza di manager nello sport è sicuramente cresciuta, ed è stata accompagnata da un’interessante osmosi tra queste due realtà. Se è vero che lo sport ha sempre più bisogno di manager per guidare e gestire organizzazioni complesse che devono raggiungere obiettivi ambiziosi e far quadrare i conti, è anche vero che il mondo del management da anni sta mutuando e utilizzando alcune prassi sportive per fare formazione e migliorare i team aziendali. E anche le situazioni di stress elevato che lo sport deve gestire e vivere continuamente, sono sempre più simili ai business aziendali, dove la competizione è massima, ma dove collaborare e fare squadra è ormai indispensabile».

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Premier League managers:

oldest, youngest, most diverse

in Europe’s ‘Big 5′ leagues

by NICK HARRIS (sportingintelligence 06-11-2012)

The Premier League is home to the oldest and the youngest football managers within Europe’s ‘Big 5′ football divisions, and England’s top division also has the most diverse range of nationalities in its managerial ranks, according to new analysis by Sportingintelligence.

At 70 years old, Manchester United’s Sir Alex Ferguson is currently the oldest manager anywhere in the top divisions of England, France, Germany, Italy or Spain.

And at 35 years old, Tottenham’s Andre Villas-Boas is the youngest of the 98 managers in those divisions.

The graphic at the bottom of this article (click to enlarge) gives a detailed breakdown of the age and nationality of every current manager (at the time of writing) in the Premier League, Ligue 1, the Bundesliga, Serie A and La Liga.

Of those 98 managers, 97 are white and one is black: Norwich City’s Chris Hughton.

England has the greatest diversity of nationalities, with its managers coming from 11 countries, led by Scotland and England (four each), then Italy, Northern Ireland and Wales (two each) and one each from six other nations.

At the other extreme, France’s Ligue 1 has managers from just two countries, France (19 of 20) and Italy (Carlo Ancelotti).

Italy has 18 Italian managers plus a Bosnian and a Czech. Germany has 15 managers (of 18) who are German, plus a Dutchman, a Finn and a Swiss.

Spain has managers from six different countries: Spain (12), Argentina (4) and four other countries.

Spain has the youngest average age of managers (48.15 years) followed by Germany (48.4) and Italy (49.6) with France having the oldest managers (51.5 years on average) followed by England (50.15).

There is a remarkable consistency of ages across these elite managers. The average age of all 98 managers is 49 and a half, and the median age of the 98 managers is also 49.

Managers aged 49 include Real Madrid’s Jose Mourinho, Everton’s David Moyes, Lazio’s Vladimir Petkovic, Parma’s Roberto Donadoni, QPR’s Mark Hughes and West Brom’s Steve Clarke.

The most common nationality of manager among the 98 is Italian and French (21 managers each). Of the Italians, 18 work in Italy, two in England and one in France. Of the French, 19 work in France, one in England and one in Italy.

There are 15 German managers (all in Germany) and 13 Spanish managers (12 in Spain and Roberto Martinez in England).

There are only four English managers in the 98 (all in England), four Scottish managers (all in England) and four Argentinean managers (all in Spain).

The Premier League is home to four of the 10 oldest managers in Ferguson (70), Wenger (63), O’Neill (60) and Allardyce (58) and three of the 10 youngest managers in Villas-Boas (35), Rodgers (39) and Martinez (39).

The lack of English managers in the Premier League is an indictment of the production of home coaches, although it should be stressed that 13 of the Premier League’s managers come from the British Isles, and only seven are ‘real’ foreigners. The corresponding figures in Spain are 12 and eight.

It is also notable that by Uefa’s current coefficients (click here for details), Spain – the country with the most ‘real foreign’ managers in the ‘Big 5′ is the highest ranked nation, followed by England (next most imports), followed by Germany (next most), Italy (next) and France (least).

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L'ANALISI

CALCIO D’ÉLITE:

LA PANCHINA NON È PER NERI

NEI 5 MAGGIORI CAMPIONATI EUROPEI UN SOLO TECNICO DI

COLORE (HUGHTON): UN CASO O È QUESTIONE DI RAZZISMO?

di NICOLA SELLITTI (SPORTWEEK | 17 NOVEMBRE 2012)

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Chris Hughton, 53enne irlandese del Norwich City è l’unico allenatore nero nei 5 campionati più importanti – Bundesliga, Liga, Ligue 1, Premier League, SerieA – d’Europa. Una storia di successo, passata anche attraverso Newcastle e Birmingham, ma non facile. E la sua unicità dimostra che forse l’accusa di Paul Ince, quando parlava di razzismo verso i tecnici di colore, non era campata per aria. L’analisi in questione riguarda 98 tecnici in tutto. Fotografati da uno studio del sito Sporting Intelligence: un’istantanea che ofre spunti curiosi. Con la Premier League che è un puzzle di diverse nazionalità: 11, tra Scozia e Inghilterra (4 a testa), Irlanda del Nord (2),Galles (2), Italia (2) e sei Paesi conuna sola panchina (Francia, Spagna, Scozia, Danimarca, Irlanda e Olanda). Poi c’è la Liga (6) con 12 spagnoli, 4 argentini, un portoghese, un cileno, un serbo e un francese. La Ligue 1 preferisce invece il prodotto nazionale: solo un italiano, Carlo Ancelotti, al Psg, poi esclusivamente tecnici transalpini (19). E pure la Serie A conferma il trend integralista degli ultimi anni: 18 italiani, un bosniaco (Petkovic) e un ceco, Zeman, ormai “italianizzato”. I tecnici francesi, come gli italiani, sono i più numerosi nella classifica globale (ventuno), a seguire i tedeschi – 15, ma tutti al lavoro in Bundesliga, dove ci sono anche uno svizzero, un olandese e un finlandese –, poi gli spagnoli (13). Gli inglesi sono appena 4 (Adkins, Allardyce, Pardew e McDermott), collocati tutti in Premier League.

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CALCIOSCOMMESSE L'ACCUSATORE DA' POCHI DETTAGLI DAVANTI AL TNAS

Confronto con Italiano: Carobbio non convince

Gaetano Imparato - Gasport - 13-11-2012

ROMA Non se le sono «dette» di santa ragione, ne urlate sul muso le loro \ferita. L'inedito faccia a faccia sul calcioscommesse, davanti al Tnas, tra Filippo Carobbio (l'accusatore) e Vincenzo Italiano (squalificato 3 anni, con 2 punti di penalita per il Padova), del confronto all'americana ha avuto nulla. È stato un duello di cachemire, una sfida di sguardi e domande poste da Maurizio Benincasa (presidente del collegio). Italiano ha potuto solo ascoltare le risposte di chi l'accusa. Nella «Tevere» d'un Olimpico fresco di derby s'è ridiscusso di Padova-Grosseto (1-0, marzo 2010) per il quale Carobbio accusa Italiano d'avere telefonato a Turati, suo compagno in Toscana, taroccando la gara. Quando Turati esce («Potevo stare a casa ma la bugia di Carobbio va cancellata...») aveva il volto spento e il parlare a scatti di chi sa d'avere un futuro alle spalle. Maglione e jeans larghi, ampi come i rimpianti. «Pensate, Carobbio avrebbe detto d'avere origliato la telefonata...». Poi, il magone: «... vivevo per il calcio e non l'ho piu, ho ammesso le mie colpe ma le bugie no: ho beccato più io, 3 anni, che non Carobbio, ma scriverò un libro». Al piano di sopra verbalizzano. Ascoltano il dottor Nassuato: curava Italiano e, steso sul lettino, telefonava a Turati. «Hanno parlato di formazione, se giocava Pinilla o meno....» giura il medico, non la richiesta al difensore di fascia (Turati) di spalancargli la porta. Il medico é preciso, ma non ricorda il risultato finale: I'1-0 sperato. Quando Carobbio esce, cala il cappuccio della felpa sul capo. «Non commentiamo» assicura un legale. Carobbio ha brillato poco anche di fronte alle domande: non ha chiarito dove Turati aveva ricevuto la telefonata, quando, a che cifra avrebbe venduto il Grosseto. Poco dettagliato, ma non evasivo. Dopo l'assoluzione di Gheller pronto un altro schiaffo alla sua credibilità?

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DOPO UN'ASSEMBLEA INFUOCATA IN LEGA

Diritti tv, c'è l'intesa fino al 2015

Per un anno il paracadute" perle retrocesse sale a 30 milioni. Dal 2013 più soldi alle prime 10 in classifica Lunedì l'ufficialità

STEFANO SCACCHI - Tuttosport - 13-11- 2012

MILANO. Al termine di un'assemblea chiusa dopo cena e iniziata a metà pomeriggio, i club di serie A hanno trovato un faticoso accordo sulla distribuzione delle risorse economiche del triennio 2012-15. Un traguardo che, a metà dei lavori, pareva difficilmente raggiungibile perché il clima al quarto piano della sede di via Rosellini non sembrava propenso a una fumata bianca: urla e scambi di opinioni motto vivaci, fino a uno scioglimento di fatto dell'assemblea con dirigenti e presidenti riuniti in vari capannelli tra sale e corridoi. Invece, a sorpresa, è arrivato il colpo di coda. Quasi all'unanimità è stata approvata una dichiarazione di intenti che dovrebbe diventare delibera ufficiale lunedì prossimo (ieri si è deciso di non mettere ai voti una vera e propria delibera, perché mancavano le tabelle tecniche complete). Contrario solo il Chievo che si riserva di fare ricorso (Napoli e Lazio hanno lasciato prima la riunione, ma erano favorevoli). I veronesi hanno presentato una proposta che mira ad aumentare la percentuale del 40% divisa in parti uguali, un'idea che non trova il favore delle grandi. Inter, Juventus, Milan, Lazio e Roma hanno presentato una bozza col Genoa (altri due suggerimenti sono stati depositati da Fiorentina e Udinese). L'accordo alla fine è stato trovato su un doppio binario. Per la stagione in corso resta in vigore il sistema di ripartizione del biennio passato con una buona notizia per le retrocesse: il "paracadute" sale a 30 milioni (finora ondeggiava tra 7.5 e 22.5 milioni a seconda delle stagioni di permanenza in A). Nel biennio 2013-15 aumenteranno le risorse a favore delle prime dieci della classifica dell'ultimo campionato. E la ?meritocrazia" per la quale spingevano le provinciali abituate a frequentare le zone alte. M alimentare questa voce saranno i ricavi "incrementali", i diritti tv e commerciali in aumento rispetto al primo biennio di applicazione della Legge Melandri: circa 40 milioni a scalare. Per dare un'idea: la 1 della classe incasserà 2.8 milioni in più, la 10' 800.000 euro. Per la stagione in corso i ricavi "incrementali" saranno assorbiti dall'aumento del "paracadute" e dal ritorno in A di Sampdoria e 7brino che, appartenendo a città molto popolose, obbligano a un maggior stanziamento ( il 5% della torta totale dei diritti viene assegnata secondo il numero di abitanti del Comune sede del club). Decisivo l'avvicinarsi delle scadenze per le certificazioni Covisoc che preoccupavano soprattutto le più piccole.

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LEGA LUNEDI LA RATIFICA IN UNA NUOVA ASSEMBLEA

Accordo fino al 2015 sui proventi delle tv

Più soldi alle prime 10

Confermati i criteri del biennio scorso Cresce il paracadute Ricavi extra in quota meritocratica

MARCO IARIA - Gasport - 13-11-2012

La paura di arrivare in ritardo con la scadenza del pagamento degli stipendi, che agita soprattutto le piccole, è stato il terreno su cui ieri sera, al termine dell'ennesima riunione-fiume, la Lega ha fatto nascere l'intesa per la spartizione dei proventi tv. Non un accordo-ponte ma un sì per l'intero triennio, fino al 2015, in grado di accantonare per un bel po' le polemiche e di avviare la stagione delle riforme. I 20 club (tranne il Chievo che ha annunciato ricorso) hanno firmato l'armistizio con un mix che accontenta tutti: rispetto al passato nessuno ci perde perché i criteri di ripartizione del primo biennio di applicazione della Legge Melandri (40% in parti uguali, 30% secondo il bacino d'utenza e 30% in base ai risultati) vengono confermati, ma aumenta il paracadute per le tre retrocesse (ora è di 30 milioni) e tutti i ricavi aggiuntivi vanno ad alimentare la quota «meritocratica», premiando chi arriva nei primi 10 posti della classifica. Il tesoretto extra, tuttavia, scatterà la prossima stagione. Il motivo? Quest'anno le neopromosse Sampdoria e Torino assorbiranno 17 milioni dal montepremi stanziato nel 2011-12 perché hanno bacini d'utenza e tradizione sportiva superiori a Novara e Cesena. E poi, come detto, sono stati previsti indennizzi maggiori per chi scende in B. Ma a partire dal 2013-14 le risorse incrementali della Lega (circa 40 milioni annui) verranno destinate a chi occuperà la parte sinistra della classifica: dai 2,8 milioni della prima agli 800 mila euro della decima. Lieto fine Ieri non sono mancate le frizioni tra grandi e medio-piccole, con il presidente del Genoa Preziosi ad alzar la voce e ad appoggiare la proposta di ripartizione di cinque big (Inter, Juve, Milan, Roma e Lazio): il preludio a un nuovo equilibrio che potrebbe ripetersi, tra un mese, alle elezioni del presidente? Né quella né altre tabelle hanno raggiunto il quorum di 15 voti. Si temeva un'altra fumata nera ma è prevalsa la ragion di Stato: bisogna fatturare per immettere liquidità nelle casse delle società e rispettare i paletti della Covisoc (entro venerdì vanno pagati gli stipendi del primo trimestre). Così è stata sottoscritta una dichiarazione d'intenti che lunedì, in una nuova assemblea, verrà ratificata.

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LEGA SERIE A

Diritti tv, trovato l'accordo

Ai venti club 840 milioni nel prossimo triennio. Novità dal 2013

di Pietro Guadagno - Corsport - 13-11-2012

MILANO - Dopo un'altra lunga giornata in Lega, i club di serie A hanno partorito una faticoso accordo sulla distribuzione dei diritti televisivi per il triennio 2012-15. Ma gli stravolgimenti tanto annunciati sono stati messi nel cassetto: per la prossima stagione infatti non ci saranno modifiche di sorta e il modello ricalcherà quello applicato per l'ultimo biennio, con la spartizione tra le 20 società di A di 840 milioni, vale a dire il totale complessivo al netto di commissioni e mutualità. Le novità scatteranno a partire dal 2013/14, quando i ricavi incrementali verranno distribuiti soltanto tra le prime 10 classificate, in base a un criterio meritocratico: il 15% per le prime 3, il 10% per le seconde e fin giù a scalare. Si parla, comunque, di 17 milioni di euro per la prossima stagione e di 24 per quella finale del triennio, con una forchetta che, in base ai calcoli, oscilla tra i 2,8 milioni delle prime e gli 800 mila dell'ultima. PARACADUTE - Per l'attuale stagione, invece, i ricavi incrementali verranno assorbiti, da un lato dalla promozione nella massima serie di Sampdoria e Torino, che avendo bacini importanti avranno una fetta sostanziosa della torta, e dall'altro dall'aumento del "paracadute" per le retrocesse che salirà a 30 milioni di euro, mentre finora ballava tra una cifra minima di 7,5 e una massima di 22,5. Resta da definire il criterio con cui il "paracadute" verrà suddiviso. URGENZA - Ad ogni modo, l'intesa è stata raggiunta in serata e solo dopo grandi discussioni e urla. Sembrava dovesse saltare nuovamente il banco, ma alla fine ha prevalso l'esigenza di alcune società che, dovendo rispettare la scadenza delle certificazioni Covisoc sul pagamento degli stipendi, hanno spinto per arrivare ad un accordo. Si tratta comunque di una dichiarazione di intenti, da trasformare poi in delibera in occasione della nuova Assemblea di lunedì prossimo: già favorevoli 19 club, unica eccezione il Chievo, che si riserva di impugnarla.

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Le 20 di serie A trovano l'accordo sui soldi delle tv

MILANO — L'accordo c'è, ma c'è già chi dissente, anche se manca la firma. Le 20 società di A hanno stabilito come ripartire i soldi dei diritti tv per il triennio 2012-2015. Così il presidente della Lega, Beretta: «Per quest'anno si è deciso di seguire i criteri già adottati per il 2011-2012, che riguardano una cifra di circa 840 milioni di euro. Per il prossimo biennio è previsto un incremento di 17 milioni e di 24 milioni, che saranno tutti utilizzati in chiave meritocratica e divisi tra le prime 10 squadre classificate. Aumenta anche il paracadute per le tre squadre retrocesse: sarà pari a 30 milioni di euro, mentre prima andava tra i 7,5 e i 22 milioni». Lunedì la firma, ma il Chievo ha già fatto sapere di voler impugnare la decisione. Beretta: «Il Chievo ha presentato una proposta per aumentare la parte uguale per tutti e di rivedere completamente tutti gli altri parametri di redistribuzione. Una proposta che non è stata accolta, così come non erano passate al voto le altre due, una presentata dalle sei grandi e una dell'Udinese»

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Nel libro di Donati 30 anni di doping

«Gli atleti sono anche vittime»

«Altri responsabili, che traggono vantaggi, restano nell'ombra

Una lotta seria si può fare soltanto con i controlli a sorpresa»

«Nei test molte sostanze non sono rilevabili nelle tuine La legge è buona ma è da aggiornare»

«Le istituzioni sportive non possono controllare se stesse. Schwazer andava seguito»

di Leandro De Sanctis - Corsport - 13-11-2012

La storia ufficiale dello sport è quella dei medaglieri e dei primati. Ma purtroppo lo sport non è un pianeta a parte e se nel mondo c'è del marcio, bisogna rassegnarsi al fatto che la vera storia dello sport possa essere diversa da quella che tutti hanno potuto, o voluto, conoscere.

