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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Questioni legali

Briamonte e Conte

due difese opposte

di ANDREA ARZILLI (CorSera 31-08-2012)

Falco per alcuni, eminenza grigia per altri, per i tifosi bianconeri lo stratega che ha permesso di posare il primo mattone del nuovo stadio e che ha portato la Juve a vincere la causa di Napoli: perché Michele Briamonte si è dimesso dal cda ad un mese dalla fine naturale del mandato? In molti hanno lavorato di fantasia per provare ad azzeccare la chiave di lettura di un gesto evidentemente dimostrativo, si è scritto e parlato di malumori interni alla Juve, di nervi tesi con Agnelli, di dissidi con Elkann e di un rapporto incrinato con Exor, l'azionista di riferimento. In realtà il motivo è più banale e diretto, forse si presta meno ai retroscena: nel passo indietro fatto da Briamonte, comunque concordato con Andrea Agnelli, c'è la volontà di non risultare ingombrante nella linea difensiva con cui il tecnico della Juventus sta cercando di cancellare i dieci mesi di squalifica sui quali, entro la metà di settembre, si esprimerà il Tnas. Briamonte ha accompagnato Conte all'audizione da Palazzi, è stato seduto al tavolo delle trattative per il primo patteggiamento, quello dei 3 mesi e 200 mila euro di multa fatto saltare dalla Disciplinare, ed è riuscito a riapparecchiarlo trovando un compromesso prima che il tecnico della Juve lo facesse saltare di nuovo. Lì la rottura o perlomeno una separazione causa non condivisione delle strategie e, soprattutto, dei metodi di Conte.

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Il retroscena

Le dimissioni di Briamonte segnano il via libera alla linea dura di tecnico e presidente

Conte sempre più potente

asse di ferro con Agnelli

di EMANUELE GAMBA (la Repubblica 31-08-2012)

Ogni parola di Andrea Agnelli e di Antonio Conte è un terremoto, quindi è normale che la Juve stessa venga smottata da qualche scossa d’assestamento. Le dimissioni dal consiglio d’amministrazione consegnate mercoledì da Michele Briamonte lasceranno il segno, perché segnano un cambiamento all’interno della società, spostano degli equilibri, indirizzeranno il futuro. E, soprattutto, pongono Conte in una posizione di forza, quasi di potere, perché l’allenatore e l’avvocato stavano ormai su due sponde diverse, opposte, dalle quali si scrutavano di sbieco. Non è un mistero che Conte e Briamonte abbiano litigato di brutto, venendo quasi alle mani nella serata in cui la Disciplinare respinse il patteggiamento di cui l’avvocato era stato l’architetto e al quale l’allenatore s’era sempre dichiarato contrario. Lì si è aperta la frattura che le scosse successive hanno trasformato in voragine: la Juve ha scelto di scatenare una battaglia giudiziaria e mediatica che Briamonte non ha mai condiviso. Avrebbe preferito una linea più cauta e diplomatica, anche nel timore degli sviluppi dell’inchiesta di Bari, dove Conte non è comunque indagato. Agnelli ha invece sposato in pieno la causa dell’allenatore, lo ha assecondato, l’ha difeso attaccando, ha permesso che nel collegio difensivo (dal quale Briamonte s’è sfilato) entrasse un legale di grido come Giulia Bongiorno, ha deciso di non avere dubbi e di scatenare il caos.

Eppure, Briamonte è stato il falco nella guerra alla Figc. Ha ideato l’esposto contro l’Inter e la richiesta di danni da 440 milioni al Tar, ha rappresentato la società in Lega in questioni delicatissime come il contratto collettivo e l’accordo sui diritti televisivi. Ma quando s’è trattato di alzare il tiro contro la magistratura, ha pensato che si stesse superando il limite. Lunedì si incontrerà con Agnelli ed è probabile che - oltre al cda - lascerà anche le cause in sospeso e quindi la vita politica del club. Briamonte era il rappresentate di John Elkann nel consiglio, ma questo non significa che Agnelli abbia vinto una sfida con suo cugino. Piuttosto, se ne ricava che l’azionista di maggioranza si fida del parente presidente, gli concede autonomia, non interferisce anche se forse non condivide certe scelte. Oggi, l’agenda politica bianconera è compilata da Agnelli e Conte, ben più di un semplice tecnico: se c’era un’ombra sul suo futuro, quelle dimissioni l’hanno spazzata.

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ALTRO COMUNICATO JUVE

Quella strana

precisazione

su Briamonte

art.non firmato (CorSport 01-09-2012)

Ieri la Juventus ha emesso il seguente comunicato a integrazione del comunicato del 29 agosto 2012 nel quale precisa che «l’Avvocato Michele Briamonte ha motivato le proprie dimissioni con la recente assunzione di importanti ed impegnativi ruoli anche in altre società quotate».

Una puntualizzazione dovuta, probabilmente, alle svariate ipotesi fatte trapelare sull’uscita dell’avvocato dal Cda della Juventus. L’avvocato Briamonte è ritenuto nell’ambito Exor un avvocato di «finissima intelligenza e di brillanti qualità» e sta conducendo battaglie di rilievo su tantissimi fronti della galassia economica della famiglia Agnelli inclusa Fiat. Con la Juventus ha intrapreso la battaglia contro la Figc con una richiesta danni di 440 milioni e grazie a lui sono stati raggiunti gli accordi sul contratto collettivo e sui diritti televisivi. Di recente è entrato nei cda del Monte dei Paschi di Siena e dell’Università Tor Vergata di Roma. Il solidissimo rapporto con John Elkann non è entrato minimamente in discussione per le recenti vicende che hanno coinvolto la difesa dell’allenatore della Juve, Antonio Conte. Così come non è stata scalfita l’intesa fra Briamonte e il presidente Andrea Agnelli. Un sano realismo e una veduta concreta della situazione possono aver creato delle normalissime discussioni all’interno del collegio difensivo del tecnico in merito alla linea da seguire. Strategia di cui ognuno, ovviamente, si sta assumendo la responsabilità. E’ apparso un po’ curioso, in questi giorni, apprendere, attraverso una comunicazione modulata a tal fine, della sintonia fra i due cugini. Strano, mancavano del tutto notizie contrarie. Tanto meno eventuali dissidi possono aver coinvolto l’avvocato Briamonte che gode della totale fiducia di entrambi come affermano in Exor e come confermano in Juventus. Quindi nulla di anomalo escluse alcune bizzarrie della comunicazione moderna costretta a tornare sulla vicenda con una ulteriore precisazione.

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Guardate che clima si prepara nella bella Firenze (scusate l'impostazione grafica sballata!)

SONDAGGIO FI.IT

il 26 settembre Conte dove dovrà vedere la partita?

31/08/2012 Il 26 settembre al Franchi si giocherà Fiorentina-Juventus. Vista la squalifica per il calcioscommesse il tecnico della Juventus Antonio Conte non potrà essere in panchina. Lui, comunque, seguirà la squadra. Fiorentina.it, in maniera anche ironica, vi chiede quel giorno dove Conte dovrà assistere alla partita?

Il 26 settembre arriva la Juventus, dove dovrà stare Antonio Conte?

In Tribuna

Autorità In uno

SkyBox In Curva Fiesole

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Conti & regole Il presidente dell’Uefa conferma le sue scelte strategiche

Platini non torna indietro

su fair play e arbitri di porta

Tecnologia, attacco a Blatter: «Ha fatto tutto da solo»

Contro le telecamere «Tutti sanno cos’è l’arbitraggio a 5, io sono contro le telecamere volute dal presidente Fifa»

di FABIO MONTI (CorSera 01-09-2012)

MONTECARLO — Indietro non si torna. Né sul fair play finanziario, né sugli arbitri di porta. Michel Platini non ha perso tempo a confermare le scelte strategiche dell'Uefa. Nonostante tutto (la politica di alcuni club, Paris St. Germain in testa) e tutti (Blatter, che il 5 luglio ha aperto alla tecnologia, con le telecamere sulla linea di porta). Prima i soldi. Gianni Infantino, il segretario, ha spiegato come sia in atto un contenimento degli investimenti sul mercato da parte della maggioranza dei club europei, che nel solo 2011 avevano generato 1,7 miliardi di euro di perdite. Ha ribadito che le regole prevedono anche l'esclusione dalle coppe europee e che entreranno in vigore dal 2014-2015. Ma l'attenzione è tutta sul Psg, che ha investito 260 milioni di euro negli ultimi 12 mesi. Platini: «Non abbiamo mai imposto un tetto di spesa e non intendiamo farlo; il criterio sul quale si basa il fair play finanziario e sul quale c'è stato un accordo di tutti (federazioni, club, autorità politiche, avvocati) è semplice: ognuno può spendere quanto incassa. Non esiste possibilità di rivedere questa posizione, Psg o non Psg. In questi anni ho avuto modo di parlare con tutti i presidenti e gli azionisti dei club europei, anche con quelli del Manchester City, e tutti hanno detto di voler rispettare le norme sui bilanci. Chi non le rispetta, avrà problemi. La regola vale per tutti, per il Nancy, per il Saint Etienne, per la Juve, e cito come esempio i tre club nei quali ho giocato. Al Psg ci sono dirigenti come Philippe Boindrieux e Jean-Claude Blanc, che conoscono bene la materia. Vedremo se avranno idee sufficientemente creative, per sviluppare il club nel rispetto dei regolamenti. Ad esempio, costruendo uno stadio. Noi vogliamo che i club crescano sani sul piano finanziario; non vogliamo ammazzarli, ma aiutarli. Del resto ci sono due commissioni ad hoc; non siamo noi a decidere le eventuali sanzioni». Poi una battuta: «So come gira il mondo; quando i club italiani acquistavano i giocatori, non erano interessanti al fair play; adesso che i club francesi comprano in Italia, sono gli italiani a invocare queste regole e i francesi, che prima ne parlavano, stanno zitti».

C'è un'altra questione che ha rivoluzionato la presidenza di Platini: l'utilizzo dei due arbitri di porta. E qui il presidente ha voluto al suo fianco Pierluigi Collina, responsabile degli arbitri Uefa, che ha spiegato con alcuni video istruttivi e sorprendenti il ruolo fondamentale dei due arbitri di porta, che va molto oltre la questione del gol/non gol. Platini è tornato ad attaccare Blatter: «L'Esecutivo Uefa ha detto sì all'unanimità all'arbitraggio a 5 e l'International Board ha autorizzato questa soluzione per le federazioni interessate, come quella italiana, che è stata la prima ad utilizzarla in campionato; altri lo faranno, altri no. Libertà per tutti, ma gli arbitri addizionali continueranno ad esserci in Champions ed Europa League e nelle grandi finali verranno scelti gli arbitri abituati a queste situazione».

Vista da Platini, la tecnologia sulla linea (soluzione che verrà provata al Mondiale per club in dicembre, alla Confederation Cup 2013 e al Mondiale 2014, come ha spiegato ieri Blatter), è qualcosa che «nessuno ha mai visto che cosa sia davvero, mentre tutti sanno che cos'è l'arbitraggio a cinque. Io sono contro le telecamere; lo sono sempre stato e non cambio idea a 57 anni, anche se rispetto l'opinione altrui. Una cosa è sicura: non è stata la Fifa, che ha deciso per le telecamere; è stato il suo presidente, che il 5 luglio ha deciso, senza consultare l'Esecutivo, né le commissioni. Ora tutti dicono che non si andrà oltre le telecamere sulla linea di porta. Sì, vedrete dove arriveremo... Il 5 luglio, quando l'Ifab ha deciso, io non ero a Zurigo, ma a casa mia; non volevo vedere questa novità dopo 105 anni di storia. Voglio anche capire se è poi vero che ci sarà la certezza di quanto avviene sulla linea di porta. Qualcuno ha già detto: non è tutto così sicuro come si dice. I 5 arbitri sono la soluzione più semplice e anche più economica». La sfida continua. E non è soltanto una questione di gol.

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L'INTERVISTA

PLATINI

«Dalla Juve al Psg

fair play finanziario

valido per tutti»

Il presidente Uefa: «Noi non vogliamo distruggere i club, ma aiutarli. Ho

votato per il Mondiale in Qatar a patto che si giochi d'inverno. Così sarà»

di FABIO LICARI (GaSport 01-09-2012)

Presidente, una battuta sull'allegro fair play finanziario del Psg?

«Quando voi italiani spendevate tanto, il fair play era un problema per i francesi. Oggi è il contrario...». Di battute Michel Platini ne ha regalate di più divertenti, soprattutto quando gli indebitatissimi Chelsea e Manchester United spendevano e vincevano, ma insomma: il concetto resta saldo. «Le nuove regole sono state approvate all'unanimità da club, politici, Unione Europea, giudici. Tutti. Non si torna indietro, che sia coinvolto il Psg o qualunque altro club. Chiaro?». Montecarlo, solita terrazza sulla spiaggia: Platini inaugura la nuova stagione. Parlando sempre meno di pallone e sempre più di finanza.

Che cosa dicono i club europei?

«Parlo con tutti i dirigenti: dicono che rispetteranno le regole, ma sembra che qualcuno lo faccia di più. Tanto ormai c'è una struttura alla quale non sfuggiranno italiani, francesi, georgiani: nessuno. Juve, St. Etienne, Nancy: nessuno».

Anche se il Psg...

«Blanc conosce bene le regole».

Il Psg, il Mondiale in Qatar, il suo incontro con gli sceicchi e Sarkozy, suo figlio che lavora per il Qatar: imbarazzato?

«Ho incontrato gli sceicchi e Sarkozy, vero: non mi hanno chiesto niente, ma è chiaro che volevano il mio supporto per il Mondiale 2022. Dissi: "Voto se si gioca d'inverno". Così dovrà essere: per i giocatori, per i tifosi. Mio figlio lavora in un altro settore. Ed è bravo nel suo campo».

Adesso spende anche il Bayern: 40 milioni per Javi Martinez.

«Il fair play non impedisce di comprare. Se il bilancio è okay e hai i soldi, puoi spendere».

E le sanzioni?

