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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Squalifica decennale per Sammut

Il calciatore maltese Kevin Sammut dovrà scontare dieci anni di

squalifica per aver infranto i principi UEFA di lealtà e integrità sportiva.

di UEFA NEWS | Pubblicato: Lunedì, 20 agosto 2012, 17.07CET

Il calciatore maltese Kevin Sammut è stato squalificato per dieci anni dalla Commissione Disciplinare e di Controllo UEFA per aver infranto i principi di integrità e lealtà sportiva descritti nell'Articolo 5 del Regolamento Disciplinare UEFA (tentativo di manipolare il risultato di una partita).

La gara in questione è la sfida del Gruppo C di qualificazione ai Campionati Europei UEFA tra Norvegia e Malta (4-0) disputatasi a Oslo il 2 giugno 2007.

In merito ai calciatori maltesi Kenneth Scicluna e Stephen Wellman, l'ispettore disciplinare non ha raccolto evidenze tali da motivare alcun tipo di sanzione.

Sarà inoltrata una richiesta alla FIFA per estendere la squalifica a livello mondiale.

Sarà possibile ricorrere in appelo entro tre giorni dal rivevimento delle motivazioni della sentenza.

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Malta Player to Appeal 10-year Ban for Match-fixing

by MARK BISSON (World Football INSIDER 20-08-2012)

(WFI) Malta international Kevin Sammut says he will appeal the 10-year UEFA ban for fixing a Euro 2008 qualifying match.

The Malta FA confirmed the ban for football corruption today.

The Valletta FC player was accused of rigging Malta's 4-0 loss away to Norway in June 2007 by members of a Croatian betting syndicate who stood trial for match-fixing in Germany last year.

Two other players embroiled in the scandal, Kenneth Scicluna and Stephen Wellman, were acquitted due to lack of evidence.

FIFA will be requested to extend this ban worldwide.

The man dubbed 'Il-Viper' claimed he was not granted a fair trial, with his lawyers saying that some of their witnesses were not allowed to present evidence at the court hearing held at UEFA’s Nyon headquarters on Friday.

They said that the leader of the Croatian gang, Marijo Cvrtak, was an unreliable witness.

Sammut pleaded his innocence at a press conference on Sunday.

"I love football and I do not want to carry this ban for the rest of my life. I thank my lawyers and friends for supporting me during this difficult time,” he was quoted by Malta Today, adding: "There is nothing I can uncover. I do not know anything about this whole case."

The 31-year-old can take his case to UEFA's appeals panel and, if that challenge fails, to the Court of Arbitration for Sport.

The Malta FA had spent three months investigating the allegations made by Cvrtak and the Croatian betting gang before handing over a 600-page dossier to UEFA in March.

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Ho fatto un solo errore

LA VERITÀ DI CONTE

«Sbagliato voler patteggiare

perché io sono innocente

Al macello senza riscontri»

La Juventus è partita col piede giusto, sono contento degli acquisti. Ora completiamo la rosa Champions? Ci siamo

Mazzarri si è lamentato per la Supercoppa? Ognuno la vede a modo suo. Zeman? Aspetto il verdetto del campo

«L’accusa di Carobbio è insensata: sarei stato così fesso da rendermi ricattabile da 25 persone? Mai avuto sentore di possibili combine: non sono amico dei giocatori. Mi sono arrabbiato molto con Stellini, mi ha danneggiato. Le regole sportive non rispettano le difese e tutelano troppo i pentiti»

di FRANCESCO CENITI (GaSport 21-08-2012)

«C'è una cosa che non rifarei se potessi tornare indietro: accettare controvoglia il patteggiamento. Non si patteggia l'innocenza anche se gli avvocati ti consigliano di farlo perché è un'opportunità e i rischi del dibattimento sono alti. E' stato un errore. Certo, non avrei ammesso nulla, ma si sarebbe percepita una cosa diversa. Ecco, anche se oggi avessi la certezza dei tre mesi di stop, la mia risposta sarebbe no. Su un fatto concordo con i giudici: 90 giorni non erano una pena congrua. Quella giusta è zero: non ho commesso nè illeciti, nè omesse denunce». Nel cuore di Roma, nel cuore di Antonio Conte. Gli occhi del tecnico juventino sono gonfi di rabbia dopo mesi passati a studiare gli atti processuali. Ieri ha fatto di più: si è seduto in una panchina particolare, davanti ai giudici che decideranno sul suo futuro. E' rimasto in silenzio ad ascoltare, poi si è confidato. Tra Piazza di Spagna e Navona c'è il «salotto» di San Lorenzo in Lucina, dove si trova il regno di Giulia Bongiorno. Poco distante abita Giulio Andreotti, il suo più illustre cliente. Dal senatore a vita all'uomo che ha riportato la Juve sul tetto d'Italia, alle prese con un avversario inaspettato: la condanna in primo grado. Un fatto insopportabile per l'allenatore. Ecco perché ha scelto d'ingaggiarla, affiancandola all'altro legale di fiducia Antonio De Rensis e a Luigi Chiappero. Conte racconta, spiega e motiva le sue ragioni. Usa parole accorate e risponde alle domande più scomode. «In molti non conoscono i fatti. Spero che dopo questa intervista anche al mio peggior nemico vengano dei dubbi».

Ha fiducia nei giudici che dovranno valutare il ricorso?

«Sì, sono convinto che leggeranno le carte con attenzione evitando, con il proscioglimento, un'ingiustizia. Ho la coscienza a posto, non penso possa dire lo stesso chi ha gettato fango su di me. Sbaglio o parliamo di un ex giocatore che ha ammesso di aver truccato partite per anni? Per carità, il fenomeno del calcioscommesse va stroncato. Ma non si può squalificare una persona in questo modo, senza nessun riscontro. Chiunque può alzarsi, puntare il dito su qualcuno e mandarlo al macello. Dei giudici ho fiducia, del sistema meno».

Ci spieghi meglio.

«Un passaggio è fondamentale: se per assurdo avessi ammazzato delle persone, il tifoso juventino sarebbe lo stesso pronto a difendermi. Per gli altri accade il contrario. Ma questa storia va al di sopra delle fazioni. Voglio che la gente sappia che una cosa così può capitare a chiunque. Per questo quando le Procure avranno finito le indagini, penso che la Federcalcio debba chiedersi se le regole attuali del processo sportivo siano rispettose della difesa di un tesserato e delle società quotate in Borsa. Credo si possa coniugare la lotta alle combine con un dibattimento meno sommario: vi sembra normale quello dove i difensori non hanno la possibilità almeno di controinterrogare un pentito considerato credibile anche quando si contraddice in modo evidente? I collaboratori sono tutelati in modo spropositato».

Si ricorda che cosa ha provato quando per la prima volta ha sentito il suo nome associato al calcioscommesse?

«Quasi mi mettevo a ridere. L'avevo presa alla leggera. Tutto cambiò con la perquisizione».

Arrivata poche settimane dopo lo scudetto vinto. In una conferenza stampa aveva usato parole dure contro la Procura di Cremona. A distanza di quasi tre mesi che cosa si sente di dire?

«Solo io so il dolore che ho provato quel giorno. Non ero in casa, ma c'erano mia figlia piccola e sua nonna. Sa che cosa ha detto un poliziotto a mia suocera che domandava perché? Lo chieda a suo genero il perché. Ha detto così, in modo quasi sprezzante. Ecco, non avendo fatto nulla non potrò mai dare una risposta a mia suocera. Gli avvocati mi hanno spiegato che quello era un atto dovuto, ma questo non lenisce una ferita che resterà aperta per tutta la vita».

Alla Ġazzetta il pm di Martino ha detto che la sua posizione (indagato per associazione per delinquere) dovrebbe essere archiviata. E che la credibilità di un pentito va valutata caso per caso. Crede che la giustizia sportiva lo abbia fatto?

«Non avendo trovati riscontri alle accuse, la logica imporrebbe un proscioglimento. E la giustizia deve avere una logica. La storia insegna che i nomi eccellenti alzano il valore della collaborazione e magari permettono patteggiamenti stracciati a chi accusa».

Lei si dichiara innocente. Perché la gente dovrebbe crederle? Perché Carobbio avrebbe deciso d'inventarsi le accuse per le gare con Novara e AlbinoLeffe? Gli aveva negato un permesso per assistere alla nascita della figlia: basta a spiegare tutto?

«Anche qui fatico a trovare una risposta. Certo, tornassi indietro valuterei con più attenzione quella richiesta. Il parto è un momento importante nella vita di una coppia».

Secondo Carobbio lei avrebbe annunciato il pari combinato durante la riunione tecnica, davanti a tutta la squadra...

«Accusa insensata: sarei stato così fesso da rendermi ridicolo e ricattabile da 25 giocatori? Lo stesso Carobbio fa riferimento al mio discorso: intenso e carico di motivazioni. E dopo averli spronati per lui avrei concluso dicendo "comunque pareggiamo"? Ma che senso ha?».

Gli altri compagni, con testimonianza giurata, hanno smentito questa versione, ma il deferimento per omessa denuncia è arrivato solo allo staff tecnico. Per i legali scelta poco comprensibile.

«Io vado oltre: è impossibile da capire».

Gervasoni, altro pentito, sostiene che la gara col Novara è stata combinata da alcuni giocatori prima dell'inizio. Carobbio dà la stessa versione per due volte a Cremona, poi davanti a Palazzi cambia e l'accusa. E' una delle incongruenze su cui insiste la sua difesa.

«Mi faccia spiegare l'importanza del fatto: due pentiti ritenuti credibili raccontano cose diverse su Novara-Siena. Non avendo altri riscontri, una versione annulla l'altra. E poi Carobbio ha continuato a cambiare le sue dichiarazioni in modo camaleontico, altro che arricchimenti come li ha definiti Palazzi. L'ultimo aggiustamento è arrivato, guarda caso, tre giorni prima della mia audizione. Carobbio in realtà non è un vero collaboratore, ma un soggetto che si sta difendendo. Se vuole posso fare degli esempi».

Prego.

«Dice a Palazzi di aver interrotto i rapporti con gli slavi perché a Siena non voleva combinare le partite e invece si sentiva con loro, anche prima delle gare, con una scheda taroccata. Il suo filo conduttore è chiaro: cercare di spostare l'attenzione su altri. Senza dimenticare che faceva da tramite anche sul fronte Bari».

Resta il fatto che per la Procura di Cremona ci sono 8 partite sospette del Siena da lei allenato. Non ha mai avuto nessun dubbio?

«Non solo non ho avuto sentore, ma faccio presente una cosa. Bisogna capire quello che è il mio rapporto con squadra e collaboratori: non sono amico dei giocatori, i ruoli sono ben separati. C'è sempre stato un timore reverenziale nei miei confronti. E' un rapporto intenso, ma funzionale a un obiettivo. Fuori dal campo ognuno ha la propria vita. Ecco perché quel tipo di notizia non poteva mai arrivarmi e così sarà per il futuro. Se qualcosa è avvenuto, è successo alle mie spalle».

La combine con l'AlbinoLeffe coinvolge il suo ex collaboratore Stellini: ha patteggiato la squalifica, ammettendo di aver chiesto a Carobbio di contattare gli avversari. Per la giustizia sportiva lei non poteva non sapere...

«Sono rimasto allibito dinnanzi a questa motivazione: non dimostra nulla. E' proprio la separazione dei ruoli a spiegare le cose. Stellini mi ha tenuto all'oscuro perché sapeva bene quale sarebbe stata la mia reazione. E' vero, ho un carattere difficile. Per una volta dovrebbe essermi d'aiuto. E invece...».

E' rimasto deluso da quello che ha fatto Stellini?

«Mi sono arrabbiato molto con Cristian. Mi spiace averlo perso come assistente. Sta vivendo un momento difficile: dando le dimissioni ha dimostrato senso di responsabilità. Dal punto di vista umano l'affetto resta, è chiaro che i suoi comportamenti mi hanno messo in difficoltà e danneggiato».

Palazzi le contesta altri due passaggi: avrebbe messo fuori rosa Mastronunzio perché si sarebbe rifiutato di «dare» la vittoria all'AlbinoLeffe; Carobbio racconta che lei avrebbe lasciato ai giocatori la scelta se fare o non fare quella combine.

«Mastronunzio non era più titolare da marzo per scelta tecnica e poi nelle ultime gare non potevo utilizzarlo perché si era fatto male. Quanto alla seconda accusa, cade tutto a monte: dei movimenti tra Stellini e Carobbio non sapevo nulla. Di cosa dovevo discutere?».

A proposito di Stellini: dalla Procura di Bari emergono particolari inquietanti anche nel periodo in cui lei allenava lì. E' tranquillo?

«Certo. Queste notizie le ho apprese dai giornali, nessuna comunicazione dai giudici».

Le indagini di Cremona, Bari e Napoli hanno portato alla luce un calcio malato. Il gip Salvini ha puntato il dito sui giocatori: mentalità sbagliata e consuetudine di «regalare» partite, specie a fine stagione, sono terreno fertile per gli illeciti.

«A obiettivi raggiunti, un rilassamento è naturale. Ma questo non vuol dire permettere a dei criminali di rovinare il calcio».

Quindi «meglio due feriti di un morto» è un'uscita infelice?

«Se la frase è riferita a una situazione sportiva, dove ognuna delle squadre in modo autonomo e tacito cerca e trova un risultato gradito, ci può stare. Se invece la intendiamo come una pianificazione del risultato, è inaccettabile».

Parentesi calcistica. Da Juve campione a sorpresa a squadra favorita: Supercoppa e Trofeo Berlusconi sono un buon inizio...

«Siamo partiti col piede giusto. Vincere aumenta la consapevolezza e arricchisce la bacheca. Il triangolino sulla maglia ci responsabilizza, ma è il ruolo naturale della Juve. La Champions? Puntiamo a essere competitivi su ogni fronte».

Contento della campagna acquisti?

«Per ora, sì. Abbiamo fatto quello che avevamo programmato. Ora c'è da completare la rosa. Chi scelgo tra Llorente e Dzeko? C'è sintonia con Marotta. Il top player non deve essere solo per il costo. Qualcuno arriverà».

Il Milan senza Ibra e Thiago Silva sembra indebolito, l'Inter non ha fatto follie sul mercato, la Roma potrebbe perdere De Rossi.

«In un momento di crisi economica, noi tecnici abbiamo una grande opportunità: dimostrare che le idee e l'organizzazione di gioco possono colmare il gap, soprattutto con le straniere».

Mazzarri afferma che un intenditore di calcio non potrebbe mai considerare meritata la vittoria della Juve a Pechino?

«Ognuno vede le cose a modo suo. Sento dire anche che la Juve attuale si è ispirata a Mazzarri. Si possono copiare i numeri, ma di sicuro è molto diversa la mentalità, il modo di affrontare la gara, la voglia di essere propositivi, i principi di gioco. Devo continuare?».

Aveva dato il bentornato a Zeman in A. Ha cambiato idea...

«No, lo aspetto. Vedrò il verdetto del campo».

L'Italia è arrivata a una insperata finale nell'Europeo: per molti il merito è anche suo e dalla mentalità inculcata ai giocatori.

«Prandelli penso abbia fatto bene ad affidarsi a un blocco che aveva fatto cose ottime in campionato, basandosi su una precisa cultura del lavoro. Poi il c.t. ci ha messo del suo. Mi è piaciuto vedere una Nazionale propositiva. La Spagna, però, resta il modello da seguire».

Si è parlato di sue possibili dimissioni e divisioni nel club...

«Nella tristezza della vicenda il grande aspetto positivo è che tutti all'interno della società mi sono stati vicini umanamente, supportandomi in ogni momento. Mai pensato a dimettermi e neanche John Elkann, il presidente Agnelli e il direttore Marotta hanno mai preso in considerazione questa ipotesi».

Sabato inizia il campionato della Juve... E il suo?

«Ribadisco l'ennesima fiducia nei giudici, la mia presenza in aula era proprio un segnale di rispetto verso di loro. Ho annusato l'aria di questo processo, ho ascoltato i miei avvocati e la controreplica di Palazzi. Da quello che ho sentito sono molto sereno e fiducioso: contro il Parma conto di ritornare in panchina».

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Calcioscommesse Al via il secondo grado, Palazzi conferma le accuse. Domani o dopo la sentenza

Conte in appello si gioca la stagione

La Bongiorno «smonta» Carobbio

La difesa: «Il pentito non è attendibile, punta solo a scagionarsi»

Botta e risposta Per il legale del tecnico «Carobbio non è Dio». Il procuratore federale: «È una fonte attendibile»

di ANDREA ARZILLI (CorSera 21-08-2012)

ROMA — Trasformato. Non il verdetto su Conte, perlomeno non ancora. Per quello la partita in secondo grado è aperta, tra l'assoluzione e la conferma dei 10 mesi arrivati dalla Disciplinare potrebbe spuntare la via del compromesso, un ritocco di un paio di mesi quasi a lanciare il terzo grado, il ricorso al Tnas.

Piuttosto era proprio il tecnico della Juve che non sembrava lui, ieri davanti ai giudici della Corte di Giustizia federale. In cerca del proscioglimento, o almeno di uno sconto, dall'accusa di doppia omessa denuncia piombatagli addosso in primo grado, c'era un Conte diverso rispetto all'indemoniato che urla a bordo campo e finisce partita e voce allo stesso tempo. Sei ore di silenzio, di fiato sospeso, di giacca abbottonata e colletto aggiustato, solo qualche bisbiglio sporadico per avere spiegazioni dai legali, Giulia Bongiorno e Antonio De Rensis, e grande attenzione alla forma da mantenere davanti alla corte che domani o giovedì emetterà le nuove sentenze. Unica deroga al labiale alla fine della controreplica con cui il procuratore Palazzi ha tentato di smontare uno a uno i pezzi della difesa di Conte, un «ma di che stiamo parlando» pronunciato a mani giunte che ha inevitabilmente tradito una certa delusione per un dibattimento che la premiata ditta De Rensis-Bongiorno sembrava aver portato dalla sua parte.

Nel giro di arringhe, i legali di Conte hanno tentato di insinuare il dubbio su Carobbio e sulla sua credibilità. Una marcatura a uomo sul pentito, analizzato in ogni singola dichiarazione, in ogni resoconto, in ogni traccia lasciata nelle varie Procure, sportive e ordinarie. Il tutto per scovare le contraddizioni che renderebbero, secondo il pool della Juve, meno assoluta l'attendibilità di Carobbio, pentito «uno e trino», come l'ha definito la Bongiorno nel rimproverare a Palazzi una sorta di divinizzazione della sua principale fonte investigativa.

Un'affidabilità talmente di ferro da permettere al pentito di essere riscontro di se stesso: «Su Novara-Siena il riscontro è AlbinoLeffe-Siena e viceversa — le parole dell'avvocato Bongiorno —, è un effetto ping-pong che la Cassazione non ammette. In questo modo si vuole solo eludere qualsiasi riscontro».

I motivi che avrebbero spinto Carobbio a parlare di Conte sarebbero palesi. La Bongiorno cita il Gip di Cremona, Guido Salvini, un esperto di pentiti e pentitismo «visto che ha scritto libri e leggi sul tema», che di Carobbio ha detto: «Miscela verità e menzogna per alleggerire la sua posizione». La tesi della difesa è chiara: Carobbio ha una strategia, sbiadire il suo ruolo per salvare la pelle davanti alla Giustizia ordinaria derubricando il proprio reato in ambito sportivo da associazione a frode da spogliatoio. Il che gli consentirebbe di passare dal reato di associazione a delinquere transnazionale, alla semplice frode sportiva. «Chiamare in causa Conte significa spostare l'attenzione su accordi di spogliatoio alla base di combine o presunte tali — ha detto la Bongiorno —, e prendere le distanze dall'associazione a delinquere». Secondo i difensori, le dichiarazioni su Conte avrebbero questo obiettivo e per questo il pentito sarebbe andato incontro a «contraddizioni agghiaccianti», come detto da De Rensis. Che non esistono per Palazzi, ovviamente. Tutto fila, «non è vero che il Gip di Cremona consideri il pentito non credibile — la controreplica del procuratore —, ma anzi esistono elementi (le ammissioni di Stellini, ndr) che danno forza alle sue parole». Ieri non solo Conte, comunque. Hanno arringato i legali di altri 13 tesserati, le parole più forti sono state del presidente del Grosseto, Piero Camilli: «Sono presidente da 20 anni, ho un carattere duro, ma mai stato sfiorato da nulla. Ho avuto la sfortuna di avere scelto un direttore sportivo (Andrea Iaconi, ndr) che ha portato 6 criminali».

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La grande truffa

Scommessopoli/2, Bari nella bufera

Venticinque indagati, anche Kutuzov

Sotto torchio Ieri sono stati interrogati l’attaccante Kutuzov e il difensore Bonomi

di VINCENZO DAMIANI (Corriere del Mezzogiorno - Bari 21-08-2012)

BARI — Venticinque giocatori indagati per frode sportiva e un unico comune denominatore: hanno indossato, in campionati diversi dal 2007 ad oggi, la maglia del Bari.