E' appena stato pubblicato il libro che racconta una versione diversa di circa trent'anni di vicende sportive. .Lo sport del doping. Chi lo subisce, chi lo combatte». L'ha scritto Alessandro Donati, 65 anni, diventato il simbolo della lotta ad un fenomeno che non è più soltanto di pertinenza sportiva.

La forza del libro di Alessandro Donati, un mix di racconti, episodi vissuti quasi 'sempre in prima persona, retroscena e soprattutto materiale documentato, frutto dell'analisi di oltre cento indagini giudiziarie e di altri studi. Minacce di querela tante. Querele, nemmeno una. Qualcosa vorrà significare. Nelle pagine c'è la storia nascosta di decenni di sport italiano, atletica in primis: «Non è la regina degli sport, è stata la corruttrice, ha consentito di misurare l'incidenza tra causa e effetto. Poi gli esperti hanno sconfinato in altri sport. I record della Griffith e della Koch sono falsi. Il doping ha schiacciato la metodologia dell'allenamento».

Donati di nomi e cognomi ne cita tantissimi nel suo libro. E leggerli fa male a chi ha amato un'idea di sport, rivelatasi artefatta. Il suo primo libro di denuncia, "Campioni senza valore", spari in fretta dagli scaffali, più o meno misteriosamente. "Lo sport del doping" ne riassume la base di partenza ma amplia e documenta dettagliatamente i fatti che analizza.

«Nei controlli antidoping un gran numero di sostanze non sono rilevabili nelle urine o sono utilizzate in microdosi. L'efficacia aumenterebbe con i controlli a sorpresa, ma il sistema sportivo li utilizza con molta parsimonia: c'è solo lo 0,6% di casi di doping, mentre nei controlli della commissione antidoping del Ministero della Salute le sostanze dopanti sono riscontrate nel 3-4% degli amatori. La colpevolezza è nelle istituzioni politiche: dovevano ragionare sul fatto che le istituzioni sportive non potevano controllare se stesse. Gli atleti sono alla fine le uniche vittime, altri responsabili restano nell'ombra. La legge? Quella che c'è è buona ma andrebbe aggiornata».

I rapporti con il Coni, l'incontro con Conconi, la trappola disinnescata del falso caso doping della sua atleta Di Terlizzi, il salto allungato di Evangelisti ai Mondiali romani dell'87, i colloqui con l'allora presi-dentissimo della Federatletica mondiale, Nebiolo, l'exploit di Stefano Mei, oro europeo a Stoccarda davanti «ad atleti emotrasfusi. Oggi Mei prenderebbe un giro e mezzo...»

Donati abbraccia quasi trent'anni di retroscena sportivi. Pagina dopo pagina, troverete l'ex vicepresidente del Consiglio Walter Veltroni, l'onorevole Manuela Di Centa (per i suoi valori anomali nella sua carriera di sciatrice), l'ex presidente del Coni, Mario Pescante, l'attuale Gianni Petrucci («Mi disse: io questo schifo del doping non lo tollero, le do carta bianca. Poi fu il primo ad abbandonarmi») e il segretario generale Raffaele Pagnozzi.

«Il caso Schwazer va interpretato in questa area di grigio - continua Donati - Il Coni non ha disposto controlli a sorpresa per questo importante atleta in vista dei Giochi di Londra, anche se erano stati anticipati dalla Procura di Padova i suoi rapporti con Ferrari e dai controlli ematici risultavano dati anomali. Schwazer, come Armstrong, è la vittima finale». Resta misurato quando gli chiedono un giudizio sulle crisi di panico della Pellegrini e su Fajardo, che è nello staff dei preparatori atletici della Juventus: «Mi rendo conto che ogni cosa che dico sarebbe amplificata. Preferisco parlare soltanto di cose documentate. Poi chiunque può riflettere su certi episodi o legami».

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SFOGLIANDO LO SPORT DEL DOPING,.

Quei globuli sotto scorta diplomatica

Un funzionario dell'Ambasciata racconta: «Per Moser evitati i fasti& dei controlli doganali»

di Nando Aruffo - Corsport - 13-11-2012

Un libro avvincente e inquietante. Anche didattico, senz'altro. Proponiamo un elenco di alcune descrizioni interessanti o decisamente curiose. Elenco inevitabilmente incompleto e tuttavia utile per avere un'idea di quanto il libro sia interessante e l'autore documentato.

Piacere, Conconi «18 dicembre 1981 e sono a Pineto degli Abruzzi, come relatore, in un convegno scientifico al quale partecipa anche il professor Francesco Conconi, un biochimico dell'Università di Ferrara sospettato di pratiche doping con i campioni della nazionale italiana di atletica leggera. È il mio primo impegno ufficiale. Al termine, Conconi mi si avvicina e chiede di parlarmi. Come prima cosa, mi chiede di poter svolgere un test sugli atleti azzurri a me affidati. Capisco immediatamente che si tratta di uno specchietto per le allodole ma accetto la sfida». Pagina 12

I record dell'ora «Primavera del 1984, Città del Messico: un funzionario dell'Ambasciata italiana mi racconta: ho conosciuto bene Conconi poche settimane fa, in occasione del record mondiale sull'ora in pista di Francesco Moser. In compagnia di Conconi, i globuli rossi necessari per il trattamento di Moser, avevano viaggiato su un Concorde, da Parigi a New York. Da li il prezioso carico aveva proseguito, sotto buona scorta diplomatica, per Città del Messico superando così senza alcun problema i fastidi dei controlli doganali sia statunitensi che messicani.». Pagina 24

Maria Rosa Quario: No al doping «Mi tornano in mente le parole della slalomista azzurra Maria Rosa Quario che, dopo aver rifiutato l'emotrasfusione, ha rilasciato una clamorosa intervista nella quale si è chiesta che cosa c'entrasse l'emotrasfusione in uno sport di breve durata e prettamente "muscolare" e tecnico come lo slalom'. Pagina 35

Il lungo di Evangelisti «Prima del suo ultimo salto avvengono rapidi conciliaboli: Barra si avvicina alla pedana e riesce a far allontanare il giudice internazionale» ... »Il giudice palermitano Aiello, d'accordo con il capo dei giudici Mannisi, si avvicina alla sabbia di atterraggio e piazza nel punto voluto il picchetto elettronico. Poi torna al misuratore, inquadra il picchetto e memorizza la misura di 8 metri e 37 centimetri. E' come se Evangelisti avesse già saltato». Pagina 89

100mila dollari «Incontro con Primo Nebiolo alcuni anni dopo la sua caduta dalla presidenza della Fidai... Mi dice: "Devi ammettere Donati che il colonnello della Guardia di Finanza che mi ha sostituto alla presidenza della Fidai non rappresenta certo il rinnovamento dell'atletica italiana". Gli rispondo: "È così presidente, ma se mi avesse ascoltato avrebbe potuto Lei stesso concordare una nuova strada". Gli chiedo di finanziare un progetto di sostegno negli studi superiori di alcune centinaia di studenti-atleti in Uganda, Rwanda, Tanzania e Zambia. Mi domanda: "Di quanto c'è bisogno?"; gli rispondo: "Di 100.000 dollari". Nebiolo non fa una piega, la Federazione internazionale ha poi mantenuto l'impegno e non ho mai saputo di circostanze pubbliche nelle quali Nebiolo si sia vantato del suo gesto. Questo episodio concorre a indicare come egli avrebbe fatto cose diverse e migliori se non avesse avuto intorno solo collaboratori ambiziosi, egoisti e di modesto profilo». Pagina 128

Il veto a Zeman «Inserisco nel programma di un corso per allenatori una lezione di Zdenek Zeman. Il giorno prima della data stabilita arriva dal Coni il veto alla sua partecipazione. Informo Zeman con delicatezza. Come è nelle sue caratteristiche, non dice niente ma il giorno dopo me lo trovo in aula, seduto al banco in mezzo agli altri corsisti. Pagina 247

Responsabilità »Decine di anni di "guerra alla droga" non hanno condotto a niente se non a una progressiva corruzione di parti fondamentali dello Stato, del sistema giudiziario e delle Forze di polizia che, in alcuni Paesi, hanno addirittura finito per cogestire i traffici insieme alla criminalità organizzata. Mi rendo ben conto che questa è un'affermazione forte«... «Sono pronto a rispondere, se qualcuno vorrà chiedermi conto di cid che affermo... Pagina 273

Mennea «Gli allenamenti di Pietro erano istruttivi e, al tempo stesso, sconcertanti per la loro mole e intensità. Nessun altro atleta era in grado di allenarsi come lui. Parlava poco e si allenava tanto«.

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Premier League TV rights set

to top £5bn for first time

• Clubs set for huge hike from 2013-14 season

• Final overseas deals to be concluded next month

by OWEN GIBSON (The Guardian 12-11-2012)

Premier League clubs are in line for a huge hike in television income from next season, with revenue from domestic and global TV rights deals on course to top £5bn by the time the final overseas contracts are tied up next month.

On top of the blockbuster £3.018bn deal announced in June for domestic live rights with Sky and BT for the three seasons from 2013-14, and the £178m banked from the BBC for Match of the Day highlights, the Premier League is well on course to improve on the £1.4bn it brought in from overseas broadcasters under the current deal.

If the total revenue breaks through the £5bn barrier as expected, the amount that the title-winning club receives from 2013-14 is likely to top £100m for the first time.

Premier League clubs will be updated on the latest deals to be signed at a meeting this week, when they will also discuss proposals to try to introduce a domestic version of Uefa's Financial Fair Play policy or other cost-control measures such as a restriction on wage growth.

The hike in income will be cheered by clubs trying to balance their budgets to comply with Uefa's Financial Fair Play rules and looking to exploit their commercial potential around the world, but will also increase fears that it will simply be passed on to players in the form of increased wages.

The existing TV deals, which run to the end of this season, themselves marked a huge increase in overseas income from £650m for the previous three years to around £1.4bn for 2010 to 2013. In total the current deals are worth around £3.5bn, meaning that the Premier League clubs are on course to collectively achieve an uplift of more than £500m a year.

Overseas income is shared out on an equal basis between all 20 clubs, while income from domestic rights is allocated according to a sliding scale based on league position and the number of appearances on TV. Just as the exponential rise in domestic income has been driven by competition between Sky and various challengers over the past 20 years, so the same process is starting to play out across the world.

In the US, NBC outbid the incumbents Fox and ESPN and will pay around $250m (£157m) over three seasons, triple the existing contract, and show more matches on its national network.

Manchester United's vice-chairman, Ed Woodward, recently said that the US represented the number one growth target for the club, because a number of factors had coalesced to make it ready to take off.

In Brazil, rights have been stripped out for the first time from a pan-continental deal and sold to Fox and ESPN for $50m, more than four times what the rights were believed to be worth as part of the previous South American deal.

In China, in contrast, the focus has been on expanding reach rather than maximising revenue. A six-year contract was last week signed with the agency SuperSports Media to sub-licence matches to regional and IPTV broadcasters across the country. It goes beyond a traditional rights deal and also includes a joint marketing agreement to promote clubs in the country.

Deals have already been concluded in the US and South America, South Africa and sub-Saharan Africa, China, Singapore and Scandinavia. Deals for Asia and Australasia and the Middle East and north Africa are expected to be wrapped up within the next fortnight.

Increases in income from the middle east, in particular, are expected to be driven by competition between al-Jazeera and its rivals.

The rest of Europe, excluding Scandinavia, is expected to be concluded by Christmas. It had been speculated in the wake of the partial victory of a Portsmouth landlady in the European courts that the rights could be sold as a single pan-European deal to avoid the prospect of rival broadcasters undercutting one another.

But instead the Premier League will continue to sell its rights on a territory by territory basis and limit the number of 3pm kick-offs on offer.

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Premier League continues to

maximise TV revenue on a global scale

The Premier League has sealed a series of global TV

rights deals that will produce a £5bn bonanza for the clubs

by OWEN GIBSON (The Guardian 12-11-2012)

While the Sturm and Drang of the Premier League soap opera thunders on, the chief executive Richard Scudamore has been clocking up the Air Miles. Last week, he flew to China to seal the latest in a dizzying series of overseas TV deals that will shape the future of a competition that is now as global as it is local.

On Thursday, Scudamore will brief the chairmen and chief executives of the 20 Premier League clubs on the latest progress and is likely to tell them that all of its overseas deals will be wrapped up by Christmas for the period from 2013-14 to 2015-16. Contracts covering the Middle East/north Africa and south-east Asia/Australasia should be tied up within the next fortnight, with the final round of European deals to follow before Christmas.

Despite the ongoing debate over whether La Liga has overtaken the Premier League in terms of quality, for thrills and spills the English top flight remains hard to beat – and broadcasters around the world seem to agree.

The tender documents for its latest round of TV deals started going out just as Manchester City won the most dramatic title race in history. Even before the spectacular denouement, last season featured more shots on goal per game and more goals per game than any in the previous decade. And in key markets including the US, Premier League football is seen as increasingly fashionable on college campuses – for all that it remains a minority pursuit compared to the big domestic sporting draws.

The Premier League is unwilling to be drawn on how much it may raise, but informed estimates suggest the overall income from TV rights deals will break the £5bn barrier for the first time. Such a result would ensure that, for all the speculation to the contrary, the small team of Premier League executives and their advisers have continued to achieve recession-busting growth. But it will also present a series of immediate opportunities and challenges for the clubs that will share in the latest bonanza.

It is no coincidence that at Thursday's meeting, Premier League clubs will also discuss the latest proposals to introduce new cost control measures to try to curb rampant wage inflation. Amid rejoicing at the billions that Scudamore and his team continue to deliver, there is an attendant anxiety they will not be strong enough individually to reverse the "prune juice economics" that have characterised the Premier League era.

Those well remunerated players are performing on a wider stage than ever. The Premier League claims that its matches are broadcast to 720m homes in 212 territories and the "cumulative audience" for Premier League matches worldwide was 4.7bn.

It is hard to generalise and in each territory the market dynamics are different and the technological and political factors vary. But there are themes emerging. One is of the increasing sophistication of the Premier League's strategy as it attempts to maximise revenue and reach an ever more complex, multi-layered race for global supremacy with La Liga on the one hand and US professional sports on the other.

In China, for example, the Premier League effectively admitted it had committed a strategic error for the 2007 to 2010 deal by going for the money on offer from fledgling pay TV company WinTV. That allowed the Bundesliga and US sports to steal a march and forced it to think again. Under the current deal, it contracts an agency (SuperSports Media) to sub-licence the matches on its behalf to 21 different regional and IPTV broadcasters with the aim of reaching the widest possible audience. That deal has now been renewed for six years (in contrast to the three-year deals elsewhere) in an effort to build in the territory which represents the biggest challenges but also potentially a large prize.

The other is the extent to which, in a shifting media market, competition is driving increases in value in key markets. In the US, there are widespread hopes among club executives that audiences and revenues are primed for take off. NBC saw off competition from incumbents Fox and ESPN to win the rights in a deal worth around $250m, triple the existing contract.

As top Premier League clubs target global commercial growth to try to stay within Uefa's Financial Fair Play strictures, making the most of their global reach is going to become as important as the cold hard cash it brings in. The Manchester United vice-chairman Ed Woodward is opening a US office to complement its Hong Kong operation and said America was its "No1 opportunity".

In Brazil, rights were separated out for the first time and the total income from Fox and ESPN with their joint bid is around $50m, as compared to the $20m brought in for the whole of south and central America under the existing deal.

Since the misstep of the 39th game fiasco, Scudamore has refocused on carefully building both the Premier League's income and popularity on a more considered long-term basis. Despite the ongoing threat of piracy, which increases as broadband speeds improve and TV sets are linked to the internet, and the ever present prospect of regulatory and legal challenge, there is no sign of the bubble bursting yet.

Even in Europe, where the tender is being tweaked to reduce the number of 3pm kick-offs on offer to respond to the Portsmouth landlady case, which ultimately allowed domestic consumers to import decoder cards from abroad, values are expected to hold up. Whether the clubs can prevent their players being the sole beneficiaries of the insatiable demand is the £5bn question they hope to address on Thursday.

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Premier League TV deal in danger

of perpetuating 'a culture of greed'

• Income from TV rights expected to bring in at least £5bn

• More should be invested in community sport, says MP

by OWEN GIBSON (The Guardian 13-11-2012)

Clive Efford, the shadow sports minister, has warned Premier League clubs that if the £5bn bonanza from their latest round of TV deals merely fuels wage inflation for players it will add to concerns they are "perpetuating a culture of greed".

The Labour MP said that increased income from its next round of TV rights deals, likely to be concluded before Christmas in a process that will bring in at least £5bn and covers the period from 2013 to 2016, should mean more money for community sport.

"The Premier League is incredibly popular across the globe and we should be proud of what it has achieved but it would be a shame if community sport did not benefit from that success," said Efford.

"British football owes much of its success to the fans and to the local communities that support football clubs – more money from TV rights should mean more money invested in community sport."