«Nel 2014 vedremo. Ma ricordate: non vogliamo distruggere i club. Vogliamo aiutarli».

A proposito di aiuti: gli arbitri, al momento, ringraziano.

«Tutti gli sport hanno aumentato il numero di occhi giudicanti in gara, perché il calcio no?».

Hanno aumentato anche gli strumenti tecnologici.

«Sì, ma quello che fanno gli arbitri di porta lo vedete tutti, con tanto di statistiche. Qualcuno ha mai visto la tecnologia sul gol fantasma? Mi dicono che la certezza al 100 per cento non c'è».

L'Italia è stata la prima ad accogliere gli arbitri di porta.

«Io sono orgoglioso dei risultati dell'Europeo e contento che l'Italia abbia cominciato. Ma ci sono campionati, come l'Inghilterra, dove avremo la tecnologia: vedremo cosa succede. Io sono contro, da sempre».

La Fifa pensa il contrario.

«La Fifa? Il suo presidente. Blatter ha deciso così, senza consultare nessuno. Giusto, però, che il Board abbia dato la possibilità di scegliere tra i due sistemi».

Parlando di Fifa: che cosa pensa delle riforme di Blatter?

«Non so se alla Fifa tutti le vogliono».

Arbitri: certo oggi non le farebbero passare quel gesto strafottente all'arbitro Roth, dopo il gol bellissimo e regolare annullato in Intercontinentale.

(ride e mima la scena)

«Come si fa ad annullare il gol più bello della mia vita? Pensate che, una volta arrivato all'Uefa, ho incontrato Roth nel settore arbitrale».

Gli ha detto niente?

«No, ma lui ha capito...».

Com'era il suo rapporto con gli arbitri?

«Molto corretto. Mai espulso, anche se una volta... La Juve perse col Verona, mi avvicinai a Lo Bello e, con molta educazione, dissi: "Signor arbitro, perché con lei perdiamo sempre?". Scrisse subito tutto nel referto. Un turno di squalifica».

Nuova Champions: idee?

«Per ora ascolto le proposte dei club. Qualche idea ce l'ho, ma non la dico. Comunque la finale di sabato fa 30% in più di telespettatori nel mondo, qualcosa di buono c'è».

Qualificazioni all'Euro 2016: con 24 finaliste il rischio è che siano noiose, se non si cambia formula.

«Purtroppo fino al 2020 non si cambia, le federazioni hanno detto no. I gruppi non saranno tremendi: cercheremo di modificare qualcosa (probabilmente più spareggi, ndr)».

Qualche vuoto negli stadi all'Euro: che si fa?

«Solo l'1% non è venuto allo stadio. Qualche vuoto era per marketing e federazioni: ma se l'Italia chiede 3 mila biglietti, ne vende 500 e non dà gli altri, che posso farci? Comunque cercheremo di trovare soluzioni».

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GRANDI CAMBIAMENTI I VERTICI DEL CALCIO EUROPEO LANCIANO DUE IMPORTANTIMISURE

Novità al via: dal 2014 punito chi non sarà in regola

Oltre al fair play, il via definitivo agli arbitri di porta che dal 5 luglio sono «norma» del calcio europeo

di FABIO LICARI (GaSport 01-09-2012)

Le spese di mercato dei club? Nel 2012, sotto la minaccia del fair play, si sono ridotte rispetto alla media degli ultimi quattro anni. I «casi» arbitrali? Di sicuro i giudici di porta hanno dato una mano importante su rigori, falli in genere e fuorigioco. Le due grandi sfide dell'Uefa sono definitivamente lanciate (senza dimenticare partite truccate e scommesse illegali).

Fair play «I club continuano a perdere, ma la situazione sembra essersi stabilizzata», sottolinea il segretario Uefa Gianni Infantino. Nel 2011 le prime divisioni d'Europa hanno perso 1,7 miliardi di euro, come nel 2010 (1,6 miliardi). Nel 2009 erano 1,2; nel 2008 «soltanto» 0,6: che la rincorsa folle si stia fermando? Infantino giura sull'effettività del fair play di cui è l'architetto: «Nel 2014 i club non in regola saranno sanzionati». Club inglesi, italiani e spagnoli spendono meno. I tedeschi, senza crisi, di più. Come i russi. E come i francesi, ma soltanto per l'effetto Psg.

Raccolta per nazionali Intanto sono arrivate le prime pene per chi non paga stipendi a giocatori e acquisti agli altri club: Gyor, Aek Atene e Besiktas sono fuori dalle coppe. La difficile congiuntura finanziaria non aiuta neanche l'Uefa: il nuovo sistema di diritti centralizzati per le qualificazioni all'Euro avrebbe dovuto garantire un miliardo da dividere per le federazioni. La raccolta ha portato finora «solo» 600 milioni.

Arbitri di porta Dopo circa mille partite in quasi quattro anni (cominciò tutto con Norvegia-Slovenia U.19, arbitro Rizzoli) il 5 luglio sono diventati regola del calcio. Presto il Board definirà il protocollo, forse concedendo loro più possibilità di movimento. Pierluigi Collina, «capo» degli arbitri Uefa: «All'Euro il 95,9% dei fuorigioco, su un totale di 435 situazioni entro un metro dalla linea dell'offside, è stato valutato bene. Quali risposte avrebbe potuto offrire la tecnologia oltre ai casi di gol fantasma? Non avrebbe risolto rigori, fuorigioco o altro. Cosa sarebbe successo in Juve-Parma, con Mirante che copre quasi tutta la palla? L'occhio di falco ha bisogno di vedere il 25% del pallone». Collina mostra immagini dell'Euro con l'audio tra arbitro centrale, arbitri di porta e guardalinee in tempo reale. Ricordate il rigore chiesto dalla Croazia contro l'Italia? L'arbitro di porta, l'inglese Clattenburg, vede, in un secondo, che il fallo è dell'attaccante. Quello che la tv mostra dopo decine di replay.

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INTERNATIONAL di PAOLO CONDÒ (SW SPORTWEEK 01-09-2012)

QUEI BUG NEL FAIR PLAY FINANZIARIO

SPONSORIZZAZIONI ASTRONOMICHE, DIRITTI TV E TASSE PIÙ

BASSE: UNO STUDIOSO INGLESE SPIEGA COME RUSSI ED EMIRI

POSSONO AGGIRARE LE NORME UEFA SUI BILANCI NEL CALCIO

L’imminenza dei primi controlli dettati dalle norme Uefa sul fair play finanziario, unita al difficile momento economico generale, ha condizionato il mercato di numerose società. Alcune altre, però, forti di liquidità legate in qualche modo all’energia (petrolio per i proprietari arabi, gas per quelli russi), si sono comportate come se nulla fosse, investendo cifre enormi in assoluto e addirittura grottesche se parametrate alla depressione del panorama. La domanda che tutti i tifosi dei club ossequiosi (o sparagnini) si sono posti, e pure in tono piccato, è come fosse possibile questa discrepanza. Se tanto mi dà tanto, il fair play finanziario dovrebbe fare strage dei vari Chelsea o Paris St. Germain. Succederà davvero? Un’acuta analisi di Ben McAleer, contributor a FourFourTwo e altri media inglesi, è stata pubblicata dal sempre interessante sabotagetimes.com.

McAleer mette in rilievo la presenza nella norma Uefa di alcuni bug. Ce ne sono di noti, e di meno noti. Fra i primi figura il contributo di sponsor e partner commerciali e l’esempio portato è l’accordo tra Chelsea e Gazprom – incuriosisce perché la cifra è stata mantenuta riservata, assist innegabile al momento di presentare un bilancio, giacché ci sarà una casella vuota da riempire con i numeri necessari. Gioverà ricordare che nel 2004 Roman Abramovich cedette proprio alla Gazprom il pacchetto di controllo della Sibneft, la sua industria petrolifera. Ce n’è anche per il Manchester City, che ha cambiato il nome del suo stadio da City of Manchester in Etihad – la compagnia aerea di Abu Dhabi, in definitiva controllata dallo sceicco Mansour, proprietario del club di Mancini – in cambio di 100 milioni di sterline per dieci anni. McAleer racconta che Barcellona e Manchester United hanno interpellato l’Uefa per sapere se giudicasse congrua tale valutazione, ricevendone – dopo breve istruttoria – risposta affermativa.

A complicare il quadro, un po’ come succede per l’economia europea, sono le differenze di introiti e fiscali Paese per Paese. In Inghilterra, per esempio, Sky e BTVision hanno appena firmato un contratto televisivo che porterà alle società della Premier il 70% di incasso in più, soldi che faranno respirare i bilanci dei due Manchester e del Chelsea, non di Juve e Milan (che pure partecipano alla Champions). Per le tasse, anche dopo le riforme la situazione spagnola resta privilegiata. McAleer calcola che uno stipendio lordo di 156 mila sterline a settimana ne porti 78 mila in tasca a un giocatore di Premier, e 102 auno di Liga. Senza armonizzazioni difficili da immaginare, fra cinque anni il russo che ha comprato il Monaco (dove le tasse non esistono) potrebbe schierare la squadra più forte.

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mercatoVirtuoso

C’è voluta la crisi

per dare la sveglia

agli spendaccioni

Esodi e prestiti a go-go per ridurre i costi

Zero stelle? Sì ma è un calcio sostenibile

di MARCO IARIA (GaSport 01-09-2012)

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«Il calcio è lo specchio della società». Quante volte l’avete sentita? Si sono scomodati sociologi e letterati per sviscerare le connessioni tra una partita di pallone e il popolo che la circonda. Ma stavolta c’è qualcosa in più. L’atmosfera che si respira in Italia, tra fabbriche chiuse, giovani senza lavoro e spread impazzito, è la stessa che anima le discussioni da bar sport, che avvolge in un senso d’impotenza i dirigenti delle squadre. In questa Italia qui, depressa e squattrinata, il mercato non poteva che tendere al risparmio. E segnare, per la prima volta dopo 8 anni, un saldo attivo tra cessioni e acquisti in Serie A:+19,9 milioni di euro, una svolta storica.

La verità è che l’ex campionato più bello del mondo ha vissuto per troppo tempo al di sopra dei proprimezzi. Basti pensare che nel decennio 2001-2011 i club di A hanno accumulato una perdita di 2,5 miliardi, facendo salire il livello delle spese per cartellini e stipendi ben al di là dei pur crescenti ricavi. Tutti si erano illusi che il redde rationem non sarebbe arrivato mai: ci ha pensato la recessione economica a rompere l’incanto. Sì, ha influito pure lo spauracchio del fair play Uefa, ma dietro l’austerity di Inter e Milan — tanto per citare gli esempi più emblematici — si nascondono le difficoltà di Saras e Fininvest. I soci di riferimento dei club non sono più disposti a foraggiare le campagne acquisti come in passato. E questo è stato un bel guaio anche pensando ai vincoli della Covisoc. Prima che cominci il mercato, l’organismo di controllo economico obbliga le società a rispettare due parametri: il fatturato deve essere superiore di almeno quattro volte ai debiti finanziari e di almeno tre volte all’indebitamento totale (al netto delle disponibilità liquide e dei crediti con le altre squadre). Se non sei in linea con questi rapporti, puoi scordarti di acquistare giocatori sul mercato interno, a meno che tu non ceda prima qualcuno o che il tuo proprietario non incrementi il capitale. A giugno, per rilevare la metà di Acerbi il Milan ha dovuto chiedere a Fininvest di effettuare un versamento di 5 milioni.

In generale, circola poca liquidità nel nostro movimento, in perenne rosso e con un patrimonio netto che nel 2011, in A, ammontava ad appena 157 milioni. Non a caso gli sforamenti cessioni-acquisti più elevati sono stati compiuti da Juventus (-34,2) e Roma (-21,2), cioè da quelle società che negli ultimi mesi hanno beneficiato di poderosi aumenti di capitali (120 milioni per i bianconeri, 50 per i giallorossi, che si appoggiano pure sulla linea di credito di UniCredit). Ma tutte si sono mosse con accortezza. La riprova è il ricorso sempre più massiccio a quelle formule di acquisizione di giocatori alternative al tradizionale trasferimento a titolo definitivo con solo cash. Se prendiamo in considerazione i 23 arrivi delle tre big (Inter, Juve e Milan), scopriamo che 7 sono stati prestiti, 3 comproprietà, 4 a costo zero, 2 il frutto dello scambio (con contropartita in denaro) Pazzini-Cassano. L’obiettivo è spalmare i costi su più esercizi, evitando la tagliola della ricapitalizzazione. Il pareggio di bilancio sembra essere diventata l’ossessione di chi prima non badava a spese. Quella che volge al termine passerà alla storia come l’estate delle dismissioni, da Ibra a Julio Cesar. Il Milan ha ridotto il monte-stipendi di 70 milioni, l’Inter di 50. L’era delle cicale è finita, forse, per sempre.

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Al professore in questione andrebbe risposto che sempre più di frequente si vanno a rivisitare i miti per evidenziarne anche le debolezze umane (persino con Gesù Cristo o di molti santi lo si è fatto). Evidentemene dire che Facchetti abbia avuto quanto meno delle debolezze rappresenta un sacrilegio mentre di Gesù Cristo lo si può dire.

Caro Professore la sua epica oltre che fuori luogo mi sembra anche sostanzialmente poco etica.

Quale sarebbe il messaggio che dovremmo dedurne? Che un morto che ha sbagliato non deve essere messo in discussione e deve esserne passata sotto silenzio anche una macchia che per quanto occasionale è purtuttavia una macchia?

Ma non le viene in mente, esimio professore, che espropriare un morto delle sue azioni da vivo pretendendo di volerlo deificare e togliergli la sua umana inclinazione anche a fare errori sia una mancanza di rispetto molto più grave tanto più se viene utilizzata per nasconercsi dietro????

Caro Professore, se mi permette, come diceva Totò, la posso toccare? MA VEDA DOVE DEVE ANDARE A RACCONTARE STUPIDAGGINI!