Con gli ultimi due interrogatori di ieri mattina, nel capoluogo pugliese è stato stabilito un record, seppur poco invidiabile. In pratica un'intera formazione, comprese le riserve, sono al momento sotto indagine per la presunta compravendita di partite di calcio. Ieri nella caserma dei carabinieri sono stati ascoltati l'attaccante Vitaly Kutuzov - che con Vitor Barreto ha composto la coppia offensiva del Bari delle meraviglie che vinse il campionato di serie B nel 2009 - e il terzino sinistro Simone Bonomi. L'inchiesta sul calcio scommesse condotta dalla Procura di Bari è come un fiume in piena, ogni giorno, ormai, ci sono interrogatori e nomi nuovi che finiscono nel registro degli indagati dei pm Ciro Angelillis e Giuseppe Dentamaro. E l'indagine non è ancora terminata, nelle prossime ore saranno convocati dagli inquirenti altri protagonisti degli ultimi campionati in biancorosso.

L'inchiesta bis sul calcio marcio ruota attorno a due partite in particolare: Salernitana-Bari (3 a 2) del 2009 e Bari-Treviso dell'11 maggio 2008, terminata 0 a 1 per gli ospiti. I baresi, all'epoca guidati da Antonio Conte, non avevano più nulla da chiedere alla loro stagione, mentre sia al Treviso che alla Salernitana serviva una vittoria per evitare la retrocessione in Lega Pro (la vecchia serie C). Per i pm Ciro Angelillis e Giuseppe Dentamaro quelle sfide furono truccate, Treviso e la squadra campana avrebbe «comprato» i tre punti pagando lautamente alcuni calciatori del Bari. A rivelare le presunte combine agli inquirenti sono stati gli ex Andrea Masiello e Vittorio Micolucci. «In riferimento alle partite del Bari - scrive Micolucci in una memoria consegnata qualche settimana fa al procuratore federale, Stefano Palazzi - le posso dire che l'anno prima della promozione in serie A il Bari regalò la partita al Treviso. Le voci dicono che presero dei soldi perché in quella stagione le ultime partite del Treviso furono quasi tutte comprate. Nella stagione della promozione, invece, con Perinetti e Conte, sicuramente è stata fatta Piacenza- Bari con un pareggio e Salernitana-Bari con la vittoria della squadra campana... Sono sicuro e certo della vittoria della Salernitana perché in quella stagione nelle ultime partite si avvicinavano alle squadre offrendo soldi... Non so chi sono ma sono sicuro che la Salernitana ha comprato quella partita».

Su Salernitana-Bari gli investigatori avrebbero già chiuso il cerchio, grazie anche alla collaborazione di alcuni ex calciatori biancorossi che, durante gli interrogatori effettuati prima di ferragosto, avrebbero ammesso di aver ricevuto soldi per lasciare la vittoria ai campani. Ora i carabinieri sono a caccia di riscontri su Bari-Treviso: ieri Kutuzov ha parlato agli inquirenti per circa due ore, svelando la propria verità. Nei prossimi giorni gli interrogatori proseguiranno, nella lista dei magistrati sono finiti altri protagonisti del Bari vincente di quattro anni fa. Gli accertamenti, poi, si sposteranno su Piacenza-Bari e Parma-Bari del campionato di serie A disputato due stagioni fa. «Nell'ultima stagione in serie A - spiega ancora il difensore Micolucci - sentendo le voci di Pederzoli e Sommese che erano legati a Tisci, Erodiani, Parlato e automaticamente agli "Zingari", mi dissero che Parma-Bari era una partita fatta per la vittoria del Parma, infatti loro ci scommisero sopra ed erano arrabbiati perché persero tanti soldi. Infatti ci furono delle risse a fine partita».

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I tabulati fanno sperare il club. Domani la sentenza?

Scommesse, duelli telefonici

«Portanova chiamò Di Vaio

dopo aver sentito Giacobbe»

di ALESSANDRO MOSSINI (Corriere di Bologna 21-08-2012)

Oggi a Roma si terrà davanti alla Corte di giustizia federale presieduta da Gerardo Mastrandrea il processo di secondo grado per il filone barese di scommessopoli, quello che coinvolge il Bologna, Daniele Portanova e Marco Di Vaio.

Dopo le sentenze di primo grado della Commissione disciplinare (6 mesi per omessa denuncia a Portanova, proscioglimento per Di Vaio e 30.000 euro di ammenda per il Bologna) oggi il Procuratore federale Stefano Palazzi cercherà di far inasprire le pene per i rossoblù: molto, se non tutto, ruota attorno alle decisioni su Portanova, deferito da Palazzi per illecito mentre il giocatore vorrebbe cancellare anche l'omessa denuncia del primo grado di giudizio. Rispetto al primo grado di giudizio, l'elemento nuovo portato da Palazzi nel suo ricorso è il tabulato che dimostra la telefonata tra Portanova e Di Vaio di quel 18 maggio 2011, alle ore 19.08, lunga 54 secondi: proprio la mancata prova di un contatto tra i due era stata alla base delle sentenze ammorbidite rispetto alle richieste della Procura.

Ma c'è un'altra telefonata che fa sperare il Bologna — che rischia il -2 se verrà data ragione a Palazzi — e Portanova, come spiega l'avvocato del giocatore rossoblù Gabriele Bordoni: «Intanto si dovrà ragionare su tematiche processuali e bisognerà capire se i nuovi elementi addotti da Palazzi avranno valenza o meno. Inoltre ora sono spuntati i riscontri sulla telefonata tra Portanova e Giacobbe (uno degli amici di Masiello, ndr) che è delle ore 17.36. Seguendo la linea di Palazzi, se Portanova sente Di Vaio e poi richiama gli amici di Masiello per dirgli che non si può fare, perché la telefonata tra Daniele e Di Vaio è di un'ora e mezza successiva al contatto telefonico tra Portanova e Giacobbe? È chiaro che quella breve telefonata delle 19.08 riguardava altri temi, tanto che nessuno dei due inizialmente se la ricordava e che eravamo stati noi per primi a chiedere quei tabulati».

Un Bologna che si difende ma anche un Bologna che attacca: «Oltre a difenderci dall'accusa di illecito — prosegue Bordoni — vogliamo cancellare l'omessa denuncia: anche un solo minuto di squalifica per Daniele non sarebbe giusto, dall'altra parte stanno alzando un polverone, come fa spesso chi non ha argomenti».

La Corte giustizia federale non consente dibattimenti lunghi: 5, massimo 10 minuti per ogni legale, Bordoni per Portanova (che sarà presente in aula), Guido Magnisi per Di Vaio, rimasto in Canada, e Mattia Grassani per il Bologna assieme al dg Zanzi. Poi le sentenze, quasi certamente già domani.

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Conte-Palazzi, che scontro!

La Bongiorno, difensore del tecnico, attacca il Procuratore e Carobbio

Davanti alla Corte Federale si è consumato un autentico duello dialettico

tra il collegio difensivo e l’accusa. Domani o giovedì attesa la sentenza

di ALBERTO ABBATE & EDMONDO PINNA (CorSport 21-08-2012)

ROMA - Antonio Conte attacca Palazzi, si difende con i denti, prova ad andar via a Carobbio, cercando di demolirlo. Lo fa attraverso le parole dei suoi avvocati, Giulia Bongiorno, Antonio De Rensis e anche Luigi Chiappero, che in realtà si sarebbe dovuto dedicare ad Angelo Alessio ma che al vice del tecnico bianconero ha concesso solo una (piccola) parte del suo intervento. Due ore, quasi, l'argomento è delicato e scivoloso, la difesa prova l'affondo, con maestria, l'accusa respinge colpo su colpo, para e risponde, come fossimo ancora in pedana alle Olimpiadi. In palio non c'è l'oro nella sciabola o nel fioretto, ma il proscioglimento, l'assoluzione e un futuro sulla panchina della Juventus da una parte; la conferma ai dieci mesi già irrogati dalla Disciplinare dall'altra, l'inizio del baratro. La Corte di Giustizia federale (a sezioni unite) presieduta da Gerardo Mastrandrea, deciderà. Domani, al massimo giovedì, le sentenze. Fra le due posizioni, una via di mezzo, forse. Due mesi in meno, da dieci a otto. Che non sono l'obiettivo di Conte, figurarsi. Ma che potrebbero essere l'ennesimo prologo a una nuova partita, quella davanti al Tnas a metà settembre.

LO SPETTRO DELLA GALERA - Demolire Carobbio, attaccare il teorema accusatorio di Palazzi, ecco il piano. Giulia Bongiorno definisce l'ex attaccante del Siena «Assoluto, Uno e Trino», tutto con la maiuscola perché il paragone (il riferimento è alla considerazione che ha di lui Palazzi) farebbe arrossire anche un ateo. « Il problema di Carobbio non è se giocherà a calcio, ma se finirà in carcere. Lo dice il gip Salvini, uno che i pentiti li conosce bene. Lo dice pure il pm Di Martino. Carobbio ha un 416 pluriaggravato (associazione a delinquere e con l'aggravante della transnazionalità), in Turchia per questi reati hanno dato 13 anni. Ecco la risposta al perché accusa anche altri, a cominciare da Conte. Per ridimensionare il proprio ruolo. Se ci riesce, prende solo la frode sportiva ». Affonda, la Bongiorno, anche su Novara-Siena e Albinoleffe-Siena, sui rapporti con gli zingari e le smentite di Gervasoni al "collega" pentito, sui quattro gol casuali di Calaiò, « uno addirittura in rovesciata, e io sono una donna e non capisco nulla di calcio ». Incalza, De Rensis, per il quale Carobbio è la « fonte della verità », anche se poi passa a elencare tutte le contraddizioni nelle quali cade, compresi quei giocatori presenti alla famosa riunione tecnica, che non hanno dato riscontro alle parole dell'ex attaccante.

CONDANNATELO - Palazzi replica, Carobbio è credibile e lo dicono tanti elementi, « le sue non sono dichiarazioni tardive ma progressive, è umanamente legittimo. E poi c'è la secretazione delle carte da parte di Cremona ». E non è vero che Salvini non gli crede: « Nell'ordinanza di custodia cautelare del maggio 2012, Salvini scrive che Carobbio ammette il reato transnazionale ». Sul ruolo "accentratore" di Conte, che sarebbe smentito dalla vicenda "parto-Stellini", con suggerimento di quest'ultimo di andare comunque dalla moglie senza dirlo al tecnico, Palazzi replica: « Carobbio, oltre che credibile, è anche corretto ».

GROSSETO - Spettro della Lega Pro, Camilli non s'arrende: « Ho avuto la sfortuna di avere scelto un direttore sportivo (Andrea Iaconi, ndr) che ha portato 6 criminali ». Acerbis, Turati, Carobbio, Joelson e Conteh accusano il presidente del Grosseto, per la combine con l'Ancona del 30 aprile 2010. Camilli s'è beccato 5 anni d'inibizione: « Sono stato ucciso mediaticamente, ma davanti a voi c'è un uomo e non un presidente. Mi rimetto alla vostra capacità di leggere le carte ». Per Palazzi sono inequivocabili.

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LE DIFFICILI ORE DEL BIANCONERO

E in aula ecco l’Antonio furioso

Conte ha vissuto con intensità la lunga giornata, non nascondendo la propria tensione

All’inizio con le braccia conserte ma alla fine l’allenatore ha anche sbattuto le mani sul tavolo con rabbia

di ALBERTO ABBATE & EDMONDO PINNA (CorSport 21-08-2012)

ROMA - E' un tramonto di fuoco. Ore 20, si spegne il sole e il sorriso di Conte. Ultimo fischio di Palazzi, l'allenatore si alza, volta le spalle e, con un gesto di stizza, se ne va. Quasi furioso per una sconfitta immeritata, ingiusta. Finisce la sua partita in aula, sfida di ritorno dei 10 mesi di stop inflitti dalla Disciplinare. Non verrà esonerato, il cuore bianconero è con lui: «Vai Antonio, grande mister, coraggio», gli urlano una ventina di tifosi indemoniati. A Torino - è tornato subito ieri sera con l'ad Marotta - lo coccoleranno. In fondo, lo amano e lo ameranno sempre, gli juventini, Antoniocapitano.

NESSUNA PROTEZIONE - Meglio mettersi alle spalle un'altra triste giornata. Era iniziata all'ora di pranzo, Conte voleva guardare negli occhi i giudici all'ex Ostello della Gioventù. Ore 13.30, spaccate: ingresso da star in un mare di fango, sorriso di Conte impeccabile. E una camicia celeste per guardare con ottimismo al futuro. «Non ho bisogno di nessuna protezione», si sente e si sentirà sempre innocente, Antoniocapitano. Ieri in aula, i riflettori erano tutti per lui: la Juve era persino infastidita dalle telecamere puntate sul tecnico bianconero. C'è poco da fare, è Conte il re del processo. Il secondo Alessio sedeva a distanza: «Su di lui non c'è nulla da dire perché sta pagando solo il fatto d'essere il vice», i bisbigli dell'arringa finale dell'avvocato Chiappero. Già Conte era su tutte le furie.

LA TRANQUILLITA' - Braccia conserte, in principio. E sguardo fisso sulla Corte di giustizia Federale. Per sfidare il suo destino infausto. Alle 14 era così l'immagine del tecnico campione d'Italia. Serafica, tranquilla. Quindi il cedimento alle prime parole di Palazzi: inviava sms, si dimenava, beveva già durante le difese degli altri "condannati". Colpito da qualche parola. Sobbalzava dalla seggiola quando l'avvocato Vecchio sussurrava il suo nome - e il «dubbio pro Conte» - per scagionare dall'illecito l'assistito Cassano. Conte drizzava poi le antenne e annuiva, quando l'avvocato Rodella (per Vitiello), assicurava: «E' falsa la riunione tecnica di cui parla Carobbio». Era il riscaldamento del big match.

LA FURIA - Ore 18, Conte si avvicina alla Corte, spalanca le orecchie, c'è la musica dei suoi avvocati. Gesticola, parlotta in continuazione con chi non è impegnato a parlare del suo team. Difensivo? Macché, all'attacco la Bongiorno e De Rensis, Antonio è fiero dei suoi legali per la sfida più importante. Sta vincendo, lo si legge negli occhi. Sino a quel contropiede di Palazzi, che - nonostante tutto - continua a credere a Carobbio. Conte si dimena, è indolente, si mette continuamente le mani davanti al volto. Rischia l'invasione di campo. E' paonazzo, si sbottona i polsini, annuisce sarcastico. E' una belva di fronte alle "insinuazioni" di pm del pallone sulla sua persona. Sbatte le mani sul tavolo, fa il segno dell'ok. Non è ancora ko. Ma ormai sono le 20. E' tardi ed è quasi buio.

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OGGI UN ALTRO GIORNO DI FUOCO

Bologna e Lecce destini incrociati davanti alla Corte

Gli emiliani, usciti bene dal primo grado, alle prese con i nuovi atti che sono emersi

di ALBERTO ABBATE & EDMONDO PINNA (CorSport 21-08-2012)

ROMA - Un'altra giornata di fuoco. Trema, nonostante l'afa e il caldo, il Bologna. Trema ancor di più il Lecce, già escluso dalla serie B per illecito sportivo. Oggi è il giorno chiave, davanti alla Corte di Giustizia federale si decideranno i destini del club rossoblù e di quello pugliese. La Disciplinare, in primo grado, aveva praticamente "pulito" il Bologna (solo 30mila euro di ammenda invece dei due punti e 50mila chiesti da Palazzi), destinando alla Prima Divisione di Lega Pro (l'ufficialità arriverà dopo la decisione del Consiglio federale) il Lecce. Contro la decisione dei giudici di Artico si sono appellati la Procura federale (per gli emiliani) e il Lecce stesso.

ATTI NUOVI - Bologna-Bari 0-4, datata 22 maggio 2011, è la partita. Palazzi è stato "aiutato" dai nuovi atti arrivati dalla Procura di Bari, ovvero riscontri derivanti dalle indagini della Polizia giudiziaria. C'è, ad esempio, quel De Benedictis (uno dei Masiello boys, con Carella e Giacobbe) il cui telefonino aggancia la cella nei pressi di Piazza Maggiore, dalle 19.08 alle 19.22, due giorni prima della partita, la cella agganciata dal dispositivo mobile di Portanova nello stesso momento. In quello stesso momento, c'è il tabulato della telefonata fra lo stesso Portanova e Di Vaio (dalle 19.08'30" alle 19.09'24"), il che smentirebbe quanto sempre sostenuto dai due interessati. Ovvero, che non si erano mai sentiti, che fra loro i rapporti erano pessimi e quant'altro. I legali del Bologna sono pronti a dare battaglia, cercando di confutare la sostanza di quanto sosterrà l'accusa. Il club rossoblù rischia -2 punti di penalizzazione e 50mila euro.

ALTRA JUVE - Dopo Conte, anche Bonucci e Pepe. La partita è Udinese-Bari, Artico e i suoi giudici avevano prosciolto tutti, compreso Salvatore Masiello, mentre Belmonte era stato punito con 6 mesi invece di 4 anni. Palazzi ha impugnato la decisione, cercando sponda alle dichiarazioni (un po' traballanti) di Andrea Masiello nelle deposizioni a Bari e (in gran segreto il 4 agosto) alla Procura federale di Lanzafame, scrivendo in sintesi, relativamente a Bonucci e Belmonte, «dategli almeno l'omessa denuncia».

ULTIME SPERANZE - Il Lecce cerca di sfuggire alla Lega Pro, non sarà facile. C'è illecito sportivo diretto per il coinvolgimento dell'ex presidente Pierandrea Semeraro, la prova in quei soldi consegnati a Quarta e da Quarta a Masiello. Non solo, Palazzi ha appellato pure la posizione di Vives, assistito dall'avvocato Chiacchio e prosciolto in primo grado.

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APPELLO CALCIOSCOMMESSE L’allenatore presente in aula: duello tra i suoi avvocati e Palazzi

Conte attacca: il pentito «divino» è bugiardo

La Bongiorno: «Per la Disciplinare Carobbio è infallibile. Ma accusa l’allenatore per sminuire le sue colpe»

di MARCELLO DI DIO (il Giornale 21-08-2012)

Roma Oltre 70 minuti di arringhe difensive, onore non concesso a nessun altro imputato, per screditare il grande accusatore Filippo Carobbio. Al processo di secondo grado sullo scandalo scommesse è il giorno di Antonio Conte, presente in aula e assistito da tre legali. Sono 15 le posizioni da discutere (delicata quella del Grosseto, a rischio Lega Pro) ma gran parte del dibattimento­fiume - otto ore, mai accaduto - viene dedicato al tecnico della Juve.

La sua giornata romana comincia presto: sbarco a Fiumicino intorno alle 9, ultimo briefing con gli avvocati e poi l’arrivo all’ex Ostello della Gioventù (sede del processo) poco dopo le 13.30. L’attesa prima degli interventi dei suoi legali, decisi a scardinare le certezze dell’accusa. Fino all’uscita dall’edificio, scortato ma circondato dall’affetto di una decina di tifosi, quando stanno per calare le ombre della sera. «Carobbio non mente mai, ha una percentuale d’infallibilità del 100%, è divino -tuona l’avvocato Giulia Bongiorno, l’esperto penalista che ha rinforzato il collegio difensivo di Conte - . La sua attendibilità si basa su una verifica che io definirei ping­pong, ovvero viene utilizzato come riscontro di una partita (Novara-Siena) l’altra contestazione (sfida dei toscani con l’Albinoleffe). E poi c’è un Carobbio smentito da Gervasoni, che parla di gara combinata dagli zingari e non da accordi di spogliatoio. L’unico modo per mettere in dubbio il pentito è il controesame, non ammesso nella giustizia sportiva. Quando Conte ha scelto di accettare il patteggiamento è perché nel processo sportivo manca il piatto della bilancia della difesa».

La Bongiorno aggiunge come «Carobbio sia poco trasparente, come si evince da tutti gli atti del processo giudiziario, aveva interesse a scaricare le sue responsabilità su altri, a derubricare il suo reato. Pensate che per il 416 (associazione a delinquere, ndr ) pluriaggravato in Turchia un calciatore è stato condannato a 13 anni di carcere. . . ». La carta a sorpresa è in un verbale di Cremona: «Carobbio dice che l’accordo di spogliatoio per Novara-Siena era il pari a reti inviolate. E per giustificarlo al pm, che gli segnala che sia finita 2-2, inventa la favola di Calaiò che per caso fa 4 gol in due partite, anche in quella con il Torino. . . ».

E se l’accusa per Novara-Siena appare più debole, più stabile la posizione della Procura federale in merito ad Albinoleffe-Siena. Su cui la difesa ha evocato, a sostegno della tesi che Conte potesse non sapere, Carobbio: «È lui che ci dice che Stellini gli consiglia di non chiedere a Conte il permesso per raggiungere la moglie, perché è un bisbetico ed è meglio fargli trovare la situazione già definita».