He added: "This is especially true in a time of austerity. If this money goes to those who already enjoy massive salaries it will only add to concern that the Premier League is overpowering and perpetuating a culture of greed."

With the process of selling its overseas TV rights unlikely to be concluded until Christmas, the Premier League won't be drawn into a debate over how the money is carved up until there is a final figure to debate with its clubs.

But the Premier League is likely to argue that under the formula by which it distributes its television cash, bigger revenues automatically translate to more money flowing through to the rest of the game and so-called "good causes".

Under its existing formula, there is a set schedule for so-called parachute payments to relegated clubs but other payments are made on a percentage basis.

Separately, the Premier League has been lobbying Uefa without success to allow payments to good causes and for community schemes to be deducted from break even calculations under its Financial Fair Play criteria.

All 20 Premier League clubs will meet on Thursday to discuss attempts to introduce a domestic version of Uefa's Financial Fair Play rules or alternative measures that could help dampen wage inflation.

___

Italia, copia dalla Premier!

In Inghilterra aumentano gli introiti dei

diritti Tv ma anche le presenze negli stadi

In serie A gli spettatori diminuiscono, possibile il sorpasso

da parte della Ligue 1 francese. Bundesliga, che record

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 14-11-2012)

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Quasi sei miliardi e trecento milioni di euro in tre anni, dal 2013 al 2016. E’ quello che la Premier stima di incassare dalla vendita dei diritti televisivi, più del doppio di quanto ricavato dalla serie A. Soprattutto un obiettivo che sarà realizzato “difendendo” lo stadio perché in questa prima fase della stagione in Inghilterra la media-partita è stata di 35.815 spettatori, addirittura in aumento rispetto all’anno passato (34.164). E da questo punto di vista il ritardo accumulato dal nostro campionato è veramente preoccupante: secondo le stime di Transfermarkt, la serie A ha avuto una media-partita pari a 18.581 spettatori, in calo rispetto allo scorso anno (22.457), con un possibile sorpasso da parte della Ligue 1 francese (18.799, persino in ribasso rispetto al 2011-2012 quando la media era stata di 18.863). Se queste cifre dovessero essere confermate a fine anno, il nostro torneo nella classifica europea per quanto riguarda la frequentazione degli stadi scenderebbe di una casella, al quinto posto dopo Bundesliga, Premier, Liga e Ligue 1. Ma in un ambiente che si prepara a eleggere i vertici di Leghe, Associazioni varie e, soprattutto, Federazione, questi temi sembrano dimenticati essendo tutti impegnati a trovare voti e alleati.

BOOM INGLESE - E’ in salute, il calcio inglese. Ma l’aspetto più rilevante è costituito dal fatto che la Premier è riuscita a conciliare stadio e televisione laddove in Italia sono diventati elementi antitetici visto che a questo punto è concreto il rischio di una cannibalizzazione televisiva a danno della visione “in diretta” dell’evento. Gli inglesi hanno aumentato il numero di partite trasmesse in diretta: da 134 a 156 (su 380 complessive). Ma l’aggiunta di venti gare ha fatto impennare le “tariffe”. Nel triennio che si concluderà quest’anno, la Premier ha complessivamente incassato cinque miliardi e duecento milioni; la vendita all’estero ha garantito un guadagno aggiuntivo di 500 milioni. Ora i nuovi contratti promettono di portare nelle casse del campionato inglese sei miliardi e 257 milioni, con un aumento di un miliardo rispetto agli accordi che stanno scadendo. Tre miliardi e ottocento milioni la Premier li otterrà dalla vendita “casalinga”; dall’estero arriveranno poco meno di due miliardi. E quello inglese non è l’unico campionato che affascina. La Bundesliga per il quadriennio 2013-2017 raccoglierà poco meno di cinque miliardi (4 miliardi e 878 milioni) contemporaneamente portando negli stadi mediamente 42.368 spettatori (in leggero calo sullo scorso anno quando furono 45.124 a partita).

COABITAZIONE - L’Italia arranca. Anche perché non è riuscita a conciliare lo stadio con la televisione. Le norme anti-violenza hanno, poi, complicato ulteriormente le cose visto che l’acquisto di un biglietto comporta un iter burocratico più lungo e complesso di un matrimonio. Eppure i club italiani sono quelli che dipendono maggiormente dalle Tv visto che la vendita dei diritti incide sui ricavi per il 53 per cento (contro il 48 dei club inglesi e il 31 di quelli tedeschi). Non si tratta a questo punto solo di rilanciare lo stadio, ma anche di restituire valore a diritti che sono stati distribuiti sul mercato con una generosità eccessiva. E non è un caso se gli inglesi vendendo meno della metà delle loro partite ottengono incassi doppi (più che doppi) rispetto a quelli italiani. Gli stadi sono quelli che sono, bisognerebbe sicuramente costruirne di nuovi. Ma la questione è più complessa perché poi, nell’impianto bello e moderno, le persone bisogna portarle.E nelle attuali condizioni solo chi vince (come la Juve) è sicura di riuscire nell’impresa.

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CARA, CARISSIMA LIGA

Neanche il Barça e il Real riescono ormai a riempire gli stadi. Perché in un Paese in crisi

i club appesantiti dai debiti non abbassano i prezzi. Così proliferano le iniziative popolari

di FILIPPO MARIA RICCI (EXTRATIME | 13 NOVEMBRE 2012)

Domenica: Maiorca-Barcellona, 15.940 spettatori; Oviedo-Real Madrid 20.500 spettatori. Solo che si trattava del Real Madrid C, ed era una partita della Segunda B, la terza serie. Partiamo da qui per fare il punto sul grave stato di crisi del calcio spagnolo. Perché l'Oviedo ci offre altri due spunti, uno negativo, e molto comune, l'altro positivo. E molto. La squadra della città di Fernando Alonso è un club storico: buon passato, qualche impresa di rilievo, passione cittadina encomiabile. Se non rimedia 1,9 milioni di euro entro il 19 novembre fallirà. Mangiata dai debiti. Nel 1996 un giovane inglese andò a studiare a Oviedo e cominciò a frequentare il Tartiere, lo stadio. Oggi quel ragazzo, Sid Lowe, è il corrispondente sportivo del Guardian e vive a Madrid, da dove ha organizzato una colletta attraverso Twitter e PayPal, il sistema di pagamento online. In pochi giorni oltre 5.000 stranieri, gente che con l'Oviedo non ha nulla a che fare, ha comprato azioni del club, in vendita a 10,75 euro. Il Real Madrid ha investito 100.000 euro per solidarietà tra ricchi (anche se indebitati) e poveri. Non è detto che basti, ma gli oltre ventimila spettatori che domenica hanno sostenuto la squadra sono un bel segnale.

Pignorato il Deportivo

Tornando in Liga, la settimana scorsa il Deportivo ha confermato che lo Stato ha pignorato tutte le sue entrate: tv, sponsor, botteghino, eventuali vendite di giocatori. È il primo atto di forza di un governo che ha sempre chiuso gli occhi di fronte ai debiti che le squadre di calcio accumulavano col fisco, venuti alla luce a marzo grazie a un'interrogazione parlamentare che ha rivelato crediti dello Stato col calcio: 752 milioni di euro. Inammissibile ovunque, ancor di più in un Paese tanto in crisi. Il Deportivo dice di dovere 34 milioni al fisco, per altre fonti sono 90. Per evitare guai peggiori, la società galiziana sta per aderire alla Ley Concursal, uno spalmadebiti cui i club hanno aderito in massa (22 finora) anche perché fino a luglio la legge permetteva di non perdere la categoria anche non pagando giocatori e fisco. Ora non più.

Stretta sul mercato

Nell'ultimo mercato i club spagnoli hanno speso il 65% meno dell'anno scorso, e la metà della spesa è stata sostenuta da Real e Barcellona. Che non ci sia un euro da spendere è chiaro da un po', però i club non sembrano applicare lo stesso pensiero ai propri tifosi. Per Maiorca-Barcellona il biglietto meno caro costava 65 euro, e va ricordato che in Spagna i bambini pagano intero. Il Getafe, lontanamente ultimo nella classifica del riempimento degli stadi della Liga, ha messo i biglietti più economici delle sfide col Madrid e col Barça a 50 e 60 euro. Risultato: desolazione sugli spalti, dove evidentemente non hanno ritenuto opportuno andare nemmeno i tifosi del Madrid, che da Getafe dista 10 km. Ora i dirigenti del club della cintura della capitale si sono pentiti e offrono un abbonamento per tutto il girone di ritorno a 50 euro: 9 partite al prezzo di una, in pratica. Molti altri club hanno lanciato promozioni massicce, coscienti che la situazione sta prendendo una piega «italiana».

L'esempio tedesco

Secondo i dati pubblicati da As la Serie A registra una percentuale di riempimento degli stadi pari al 54,2% della capienza, applicazione numerica del mezzo vuoto. La Liga è al 69,3, la Bundesliga al 91,2, la Premier League al 94,5. Vedere Borussia Dortmund-Real Madrid costava tra i 17 e i 60 euro. Stadio esaurito. Al ritorno i prezzi erano da 40 a 175. E il Bernabeu non si è riempito. I club con una percentuale di riempimento superiore al 90% sono 16 in Premier League, 11 in Bundesliga, la Juve in Serie A e zero in Liga. Così come i club che hanno una media di riempimento inferiore all'80% sono uno in Premier League e Bundesliga, 14 in Liga e addirittura 19 da noi. Nove dei 17 club che erano in Liga sia lo scorso che quest'anno stanno perdendo tifosi nel paragone tra le due stagioni. I tempi sono cambiati, ma le squadre spagnole fanno fatica a rendersene conto.

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ROMANIA

8 CONDANNE DECAPITANO

IL VERTICE DEL CALCIO

di GABRIEL SAFTA (EXTRATIME | 13 NOVEMBRE 2012)

Il tribunale di Bucarest ha condannato ieri 8 dirigenti e procuratori romeni per evasione fiscale e riciclaggio di denaro sporco, in relazione a 12 trasferimenti di calciatori di Dinamo, Rapid, Otelul e Gloria Bistrita all’estero fra il 1999 e il 2005. Gli 8 condannati in secondo grado sono: George Copos, 53 anni, presidente del Rapid Bucarest (5 anni di carcere), Cristi Borcea presidente esecutivo della Dinamo (club allenato attualmente da Dario Bonetti) a 7 anni di galera, i fratelli agenti Ioan e Victor Becali (procuratori fra l’altro di Popescu, Hagi e Ilie) a 8 e 7 anni, il dirigente ed ex presidente dello Steaua Mihai Stoica (a 4 anni), il presidente del Gloria Bistrita Jean Padureanu (3 anni), Gigi Netoiu ex numero uno dell’Universitatea Craiova e l’ex capitano del Barcellona ed ex Lecce e Galatasaray Gica Popescu (45 anni), entrambi condannati a 3 anni. Il tribunale ha dichiarato che il danno per lo Stato è di 1,7 milioni di euro e per i club di oltre 10milioni, in quanto parte di queste transazioni non sono state registrate e quindi gli introiti mai messi a bilancio. In primo grado, lo scorso 3 aprile, gli otto erano stati tutti assolti. E tutti hanno già annunciato che ricorreranno contro questa sentenza.

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Lavezzi col boss. Come Maradona

di VINCENZO IURILLO (ilFattoQuotidiano.it 13-11-2012)

A Napoli ci sono calciatori che stringono amicizie pericolose con elementi della tifoseria organizzata, infarcita di ultrà estremisti e personaggi contigui alla camorra, perché così “giocano con minore pressione” (parole di un vecchio verbale dell’ex difensore azzurro Fabiano Santacroce) o perché, come fece capire il procuratore aggiunto di Napoli Giovanni Melillo in una conferenza stampa, certe frequentazioni possono tornare utili quando bisogna andare a ridiscutere i contratti con la società.

Cose emerse da un’inchiesta della Procura di Napoli sulle violenze del tifo organizzato che nel febbraio scorso culminò in 11 arresti nel gruppo ‘Bronx’, il cui capo era collegato al clan Mazzarella. Riflettiamoci su, e ora andiamo al Tribunale di Napoli, dove stamane Ezequiel Lavezzi ha deposto in qualità di testimone nell’ambito del processo sul riciclaggio dei soldi del clan Lo Russo nei ristoranti del lungomare partenopeo.

Lavezzi è amico del principale imputato, il ristoratore Marco Iorio, che gli custodiva gli orologi e i gioielli. Conosce anche Vittorio Pisani, l’ex capo della Squadra Mobile di Napoli che in questo processo deve rispondere di favoreggiamento, e che gli chiedeva di firmare magliette e autografi.

Il forte calciatore argentino – ceduto al Paris Saint Germain di Ancelotti dopo quattro anni a Napoli e dopo un lungo tira e molla con il presidente Aurelio De Laurentiis – ha candidamente rivelato di aver ricevuto a casa il boss Antonio Lo Russo, all’epoca uomo libero e inserviente di un’impresa che effettuava i lavori di manutenzione del prato verde del San Paolo (fu fotografato a bordo campo con la pettorina colorata durante un Napoli-Parma perso dagli azzurri e finito in un’inchiesta sul calcio scommesse). Lo Russo attualmente è latitante. “Ci ho giocato alla playstation – ha detto in aula Lavezzi rispondendo alle domande del pm Amato – sapevo che era un ultrà, non sapevo che fosse un camorrista”.

Sono ragazzi, dirà qualcuno. Vivono in terra straniera, non sanno a chi rivolgersi e finiscono per conoscere le persone sbagliate, come Diego Armando Maradona che negli anni ’80, in preda a una vita di stravizi e cocaina finì dritto nella vasca da bagno dei Giuliano, i re di Forcella. E’ l’altra faccia della medaglia dell’amore immenso che Napoli riserva ai suoi campioni del pallone.

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“Guardate Verratti

Più che la Francia

il Psg sta aiutando

il calcio italiano”

Michel Platini e l’eterno derby del cuore

“Dopo la Gioconda, la statua di Materazzi...”

Mio figlio lavora per gli sceicchi ma si occupa di abbigliamento. Con il Psg non c’entra nulla

Vedo Andrea Agnelli teso, dovrebbe fare come l’Avvocato: stare sopra la Juve, non dentro

INVIDIOSO DI DEL PIERO «Avrei voluto fare come lui, continuare in campo ma lontano dallo stress»

FAIRPLAY FINANZIARIO «Qualcuno dribblerà le regole, sarà come giocare a guardie e ladri»

di PAOLO BRUSORIO (LA STAMPA 14-11-2012)

L’ Italia si è risollevata dal flop del Sudafrica, la Francia invece è ancora ferma al 2006: come mai? «Non direi. In fondo agli ultimi Europei noi abbiano perso solo due a zero con la Spagna, voi ne avete prese quattro...». Touché. Quartier generale dell’Uefa a Nyon, Michel Platini sorseggia un the e riannoda i fili dell’anno calcistico. Il tutto alla vigilia della sfida amichevole di Parma tra le «sue» nazionali. Tanto vale allora ricominciare da qui.

Ha più volte elogiato l’Italia di Prandelli. Come ha fatto il ct a conquistare una nazione di commissari tecnici?

«Ha dato una mentalità offensiva sfruttando il blocco della Juve che giocava così in campionato. Ha avuto coraggio e ha sorpreso tutti. Poi se vinci o perdi cambia poco».

Sulla panchina dei Bleus c’è invece Deschamps: lei lo fece esordire in nazionale, che lavoro si aspetta da lui?

«È stata la scelta giusta per quello che Didier ha fatto in campo e da allenatore. In questo momento la Francia non ha giocatori di grande qualità, ma un buon gruppo. Deschamps dovrà mettere insieme le tessere del puzzle, vedremo».

Balotelli, bad boy ma di talento. Le va come definizione?

«A me del bad boy non importa. Vedo quel che fa sul campo e lo apprezzo. Anche ai miei tempi c’era chi faceva cazzate, solo che non se ne parlava».

Quanto a esuberanza nemmeno la Francia è mal messa: non c’è torneo in cui lo spogliatoio non vada in pezzi.

«La Francia subisce un controllo morale esagerato. C’è troppa gente ben pensante che si occupa dei calciatori: se uno non dà la mano all’allenatore, da noi scoppia l’inferno. Ma solo da noi».

Che effetto le fa la statua della testata di Zidane a Materazzi?

«È storia e merita di essere ricordata, ma non è un bel gesto e quindi... Mah, se va bene a Zidane. E comunque dopo la Gioconda, vi abbiamo preso anche la statua di Materazzi».

Ancelotti al Paris Saint Germain può aiutare il calcio francese?

«Per ora sta aiutando quello italiano visto quanti giocatori ha fatto arrivare a Parigi. Uno come Verratti, per esempio».

Mica tanto per esempio: che ne pensa del ragazzo?

«Ha colpi interessanti. E il talento, nonchè l’età, per diventare davvero come Pirlo».

Che calcio la diverte?

«Le giocate dei singoli, il dribbling, il pallonetto. Niente moduli o tattiche, ormai sono fuori da quel mondo. Quando posso, guardo il calcio come se assistessi a una partita dei bambini. Detto questo si gioca meglio che ai miei tempi: noi stavamo in strada fino a 16 anni, oggi i settori giovanili fanno un lavoro straordinario. La mia Juve giocava con sette difensori, questa con sette attaccanti».

Uno se ne è andato, Del Piero è in Australia: sensazioni?