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La penultima di Lotito

della Redazione SPORTIVAMENTE MAG 01-09-2012

Gugliemo Stendardo, attualmente in forza all’Atalanta, è uno dei calciatori italiani che si elevano di una spanna sui colleghi. Di buona cultura, è l’unico laureato in giurisprudenza che calchi i campi di serie A e a dicembre conseguirà l’abilitazione per la professione di avvocato. Giusto per capirci, Stendardo è tenuto in grande considerazione dalla Federcalcio, a partire da Demetrio Albertini, e dal Coni, il presidente Petrucci stravede per lui. Per il contributo che potrà dare come sportivo una volta appese le scarpette al classico chiodo.

Eppure Stendardo ha avuto, in passato, non poche difficoltà. Soprattutto nei sei anni trascorsi sotto contratto con la Lazio, in cui il presidente Lotito si è distinto per la modesta considerazione nei suoi confronti. Spesso Lotito gli ha messo il bastone fra le ruote frenandone le ambizioni. Una per tutte quando richiede 12 milioni di euro alla Juventus che intendeva riscattarlo dopo averne usufruito in prestito.

Quel riscatto non… fu pagato, Stendardo rimase alla Lazio ma, a dispetto delle intenzioni manifestate in quel frangente, il giocatore fu presto isolato proditoriamente dalla rosa della prima squadra. Gli fu così preclusa la Nazionale e ogni possibilità di carriera che in parecchi avevano pronosticato per lui.

Prima di trasferirsi felicemente a Bergamo, dove lo apprezzano, Stendardo si è congedato da Roma con una lettera che ha fatto il giro del milieu biancazzurro e ha trovato grandi riscontri nella tifoseria. “Non dimenticherò mai i cori dedicatimi in tantissime occasioni, il goal che aprì le porte alla Champions e la meravigliosa cornice in quella magnifica serata di Lazio-Real Madrid, la rabbia e il dolore mostrato per l’uccisione del grande tifoso amico Gabriele. Rimarranno sempre nel mio cuore i bambini di Suor Paola e la sua grande opera meritoria che rappresenta e deve in tutti noi rappresentare un esempio straordinario di solidarietà . Auguro a tutti i laziali le più grandi soddisfazioni e il raggiungimento degli obiettivi sperati”.

La vicenda Stendardo-Lotito non sembra però terminare con la cessione del giocatore all’Atalanta.

Quanto molti chiamano “la penultima di Lotito” (perché un’altra comunque ci sarà) sta per concretizzarsi sotto forma di uno “sgarbo” ai danni del giocatore agropolese. Dall’entourage del calciatore trapela qualche nervosismo di troppo. Lo dicono “arrabbiatissimo” nonostante Stendardo si distingua per riflessività e pacatezza.

Quando la vicenda “uscirà agli onori del mondo” ve ne daremo conto, come sempre.

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Inoltre, al professor Matassi, vorrei ricordare che Achille legò Ettore alla biga e ci fece il giro delle mura martoriandone il corpo.

Davvero un esempio azzeccato Professore.

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Inoltre, al professor Matassi, vorrei ricordare che Achille legò Ettore alla biga e ci fece il giro delle mura martoriandone il corpo.

Davvero un esempio azzeccato Professore.

Il professore madechè commette un grave errore: ritenere che, andando a rivedere calciopoli, si possa recare offesa alla memoria di una persona morta e che non si può difendere.

invece, io penso, calciopoli va rivisitata anche per ridare credibilità al defunto Giacinto che, così come dici tu, ha commesso qualche errore, inevitabile nella vita di una persona che tanto ha fatto.

Sono infatti i suoi amici della sua società che addebbitano ogni tipo di reato, anche puttanata di reato, alla buonanima. Soprattutto il suo presidente si sta scaricando di ogni responsabilità riversando su Facchetti tante cazzate di cui lui, vero responsabile, deve rispondere.

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Ed allora secondo il filosofo poichè il santo non può difendersi e per lui vale il principio della presunzione di innocenza ergo farsopoli non può essere rivista. Ciò implicitamente, intrinsecamente ed estrinsicamente parlando,ammette il coinvolgimento del de cuius nella storia. Se dovessimo sorvolare sulle anime sante, caro professore, non conosceremmo mai la storia anche se poi ci sono i fatti, le intercettazioni, che parlano da sole, piaccia o non piaccia. Non potrà essere condannato per i suoi reati, perchè la morte del reo estingue il reato, ma ciò non toglie che le responsabilità cui era soggetto vadano evidenziate e per esse la società che in quel momento rappresentava ne risponda. Responsabilità oggettiva della società è un cardine della giurisprudenza sportiva oppure vale solo per la Juve? Daltronde il PM Palazzi nella sua relazione del 6 luglio 2011, guarda caso una settimana dopo il termine della prescrizione, le aveva evidenziate, era illecito sportivo art.6 del CdGS.Dunque di cosa si filosofeggia?

Sempre filosofeggiando ricordo un detto che mi riporta indietro ai tempi del liceo: la filosofia è quella scienza con la quale o senza la quale si rimane tale e quale. Chi l'aveva inventato non aveva tutti i torti.

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La comunità ebraica: "Ultrà, basta cori antisemiti"

La denuncia dopo il match della Lazio. Pacifici: "Va subito sospesa la partita"

Pavoncello: pene esemplari ai responsabili. Lotito: così si dà visibilità a pochi stupidi

di GABRIELE ISMAN (la Repubblica - Roma 01-09-2012)

Giovedì sera, stadio Olimpico: con la Lazio avanti di due gol sugli sloveni del Mura nel ritorno dei preliminari di Europa League, dalla Tribuna Monte Mario partono cori antiebraici. Alla fine il risultato sul campo sorriderà ai biancocelesti (nonostante il gol degli ospiti all´88´), ma la tifoseria torna sul banco degli imputati. All´indomani Vittorio Pavoncello – presidente di Maccabi Italy, componente dello European Jewish Parliament e consigliere dell´Unione delle Comunità Ebraiche Italiane – lancia la sua denuncia: «C´era stato un incontro lo scorso aprile, tra tifosi laziali ebrei e il presidente Lotito, su questo argomento. Ora, alla prima occasione, nuovamente questi cori offensivi. La Lazio viene considerata, come i suoi tifosi, una squadra razzista e intollerante, in tutta Europa». E ieri l´European Jewish Parliament ha inviato una lettera di protesta al presidente dell´Uefa Michel Platini sull´episodio. Pavoncello giovedì non era allo stadio: «Qualcuno di non ebreo, ma amico degli ebrei – dice - ha sentito questi cori dalla Monte Mario. Ha anche provato a parlare con chi inneggiava, ma alla fine ha dovuto lasciare lo stadio a un quarto d´ora dalla fine del match». Pavoncello chiede quindi "pene esemplari": squalifica del campo, chiusura della curva o multe salatissime. La replica di Lotito: «I cori non li abbiamo sentiti né io né lo staff della società. Noi come Lazio stiamo facendo delle battaglie contro qualsiasi discriminazione, ma non bisogna nemmeno dare troppo spazio a singoli episodi. Si rischia di dare visibilità ai pochi stupidi che ci sono in tutte le comunità. Ogni volta allo stadio c´è il cretino di turno: amplificarlo diventa pericoloso».

Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica romana, si spinge oltre: «Bisogna sospendere la partita nel momento in cui arrivano i cori antisemiti. La parte sana del tifo è maggioritaria, e in quel caso isolerebbe i mascalzoni. La tecnologia poi può essere utile». Pavoncello non crede alla sospensione delle partite, ma appoggia la linea tecnologica. «Sabato scorso – racconta – si è giocata in Germania la partita di campionato tra il Borussia Dortumnd, campione in carica, e il Werder Brema. A Dortmund sono attivi alcuni gruppi neonazisti e la società ha investito 250 mila euro per telecamere ad alta definizione che possono individuare un volto a 60 metri di distanza. Durante la partita un tifoso ha mostrato uno striscione inneggiante a un gruppo neonazista. Bene: quel tifoso ha 27 anni, finirà sotto processo e non entrerà più a vedere la sua squadra». Pacifici lancia un allarme: «Un altro aspetto preoccupante è che prima o poi i tifosi ebrei potrebbero stancarsi di porgere l´altra guancia, e magari rispondere allo stadio o nei giorni successivi. Se mi è già successo di doverli bloccare? A questo proprio non posso rispondere».

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Il professore madechè commette un grave errore: ritenere che, andando a rivedere calciopoli, si possa recare offesa alla memoria di una persona morta e che non si può difendere.

invece, io penso, calciopoli va rivisitata anche per ridare credibilità al defunto Giacinto che, così come dici tu, ha commesso qualche errore, inevitabile nella vita di una persona che tanto ha fatto.

Sono infatti i suoi amici della sua società che addebbitano ogni tipo di reato, anche puttanata di reato, alla buonanima. Soprattutto il suo presidente si sta scaricando di ogni responsabilità riversando su Facchetti tante cazzate di cui lui, vero responsabile, deve rispondere.

chiamalo qualche errore

la telefonata con mazzini dove lo vuole istruitre su come taroccare i sorteggi è una chicca

vabbe il tono.............

e pensare che lui è sasnto e scirea morto mentre lavorava per la figc è dimenticato

vabbuò

cosi va il mondo

questi sono i nostri punti di riferimento e questa è la nostra società

la colpa è nostra che ci facciamo sempre prendere per il C**O

se non fossimo stati juventini penseremmo che paparesta sia sempre negli spogliatoi

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L'intervento del Professor Melotti ha riacceso il dibattito su Giacinto Facchetti. Sui blog infiammano le levate di scudi interiste in cui "GiùlemanidaGiacinto" si contrappongono a giuste argomentazioni più o meno condite con insulti.

Il problema è che se gli insulti tout court sono condivisibilmente inaccettabili che anche il semplice elenco di fatti sia elevato al rango di insulto non è per nulla condivisibile. Il problema sta proprio in questo secondo caso.

Per l'interista medio il solo elenco di fatti rappresenta un insulto e dal suo punto di vista il rispetto per il morto equivale all'omissione e quasi alla cancellazione di quei fatti.

Del resto da chi si specchia e si vede onesto a dispetto di passaporti e bilanci taroccati c'è da attendersi qualcosa di diverso?

Diventa un pò più inquietante la questione quando a postulare questo teorema cominciano ad essere grandi firme del giornalismo o economisti o filosofi o politici in vista o conduttori televisivi. Quello che sta giustappunto accadendo.

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Joined: 10-Sep-2006
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L'intervento del Professor Melotti ha riacceso il dibattito su Giacinto Facchetti. Sui blog infiammano le levate di scudi interiste in cui "GiùlemanidaGiacinto" si contrappongono a giuste argomentazioni più o meno condite con insulti.

Il problema è che se gli insulti tout court sono condivisibilmente inaccettabili che anche il semplice elenco di fatti sia elevato al rango di insulto non è per nulla condivisibile. Il problema sta proprio in questo secondo caso.

Per l'interista medio il solo elenco di fatti rappresenta un insulto e dal suo punto di vista il rispetto per il morto equivale all'omissione e quasi alla cancellazione di quei fatti.

Del resto da chi si specchia e si vede onesto a dispetto di passaporti e bilanci taroccati c'è da attendersi qualcosa di diverso?

Diventa un pò più inquietante la questione quando a postulare questo teorema cominciano ad essere grandi firme del giornalismo o economisti o filosofi o politici in vista o conduttori televisivi. Quello che sta giustappunto accadendo.

Tu che riesci ad andare su quei siti mi dici cosa pensano del loro presidente dai denti fulgidi che, quando è stato messo alle strette sulle intercettazioni, se ne è uscito con "non ne sapevo niente, si è interessato Giacinto di questo fatto"?

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IL BOMBER COLOMBIANO DOPO MONTECARLO

Re Falcao è anche un intrigo

Chi è il vero padrone del suo cartellino? L’Atletico, ma anche un gruppo capeggiato dal manager Mendes

di FRANCESCO UFFICIALE (CorSport 02-09-2012)

MONTECARLO - I suoi numeri, le sue percentuali sono da paura. L’anno scorso Radamel Falcao Garcia Zarate ha segnato 36 reti in 50 partite ufficiali con la maglia dell’Atletico Madrid! Quest’anno, dopo tre incontri (due della Liga e la Supercoppa europea) è già a quota sei! Centossantacinque in 248 match ufficiali da professionista! E in Europa viaggia alla media di quasi un gol a partita: 37 in 40 gare.

Nella magica nottata di Montecarlo, il Tigre ha «graffiato» il Chelsea tre volte e in due occasioni ha colpito una traversa (in avvio di gara) e un palo con un colpo di testa: cinque tiri verso il «povero» Cech tre centri, il 60 per cento! Per lui tutto è molto naturale: «L'Atletico ha fatto dei sacrifici per prendermi e poi trattenermi. E’ giusto che io ricompensi questi sforzi. E’ vero: quest’estate si è parlato dell’interesse di grandi club per il sottoscritto, ma sono voluto restare a Madrid. Il futuro? Vedremo» .

GIALLO - Anche perché chi volesse trattare l’acquisto di Falcao si troverebbe davanti a un vero e proprio intrigo. A chi appartiene il cartellino del bomber colombiano? Ufficialmente all’Atletico, ma il sospetto è che il club colchonero non ne sia proprietario o solo in minima parte. La maggioranza è sicuramente in possesso del Doyen Group, un misterioso gruppo d’investimento gestito da uomini d’affari portoghesi che ha sede a Londra e che opera sul mercato calcistico spagnolo, lusitano e sudamericano. Nessuno finora è però riuscito a scoprire le percentuali della divisione del cartellino.