L’avvocato De Rensis torna sulla riunione tecnica in cui Conte avrebbe comunicato alla squadra la presunta combine: «Se Carobbio dice che c’erano tutti i giocatori del Siena, perché non sono imputati per omessa denuncia?». Diretto anche Chiappero, che difende anche Alessio, il vice di Conte: «Carobbio è inattendibile e contradditorio anche all’interno del suo interrogatorio». Palazzi difende il capo d’accusa: «Nessuna dichiarazione contraddittoria, solo dichiarazioni progressive. Carobbio è credibile perché fornisce dichiarazioni contra sé e non si rilevano elementi di risentimento. Lo sconto di pena? L’avrebbe ottenuto lo stesso, anche non tirando in ballo Conte». Sentenza già domani, al massimo giovedì, probabile che Conte riceva uno sconticino: dai 10 mesi del primo grado agli 8 del secondo, in attesa del Tnas a settembre­ottobre. Tecnicamente sarebbe possibile una sospensiva della pena, ma i legali sono contrari. Oggi intanto si passa al filone di Bari: in 13 davanti alla Corte di Giustizia Federale, tra cui Bologna, Lecce (stessa situazione del Grosseto), Udinese e gli juventini Bonucci e Pepe, prosciolti in primo grado, decisione contestata da Palazzi. Un’altra battaglia per i legali bianconeri.

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Il processo

Calcioscommesse Via all’appello

La lunga attesa di Conte in aula

su Carobbio scontro con Palazzi

Tensione

La Bongiorno legale del tecnico «Il pentito è inattendibile»

Il procuratore «No, è sempre stato credibile»

art.non firmato (IL MATTINO 21-08-2012)

Roma. Conte-Carobbio, atto secondo. Nell'aula dell'ex Ostello della Gioventù del Foro Italico dove è iniziato ieri il processo d'appello al Calcioscommesse, è stata questa la sfida che ha monopolizzato l'udienza dinanzi alla Corte di giustizia federale. Da una parte il collegio difensivo dell’allenatore bianconero (gli avvocati Giulia Bongiorno, Antonio De Rensis e Luigi Chiappero), dall'altra il procuratore federale, Stefano Palazzi. Obiettivo della difesa: demolire le accuse del pentito Filippo Carobbio che hanno portato alla squalifica di 10 mesi in primo grado per le presunte combine di Novara-Siena e AlbinoLeffe-Siena.

A esordire sotto gli occhi di Conte, del suo vice Angelo Alessio (8 mesi in primo grado), e dell'ad Beppe Marotta, è stata la Bongiorno: «La strategia difensiva di Carobbio è chiara: derubricare il reato di associazione a delinquere pluriaggravata in frode sportiva. Carobbio accusa Conte e la società per ridimensionare il suo ruolo». Poi ha sferrato il colpo: «Per la Commissione disciplinare Carobbio non mente mai, ha una percentuale d'infallibilità del 100%. È divino, uno e trino. Ho fatto una lunga esperienza con la Corte di Giustizia, l'unico modo per mettere in dubbio il pentito è il contro esame. Io gli avrei fatto 450 domande e una mi resta qui: scusi, ma Gervasoni ha detto la verità o non ha detto la verità quando dice che la gara è stata combinata dagli zingari? Qui abbiamo un Carobbio smentito da Gervasoni. Cosa prova la credibilità del pentito in Novara-Siena? E la combine svelata di AlbinoLeffe-Siena? Ma questo riscontro ping pong è rigettato dalla Cassazione. Su AlbinoLeffe-Siena il riscontro è che Stellini (ex collaboratore di Conte, ndr) ha patteggiato e ammesso. Il principio che viene affermato è che ”quello che sa il vice, sa anche l'allenatore”. La suprema Corte ha detto però che è un errore logico». Infine un riferimento sul «brutto carattere» dell'allenatore. «Dicono che Conte non poteva non sapere perchè è un accentratore arrogante. Ma se uno è così, non dici nulla».

Poi la replica di Palazzi che ha difeso il pentito: «Non è vero che le accuse sono tardive, sono solo progressive. La credibilità di Filippo Carobbio è dimostrata dai fatti». Il procuratore ha quindi sminuito l'acredine tra allenatore e giocatore. «Se avesse avuto un intento calunniatorio Carobbio non avrebbe aspettato tanto per tirare in ballo Conte: lo avrebbe già fatto dal 19 gennaio 2012 rendendo dichiarazioni più gravose».

Tra i 15 appelli affrontati ieri (13 tesserati e due club) c'è stato poi il caso del Grosseto estromesso dalla serie B e il patron Camilli inibito 5 anni per la presunta combine Ancona-Grosseto. «Faccio il presidente da circa 20 anni - ha detto in aula - e posso dire di avere carattere duro, ma non sono mai stato sfiorato da nulla. Ho avuto la sfortuna di avere scelto un direttore sportivo (Andrea Iaconi, ndr) che ha portato 6 criminali, ma io faccio il presidente, non entro nei discorsi tecnici».

L'ultimo ricorso, quello del calciatore del Siena, Emanuele Pesoli, protagonista nei giorni scorsi di uno sciopero della fame. Oggi toccherà ai ricorsi relativi al procedimento di Bari: quelli di Leonardo Bonucci e Simone Pepe e del Lecce. Entro giovedì le sentenze.

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L’avvocato Bongiorno: l’accusatore è inattendibile, poco trasparente. La replica di Palazzi: la sua credibilità è dimostrata

Il contropiede di Conte

L’obiettivo è smontare il teorema-Carobbio: «Mente per salvarsi»

Cominciato il processo d’appello, in aula anche il tecnico juventino,

il procuratore chiede il rigetto di tutti i ricorsi presentati

di STEFANO CARINA (Il Messaggero 21-08-2012)

ROMA – Il primo grado davanti alla Commissione Disciplinare aveva tracciato la linea da seguire. Come accaduto per Andrea Masiello, l’unica possibilità per i legali dei 13 tesserati e i 2 club squalificati, era adottare la stessa strategia difensiva nei confronti di Filippo Carobbio. E dunque, non più (o meglio, non solo) puntare sull’estraneità ai fatti addebitati ai loro assistiti ma convergere totalmente sull’inattendibilità dell’ex centrocampista del Siena. Ed è quello che è andato in scena ieri all’Ostello della Gioventù, davanti alla Corte Federale, secondo grado di giudizio della giustizia sportiva, in 8 ore di dibattimento.

Cambio di strategia del quale si è fatta paladina l’avvocato Giulia Bongiorno, entrata a far parte del pool difensivo di Antonio Conte, presente ieri in aula: «Carobbio non mente mai, non sbaglia mai. Ha una percentuale di infallibilità del 100% - l’affondo del legale – Le parole che sono state usate dalla Disciplinare sono assoluta attendibilità. Ma l'assoluto è Dio, il verbo, una credibilità divina. Possibile che non ci possa essere una sola dichiarazione di questo signore che non sia assoluta? Venticinque calciatori del Siena lo smentiscono, prevale lui. Poi gode anche del cosiddetto riscontro ping-pong. Per Novara-Siena è credibile grazie a AlbinoLeffe-Siena e viceversa, ma come è possibile?». L’avvocato Bongiorno è un crescendo, simile ad un Bolero raveliano: «L’unico a non ritenere una divinità Carobbio è il Gip di Cremona, Salvini, che lo definisce un dichiarante che miscela verità e menzogne per alleggerire la sua posizione. Mai visto un giudizio così pesante». Poi la novità a livello difensivo: «Perché doveva tirare in ballo Conte? La risposta sta in cosa rischia Carobbio nel penale. Il suo problema non è tornare a giocare a calcio ma se passerà o meno qualche anno in carcere. La strategia difensiva è chiara: derubricare il reato di associazione a delinquere pluriaggravata, in frode sportiva. Carobbio accusa Conte e la società per ridimensionare il suo ruolo nel calcioscommesse. Se avessi avuto la possibilità gli avrei chiesto: scusi, ma Gervasoni ha detto la verità o no quando dice che la gara Siena-Novara è stata combinata dagli zingari? Qui abbiamo un Carobbio smentito da Gervasoni».

E su AlbinoLeffe-Siena: «L’accusa ritiene che Conte non poteva non sapere perché ha un carattere da accentratore. Le prime tre ricerche su Google dicono che Conte è arrogante, duro e pessimo. Ma se uno è così, non gli dici nulla».

Non si è fatta attendere la replica del procuratore federale, Stefano Palazzi: «La credibilità di Carobbio è dimostrata dai fatti. Tutte le dichiarazioni sono pienamente riscontrate sia dalle indagini della polizia giudiziaria sia dai contatti telefonici tra gli esponenti del mondo delle scommesse e i calciatori». Il pm ribatte anche riguardo la presunta contraddizione tra Gervasoni e Carobbio: «Il primo afferma che fu Carobbio a contattare gli zingari, il secondo dichiara invece di essere stato contattato. La cosa importante è che la circostanza è confermata. Non è vero poi che c’è un riscontro ping-pong della credibilità del Carobbio, visto che la sua ricostruzione è confermata dalle dichiarazioni confessorie rese da Passoni, Poloni, Garlini e parzialmente da Sala, sulla combine di AlbinoLeffe-Siena. Per tutti questi motivi chiedo il rigetto dei ricorsi presentati». E oggi si riprende, stavolta con il filone di Bari.

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L'INCHIESTA

Il Bari batte ogni record

sono 25 i giocatori indagati

di VINCENZO DAMIANI (Il Messaggero 21-08-2012)

BARI – Dai più famosi (Andrea Ranocchia, Jean Francois Gillet, Vitor Barreto, Cristian Stellini) a quelli di cui si erano perse un po’ le tracce (Pianu, Colombo, Bonomi), sono 25 i giocatori che dal 2007 a oggi hanno indossato la maglia biancorossa, ora indagati dalla Procura di Bari con l’accusa di frode sportiva. Un record. L’inchiesta pugliese sul calcio scommesse si allarga a macchia d’olio e ogni giorno spuntano nomi nuovi. E non è finita qui, perché nei prossimi giorni sono previsti ulteriori interrogatori. Ieri mattina, gli ultimi in ordine di tempo a presentarsi nella caserma dei carabinieri sono stati l’attaccante Vitaly Kutuzov e il terzino sinistro Simone Bonomi. Kutuzov, nazionale bielorusso e un passato nel Milan e nel Parma, è stato interrogato per circa due ore: avrebbe raccontato quanto accaduto prima e dopo Salernitana-Bari del campionato di serie B del 2009.

L’inchiesta bis sul calcio marcio, condotta dal procuratore Antonio Laudati e dal pm Ciro Angelillis, ruota attorno a due partite in particolare: oltre a Salernitana-Bari anche Bari-Treviso dell’11 maggio 2008, terminata 0 a 1 per gli ospiti. E poi c’è un Parma-Bari del campionato di serie A 2010-2011 su cui la magistratura pugliese ha acceso i riflettori. Secondo gli inquirenti, Salernitana-Bari e Bari-Treviso furono due partite truccate: i pugliesi non avevano più nulla da chiedere alla loro stagione, mentre gli avversari cercavano punti salvezza. Il Treviso e la squadra campana avrebbero “comprato” la vittoria pagando alcuni calciatori del Bari. Alcuni giocatori, messi alla strette, avrebbero ammesso durante gli interrogatori. A rivelare le presunte combine agli inquirenti sono stati i difensori Andrea Masiello e Vittorio Micolucci, manco a dirlo, entrambi ex biancorossi, seppure in momenti diversi.

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CALCIOSCOMMESSE

Conte in aula, giovedì nuova sentenza

di VALENTINA VERCILLO (IL ROMANISTA 21-08-2012)

Al via ieri al processo d’appello sul calcioscommesse. Una sola udienza dedicata ai ricorsi del filone d’inchiesta di Cremona, ed una sola, quella di oggi, per l’inchiesta di Bari. Il protagonista indiscusso della giornata di ieri è stato Antonio Conte, ieri in aula a Roma all’ex Ostello della Gioventù, con la speranza di veder ridimensionata la sentenza di primo grado. Sulla testa ha una condanna a 10 mesi di squalifica, per la doppia omessa denuncia di Novara-Siena e Albinoleffe-Siena della stagione 2010-11, quando era l’allenatore del Siena. Otto mesi per il suo secondo, Angelo Alessio, anche lui ieri in aula. Intorno alle 14 Conte si è presentato al Foro Italico assieme ai suoi avvocati, Giulia Bongiorno, Antonio De Rensis e Luigi Chiappero, e all’amministratore delegato dei bianconeri, Beppe Marotta.

La strategia di difesa del tecnico non cambia: i legali hanno puntato a dimostrare la poca attendibilità di Filippo Carobbio, il “grande accusatore” reo – secondo la difesa – di aver rilasciato dichiarazioni piene di contraddizioni. «La strategia difensiva di Carobbio è chiara: derubricare il reato di associazione a delinquere pluriaggravata, in frode sportiva - ha dichiarato l’avvocato Bongiorno nell’arringa difensiva -. Carobbio accusa Conte e la società per ridimensionare il suo ruolo nel calcioscommesse ». Un intervento durato mezz’ora, in cui la Bongiorno si è soffermata proprio sulla credibilità delle dichiarazioni del pentito in merito alle presunte combine di Novara-Siena e Albinoleffe- Siena.

E sulla credibilità di Carobbio torna anche l’avvocato De Rensis: «La Disciplinare ci dice che Carobbio, la fonte della credibilità, dice di non aver alterato Novara-Siena, e che ha però alterato Novara-Siena come dimostrano i tabulati delle telefonate con Ilievski con la scheda di un egiziano. E poi perché se Carobbio dice che nella riunione tecnica c’erano tutti i giocatori del Siena, oggi non sono imputati per omessa denuncia? La giustizia non deve aver paura di ammettere che Carobbio può non essere credibile in un caso o due».

«Nessuna dichiarazione contraddittoria, solo dichiarazioni progressive», sostiene invece il procuratore Palazzi, difendendo le proprie accuse. Ribadendo la sua credibilità perché «fornisce dichiarazioni contra sé e non si rilevano elementi di risentimento ». E sui tempi dilatati tra la prima e l’ultima audizione, invocato dalla difesa, il procuratore spiega: «Dovuti alla desecretazione dei suoi verbali da parte della procura di Cremona». In più, l’obiettivo di ottenere uno sconto di pena, per Palazzi, «sarebbe stato ottenuto lo stesso, anche senza tirare in ballo Conte, a fronte delle ulteriori rivelazioni. In più, se avesse avuto intento calunniatorio non avrebbe atteso la fine dell’audizione».

La partita passa adesso in mano alla Corte di Giustizia Federale del presidente Mastrandrea: in ansia anche il Grosseto, che rischia la retrocessione in Lega Pro, oltre ai tesserati Mario Cassano, Bertani, Drascek, Gheller, Vitello, Pellicori e Pesoli. Oggi toccherà invece alle posizione relative al filone di Bari, in testa Pepe e Bonucci - la cui assoluzione è stata impugnata da Palazzi - ma anche Di Vaio e Portanova, il Bologna, il Lecce a rischio retrocessione. La sentenza è attesa al massimo per giovedì, a due giorni dal via della serie A.

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Scommesse

Per Palazzi Carobbio è credibile su Conte

di DANIELA PALIZZOTTO (IL TEMPO 21-08-2012)

Screditare Carobbio per sperare in uno sconto. La strategia difensiva allestita dagli avvocati di Antonio Conte era chiara e ha trovato conferma nelle aule dell’ex Ostello della gioventù del Foro Italico, dove ieri pomeriggio si è svolto il processo d’appello dell’ennesimo capitolo dello scandalo Scommessepoli. Di fronte alla Corte di giustizia federale, per la verità, i legali dell’attuale allenatore della Juventus - punito in primo grado con 10 mesi di squalifica per non aver denunciato le combine di Novara-Siena e AlbinoLeffe-Siena - hanno più volte chiesto il proscioglimento del proprio assistito, arrivato a Roma insieme al dirigente Giuseppe Marotta. A giudicare dalle ultime pronunce degli organi sportivi sulla provata credibilità di Carobbio, del resto, uscire dal processo con tre-quattro mesi di sconto sarebbe già un successo per Conte. «Per la Disciplinare Carobbio è un personaggio divino - ha osservato l’avvocato Giulia Bongiorno, new entry voluta da Conte nel proprio collegio difensivo - ma in realtà è poco trasparente: vuole derubricare il proprio reato in un semplice peccato per evitare l’associazione per delinquere in sede penale. Per questo Carobbio accusa Conte». Tesi opposte da Palazzi: «Su Novara-Siena la credibilità di Carobbio è confermata dall’incontro Drascek-Vitiello - ha spiegato il procuratore - mentre su AlbinoLeffe-Siena ci sono le confessioni rese da Passoni, Poloni, Garlini e Sala. Per questo chiedo la conferma delle sanzioni». La decisione è ora rimessa alla Corte e arriverà molto presto, forse già domani, al massimo giovedì. Quando i giudici comunicheranno anche le risposte sui ricorsi presentati da altri 12 tesserati (tra cui il vice allenatore bianconero Alessio), da Novara e Grosseto, punito in primo grado con l'esclusione dalla serie B. Stamattina si riprende: la Corte esaminerà tra le altre le posizioni del Lecce (escluso dalla serie B dalla Disciplinare) e i ricorsi presentati da Palazzi contro i proscioglimenti di Bonucci, Pepe e Di Vaio.

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Bongiorno giudici

«Voi pensate che Carobbio sia come un Dio»

L' avvocato di Conte all'attacco del pentito

Domani la sentenza. Ci sarà sconto di pena?

Una delle ipotesi è la possibilità di congelare le sanzioni in attesa delle motivazioni

di MARCO CALABRESI & MAURIZIO GALDI (GaSport 21-08-2012)

Saranno stati convincenti i legali di Antonio Conte negli oltre 90 minuti di arringhe? Lo sapremo solo domani alla pubblicazione delle sentenze, anche se è probabile che qualche sconto possa arrivare. Comunque, solo al Tnas si potrà avere la parola definitiva. Ieri è girata anche voce che in attesa delle motivazioni della Corte di giustizia federale, gli avvocati possano chiedere al Tnas (o all'Alta Corte di giustizia sportiva) una sospensione della squalifica. Un obiettivo i legali di Conte lo hanno già raggiunto: è la prima volta che alle difese è stato concesso tanto tempo in un appello alla Cgf. Pertanto anche molto tempo la Corte ha dovuto riservare al Procuratore Palazzi per la replica. Unico obiettivo, arrivare a stabilire la credibilità di Filippo Carobbio. Dopo la lunghissima giornata, la Corte si è ritirata in camera di consiglio ma solo oggi, dopo aver terminato i due procedimenti, si potrà avere un'idea delle loro convinzioni. È tornata anche di attualità la ricusazione chiesta in primo grado dagli avvocati di Conte. La Procura ha portato esempi di legittimità della decisione presa dalla stessa Disciplinare.

Non è Dio Ad aprire la difesa di Conte è stata l'avvocato Giulia Bongiorno, che ha fatto il suo lavoro da penalista di classe: un esame approfondito del ruolo del «pentito» e del collaboratore». Efficace il paragone di Carobbio «credibile come un Dio» e, sulla stessa linea, si è mosso anche De Rensis. La Bongiorno ha soprattutto puntato a spiegare come Carobbio abbia fatto le ammissioni sul suo tecnico per «alleggerire la sua posizione penale», visto che in Turchia per una vicenda analoga un calciatore ha preso 13 anni di carcere. Infine Chiappero, doppio difensore di Conte e Alessio, si lancia nell'ipotesi di «ritenere Carobbio credibile, ma non in questa occasione». Ecco che Palazzi si muove proprio sulle motivazioni che avrebbero spinto Carobbio a non raccontare il vero in «questa circostanza» e ribadisce che è del tutto credibile.

Ancona-Grosseto Una accorata, ancora una volta, dichiarazione di Piero Camilli (presidente del Grosseto) chiude le arringhe dei legali del Grosseto: «Iaconi mi ha portato in casa sei criminali». All'avvocato Mattia Grassani è toccato aprire le danze proprio a contestare le accuse mosse a Camilli e al Grosseto per Ancona-Grosseto. Il club rischia l'esclusione dalla Serie B (già stabilita dalla Disciplinare) a vantaggio di Nocerina e Vicenza, che potrebbero essere ripescati al posto di Grosseto e Lecce.

Prevenzione L'avvocato Di Cintio per il Novara ha parlato di prevenzione e di controllo da parte delle società del fenomeno combine. La società ha un accordo con Federbet e grazie a questo si muove sul piano della prevenzione.

Convitati di pietra Sempre chiamati in causa Carobbio e Gervasoni: ancora una volta l'avvocato Paolo Rodella ha chiesto un confronto in aula con i due accusatori. Lo ha fatto per Pesoli, ma anche per Pellicori, evidenziando come in passato fosse stata accolta la richiesta fatta (in quella occasione) dalla Procura federale. La Corte si è riservata di decidere.