«Belle. Piuttosto che stare in panchina alla Juve ha fatto benissimo, là si diverte. L’avrei fatto volentieri anche io».

Oggi Platini non si sarebbe ritirato a 32 anni?

«Allora avrei voluto andare negli Usa, ma non c’erano opportunità. Si, avrei voluto continuare, ma lontano dallo stress».

Ha visto giocare la Juve?

«Sì, con l’Inter. Poteva stare 4-0 dopo 20 minuti, è il calcio...».

Senza Conte, ma in testa: sorpreso?

«In tribuna o in panchina poco cambia, c’è il telefono per comunicare con il vice. E poi il tecnico è fondamentale nella gestione del gruppo, ma durante la partita conta zero: sono i giocatori che decidono. Ho fatto entrambe le cose...».

La Juve farà strada in Champions?

«Con sei partite, se non si qualifica significa che non ha meritato di farlo».

In Andrea Agnelli cosa rivede del padre Umberto e dell’Avvocato?

«Lui è giovane, arriverà a una dimensione internazionale, ma ora lo vedo troppo teso sulle faccende di campo. Suo padre e suo zio guardavano la Juve dall’alto, l’Avvocato stava in elicottero sopra la Juve. Ecco, anche Andrea dovrebbe vivere dentro l’elicottero sopra la Juve. Ora è più istintivo ed esplosivo».

Come le sembra il calcio italiano visto da fuori?

«Siete finalisti agli Europei, la qualità c’è. Comprate di meno all’estero, come nel ‘66 quando chiudeste le frontiere: un bene per i giocatori italiani. Come del resto in Francia, Psg escluso».

Ci siamo. Questa è l’ultima stagione pre fairplay finanziario, sicuro che gli sceicchi si metteranno in linea con i parametri?

«Sanno da 4 anni come stanno le cose. Il calcio europeo perde 1 miliardo e 700 milioni, così non si va avanti. Se rimetteranno i conti a posto, bene, altrimenti interverrà la disciplinare»

Con quali sanzioni, l’esclusione dalle Coppe?

«Possibile, ma non tocca a me decidere».

Non teme qualche trucco per tappare le falle?

«Certo, come noi per non pagare le tasse. Farà parte del gioco, se c’è la polizia è perché ci sono i ladri. Vedrete club che dribbleranno le regole come un numero dieci. Nomi? Non ne faccio, sennò si parla sempre dei soliti».

Platini è tenero con il Psg perché il figlio lavora con gli sceicchi: possibile?

«La società per cui lavora mio figlio, è vero, è partecipata dagli sceicchi, ma lui si occupa di abbigliamento sportivo, con il Psg non c’entra nulla. E allora se mia figlia aprisse un kebab, io dovrei stare attento alla Turchia? Poi guardate, il Psg fa oggi quello che Moratti e Berlusconi hanno fatto per anni. si lamenta del fairplay solo chi non vince».

Anche in Italia sono arrivati gli stranieri. Non ha mai nascosto di non apprezzare le invasioni: situazione irreversibile?

«Non posso fermarla. Ma il calcio resiste da anni grazie all’identità tra il club e chi lo gestisce. Qual è il nesso tra il Qatar e il Psg? Per questo mi piacciono Real e Barcellona, per come conservano la loro identità. Come fanno le grandi famiglie italiane con i loro club».

Altra ferita: le scommesse. Sorpreso dall’Italia?

«È la natura umana, guardate la pallamano francese. La vostra polizia però ha lavorato molto bene, siete all’avanguardia».

Farina in Inghilterra: una sconfitta per il calcio italiano?

«Sì, è mancato il coraggio di trovargli un posto. Lui ha dato un segnale, deve essere il calcio dall’interno a cambiare le regole».

Come vorrebbe essere ricordato Platini da presidente Uefa?

«Quando facevo gol ero popolare, ma ora non sono più così tanto simpatico. Ecco vorrei che mi ricordassero per il rispetto delle regole che ho cercato di introdurre a protezione del calcio».

E quel sogno di consegnare la Champions alla sua Juve?

«Resiste. Se non mettono limiti ai miei mandati, però».

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«Che show la Juve!

Maradona a Napoli»

«Bianconeri favoriti per lo scudetto. La Champions? Vedremo...»

«Balotelli l’ho scoperto agli Europei: Mario mi ha impressionato. Ma non so dargli consigli»

«Andrea Agnelli ha il suo stile, l’Avvocato però era inimitabile. Dargli la coppa? La squadra è cresciuta...»

«Juve-Inter mi è piaciuta Conte attacca con tutti gli uomini, gli stessi con cui noi ci difendevamo»

«Prandelli ha portato in Nazionale i valori della Juve anni 80 Pirlo da Pallone d’Oro»

«Se cinque arbitri non vedono bene, tutti via Ma se per le polemiche facessero sciopero?»

«De Laurentiis non è d’accordo con tutto ciò che faccio ma parliamo Ha fatto grande il Napoli»

«Moviola? Mai. La Fifa la vuole per i gol-non gol ma costa 32 milioni E il 5% di tasse va a loro»

«Tanti big sono andati all’estero, così Conte Stramaccioni e Montella hanno avuto una chance»

di ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 14-11-2012)

NYON - La calma delle acque del lago di Ginevra è la stessa con cui Michel Platini risponde alle domande, anche le più scomode, su un mondo del calcio dove le polemiche sugli arbitri, sulla moviola e sul gol-non gol abbondano. Il numero uno dell’Uefa arriva puntuale in una delle sale riunioni nel quartier generale di Nyon: non porta la cravatta e rispetto a quando giocava ha messo su qualche chilo, ma ricorda bene sia gli anni bianconeri sia un’amichevole sulla spiaggia di Abu Dhabi nel dicembre 2010 insieme ai giornalisti italiani. «Ero in squadra con lei - ci ha detto per rompere il ghiaccio - e vincemmo 3-2. Chi segnò il golden gol?». Sorrisi che si sprecano perché a distanza di due anni Le Roi sapeva bene che quella rete l’aveva segnata lui...

Seduto per quasi un’ora sorseggiando un thé, Platini ha parlato della Juventus che considera ancora la favorita numero uno nella corsa per lo scudetto, del Milan destinato a superare la crisi, di De Laurentiis che ha fatto tornare grande il Napoli, di Maradona possibile futuro allenatore azzurro, delle bandiere Zanetti e Totti, della versione australiana di Del Piero, di Balotelli, Prandelli, del Trap e di tanto altro. Lo ha fatto spesso anticipando le nostre domande e dando la sensazione di guidare l’intervista. «Non a caso giocavo con la maglia numero 10» ha affermato sorridendo. L’ex fuoriclasse della Juve, però, ha affrontato anche l’argomento moviola in campo ribadendo il suo no e promuovendo l’utilizzo dei 5 arbitri. L’argomento è stato utile per assestare una stilettata a Blatter, con il quale i rapporti si sono guastati, prima dei saluti e della pennellata finale del campione. «Il prossimo anno, quando il Mondiale per club verrà giocato in Marocco, ci vediamo per un’altra partita sulla spiaggia». Conviene iniziare ad allenarsi...

Platini, cosa pensa del campionato italiano?

«Sì, recentemente ho visto Juventus-Inter e Lazio-Roma. La vostra Serie A rimane interessante ed esprime sempre un buon calcio, anche se molti campioni adesso giocano altrove».

Che partita è stata Juventus-Inter?

«Bella e mi è piaciuta. Complimenti all’Inter che è riuscita a interrompere la serie di 49 gare senza sconfitte della Juve. I bianconeri potevano chiudere il match segnando il 2-0 e il 3-0 nel primo tempo, ma non l’hanno fatto e hanno subìto la rimonta nerazzurra nella ripresa».

L’arbitraggio di Tagliavento ha fatto molto discutere complici gli errori commessi.

(Ride) «In Italia è sempre la stessa storia... E se un giorno gli arbitri entrassero in sciopero per tutte polemiche? Come fareste a far giocare le partite?».

Crede che la Juventus sia ancora favorita per lo scudetto?

«Sì, per me è ancora la candidata numero uno».

Cosa le piace della formazione di Conte?

«Rispetto al passato guardo il calcio da appassionato e non ho più una visione da tecnico, ma ho notato che la Juventus attuale attacca con 6-7 giocatori, gli stessi che la mia Juve utilizzava... per difendere (ride di gusto, ndi). E’ diventata una squadra più offensiva e il catenaccio e il gioco difensivo che c’erano in Italia fanno parte del passato: merito del Milan di Sacchi che ha cambiato tutto con il 4-4-2 e il fuorigioco “alto”. Ora i bianconeri hanno la stessa mentalità delle squadre inglesi e vanno sempre in campo per vincere».

Ce la farà a consegnare la Champions League ad Agnelli prima della fine del suo mandato da presidente dell’Uefa?

«Tempo fa avevo detto che avrei avuto bisogno di qualche mandato in più per riuscirci. Adesso la Juve è cresciuta e ha ottenuto ottimi risultati. Vedremo...».

In cosa Andrea Agnelli le ricorda l’Avvocato?

«Andrea è Andrea, l’Avvocato era l’Avvocato. Lui era... con l’elicottero sopra la Juve: si occupava degli aspetti politici e diplomatici, non della gestione ordinaria come fa Andrea che è dentro la società ogni giorno. Non si possono paragonare».

Lo stile di Andrea Agnelli le piace?

«Lo stile dell’Avvocato era inimitabile, ma anche Andrea è bravo, ha fatto le cose molto bene e sta lavorando per far tornare grande la Juve. Deve sbrigare la questione relativa al numero degli scudetti, un tema che affascina i tifosi e che ha una carica molto juventina. Certi argomenti provocano discussioni a non finire, ma fanno perdere solo tempo: adesso che la Juventus è tornata ad essere un club di livello internazionale vedrete che certi temi saranno meno attuali».

Anche l’Uefa è stata “investita” dalla polemica sui 28/30 scudetti bianconeri con una lettera spedita da Torino.

«E’ una cosa italiana, l’Uefa non c’entra niente».

Che effetto le fa non vedere lo squalificato Conte in panchina nelle gare di Champions League?

«Rispetto le decisioni prese dagli organi della giustizia sportiva italiana. Non ho seguito questa vicenda (il calcioscommesse, ndi), ma la Federcalcio ha deciso e noi ci adeguiamo».

Grazie al suo nuovo stadio la Juve è la società italiana più all’avanguardia?

«Sì, lo stadio permette di avere ricavi importanti per la gestione del club. Le perdite delle grandi società italiane sono dovute principalmente all’assenza di impianti moderni e di proprietà. Per questo quando abbiamo stilato le regole del fair play finanziario abbiamo inserito la possibilità di fare investimenti sui giovani e sulle infrastrutture senza che questi costi incidessero sui debiti».

La maglia numero 10 della Juve che è stata sua, di Baggio e di Del Piero adesso non la indossa nessuno. Giusto così?

«Se fosse successa la stessa cosa in passato, dopo Sivori non l’avrebbe più portata nessuno. Per me è meglio che qualcuno ce l’abbia perché la 10 per i bambini ha un fascino particolare».

Cosa ha pensato quando Del Piero è andato via dalla Juve per giocare in Australia?

«Arriva un giorno in cui un calciatore deve lasciare il suo club. Non si può giocare a calcio all’infinito ed è meglio che uno se ne vada liberamente, piuttosto che sia messo alla porta o che finisca per essere sopportato. Una bandiera che non serve non è più bella da vedere. Un altro anno in panchina per Del Piero non sarebbe stato piacevole».

Alex non poteva essere ancora utile?

«Evidentemente no visto che non è più alla Juve. Per me Del Piero ha fatto bene ad andare in Australia. Sta vivendo un’esperienza speciale in un altro continente, lui e la sua famiglia impareranno l’inglese e si confronterà con un calcio diverso insegnando molto ai giovani. Sognavo anch’io di fare come lui, di trasferirmi al Cosmos quando lasciai la Juve, ma là in America finirono i soldi (ride, ndi) e così smisi. Sarebbe stata una bella esperienza».

Zanetti e Totti, le bandiere di Inter e Roma, invece, rimarranno fedeli fino all’ultima partita della loro carriera.

«Entrambi giocano bene, sono titolari e hanno la fiducia dei rispettivi allenatori. Finché stanno così, fanno bene a non andarsene. Quando però non saranno più titolari e staranno più in panchina che in campo, meglio che smettano o che cambino squadra».

Totti è il terzo miglior marcatore della storia della Serie A eppure ha vinto poco: ha sbagliato a restare alla Roma tutta la carriera?

«Da anni dico che Totti è un grandissimo giocatore, uno dei migliori italiani di sempre. Se fosse andato in un’altra società probabilmente avrebbe vinto di più, ma credo sia stato felice di alzare qualche coppa in meno pur di restare tutta la carriera alla Roma. In questo mi ricorda Zico: era un fenomeno, ma scelse l’Udinese e, non andandosene mai, non vinse».

Si aspettava un Milan così in crisi già in autunno?

«Il Milan è la squadra che ha vinto di più sul campo negli ultimi venticinque anni, ma quando sono arrivato io in Italia, era in Serie B. Cosa vuol dire? Che il calcio è fatto di cicli, ma che i grandi club come il Milan non muoiono mai. Possono avere una o due stagioni difficili, poi però...».

Anche il calcio italiano in generale non attraversa un gran momento e nel ranking europeo perde posizioni.

«Il ranking Uefa è l’espressione dei risultati di un Paese e per risalire la classifica bisogna far parlare il campo. Il nome di una nazione non conta niente: per avere più squadre nelle coppe devi vincere».

La Serie A secondo lei è in crisi?

«Io non vivo nel momento, ma nel tempo. Quando ero in Italia, negli anni 80, le squadre potevano avere 2 soli stranieri, poi sono state aperte le frontiere e sono arrivati grandi giocatori. La storia è fatta di cicli: adesso parecchi campioni vanno altrove, ma tra qualche anno magari torneranno da voi. A livello di nazionale però mi sembra che stiate andando bene visto che siete arrivati in finale agli Europei».

La rinascita del nostro calcio può partire da una serie di giovani dirigenti come Andrea Agnelli, Barbara Berlusconi e Angelomario Moratti?

«Perché no? Forse la vecchia generazione di dirigenti è finita. Può darsi che Berlusconi nel calcio abbia fatto il suo tempo, come è successo per i predecessori di Andrea Agnelli. Nel calcio le cose cambiano con il passare del tempo».

Anche tra i tecnici c’è aria di rinnovamento. Si aspettava così tanti giovani sulle panchine della Serie A?

«Conte, Stramaccioni, Montella e altri tecnici hanno avuto un’opportunità perché diversi grandi allenatori italiani hanno trovato lavoro all’estero. Se Ancelotti, Capello, Mancini, Spalletti e gli altri fossero rimasti in Italia, non so se ci sarebbe stato spazio per i giovani».

Le piacerebbe se Maradona, suo rivale in tante sfide tra Napoli e Juventus, diventasse l’allenatore degli azzurri?

«Se De Laurentiis deciderà di affidargli la panchina del Napoli, perché no? Sarebbe interessante vederlo lavorare al Napoli: è una persona simpatica e squisita con la quale ho sempre avuto buoni rapporti».

Con De Laurentiis invece come vanno le cose?

«Bene, molto bene... Il presidente non è d’accordo con tutto quello che faccio e io non sono d’accordo con tutto quello che dice, ma ci siamo visti a Capri e ogni tanto ci telefoniamo: parliamo e confrontiamo le nostre visioni diverse del mondo del calcio. Quando ha acquistato il club, non conosceva questo mondo e voleva rivoluzionarlo, ma adesso ha capito molte più cose. Ha avuto il grande merito di aver ridato al Napoli la dignità e la grandezza che merita».

Il Napoli può vincere lo scudetto?

«L’ho detto: per me la Juventus è favorita, ma tutto è possibile».

In un’intervista al “Time” Balotelli ha detto che i razzisti sono stupidi ed è difficile parlare con loro. Come si risolve il problema?

«I razzisti non li vedi perché gridano nascosti dietro ad altre persone. Nessuno va a insultare in faccia una persona di colore, a meno che non abbia 10 come lui alle spalle... Il razzismo e il nazionalismo sono sempre più diffusi e combatterli non è semplice: bisognerebbe mettere un poliziotto dietro ogni persona allo stadio. Punire le società invece non è giusto perché non c’entrano niente con la stupidità dei loro tifosi».

Cosa ha pensato dopo la doppietta di Balotelli agli Europei?

«Sono sincero, come giocatore l’ho scoperto durante Euro 2012 e mi ha fatto una grande impressione. Può essere importante per l’Italia».

Se fosse stato suo compagno di squadra, cosa gli avrebbe consigliato per evitare i guai fuori dal campo?

«Difficile dare consigli. Siamo di due generazioni diverse: abbiamo culture diverse, educazioni diverse, modi di comportarci diversi... Io i consigli li davo a... Boniek».

A Balotelli invece li dà il suo ex compagno alla Juventus, Cesare Prandelli.

«Cesare me lo ricordo come giocatore: era il dodicesimo uomo ideale perché sapeva giocare in ogni posizione. Allora c’erano solo due sostituzioni e quando Trapattoni voleva cambiare modulo, sceglieva sempre Prandelli che non tradiva mai la sua fiducia. Era ed è una persona piacevole e intelligente».

Come giudica il suo lavoro da ct dell’Italia?