A Madrid sono convinti che i 40 milioni con i quali l’Atletico ha acquistato Falcao dal Porto nell’estate 2011, non siano stati quelli provenienti dalla vendita del «Kun» Aguero al Manchester City. Quelli sarebbero serviti a chiudere i buchi nel bilancio della società che ha sede in riva al fiume Manzanarre. Il sospetto è sia stato proprio il Doyen Group a sborsare la cifra per il trasferimento dell’attaccante. E sapete chi «comanda» questo gruppo finanziario? Jorge Mendes, il manager portoghese, che ha - fra gli altri - nella sua «scuderia» un certo José Mourinho, tale Cristiano Ronaldo, Di Maria, Thiago Silva e Nani. Quindi il frazionamento del cartellino di Falcao potrebbe essere stato uno degli ostacoli al trasferimento del Tigre al Chelsea, che qualche settimana fa ha offerto 15 milioni di euro più Fernando Torres. I regolamenti inglesi, infatti, dopo il caso Mascherano-Tevez-Liverpool-Manchester United qualche anno fa, proibiscono che un manager sia proprietario del cartellino di un giocatore, che invece deve appartenere tutto a un club.

QUANTO VALE? - Le quotazioni di Falcao - chiamato così da suo padre in onore del «Divino» della Roma - sono salite vertiginosamente alla borsa di Montecarlo. Probabilmente per prenderlo servono 60-65 milioni. E pensare che nel luglio 2009, il Porto gli aveva fatto attraversare l’Atlantico pagandolo al River Plate cinque milioni e mezzo di euro. Fate un po’ voi il conto della plusvalenza...

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Se ne va per le minacce

La pagina nera di Colonia

L’italo-tedesco Pezzoni rompe il contratto

L’allenatore: “Non poteva più giocare qui”

DOPO LA RETROCESSIONE Su facebook: «Pestatelo» Davanti alla sua abitazione squadracce di ultrà

POLEMICHE Il tecnico del Borussia e i giornali: «Così il club si è arreso ai violenti»

di ALESSANDRO ALVIANI (LA STAMPA 02-09-2012)

Nel 2009 la Juventus sembrava interessata ad acquistarlo, ma lui preferì prolungare fino al 2013 il suo contratto col Colonia. Ora Kevin Pezzoni, difensore tedesco di origini italiane, ha rescisso anzitempo quel contratto, anzi, è stato costretto a farlo: «Pezzo», nato 23 anni fa a Francoforte sul Meno da padre italiano, se n’è andato dopo aver subito pesanti minacce dai tifosi. «Sono successe delle cose che non gli consentivano più di giocare in questa squadra, un gruppo di persone si è piazzato questa settimana davanti al suo appartamento privato, l’ha insultato e minacciato in modo massiccio», ha spiegato l’allenatore Holger Stanislawski. Secondo la Bild cinque persone si sono piantate davanti casa sua e hanno gridato: «Esci che te le diamo». Sulla sua auto sono stati appiccicati dei foglietti pieni di offese. Quando si incita alla violenza «un ventitreenne non può più giocare serenamente a calcio, è una situazione che è montata col tempo», ha notato Stanislawski. A Carnevale uno sconosciuto aveva aggredito il difensore e gli aveva spaccato il naso.

La situazione era degenerata dopo la deludente prestazione di Pezzoni nella partita di lunedì contro l’Erzgebirge Aue. Il giocatore, che in passato è stato capitano della nazionale tedesca Under 19, era diventato il capro espiatorio dei tifosi, insoddisfatti per il pessimo inizio di stagione dell’ex squadra di Lukas Podolski, che l’anno scorso è retrocessa nella serie B tedesca e quest’anno ha perso tre delle quattro partite disputate. Su Facebook era nato un gruppo che invitava a «pestare Pezzoni & C.». «Mi ha detto che ogni volta che toccava palla l’unica cosa che gli importava era non sbagliare il passaggio, questo è intollerabile», ha confidato Stanislawski. Per questo ha chiesto di andarsene, un desiderio accolto dalla società. L’abbiamo fatto per proteggerlo, ha chiarito l’allenatore.

Ma salgono le polemiche. Il tecnico del Borussia Dortmund campione di Germania, Jürgen Klopp, ha attaccato il Colonia: «Se una società consente che l’unica soluzione sia questa... Non credo che Kevin volesse rescindere il contratto». Invece di difenderlo il club si è arreso ai tifosi, che hanno raggiunto quello che volevano, ha criticato la Welt. La squadra del Colonia ha diffuso una lettera aperta: «Non accettiamo che singoli giocatori vengano umiliati e attaccati personalmente da alcuni casinisti, ci aspettiamo correttezza e rispetto». Il difensore Christian Eichner ha spiegato che la squadra è «sotto choc» e ha ammesso che a maggio, dopo la partita che segnò la retrocessione, lasciò lo stadio nascosto nel bagagliaio dell’auto dei genitori. «Se retrocedete vi ammazziamo» avevano scritto ad aprile su uno striscione.

L’unico commento di Pezzoni è arrivato via Facebook: «Sono contento di leggere quanta comprensione venga mostrata per la nostra decisione e quanta incomprensione abbiamo insieme contro il mobbing, le offese, la violenza».

___

Gigantesca rissa tra ultras ai Murazzi

paura e feriti nella notte, un arresto

Come in un saloon si scontrano tifosi di Juve, Toro e Pescara

Spranghe, bottiglie e cinture usate per picchiare. Scoppia una bomba carta. Due denunciati

di EMANUELE FRANZOSO (la Repubblica - Torino 02-09-2012)

Una maxi-rissa tra tifoserie rivali ha trasformato una serata come tante, in riva al Po, in un set da film “picchiaduro”, e i locali gremiti in saloon da western. Paura, botte, insulti, un fuggi fuggi generale. E alla fine il bilancio è di un arresto, due denunce a piede libero, una decina di persone ferite e danni a negozi e automobili. È accaduto intorno alle 2 dell’altra notte nei dintorni dei Murazzi, con gruppi di ultras di Juventus, Torino e Pescara (poche ore dopo all’Olimpico si sarebbero affrontati proprio la compagine granata e la squadra abruzzese) protagonisti di un’ora di guerriglia urbana che ha regalato alla “movida” notturna un supplemento di violenza e di adrenalina.

I supporter delle tre squadre sono venuti a contatto davanti al noto locale Alcool, in lungo Po Cadorna. La scintilla è scattata dopo qualche “sfottò” ma la risposta è stata violenta, improvvisa, e ha coinvolto un numero crescente di persone, compresi, loro malgrado, gli esterrefatti avventori e i proprietari dei locali limitrofi. Per sedare la rissa alimentata da un passaparola a suon di cori da stadio e degna delle peggiori scene cinematografiche in stile “hooligans” è stato necessario l’intervento delle forze dell’ordine.

Qualche spintone in mezzo alla strada ha dato il via allo scontro con pugni e calci, sedie e tavoli presi dai locali e trasformati in bastoni o spranghe, bottiglie, bicchieri di vetro e cinture. Ogni oggetto o indumento era “utile” per colpire il nemico del momento. Prima che la polizia mettesse fine agli scontri, i titolari dei locali della “movida” sono riusciti a chiudere porte, finestre e i più fortunati e veloci anche le serrande. Qualcuno ha tentato di allontanarsi in macchina, invano perché anche il traffico è andato in tilt; un autobus Gtt in transito ha frenato bruscamente non solo per i tavoli e le sedie che bloccavano la strada ma anche per l’esplosione di un grosso petardo proprio sotto il veicolo. Un’altra esplosione, più violenta — forse una bomba carta — è avvenuta nei pressi dei Murazzi.

Gli agenti delle Volanti intervenuti hanno arrestato per resistenza e minacce a pubblico ufficiale il 22enne Davide Falco, tifoso del Pescara ora indagato anche per rissa aggravata e oltraggio. Nel corso dell’intervento sono state denunciate a piede libero altre due persone: un tifoso della Juve, di 17 anni, indagato per rissa aggravata e oltraggio, e N.D, 37 anni, supporter del Toro accusato di favoreggiamento in quanto con la propria auto, tra l’altro guidata in stato di ebbrezza, aveva offerto un passaggio ad alcune persone coinvolte nella rissa per aiutarle ad allontanarsi.

È stato un coprifuoco anticipato per molti locali della zona, dai Murazzi a piazza Vittorio, mentre è difficile risalire al numero esatto dei feriti che si sono fatti medicare recandosi di propria iniziativa negli ospedali cittadini. Sull’accaduto indagano polizia e Digos.

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Tu che riesci ad andare su quei siti mi dici cosa pensano del loro presidente dai denti fulgidi che, quando è stato messo alle strette sulle intercettazioni, se ne è uscito con "non ne sapevo niente, si è interessato Giacinto di questo fatto"?

Avere un pensiero su questo presupporrebbe aver messo in discussione Farsopoli ed essersi chiesti cosa è successo davvero.

Finchè rimangono nella loro favoletta che c'era un lupo cattivo di nome Moggi che rubava le caramelle ai bambini non ne caverai nulla.

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il commento

LE VERGOGNE DI SAN SIRO E DEL SAN PAOLO

di TONY DAMASCELLI (il Giornale 03-09-2012)

Nemmeno la morte di un cardinale, Carlo Maria Martini, scomparso all’età di anni ottantacinque, è servito a far rispettare il silenzio di un manipolo di ignoranti che hanno preferito, ieri a Milano, inneggiare a un calciatore piuttosto che a chi non appartiene più a questo mondo becero. Sono gli stessi pellegrini che però accendono ceri a piangono lacrime se scompare un tifoso, un capopopolo e urlano, strillano, scaricano la loro volgarità e miseria esistenziale. Dunque sarebbe opportuno abolire i sessanta secondi (che il grande Concetto Lo Bello riduceva a trenta, intuendo che il tempo era eccessivo per gli abitanti dello stadio) e istituire un minuto di insulti e bestemmie, repertorio classico del meraviglioso pubblico. A proposito di repertorio, il gol di Florenzi su assist di Totti è stato illustrato dalla voce di Sky, Caressa Fabio, così: «La palla canta e suona il piffero». Anche in questo caso sarebbero opportuno dieci secondi di raccoglimento ma tant’è, questo passa il convento, anche in pay per view via satellite. La stessa emittente, nella grafica di Cagliari-Atalanta, ha preferito la formula delle sole due lettere della squadra sarda per evitare un abbinamento emblematico: Cag-Ata.

Giornata, come al solito, piena di piccole cose spacciate per grandi e grandiose. Il rigore concesso alla Juventus, con espulsione ingiusta del portiere friulano e partita leggermente condizionata (nessun tiro in porta dei friulani fino al gol dell’1 a 4), ha riempito i commenti che invece si sono tenuti alla larga da altri penalty e fuorigioco non fischiati ma, si sa, chi ha il potere, almeno in classifica, fa notizia. Per esempio il sindaco di Napoli, De Magistris Luigi, e l’azionista di riferimento del club calcistico, De Laurentiis Aurelio (il de con l’ablativo deve fare tendenza nella città di De Curtis, detto per noi Totò) insomma Napoli dovrebbe vergognarsi delle condizioni del prato del San Paolo, roba da beach volley o da Natale in Africa. Seminare il campo e poi giocarci sopra è da geni del giardinaggio ma fa parte del teatro nostrano, laddove la Lega sposta a Pechino i suoi tornei nazionali trascurando le miserie interne. Resta il mistero di un’estate intera trascorsa a guardare le stelle e a preoccuparsi di altro mentre il campo era malato di funghi. Nel grande caos tricolore non va trascurato quello che è successo al calcio Riccione, due squadre con la stessa insegna in campo, una addirittura scortata dai carabinieri, gli avversari TuttoCuoio non capivano con chi giocare e i tifosi romagnoli divisi nella stessa tribuna. Roba da matti. Per fortuna adesso c’è la pausa, gioca la nazionale e, come si dice, viva l’Italia. Tanto poi si ritorna, come prima, più di prima.

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[John Foot è uno storico italianista e insegna Storia Contemporanea al Dipartimento di Italiano dell'University College di Londra. Siamo molto felici di ospitare un suo contributo originale per Fútbologia, che pubblichiamo in due parti]

La figura dell’arbitro nella storia italiana (prima parte)

di JOHN FOOT dal BLOG FÚTBOLOGIA 03-09-2012

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Le regole esistono ma non è facile interpretarle

Paul Ginsborg

Le leggi per i nemici si applicano, per gli amici si interpretano

Giovanni Giolitti

a. Lo Stato italiano e la sua legittimazione

Gli Stati necessitano di livelli significativi di legittimazione, salvo quei casi in cui siano governati mediante l’uso o la minaccia della forza. Come dice J. Habermas, un sistema politico “esige che la fiducia di massa sia il più possibile diffusa”. I cittadini devono nutrire un certo livello di fiducia nelle istituzioni dello Stato per accettarne il diritto a governare, riscuotere le tasse, far rispettare la legge e la legalità, combattere le guerre e garantire la formazione scolastica dei figli. Lo Stato italiano, sin dalla sua nascita, ha avuto una sorta di crisi di legittimazione semi-permanente. Le ‘regole del gioco’ non sono mai state accettate dalla maggioranza degli Italiani, come parte integrante di una gestione ‘razionale’ da parte dello Stato e del sistema politico. Al contrario, tali regole sono state parzialmente sostitute da un altro ‘codice’ non scritto che ha reso possibile istituzionalizzare la raccomandazione, il clientelismo, l’incapacità professionale e modi più informali di scambio e comportamento.

In Italia, uno dei prerequisiti principali del ‘normale’ funzionamento dello Stato –l’indipendenza (sia reale che mentale) dei sistemi amministrativo e legale dal controllo politico– non ha mai avuto luogo. La ‘fiducia di massa’ non è mai stata raggiunta, ciò è alquanto semplice da dimostrare. Se è pur vero che la crisi di legittimazione raggiunge il suo apice quando i cittadini si rifiutano di votare, pagare le tasse, combattere ‘in nome del proprio paese’, oppure di obbedire alle leggi fondamentali, o, ancora, quando lo Stato deve ricorrere alla violenza per regolamentare i ‘normali’ conflitti economici e sociali, è altrettanto vero che questo stato di crisi può essere percepito anche nella quotidianità degli eventi che regolano il rapporto tra i cittadini e lo Stato sia a livello locale che nazionale, e nella fattispecie nel tipico atteggiamento degli italiani nei confronti dello Stato. La crisi di legittimazione si è aggravata in momenti decisivi, quando il livello di consenso nei confronti delle istituzioni si è abbassato notevolmente e la protesta dei cittadini si è resa particolarmente violenta e diffusa. La crisi perciò è sempre stata presente, e in effetti non si è mai giunti in prossimità di una reale soluzione, mentre la sua intensità ha subito alti e bassi col trascorrere del tempo, portando il rapporto cittadino-stato ad una crisi di legittimazione di massa, talvolta molto vicina al collasso totale.