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Bonucci e Pepe

col fiato sospeso

Oggi gli appelli

L’accusa contro i proscioglimenti. Portanova

e Di Vaio in ansia per la telefonata su Bologna-Bari

di MARCO CALABRESI & MAURIZIO GALDI (GaSport 21-08-2012)

Oggi la Corte di giustizia federale (Cgf) esamina gli appelli del filone di Bari e l’attenzione è calamitata dall’appello che la Procura federale ha presentato nei confronti di Leonardo Bonucci, Simone Pepe, Nicola Belmonte e Salvatore Masiello. Davanti alla Disciplinare sono prevalse le «contraddizioni» delle varie dichiarazioni di Andrea Masiello e quindi la poca «attendibilità» sulle accuse mosse per la presunta combine in Udinese-Bari. Palazzi punterà a ribaltare la tesi. La credibilità di Masiello verrebbe ora confermata dall’inchiesta che la Procura di Bari sta conducendo su alcune partite del 2007-2008 e 2008-2009, in particolare Bari-Treviso, Salernitana-Bari e Piacenza-Bari. Si tratta di partite indicate da Masiello, confermate da Micolucci e anche da altri calciatori sentiti dai pm di Bari.

Bologna-Bari Anche l’appello che la Procura federale ha presentato nei confronti di Daniele Portanova e Marco Di Vaio sarà il clou della giornata. Un appello sul filo di lana che si basa su un’informativa dei carabinieri che i difensori di Portanova e Di Vaio contesteranno. Palazzi porta la prova di una telefonata che Portanova e Di Vaio si sarebbero scambiati in un orario compatibile con l’incontro che Portanova avrebbe avuto in piazza Maggiore a Bologna con Carella e Giacobbe, inviati da Andrea Masiello, per convincere Portanova alla combine Bologna-Bari. Troppo poco per i difensori,ma qualsiasi contatto tra i due era sempre stato negato per una, a questo punto, presunta vecchia inimicizia.

Bari-Lecce La posizione del Lecce, che rischia la Lega Pro, è una delle più delicate. Gli appelli in questo caso sono due: quello della società e dell’ex presidente Pierandrea Semeraro da una parte, dall’altra quello della Procura contro il proscioglimento dell’ex capitano Vives e di conseguenza per il riconoscimento (oltre che della responsabilità diretta) della responsabilità oggettiva e relativa penalizzazione di 5 punti.

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VERBALI SECRETATI

Bari, sentiti Kutuzov e Bonomi sul 2008

di FRANCO CIRICI (GaSport 21-08-2012)

BARI Non si concede soste la Procura di Bari, impegnata a vederci chiaro in un altro filone del calcio scommesse. Altri due interrogatori ieri mattina presso il Comando Provinciale dei Carabinieri di Bari. Stavolta è toccato all'attaccante bielorusso Vitalj Kutuzov ed al difensore Simone Bonomi, entrambi ex Bari, rispondere alle domande del col. Francesco Rizzo del Nucleo Investigativo dei Carabinieri. L'interrogatorio di Kutuzov, accompagnato dall'avv. Francesco Andriola, è durato un'ora. Il verbale è stato secretato, ma l'attaccante bielorusso sarebbe stato sollecitato a fornire informazioni a proposito di due partite finite nel mirino dei magistrati baresi: Salernitana–Bari (3–2) e Piacenza–Bari (2-2) della stagione 2008–09. Lo stesso discorso vale per Simone Bonomi (l'anno scorso era nel Sorrento), assistito dai legali Marco Scognamillo e Luigi Marsico del foro di Roma, il cui interrogatorio non è andato oltre una mezzoretta. Facile intuire come l'elenco delle audizioni baresi non sia ancora arrivato all'ultima pagina.

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Conte, a tutta contro il pentito

“Accuse per evitare il carcere”

Bongiorno all’assalto di Carobbio: “È inaffidabile”

Arringhe aggressive per smontare le accuse su entrambe le gare contestate. Domani il verdetto

di MATTEO PINCI (la Repubblica 21-08-2012)

Attacco al pentito Carobbio. Il processo di appello al calcio scommesse come un ring, in un angolo la Procura Federale, forte della condanna a 10 mesi del primo grado. Nell’altro Antonio Conte, l’uomo simbolo del secondo grado di giudizio, e la sua squadra di legali, con il neo acquisto Giulia Bongiorno in prima linea vicino a De Rensis e Chiappero. Dopo un pomeriggio trascorso all’insegna dei “tempi rapidi” più volte invocati dalla Corte di Giustizia Federale, arbitro del duello, sono servite due ore per liquidare la posizione del tecnico della Juventus, club parte in causa soltanto di riflesso, ma presente nell’aula del Foro Italico anche con l’a.d. Marotta. Il protagonista della partita è però Conte, con il k.o. della credibilità del pentito Carobbio obiettivo dell’impianto difensivo. «Una credibilità divina, se la commissione disciplinare ha ritenuto che avesse un’infallibilità del cento per cento», sostiene la Bongiorno aprendo 71 minuti di arringhe difensive più che aggressive.

A sostegno dell’affidabilità delle accuse, i legali citano anche il gip di Cremona: «Per Salvini Carobbio alterna ricostruzioni reali e fantasiose». Il motivo? «Una strategia difensiva che mira a evitare il carcere, derubricando il reato di associazione a delinquere internazionale, che in Turchia è costato fino a 13 anni di carcere, in un peccato da spogliatoio, una frode sportiva. Ma i tabulati provano che Novara- Siena fu il frutto di un accordo tra Carobbio e gli zingari». La difesa prova a demolire anche la contestazione più solida: Albinoleffe- Siena, quella dell’illecito patteggiato da Stellini, il collaboratore di Conte, che dunque «non poteva non sapere». Almeno per la disciplinare. Tesi che la squadra difensiva prova a cancellare, utilizzando la voce del grande accusatore: «È Carobbio a dire che a lui Stellini consigliò di non chiedere a Conte, accentratore e bisbetico, di raggiungere la moglie». Se Stellini sconsigliò Carobbio a parlare con Conte – la deduzione – perché avrebbe dovuto confessargli i propri peccati?

A restituire forza alla credibilità del pentito, è invece Palazzi: «Le dichiarazioni di Carobbio sono riscontrate sia dalle indagini sia dai contatti telefonici tra gli esponenti del mondo delle scommesse e i calciatori». E per confermare l’accusa di Novara-Siena evoca proprio il carattere di Conte: «Maniacale nel preparare le partite, è singolare si sia limitato a un discorso motivazionale ». Albinoleffe-Siena invece? «Riscontrata in modo puntuale e inconfutabile». Mentre un processo lungo 7 ore si avvia al termine, Conte lascia l’aula, non parla, si concede un gesto di ottimismo. Oggi toccherà ai “suoi” Bonucci e Pepe (assolti in primo grado) difendersi, ma anche a Portanova, Di Vaio, e al Lecce. Su Conte e sulle altre 14 posizioni in ballo ieri (tra cui il Grosseto, a rischio retrocessione in Lega Pro) la Corte si pronuncerà domani: per l’allenatore pena possibile tra 8 e 6 mesi. La difesa potrebbe però chiedere una sospensiva al Tnas in attesa delle motivazioni: con una sentenza esecutiva già pronunciata non converrebbe a nessuno.

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Il caso

Calciatori, torna l’omertà

nessuno risponde al pm

“Mi avvalgo della facoltà”

Bari, gli indagati non collaborano: temono di essere puniti per omessa denuncia

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 21-08-2012)

Si può essere sportivi. E insieme omertosi. Essere modelli per i bambini e, nello stesso tempo, per dirla con le parole del procuratore antimafia di Bari, Antonio Laudati, «essere d’intralcio, o certo non di aiuto, alle indagini della magistratura e quindi all’accertamento della verità». È questa la storia dei calciatori italiani che in queste settimane stanno sfilando, come indagati, davanti ai magistrati pugliesi. E si stanno rifiutando di rispondere alle domande dei magistrati avvalendosi della facoltà di non rispondere, facoltà concessa loro dal codice di procedura penale, ma che certo non combacia con la retorica della lealtà sportiva che dovrebbero rappresentare. I giocatori sono accusati di un reato terribile per un atleta: aver venduto partite della propria squadra, partecipando in qualche modo o soltanto assistendo a una spartizione di denaro.

I nomi sono noti. Molti giocano oggi in serie A. C’è l’azzurro Andrea Ranocchia. L’attaccante Paulo Victor Barreto. Il mediano Alessandro Gazzi. L’ala Stefano Guberti. E poi ancora, scendendo nelle serie minori, Ganci, Santoruvo, Bonanni, Pianu, Esposito Galasso, Colombo, De Vezze. Sono tutti indagati. E oltre al fatto di essere rimasti in silenzio davanti al giudice, li accomuna il fatto di essere stati calciatori del Bari. A loro viene contestato e chiesto se sia vero che i risultati di alcune partite (per esempio la gara contro la Salernitana del 2009 o con il Treviso del 2008) siano stati dettati da una corruzione. A raccontare tutto è stato il pentito Andrea Masiello. Conferme, seppure indirette, sono arrivate dall’altro pentito Vittorio Micolucci, già bollato come “Μerdolucci” nell’ambiente e dal centrocampista Daniele Lanzafame. Qualcosa l’ha raccontata anche Christian Stellini, l’ormai ex assistente di Antonio Conte, squalificato per il calcioscommesse. Tutti gli altri invece hanno preferito non parlare, creando non pochi problemi ai magistrati pugliesi. «È complicato - aveva spiegato a Repubblica il procuratore Antonio Laudati - arrivare ad accertare la verità perché i calciatori hanno paura di parlare: rischiano di essere squalificati per omessa denuncia».

Non è un caso, secondo gli investigatori, che questa ondata di silenzi arrivi in contemporanea con il grande caos dei processi sportivi. I calciatori hanno paura, e come era inevitabile che fosse, la Figc (che da un lato invoca alla collaborazione) con la decisione di spezzettare i processi sportivi e di non attendere la chiusura delle indagini preliminari delle inchieste penali, ha di fatto spinto i giocatori al silenzio. Il danno - dicono da Bari - è importante. Senza la collaborazione dei giocatori diventa più difficile inchiodare chi manovrava dietro gli scommettitori che facevano pressioni sullo spogliatoio: la criminalità organizzata.

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CALCIO SCOMMESSE: L’APPELLO DELL’ALLENATORE DELLA JUVE

Difesa a uomo

I legali di Conte all’attacco del pentito Carobbio

La Bongiorno all’accusa: “Per voi è come un dio”

«Gli avrei voluto fare 250 domande, ma la giustizia sportiva non lo permette»

Possibile uno sconto di almeno due mesi: entro giovedì le sentenze. Oggi tocca a Bonucci e a Pepe

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 21-08-2012)

Le luci nell’aula dell’ex Ostello della Gioventù, a due passi dallo stadio Olimpico, sono rimaste accese fino a tarda sera. Lungo, lunghissimo, è stato il pomeriggio della prima, ed unica, udienza del processo d’appello per lo scandalo scommesse (ieri sul tavolo c’erano gli atti di Cremona, oggi ci saranno quelli dell’inchiesta di Bari) ed ora che le sentenze si avvicinano, a intrecciarsi sono le tesi dell’accusa e della difesa.

Domani o giovedì i giudici della Corte Federale emetteranno il verdetto. Niente motivazioni, ma solo un dispositivo fatto di numeri e norme. Antonio Conte, ieri, era in aula: in silenzio e quasi immobile fino alla replica del pm del pallone Stefano Palazzi. Seduto fra i suoi legali, il tecnico bianconero si è trasformato nel più diligente degli uditori. Due sono stati gli interventi del suo collegio difensivo, Filippo Carobbio, il grande accusatore del tecnico, il bersaglio. «Carobbio - così l’avvocato Giulia Bongiorno - per l’accusa federale è diventato uno e trino. Come un dio. Ma non è la stessa conclusione a cui è arrivato il gip di Cremona Guido Salvini: per il magistrato che ha scritto libri sui pentiti, Carobbio miscela verità e menzogne per alleggerire la sua posizione. Un conto è essere accusato di associazione a delinquere pluriaggravata per il ruolo di referente degli zingari, un altro è presentarsi davanti alla giustizia ordinaria per frode sportiva: nel primo caso, in Turchia, c’è chi ha preso tredici anni di carcere...».

Carobbio è il bersaglio. E’ l’ex difensore del Siena che strattona al centro del ring processuale il suo ex allenatore Conte: il tecnico campione d’Italia con la Juve è chiamato a ribaltare la squalifica di dieci mesi per una doppia omessa denuncia. «Chiamare in causa Conte - continua la Bongiorno nel suo intervento - significa, per Carobbio, spostare l’attenzione su accordi di spogliatoio alla base delle partite, presunte, truccate. E prendere, quindi, le distanze dall’associazione per delinquere...». La Bongiorno attacca, Antonio De Rensis, l’avvocato del tecnico bianconero, la segue. Davanti a loro c’è la Corte Federale, da questa sera in camera di consiglio: la partita di Conte in secondo grado potrebbe terminare con una riduzione della pena per l’allenatore bianconero di qualche mese, forse due. Di più se venisse a cadere una delle due accuse per omessa denuncia. «Ci troviamo di fronte - spiega la Bongiorno a veri e propri riscontri ping pong. Prima si dice che Carobbio è credibile per quanto detto su Novara-Siena perchè la sua credibilità deriva da quanto riscontrato per l’altra partita, Albinoleffe-Siena. Poi si scopre dalle carte - sottolinea l’avvocato - che per quest’ultima partita, la credibilità di Carobbio nasce proprio dalla sfida di Novara...».

Il pool difensivo di Conte parla per quasi un’ora e mezza. Al procuratore Palazzi lo stesso tempo per la replica. «Non è vero che il gip Salvini ha detto che Carobbio non sia credibile...», così il pm del pallone. Il duello sul pentitismo è la stella polare del dibattimento per la prima, ed unica, udienza d’appello. Il pentitismo così come usato dalla giustizia sportiva «non ha senso perchè - precisa la Bongiorno - in questa aula non è previsto l’istituto del controesame. Io, a Carobbio, vorrei fare duecentocinquanta domande che la procura, per ovvie ragioni, non ha fatto...». Conte ascolta in silenzio.

Questa mattina, saranno Bonucci e Pepe a fare lo stesso perchè, dopo il proscioglimento per entrambi in primo grado, Palazzi ha impugnato l’assoluzione. Ancora poche ore e i nuovi verdetti sul calcioscommesse segnarono il confine. Per provare a cancellare eventuali condanne, ci sarà ancora spazio presentando ricorso al Tribunale Arbitrale Nazionale per lo

Sport al Coni: l’ultimo grado della giustizia sportiva dovrebbe pronunciarsi a metà settembre. «Conte - così la Bongiorno nella prima parte del suo intervento - ha cercato il patteggiamento soltanto perchè glielo hanno suggerito i suoi avvocati. Io ancora non facevo parte del collegio difensivo del tecnico, ma se ci fossi stata avrei fatto lo stesso. Nel processo sportivo non c’è possibilità di interrogare il pentito di turno...».

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Una sedia per panchina

Conte in aula tra gli avvocati

“Sono a zero riscontri...”

SOTTO I RIFLETTORI Braccia incrociate, chiede spiegazioni sulle mosse di Palazzi

UN SOLO SUSSULTO Quando il pm ribadisce la propria tesi: «Ma di che stiamo parlando»

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 21-08-2012)

La panchina, stavolta, è una sedia blu che rimarrà ferma, quasi immobile, per oltre sei ore. Antonio Conte ha giocato, ieri, la sua strana partita al piano meno uno dell’aula dell’ex Ostello della Gioventù seduto, braccia incrociate, sguardo fisso sugli avvocati che, ad intermittenza, prendevano la parola.

Il pallone è un piccolo microfono che passa di mano in mano. Conte non dà consigli, non consuma il pavimento come se fosse il prato oltre la linea bianca dello Juventus Stadium, non gesticola, non cambia direzione. È Conte che, per una volta, chiama il time out: lo fa più volte e lo fa perchè vuole vivere il processo come i suoi giocatori devono vivere la sfida sul campo. Il time out ferma il suo pomeriggio ed arricchisce la sua curiosità. La telecamera a circuito chiuso che fa vedere ed ascoltare i passaggi dell’udienza è fissata su di lui: Conte prende posto in aula, terza fila, alle quattordici in punto e non si perde una virgola. Tocca al presidente del Grosseto provare a smarcarsi dalla pesantissima accusa che, in primo grado, ha spinto il numero uno maremmano Piero Camilli fuori dal campionato di serie B: Conte vuole capire. Tocca alla procura federale intervenire: Conte si rivolge a Giulia Bongiorno per decifrare le mosse del pm del pallone Stefano Palazzi.

La lunga giornata del tecnico campione d’Italia con la Juve comincia su un volo che lo porta nella Capitale, da Milano Linate, alle otto e cinque minuti. Conte indossa una polo, occhiali da sole e il trolley della società bianconera. Sei ore più tardi, farà il suo ingresso all’ostello con una camicia e la giacca blu scuro. Il fischio d’inizio è immediato: il condottiero bianconero abbandona la sua strana panchina solo per un attimo e dopo tre ore dalla prima arringa. Alle 18 e 30, la svolta. Il collegio difensivo del tecnico si alza: è il momento degli interventi dei suoi legali. Conte prende posto nel mezzo, ai lati la Bongiorno e Antonio De Rensis. Più in là, Luigi Chiappero. Il pentitismo di Carobbio, le sue contraddizioni, il gip Guido Salvini, Novara-Siena e Albinoleffe-Siena: il compito degli avvocati è quello di ribaltare la squalifica di dieci mesi per doppia omessa denuncia. È tardi. L’aereo di ritorno per Torino in agenda per le sette e mezza è sfumato. Ma Conte sta giocando la sua sfida: la telecamera è fissa, ma anche se fosse stata in movimentonon avrebbe avuto alcuna difficoltà a riprendere i gesti del tecnico. Semplicemente perchè Conte è immobile. Unico sussulto quando Palazzi ribadisce le sue accuse. «Ma di che stiamo parlando...» sembra dire l’allenatore ai suoi avvocati. Poi fa uno 0 con le mani: «Zero riscontri...».

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In appello Conte spera

nella carta Bongiorno

di SIMONE DI STEFANO (l'Unità 21-08-2012)

ARRIVA IN UN CONVOGLIO TARGATO FIAT E LE TELECAMERE SONO TUTTE PER LUI. ANTONIO CONTE C'È, È SCESO A ROMA PROPRIO PER GUARDARE NEGLI OCCHI I GIUDICI CHE DOVRANNO EMETTERE SENTENZA PER L'APPELLO SULLE DUE OMESSE DENUNCE A CAUSA DELLE QUALI - SE NULLA CAMBIERÀ - DOVRÀ STAR FERMO PER DIECI MESI. Con lui una schiera di avvocati, tra cui Giulia Bongiorno, new entry a prova di pentito che ha passato le ultime due settimane blindata nel suo studio a studiare le carte. La sua arringa era il piatto prelibato del giorno, e l’ex avvocato di Andreotti offre un paio di spunti che a tutti erano sfuggiti e che anche per il pm federale Stefano Palazzi risultano successivamente difficili da replicare. Tra le due gare, AlbinoLeffe-Siena era quella più complicata da risolvere, perché Palazzi si fossilizza sul patteggiamento dell’ex vice di Conte, Cristian Stellini e sul fatto che se Stellini sapeva, anche Conte doveva sapere. Su cosa fa leva? Su una dichiarazione di Perinetti che ritrae Conte come un «accentratore». Ed ecco il coniglio dal cilindro che fa vacillare Palazzi: «Ma se uno è così, un accentratore – si domanda la Bongiorno - a Conte non dici nulla della combine. E c’è la prova: Stellini è il soggetto al quale Carobbio si rivolge per discutere del permesso da chiedere a Conte in vista del parto della moglie. Stellini risponde a Carobbio: “Non andare a dire niente a Conte, scappa da tua moglie e fagli trovare la situazione del tutto definita”. Il soggetto che era a conoscenza di questa combine, e che avrebbe informato Conte della combine, era un soggetto che dice a Carobbio di non andare da Conte». Si capisce che è questo il nodo su cui la Bongiorno ha studiato di più, perché quando Palazzi abbozza la sua replica, l’avvocato di Conte inizia a sbracciarsi poi tira un sospiro di sollievo quando il pm federale in sostanza non riesce a sostenere il contrarioma si limita a girarci intorno. Conte si tocca la testa, si massaggia le tempie, strofina le mani, abbassa la nuca e guarda fisso sul banco, chiede all’altro avvocato, Antonio De Rensis, con la mano come per dire: «Ma che cosa sta dicendo?». Le parole di Palazzi lo mandano ancora più in bestia quando il pm federale replica sulla riunione tecnica prima di Novara-Siena, in cui Conte si sarebbe limitato a «un mero discorso motivazionale, laddove contrasta proprio con il carattere di accentratore del tecnico». Entro giovedì le sentenze definitive, intanto oggi si riprende con il filone barese.