«Non mi interessa molto la tattica dell’Italia o quella della Fiorentina quando lui l’allenava. Io preferisco sottolineare che ha portato in Nazionale gli stessi valori umani che c’erano nella Juventus degli anni 80. E questa è una delle chiavi del suo successo».

Stasera la Francia sfiderà l’Italia in amichevole. Per lei sarà una specie di derby?

«La partita non la seguirò perché sarò a vedere Irlanda-Grecia dove comunque incontrerò altri due italiani: Tardelli e il Trap che è sempre sulla cresta dell’onda».

Tra un mese ci sarà l’assegnazione del Pallone d’Oro. Pirlo lo merita?

«Sì, ma non è l’unico candidato. Tanti lo possono vincere quest’anno».

Cosa pensa di Mourinho?

«Che fa bene al mondo dei giornalisti. E’ una persona intelligente e ha capito come funziona la comunicazione. Dovunque vada vince e quando se ne va via, a quel Paese manca. Scommetto succede lo stesso anche in Italia...».

Secondo lei nel calcio la sudditanza psicologica degli arbitri nei confronti delle grandi squadre esiste?

«Dovete chiedere a Collina o agli arbitri, non a me».

Quando era alla Juve ha mai avvertito che i direttori di gara avevano “rispetto” per i bianconeri?

«Dire che l’ho “avvertito” è poco perché tutti ne parlavano. Quando sono arrivato in Italia non si era ancora spento l’eco delle polemiche tra Juventus e Fiorentina per come si era concluso il campionato 1981-82 (scudetto all’ultima giornata ai bianconeri grazie a un rigore non concesso al Catanzaro, avversario dei bianconeri, e al pari della Fiorentina a Cagliari, con un gol annullato a Graziani, ndi). Prima di capire il calcio italiano, ho capito che tutti criticavano la Juve. Succede sempre a chi vince».

E così, quando andavate in trasferta, vi urlavano spesso “ladri”.

«Dal campo non l’ho mai sentito e comunque con la squadra che avevamo non avevamo bisogno degli arbitri per vincere. I direttori di gara sono essere umani e possono sbagliare».

Lei da presidente dell’Uefa ha introdotto gli arbitri d’area per limitare gli errori.

«Un solo arbitro non basta e invece adesso che in campo ce ne sono 5 in grado di comunicare tra di loro c’è l’opportunità di vedere tutto quello che succede. Questo non vuol dire che non ci sono o non ci saranno degli errori perché l’interpretazione di un episodio può essere sbagliata, ma ora chi dirige, rispetto a 100 anni fa, ha più controllo sulle partite ed è aiutato. Io voglio questo: aiuto per chi deve fischiare e decidere in pochi secondi».

Qualche settimana fa, però, lei ha detto “Se in 5 non sono capaci di vedere bene, cambino mestiere”.

«Giusto e lo ribadisco perché adesso le azioni si possono seguire bene, ma per esempio i fuorigioco rimangono difficili da valutare. Pensate che su certi episodi non si trovano d’accordo neppure le persone a casa, sedute davanti alla tv e con mille replay disponibili».

La moviola non potrebbe aiutare?

«Con la moviola nel calcio, un’azione non finirebbe mai e poi vorrei capire come sarebbe utilizzata. Per un fallo non fischiato a metà campo dal quale nasce una rete? Per un calcio d’angolo non assegnato? Per un rigore non concesso o concesso ingiustamente? Il gioco deve essere continuo, non si può vivisezionare ogni azione anche perché si possono trovare molti spunti per chiedere la moviola. Io sono a favore della giustizia, ma la giustizia non è data dalla moviola. Non dimentichiamo poi che la moviola costa molto perché le tv non darebbero gratuitamente l’utilizzo delle loro telecamere. E chi gestisce le telecamere? Sicuri che non ci sarebbero polemiche su come verrebbe schiacciato un bottone o su come verrebbe visionato questo o quel filmato? Quando c’è di mezzo un essere umano, l’errore è sempre possibile».

La moviola non sarebbe utile neppure per il gol-non gol?

«Una stagione con 5 arbitri per la Champions League e l’Europa League costa 2 milioni di euro. Per avere nelle stesse gare la “goal-line tecnology” dovremmo pagare il primo anno 32 milioni di euro che salirebbero a 54 in 5 stagioni. E Blatter dice che costa troppo tenere 5 arbitri a partita... Mi fermo qui e non parlo del 5% che la Fifa prende di tassa per la “goal-line tecnology”...».

Raiola ha criticato duramente Fifa e Uefa perché sono arretrate e “mafiose”. Vuole rispondere?

«Raiola? Non so chi è. Mi sono informato solo dopo che ho letto le sue frasi. Lasciamo stare».

Nel 2020 è possibile un Europeo con partite giocate in 13 Paesi diversi?

«E’ una mia idea che viene discussa in queste settimane dalle varie Federazioni. Ci sono e ci saranno meeting e vedremo a fine anno quale sarà la decisione».

Modificato da Ghost Dog

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L’INCHIESTA

Uranio e piedi pregiati

I segreti del fondo Doyen

A Istanbul c’è una holding che commercia materie

prime. Tra queste ci sono anche le stelle del football

Il gruppo sponsorizza club in crisi e acquista quote dei cartellini dei giocatori

DSI controlla campioni del calibro di Xavi, Falcao e Borja Valero

È un sistema di scatole cinesi collegato a Jorge Mendes, il potente agente di Mourinho

di PIPPO RUSSO (Pubblico 14-11-2012)

Se chiedete in giro cosa abbiano in comune l’uranio e i piedi pregiati, chiunque vi risponderà raccomandandovi di farvi vedere da uno bravo. Chiunque tranne i manager del Doyen Group, un fondo d’investimento dalle attività quantomeno diversificate. Sede centrale a Istanbul, braccio finanziario a Londra, esso si muove a caccia di affari ovunque essi si presentino e in qualsiasi settore merceologico. Dal sito web si apprende che il gruppo opera in cinque aree di mercato: metalli e minerali, carburanti e gas, energia e infrastrutture, edilizia e hospitality, e infine sport e intrattenimento. In particolare, grazie alla joint venture con la NuCap Ltd. il Doyen Group inserisce nel proprio portafoglio di attività la commercializzazione di materie prime come carbone, gas, energia, carburanti, metalli preziosi e industriali, fertilizzanti e, appunto, uranio. Lo stesso gruppo ha fondato di recente una divisione sportiva con sede legale a Malta: si chiama Doyen Sport Investment Ltd. (DSI) e la sua missione è principalmente quella di acquistare in quota o in toto i cartellini di calciatori. Dunque, se rivolgete a qualsiasi dirigente del Doyen Group l’interrogativo con cui abbiamo aperto questo articolo, egli vi risponderà che l’uranio e i piedi pregiati hanno in comune l’essere materie prime dall’alto potenziale di redditività. Schietta logica economica. E proprio tale schiettezza porta la holding a dichiarare la propria visione delle cose riguardo allo sport. O per meglio dire al calcio. Non un fenomeno sociale, ma piuttosto un asset da sfruttare in ogni potenzialità. È ciò che viene dichiarato nella pagina web del Doyen Group dedicata a DSI: «Doyen Sport Investment è un gruppo privato il cui scopo è garantire una fonte alternativa per il finanziamento dei club calcistici». Chiarissimo l’intento, resta da capire quali siano i modi privilegiati da DSI per finanziare club travolti da una crisi sempre più profonda. Le formule sono diverse. Innanzitutto le sponsorizzazioni, effettuate in modo particolare. Mai da main sponsor. Meglio acquistare pochi centimetri quadrati di stoffa in segmenti periferici della muta di gioco – la parte bassa della schiena, i calzoncini, la porzione alta della manica lì dove in genere viene piazzato il logo della lega calcistica nazionale –, quanto basta per garantirsi una visibilità e far parlare di sé. Accadde così poco più di un anno fa, ottobre 2011: quando d’improvviso alcune squadre della Liga spagnola (Sporting Gijon, Atletico Madrid, Getafe) esibirono il marchio «Doyen Group» fin lì sconosciuto ai più generando curiosità e inquietudine. Atteggiamento quest’ultimo – e qui c’è il secondo modo scelto da DSI per finanziare i club in crisi – dovuto al diffondersi della voce secondo cui il fondo d’investimento starebbe acquistando i diritti sui migliori giovani calciatori dei club spagnoli. La notizia viene esagerata giornalisticamente, poiché la versione rappresentata parla di un acquisto in blocco dei vivai spagnoli. E come al solito – ancora una volta, giornalisticamente – passato il clamore di un giorno ci si dimentica di quella misteriosa holding e del suo braccio calcistico DSI. Che infatti agiscono indisturbati realizzando la parte più redditizia del proprio business: intermediare acquisti di calciatori e acquisirne quote rilevanti. In questi termini la legislazione di alcuni paesi è più favorevole che in altri. E in Europa occidentale la Spagna e il Portogallo sono zone franche.

Nel 2011 DSI acquista dal Porto un terzo dei cartellini di Eliaquim Mangala e Steven Defour per 5 milioni di euro; un meccanismo frequente presso i club portoghesi, che permette di far cassa e al tempo stesso di gonfiare il valore a bilancio del cartellino intero d’un giocatore sopravvalutandone una quota parte, con tanti saluti al fair play finanziario. Nell’estate del 2012 il fondo d’investimento si spinge oltre: finanzia l’acquisto di calciatori da parte di club in difficoltà mantenendo per sé quote dei cartellini. Il sito ufficiale DSI ne dà informazione con nonchalance. La notizia pubblicata il 27 agosto informa che «Doyen ha collaborato con lo Sporting Lisbona per l’ingaggio di Labyad e Rojo»; in cambio, il fondo trattiene per sé il 35% dei «diritti economici» sul cartellino del primo e addirittura il 75% su quello del secondo. Il giorno dopo, altro annuncio: «Doyen ha collaborato col Benfica per l’ingaggio di Ola John». Del promettente calciatore olandese nativo della Liberia la quota di cartellino detenuta da DSI è addirittura 80%. La lista dei calciatori controllati da DSI (che ha nella propria scuderia anche Xavi Hernandez del Barcellona e il campione di motociclismo Jorge Lorenzo) è vasta. Fra gli altri, gli ex madridisti José Antonio Reyes e Alvaro Negredo, che assieme ai meno famosi Botía, Kondogbia, Baba Diawara e Manu Del Moral giocano nel Siviglia, squadra che porta il marchio Doyen sulla manica come fosse la fascia di capitano.

Altri calciatori sono sparsi nei club sponsorizzati da Doyen nella stagione passata o in quella corrente: Getafe (Barrada, Pedro León, Rubén Perez) e Sporting Gijon (Serrano, Bustos, Mendy, Roberto). Anche José Angel, portato la scorsa stagione alla Roma da Luis Enrique e attualmente in prestito alla Real Sociedad, è parzialmente controllato dal fondo. Tutti nomi presenti sul sito DSI, nel quale (stando a quanto riportato su Wikipedia) sono stati oscurati i nominativi di David De Gea (Manchester United), Borja Valero (Fiorentina) e Sergio Álvarez (Sporting Gijon B). Ma il nome di punta è quello di Radamel Falcao, il colombiano dell’Atletico Madrid il cui cartellino è al 50% di Jorge Mendes. Ovvero, il rampante portoghese che è diventato l’agente di calciatori più potente al mondo e di cui bisognerà parlare in una puntata a parte. Mendes lavora col gruppo Doyen. Così come è stato associato al Quality Sport Investment, fondo con sede legale in Irlanda finito nel mirino della Fifa. Come scatole cinesi, i fondi d’investimento che operano nel calcio sono centinaia. Ma gira e rigira i nomi di chi li controlla sono sempre quelli.

(3/ continua)

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LO SCANDALO

Mauri, il 20 altro interrogatorio

La Procura federale lo ha convocato per una nuova audizione assieme al massaggiatore della Lazio e a Milanetto

A breve il deferimento suo e del club biancoceleste, processo sportivo tra dicembre e gennaio: rischia fino a 6 punti

di PIETRO ANDREA COLETTI (IL ROMANISTA 14-11-2012)

Dopo il gol nel derby Stefano Mauri ripiomba nella realtà. Il 20 novembre il procuratore federale Stefano Palazzi lo ha convocato per una nuova audizione nell’ambito delle indagini istruttorie sul calcioscommesse. Insieme a Mauri sono stati convocati dalla Procura della Figc anche Giuseppe Sculli, Omar Milanetto e il massaggiatore della Lazio Papola. L’inchiesta Last Bet, il secondo filone del processo di Cremona, mira a far luce in particolare sulle presunte combine di Lazio-Genoa e Lecce-Lazio, disputate nel campionato 2010-11.

Sia Mauri che Milanetto sono già stati ascoltati dagli inquirenti federali nell’aprile scorso, sarà invece la prima volta per Sculli e Papola. Al termine di quel primo interrogatorio, Mauri dice ai giornalisti: «Mi hanno fatto molte domande, sono sereno e devono esserlo anche i tifosi». Nonostante la serenità, il laziale viene arrestato, insieme a Milanetto, il 28 maggio con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla frode sportiva. «Mauri Stefano, giocatore della Lazio - recitano le carte giudiziarie che lo portano in cella - manifestava la sua costante disponibilità, a favore del gruppo degli «zingari», ad alterare in cambio di denaro il naturale risultato di partite della Lazio nell’ambito del campionato 2010-11, favorendone la vittoria anche per una migliore posizione in classifica ».

Il 4 giugno vengono concessi gli arresti domiciliari ai due calciatori, un provvedimento di custodia cautelare che viene revocato dieci giorni dopo. A inguaiare il centrocampista, secondo la Procura, è l’amicizia con l’ex calciatore Alessandro Zamperini che l’avrebbe «messo in contatto» con due figure di vertice degli «zingari », l’ex calciatore Almir Gegic e il macedone Hristiyan Ilievski. Con «alcuni degli associati», a ridosso delle due partite incriminate, infatti Mauri intrattiene una «fitta rete di rapporti», sia diretti che telefonici. E per questi ultimi il calciatore non usa la sua sim bensì una intestata alla fidanzata di un suo amico e titolare di un’agenzia di betting a cui «Mauri ed altri associati si appoggiavano per le scommesse illegali».

Il giocatore si è sempre proclamato innocente, negando ogni contatto e ammettendo solo di aver utilizzato una scheda criptata per effettuare delle puntate sul basket americano proprio nel periodo in cui si erano giocate le due partite sospette. Una linea difensiva che però non convince in pieno il pm di Cremona Di Martino, che solo un mese fa sottolineava: «La posizione di Mauri resta delicata, si tratta di una persona interessata da un provvedimento di custodia cautelare che ritengo tuttora fondato».

Dopo le audizioni del 20 novembre, a breve potrebbero arrivare i deferimenti per la Lazio e il Genoa. Il processo sportivo potrebbe iniziare a cavallo tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio. Mauri rischia una pesante squalifica nel caso in cui dovesse essere condannato per illecito sportivo. Il calciatore potrebbe anche non essere ritenuto un diretto responsabile delle combine di Lazio-Genoa e Lecce-Lazio ma potrebbe comunque essere condannato per omessa denuncia. In entrambi i casi anche la Lazio, per responsabilità oggettiva, rischia una penalizzazione in campionato, da un minimo di uno a un massimo di sei punti.

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l'opinione

SOTTO ASSEDIO MA LA GUERRA

FREDDA E’ PARTITA DA TORINO

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 14-11-2012)

Paolo Garimberti, con l’orgoglio dello storico e appassionato tifoso juventino, dice che il club non vuole essere oggetto di pregiudizi. Ha ragione: il passato non può essere sovrapposto al presente, soprattutto se è stato oggetto di valutazione da parte della giustizia sportiva e penale. Fa un torto a Conte e ai suoi ragazzi chi cerca in quei fatti le motivazioni di una superiorità competitiva che ha contenuti tecnici. Ma da vecchio comunicatore, da abile, autorevole e impeccabile giornalista, sa bene che i pregiudizi finiscono per essere come le smentite a mezzo stampa: notizie date due volte.

La periodica “riproposizione” dei fatti venuti alla luce nel 2006 probabilmente è stata agevolata dal fatto che taluni temi, come ad esempio la Terza Stella, non sono stati affrontati con la dovuta prudenza, peraltro da chi la “consuetudine” della Stella ogni dieci scudetti l’ha promossa. Da anni il calcio italiano è costretto a fare i conti con vicende che si sarebbero dovute esaurire nelle aule di giustizia. Facendole tracimare in altri contesti si è fatta lievitare da un lato l’irritazione dei non-juventini convinti di essere stati in passato danneggiati, dall’altro, negli juventini, la sindrome dell’assedio: tutti nemici, nessun amico. I pregiudizi riemergono quando qualcuno crea le condizioni per farli riemergere. E da uomo che maneggia da una vita gli strumenti della comunicazione, Garimberti sa bene che qualcosa non ha funzionato nel modo in cui la società che rappresenta si è proposta all’esterno con le sue campagne. Non c’è bisogno di abbaiare alla luna (e a quasi tutto il firmamento) per rivendicare una superiorità tecnica che è nei fatti e nei risultati. Simili comportamenti, soprattutto se praticati da persone potenti, si trasformano in scorciatoie verso l’arroganza.

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Questo maglie è uno dei tanti falsi comunicatori.