Le ramificazioni di questo stato di crisi semipermanente sono state avvertite in ogni angolo della penisola italiana. L’illegalità di massa è sempre stato un dato tangibile della vita italiana, dall’evasione fiscale alla costruzione edilizia abusiva, dalla corruzione politica a quella civile. Ciò non significa mettere lo Stato dalla parte del ‘bene’ e i cittadini corrotti in quella opposta secondo una linea immaginaria che li divida nettamente. Sovente infatti, sono state proprio le azioni illecite dello Stato, e quelle dei suoi rappresentanti, ad approfondire la crisi di legittimazione nel tempo. La mancanza di legittimazione si è inoltre riscontrata all’interno della macchina statale e governativa e, talvolta, forze insite allo Stato stesso hanno lavorato in modo sotterraneo per produrre effetti di delegittimazione. Oltre a ciò, lo Stato è stato spesso biasimato per tutta una serie di problemi che hanno afflitto la società italiana, dalla povertà alla totale incapacità di affrontare opportunamente i disastri del paese.

b. L’arbitro. Potere privo di autorità?

Che rapporto intercorre, nell’ambito della storia italiana, tra l’analisi da noi svolta ed il ruolo dell’arbitro di calcio? Gli arbitri interpretano un insieme di regole, in un contesto in cui ognuno ha una propria opinione riguardo ai singoli momenti di ogni partita. Questi hanno il compito di prendere decisioni immediate, in un modo o nell’altro, basandosi esclusivamente su ciò che vedono. Come se ciò non fosse già abbastanza difficile, molti dei 22 giocatori in campo (così come i loro manager e tifosi) cercano spesso di ingannare l’arbitro o, più semplicemente, tentano di nascondere la realtà dello sguardo probatorio dello stesso arbitro. I giocatori si mettono in fuorigioco, chiedono la rimessa laterale anche quando sono stati loro stessi a tirare la palla fuori campo, si lasciano cadere simulando dolori lancinanti, colpiscono la palla con le mani. Inoltre, si lamentano continuamente e per qualsiasi cosa. Le partite di calcio, allo stesso modo delle rivolte all’interno delle carceri, sono “fondamentalmente avvenimenti contestati”. Raggiungere un accordo non solo è difficile, è semplicemente impossibile. Tutto ciò risulta essere molto più complesso in Italia, per ragioni di natura storica e politica ben precise. Come ha scritto Paul Ginsborg, “l’autorità dell’arbitro diviene necessariamente incerta, e in Italia la sua posizione è resa ancora più difficile dal clima quasi universale di scetticismo, se non di derisione, che accompagna ogni sua decisione”.

A proposito del rapporto tra i tifosi italiani e la figura dell’arbitro, Ginsborg continua: “Non è difficile individuare in questo contesto una serie di sentimenti –diffidenza, disprezzo, cinismo o addirittura odio– che caratterizzano anche il rapporto tra gli italiani e lo Stato”. In Italia, c’è la forte convinzione che lo Stato, i suoi codici e le sue regole, siano entità flessibili, offuscate dalla corruzione e perciò atte ad essere disprezzate e messe in discussione. Come già visto in precedenza, questa convinzione ha una solida base storica e viene estesa anche ad altre figure che esprimono autorità quale l’arbitro di calcio. Infatti, per il tifoso italiano l’arbitro è sempre corrotto, a meno che non si dimostri il contrario. Ciò che resta da scoprire è come l’arbitro sia o sia stato corrotto, in favore di chi e perché. È proprio questo concetto che domina la maggior parte dei dibattiti calcistici italiani e, in generale, nel mondo del calcio italiano, le teorie riguardo ai presunti ‘complotti’ abbondano. A quale squadra sarà concesso vincere il prossimo anno, la prossima settimana, domani e perché?

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La figura dell’arbitro nella storia italiana (seconda parte)

di JOHN FOOT dal BLOG FÚTBOLOGIA 04-09-2012

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c. Legalità, dittatura e sudditanza

L’arbitro di calcio, sul terreno di gioco, è una delle poche figure istituzionali al mondo in grado di esercitare completamente il proprio potere, è “il giudice unico, un giudice senza appello” (Gian Paolo Ormezzano), ma gli arbitri si sono resi impopolari proprio per questo, perché hanno insistito nell’applicare la legge. Tuttavia, non si è trattato affatto di una loro decisione, più semplicemente non hanno avuto alternativa. Gli arbitri non possono fare altro che applicare la legge, è il loro lavoro a richiederlo. È come se fossero intrappolati all’interno della legalità in un mondo dominato dall’illegalità. Tuttavia, senza l’applicazione di tutte le sue regole e punizioni, la partita di calcio non avrebbe alcun senso. “Senza di lui non si giocherebbe neanche un minuto” (Michele Serra). Inoltre, a differenza dal rapporto che intercorre tra lo Stato italiano e i suoi cittadini, le decisioni dell’arbitro hanno effetto pubblico ed immediato. Le punizioni assegnate sono messe subito in pratica, i giocatori espulsi (solitamente) si allontanano dal campo e ai fuori gioco seguono i calci di punizione. La partita termina col fischio finale dell’arbitro. Gli arbitri, perciò, possiedono ed esercitano un potere assoluto (per i 90 minuti sul campo da gioco) ma, al contempo, mancano sia d’autorità che di legittimazione. Questa posizione così peculiare si porta dietro tutta una serie di conseguenze.

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Gianni Brera, il giornalista italiano di calcio più autorevole, ha scritto che, in generale, gli arbitri sono persone “che avevano fallito come giocatori, o si erano infortunati gravemente oppure erano diventati troppo vecchi tanto da esser capaci di correre soltanto dietro agli altri, ma non più dietro al pallone”. Erano ‘sadomasochisti’ che godevano nell’impartire ordini ad altri. Ancora Brera descrive l’arbitro come un “prepotente… che insiste nel ritenere che la legge va rispettata anche a costo di infastidire il prossimo”. Per Michele Serra, l’arbitro ha “un amore misterioso per l’ordine e le regole”. Giovanni Arpino, romanziere e scrittore di calcio, ha scritto che “coloro che detengono il potere, anche solo per un arco di tempo di 90 minuti, non saranno mai visti sotto una buona luce”. Gli arbitri vengono derisi sia per il potere che detengono, sia per i modi con cui se ne servono. Sono universalmente identificati come imbroglioni e accusati quotidianamente d’imparzialità. In Italia, gli arbitri non sono mai al di sopra d’ogni sospetto. Inoltre, sono, pressoché universalmente, detestati, specialmente da tutti quelli che seguono il calcio da vicino. Ciò è vero non soltanto per quanto concerne le partite di serie A, ma anche per quel che riguarda quelle delle serie minori giocate nei campi di periferia. Gli arbitri sono criticati per il fatto d’essere pedine nelle mani altrui, e, allo stesso tempo, per il loro potere eccessivo.

Tuttavia, nella situazione da noi descritta è facile scorgere per lo meno una contraddizione. Se tutti gli arbitri sono corrotti, perché allora si dovrebbe biasimare qualcuno di essi per il fatto di essere corrotto? Da qualche parte deve pur esistere la possibilità di imbatterci almeno in un arbitro che non sia corrotto. Gli arbitri corrotti sono spesso criticati per il fatto di mostrarsi senza spina dorsale di fronte alle pressioni ricevute, il che implica che un arbitro autorevole saprebbe respingerle. Ad ogni modo, gli italiani pensano che per poter vincere sia necessario avere l’arbitro dalla propria parte e/o l’approvazione di personalità autorevoli. Quel che suona bizzarro in tutto questo è un capovolgimento della morale. Se vincere una partita o l’intero campionato è semplicemente una questione di mettere l’arbitro giusto al posto giusto nel momento giusto, allora non ha senso parlare di etica. La vera partita, dunque, si svolge altrove, non sul campo da gioco.

Nel calcio italiano da sempre si dice che i club più ricchi godano di maggiori privilegi rispetto a quelli più poveri. Essi ottengono più punizioni, hanno meno squalificati, e ad essi vengono annullati meno goal. Da un certo punto di vista, ciò non è particolarmente sorprendente. Le squadre ricche sono generalmente più forti di quelle povere e, perciò, tendono ad attaccare di più, il che li porta a subire anche un maggior numero di falli nell’area di rigore avversaria, ad effettuare più tiri in porta e ad avere più calci d’angolo. Eppure, questo chiarimento tecnico non è sufficiente a spiegare una tendenza al pregiudizio così profondamente radicata. In Italia, i grandi club hanno goduto sovente di ‘favori’ perché sono gestiti da personalità potenti ed autorevoli. La FIAT è stata la più importante impresa privata italiana per tutto il corso del XX secolo. La famiglia Agnelli fondatrice e maggiore azionista dell’impero automobilistico torinese è anche proprietaria della Juventus. Sebbene il denaro e lo status sociale non siano essenziali per oliare i meccanismi del favoritismo, sicuramente aiutano.

Il servilismo è stato, comunque, un modo di pensare ampiamente diffuso. Una parola chiave è ‘sudditanza psicologica’. È stato il designatore arbitrale Giorgio Bertotto a dichiarare –dopo la partita Venezia – Inter giocata nel 1967– che “la sudditanza psicologica nei confronti delle grandi squadre” era un aspetto dominante tra gli arbitri italiani. È questo ‘pregiudizio istituzionalizzato’ che conduce a un cinismo diffuso sui risultati dei campionati.

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Da qui lo scaturire di frasi del tipo “l’anno prossimo potrebbero farci vincere”. Comunque, tale scetticismo non impedisce lo sdegno morale per il modo in cui gli arbitri favoriscono i grandi club. I tifosi, spesso, scherniscono la Juventus col lo slogan “sapete solo rubare”. Ma da qualche parte dovrà pur esistere un universo parallelo dove ci sono arbitri imparziali. In Italia, essi sono infatti una razza rara davvero.

Gli arbitri si sono resi servi, si dice, a causa di una mescolanza di ambizione e istinto di conservazione. I giornalisti scrivono spesso, dopo un evidente atto di sudditanza da parte di un arbitro in favore di un club importante, che in quel caso l’arbitro “farà una buona carriera”. La consuetudine è ugualmente importante. Le cose sono sempre andate così. I club minori spesso e volentieri si sentono ‘liquidati’ dagli arbitri, soprattutto nelle partite contro le grandi squadre. Quando le grandi squadre giocano tra di loro le cose si complicano ulteriormente. Tra i club potenti il favoritismo col tempo si modifica in base alla politica, al denaro, e si ritiene ampiamente che il favoritismo tra i grandi club tenda a compensarsi. In Italia, questo modo di ragionare è diventato una scienza, nota come dietrologia, behindology in inglese. È una scienza basata sulla teoria del complotto, per cui ogni evento/fatto/risultato si spiega con riferimento alle macchinazioni/manipolazioni di forze autorevoli e occulte. La cosiddetta ‘dietrologia’ è una teoria comunemente impiegata tanto nei dibattiti calcistici quanto in quelli riguardanti la mafia o il ruolo oscuro svolto dai servizi segreti italiani durante gli anni ’60 e ’70. Per definizione, è raro che queste spiegazioni dimostrino di essere giuste o sbagliate ed è proprio grazie a questo che la dietrologia trova terreno fertile. La scienza del ‘dietro il sipario’ (behind-the-scenes-ology) è diventata un luogo comune del discorso calcistico. La maggioranza dei tifosi guarda e filtra abitualmente la partita di calcio attraverso questa forma mentis.

All’interno di questo quadro, ciascun tifoso ha la propria croce da portare –una particolare decisione, partita o arbitraggio che avrebbe influenzato un campionato o avrebbe ‘rubato’ una partita decisiva. Innumerevoli decisioni hanno generato dibattiti incessanti e un rancore infinito, dando vita peraltro a facili leggende. Interi campionati di calcio sono registrati nell’immaginario popolare come ‘furti’. Ma non tutti gli arbitri sono ‘psicologicamente condizionati’ allo stesso identico modo. Alcuni di essi sono ritenuti pro o (molto più di rado) anti Juventus, altri sono considerati più ‘obbiettivi’, altri capricciosi, altri ancora semplicemente incapaci. In Italia, infiniti dibattiti ruotano intorno a questi argomenti, per esempio quale arbitro è stato scelto per arbitrare e in quali partite, e come è stato scelto. Tali procedure di designazione degli arbitri sono cambiate con una stupefacente velocità e frequenza col passare degli anni, e proprio la designazione degli arbitri è stata al centro dello scandalo di calciopoli del 2006.

Dando per scontata l’opinione diffusa che tutti gli arbitri sono corrotti, a meno che non si dimostri il contrario, ci si aspetterebbe che la storia del calcio italiano fosse costituita da un cumulo di casi di corruzione con al centro la figura dell’arbitro. In realtà, è abbastanza vero il contrario. Sono stati più numerosi i casi di corruzione, partite truccate e scommesse illegali che hanno coinvolto giocatori, manager e presidenti rispetto a quelli in cui, invece, si è riscontrata l’implicazione di arbitri. In 120 anni di storia del calcio, sono pochissimi gli arbitri che sono stati veramente colti sul fatto, nell’atto, cioè, di prendere/accettare tangenti, o truccare le partite. In un mondo corrotto, gli arbitri italiani sono stati un modello di legalità. Ciò potrebbe esser visto come prova del loro status eroico di ‘minoranza virtuosa’. Il tifoso italiano medio ribatte in modo semplice su questo punto: non è necessario corrompere gli arbitri. Per natura, essi favoriscono determinate squadre in determinate occasioni. Gli arbitri fanno carriera o, più semplicemente, sopravvivono, aiutando i potenti ed eseguendone gli ordini.