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CONTE ATTACCA AL PROCESSO:

SCONTRO DURO CON PALAZZI

Il tecnico in aula. Show della Bongiorno: «Carobbio è

considerato un Dio dai giudici perchè non hanno prove».

Il procuratore: «Non è vero, ci sono indagini e telefonate»

di LUCA PASQUARETTA (Quotidiano Sportivo 21-08-2012)

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Ci ha messo la faccia Antonio Conte. Scortato dai suoi legali, Antonio De Rensis, Luigi Chiappero e Giula Bongiorno, si è presentato in aula a Roma davanti alla Corte di giustizia federale, presieduta da Gerardo Mastrandrea, che ha trattato il filone di Cremona. Si è seduto al fianco dei suoi avvocati. In silenzio ha ascoltato le loro arringhe, incentrate a demolire la credibilità di Carobbio, il suo grande ed unico accusatore, tirato in ballo anche per un permesso non avuto da Conte per assistere alla nascita del secondo figlio. Duro, durissimo l’affondo dell’avvocato Bongiorno: «Il gip di Cremona Salvini, esperto di pentitismo, di Carobbio dice che alterna verità e fantasia. Le menzogne di Carobbio si trovano nelle sue motivazioni, perché il suo problema non è se giocherà ancora ma se finirà in carcere. E lui prova a derubricare un reato associativo che in Turchia è costato 13 anni di carcere, in un peccato da spogliatoio, una frode sportiva, e per questo si tira dentro Conte e la società. I tabulati provano che quella gara è il frutto di un accordo tra Carobbio e gli zingari». La carta a sorpresa è in un verbale di Cremona: «In quel verbale — ricorda la Bongiorno — il pentito Carobbio dice che l’accordo di spogliatoio era per il pari a reti inviolate. E per giustificarlo al pm che gli segnala che sia finita 2-2, inventa la favola di Calaiò che per caso fa 4 gol in due partite, anche quella con il Torino». E sulla credibilità di Carobbio torna anche l’avvocato De Rensis: «Perché se Carobbio dice che nella riunione tecnica c’erano tutti i giocatori del Siena, oggi non sono imputati per omessa denuncia? La giustizia non deve aver paura di ammettere che Carobbio può non essere credibile in un caso o due». Senza peli sulla lingua pure Chiappero: «Carobbio è intrinsecamente inattendibile e lo dimostra il fatto che qui non ci siano i giocatori del Siena presenti alla riunione tecnica». Il tecnico vuole uscirne pulito, ha rifiutato il patteggiamento in primo grado e si è beccato 10 mesi di squalifica. Conte non cerca vie di mezzo. Vuole l’assoluzione per continuare ad allenare, il mestiere che ha dimostrato di saper fare come pochi. Insomma, niente dimissioni, tranne clamorosi colpi di scena, da scartare, perché sia Andrea Agnelli che John Elkann gli hanno confermato la fiducia. E Conte con fiducia ed ottimismo aspetta il verdetto che dovrebbe arrivare mercoledì. Non vuole sconti. Ma l’assoluzione. O tutto, o niente. Ci ha messo la faccia. E intende uscirne pulito.

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Conte, la difesa attacca

BONGIORNO «Carobbio non è Dio. E Stellini non diceva tutto a Antonio»

Schermaglie con Palazzi, che sul pentito dice: «Riscontri sicuri,

non c’è confusione con Gervasoni». Oggi tocca a Pepe e Bonucci

di SIMONE DI STEFANO (TUTTOSPORT 21-08-2012)

ROMA. Conte si sbraccia, si strofina gli occhi, tasta le tempie, si domanda e sembra chiedere ai suoi avvocati “ma che dice Palazzi ?”. Non capisce lui e non capiscono neanche loro, quando durante la controreplica agli interventi dei suoi avvocati, il pm federale ribatte con lo stesso verbo del deferimento. Eppure di cose in più ce ne sono, e il lavoro del pool legale del tecnico avrebbe meritato maggiore considerazione. Partiamo dalla fine, perché nel caldo torrido di Roma, all’ex Ostello della Gioventù, la Corte di Giustizia e il presidente Gerardo Mastrandrea conservano buone due ore solo per le arringhe relative a Conte. Tra il faticoso lavoro di tutti, si distingue Giulia Bongiorno nel tirare fuori le verità di AlbinoLeffe-Siena, Novara-Siena e scardinare le accuse di Carobbio . Due, tre punti su cui anche il pm federale finisce il processo in equilibrio precario. La sensazione è che la giornata (fischio finale alle 21,30) porti un punto a favore della difesa, ma quanto varrà lo sapremo domani (massimo giovedì) quando usciranno le sentenze.

A CATECHISMO La Bongiorno scardina la credibilità del Carobbio pentito, che «dice una verità alla procura penale con il solo scopo di allontanare l’accusa ben più grave dell’articolo 416 pluriaggravato». Carobbio uno e trino, e che vengano allora valutate le prime parole del pentito al Gip: «Prende le parole dal catechismo: “io mi pento e mi dolgo con tutto il cuore” - dice il legale - tanto che Salvini ribatte: “se dici queste parole non ti crederà nessuno”». Si parte però da lontano, dal deferimento. Le parole di Carobbio per il pm sono di «assoluta attendibilità». Per la DivinGiulia però «l’assoluto è solo Dio, il verbo, una credibilità divina». E invece in 25 contro Carobbio, prevale solo Carobbio. «Lui ha una percentuale di infallibilità del 100%», riprende sarcasticamente.

PING PONG Ma soprattutto, per Carobbio lo stesso approfondimento ad altri pentiti non c’è: «E non è casuale. Per Carobbio c’è il cosiddetto riscontro ping pong». In cosa consiste? «Per accrescere la credibilità intrinseca, si auto riscontra, così Carobbio è uno e trino. Per Novara-Siena il riscontro è AlbinoLeffe-Siena, ma non è la stessa accusa? Ma su AlbinoLeffe-Siena dice: “abbiamo già provato la credibilità”. Ecco il riscontro ping-pong». Risponde Palazzi: «Non è ping-pong, ci sono Passoni , Garlini , Sala (parzialmente) e Poloni . Con Carobbio che è davvero riscontrato in maniera incredibile. Non c’è confusione tra Carobbio e Gervasoni ».

NO SCONTI Preliminare all’arringa, la difesa di Conte ha spiegato anche il rifiuto di impugnare il mancato patteggiamento: «Conte ha chiesto di stracciare il ricorso e ha fatto questa scelta perché vuole sia chiaro che non cerca reti di salvataggio». E qui parte la pantomima per rispondere a quella del processo sportivo. Voi non ci date il contraddittorio, fondamentale per mettere in dubbio il pentito? Allora o si patteggia - sostiene il legale a nome dei colleghi che avevano chiesto istanza fino ad allora (non ultimo Rodella per Pellicori , Pesoli e Vitiello ) -, o si fa finta di averceli davanti. La Bongiorno dipinge allora in aula Carobbio e Gervasoni: «L’unico modo per mettere in dubbio il pentito è il controesame. Io gli avrei fatto 450 domande e avrei chiesto a Carobbio: scusi, ma Gervasoni ha detto o no la verità quando dice che la gara è stata combinata da zingari? Qui abbiamo un Carobbio smentito da Gervasoni. Io non ci sto a dare agli avvocati il ruolo di lettori dell’enigmistica, e il famoso giochino “caccia all’errore”».

PUNTI Su Novara-Siena, la difesa di conte nota come Carobbio dica a Di Martino : «Accordo di spogliatoio era a rete inviolate». E invece finisce 2-2. AlbinoLeffe-Siena, la procura basa tutto su Stellini mandante e quindi «quello che sa il vice, sa anche l’allenatore». Ma se proprio Stellini disse a Carobbio di non chiedere il permesso a Conte in occasione del parto della moglie? «Stellini dice di non andare a dire niente a Conte, scappa da tua moglie e fagli trovare la situazione del tutto definita». Insomma, non proprio uno che diceva le cose in faccia.

L’INCHIESTA DI BARI Stamattina si riprende con il filone barese, quello che ha fatto morti e feriti in procura con 7 proscioglimenti in tronco. Udinese-Bari il cavallo di T***A, con le dichiarazioni di Andrea Masiello ritenute “non credibili” dalla Disciplinare. Prosciolti - per questo appellati da Palazzi - Bonucci , Pepe , Belmonte (derubricato in omessa denuncia) e Salvatore Masiello . Viste le motivazioni dei primi giudici, per Palazzi sarà dura ribaltare il risultato in assenza di nuove prove. Il pm persevera sull’arricchimento progressivo delle dichiarazioni di Masiello (le 4 versioni su Bonucci e il caso sulla Ferrari di Pepe: “la vuoi vendere o la vuoi comprare”...), facendo leva sulle rivelazioni di Lanzafame che confermerebbero Masiello su altre gare. Per Bologna-Bari Palazzi ha invece la nuova prova, la telefonata tra Di Vaio e Portanova prima della gara. Tornerà a difendersi anche Giuseppe Vives (prosciolto dai 3 anni e mezzo di squalifica) e con lui il Lecce, condannato alla retrocessione e per il quale Palazzi ha chiesto in aggiunta -5 punti in classifica.

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L’asse col Gip di Cremona

Il legale: «Carobbio per Salvini è poco trasparente»

di SIMONE DI STEFANO (TUTTOSPORT 21-08-2012)

ROMA. «L’aspetto penale del processo giudica Carobbio un personaggio poco trasparente, con un preciso interesse di scaricare le sue responsabilità su altri. Ha accuse gravissime, vuole rescindere tutti legami con gli zingari e allora tira in ballo un accordo di spogliatoio». L’avvocato Giulia Bongiorno ai microfoni di SkySport ripercorre tutti i punti della sua arringa, che ha mirato da un lato a scardinare la credibilità del pentito che tira in ballo Antonio Conte, dall’altro a evidenziare punto su punto tutte le incongruenze contenute negli atti.

L’ATTACCO La Bongiorno si era quasi divertita a prendere di petto la Corte («Ora non so chi di voi capisce di penale, io un po’»), e quindi quantificando la possibile pena per Carobbio nel caso di 416 pluriaggravato: «Fino a dieci anni e anche di più», dice il legale di Conte, anzi: «Alcuni calciatori in Turchia hanno preso 13 anni. Direte sarà la giustizia turca, ma intanto prendono 13 anni». Ecco perché Carobbio punterebbe a scrollarsi di dosso la responsabilità facendo passare illeciti con gli zingari in illeciti sportivi: «Coinvolgendo società e allenatore, Carobbio è come se dicesse: “loro sono sopra a me, ho fatto quello che mi dicevano”». Insomma, trasformare il reato in «peccato da spogliatoio. Peccato che viene smentito dai tabulati e da Gervasoni».

I RICHIAMI AL GIP Ricchi i richiami al Gip di Cremona, Guido Salvini: «Non solo il Gip non ritiene Carobbio una divinità, ma dà una bocciatura clamorosa: “Un dichiarante che miscela verità e menzogne per alleggerire la sua posizione”. Mai visto un giudizio così pesante», conclude l’avvocato.

L’ALTRO LEGALE A fine processo, parla anche l’avvocato Antonio De Rensis: «Il procuratore Palazzi, in maniera incomprensibile, ha detto che non sono stati deferiti tutti. Carobbio ha detto che c’erano tutti, molti di questi non sono stati deferiti e questo è giuridicamente incomprensibile».

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Stadio malato

Virus uccide l'erba del San Paolo

Solo un pesticida può salvare

il prato e l'inizio del campionato

I soldi che la società deve al Comune

Il Napoli deve versare un milione e 300mila euro all’amministrazione.

«Soldi che servono per la manutenzione. La cura del campo

però spetta alla società» ha detto l’assessore Tommasielli

di FELICE NADDEO (Corriere del Mezzogiorno - Napoli 21-08-2012)

NAPOLI — Un virus uccide l'erba del San Paolo. Inaridita dagli attacchi di un fungo parassita, che si è sviluppato a causa dell'elevata umidità sul terreno di gioco provocata dal clima equatoriale degli ultimi mesi. Solo una disinfestazione, con potenti pesticidi, può salvare il prato dell'impianto sportivo di Fuorigrotta e l'inizio del campionato di serie A del Napoli. Perchè sarà una corsa contro il tempo la sfida che il club di De Laurentiis dovrà affidare a una ditta florovivaistica specializzata, che avrà il mandato di rianimare le zolle dello stadio.

L'allarme è scattato al termine dell'amichevole, di domenica sera, contro l'Olympiakos. Con i ventidue atleti in campo costretti a giochi di equilibrismo per restare in piedi, evitando così figuracce nei passaggi e nelle conclusioni in porta, mentre sul rettangolo di gara spariva l'erba per far posto a sabbia e terriccio. Il prato del San Paolo, col passare dei minuti, si è trasformato in un campetto arido di periferia. E Mazzarri, più che preoccupato al termine del match, ha subito chiesto lumi ai suoi collaboratori, ricevendo ampie garanzie dai dirigenti del club azzurro: «Così non si può giocare — ha detto il tecnico toscano — ma mi hanno assicurato che ci sarà subito un intervento e per la prima di campionato non ci dovrebbero essere problemi». Meno di due settimane a Napoli-Fiorentina, il 2 settembre, e un nemico microscopico da abbattere. Con almeno due interventi a base di funghicida, intervallati da un periodo durante il quale sarà necessario far arieggare il campo. «Ho saputo della presenza di un virus che ha colpito l'erba del San Paolo e siamo in stretto contatto col Napoli per capire l'evoluzione del problema — assicura l'assessora allo Sport del Comune, Pina Tommasielli — serve un trattamento speciale che la società azzurra, responsabile della manutenzione del prato, avvierà immediatamente. Purtroppo lo stadio di Fuorigrotta è carente anche nelle infrastrutture. Ci siamo incontrati, qualche settimana fa, con i dirigenti del Napoli stabilendo un accordo sugli interventi da realizzare e sulla somma che ci deve liquidare per le spettanze relative alla vecchia convenzione per l'affidamento del San Paolo. Quei soldi che incasseremo serviranno per realizzare immediati lavori all'impianto di Fuorigrotta. Siamo in attesa di quella somma che speriamo il club azzurro versi velocemente».

Il Napoli, a conti fatti, deve staccare un assegno da un milione e trecentomila euro al Comune. «Poi sarà nominata una commissione paritetica formata da tecnici dell'amministrazione e della società sportiva — prosegue la Tommasielli — che stabilirà sia gli interventi da realizzare che il cronoprogramma. Dobbiamo fare presto perchè, altrimenti, si rischia di incappare in qualche sanzione. Come quella relativa al rilascio del certificato antincendio dello stadio. Noi stiamo profondendo il massimo impegno, come sempre. Perchè vogliamo garantire la migliore agibilità dell'impianto».

IL CASO Convocati Roma, Lazio e Campidoglio sulla gestione dei costi

Campionato di calcio al via

vertice su spese e sicurezza

In prefettura si cerca l’accordo su bus dei tifosi e pulizie

Convenzione entro l’anno oppure i servizi rischiano di essere sospesi

di MARIA LOMBARDI (Il Messaggero 21-08-2012)

Lo stadio Olimpico come laboratorio di un accordo tra società sportive e Comune che potrebbe essere adottato da altre città. E’ la proposta del prefetto Giuseppe Pecoraro: «una convenzione pilota» tra Lazio, Roma e Campidoglio, sotto la supervisione della Legacalcio, che stabisca come dividere le spese del calcio. Domenica prossima si torna in campo, la Roma affronta in casa il Catania. La questione in primo piano è al momento la seguente: chi deve accollarsi il pagamento dei servizi, in particolare trasporti e pulizia? Finora l’ha fatto il Comune che però ha già richiesto un contributo delle società: non è giusto che sia il Campidoglio, questa la linea, ad accollarsi tutti gli oneri delle partite.

In vista dell’inizio del campionato il prefetto ha convocato ieri pomeriggio un vertice per discutere di questo problema oltre che della sicurezza. Intorno al tavolo, il questore Fulvio Della Rocca, il vicecapo gabinetto del Comune Tommaso Profeta, l’amministratore delegato della Roma Claudio Fenucci, l’ingegnere Carlo Longhi per la Legacalcio, rappresentanti dell’Ama e della polizia municipale. Il presidente della Lazio Claudio Lotito era in contatto telefonico con il prefetto.

Entro l’anno, al massimo, un accordo va trovato. Il dialogo è comunque cominciato. Siamo pronti a discuterne, possiamo aprire un tavolo di trattative con il Comune, hanno detto le società sportive della Capitale. A patto però che la Legacalcio si faccia carico di stipulare convenzioni simili nelle altre città, tenendo conto delle varie situazioni specifiche. La questione insomma è nazionale. Si potrebbe lavorare a Roma su una bozza di accordo pilota per le altre città, ha proposto il prefetto, «e da qui si può partire in via sperimentale». La Legacalcio darà la sua risposta entro la settimana. Se non si arriva a una convenzione entro l’anno, potrebbero essere a rischio i servizi di pulizia e trasporto all’Olimpico. Per quel che riguarda i costi straordinari della polizia municipale impegnata allo stadio «l’argomento è di rilevanza nazionale», ha detto Pecoraro, «non può essere affrontata in questo tavolo».

Altro capitolo, la sicurezza. Lo scorso anno tutto è filato abbastanza liscio, «anche grazie alla collaborazione delle due società», ha detto il prefetto. Lo stesso contributo che è richiesto anche quest’anno soprattutto in vista di un campionato un po’ particolare. Non tanto per ragioni sportive ma perché il rischio dell’aggravarsi delle tensioni sociali potrebbe avere ripercussioni anche negli stadi.

Alle società il prefetto ha richiesto massima vigilanza. Segnalate al più presto, ha sollecitato Pecoraro, eventuali situazioni a rischio e anche incontri che potrebbero rivelarsi più pericolosi sul fronte della sicurezza per poter prevedere un anticipo al pomeriggio. Meglio evitare che le partite calde si disputino la sera.

IL PREFETTO

«C’è il pericolo che la crisi

scateni atti violenti tra gli spalti»

Pecoraro «Saranno monitorate anche le trasferte»

di MARIA LOMBARDI (Il Messaggero 21-08-2012)

Prefetto, che preoccupazioni ci sono alla vigilia del campionato di calcio?

«Intanto si èriusciti ad avviare un dialogo tra le società di calcio e il Campidoglio sulla questione del pagamento dei servizi. Un risultato importante perché si tratta di unproblema che va risolto in tempi rapidi. Per quel che riguarda la sicurezza c’è il pericolo che la crisi economica acuisca le tensioni sociali e queste possano trovare allo stadio un’occasione per manifestarsi».

Avete avuto avvisaglie in questo senso?

«Non ancora, ma non possiamo escludere infiltrazioni tra le tifoserie di chi approfitta degli incontri di calcio per scatenare scontri. L’attenzione quest’anno deve essere massima. Confidiamo comunque nella vigilanza e nella collaborazione delle società che lo scorso anno si sono rivelate preziose. Saranno monitorate anche le trasferte per prevenire ogni situazione di pericolo».

I reati, dicono i dati, sono in crescita. Roma registra un incremento dell’8 per cento.

«Come accade nei periodi di grave crisi economica, a livello nazionale si registra un incremento dei reati predatori. Un andamento confermato anche a Roma dove si commettono furti e rapine anche di poche decine di euro. Segno dello stato di indigenza in cui vivono sempre più persone. Ma quella percentuale dell8 per cento non mi convince».

Perché?

«Si fanno delle statistiche sulla base del numero dei residenti senza considerare il numero delle persone che gravitano o vivono nella Capitale senza però risiedere. Mi riferisco ai pendolari e agli immigrati. Se consideriamo anche queste persone che a Roma sono tantissime l’incidenza dei reati in rapporto alla popolazione è destinata a scendere».

C’è allarme per la presenza di organizzazioni criminali?

«E’ escluso che a Roma ci sia il controllo territoriale da parte di organizzzioni criminali, ma infiltrazioni sul versante finanziario ed economico. E senza dubbio c’è la presenza di un grande mercato della droga e delle armi».
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Oggi le sentenze

Sconto per Conte

Bonucci, Pepe e Di Vaio

verso il proscioglimento

Il Lecce senza scampo

La Corte di giustizia dovrebbe ridurre la squalifica al tecnico

juventino, che ricorrerà al Tnas. Bocciati i ricorsi di Palazzi.