La Juve mette la terza stella: la Juve va contro i regolamenti

La Juve non mette la terza stella: la Juve irrita i non juventini.

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JUVE tutti contro

«Ma ora basta!»

Da Garimberti stilettata a Zeman «E' fantastico, quando perde non è mai colpa sua» di Antonio Barlllà

Antonio Barillà - Corpsort -14-11-2012

TORINO - La Juve si ribella. Non sopporta più illazioni e pregiudizi. E' stanca di polemiche pretestuose e sviste arbitrali ingigantite, dell'astio di curve e tribune considerato retaggio di vecchie etichette. L'ultima denuncia, a ipargine della presentazione di una joint venture tra Juventus Museum, Reggia di Venaria e Museo del Cinema (l'orino. Cultura, calcio e cinema. Passioni senza fine"), appartiene a Paolo Garimberti, neo consigliere d'amministrazione: «Non siamo contro nessuno, ma non vogliamo nemmeno essere oggetto di pregiudizi per un passato che spesso viene ricordato in maniera scomposta per giustificare un presente vincente. Non rinneghiamo niente dei nostri trascorsi, ma vogliamo essere rappresentati da un'attualità che ci inorgoglisce..

COLPA - E' un inciso tra i dati dello J-Museum che presiede (ottantamila visitatori in sei mesi) e i dettagli di un'intesa finalizzata alla valorizzazione culturale del territorio, approfondito al termine della conferenza: «Fatalmente, quando la Juve vince, qualcuno tira fuori i soliti sospetti. Perfino dopo una partita vinta 6-1, c'è chi preferisce sottolineare un rigore non concesso all'avversario. Non accettiamo più sorrisetti e illazioni che escono da un bagaglio ormai polveroso. Purtroppo è un classico della storia del nostro calcio. Anche /'Inter di una volta, che vinceva a mani basse, era •sospettata di favoritismi. Penso ai grandi arbitri del passato, come Lo Bello e Casarin: pure loro sbagliavano, solo che non c'era la moviola.. Di sicuro, la Juve non porge l'altra guancia e per i rivali-simbolo le stoccate sono pronte: .A Zeman devo riconoscere qualcosa di straordinario: quando perde, non è mai colpa sua..

GOVERNANCE - Parole che fanno rumore. E non solo perché pronunciate da un nuovo membro della governance, ma perché si inseriscono in un coro di sfinimento e rabbia. Basta riepilogare le ultime settimane per comprendere come la Juve si senta accerchiata e voglia contrattaccare, sfuggire. Dopo le contestazioni di Catania, l'ad Beppe Marotta ha riconosciuto l'errore dell'arbitro, respingendo però con forza le teorie del complotto, e il presidente Andrea Agnelli ha denunciato l'assedio .anormale e atipico. nei confronti del club. La sensazione però era antecedente («C'è molto odio nei nostri confronti. aveva detto all'assemblea degli azionisti) e i veleni si sono trascinati oltre: sempre con il Catania («C'è troppa permalosità- l'appunto di Marotta) e poi con l'Inter, tra interpretazioni sulla «spensieratezza» di Stramaccioni e stilettate sul fuorigioco di Vidal e sulla mancata espulsione di Lichtsteiner.

DIFFICOLTA' - Le polemiche con i nerazzurri (seguite a quelle con De Laurentiis e Della Valle, Mazzarri e Zeman, per tacere di Allegri che rivanga ancora il gol di Muntari) sono state completate da Conte e Branca a proposito dei "soldatini" e di Cassano, ma anche il tecnico, per altro cultore della teoria dei vincenti antipatici, ha lamentato, più in generale, i pregiudizi: .La più grande difficoltà è doversi confrontare, a volte, con un malcostume che non riguarda l'aspetto sportivo, ma il tifo. Si dice che la Juve si odia osi ama, io penso che bisognerebbe essere più rispettosi del lavoro, cercare anche di dire "cavolo, però gioca veramente un bel calcio, per 49 partite è stata imbattuta, da più di 20 è in testa al campionato, ha vinto lo scudetto e la Supercoppa, ha il miglior attacco e la miglior difesa". Invece non vedo

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Modificato da huskylover

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Il sondaggio del corriere dello sport mi sorprende positivamente, il 42,9% non ama la Juve perchè vince e il 38% perchè è arrogante (che poi è l'arroganza data dall'essere vincenti, i primi della classe).

Mi sarei aspettato percentuali maggiori del tipo "perchè la Juve ruba" (solo un 6% calciopoli+10,7% sui 30 scudetti+conte e scommessopoli 2,4%).

Vuol dire che dopotutto la controinformazione su farsopoli è arrivata più di quanto pensassi.

Però mi piacerebbe chiedere a quel 6% quali sono le colpe che avrebbe pagato la Juve. Gli anni passano e ancora nessuno ce lo spiega.

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Scudetto Facebook al Milan: la Juve è 11esima

La classifica mondiale vede primo il Barcellona con oltre 35 milioni di "mi piace" sul suo social network

TORINO - Annata disastrosa sul campo ma sul social network per eccellenza il Milan vince. Secondo il sito portoghese "Futebol Finance", infatti, il club rossonero è il primo degli italiani nella classifica dei fans tramite Facebook. I tifosi "virtuali" rossoneri sono i più affezionati in Italia: oltre 12 milioni di 'Mi piace' nella pagina del club. La Juventus è undicesima a più di 4.500.000 mentre l'Inter è ancora più sotto, al 21esimo posto con 1.810.000 fans. In testa c'è il Barcellona che supera i 35 milioni di fan.

TORINO - Ecco la classifica completa stilata dal portale portoghese "Futebol Finance" in merito ai club più seguiti al mondo su Facebook

Pos Club Nazione Nº Fans Pos Club Nazione Nº Fans 1 Barcellona Spagna 36.619.000 51 Los Millonarios Colombia 472.000 2 Real Madrid Spagna 32.858.000 52 Trabzonspor Turchia 466.000 3 Manchester United Inghilterra 28.533.000 53 Zenith St. Petersburgo Russia 453.000 4 Chelsea Inghilterra 13.762.000 54 Zamalek Egitto 451.000 5 AC Milan Italia 12.206.000 55 Fluminense Brasile 445.000 6 Arsenal Inghilterra 11.778.000 56 Werder Bremen Germania 430.000 7 Liverpool Inghilterra 10.529.000 57 Spartak Moscovo Russia 409.000 8 Galatasaray Turchia 7.581.000 58 Hamburger SV Germania 385.000 9 Fenerbahce Turchia 6.099.000 59 Málaga Spagna 367.000 10 Bayern Munchen Germania 5.279.000 60 Botafogo Brasile 363.000 11 Juventus Italia 4.524.000 61 Tigres UANL Messico 350.000 12 Boca Juniors Argentina 3.764.000 62 Santos Laguna Messico 343.000 13 Besiktas Turchia 3.746.000 63 Bursaspor Turchia 343.000 14 Manchester City Inghilterra 3.627.000 64 Newscastle United Inghilterra 333.000 15 Corinthians Brasile 3.038.000 65 Persebaya Indonesia 326.000 16 Flamengo Brasile 2.883.000 66 Panathinaikos Grecia 321.000 17 Persib Bandung Indonesia 2.370.000 67 Atletico Madrid Spagna 313.000 18 Chivas Messico 2.197.000 68 St. Pauli Germania 308.000 19 Olympique Marseille Francia 2.022.000 69 1.FC Koln Germania 307.000 20 Al Ahly Egitto 1.875.000 70 Girondins Bordeaux Francia 306.000 21 Internazionale Italia 1.810.000 71 West Ham United Inghilterra 287.000 22 River Plate Argentina 1.685.000 72 Rangers FC Scozia 282.000 23 São Paulo Brasile 1.640.000 73 VfB Stuttgart Germania 280.000 24 Borussia Dortmund Germania 1.622.000 74 Seattle Sounders USA 280.000 25 Paris Saint-Germain Francia 1.530.000 75 Everton Inghilterra 280.000 26 Tottenham Hotspurs Inghilterra 1.463.000 76 Chivas USA USA 274.000 27 AS Roma Italia 1.343.000 77 Valencia Spagna 271.000 28 Universidad de Chile Cile 1.291.000 78 Internacional Brasile 271.000 29 Palmeiras Brasile 1.269.000 79 Celtic Scozia 271.000 30 América Messico 1.213.000 80 Emelec Ecuador 267.000 31 SL Benfica Portogallo 1.211.000 81 Olympiakos Grecia 264.000 32 Santos Brasile 1.154.000 82 Club Tijuana Messico 255.000 33 Vasco da Gama Brasile 999.000 83 Perspolis Iran 249.000 34 FC Porto Portogallo 983.000 84 Peñarol Uruguay 248.000 35 Aston Villa Inghilterra 795.000 85 Atletico Junior de Barranquilla Colombia 246.000 36 Alianza Lima Perú 769.000 86 Atlético Mineiro Brasile 243.000 37 Sriwijaya Indonesia 766.000 87 Deportivo Saprissa Costa Rica 242.000 38 Club Universitário Perú 741.000 88 Lech Poznan Polonia 229.000 39 Napoli Italia 714.000 89 Kelantan FA Malesia 227.000 40 Olympique Lyonnais Francia 709.000 90 LOSC Lille Francia 223.000 41 Cruzeiro Brasile 668.000 91 Ankaragucu Turchia 222.000 42 Kingfisher East Bengal India 649.000 92 Steaua Bucareste Romania 218.000 43 Grêmio Brasile 619.000 93 New York Red Bulls USA 211.000 44 Schalke 04 Germania 614.000 94 LDU de Quito Ecuador 210.000 45 Ajax Olanda 578.000 95 Eintracht Frankfurt Germania 210.000 46 Atletico Nacional Colombia 560.000 96 Eskisehirspor Turchia 204.000 47 Sporting CP Portugal 526.000 97 Deportivo Cali Colombia 204.000 48 LA Galaxy USA 506.000 98 Levski Sofia Bulgaria 203.000 49 Stella Rossa Serbia 492.000 99 Legia Warszawa Polonia 199.000 50 Kaizer Chiefs Sud Africa 482.000 100 Borussia Mönchengladbach Germania 196.000

[tuttosport.com]

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Crime and Punishment

by STEFAN SZYMANSKI (SOCCERNOMICS 14-11-2012)

Today’s reform proposals by the Scottish Football League (SFL) got me thinking about the current state of the game in Alba.

So let’s say that we all agree that Rangers did a terrible wrong (most people probably agree with this, but Rangers fans may demur). The “punishment” was relegation to Division Three of the SFL. How is the offender getting along? Judged by attendances, quite splendidly. Sitting atop the division, average attendance is up by 2.7% this season.

Rangers’ fellow bottom-feeders are also enjoying the company of their infamous rival. Last season average attendance per game in the division was 500, and this season they look set to treble that. Not all the teams have hosted Rangers yet, but when they have it has been a sellout- a pity that some clubs only have a capacity of 2000! Financially this is a remarkable windfall gain.

But what about the Scottish Premier League (SPL) clubs that cast Rangers into the outer darkness? Taking the ten teams who were in the SPL last season and projecting forward their attendances from current levels, there will be a 10% decline this year. Celtic, by far the biggest club with attendance 4-5 times the average of the remainder, is down 10%. Some clubs, such as top of the table Hibernian, are up this year, and the situation may change by the end of the season.

But on current evidence, the victims of the punishment appear mostly to be the punishers themselves. I have no data, but I would suspect that ticket prices are down, and it is also said that Sky reduced the value it paid for SPL rights because of Rangers’ demotion.

Does that mean the clubs were wrong to punish Rangers in this way? If the intention was to make Rangers fans suffer, then quite possibly. It may be that Rangers fans feel humiliated playing in Division Three, but it’s equally possible they’re enjoying the change. If it was to cripple Rangers financially, then I also think it may backfire. They can feasibly win promotion back to the SPL over three seasons with a far less expensive team than they would have needed had they remained in the SPL, while selling more tickets. True, they are missing out on SPL broadcast income and European football, but wages are the biggest problem for most clubs, and they must feel quite comfortable financially. When (if?) they return in four years, they could be sitting on a war-chest that will buy them another era of dominance.

Of course, it’s fine to say that the punishment of wrong-doing is morally necessary, I am just wondering if there are not smarter ways to punish. For example, awarding a percentage of the gate to visitors while keeping them in the SPL would have maintained interest in the SPL while punishing the club financially. I’m sure there are many variants on this theme that could have been made to work. As several critics pointed in the summer, the danger is that the punishment of Rangers may end up driving some innocent SPL clubs into insolvency, and that does seem like a perverse kind of justice.

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L’Uefa: rischio porte chiuse al

San Paolo nella gara con il Psv

Il delegato ha rilevato con il Dnipro accensione di

fumogeni, vie di fuga occupate e intonaci pericolanti

Il caso Il match decisivo del girone di Europa League

contro gli olandesi è in programma il 6 dicembre

di GIANLUCA VIGLIOTTI (IL MATTINO 15-11-2012)

Il Napoli rischia di giocare a porte chiuse l’ultima e decisiva gara del girone di qualificazione di Europa League contro il Psv Eindhoven, in programma al San Paolo il prossimo 6 Dicembre. La Commissione Disciplinare e di Controllo dell’Uefa, così come era già accaduto prima della partita con il Dnipro, potrebbe avviare un procedimento nei confronti della società azzurra a seguito del comportamento tenuto dai suoi tifosi proprio in occasione della gara disputata contro gli ucraini lo scorso 8 novembre (reiterata introduzione ed accensione di fumogeni, ed occupazione indebita delle scale di fuga), e per aver nuovamente constatato la presenza di alcuni intonaci pericolanti in alcuni settori del San Paolo. Puntigliosi e inesorabili i delegati Uefa nello stilare i rapporti dopo la gara con il Dnipro.

Nel precedente provvedimento dello scorso 26 ottobre nei confronti del Napoli, oltre a comminare una multa di 150.000 euro, l’Uefa aveva anche imposto di giocare una gara a porte chiuse. Questa decisione è stata però appellata dal Napoli attraverso il proprio legale di fiducia avvocato Mattia Grassani, e sarà discussa alla Commissione d’Appello dell’Uefa, nei prossimi giorni. La sanzione accessoria di giocare una partita a porte chiuse è stata sospesa, e soggetta a un periodo di prova di cinque anni, grazie al decisivo e immediato intervento del Napoli, che in pochi giorni, e a proprie spese, era riuscito a eliminare i rischi derivanti dagli intonaci pericolanti dell’impianto, e a ottenere dall’Uefa in extremis l’autorizzazione ad aprire tutti i varchi d’ingresso del San Paolo per giocare contro il Dnipro.

Potrebbero essere dunque risultati vani i tentativi e gli accorati appelli rivolti ai tifosi azzurri nell’immediata vigilia della gara con il Dnipro, da parte dell’Head of Operations Sales & Marketing del Napoli Alessandro Formisano, che attraverso un comunicato sul sito della società, aveva sottolineato a quali rischi sarebbe andato incontro il Napoli se il comportamento del pubblico non fosse stato consono alle rigide e intransigenti disposizioni Uefa. La decisione dell’organismo disciplinare internazionale è attesa a giorni, ma è concreta la preoccupazione che la decisiva partita per la qualificazione ai sedicesimi di finale di Europa League contro il Psv Eindhoven possa disputarsi a porte chiuse.

Intanto da oggi in vendita i tagliandi per la gara di Stoccolma di giovedì prossimo.

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Atalanta curva pericolosa

Da Conte ad Agostinelli

tutti ai piedi degli ultrà

Chiusa l'inchiesta, 147 gli indagati: ci sono anche due politici

«Strane commistioni con l'ambiente societario e calcistico»

L'indagine era partita nel 2009. Vicini al rinvio a giudizio anche 56 tifosi del Catania

di ROBERTO PELUCCHI (GaSport 15-11-2012)

Facevano la fila davanti al Bocia per parlargli, adularlo, prendere ordini, scusarsi, incassare minacce con le orecchie basse. Il Bocia è Claudio Galimberti, 39 anni, capo ultrà dell'Atalanta con una lista di precedenti penali lunga un chilometro (oltre 30 procedimenti, tra aperti e chiusi). In pellegrinaggio andavano in tanti: dirigenti, giocatori, allenatori, massaggiatori, politici. Persino tra le forze dell'ordine c'era chi chiudeva un occhio, e alcune volte entrambi. E' il quadro desolante che esce dalla maxi-inchiesta sugli ultrà che il pm Carmen Pugliese ha chiuso nei giorni scorsi. Gli indagati sono 147, 56 dei quali tifosi del Catania per gli scontri del settembre 2009. Ci sono anche due politici leghisti: Daniele Belotti, ex assessore regionale, e Alberto Maffi, sindaco di Gandosso. Per il primo l'accusa è di concorso esterno in associazione per delinquere; l'associazione è contestata a Galimberti e ad altri cinque atalantini. Gli episodi di violenza analizzati vanno dal 2006 al maggio 2012, quando un tifoso della Juve che stava festeggiando lo scudetto venne derubato della sciarpa e picchiato sotto gli occhi del Bocia che, secondo la testimonianza dell'aggredito, gridava «Copèl de bòte», ammazzalo di botte.