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La paranoia dei tifosi, per quel che concerne la natura corrotta o l’inettitudine dell’arbitraggio, viene alimentata da interminabili dibattiti televisivi in cui vengono scagliate accuse in tutte le direzioni; gli episodi delle partite –punizioni, falli, goal– sono ripetuti in replay all’infinito e le diverse teorie sulle presunte cospirazioni si susseguono incessantemente. Per lungo tempo la moviola è stata vista dagli arbitri come un nemico, molti di loro la detestano e ci sono state ripetute richieste per eliminarla. In seguito alla morte di un tifoso della Lazio nel 1978, avvenuta prima che si disputasse un derby, Giulio Campanati, allora designatore, chiese che la moviola fosse abolita, sostenendo che i ripetuti replay al rallentatore provocavano reazioni violente tra i tifosi delle due squadre. Non vi è alcun dubbio che un uso eccessivo della ‘prova’ moviola –ora peraltro decisamente più sofisticata rispetto agli anni ’60– ecciti i tifosi e porti ad incrementare sentimenti di ostilità nei confronti degli arbitri. Col tempo, tuttavia, gli arbitri hanno finito per accettare e perfino appassionarsi alla moviola, tanto che oggi è facile vedere nei programmi televisivi importanti arbitri del passato commentare le riprese alla moviola. Durante lo scandalo di calciopoli, è emerso che alcuni ex arbitri avevano manipolato la moviola con l’intento di favorire o denigrare i colleghi. Gli ex arbitri hanno finito con l’assumere rapidamente l’ideologia anti-arbitro condivisa dal resto della popolazione.

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È forse così improbabile che in Italia un arbitro possa essere ritenuto una figura al di sopra delle parti, neutrale ed obbiettiva? Nessun arbitro è mai riuscito ad essere al di sopra dell’accusa di pregiudizio sistematico. Per un po’ sembrò che Pierluigi Collina ci fosse riuscito. Nel suo ambiente, Collina rappresentò un’autentica rarità, un arbitro che sembrava non essersi piegato al potere dei grandi club, una personalità autorevole che, almeno apparentemente, aveva aderito esclusivamente alle regole del gioco. Questo suo atteggiamento rappresentò qualcosa di rivoluzionario nel calcio italiano. Collina pareva dimostrare che fosse possibile, in circostanze eccezionali, applicare semplicemente le regole del gioco, senza ricorrere al calcolo politico, alle teorie del complotto e della cospirazione. Eppure, nel 2006, anche la reputazione di Collina è stata offuscata, ed è stato trascinato nel fango proprio alla fine della sua carriera. Collina fu costretto a dimettersi perché accettò un contratto pubblicitario con lo stesso sponsor del Milan e, in seguito, fu marginalmente coinvolto nella vicenda di calciopoli. Tutto ciò è bastato a distruggere la sua posizione di ‘arbitro diverso’. Anche Collina è stato, in fin dei conti, soltanto un altro arbitro italiano.

In Italia, gli arbitri si trovano in una posizione impossibile. In qualunque modo agiscano, il pubblico non crede nella loro neutralità ed onestà. Così come è accaduto per lo Stato sin dalla sua nascita, gli arbitri non hanno mai raggiunto una vera e propria legittimazione, ma sono condannati ad esercitare il loro potere, settimana dopo settimana, in modo dittatoriale. Nonostante il tentativo di fare pulizia in modo da dare alle nuove generazioni di arbitri la possibilità di redimere la categoria, per la gran parte dei tifosi, calciopoli ha confermato semplicemente la mancanza di legittimazione e autorità. Capire come il ruolo dell’arbitro si è evoluto nel tempo aiuta a capire il rapporto che intercorre tra gli italiani, l’autorità e l’applicazione delle leggi.

Gli arbitri italiani onesti possono essere paragonati agli sceriffi del west (armati, in questo caso, solo di un fischietto), che cercano di imporre una sempre più debole legalità di fronte al sospetto universale, all’ostilità e alla violenza. Forse dovrebbero essere considerati i veri eroi del nostro tempo, per il loro coraggioso tentativo di applicare la legalità sul campo e per la sfida portata, ancora una volta con dignità e rispetto, al disprezzo per la legge così diffuso nella società italiana.

Questi arbitri sono paragonabili ai giudici anti-mafia della Sicilia, ai magistrati anti-corruzione di Milano, ai giornalisti onesti di Roma? Ma questa non è un’opinione condivisa da molti italiani.

Modificato da Ghost Dog

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Al calcio non serve un governo tecnico

di ELIO MATASSI (ilFattoQuotidiano.it 03-09-2012)

In un recentissimo saggio-intervista, Parlerò solo di calcio (Il Mulino, Bologna 2012), Tito Boeri, economista di rilievo, dopo un’analisi impietosa del sistema-calcio nostrano, formula una proposta conclusiva – “Un governo tecnico per il calcio” – che dovrebbe portare a soluzione i gravissimi problemi di cui è affetto il torneo più bello del mondo. Una proposta replicata nell’intervista rilasciata all’Espresso (numero 34, 23 agosto 2012) ‘E ora la Football Review’, concepita quale commento al servizio di Gianfrancesco Turano, Mal di calcio, apparso sempre nello stesso numero dell’Espresso. L’analisi dei mali del calcio, molto rigorosa, prelude ad una riforma di stampo tecnocratico che lascia perplessi. Per dirla in breve: si tratta della stessa forma mentis ‘economicistica’, totalmente autoreferenziale, che presume di risolvere qualsiasi problema con strumenti esclusivamente economici, senza una visione autenticamente globale e senza l’auspicata rifondazione etica, che non può in alcun modo rinunciare al contributo decisivo della filosofia. Limiti che scandiscono il pensiero economico contemporaneo, ma non quello dei grandi classici dell’economia moderna, da Adam Smith a Karl Marx. Ma non mancano anche oggi interessanti eccezioni.

Ho letto infatti molto di recente un paio di libri di giovani economisti che vanno in tutt’altra direzione. Penso, in particolare, a Massimo Amato e Luca Fantacci, Come salvare il mercato dal capitalismo. Idee per un’altra finanza (Donzelli, Roma 2012) e a Leonardo Becchetti, Il mercato siamo noi (Bruno Mondadori, Milano-Torino 2012). In entrambi i casi, si prende una posizione molto netta rispetto all’attuale deriva dei mercati finanziari, per esempio in Amato e Fantacci: “Dire no ai mercati finanziari non significa affatto rinunciare al mercato. Significa semplicemente rinunciare a fare mercato di ciò che merce non è, ossia della moneta e del credito”. Prospettiva che s’ispira implicitamente ai grandi classici del pensiero filosofico, da Aristotele a L’Immanuel Kant de La metafisica dei costumi, che avevano perfettamente capito che la moneta coincideva con il bene comune e che, pertanto, la sua funzione non poteva essere capovolta in merce. Deriva che correttamente Leonardo Becchetti definisce “la finanza Frankenstein”, in quanto si è rivoltata proprio contro i suoi stessi promotori.

Una degenerazione che colpisce ogni aspetto e fenomeno della vita sociale e, dunque, anche il calcio e che va sotto il nome di ‘riduzionismo antropologico’, ossia una forma mentis che si afferma a danno del singolo e della persona. Anche nel calcio questa deviazione è veramente trasparente; la tipologia che esemplifica compiutamente il riduzionismo antropologico è quella di Ibrahimovic, cavaliere e messaggero del nichilismo ispirato all’economicismo più radicale. Non è forse un atteggiamento etico più autentico quello di un gruppo di tifosi della più antica società calcistica italiana, il Genoa, che hanno chiesto ai propri giocatori durante una partita del campionato 2011-2012 la restituzione del simbolo originario, la maglia? Mi chiedo: sono più eticamente criticabili questi comportamenti estremi, improntati al senso di appartenenza, o il disincanto giunto ormai alla fase più bassa della sua curva degenerativa? Ha più valore la richiesta di un sacrificio totalizzante o il nichilismo super-economicistico imperante, che mortifica, spersonalizzandolo, l’entusiasmo dei valori d’appartenenza che devono continuare ad alimentare la fede laica dei tifosi?

Il calcio non ha bisogno, per rifondarsi, di un ‘governo tecnico’, ma di una grande Accademia, dove tutti, dai dirigenti agli allenatori ai giocatori, possano finalmente formarsi.

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UNA “SPIATA” DA UN MILIONE DI EURO - TELECOM ITALIA E INTER CONDANNATE A RISARCIRE IL GAUDENTE BOBO VIERI - TRA IL ’99 E IL 2000 TRONCHETTI PROVERA, MORATTI E FACCHETTI, PREOCCUPATI PER LE FREQUENTAZIONI NOTTURBINE DI BOBONE SI RIVOLSERO A TAVAROLI CHE GLI MISE L’ISPETTORE CIPRIANI ALLE CALCAGNA - ADAMO BOVE DIEDE IL VIA ALLA “RACCOLTA DATI”…ATTACCANTE DELLA NAZIONALE BOBO VIERI - -

dagospia.com

L'Inter e Telecom Italia sono stati condannati al risarcimento in solido di un milione di euro in favore di Bobo Vieri per lo "spionaggio" che l'ex attaccante della nazionale avrebbe subito quando giocava nel club nerazzurro. Vieri aveva chiesto un risarcimento di 12 milioni a Telecom Italia e di 9,250 milioni all'Inter. Lo spionaggio risale alla vicenda dei dossier illegali della passata gestione di Telecom.

Per i legati di Vieri era l'Inter il mandante dell'attività di spionaggio nei confronti dell'ex calciatore. Tra il 1999 e il 2000 l'ex presidente di Telecom Italia, Marco Tronchetti Provera, il presidente dell'Inter Massimo Moratti e Giacinto Facchetti (dirigente della squadra fino alla sua scomparsa nel 2006) avevano deciso di rivolgersi a Giuliano Tavaroli, il capo della securiy interna di Telecom, per informarsi su come gli altri club calcistici "seguissero la vita" dei loro giocatori.

In quell'occasione, però, non si sarebbe parlato della necessità di controllare Vieri. L'ex campione nerazzurro aveva denunciato, all'apice della propria carriera, pedinamenti, verifiche sulle sue frequentazioni e controllo dei tabulati telefonici che gli avrebbero procurato una forte depressione.

L'incarico di raccogliere i dati arrivò tra il 2002 e il 2003 da Adamo Bove, il direttore della Security morto suicida nel luglio del 2006. In seguito, Tavaroli avrebbe incontrato il presidente dell'Inter che gli avrebbe espresso preoccupazioni sulle frequentazioni di Vieri.

E per questo l'imputato nel processo sui dossier legali avrebbe messo l'ispettore Emanuele Cipriani alle calcagna del calciatore, affinché lo seguisse in ogni spostamento. "Cipriani svolse la pratica e venne pagato autonomamente dall'Inter", disse Tavaroli.

__________________________-

NTERCETTAZIONI

Telecom Italia e Inter condannati

Dovranno risarcire Bobo Vieri

All'ex attaccante un milione di euro, la richiesta ammontava a 21 milioni. Lo spionaggio risale alla vicenda dei dossier illegali della passata gestione della società telefonica

repubblica.it - 03-09-2012

MILANO - L'Inter e Telecom Italia sono stati condannati al risarcimento in solido di un milione di euro in favore di Bobo Vieri per lo "spionaggio" che l'ex attaccante della nazionale avrebbe subito quando giocava nel club nerazzurro. Vieri aveva chiesto un risarcimento di 12 milioni a Telecom Italia e di 9,250 milioni all'Inter. Lo spionaggio risale alla vicenda dei dossier illegali della passata gestione di Telecom.

Per i legati di Vieri era l'Inter il mandante dell'attività di spionaggio nei confronti dell'ex calciatore. Tra il 1999 e il 2000 l'ex presidente di Telecom Italia, Marco Tronchetti Provera, il presidente dell'Inter Massimo Moratti e Giacinto Facchetti (dirigente della squadra fino alla sua scomparsa nel 2006) avevano deciso di rivolgersi a Giuliano Tavaroli, il capo della security interna di Telecom, per informarsi su come gli altri club calcistici "seguissero la vita" dei loro giocatori. In quell'occasione, però, non si sarebbe parlato della necessità di controllare Vieri. L'ex campione nerazzurro aveva denunciato, all'apice della propria carriera, pedinamenti, verifiche sulle sue frequentazioni e controllo dei tabulati telefonici che gli avrebbero procurato una forte depressione.

L'incarico di raccogliere i dati arrivò tra il 2002 e il 2003 da Adamo Bove, il direttore della Security morto suicida nel luglio del 2006. Secondo quanto testimoniato da Tavaroli, all'epoca avrebbe ricevuto una telefonata dalla segreteria di Marco Tronchetti Provera e di aver poi girato la pratica all'investigatore privato Emanuele Cipriani, tuttora a processo. In seguito, Tavaroli avrebbe incontrato il presidente dell'Inter che gli avrebbe espresso preoccupazioni sulle frequentazioni di Vieri. "Cipriani svolse la pratica e venne pagato autonomamente dall'Inter", disse Tavaroli. A dare il via al procedimento davanti al giudice civile Damiano Spera era stato lo stesso Vieri, che aveva denunciato di aver subito danni psicologici, e in particolare insonnia e depressione, per essere stato pedinato per conto dell'Inter tra il 2000 e il 2001 e nel 2004 e spiato tramite l'acquisizione illecita dei propri tabulati telefonici. Il legale di Vieri, l'avvocato Danilo Buongiorno, a maggio aveva chiesto al giudice di far accertare i danni subiti dal suo assistito da uno psichiatra e da un medico legale.

Ora nel dispositivo, il giudice afferma che "entrambe le società devono essere ritenute solidalmente responsabili del danno subito" da Vieri. Di qui la dichiarazione di "responsabilità di Telecom Italia spa e di F.C. Internazionale Milan spa nella produzione dei danni subiti dall'attore" e la condanna "in solido, al pagamento, in favore dell'attore, della somma di euro un milione, oltre interessi". Le due società dovrebbero pagare a Vieri anche due terzi delle spese processuali sostenute per un totale di 38.195 euro.