I pugliesi destinati a lasciare la B. Incerto il destino del Grosseto

I giudici orientati verso una sostanziale conferma delle decisioni della Disciplinare. Ora c’è l’ultimo grado

La telefonata scoperta tra Di Vaio e Portanova non cambia il quadro: resta l’omessa denuncia per il difensore

di MARCO CALABRESI & MAURIZIO GALDI (GaSport 22-08-2012)

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Oggi, probabilmente nel pomeriggio, sul sito della Federcalcio ci sarà il dispositivo ufficiale dei due procedimenti che la Corte di giustizia federale ha esaminato lunedì e ieri. Chi si aspetta novità eclatanti, però, potrebbe rimanere deluso: sostanzialmente confermate le sentenze della Disciplinare. L'allenatore della Juventus Antonio Conte — dieci mesi di squalifica in primo grado per doppia omessa denuncia — dovrebbe ottenere un leggero sconto di pena: ricorrerà al Tnas del Coni. L'appello del procuratore federale Stefano Palazzi contro i proscioglimenti relativi a Udinese-Bari (Leonardo Bonucci, Simone Pepe, Nicola Belmonte e Salvatore Masiello) sarebbe stato respinto e sicuramente la Procura non andrà al Tribunale arbitrale. Non lo ha mai fatto. L'informativa dei carabinieri sulla telefonata tra Portanova e Di Vaio, in orario compatibile con l'incontro che il difensore centrale aveva avuto con gli emissari di Andrea Masiello per combinare Bologna-Bari, non ha compromesso le sorti dei due calciatori (omessa denuncia per Portanova, proscioglimento per Di Vaio) e della società emiliana, per i quali si profila la conferma della decisione di primo grado. Nessuna sorpresa, almeno alla vigilia e sebbene la difesa ci sperasse, per l'appello del Lecce, per il quale sarebbe stata confermata l'esclusione dalla Serie B: toccherà ora al presidente federale Giancarlo Abete (coadiuvato dai vicepresidenti e dai presidenti delle leghe interessate) assegnarlo ad altra categoria. Sul Grosseto, invece, si sta ancora discutendo: comunque scontato, per il momento, lo slittamento delle partite delle due squadre in Serie B e probabile slittamento anche delle partite di Lega Pro delle «ripescande» Vicenza e Nocerina. Intanto i legali del club salentino prepareranno il ricorso d'urgenza al Tnas.

Continuità La linea che la Corte di giustizia federale ha adottato è quella della continuità. Già a luglio nella sentenza di appello per il maxiprocesso sul calcioscommesse, i giudici avevano modificato poco la sentenza di primo grado ritenendo (come ha fatto la Disciplinare) che i collaboratori Filippo Carobbio e Carlo Gervasoni fossero attendibili. E il lavoro degli avvocati difensori non è riuscito a smontare questo assunto.

Udinese-Bari Poteva essere la «scheggia impazzita» della giornata di ieri. Palazzi aveva impostato il suo appello soprattutto sulla credibilità di Andrea Masiello, «rafforzata» dall'apertura a Bari di uno stralcio dell'inchiesta proprio su alcune sue «inedite» dichiarazioni relative alle partite Bari-Treviso (2007-2008) e Salernitana-Bari (2008-2009). «La credibilità intrinseca ed estrinseca di Andrea Masiello è ampiamente dimostrata dai fatti e in particolare dagli ultimi calciatori ascoltati in qualità di indagati dai magistrati di Bari nell'ambito dell'inchiesta sul calcioscommesse, come riportato da tantissimi e onorevolissimi organi di stampa. A tal fine produciamo gli articoli di giornale nell'impossibilità di poter produrre i verbali di Lanzafame nella loro integrità per non intralciare il lavoro della Procura di Bari», ha detto Palazzi. Piccata la replica della difesa di Bonucci: «Andrea Masiello si contraddice più volte e non dice la verità, come rilevato in modo coerente e logico dalla Disciplinare: Bonucci è una persona credibile, definizione della Procura di Bari, e non è mai stato ascoltato perché indagato, ma soltanto come persona informata sui fatti».

Bologna-Bari Scontro al veleno tra Procura federale e difese anche sulla partita Bologna-Bari. «Non ho chiamato Di Vaio né al telefono né incontrato di persona, questa è la risposta di Portanova alla Procura — ricorda Palazzi —. Ma le bugie hanno le gambe corte. Al fronte di un dato fattuale ha cambiato la sua linea difensiva», ha detto dopo aver illustrato l'informativa dei carabinieri di Bari allegata all'appello. Ma è stata incisiva l'arringa del legale del Bologna, Mattia Grassani, sull'impossibilità che la telefonata di Portanova a Di Vaio delle 19.08, prodotta in appello, possa avere preceduto l'incontro con gli emissari di Masiello.

Bari-Lecce Si è consumato uno scontro anche tra la Procura e i legali di Giuseppe Vives (Fusco e Chiacchio) sull'appello della Procura per il proscioglimento del calciatore. «Palazzi afferma che il segnale è equivoco: mai, a memoria mia, si è verificato un appello con la prova equivoca — ha detto Eduardo Chiacchio —. Perché citare la procura della Repubblica di Bari se non è mai menzionato Vives? Perché questo appello? L'unica finalità è quella di rafforzare il teorema accusatorio nei confronti del Lecce e non si è avuta alcuna delicatezza nei confronti di questo giocatore». Chiacchio, infine, ha sottolineato che nell'avviso di chiusura indagini di Bari, Vives è stato completamente prosciolto.

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IL DIBATTIMENTO ALL’EX OSTELLO DELLA GIOVENTÙ

Portanova seguito in aula da moglie e figli

L'ex presidente del Lecce Semeraro: «Ci difenderemo fino alla morte»

di MARCO CALABRESI & MAURIZIO GALDI (GaSport 22-08-2012)

A Roma è nato, cresciuto e ha iniziato a giocare a calcio: a Roma, Daniele Portanova aveva rischiato di aver concluso (o comunque di aver seriamente compromesso) la sua carriera. Il procuratore federale Stefano Palazzi era stato perentorio: «La telefonata con Di Vaio è la prova della combine». Dieci parole che avevano capovolto tutto, compresa la fermezza con cui il difensore del Bologna aveva negato ogni contatto con Di Vaio. 54 secondi di telefonata, invece, avevano cambiato le carte in tavola per Palazzi e per il 33enne romano, tifosissimo della Lazio a tal punto da non esultare per un gol segnato alla squadra del cuore, con il fisico da corazziere ma diventato improvvisamente fragile. Se la caverà con la conferma del giudizio di primo grado: 6 mesi per omessa denuncia. Tutt'altra cosa rispetto alla richiesta formulata da Palazzi.

Famiglia al seguito È stato uno dei primi a presentarsi all'ex Ostello della Gioventù, Portanova, così come fu uno dei primi a presentarsi all'udienza di primo grado. Con una novità, rispetto allo scorso 3 agosto: la presenza della moglie Antonia e dei figli. Loro, per dimostrare amore al marito/papà in un momento così delicato, lui per far capire alla Corte che in questo processo non c'è in gioco solo la carriera, ma anche la vita, sua e di chi è rimasto fuori dall'aula. Ha assistito all'arringa accanto al suo legale, l'avvocato Gabriele Bordoni, ascoltando in religioso silenzio: attende l'ufficialità, ma il pericolo di doversi fermare per tre anni è scongiurato. «Non patteggio, sono innocente», disse nei giorni immediatamente successivi al deferimento.

Fine di un incubo? Non patteggiare potrebbe essere convenuto anche a Leonardo Bonucci e Simone Pepe, partiti all'alba da Torino e anche loro arrivati di buon mattino all'ex Ostello della Gioventù: dopo il «brivido» dell'impugnazione delle sentenze di primo grado da parte di Palazzi, i due juventini oggi potrebbero sentirsi fuori dai guai. Bonucci e Pepe già ieri pomeriggio erano in campo agli ordini di Conte: il difensore, sabato, inizierà regolarmente il campionato, il centrocampista dovrà ancora attendere per i postumi di un infortunio. Ma la felicità per il proscioglimento val bene anche qualche settimana di attesa.

Lecce Detto della difesa strenua dell'avvocato Katia De Nicola per Stefano Guberti (su Bari-Sampdoria), anche lui presente in aula come Bonucci, Pepe e Portanova («Se Guberti avesse voluto contattare Masiello, non sarebbe passato per una terza persona»), l'ex presidente del Lecce Pierandrea Semeraro rivendica lo spirito battagliero della sua città: «Mi auguro che i giudici abbiano letto bene le carte — auspica —. Noi, dal canto nostro, ci difenderemo fino alla morte». Ma basterà?

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Scommesse Il proscioglimento per Bonucci e Pepe sarà confermato, Di Vaio e Portanova inguaiati da una telefonata

Corte spaccata, ma Conte spera nello sconto

di ANDREA ARZILLI (CorSera 22-08-2012)

ROMA — La corsa alla sentenza taglia oggi il traguardo del secondo grado: la Corte di Giustizia federale non ribalterà i verdetti emessi dalla Disciplinare, in appello però potrebbero esserci degli aggiustamenti. Antonio Conte freme in attesa di conoscere il proprio destino dopo l'esperienza in aula al fianco del suo collegio difensivo: il tecnico spera di vedersi ritoccare la squalifica di 10 mesi arrivata in primo grado, uno sconticino frutto del lavoro ai fianchi con cui il pool legale bianconero è riuscito a minare la credibilità di Filippo Carobbio nella considerazione della Corte. Un po' la tesi della Bongiorno, quella dell'uso improprio del pentitismo da parte di Palazzi, un po' alcune contraddizioni inedite del pentito che l'avvocato della Juve, Luigi Chiappero, ha evidenziato lunedì nel corso del dibattimento.

In particolare, un riferimento estrapolato dall'episodio della riunione tecnica pre Novara-Siena ha aperto una discussione che potrebbe indurre i giudici a riformulare la pena accorpando le due omesse denunce con l'aggiunta dell'aggravante dovuta alla reiterazione. Il 10 luglio nell'interrogatorio in Procura Figc, Carobbio ha confermato sia le accuse verso Conte («ci ha detto di stare tranquilli»), sia, subito dopo, il discorso a effetto pronunciato dal tecnico prima del match: sono o non sono circostanze in contraddizione? Chiappero ha così definito l'episodio davanti alla Corte federale: «...è evidente — è scritto nelle memorie difensive — come il discorso motivazionale descritto da tutti i presenti alla riunione tecnica pre partita sia in antitesi a quello di un Conte che rassicurava il gruppo su un pareggio già concordato. Stride con la logica: una persona di buon senso non può prima rassicurare i suoi giocatori per un pareggio concordato e subito dopo impegnarsi in un emozionante discorso per spronare i ragazzi alla vittoria. Il discorso di Carobbio è illogico e come tale incredibile...».

La breccia aperta dà qualche speranza al clan di Conte, se non proprio per l'assoluzione (improbabile) almeno per una lieve sforbiciata con cui presentarsi ancora più fiduciosi davanti al Tnas. Per il terzo grado la Juve potrebbe richiedere la procedura d'urgenza e, se la corte presso il Coni fosse impossibilitata a riunirsi in tempi ragionevolmente brevi, non è escluso che a Conte possa essere concessa una sospensiva della pena. In altre parole il tecnico campione d'Italia con la Juventus potrebbe risedersi sulla sua panchina fino al verdetto di terzo grado e, quindi, scontare il resto dell'eventuale squalifica a partire dalla conclusione dell'arbitrato.

I verdetti di oggi investono anche vita e carriera di Leo Bonucci e Simone Pepe: per i due giocatori della Juve si va verso la conferma della sentenza emanata dalla Disciplinare il 10 agosto, un proscioglimento che li restituirà al campo una volta per tutte. Un po' più complessa sembra la situazione del Bologna, quindi di Di Vaio e Portanova: lì pesa come un macigno la telefonata negata dai due giocatori ma rintracciata sui tabulati. Per questo il club rischia forte il meno due.

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Oggi le sentenze del processo d’appello dei filoni di Cremona e Bari. Conte spera nello sconto

«Masiello è credibile»

Palazzi punta ancora sul pentito

Ma la Corte federale crede a Bonucci e Pepe si va verso la conferma del proscioglimento

di STEFANO CARINA (Il Messaggero 22-08-2012)

ROMA - Il processo-flash è già terminato. Ieri alle ore 17 il presidente della Corte di Giustizia federale, Gerardo Mastrandrea, ha chiuso la fase dibattimentale del secondo grado di giudizio del procedimento sul calcioscommesse: «Siamo chiamati a un lavoro oneroso ma cercheremo di far uscire il dispositivo entro domani». Camera di consiglio durata sino alle 23. Oggi, dopo nuovo incontro, le sentenze.

Rispetto a lunedì – quando era stato preso in esame il filone di Cremona - ieri per quello di Bari il procuratore Palazzi ha recuperato il ruolo del grande accusatore appellandosi contro le assoluzioni di Pepe, Bonucci, Salvatore Masiello, Belmonte, Di Vaio, la derubricazione in omessa denuncia del reato di Portanova, l’annullamento dell'ammenda all'Udinese e la cancellazione del -2 al Bologna, decise dalla Commissione Disciplinare in primo grado. L’intento di Palazzi, è stato soprattutto quello di restituire credibilità al pentito Andrea Masiello, allegando articoli di giornale, nell’impossibilità di produrre i verbali, «che dimostrano la validità delle dichiarazioni di Masiello, avvalorate da Lanzafame, alla Procura di Bari». Riguardo a Bonucci, invece, «il fatto che si trovasse in ritiro con la Nazionale non rappresenta un alibi – ha spiegato - Masiello aveva avuto modo di parlare della proposta alterativa in pullman». E su Pepe: «Anche sotto il profilo dell'argomentazione spesa in via subordinata dalla Disciplinare, ossia che il calciatore non avrebbe eventualmente compreso il contenuto della telefonata, non si può accettare. Se poi la Corte non ritiene che la proposta di Masiello a Bonucci e Belmonte non sia stata accettata, chiedo in via subordinata la derubricazione in omessa denuncia per i due». Pronta la replica del legale Bianchi: «Andrea Masiello si contraddice e mente. Bonucci è invece una persona credibile, come ha detto la Procura di Bari, che non lo ha mai indagato ma lo ha ascoltato soltanto come persona informata sui fatti. Per Masiello ci sono solamente contraddizioni. Inizialmente questa partita non esiste ma più avanti chiede di essere ascoltato nuovamente dalla Procura perché ha una sola preoccupazione: a fronte di un illecito contestato, non vuole rischiare il reato associativo. Ecco perché poi corregge il tiro, rivelando di aver parlato con i compagni di squadra. E quando gli viene fatto notare che Bonucci non poteva essere al campo, osserva che il colloquio era avvenuto prima della partenza per la Nazionale. Soltanto alla fine, ricorda di avere parlato con Bonucci sul pullman, nel viaggio verso Udine». Su Pepe, laconico il commento del legale Chiappero: «Non c'è la prova della telefonata fatta da Salvatore Masiello. Se non c'è, non c'è. Per questo il proscioglimento della Disciplinare va confermato in toto». E questo è l'orientamento della Corte Federale, almeno per i due calciatori della Juventus. Diverso, invece, il discorso per Conte: il tecnico spera nel forte sconto che qualora arrivasse non dovrebbe però essere superiore ai 2-3 mesi.

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Scommesse, oggi sentenza sull’appello: il tecnico spera che cada una

delle due omesse denunce costate dieci mesi di stop. Per Pepe e

Bonucci in arrivo un nuovo proscioglimento, trema il Bologna

Il verdetto

Conte appeso ai giudici

la speranza è avere

almeno uno sconto

Tra le ipotesi anche la conferma della sanzione di primo grado

o una riduzione lieve: 60 giorni. Gli emiliani rischiano 2 punti

di MATTEO PINCI (la Repubblica 22-08-2012)

Serviranno meno di 24 ore alla Corte di Giustizia Federale per emettere i propri verdetti. «Faremo in fretta», ha promesso il presidente Mastrandrea. Sarà di parola: il lavoro dei giudici nel procedimento d’appello al calcio scommesse è proseguito, dalla chiusura della seduta ieri alle 17, fino a notte, sempre negli uffici al primo piano dell’ex ostello del Foro Italico. In mattinata verranno rifiniti i dettagli, basterà attendere il pomeriggio di oggi per i dispositivi: sentenze definitive, ma che lasciano aperta la porta ad un ricorso al Tnas. Difficile aspettarsi clamorosi stravolgimenti rispetto al primo grado di giudizio: a sperare è soprattutto Antonio Conte, l’uomo simbolo del procedimento, l’allenatore della Juventus campione d’Italia travolto dal gorgo dello scandalo per il (doppio) peccato di omessa denuncia contestatogli dalla procura federale in merito ai trascorsi senesi. La difesa agguerrita di lunedì pomeriggio, sostenuta dai legali Bongiorno e De Rensis, oltre che da un agitatissimo Conte, potrebbe essere premiata con uno sconto dalla Corte rispetto ai 10 mesi di squalifica su cui si era pronunciata la commissione Disciplinare. Gli ottimisti sperano addirittura in una riduzione fino a 6 mesi di stop: il ricorso del tecnico della Juventus verrebbe accolto per una delle due omissioni (Albinoleffe-Siena?) con l’altra sanzionata per la pena minima prevista. E in un primo tempo la Corte avrebbe valutato perfino la possibilità di una sospensiva dell’applicazione fino alla descrizione delle motivazioni, 30 giorni di tempo, in attesa del ricorso al Tnas. Quasi inutile dire che i legali del tecnico brinderebbero per una soluzione di questo tipo, ma che con il passare delle ore sembra sempre più improbabile: come spiegarlo agli altri tesserati colpiti per omessa denuncia? Restano quindi in piedi anche le ipotesi meno favorevoli per il tecnico: conferma dei 10 mesi di squalifica, oppure sconto contenuto a 8 mesi di stop, se entrambe le omissioni venissero ancora riconosciute. Senza dimenticare la possibilità di nuovi sconti dal tribunale di arbitrato sportivo.

Mentre Conte era a Vinovo a preparare l’esordio di domenica, ieri in aula è stato il giorno – tra gli altri – degli juventini Pepe e Bonucci. Assolti in primo grado per Udinese-Bari del 2010, sono praticamente certi di ottenere un nuovo proscioglimento. Deve averlo pensato anche Palazzi, se in subordine alle richieste di 3 anni e 6 mesi per Bonucci (e Belmonte), è arrivato a chiedere un anno per omessa denuncia «nel caso non fosse riconosciuto l’illecito ». Un segnale di evidente debolezza. Ferma l’opposizione dei difensori nel ribadire le tante contraddizioni del pentito Masiello: «Siamo sicuri della forza dei nostri argomenti – ha detto Chiappero, legale dei due bianconeri – la sentenza parlava da sola». In ansia invece il Lecce, probabile la retrocessione in Lega Pro, e il Bologna di Portanova e Di Vaio: Palazzi sembra essere riuscito a capovolgere il successo dei due in primo grado (omessa denuncia e assoluzione) con i tabulati che dimostrano la telefonata con cui il difensore proponeva l’illecito al compagno, unico elemento di novità del procedimento: «Carella e Giacobbe ci hanno detto della telefonata, come facevano a saperlo? Di Vaio e Portanova invece negavano...», ricorda Palazzi. Il Bologna (rischio -2), in caso di lunga squalifica al difensore, è pronto a chiedergli i danni. Poche ore soltanto al verdetto della Corte.

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Conte, il giorno del verdetto

L’ottimismo della difesa

contro la linea dura della corte

Oggi la sentenza d’appello: il tecnico Juve spera in uno sconto

Ma rischia la conferma della condanna di dieci mesi

LO SCENARIO Camera di consiglio molto agitata: in arrivo motivazioni a sorpresa

SABATO IN CAMPO Per Bonucci e Pepe confermato il proscioglimento

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 22-08-2012)

Due giorni di dibattimento, una lunga (e accesa) camera di consiglio nella notte. Oggi i giudici della Corte Federale della Figc emettono i verdetti d’appello sul terzo processo scommesse da quando lo scandalo ha preso in ostaggio il calcio italiano e per la Juve si annuncia un risultato a metà. Per Bonucci e Pepe sembra essere naufragata la mossa del pm del pallone Stefano Palazzi (l’appello del procuratore federale contro il proscioglimento in primo grado dei due bianconeri verrà respinto), il destino di Antonio Conte potrebbe restare legato ai dieci mesi di squalifica decisi il 10 agosto.

Il caso Conte ha fatto discutere la corte per molte ore. E a pesare in negativo sul verdetto atteso per il pomeriggio sarebbero state due omesse denunce, giudicate dai giudici «pesanti»: da qui la possibilità che per l’allenatore il secondo grado non si accompagni a nessuno sconto, ma a sorprese nelle motivazioni che saranno rese note solo fra due settimane. Il pool difensivo di Conte puntava all’assoluzione e, se l’avvocato Giulia Bongiorno si è soffermata sul modo, del tutto inusuale, con il quale la giustizia sportiva utilizza le dichiarazioni di chi si pente e vuole collaborare, nel suo intervento il legale della Juve Luigi Chiappero ha sottoposto all’attenzione della corte nuovi elementi a minare la credibilità del pentito Filippo Carobbio. Come è possibile che Carobbio, nel suo interrogatorio del 10 luglio davanti agli uomini di Palazzi, abbia prima confermato le accuse a Conte per la sfida Novara-Siena («Ci rassicurò che c’era l’accordo per il pareggio...», disse agli investigatori federali), per poi ammettere subito dopo il discorso motivazionale del tecnico alla squadra? Chiappero lo spiega così negli atti della memoria per l’appello presentata alla Corte Federale: «...è evidente - scrive il legale della Juve - come il discorso motivazionale descritto da tutti i presenti alla riunione tecnica pre partita sia in antitesi a quello di un Conte che rassicurava il gruppo su un pareggio già concordato. Ma Carobbio, il 10 luglio, alla procura ricorda anch’egli il discorso motivazionale del tecnico... a tutto si può credere - continua Chiappero nella memoria purché quanto riferito non strida con la logica: è evidente come una persona di buon senso non possa prima rassicurare i suoi giocatori di un pareggio concordato e subito dopo impegnarsi in un emozionante discorso per spronare i ragazzi alla vittoria. Il discorso di Carobbio è illogico e come tale incredibile...».