Chiama Conte Quello che emerge dalle intercettazioni telefoniche, scriveva già due anni fa il pm nella richiesta per l'applicazione di misure cautelari, «è un panorama strano e complesso fatto di scontri programmati, di violenze annunciate e di strane commistioni con l'ambiente societario e calcistico col supporto ideologico di un esponente politico». Persino Antonio Conte, a Bergamo pochi mesi e protagonista di un duro litigio proprio con Galimberti, rimane coinvolto in questo malcostume. L'1 febbraio 2010, a meno di un mese dalle dimissioni, «inspiegabilmente sente la necessità di chiamare» il Bocia. «Il contenuto delle parole del Conte — si legge nel rapporto della Squadra Mobile — consiste nell'elogiare il capo ultrà e tutta la sua tifoseria e nello "sputtanamento" della società dell'Atalanta e dei giocatori. (...) Nello specifico il Conte esordisce dicendo che voleva salutare il Galimberti perché ha un gran rispetto per lui (...) poi prosegue riferendo che lui è diventato un capro espiatorio in quanto la stampa, i tifosi, l'ambiente proteggevano il marcio della società; attacca i giocatori più vecchi che non lo hanno aiutato e la società che non lo ha mai tutelato». Dodici giorni più tardi, Conte manda al Bocia — condannato per violazione del Daspo — un sms di solidarietà: «Ho letto sul giornale che ti hanno dato 5 mesi. Mi dispiace molto, spero che tu stia bene. Un abbraccio. Antonio C.».

Sponsor Chiamano altri allenatori: Andrea Agostinelli chiede al capo ultrà «di "sponsorizzare" la sua assunzione facendo giungere il messaggio al presidente» Alessandro Ruggeri. Poi chiama Angelo Gregucci, esonerato in avvio di stagione, che «dopo aver fortemente criticato l'allenatore Conte definendolo "presuntuoso seduto in panchina"» e aver detto che «"certa gente non vi merita", saluta il Galimberti con il seguente sms: "non si molla forza Claudio raduna gli uomini si va a lottare con onore e dignità"». L'attaccante Zampagna chiede una mano per tornare all'Atalanta, l'ex dg Giacomo Randazzo invita Galimberti, appena scoperto a violare il Daspo per una partita dell'AlbinoLeffe, alla prudenza: «Purtroppo bisogna stare attenti, la legge è fatta così, poi qualcuno la applica alla sua maniera». Infine, Daniele Belotti, politico e, per chi indaga, anche ideologo della curva. E' lui, infatti, a scrivere il testo di un volantino contro l'allora questore Matteo Turillo, considerato nemico degli ultrà, mirato a delegittimarne l'operato, ed è a lui che il Bocia si rivolge quando ci sono da fare «pressioni» negli ambienti istituzionali e politici.

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Il piano dei tifosi

«Costringiamo Ruggeri a vendere»

Decisivo l'assalto al centro di Zingonia. E arriva Percassi

di ROBERTO PELUCCHI (GaSport 15-11-2012)

«Il Galimberti sembra voler giocare la partita su due piani: il primo è quello di voler dare pieno appoggio a una coalizione di persone che spodestino il presidente Ruggeri Alessandro e il secondo, che gli interessa maggiormente, è quello della contropartita che quelle persone, avendo raggiunto l'obiettivo di guidare la società Atalanta grazie all'appoggio suo e del suo gruppo, gli debbono in funzione di sostegno e di intervento diretto con il questore per annullare o non intraprendere le normali attività di contrasto al tifo violento scatenato dagli ultrà atalantini». Attraverso le intercettazioni telefoniche, la Squadra Mobile ricostruisce il piano per costringere la famiglia Ruggeri ad andarsene. Eros Zamboni, detto lo Svizzero, espone a Galimberti e a Belotti la sua idea, «"costringere la società a vendere a un prezzo modico", aggiungendo che bisogna fargliela vendere e che se il problema è "la vendo o non la vendo", "picchiamo tutti dal compratore a quello che non la vuole vendere"; infine, lo Svizzero riferisce al Belotti che non bisogna pensare che "quello là" la compra solo se è in Serie A e il consigliere risponde che "quello là" la compra quando il Ruggeri gli chiede di comprarla».

Raid a Zingonia Gli ultrà, a inizio 2010, parlano molto di questo argomento al telefono. Uno di loro riferisce che «lo Zamboni ha detto che a giugno la società sarà in vendita e Percassi salterà dentro, aggiungendo che "la colpa non è del presidente Ruggeri, ma della mamma che si fida di Giacobazzi», l'odiato direttore generale che assieme a Ivan Ruggeri (prima del malore) costrinse i giocatori a firmare un durissimo documento di condanna degli ultrà per le violenze di Atalanta-Milan, il giorno della morte di Gabriele Sandri. Alessandro Ruggeri, forse anche per la giovane età, asseconda tutte le richieste del Bocia, che ha con Doni e altri giocatori costanti e complici contatti telefonici. In quattro (Doni, Bellini, Tiribocchi e Acquafresca) vanno addirittura a trovare due ultrà agli arresti domiciliari, portando maglie in regalo (il procuratore federale Palazzi aveva aperto un fascicolo, dato per disperso). In maggio la situazione precipita, gli ultrà entrano con la forza al centro sportivo di Zingonia, imbrattano e danneggiano il palazzo e scrivono con lo spray «Famiglia Ruggeri vattene». I Ruggeri, esasperati, vendono a Percassi. Agli atti dell'indagine c'è questa frase: «La situazione pare non potersi dire cambiata se è vero che in occasione dei recenti festeggiamenti della Dea anche il nuovo presidente Percassi è stato notato particolarmente vicino al Bocia!».

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l’Allarme

IL CALCIO ITALIANO E' DEI «BOCIA»?

RISPONDERE FA PER ORA SOLO PAURA

di FRANCO ARTURI (GaSport 15-11-2012)

Sarebbe istruttivo proporvi in modo asettico i reati, alcuni molto gravi, per i quali è indagato o imputato il «Bocia», ultrà atalantino. Non possiamo farlo perché prenderebbe da solo i tre quarti dello spazio che abbiamo a disposizione. Vedremo come uscirà dagli oltre trenta procedimenti che lo riguardano presso i tribunali italiani. Con tutto il garantismo del mondo, le persone di buona volontà, nel calcio e fuori, dovrebbero avere qualche cautela nell'intrattenersi con un tipo così. Invece, come leggete a pagina 16, allenatori e giocatori dell'Atalanta lo «messaggiavano» con continuità e addirittura si raccomandavano a lui. Ne esce un intreccio da paura.

Fatto eccezionale? Ma no, purtroppo tutto il Paese calcistico è imbevuto di questo che è molto più di un malcostume. I Bocia sono dovunque. Pregiudicati li vedi in momenti ufficiali e ufficiosi vicino ai dirigenti di Inter e Milan. A Genova gli ultrà ordinano e i giocatori si tolgono le maglie in campo. A Roma c'è spesso un'aria inquietante. A Napoli e a Palermo malavitosi notori stanno a bordocampo o in tribuna. Endemicamente, ecco i pestaggi, i ricatti, le spedizioni punitive.

Eppure c'è ancora qualche dirigente che conta nel calcio che, stimolato sull'argomento, parla ancora di «dialogo». Eppure non senti un solo calciatore distaccarsi in modo manifesto da questo sottobosco, al punto che quando qualcuno lo fa (ricordate il Paolo Maldini a un passo dal ritiro?) suona come un'eresia. Eppure quando un grande tecnico come Fabio Capello, sostiene una tesi evidente, che il calcio italiano è ostaggio di questi personaggi, l'establishment lo sommerge di critiche e distinguo.

La contiguità delle società e di tutte le componenti del calcio con quell'area infrequentabile delle curve è un dato di fatto che a nessuno interessa approfondire. La nostra tesi è che proprio questo, molto più che l'obsolescenza degli stadi, sia il vero motivo per cui il mondo del pallone italiano è in declino rapido, come ha giustamente diagnosticato Andrea Agnelli poche settimane fa. E' la vera differenza con gli impianti inglesi, spagnoli, francesi, tedeschi.

Preferiamo fingere di ignorarlo, ancorandoci ad un quieto vivere che diventa sempre più spesso complicità omertosa. Non vediamo su questo fronte singole componenti particolarmente coraggiose. Si vive alla giornata, dando per scontato che nei secoli dei secoli interi settori degli stadi godano di un diritto di extraterritorialità. Dove non c'è steward e poliziotto che si sogni di entrare per verificare che l'assegnazione dei posti sia quella che deriva dalla vendita pubblica dei biglietti.

A che servono associazioni di tifosi così concepite? Come possono questi gruppi dettare legge, intimidire, condizionare pesantemente il clima in cui va in scena lo spettacolo più amato dagli italiani? Aspettiamo con pazienza che qualcuno cominci a riflettere seriamente sul tema. Lasciarlo alla magistratura ordinaria è una vergogna nazionale.

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Omicidio Raciti: condanne definitive

La Cassazione conferma gli 8 anni a Speziale e gli 11 a Micale: i due già in carcere a Catania

di FRANCESCO CARUSO (GaSport 15-11-2012)

Si conclude dopo quasi sei anni la vicenda dell'omicidio di Filippo Raciti, una delle più grandi tragedie del calcio italiano, culminata con l'uccisione dell'ispettore capo di Polizia, ai margini del derby Catania-Palermo giocato al Cibali il 2 febbraio 2007. Ieri la Cassazione ha confermato la condanna a 8 anni per Antonino Speziale e a 11 anni (uno per resistenza a pubblico ufficiale) per Daniele Micale, gli ultrà catanesi che, secondo i giudici, hanno ucciso il 40enne poliziotto. La sentenza è definitiva e i due sono stati subito portati in carcere.

Definitiva Antonino Speziale, che solo 11 giorni fa aveva comprato un biglietto per vedere Catania-Lazio (sequestratogli dalle forze dell'ordine), era stato subito accusato dell'omicidio preterintenzionale di Raciti per aver scagliato un sottolavello contro l'ispettore capo di polizia durante gli scontri che si verificarono dopo la prima sospensione della partita fra Catania e Palermo. In primo grado Speziale, allora minorenne, venne condannato a 14 anni dalla sezione dei minori del tribunale di Catania. In appello, la Corte aveva ridotto la condanna a 8 anni, proprio perché all'epoca dei fatti l'imputato non era ancora maggiorenne. Ieri, in udienza a Roma, il sostituto procuratore generale della Cassazione, Giuseppe Volpe, si era pronunciato per l'inammissibilità dei ricorsi presentati dalla difesa di Speziale e da quella di Micale, che era stato condannato a una pena maggiore, di 11 anni, perché era già maggiorenne nel 2007. Dopo cinque ore di camera di consiglio, oltre a respingere i ricorsi, la Quinta sezione penale, presieduta da Gaetanino Zecca, ha stabilito anche una refusione delle spese per la parte civile di 4.200 euro per la Presidenza del Consiglio dei Ministri e per il ministero dell'Interno e circa 9 mila euro per la famiglia Raciti.

Esausta E a Roma, in Cassazione, c'era Marisa Grasso, la vedova di Raciti, che ha parlato della sua triste attesa e del senso di liberazione finale: «Sono stanca ed esausta dopo una giornata intera passata ad aspettare. Posso solo dire che questa è una sentenza per i colleghi di mio marito che hanno finalmente ottenuto giustizia, oltre che per me stessa naturalmente, per i miei figli e per i genitori di Filippo». E ancora: «La fine di questa vicenda ci toglie un po' di quell'amarezza che ha scandito questi lunghi anni ma non ci restituisce purtroppo quel che ci è stato tolto. Dopo aver trascorso quasi sei anni della mia vita a fare avanti e indietro per le aule dei tribunali, mi sento parzialmente sollevata». E alla domanda se giudica una pena adeguata quella inflitta a Speziale e a Micale, risponde così: «Per me otto anni o undici anni alla fine fanno poca differenza, non sono una persona vendicativa, anche perché non esiste una sentenza che potrà riportare in vita Filippo. L'unico sollievo che provo è di fronte alla parola fine di questo lungo calvario. Sono stati sei anni logoranti e oggi posso dire di avere riconquistato una parte della mia vita». L'avvocato di Speziale, Giuseppe Lipera, darà comunque battaglia: «La giustizia in Italia non esiste più, ma la verità sì, e noi lotteremo per farla trionfare — ha detto — faremo una denuncia per falsa testimonianza e chiederemo la revisione del processo».

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IL CASO L’ACCORDO DI AGOSTO PREVEDEVA LA CESSIONE DEL 15%

DELLE AZIONI E LA PARTNERSHIP PER LA COSTRUZIONE DI UN NUOVO STADIO

È a rischio l'operazione coi cinesi

tra burocrazia e ripensamenti

di MARCO IARIA (GaSport 15-11-2012)

Tra lungaggini burocratiche e non solo, l'operazione Inter-Cina si è complicata a tal punto che — secondo fonti pechinesi — l'approdo del Dragone nel calcio italiano risulta essere a forte rischio. L'accordo sottoscritto il primo agosto prevedeva, come da comunicato del club nerazzurro, «l'ingresso di un gruppo di investitori cinesi nel capitale di Fc Internazionale Spa e contestualmente una collaborazione tra China Railway 15th Bureau Group, controllata da China Railway Construction Corporation, e Fc Internazionale Spa per la costruzione di un nuovo stadio di proprietà entro il 2017».

Ritardi Il passaggio di quote — il 15% della torta azionaria, interamente detenuta da Massimo Moratti, per un corrispettivo di 55 milioni di euro — avrebbe dovuto concretizzarsi dopo qualche settimana, tanto che l'avvocato Gianfranco Negri Clementi, consulente legale degli asiatici, a l'Espresso aveva annunciato: «L'appuntamento è per il 20-21 a Milano per verificare la documentazione, il 22 agosto ci dovrebbe essere il closing». E invece il closing non si è ancora materializzato. Di conseguenza, nell'assemblea di ottobre non sono stati cooptati nel cda i tre nuovi consiglieri (Kamchi Li, Kenneth Huang e Fabrizio Rindi) che erano stati designati «al fine di garantire ai nuovi azionisti adeguata rappresentatività». Il presidente Moratti, davanti ai soci, ha ammesso i ritardi assicurando però che «l'entusiasmo dei cinesi è sempre alto» e che l'operazione si sarebbe conclusa entro fine anno. Da Pechino, adesso, rimbalzano voci di perduranti difficoltà, tali da far saltare l'affare. L'agenzia Radiocor ricorda che sono necessarie cinque autorizzazioni — ministero del Commercio, Ufficio cambi, National Development and Reform Commission, Sasac e Consob locale — per l'ok definitivo; peraltro, tutto ora è paralizzato dal congresso del Partito comunista. Ma non è solo questo.

Dubbi e certezze Pare che i cinesi si siano interrogati sulla convenienza dell'operazione, anche sulla scia delle polemiche alimentate dalla stampa locale. «La proprietà parziale di un club di calcio italiano non dovrebbe essere l'obiettivo di un'azienda come Crcc», tuonò China Daily in un editoriale. In realtà Crcc, società controllata dallo Stato e quotata a Hong Kong, non doveva figurare ufficialmente come azionista nerazzurro: nei fatti agiva da trait d'union per un'operazione che intrecciava, appunto, il business immobiliare con l'ingresso in società. L'Inter ora fa sapere che c'è un contratto vincolante, sottoscritto al termine di una due diligence durata diversi mesi (come dire: i cinesi sapevano che i conti erano in rosso), che restano solo da stabilire tempi e modi per la sua esecuzione e che si sta lavorando quotidianamente per trovare una soluzione, anche su basi diverse.

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Il caso

Inter, mistero cinese: dove

sono finiti gli investitori?

di ANDREA SORRENTINO (la Repubblica 15-11-2012)

Il tempo passa, tre mesi e mezzo per l’esattezza, senza che tra Inter e futuri soci cinesi si sia arrivati a un accordo definitivo. Così il mistero si infittisce e le voci negli ambienti finanziari, raccogliendo indiscrezioni dalla Cina, sussurrano che la trattativa si sarebbe pesantemente arenata, arrivando a un passo dalla rottura: ciò che era stato annunciato lo scorso 1° agosto, ossia l’ingresso di investitori cinesi nel club con una quota del 15% (pari a circa 55 milioni) e la loro cooptazione nel Cda, oltre alla partnership con la China Railway Construction Corporation per la costruzione del nuovo stadio nerazzurro, non è ancora tecnicamente avvenuto, eppure sembrava tutto fatto, tutto sicuro. Invece l’ingresso dei soci nel Cda di ottobre è stato rinviato a data da destinarsi e sull’altro aspetto dell’accordo, quello della costruzione dello stadio con la sesta azienda edilizia al mondo, non ci sono certezze.

Quando ieri si è diffusa la notizia di una distanza sempre più evidente tra le parti, l’Inter ha smentito seccamente. Dal club si puntualizza che la vicenda non è affatto chiusa, che anzi i colloqui con i cinesi vanno avanti, che un ulteriore incontro è previsto nei prossimi giorni, e che in ogni caso ci sono i contratti firmati a far fede. Pacta servanda sunt, anche se l’interesse degli investitori sembrerebbe essersi raffreddato per una serie di motivi: il principale è la difficoltà tecnica nel trasferire capitali dalla Cina all’Italia. Ma se si arrivasse alla rottura, l’Inter potrà impugnare i contratti stipulati all’inizio di agosto. Intanto ieri Sneijder, cui il club starebbe proponendo un allungamento del contratto ma con spalmatura dell’ingaggio, è tornato ad allenarsi col gruppo: difficile che vada in panchina già domenica contro il Cagliari, più probabile che lo si riveda in Parma-Inter del 26 novembre.