3 SETTEMBRE 2012

L'avvocato di Vieri: ''Sentenza che farà storia''

Il legale di Christian Vieri, Danilo Bongiorno, commenta la sentenza del tribunale di Milano che ha condannato Telecom e Inter al risarcimento di un milione per lo "spionaggio" nei confronti dell'ex nerazzurro. "Giustizia è fatta"

di Lucia Tironi

http://video.repubblica.it/edizione/milano/l-avvocato-di-vieri-sentenza-che-fara-storia/104214/102594

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Il retroscena

I misteri di gennaio: gioco al ribasso o timori di contatti con un clan. Oggi ispezione della Federcalcio

Quel brusco cambio di impresa

di ANTONIO CORBO (la Repubblica - Napoli 04-09-2012)

Questione di soldi o timore di contatti con la camorra. Per uno di questi motivi, forse per tutt’e due, Aurelio De Laurentiis ruppe con l’impresa che da 12 anni curava bene il prato del San Paolo. Quel campo in tv l’altra notte sembrava crosta di luna.

Funghi, virus, siccità, colpa del Comune, no del Napoli, solo del Napoli. Si sente di tutto. La verità rimane sotto la sabbia di un campo ormai malato, se non si parla con chi la conosce. Già, chi? Fino al 18 gennaio 2012 aveva l’appalto Francesco Marrone, uno dei 42 vivaisti di Melito, ora con sede a Somma Vesuviana in via Pomigliano. «In dodici anni non c’è stato mai un filo d’erba fuori posto. Un manto erboso che era un tappeto», assicura il titolare di “Vivai piante e fiori Marrone srl”. Poi che cosa è successo?

Il Napoli era negli ottavi di Champions, due giorni dopo la partita con il Bologna l’impresa Marrone affronta De Laurentiis. «Con mia figlia Alessandra presentiamo un preventivo nuovo.

La manutenzione costa molto di più perché il Napoli gioca spesso, anche in settimana. Pochi i 4.200 euro più Iva al mese. La mia azienda ha 25 anni di esperienza, cura i migliori campi, da 12 serve il Napoli, 40 operai. Feci io giocare gratis il Napoli ai tempi della C1 a Palma Campania e a Marano. Bella riconoscenza, appena ho chiesto l’aumento ho smesso di lavorare, ora ho 13 operai, non più 40». Francesco Marrone inasprisce i toni. «Per un campo di calcio occorrono passione, competenza e mezzi. Il 12 agosto dell’anno scorso per evitare quanto succede adesso, mancando l’acqua, ho portato le autobotti al San Paolo. Sul campo. D’estate è fondamentale irrigare».

Ma c’è un retroscena. E va ricordato a Francesco Marrone. Accreditò come collaboratore dell’impresa il giardiniere Antonio Lorusso, figlio del potente capoclan Salvatore di Masseria Cardone alla periferia nord di Napoli, oggi pentito. Ha rivelato ai pm dell’antimafia Sergio Amato ed Enrica Parascandolo il riciclaggio di danaro sporco attraverso ristoranti di Chiaia. In quella indagine i carabinieri scattarono una foto di Antonio Lorusso ai bordi del campo in Napoli-Parma del 25 aprile 2010, finita 2-3, con movimento anomalo di scommesse nell’intervallo. Di questa vicenda si è occupato anche un altro pool, guidato dal procuratore Giovanni Melillo, con il pm anticamorra Antonello Ardituro. Il cambio di impresa avviene il 18 gennaio 2012. Meno di un mese dopo, il 14 febbraio, Aurelio De Laurentiis è ascoltato in procura per quattro ore. Parla di tutto, anche dello stadio e di Lavezzi, destinato al Paris Saint Germain.

De Laurentiis voleva risparmiare o era preoccupato: in qualche modo il nome del club attraverso il finto giardiniere era stato accostato ad un clan. Oggi Marrone spiega sereno: «Quel ragazzo è cresciuto a casa mia. Non so niente di lui, se non la sua passione per il Napoli. Tifoso come me. Mi ha implorato di farlo lavorare allo stadio. Un tifoso e niente di più».

Subentra un’altra impresa, quindi. “Sa.Ma.” di Salvatore Marrone, solo omonimo, sede a Trentola Dugenta in via Larga. Trova la migliore combinazione per i campi di calcio: “Lorium” e “Poa Pratensis”, usata anche a Palermo.

Ma il titolare di “Sa.Ma” sostiene che è ideale d’inverno, sopporta male il caldo umido. «Sono spuntati funghi che proliferano». Visto il campo malridotto il 19 agosto (Napoli-Olympiacos), Marrone interviene. Semina lunedì e martedì scorsi. «In una settimana è esploso il dramma, ma non c’erano segnali negativi». Spera nella pioggia. «È già cambiato dell’80 per cento». Ma è vero che lavora per molto meno, magari in cambio pubblicità? «Sono rapporti commerciali che restano segreti». Dalla Facoltà di Agraria, Luigi Frusciante, genetista con uno studio pubblicato sulla copertina di “Nature”, ammonisce. «Se ci sono funghi, bisogna sterilizzare subito il terreno. È malato. Si riproducono nel terreno, attaccano la pianta alla radice». Preoccupata la Federcalcio. Arriva un ispettore, un esperto, Giovanni Castelli. Oggi che riprende la semina.

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Roma, tutti sul carro di Zeman: "Maestro" da sempre, riscoperto a San Siro

ROMA - Avanti c'è posto, salite sul carro. Chi stima e apprezza Zeman – il tecnico prima ancora dell’uomo dai grandi valori sportivi - non può che compiacersi leggendo oggi i giornali italiani.I peana si sprecano. E per gli zemaniani della prima seconda e terza ora, quelli che c'erano prima del ‘98, nel periodo delle denunce, dell'oblio, e della risalita, tanti complimenti al "maestro" come è stato definito dal gotha della stampa, sono musica per le orecchie.

Certo fa un po' sorridere che lo sia diventato "solo" dopo una vittoria a Milano davanti a un allievo che comincia adesso (Stramaccioni), e a 65 anni compiuti, dopo essere stato colpevolmente e spesso volutamente dimenticato. Come se nella sua carriera (resa travagliata dal coraggio di esternare) non avesse divertito (oltre che denunciato), lanciato un'infinità di giocatori (oltre che attaccato un sistema sbagliato), fatto registrare sempre il miglior attacco (sempre superiore rispetto ai gol incassati), realizzato imprese da Foggia a Pescara (nettamente più eclatanti di qualche stagione negativa).

E fa sorridere che "maestro" lo sia diventato (o tornato ad essere, fate voi), dopo una prima di campionato - obiettivamente opaca rispetto ai canoni di Zemanlandia - in cui i detrattori erano già tornati alla carica.

“Lezione di Zeman all’Inter” “Zeman, saggio a San Siro”, “La recita del maestro, Zeman incanta San Siro”… Dal Corriere della Sera alla Stampa passando per i giornali sportivi, è un giusto florilegio di enfasi. Eppure solo domenica scorsa (alla prima di campionato!) già si dibatteva sulla giustezza o meno della scelta di affidare la panchina a un uomo “il cui calcio poteva forse brillare a Pescara, ma Roma è un’altra cosa”. E giù inchiostro per analizzare le scelte sbagliate, le idee strampalate (ma figurarsi Tachtsidis centrale al posto di De Rossi...) e il ruolo inappropriato per il suo alter ego in campo, Totti (che sta a Zeman come Mastroianni stava a Fellini). “Deve giocare 15 metri più avanti e 15 metri più dentro il campo, tra le linee”, aveva detto il boemo dopo il pari col Catania, aggiungendo “non gli è riuscito, ma è lì che deve giocare”. Stavolta a Totti è riuscito e chi sostiene che a San Siro il genio si sia ribellato allo schema, dice una inesattezza. Da quando è tornato a Trigoria infatti Zeman ha pensato e disegnato quel ruolo per Totti, in accordo con Totti. Già, Totti.

Dopo la partita col Catania era vecchio e inadatto a tal punto da far passare la cessione della quinta scelta dell’attacco (Bojan) un dramma nazionale, anzi locale perchè si è consumato solo a Roma. La realtà è che se il capitano ha una condizione fisica accettabile (e oggi sta molto bene), messo lì tra le linee della squadra avversaria è ancora il migliore in assoluto e non c’è Snejider, o similari, che gli si può neanche avvicinare. Così va il calcio…

E chissà che Moratti non si sia pentito ieri, vedendo il "maestro" mettere in riga l'allievo, di non aver mai fatto seguire alle parole i fatti assumendolo alla guida dell'Inter. Troppo tardi ormai, forse. Anche se mai dire mai, visto che Zeman col tempo pare migliorare proprio come il vino.

Salite, salite, sul carro di Zeman c’è posto. Alla prima sconfitta tanto chi c’è da sempre tornerà a stare largo. Per ora “il maestro del gioco d’attacco” (Repubblica) e “L’icona del calcio pulito” (striscione interista) si goda gli elogi. Li merita da più di 20 anni.

[il Messaggero]

Quasi scudetto per il boemo. Ci siamo.

Modificato da totojuve

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CRISTIANO RONALDO CR7

ANCHE I RICCHI

BELLI E FAMOSI

PIANGONO

Ha segnato 150 gol, sta con Irina e prende 9 milioni: «Ma sono triste e il club

sa perché». Il Real non capisce: gli manca il Psg, il Pallone d'oro o l'affetto?

Forse solo un aumento... E la Spagna, con 5 milioni di disoccupati, lo attacca

L’indiscrezione: «Domenica nello spogliatoio ha versato lacrime per 20 minuti»

Il rinnovo costerebbe il 52% di tasse al Madrid, rispetto al 24% attuale

di FILIPPO MARIA RICCI (EXTRATIME 04-09-2012)

Avvertenza. Oggi non parliamo solo di calcio. Psicologia, melodramma, umore e umorismo ci accompagneranno in questa escursione nei pensieri che turbano, agitano, muovono la testolina ingelatinata e imbronciata di Cristiano Ronaldo. Che domenica dopo la doppietta al Granada è venuto in zona mista a dire urbi et orbi di essere triste. Wow. Nonostante i 9 milioni di stipendio netti all'anno e i milionari contratti pubblicitari. Nonostante il successo e la fama mondiale. Nonostante la compagna che sedeva accanto a lui venerdì a Montecarlo, la supermodel russa Irina Shayk. Nonostante il mestiere, invidiato, e il club dove gioca, sognato.

Niente compassione

«Sono triste», ha detto. «Non ne può più», hanno scritto sulla prima pagina di Marca. «È depresso. Domenica ha pianto per 20 minuti in spogliatoio», hanno raccontato a Punto Pelota, la trasmissione più urlata della tv notturna spagnola. Roba che uno dovrebbe preoccuparsi, intenerirsi. E invece no. L'opinione pubblica spagnola non è stata mossa a compassione. Tacciato d'infantilismo su Marca, invitato da varie parti a riflettere sulle condizioni dei 5 milioni di spagnoli al momento disoccupati, criticato dai più per tempi e modi della sceneggiata, che sembra preparata ad arte. «Vuole andar via», hanno rivelato nella notte tra domenica e lunedì in un paio di programmi. Non sembra questo il punto, perché se davvero volesse andar via non avrebbe aspettato il 1° settembre per parlare con Florentino e il 2 per inscenare la rappresentazione (gol non festeggiati, broncio e inno alla tristezza in zona mista).

Mercato chiuso

Come i giochi. E infatti, tra il sorpreso e lo stupefatto, sabato Florentino ha chiamato Mendes, agente di Cristiano, di Mou e di mezzo Madrid, chiedendogli se sul suo tavolo fossero arrivate offerte. «No», ha detto il super procuratore. Dalla Catalogna hanno soffiato sulla polemica, citando Psg e Anzhi come possibili destinazioni perché i mercati di Francia e Russia sono ancora aperti. Da Parigi, Leonardo ha smentito: «Al Psg siamo contenti col mercato e Ronaldo è del Madrid. Non contattiamo giocatori di altri club». Al «presi» Ronaldo ha detto di non sentirsi amato, protetto, coccolato. Dai compagni, dal club, dal madridismo. Eppure neanche 100 giorni fa in un'intervista a Marca Cristiano parlò chiaro: «Voglio chiudere la mia carriera al Madrid. E non lo dico per dire, lo faccio guardandoti negli occhi». Poco più di tre mesi dopo, quegli occhi sono oscurati da un velo di tristezza.

Rassegna d'ipotesi

Da domenica nella Spagna calcistica non si fa che cercare moventi per le parole di Ronaldo. Un paio di autorevoli commentatori hanno detto che il nostro non si parla più con Marcelo, un tempo suo partner prescelto nei balletti post-gol, oggi ignorato dopo alcune dichiarazioni del brasiliano, che in estate ha elogiato Messi e indicato Casillas come meritorio del Pallone d'oro. Affronto. Marcelo ha ritrattato, non è bastato. In ogni caso, non pare sia motivo sufficiente per incupirsi. Al Madrid, Mou in primis, stanno facendo grande lobbying per il Pallone d'oro di Cristiano. Lo stesso Casillas sollevò il braccio di Ronaldo davanti alla moltitudine festante nel giorno della festa per la Liga. Il messaggio era chiaro: «Se abbiamo vinto questo campionato il merito è suo». Ancora: che si sia adombrato per le critiche di Mou alla squadra? Può essere, ma il tecnico ha sempre difeso il connazionale in questi 2 anni. Più che difeso, portato in palmo di mano. Che sia per il Premio Uefa a Iniesta? Alla domanda CR7 ha risposto chiaro: «No, quello è il meno. Ci sono altre cose. Il club lo sa». Abbiamo pensato all'amore: la storia con Irina viene data in crisi per un presunto flirt di Cristiano con la presentatrice portoghese Rita Pereira, che alla mamma di Ronaldo piace molto più della russa. Siamo fuori strada: «Non sono problemi personali, si tratta di questioni professionali», ha detto CR. E allora? Cosa muove Cristiano?