Per il tecnico bianconero, in caso di condanna, ci sarà la possibilità di ricorrere presso il Tribunale Arbitrale dello Sport al Coni. In casi come quello di un allenatore che non può svolgere le sue funzioni, il ricorso al Tnas prevede la procedura d’urgenza: qualora la corte presso il Coni non dovesse esprimersi in tempi brevi, non è esclusa la possibilità della «sospensiva» che congelerebbe la squalifica di Conte fino al verdetto del tribunale stesso (in quel caso il tecnico potrebbe tornare in panchina e scontare il resto dell’eventuale squalifica una volta conosciuto il parere del Tnas). Complicata appare anche la posizione del Bologna che rischia due punti di penalizzazione.

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Oggi la sentenza

L’enigma Conte

sergente di ferro

che non sapeva

di TOMMASO LORENZINI (Libero 22-08-2012)

Oggi Antonio Conte saprà se gli ultimi tre mesi di difesa a tutto campo hanno convinto la Corte di giustizia federale. Sul tecnico della Juve pende la condanna di primo grado a 10 mesi di squalifica, dovuto alla doppia omessa denuncia sulle combine Novara- Siena (2-2) e AlbinoLeffe-Siena (1- 0). Conte ha fatto ricorso, ha modificato il pool di avvocati, ingaggiando la scatenata Giulia Bongiorno, ha rilasciato un’intervista fiume alla Ġazzetta, dove ribadisce la propria estraneità ai fatti, ma dalla quale emerge la fumosa complessità della vicenda.

A partire dall’ordinamento sportivo. «C’è una cosa che non rifarei se potessi tornare indietro: accettare controvoglia il patteggiamento. Non si patteggia l’innocenza anche se gli avvocati ti consigliano di farlo perché è un’opportunità e i rischi del dibattimento sono alti». Conte dunque ammette di aver commesso una sciocchezza, di essere stato indotto a chinare la testa. Ma se è pur vero che avrebbe potuto tenere la posizione e ribadire la propria pulizia senza scendere a patti, il peso della demenziale giustizia sportiva (è l’accusato che deve portare prove a sua discolpa) ha fatto propendere per un patteggiamento che, tradotto, significa andare incontro al male minore per poi giocarsi il tutto per tutto in sede di ricorso. Aver prodotto 15 testimoni a favore e sottolineato le contraddizioni del “pentito” Carobbio, infatti, non avrebbe garantito a Conte di cavarsela.

E se tuttavia il patteggiamento lascia perplessi, ma nei fatti somiglia a una sorta di salvagente, Conte prosegue l’intervista alla Gazza scivolando sui rapporti interni allo spogliatoio. Secondo la Procura di Cremona ci sono otto partite sospette del Siena di Conte. Ma se l’obiezione alle accuse di Carobbio appare fondata («Sarei stato così fesso da rendermi ridicolo e ricattabile da 25 giocatori?»), non quadra la successiva dichiarazione, riferibile anche al vice Stellini (condannato a due anni e mezzo e dimessosi dalla Juve): «Bisogna capire quello che è il mio rapporto con squadra e collaboratori: non sono amico dei giocatori, i ruoli sono ben separati. C’è sempre stato un timore reverenziale nei miei confronti. È un rapporto intenso, ma funzionale a un obiettivo. Fuori dal campo ognuno ha la propria vita. Ecco perché quel tipo di notizia non poteva mai arrivarmi e così sarà per il futuro. Se qualcosa è avvenuto, è successo alle mie spalle». Possibile dunque che sia stato possibile farla sempre sotto il naso a un sergente di ferro come Antonio?

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I bianconeri, campioni e favoriti, riaccendono non solo le rivalità storiche ma anche i grandi pregiudizi

Dai complotti ai favori, il derby infinito tra l’Italia che non sopporta la Signora e quella che la venera

Arsenico e nuovi scudetti,

tutti contro la Juventus

I nemici sono tanti, da Moratti a Zeman. L’ultimo è Mazzarri, dopo la Supercoppa

Eppure si dovrebbe tornare a pensare che è solo una squadra da battere senza cospirazioni

di GABRIELE ROMAGNOLI (la Repubblica 22-08-2012)

Una voce a reti televisive unificate trasmette un messaggio, rilanciato da tutte le radio, pubbliche e private, dai siti internet, dai display di ogni computer, tablet e smartphone del Paese. Questo: «Chi non salta juventino è!».

Un istante dopo un boato scuote la superficie della penisola, più forte di un terremoto: Venezia affonda, la Torre di Pisa si abbatte al suolo, la Sicilia ondeggia verso l’Africa. Tre quarti degli abitanti, incuranti e indemoniati, continuano a saltare sulle macerie. L’altro quarto sogghigna con aria di superiorità e sfreccia via su strade piene di crepe a bordo di una Fiat.

Fine del sogno. Inizio della realtà. Praticamente la stessa cosa.

Parte un campionato che sembra una partita: tutti contro uno, una contro tutti. Chi rosica juventino non è. Loro, felici e vincenti. Non importa come. Non è un’accusa: l’hanno scritto sul colletto delle maglie. Il resto: un coro di ingiustizialisti.

Ultimo venne Mazzarri, lacrimanti gli occhiali: «Quelli dei trenta scudetti». Prego si accomodi, aggiungi un posto a tavola.

Siedilo tra Moratti con il labbro tremulo mentre pronuncia anatemi sbagliando la formula e Galliani che rimira sul cellulare il gol fantasma di Muntari. Più in là c’è l’angolo dei riesumati. E’ tornato il Toro con la sua torma di autoflagellanti che invoca: «Ti prego, Signora: dacci un altro derby rubato». E’ tornato Zeman con il sorriso invisibile e la memoria lunga, il detective del nulla, capace di scoprire quel che tutti sanno. Ci sono quelli della Fiorentina, che se Prandelli andava alla Juve gli sputavano.

C’è tutta l’Italia defraudata, le miserande vittime del broglio elettorale che per evitare il re si son beccate quarant’anni di Democrazia Cristiana, se ne son liberate per trovarsi il Berlusca e adesso: ecco il passato che torna.

Per di più senza soavità, senza arrivederci nell’intervallo, orologi sul polsino, battute preconfezionate che gli scriba accovacciati appuntavano con delizia.

Son tornati i padroni, entusiasti di esserlo e di essere odiati per questo da quelli che non comandano, ossia tutti gli altri.

L’anti-juventinità è un sentimento facilmente spiegabile: si nutre di frustrazione. La Juventus non vince mai in modo normale. O attraversa il campionato imbattuta. Oppure lo conquista all’ultima curva mentre tu ti pianti con la Lazio, il Verona, o addirittura in casa con il Lecce. Oppure. Questo lo so, ma non lo dico. Perché sarebbe troppo facile offrire alla Juventus un nuovo nemico.

Giacchè la juventinità si nutre di questo, invece: avversari scomposti e rancorosi. Gente ferita che parte da un presupposto di ragione e finisce con la cospirazione giudaicoplutocratica — zebrata. La riprova che questa sia la kryptonite bianconera è facile: in Europa, dove non ha la benzina dell’altrui ostilità, la Juve fa molta meno strada. I suoi nemici non se ne rendono conto, ma è l’indifferenza l’arma migliore contro il presunto sopruso.

Certo, è difficile. L’Italia non è Paese di pro, si vive e si vota prevalentemente contro qualcuno o qualcosa, finendo per far dispetto a se stessi. Si gusta la gioia solo se condita con l’altrui umiliazione. Ho visto la Roma vincere un derby con quattro gol di Montella e nessuno era felice come quando lo decise un autogol del laziale Paolo Negro. Ho vissuto anni a Torino e sentito juventini eccellenti augurarsi di battere i granata «al novantesimo, con un rigore inesistente ».

Dopodichè si va in campo per ribaltare le aspettative, i risultati segnati e perfino quelli decisi da una fantomatica cupola. Niente è impossibile non è soltanto uno slogan pubblicitario. La Juventus è battibile come ogni altra squadra, magari occorre fare un po’ più fatica. L’errore supremo è concederle il privilegio di sentirsi, oltrechè squadra da battere, pregiudizio da abbattere.

In questo mondo di specchi rovesciati la sua dirigenza e la sua tifoseria han finito per diventare le più berlusconiane: denunciano complotti della magistratura, irriverenza dei giornali che non possiedono, riscrivono la storia. Ma soprattutto succhiano linfa vitale dall’altrui disperazione. Più forte della turbo Juventus di Conte (by Carrera) è la fiducia nei propri mezzi, nel destino, nella volontà degli uomini che si fa cronaca. Mio padre, per dire, smise di frequentare gli spalti dello stadio quando il Bologna fu sconfitto da un gol a suo dire non valido dello juventino Cinesinho. Questa scelta gli ha precluso di essere presente il giorno del tre a zero impreziosito da una rete di Paramatti. La Juventus non ha mai già vinto. Se non gliela dai vinta.

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Io mi ero accorto che al Sanpaolo c'era un virus

guardando l'allenatore del napoli.

Più che un virus però sembrava morso dalla taranta.

Tutti si chiedevano a quando le sentenze.

Date il tempo a quelli della Kazzetta di scriverle.

Ce le hanno anticipate.

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TORNA IL CAMPIONATO Il pallone si ribella agli scrocconi vip

Il calcio stoppa i politici: basta stadio gratis

Sempre più società vogliono tagliare biglietti e tessere omaggio alle autorità. Sostenute dai tifosi paganti

A PESCARA I consiglieri comunali: mica vediamo la partita, verifichiamo l’impianto

ALL’OLIMPICO Il Coni non rinuncia ai tagliandi da distribuire ai suoi tanti tesserati

di GIANPAOLO IACOBINI (il Giornale 22-08-2012)

La politica? Fuori dagli stadi. I politici pure, a meno che non paghino il biglietto. Sembra una battaglia contro la casta, che di suo non fa nulla per farsi perdonare eccessi e vanità. Più probabilmente è una risposta alla crisi di soldi e di immagine che soffoca il calcio italiano. È la crociata che diverse società pallonare, col beneplacito di tifoserie in sollucchero per l’unica manovra finanziaria ritenuta veramente equa, hanno lanciato contro i portoghesi del sabato e della domenica vestiti da onorevoli e consiglieri o da semplici approfittatori di uno status qualsiasi.

Lo stop più clamoroso, per quanto morbido, è arrivato ieri dalla Fiorentina, che ha tagliato biglietti e abbonamenti gratuiti, salvando dalla scure «quelli riservati alle categorie che ne hanno diritto in conseguenza di leggi, normative, o convenzioni». Ci provarono, un anno fa, anche Roma e Lazio, costrette poi a far di conto col Coni (proprietario dell’Olimpico), che alla sua prerogativa di donare coupon gratuiti non rinunciò. Ci riprova adesso il Pescara, che salito in serie A ha chiuso i rubinetti. «In B ­ spiega l’amministratore delegato Alessandro Acciavatti - avevamo in media 10.000 spettatori e potevamo concedere accrediti ai politici.

Ora la situazione è cambiata: su 20.650 posti, mille devono essere riservati alla squadra ospite. Poi ci sono gli abbonamenti e i biglietti in vendita, per i quali c’è fortissima richiesta». Niente spazio, dunque, a consiglieri e assessori, che non a caso non l’hanno presa bene. «Non rivendichiamo biglietti o abbonamenti gratis - argomentano i consiglieri pescaresi Renato Ranieri e Fausto Di Nisio - ma il rispetto dello Statuto, che dà la possibilità a consiglieri, assessori, sindaco e difensore civico di entrare nelle strutture sportive per verificare che non ci siano problemi». «Conosciamo la norma - replica Acciavatti - ma sarebbe opportuno che le verifiche fossero fatte quando non c’è la partita». D’accordo financo i «diversabili», che con Claudio Ferrante, presidente dell’associazione «Carrozzine determinate Abruzzo», accusano: «La casta non si è resa conto che qualche settimana fa i disabili si sono incatenati per protesta: grazie ai controlli imposti dallo Statuto, lo stadio è stato dotato di barriere architettoniche che fino al 2009 non esistevano».

Conflitti che non trovano eco a Foggia: le vicende societarie hanno sprofondato i rossoneri nella serie D, ma alla vigilia di Ferragosto la dirigenza foggiana ha cancellato le tessere gratuite sull’onda d’un sentire divenuto grido di battaglia: «Ogni biglietto gratuito rappresenta un’offesa a chi fa sacrifici per poter essere allo stadio a tutti i costi».

Sulla stessa lunghezza d’onda il lider maximo del Palermo, il vulcanico Maurizio Zamparini: «La mia gente è quella della curva e non quella della tribuna centrale che rappresenta i poteri forti. Anche per questo sto pensando di eliminare alcuni benefit come i biglietti omaggio in tribuna autorità».

Se son rose, fioriranno. E le spine saranno tutte per i tifosi a scrocco.

Di certo, volere è potere. E se a Foggia, volendo, riusciranno nel loro intento, clamorosi fallimenti si registrano a Cagliari e Milano. Nell’estate del 2011 il sindaco del capoluogo sardo, Massimo Zedda, s’era speso per cancellare i privilegi da stadio, togliendo ai furbi per dare agli studenti meritevoli. È durata un mese. Poi la società ha riaperto i cancelli agli esclusi in grisaglia o in divisa.

Simile, almeno nei risultati, quanto accaduto sotto la Madonnina: appena insediato, per sfuggire al pressing dei Radicali, il primo cittadino Giuliano Pisapia si era impegnato a fare di Palazzo Marino un’area no benefits. Come è andata? Al «Meazza» il Municipio s’è ritagliato, fra giugno 2011 e aprile scorso, 14.080 biglietti gratis per assessori, consiglieri comunali, presidenti di consigli di zona, dirigenti e funzionari. Ne solo stati usati solo 11.049. Forse perché davvero troppi, forse perché qualcuno ha preferito stracciarli. Tra chi ha imboccato la via dell’obiezione di coscienza, il consigliere radicale Marco Cappato. «In un anno - dice - ho restituito 100 biglietti omaggio per San Siro, per un equivalente di 15.000 euro. Da giugno li regalo con una lotteria. Dopo un anno di giunta arancione, però, sarebbe ora di riformare un sistema opaco che distribuisce oltre la metà dei tagliandi a persone i cui nomi neppure sono resi pubblici».

Il popolo del «lei non sa chi sono io» ringrazia e s’accomoda in tribuna. Giusto in tempo per un altro giro, un altro campionato.

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La svolta Al posto dei «portoghesi» gli studenti meritevoli

La Fiorentina: «inviti» dimezzati, di più non si poteva

Le forze dell’ordine fuori servizio continueranno a vedere la «Viola» senza pagare

di FILIPPO GRASSIA (il Giornale 22-08-2012)

È partita ancora dalla Fiorentina una di quelle piccole rivoluzioni che si prefiggono di scardinare un malcostume imperante in Italia nel calcio, e non solo nel calcio: lo scandalo dei biglietti omaggio che fanno chic e non pesano sul portafogli. A suo tempo la società gigliata diede vita al terzo tempo di stampo rugbistico, che non piacque ai soloni della Lega colta in flagrante passività, ma che ricevette una­nimi apprezzamenti dall’Uefa. Questa volta ha detto basta ai biglietti omaggio che permettono a una folla smisurata di questuanti di vedere «a gratis» le partite della Viola. Ma è così in tutta Italia.

Altrove i tifosi veri mostrano con orgoglio il ticket a pagamento che testimonia, più di qualsiasi altro fatto, l’attaccamento ai propri colori. Figuratevi se da noi i figli dei dirigenti comprano i biglietti come ho visto fare a Glasgow in una delle ultime apparizioni interiste in Scozia. L’idea della Fiorentina ha suscitato scalpore in un pae­se storicamente a caccia di ingressi gratuiti.

Perfino la Scala di Milano è finita nell’occhio del ciclone per questo motivo.

A firmare la novità sono stati i dirigenti viola Gianluca Baiesi e Gianfranco Teotino, direttore operativo l’uno, responsabile della comunicazione l’altro, sbalorditi dalla lunghissima lista di oltre 2mila portoghesi a partita che comporta non solo un notevole dispiego di energie, ma anche un esborso nei confronti della Siae. «E se ci dessimo un taglio?», si sono detti i due. «Andate avanti», la risposta dei fratelli Della Valle. Di qui l’avvio del progetto che ha già avuto dei prodromi l’anno scorso a Roma con una politica simile del club giallorosso.

«Ci siamo accorti - racconta Teotino ­che i posti migliori della tribuna principale erano occupati da parenti e amici di giocatori, dipendenti e autorità varie. I cosiddetti amici degli amici, all’incirca un migliaio di portoghesi sui duemila che entravano gratis allo stadio di Firenze.

È nata così l’idea di tagliare gli omaggi. E non si tratta solo di un problema economico, ma di un aspetto etico e sociale». E gli altri mille ingressi gratuiti? A chi spettano? «A coloro che ne hanno diritto, vale a dire istituzioni, enti, dirigenti federali, arbitri e così via. Ci sono poi molti rappresentanti delle Forze dell’ordine fuori servizio. Ma non possiamo farci niente». C’è ora il rischio che a Firenze la «lunetta» della tribuna riservata alle autorità presenti qualche buco. . . «Il pericolo non esiste perché in molte p­artite inviteremo gli studenti più meritevoli con la speranza che si portino appresso un buon ricordo e divengano domani nostri tifosi. Per questo la società si riserverà una dotazione d’inviti a fini esclusivamente sociali o promozionali».

E il rapporto con il Comune, a Firenze come in molte altri parti d’Italia, che ha sempre succhiato tanti posti? «La situazione s’è regolarizzata dopo la firma della nuova convenzione che permetterà alla Fiorentina di utilizzare lo stadio anche per organizzare eventi non sportivi, come concerti ad altissimo livello». Per la cronaca il canone, chissà perché rimasto nell'ombra, dovrebbe aggirarsi sul milione e trecentomila euro. Inter e Milan ne pagano 4 a testa per giocare a San Siro.

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il commento

FANTANTONIO, L’ULTIMO GIRO PER SENTIRSI RE

di GIUSEPPE DE BELLIS (il Giornale 22-08-2012)

Passerà per traditore, Antonio Cassano. Disse quella frase: «Non tradirò chi ha creduto in me. Se sbaglio, stavolta sono da manicomio». Eppure se ne va. Cambia maglia, non città. Cambia squadra, non casa. Un giro attorno a Milano per sentirsi ancora una volta attaccato: è il suo destino, la dannazione che si porta appresso da sempre. La fama dell’insofferente e dello strafottente: meritata e immeritata, vera e falsa. Cassano dal Milan all’Inter. Sta bene alle squadre, sta bene a lui, forse. Perché qualcuno dice che si sia già pentito: non di aver detto sì all’Inter, ma di aver cambiato maglia. Perché questa è la storia di un irrequieto cronico, di un ragazzo che cerca disperatamente il posto dove lo facciano sentire un re, di un giocatore che ha il talento del fenomeno e il percorso di un rompiscatole. Bari, Roma, Real Madrid, Sampdoria, Milan, Inter: per l’unica volta nella vita finisce sul mercato per interesse delle squadre più che personale. Perché passerà la storia «è lui che ha chiesto la cessione», ma è una verità parziale. Cassano è diventato uno strumento: una pedina di scambio, non per marachelle o per intemperanze, ma per un gioco di incastri in cui ci guadagnano tutti a vario titolo. Lui chiude un cerchio, è la chiusura della traiettoria della vita e forse arriva nell’unico posto in cui possa raccontare davvero la sua parabola: perché uno che si rivela al mondo con quel gol all’Inter del 18 dicembre 1999 e che subito dopo dice «ho segnato alla squadra per cui ho sempre tifato» prima o poi doveva arrivare lì.

È la banalità sacrale del pallone che mescola cinismo e retorica. Il dosaggio adesso pende sulla seconda: Cassano può compiere se stesso, può dirci chi è stato, chi è, e chi sarà. Quello che non sappiamo, perché il resto l’abbiamo visto e l’abbiamo sentito. L’hanno chiamato pazzo, genio, guascone, bullo, talento, irriverente, fastidioso, campione, volgare, ignorante, cafone, truzzo, sbruffone, antipatico, coniglio, eroe. In tredici anni i giudizi si sono mescolati, pendendo sempre un po’ di più per quelli negativi. Una classe da sempre messa in discussione dalla follia.