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In un processo di camorra

La Procura di Napoli richiama

Balotelli: «Teste indispensabile»

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 15-11-2012)

«Balotelli si presenti in aula il 20 novembre o il 4 o l’11 dicembre...». Il messaggio della procura della Repubblica di Napoli è chiaro: l’attaccante del Manchester City ha tre date utili per rispondere alla convocazione dei pm Sergio Amato ed Enrico Parascandalo che lo hanno indicato come teste indispensabile dell’accusa nel processo su riciclaggio e ristorazione. Balotelli si presentò davanti ai magistrati partenopei il 15 settembre scorso in fase di indagini preliminari, adesso dovrà farlo anche in dibattimento altrimenti, fanno sapere dalla procura di Napoli, non è escluso l’accompagnamento coatto (il giocatore, per impegni agonistici, ha già saltato una convocazione). La necessità di ascoltare Balotelli, per i pm, nasce dalla visita dell’attaccante nel giugno del 2010 a Scampia quando il giocatore si fece scortare dall’imprenditore Marco Iorio, il principale indagato, e da alcuni esponenti della criminalità organizzata senza che l’azzurro ne conoscesse l’identità. Nell’ambito della stessa inchiesta, martedì, è stato ascoltato in procura Lavezzi, oggi al Paris Saint Germain, all’epoca dei fatti attaccante del Napoli: i pubblici ministeri vogliono capire chi avvicinò i malavitosi ai giocatori per far luce sulla rete di contatti funzionali al riciclaggio del denaro sporco.

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la storia

Moglie e figli abbandonati da Papa Waigo

«Ci ha lasciati in Italia e senza un soldo»

di ALESSANDRA GOZZINI (GaSport 15-11-2012)

Dal Senegal con amore, lungo viaggio del cuore con tappe da giro d'Italia e non solo: Cesena, Genova, Firenze, Lecce, Southampton (Inghilterra), Grosseto e Ascoli. Poi il bagaglio è rimasto sul letto, senza essere imbarcato per gli Emirati Arabi. Per chi non ha un almanacco sotto mano, i posti citati sono le fermate della carriera di Papa Waigo, ala classe '84, partito dieci anni fa da Saint-Louis, destinazione Verona. L'estate scorsa l'ultimo decollo: contratto biennale (nonostante l'accordo già in essere con l'Ascoli) con Al-Wahda, campionato degli Emirati Arabi. Dall'Oriente arrivano notizie di gol e buone uscite, ma la storia raccontata qui rimbomba da molto più vicino, è la storia di Kady Waigo, moglie di Papa: lei è rimasta invece a terra ad Ascoli, da dove ha inizio tutto un altro racconto. Questo.

Kady, da quanto tempo è sposata con Papa Waigo?

«Dall'11 aprile 2006. Sono andata a vivere con lui quando è passato al Cesena, non l'ho mai più lasciato solo».

Avete dei bambini?

«Due. Zaza, che ha quasi 5 anni. E nel 2011 è arrivata anche Fatima, la piccolina di casa».

Pare tutto perfetto.

«Ma non lo è affatto».

Da dove vuole iniziare a raccontare questa storia?

«Dal posto in cui mi trovo ora, Ascoli. Mio marito è partito per gli Emirati e da allora è come se si fosse scordato di noi. Ho letto alcune sue interviste nei mesi scorsi, diceva di avere problemi familiari. Non so di cosa parli: noi siamo la sua famiglia e noi siamo quelli ad avere dei problemi».

Da quanto tempo va avanti?

«Lui è sparito a giugno, non è più tornato e non si è praticamente più fatto sentire, salvo qualche rara eccezione. Domenica scorsa ha chiamato nostro figlio, prima ancora aveva chiamato la settimana precedente. Zaza lo cerca di continuo, dalla mattina alla sera. Io ho provato a dirglielo, ma Papa pensa sia una mossa per avere i soldi. E Fatima nemmeno lo ricorda, è come se non sapesse chi sia sua papà».

L'ultima volta che ha parlato lei con suo marito, cosa gli ha chiesto?

«Che provvedesse almeno al mantenimento della sua famiglia e dei suoi bambini. E devo dire che prima, anche se non sempre, lo ha fatto. Ora non sta più mandando niente, se ne frega dei suoi figli piccoli. Il mese scorso ha mandato i soldi, questo no. E dice che non ne manderà più. E ha anche aggiunto che non si sarebbe fatto vivo per un po'».

Perché ha scelto di parlare invece di rivolgersi a un avvocato?

«L'ho fatto, come no. Un legale in Senegal gestiva la nostra situazione, al momento delle firme, quando sembrava avessimo trovato un accordo, Papa si è tirato indietro. E a Dubai si sente irrintracciabile, dall'altra parte del mondo è come se noi non esistessimo».

Senza l'aiuto di suo marito, lei come fa?

«A volte è dura anche dare da mangiare ai miei bambini. Non è uno scherzo. I soldi sono sempre stati i suoi, e ora ci ha abbandonati. Io ho trovato un lavoretto in un bar di Ascoli, ma poche ore, quando Zaza è all'asilo e posso portarmi Fatima con me al lavoro. Mio marito ci ha fatto anche cambiare casa facendoci trasferire in una che costasse meno. E ora vi ho già detto come stanno le cose».

Kady, avrebbe mai pensato di raccontare una storia del genere?

«Mai. Sono caduta dalle nuvole. E aggiunga che Papa Waigo a Dubai vive con un'altra donna senegalese da cui ha avuto un'altra bambina, nata due mesi prima della nostra Fatima».

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Razzismo, un Balotelli a Fiesole

Daniel, insultato in campo e fuori. «L'arbitro? Nemmeno ascolta»

di ERNESTO POESIO (Corriere Fiorentino 15-11-2012)

FIESOLE — Ci ha pensato tante volte, anche negli ultimi giorni. «Così non mi diverto più, smetto di giocare». Lo ha detto un po' a tutti, anche all'allenatore Stefano Carobbi, vecchia conoscenza della serie A. Lo ha ripetuto al direttore sportivo Lorenzo Vitali che lo ha accolto come un figlio. Ma lo ha anche scritto su Facebook sperando, chissà, che almeno nel mondo virtuale le cose potessero prendere una piega diversa. Perché quello che accade nella realtà, magari su un campetto di periferia, non è più accettabile.

Daniel Kouko, classe '89 originario della Costa d'Avorio, arrivato da piccolo in Italia con la sua famiglia (padre, madre e quattro fratelli), gioca nel FiesoleCaldine, squadra di serie D alle soglie del calcio professionistico. Attaccante, gran fisico, Daniel è il più temuto dagli avversari perché a pallone sa giocare per davvero. Gli fece i complimenti anche Vincenzo Montella che lo ha affrontato in amichevole con la sua Fiorentina. Kouko, insomma, non è certo uno che in campo passa inosservato. Per questo gli avversari lo marcano strettisimo. Il problema è che spesso lo fanno pure con le parole. «Negro di m...», «Vai via scimmia», e altre frasi del genere: questo è quello che Kouko si sente ripetere a ogni partita. Ma non solo. Perché le ingiurie arrivano pure dagli spalti, come accaduto anche nell'ultima gara di campionato a Sansepolcro. I classici (purtroppo) «buuu», e offese di ogni genere piovono spesso sul campo tra l'indifferenza delle società ospitanti, ma soprattutto dell'arbitro, che per regolamento avrebbe la possibilità di sospendere momentaneamente la partita e, in caso il comportamento sugli spalti continuasse, perfino di fermarla definitivamente.

E invece, oltre al danno ecco la beffa. Perché Kouko, carattere timido e introverso, sopporta fino a un certo punto. Poi però reagisce, spesso con gli avversari. «Cerco di non farci caso — spiega Daniel — ma ogni tanto mi capita di perdere la testa. Il problema è che io lo faccio presente all'arbitro, ma lui nemmeno mi ascolta». Il risultato è l'ammonizione o l'espulsione proprio come, nel calcio dei grandi, capita spesso anche a Mario Balotelli. Il conto in undici giornate parla chiaro: 5 cartellini gialli, due rossi e due giornate di squalifica (l'ultima assegnata ieri dal giudice sportivo dopo l'espulsione a Sansepolcro). Ora però il FiesoleCaldine ha detto basta, e tramite il suo ds Vitale lancia un appello: «Purtroppo non è mai facile parlare con gli arbitri. Spesso ho tirato le orecchie a Daniel per avere reagito, ma ora basta. Non è nemmeno giusto, sembra che il colpevole sia lui. Dico solo che sarebbe bello una volta veder sospendere una partita. Il mio è un appello ai direttori di gara, ma non solo». Anche l'allenatore Carobbi chiede più attenzione: «Fanno di tutto per innervosirlo. Ma sapete qual è il paradosso? Lui si è calmato mentre chi lo offende non ha dovuto cambiate di una virgola il proprio atteggiamento». Lo conferma anche Kouko: «Dopo Sansepolcro ci starò più attento. Tanto ci rimetto solo io, sarò costretto a far finta di niente e cercherò di non reagire più». Ma intanto domenica sarà lui a restare lontano dal campo. Per una squalifica amara, come l'ennesima offesa.

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CONTRO IL RISCHIO ALCOL SI SCEGLIE DI ANTICIPARE L’ORARIO

Londra, quanti derby da pazzi

tutti in campo a mezzogiorno

Il Millwall restò in B per giocare col West Ham che retrocedeva

di DARIO FRECCERO (IL SECOLO XIX 15-11-2012)

LONDRA. Lo chiamano London Pride, orgoglio londinese. Non si misura in pinte di birra, contano le vittorie sui rivali di sempre. Welcome to Londra, la città dei derby. Con sei squadre in Premier (serie A), quattro in Championship (B), e altre sei tra League One e Two (Ċ), i sette milioni di londinesi potrebbero farsi un campionato tutto loro per sfottersi, insultarsi e sbronzarsi nei pub. Eppure i derby veri non sono decine ma giusto un pugno, forse mezza dozzina. È così perché nella megalopoli la città più vera è il quartiere ed è qui che si sistemano i conti del pride.

Andatelo a chiedere agli operai di Millwall se è derby quello con i ricchi “shit” (“cacca”) del Chelsea, con l’Arsenal o con i rivali storici del West Ham, altra parrocchia operaia sull’altra sponda del Tamigi. Da quel maledetto sciopero del maggio 1926, la “working class” dell’Est di Londra non aspetta che questa sfida per regolare i conti. E guai rischiare di mancarsi: due anni fa, con il West Ham sul precipizio della Premier e il Millwall in zona playoff della Championship, i tifosi del Millwall mandarono un messaggio chiaro ai giocatori. «Non si scherza, se gli Hammers vengono giù, noi ci faremo trovare». Da quel giorno i “blu” non hanno più centrato la porta e il derby, l’anno scorso, si è potuto ricelebrare con il solito canovaccio di tensione, polizia a cavallo, metro blindata e affari d’oro per i pub. Celebrato ma rigorosamente di mattina: al pomeriggio il rischio alcol è troppo elevato.

Sarà così anche sabato quando andrà in scena un altro derby, quello del Nord, forse il più nobile: Arsenal-Totthenam. Si gioca alle 12.30, lontano dalle tentazioni. Ma non chiamatelo derby, per i tifosi più puri dei pub è una sfida di cartapesta: “Febbre a 90” contro gli Spurs delle famiglie ebree. Sceicchi, tv, sponsor che brutalizzano persino i nomi degli stadi. Accademia, non come le questioni d’onore tra Crystal Palace e Charlton, quartieri delSud-Est che non dimenticano la condivisione del Selhurst Park quando il Charlton non aveva i soldi per sistemare il suo The Valley. O come la sfida di Premier tra Queens Park Rangers e Fulham, fratellastri del Dio Chelsea nel ricco quartiere di Hammersmith dove la sfida è quasi fatto religioso. Specie ora che il Qpr non riesce a scacciare il malocchio: la nuova proprietà malesiana spende e spande ma è all’ultimo posto mentre i Cottagers di Al Fayed, papà egiziano di Harrod’s, sono quasi in zona Europa. Sfida per niente british, ma per tutti sfida vera. Non come il Chelsea, quello è avanspettacolo. Non come l’Arsenal che ha sacrificato lo storico Highbury in favore dell’Emirates. Chiedetelo al Barnet, piccola società di quarta divisione che non potendo sfidare i rivali secolari dell’Enfield, inghiottiti dalle serie non professionistiche, sogna che il sorteggio delle varie coppe di lega regali la visita di una “sorella maggiore” della City per azionare la trappola. Quale? L’Underhill è l’unico stadio in pendenza, tra una metà campo e l’altra ci sono decine di centimetri. Chi non lo sa si sfianca nel primo tempo e nel secondo è moribondo. Ovviamente i padroni di casa, da poco affidati all’allenatore-giocatore Edgard Davids, puntano tutto sulla scelta del campo.

Bizzarro pure il caso del Leiton Orient (League One), l’unica squadra londinese che non avendo accese rivalità con nessun’altra cittadina visto che gli “o’s” sono la seconda squadra di ogni londinese doc, l’adrenalina se la vanno a cercare in tribunale. I loro legali si sono infatti opposti all’ipotesi di assegnare al West Ham il nuovo stadio appena inaugurato per le Olimpiadi 2012: il maxi impianto è troppo vicino al piccolo Brisbane Road e rischia di “cancellarlo”. Il Totthenam, secondo dietro il West Ham nell’assegnazione, ovviamente ha cavalcato le ragioni del Lorient e adesso anche gli O’s sono odiati da qualcuno: dal West Ham e pure dai contribuenti londinesi che hanno pagato 600 milioni di sterline uno stadio che ora è inutilizzato.

Modificato da Ghost Dog

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laRovesciata di ROBERTO BECCANTINI (GaSport 15-11-2012)

Nicchi cita Obama

Adesso ne adotti

pure i 2 mandati

Vale per tutti, pure per Abete. Lo sport

ha bisogno di circolazione di idee

Va di moda citare Barack Obama. «Il meglio deve ancora venire». Lo ha fatto anche Marcello Nicchi, subito dopo l’elezione-bis a presidente dell’Associazione italiana arbitri. Di Obama e degli Stati Uniti vorrei che si adottassero lo spirito e le regole, non soltanto gli slogan. A cominciare dal massimo dei mandati: due. Per un totale di otto anni. Non uno di meno, non uno di più. Toscano d’Arezzo, Nicchi ha sconfitto Robert Anthony Boggi/Mitt Romney per 208 voti a 119. Il campione, a essere sinceri, era finito sotto inchiesta per atteggiamenti «dittatoriali», denunciati dallo sfidante; il procuratore Stefano Palazzi l’ha prosciolto in tempo perché potesse partecipare al giorno del giudizio. Quando si dice il destino (chiamiamolo così).

C’è la tendenza a ricordare, spesso, le «ultime» parole famose. Attenzione, però, a non trascurare le «prime». Possono essere importanti, e pericolose, non meno delle successive. E Nicchi, fresco di brindisi, ha buttato lì: «Nel 2016 mi ricandiderò».

Per favore, signor Nicchi: no. Non si ricandidi. Il discorso, naturalmente, non riguarda solo lei, vale per tutti, anche per Giancarlo Abete, prossimo a essere confermato alla guida della Federazione. Lo sport ha bisogno di circolazione di teste, di idee, e non di girotondi di facce. La poltrona, alla lunga, sclerotizza, logora chi non ce l’ha (Andreotti dixit) e rende complice, distratto, chi ce l’ha. L’italiano nasce servile, e per questo è difficile che possa sottrarsi all’inciucio, schivare le tentazioni che la routine nasconde.

Due mandati, e stop. Come per il presidente del Coni. Senza quorum che possano partorirne un terzo. In otto anni Nicchi e tutti «i» Nicchi del sistema, se illuminati dalla grazia e non zavorrati dal grazie dovuto alla claque, possono cambiare almeno il loro mondo, se non proprio il nostro; e se non cambiarlo, migliorarlo; e oltre a migliorarlo, indicare l’erede, che continuerà e completerà il lavoro. Non che all’estero siano meno pigri: penso alla Spagna e al suo presidente (calcistico), Angel Maria Villar; nominato nel 1988, è ancora lì. Implacabile. Inossidabile. In pubblico, un carrierista; in privato, un idolo.

Un altro Abete temo che sia ormai inevitabile: la poltrona, come l’etica, non va in prescrizione (ricorda, presidente?). Sì, facciamo gli americani, ma facciamolo fino in fondo. Poniamo dei paletti efficaci e comprensibili che resistano ai voti di scambio e conducano ai voti di cambio. Estenderei il metodo Usa anche a Fifa e Uefa, a Joseph Blatter e Michel Platini. Bisogna aprire le finestre, bisogna rinunciare a vivere dentro fortezze che, più passa il tempo emeno cambia l’inquilino, rischiano di diventare pulpiti o inginocchiatoi, a seconda delle schiene, dritte o storte, dei titolari. Non si pretende la luna, si chiede, semplicemente, di avere coraggio (ma sì).

Tornando allo spunto della «rovesciata», che la casa degli arbitri non si trasformi nella nicchia dei Nicchi. La cronaca incalza, la storia non aspetta: fece uno strappo solo per Franco Carraro, che attese dovunque, comunque. «The best is yet to come»: con tutto il rispetto, ho qualche dubbio.

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