Cherchez l'argent

L'attenzione quasi obbligatoriamente volge al dinero. Quando arrivò a Madrid nel luglio '09, pagato 96 milioni di euro e presentato alla folla adorante che aveva riempito il Bernabeu aperto per l'occasione, Cristiano firmò un contratto da 6 stagioni da 9 milioni euro netti all'anno. Più i premi. Oggi che siamo a metà dell'accordo quella cifra monstre è stata in qualche modo ridimensionata. Perché Kakà, uno che domenica ha dichiarato di essere contento se Mou lo porta in panchina, guadagna esattamente come il giocatore che ha fatto 150 gol in 149 partite col Madrid (e 46 solo nell'ultima Liga). Perché il piccolo enorme rivale, Leo Messi, è già in doppia cifra da un po'. Perché con i suoi frequenti mal di pancia, altro che tristezza, Zlatan Ibrahimovic firma contratti che fanno impallidire quello di Ronaldo (nonostante in Francia si minaccino tasse al 75% e il Madrid per il suo portoghese versi solo il 24%). Perché con questi nuovi ricchi che ci sono nel calcio uno come Eto'o, in fase di prepensionamento, guadagna il doppio di lui. Sembra impossibile che il Madrid possa perdere il suo simbolo, però mettere mano al contratto di Ronaldo a Florentino costerà carissimo: bisogna aumentare lo stipendio e pagarci sopra il 52% di tasse, perché con un nuovo accordo si perderebbero i benefici garantiti dalla cosiddetta «Legge Beckham» (in vigore solo per i vecchi contratti). Ieri Ronaldo era atteso in Portogallo a un omaggio per il suo scopritore. Non si è presentato, adducendo problemi di agenda, ed è andato al ritiro della nazionale. Il Madrid tace (e riflette, tra il costernato, il sorpreso, lo scioccato e lo scocciato). Mourinho non tornerà in sala stampa fino a venerdì 14. Un sacco di tempo per ragionare sulla tristezza del campione.

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Decatrends di ALESSANDRO DE CALÒ (ETRATIME 04-09-2012)

MAL DI PANCIA E DI TESTA

I DOLORI DI UN CRISTIANO

Forse il Real si trova davanti all'annuncio di una resa dei conti nello spogliatoio...

È facile adesso pensare al famoso mal di pancia di Ibrahimovic. È roba vecchia di anni — quella — e di tre squadre fa, in mezzo ci sono il Barça, il Milan e il Psg. Una cosa è sicura: nel suo perpetuo girovagare di squadra in squadra, lo svedese di origine bosniaca, ha visto lievitare lo stipendio tappa dopo tappa. Da tempo Ibra guadagna più soldi di Cristiano Ronaldo (12 milioni contro 9), anche se il portoghese lo guarda dall'alto in basso nella classifica mondiale dei top player. Qualcosa non torna.

Ronaldo guadagna meno di Messi, Eto'o, Drogba e — anche se ha segnato 150 gol in 149 partite giocate con i blancos — prende più o meno gli stessi soldi di Kakà, che buona parte di questi match li ha seguiti dalla tribuna o dalla panca. Nelle sei stagioni allo United, Alex Ferguson gli aveva ritoccato lo stipendio per quattro volte, fino a fissare la clausola di rescissione a 96 milioni, su pressione di Ramon Calderon, all'epoca presidente merengue. Florentino Perez ha ereditato l'acquisto più caro di sempre, metabolizzandolo come una cambiale da pagare.

È scontato che nella tristezza del portoghese, motivata con ragioni professionali, ci sia la voglia di battere cassa. Ma la questione economica non è asettica, non resta separata dal groviglio di questioni impigliate nel non facile rapporto tra Cristiano e il Madrid. Ronaldo è un personaggio ingombrante, ossessionato dall'ansia di migliorare e di imporsi come numero uno al mondo. In Spagna, tutti i giorni, si trova di fronte lo spettro di Messi; il carattere e il modo di fare non lo aiutano a inseguire il rivale sul piano della seduzione e dell'empatia.

Sappiamo che nello spogliatoio del Bernabeu ci sono rapporti difficili tra il clan portoghese e il nucleo storico spagnolo. Ronaldo e Pepe di qua — con la sponda di Mourinho — Casillas e Ramos di là, con gli altri. Non dovremmo stupirci troppo se la pubblicizzata «tristezza» fosse anche l'annuncio di una resa dei conti finale: un gioco della torre destinato a cambiare presto il profilo di questo Real Madrid.

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Calcioscommesse La Figc nomina il suo arbitro: a giorni la sentenza

Conte: tutto pronto per l’ultimo verdetto

di PAOLO FRANCI (Quotidiano Sportivo 04-09-2012)

Il bersaglio grosso degli avvocati della Juve è il proscioglimento di Conte davanti al Tnas. Un obiettivo difficilissimo, e accarezzato con prudente realismo. Il bersaglio più alla portata è senza dubbio il forte sconto sui 10 mesi comminati dalla Disciplinare — l’obiettivo è tre mesi, cancellando l’aggravante dell’omessa denuncia — e confermati in secondo grado. Caduta l’accusa per Novara-Siena, il trio di legali Bongiorno, Chiappero, De Rensis punterà in prima battuta a far cadere le accuse anche per la partita con l’Albinoleffe con due mosse. Scardinare il capitolo Mastronunzio (secondo Palazzi messo fuori squadra in quella gara perchè riottoso alla combine) esibendo documenti (era infortunato, i certificati sono allegati al ricorso) che provano l’infondatezza dell’accusa. Attaccare il «non poteva non sapere» legato alle azioni illecite di Stellini basato, secondo la difesa, soltanto su congetture, che non sono state applicate con il secondo di Mondonico all’Albinoleffe, Poloni. La Figc entro domani dovrà nominare il suo arbitro. La Juve lo ha già fatto: è Guido Calvi membro togato del Csm.

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Conte: ecco perché il Tnas può (e deve) accogliere il suo ricorso

Perché il ct della Juve è arrivato fino all’arbitrato? E, soprattutto, quali sono le reali possibilità di ottenere uno sconto dalla squalifica? Lo abbiamo chiesto ad Antonio Corsa, una delle voci più autorevoli del Web bianconero

di LATERZA STELLA (PANORAMA.IT 04-09-2012)

Non ce ne voglia Massimo Carrera, che porta bene, anzi benissimo (tre vittorie in altrettante gare ufficiali), ma sulla panchina della Juve vorremmo rivedere al più presto Antonio Conte, il mister dello scudetto e – soprattutto – della rinascita bianconera. Il dubbio ci attanaglia ormai da parecchi giorni: dovremo davvero aspettare i 10 mesi sanciti dalla giustizia sportiva (il che equivale a rivedere il tecnico salentino in campo il prossimo anno) o c’è qualche possibilità di ottenere uno sconto dal Tnas? Lo abbiamo chiesto ad Antonio Corsa, una di quelle fonti che ogni buon tifoso juventino dovrebbe consultare per capirne di più sulle intricate vicende calcistiche ed extra-calcistiche della propria squadra.

1. La prima domanda è d’obbligo: perché Antonio Conte è stato condannato a 10 mesi di squalifica? Noi, a dire il vero, non l’abbiamo ancora capito.

L'accusa nei suoi confronti è di aver omesso di denunciare un illecito del quale sarebbe venuto a conoscenza e riguardante la partita Albinoleffe-Siena del 29 maggio 2011.

2. Ok, ci puoi spiegare allora quali sono le differenze tra la sentenza di primo e di secondo grado?

In primo grado è stato condannato, oltre che per la citata omessa denuncia, anche per un'altra della quale si sarebbe reso protagonista con riferimento della partita Novara-Siena del 1 maggio 2011. I giudici della Corte di Giustizia Federale, però, lo hanno prosciolto in appello evidenemente non ritenendo attendibile il suo accusatore Carobbio.

3. Leggendo le motivazioni delle due sentenze appaiono, evidenti, alcune incongruenze. Quali sono le più rilevanti secondo te?

Una su tutte: per entrambe le partite, Carobbio accusa in realtà Conte di aver commesso lui stesso un illecito, poiché quanto descritto a proposito della famosa riunione tecnica in realtà è un illecito sparato. Invece succede che, come visto, l'ex tecnico del Siena viene deferito "solo" per una doppia omessa denuncia. Questo esemplifica, credo più di tutto, cosa siano diventati i processi sportivi oggi in Italia, ovvero un misto tra decisioni politiche, mediazioni, accordi, derubricazioni, patteggiamenti accettati, patteggiamenti rifiutati (non solo a Conte). Con i pentiti che vengono usati, più che creduti.

4. Un punto su cui molti tifosi si continuano a interrogare è: perché ad Antonio Conte viene imputata l’omessa denuncia e a tutti gli altri presenti alla riunione tecnica no? Ce lo sai spiegare?

Ce l'ha spiegato Palazzi stesso, in realtà: perché, dice, se li avesse incolpati, i giocatori avrebbero potuto difendersi sostenendo che in quel preciso istante fossero altrove, chessò magari al bagno. Conte e il suo staff, invece, siccome avevano un discorso da fare e una partita da preparare, non avrebbero potuto fare altrettanto. Lo so, non è convincente, ma questo è.

5. La partita per cui Antonio Conte è stato condannato in secondo grado è AlbinoLeffe-Siena, quindi. Per la stessa partita – in teoria - anche ad Emiliano Mondonico, ai tempi allenatore dell’AlbinoLeffe, avrebbe dovuto essere imputata l’omessa denuncia…

Questa è una delle incongruenze più inspiegabili (ma sono veramente tante che si potrebbe scrivere un libro). In tutti questi casi si parla di risultato aggiustato tra le due squadre, ma a saperlo pare fosse solo lo staff tecnico del Siena e 2-3 calciatori dell'altra squadra. Come se questi 2-3 si immolassero per la causa della propria squadra rischiando la carriera per fare un favore alla società, senza che questa ne sapesse niente. Sono concetti talmente banali che pare incredibile come l'accusa possa reggere nonostante tutto. Per Albinoleffe-Siena, visto che l'avete citata, Conte si dice non potesse non sapere della combine perché ad organizzarla fu il suo collaboratore tecnico Stellini. Peccato che la stessa procura dice che quell'accordo Stellini lo perfezionò anche, tra gli altri, con Poloni dell'Albinoleffe, vice di Mondonico. Cosa cambia?

6. Si sente spesso dire che la giustizia sportiva debba decidere in tempi brevissimi per garantire la regolarità dei campionati. Ma secondo questo principio non era meglio giudicare prima le società, che rischiano pesanti penalizzazioni o addirittura retrocessioni, piuttosto che i singoli tesserati?

La realtà è che la giustizia sportiva, così come ha deciso di organizzarsi, vìola palesemente diritti costituzionali fondamentali. Non è questione di fretta: è che alcuni deferiti hanno avuto 2 giorni (due!) per raccogliere tutti i dvd contenenti il materiale accusatorio e preparare la difesa in primo grado e 3-4 (con un ferragosto di mezzo) per fare lo stesso in appello. Dovendosi recare pure personalmente a Roma per ritirare il tutto. Trovo sia persino poco interessante il motivo, ma tutto ciò non può esistere, a prescindere. Si trovino altre soluzioni, perché così è follia.

7. Parliamo ancora dei tesserati: perché si è deciso di giudicare prima il caso di Conte e dopo quello di altri, alcuni dei quali hanno avuto sanzioni penali anche dure (carcerazione preventiva). E soprattutto in vista della Supercoppa di Pechino non sarebbe stato il caso di garantire omogeneità di tempistiche nel giudicare i tesserati di Juve e Napoli?

In generale, questo è quanto accade quando ci si affida ad indagini penali ancora in corso. Giustamente, le varie procure hanno i loro tempi e, a differenza di Palazzi, non hanno l'esigenza di far partire i campionati. Capita perciò che un'indagine arrivi prima di altre a poter essere "consegnata" alla procura sportiva, che altre restino secretate e che altre ancora richiedano tempi assai più lunghi. Questo è il problema di sempre della giustizia sportiva. Ed è probabilmente giunta l'ora che si trovi una soluzione.

8. Ci spieghi brevemente qual è la posizione di Alessio?

È ancora in attesa delle motivazioni della Corte di Giustizia Federale. Francamente non si capisce molto. È stato condannato per omessa denuncia per Novara-Siena (ma non è chiaro da chi avrebbe dovuto apprendere l'illecito, visto che in primo grado i giudici hanno detto che lo fece da Conte, nella famosa riunione tecnica) e per Albinoleffe-Siena. E ha ricevuto uno sconto, come dal macellaio. Questo è quanto si sa al momento. Il fatto paradossale di tutta questa vicenda poi è come non sia mai stato nemmeno interrogato dalla procura sportiva. Come se non meritasse neanche che qualcuno facesse finta di ascoltare la sua versione dei fatti. Paradossale.

9. E quella di Stellini? E’ vero che ha chiamato in causa direttamente Conte?

No, è una bugia. Si è assunto in toto le responsabilità affermando di aver agito di sua iniziativa.

10. Per finire: i legali di Conte al TNAS presenteranno nuove prove o nuove tesi difensive?

Hanno chiesto le registrazioni degli interventi in televisione del calciatore Mastronunzio, il quale ha di fatto sconfessato le motivazioni relative al fatto che, oltre che per il citato "non poteva non sapere" causa illecito compiuto dal collaboratore Stellini, i giudici abbiano creduto alla ricostruzione (arricchita nel tempo) di Carobbio, secondo la quale il citato giocatore si sarebbe rifiutato di partecipare alla combine (perché voleva se ne organizzasse una anche con l'Ascoli) e Conte, per vendetta, lo avrebbe messo fuori rosa per il resto della stagione. Mastronunzio in tv ha spiegato di essersi infortunato (come da referti medici e comunicazioni nel sito ufficiale del Siena) e di non aver mai avuto alcun tipo di problema con l'allenatore, che anzi in verità già da 2-3 mesi lo faceva giocare col contagocce. Questo, se vogliamo, è il secondo pezzettino del puzzle che verrà usato per chiedere il proscioglimento di Conte.

Modificato da Ghost Dog

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