Dall’atteggiamento, come hanno sempre detto i suoi detrattori. E atteggiamento è la parola che ha sostituito negli ultimi tempi «cassanate». Cioè quegli episodi che l’hanno reso celebre suo malgrado. Le bravate in auto quando era ancora un ragazzino senza patente a Bari, il dito nel cappuccino di Batistuta a Roma, le corna fatte in eurovisione a un arbitro, le imitazioni di Capello a Madrid, la maglia lanciata in faccia a un altro arbitro a Genova, le offese al presidente della Samp, Garrone. L’ultimo? è quello sui gay, durante l’Europeo: «Mi auguro che non ci siano ƭroci in Nazionale». Non ne ha scontata una, Cassano. Molte se le è cercate, alcune sono state trappole. Quella storia del traditore è una fregatura che si trascina: da Roma andò via per incompatibilità, da Madrid perché non ha mai dato quello che avrebbe dovuto, da Genova per una follia. Amato molto e molto anche odiato. Ora lascia il Milan che l’ha coccolato e aspettato dopo l’infortunio che poteva metterlo fuori gioco per tutta la carriera. Non se ne va perché ha litigato con qualcuno, ma perché ha bisogno di sentirsi il più importante di tutti: poteva accettare di essere secondo a Ibra e a Thiago Silva. Solo a loro. Senza rancore, dice. Sperando che lo stesso pensino gli altri. Sa che non è così: i tifosi non accettano.

L’esigenza di sentirsi un re ha penalizzato Tonino. L’ha messo nella posizione di essere sempre il cattivo. Gli altri hanno fatto il resto: ci sono fenomeni intoccabili e altri che si possono strizzare. Cassano sta qui. È un obiettivo facile perché non dice mai la cosa più scontata, perché non sa cosa sia la diplomazia. Lui è così, e se ne frega. Voleva sfangarla da una vita complicata e l’ha sintetizzato così: «Mi sono fatto 17 anni da pezzente e nove da miliardario. Me ne mancano ancora otto per pareggiare». Nel frattempo il margine s’è ridotto: ne mancano quattro. Due di questi saranno all’Inter, dove ha firmato un contratto che prevede bonus per i gol, ma anche per gli assist, perché lui gode più a far segnare gli altri che a buttarla dentro. A trent’anni Cassano non ha ancora sviluppato tutto il suo talento. È lì, sempre all’inizio di un nuovo inizio. Succede sempre qualcosa che lo ferma, che lo inceppa, che lo interrompe. L’Inter è l’inizio della sua storia: colpo di tacco, palleggio di testa, finta, Panucci e Blanc a prendere farfalle, Ferron per terra, il pallone in rete. Aveva 17 anni. Si ricomincia da qui, a parti invertite. Forse non è l’ultima squadra, ma è l’ultimo giro.

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Il giornale di famiglia, oggi

Confermata la squalifica a Conte

Arriva la sentenza d'appello:

niente sconto per l'allenatore

Bonucci, Pepe e Di Vaio

restano prosciolti

La Corte di giustizia non avrebbe ridotto la squalifica al tecnico juventino, che ricorrerà al Tnas. Pepe, Bonucci, Belmonte e Salvatore Masiello restano prosciolti per Udinese-Bari. Respinto anche l'appello per Portanova e Di Vaio per Bologna-Bari.

Resta prosciolto Di Vaio e restano i sei mesi per omessa denuncia a Portanova. Il Lecce anche ha visto la conferma della sua esclusione dal campionato di B mentre è confermato il proscioglimento di Vives.

22 Agosto 2012, ore 10:22 [cronacaqui.it]

Calcioscommesse: dieci mesi di squalifica per Conte anche in appello, si salvano Pepe e Bonucci

E' stata confermata anche in appello la squalifica di dieci mesi inflitta in primo grado all'allenatore della Juventus, Antonio Conte. Assolti, invece, i bianconeri Pepe e Bonucci.

Si era concluso ieri nell'ex sede dell'Ostello della Gioventù di Roma il processo d'appello relativo al calcioscommesse. Lunedì il dibattimento si è concentrato sulle risultanze delle indagini di Cremona, con Antonio Conte come imputato principale. Ieri era toccato alla parte di inchiesta relativa alle indagini della procura di Bari. In aula erano presenti anche Simone Pepe e Leonardo Bonucci.

Per loro Stefano Palazzi aveva rispettivamente chiesto un anno di stop per omessa denuncia e 3 anni e 6 mesi per illecito sportivo. Entrambi i giocatori erano stati assolti in primo grado ma il procuratore federale ha impugnato la sentenza e fatto ricorso. Anche nel processo di ieri tutto il dibattimento si è concentrato sul ruolo e sulla credibilità del pentito. Carobbio per il caso Conte, Andrea Masiello per quanto riguarda le posizioni di Bonucci e Pepe.

«Andrea Masiello si contraddice e non dice la verità. Leonardo Bonucci è invece una persona credibile, come ha detto la Procura di Bari, che non lo ha mai indagato ma lo ha ascoltato soltanto come persona informata sui fatti». Ha sostenuto nella sua requisitoria Gian Pietro Bianchi, legale del difensore bianconero.

«Non c'è la prova della telefonata fatta da Salvatore Masiello. Se non c'è, non c'è. Eppure i magistrati l'hanno cercata - dichiara l'avvocato Luigi Chiappero, difensore di Pepe -. La ricostruzione fatta Andrea Masiello non quadra, è completamente sbagliata. Per questo la sentenza della Commissione Disciplinare va confermata in toto». Palazzi ha invece ovviamente difeso la credibilità dello stesso Masiello. A meno di clamorose sorprese si va verso la conferma della assoluzione per i due giocatori bianconeri.

Modificato da totojuve

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RACCONTO

Conte, la conferma è un'altra:

l'allenatore in panchina è inutile

I dieci mesi di squalifica che la Corte di Giustizia Federale ha ribadito nella sua sentenza di appello aprono per la società bianconera una prospettiva rivoluzionaria che farà probabilmente proseliti: l'assoluta inutilità di avere una allenatore in panca la domenica. Come dice Gianni Rivera, «è determinante solo quando le cose vanno male». Per guidare i giocatori la domenica è sufficiente un onesto impiegato del pallone che metta in pratica i dettami della settimana. La prima conferma si è avuta al trofeo Berlusconi, dove la Juve ha spezzato le reni a quei morti del Milan con Conte bellamente in tribuna.

di MICHELE FUSCO (LINKIESTA 22-08-2012)

E così, per la prima volta nella storia d’Italia, accadrà che una squadra di calcio sarà diretta da un fantasma, il fantasma dell’opera, in questa caso dell’operetta, trattandosi di pallone nostrano. E accade anche che oggi su Repubblica il nostro miglior cervello giornalistico applicato alla bisogna, e cioè Gianni Mura, declini con la massima serenità la sua unica favorita per lo scudetto prossimo venturo: la Juventus. Che a questo punto, restando al suo dotto pronostico, sarà anche la prima squadra che vestirà il prossimo tricolore senza coach in panchina. Se volete, è una rivoluzione benedetta e mai saremo grati alla giustizia sportiva che ha ribadito (sol con la voce dell’accusa) l’idea che il signor Conte dovrà restarsene in tribuna per tutta la stagione (Champions compresa) e con essa - questa la vera, grande novità - l’assoluta inutilità di avere un allenatore (in panchina).

Sull’utilità dell’allenatore, come di ogni allenatore, da sempre se ne sono dette di cotte e di crude. Epperò, mi attesterei su ciò che un bel giorno mi raccontò Gianni Rivera: «Un allenatore è decisivo solo quando le cose vanno male, perché a farle andare male lui contribuirà grandemente. Mentre nulla o quasi inciderà se le cose procedono bene, al massimo gli si potrà attribuire un venti per cento di merito». Naturalmente, il più grande giocatore italiano del dopoguerra in quel venti per cento comprendeva nulla di quell’inutile agitarsi in panchina. Ma evidenziava solo il lavoro precedente in settimana.

È proprio per questo che la Juventus dovrebbe essere fortemente contenta della conferma della condanna a dieci mesi, per il solo fatto che consentirà alla società bianconera di trasformarsi in una cavia straordinaria che probabilmente traccerà il nuovo solco sul quale molti altri si attesteranno: un buon professionista per la settimana che prepari la partita e poi nessuno in panchina, se non un onesto quanto preciso dispensatore di disposizioni pregresse.

Basta con quelle urla belluine, basta bottigliette scagliate a centro metri, basta patetiche scenette alla Mazzari & C., di cui l’Italia – ne siamo certi – potrà serenamente fare a meno. Ciò porterà inevitabilmente a una revisione dei contratti in termini economici, sottraendoli a quel patetico ricatto che vuole l’allenatore dominare la sua squadra solo dalla panca. Ora la domenica (più i martedì-mercoledì) se la godrà dalla tribuna. E guadagnerà come un buon funzionario di banca.

Del resto, l’assunto felicemente ribadito dalla Corte di Giustizia Federale ha già avuto una sua prima conferma: la Juventus ha autorevolmente spezzato le reni a quei morti del Milan con il suo allenatore tranquillamente posizionato tra il pubblico. Carrera ha eseguito, senza neppure uso di auricolare (vietatissimo e peraltro umiliante).

Per nostra natura, ci piacerebbe persino immaginare un ulteriore salto di qualità rispetto a questa nuova, esaltante frontiera, e cioè la sparizione totale dell’allenatore e la conseguente autogestione della squadra. O meglio, una figura tecnica resterebbe ma essendo il Belpaese anche il Paese dove autorevolmente soggiornano cinquanta milioni di allenatori, lo si potrebbe pescare - random – tra le categorie più diverse, per concludere che quello dell’allenatore non è un vero e proprio mestiere, ma solo un simpatico passatempo per milionari sin troppo considerati.

___

RACCONTO

La pena ideale per Antonio Conte?

Dieci mesi a colazione con Farina

Nella stessa giornata, l'Italia perde il buono e si tiene il (presunto) cattivo. In questa (apparente?) contraddizione c'è la sintesi di un Paese che cronicamente non riesce a trattenere le sue persone migliori: Simone Farina prende il volo per l'Inghilterra, dove viene chiamato a ragionare sull'etica sportiva applicata ai ragazzi, mentre Antonio Conte si arrocca nella sua più che ragionevole presunzione di innocenza. La giustizia sportiva si riduce a macchietta, i cittadini tifosi e non tifosi stentano a capire torti e ragioni, e il solito Andrea Agnelli, presidente bianconero, ripropone la stucchevolissima immagine della «caccia alle streghe».

di MICHELE FUSCO (LINKIESTA 22-08-2012)

Qui sul pianeta Italia, settore calcio, nello stesso giorno abbiamo consegnato un buono e un cattivo al giudizio della società. Il buono è l’ormai celebre Simone Farina del Gubbio, che con una certa dose di coraggio denunciò l’umiliante tentativo di biscottarlo. L’altro, il cattivo, è decisamente Antonio Conte, l’allenatore della Juventus, a cui la Corte di Giustizia Federale ha confermato in appello la squalifica a dieci mesi per omessa denuncia. La morale di questa storia rovesciata è che l’Italia si tiene il cattivo, cioè Conte, adorandolo come fosse il sangue liquefatto di San Gennaro, e lascia partire il buono, richiesto dall’Inghilterra per raccontare ai giovani dell’Aston Villa i quattro principi base della correttezza sportiva. Rimanendo così le cose, ne converrete, non sarebbe un grande affare per noi.

Se la perdita del «buono» è decisamente parte integrante della nostra storia, si pensava almeno che ci fosse qualche remora a considerare il cattivo ancora come il segno distintivo di un Paese. La sentenza che conferma la condanna al tecnico bianconero, da questo punto di vista non aiuta: gli si è tolto un pesante fardello, considerandolo totalmente all’oscuro della combine tra Novara e Siena, dove l’accusa gli metteva in carico anche il “discorsino” nello spogliatoio, ma lo si è duramente sanzionato per l’unica partita che restava, cioè Albino Leffe-Siena. Una domanda quindi viene in automatico: erano stati troppo teneri i giudici del primo giudizio che per due capi di imputazione gli avevano affibbiato dieci mesi, o sono troppo duri questi, che gli confermano la stessa pena per una sola «colpa»?

I conti che non tornano tra buoni e cattivi sono comunque destinati a lasciare il segno. Nel mondo delle persone normali, il bravo Simone Farina - che ha avuto tutti gli onori per poi finire dimenticato come un vecchio calzino - avrebbe avuto un compito molto delicato ma di grande effetto sociale: il rieducatore di Antonio Conte (se, naturalmente, anche l’ultimo grado di giudizio ne avesse sancito la colpevolezza). Proprio così: invece che allenare la Juve durante la settimana, come se niente fudesse, Conte avrebbe dovuto passare parte delle sue giornate insieme a Farina, fare tutte le mattine colazione con lui, parlando di sport, di etica, di rapporti umani, cercando di capire cosa gli era mancato, e perché non aveva imboccato quell’ultimo miglio che lo avrebbe potuto condurre alla felicità interiore e sportiva.

Invece nulla di tutto questo. Simone parte per l’Inghilterra e ne sarà comunque estremamente felice, perché – davvero – per un uomo di sport sapersi strumento di possibile crescita morale per i giovani ragazzi che si avventurano in questa disciplina è fonte di purissima gioia. Conte, invece, inevitabilmente resta. Resta perché si dice innocente e lotterà perché la sua (presunta) innocenza gli venga riconosciuta.

Se ci lamentiamo e molto della giustizia ordinaria, reclamandone a gran voce una decisa riforma, non possiamo che considerare quella sportiva alla stregua di purissima improvvisazione umana. Dove la mancanza di garanzie minime per gli imputati rende i processi semplicemente ridicoli, ma dove - soprattutto – è la mancanza di rispetto per il cittadini, tifosi e non tifosi, ad assumere i tratti della vergogna. Non riusciamo a farci la più pallida idea dei torti e delle ragioni, mischiati in dibattiti finto-giudiziari così sincopati da sfiorare la pochade. Così non è giusto e non ci piace. Come non ci piace, di ritorno, la protervia di chi s’inventa, sempre e comunque, una «caccia alle streghe». E ogni riferimento ad Andrea Agnelli, presidente bianconero, non è affatto casuale.

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Nell’anno della grande crisi, con campioni come Ibrahimovic e Lavezzi

che hanno lasciato l’Italia, le squadre sono obbligate a puntare sui

ragazzi: così si è abbassata l’età media e ci sono giocatori nuovi da

scoprire. Ecco Destro, El Shaarawy e Asamoah: da sabato tocca a loro

Largo ai giovani

La “spending review” del calcio ha portato a un taglio del 15% degli stipendi

Il Milan ha ridotto la rosa a 22 e ora in serie A chi guadagna di più arriva a 6 milioni

di MAURIZIO CROSETTI (la Repubblica 22-08-2012)

Il calcio salvato dai ragazzini? Stavolta forse ci siamo, più per necessità che per virtù. Il campionato della grande crisi parte sabato (ore 18 Fiorentina- Udinese, 20,45 Juventus-Parma), e parte più giovane: età media 25,8 anni, contro i 27,5 di appena dodici mesi fa. È una cifra importante perché inverte una tendenza che durava da oltre un decennio: l’infausto periodo in cui la serie A ha speso sempre più e si è ringiovanita sempre meno. Un anno fa di questi tempi, il Milan era la squadra più vecchia d’Europa: 30 anni di età media. Oggi, dopo cessioni e dismissioni, i rossoneri sembrano quasi dei bimbi: 26,1 anni, persino meglio della Juve tricolore (26,2).

L’ultima nazionale di Prandelli, sconfitta dall’Inghilterra tra applausi d’incoraggiamento, sembrava la foto di classe del liceo: eppure è da quei volti che bisogna ripartire.

La memoria del tifoso va tarata su nuovi parametri e nuove facce. Perché anche le grandi squadre si stanno levando un bel po’ d’anni, non solo le provinciali che puntano sul vivaio. E se il Pescara è la squadra più giovane del campionato (età media 23,8) mentre il Chievo è la più vecchia (28,8), seguita dalla Lazio (28,7) e dal Napoli (28,3), la gioventù è ormai un’idea da scudetto: Juve e Milan “ventiseienni”, ancora meglio l’Inter (25,9) e soprattutto la Roma (24,2): a ben guardare è un doppio segno di Zeman, nel Pescara che lascia e nella Roma che trova.

Nel 2011-2012, la serie A era il secondo torneo più vecchio d’Europa, peggio di noi solo Cipro. Oggi, invece, si può dire che tutte le squadre abbiano almeno un ragazzino al quale affidarsi. Molti di loro sono già titolari o stanno per diventarlo, anche perché parecchi ultratrentenni se ne sono andati, quasi sempre strapagati, lasciando posti liberi. Gli sceicchi sono gli altri, quelli veri, e non è detto che sia un male. Esiste una “spending review” pure in campionato, anche se forse ci siamo mossi un po’ tardi. Da noi, comunque, i campioni stranieri non vengono, e se possono se ne vanno: non ce li possiamo più permettere.

E se un ventunenne come Fabio Borini va dalla Roma al Liverpool per 18 milioni di euro, se un talento luminosissimo come Marco Verratti, 20 anni, passa dal Pescara al Paris Saint Germain, cioè dalla B italiana a un colosso europeo che ha in mente di vincere tutto, molti loro colleghi rimettono in equilibrio queste dolorose anomalie. L’uomo mercato dell’estate 2012 non è un brasiliano e neppure un inglese, ma un ragazzo di 21 anni che si chiama Mattia Destro e vale 16 milioni: ha giocato nel Siena, è stato riscattato dal Genoa, giocherà in prestito oneroso nella Roma. E lo volevano in tanti, dalla Juve all’Inter. Italiani o stranieri, purché con meno di 25 anni: la regola sembra questa. I nomi sono tanti, alcuni già affermati, altri in attesa di esserlo. Non passeranno inosservati Lorenzo Insigne (21 anni, Napoli) e Ciro Immobile (22 anni, Genoa), e neppure Manolo Gabbiadini (21 anni, Bologna). Non deluderanno Astori (25, Cagliari) né Schelotto (23, Atalanta), e neppure Andrea Poli, il regista (23 anni) appena tornato dall’Inter alla Sampdoria allenata da Ciro Ferrara, ex tecnico dell’Under 21, altra gioventù anche tra chi insegna calcio, un po’ come Stramaccioni all’Inter.

Ma per essere davvero nuovi, bisognerà dare più spazio ai cosiddetti “club-trained players”, come li chiama l’Uefa. Si tratta dei calciatori dai 15 ai 21 anni che abbiano giocato almeno per tre stagioni nel loro club di appartenenza: in Spagna sono il 24,7 per cento, in Italia appena il 7,4 per cento, e va da sé che anche in questa graduatoria siamo agli ultimi posti. Tuttavia, in attesa del campionato l’elenco delle novità è corposo e comprende talenti sicuri come Fabbrini (22 anni, Udinese), El Shaarawy e De Sciglio (ventenni del Milan), Asamoah (24, Juventus), senza dimenticare che un veterano come Sebastian Giovinco ha appena 25 anni, e il suo ritorno alla Juve è attesissimo.

Ritrovarsi meno ricchi e dover rincorrere la chimera del fair-play finanziario sono due motivi dell’inversione di tendenza: la serie A è schiacciata da due miliardi e mezzo di debiti (più 14 per cento rispetto al 2011), è ancora in parte sporcata dallo scandalo delle scommesse e continua a tenersi in piedi grazie ai diritti televisivi (560 milioni solo da Sky). Se no trova risorse nei vivai, è destinata ad un’eclisse progressiva. Senza Ibrahimovic (20 milioni), Thiago Silva (42) e Lavezzi (30), il campionato avrà pure perso fascino e un po’ di peso specifico a livello tecnico, ma il Milan ha raggiunto il pareggio. I giovani sono una risorsa, un’occasione da sfruttare bene. E poi costano meno: la serie A 2012-2013 ha già tagliato il 15 per cento di stipendi rispetto alla passata stagione, apprestandosi a chiudere il mercato con un attivo globale di 13 milioni di euro; si pensi che i nababbi inglesi hanno un disavanzo di 230 milioni, anche se possono contare su 3,7 miliardi di euro dalle tivù fino al 2016. In quanto a debiti, però, non li batte nessuno, un po’ come in Champions League. Invece la Liga spagnola, sebbene ricchissima di fenomeni, è a un passo dal fallimento.

Nell’ultimo mercato italiano, 169 giocatori sono stati ceduti a una cifra complessiva di 664 milioni di euro, a fronte di un risparmio sugli ingaggi pari a 495 milioni. Di sicuro non siamo più i “ricchi scemi” d’Europa, forse perché non siamo più ricchi e basta. La classifica di spesa all’ultimo mercato è stravinta dal Paris Saint Germain (la proprietà sta in Qatar) con 140 milioni di euro, davanti al Chelsea (80). La Juve, cioè il club che in Italia ha speso di più, è a 46 miliardi, una decina in più della Roma. Le “rose” della serie A sono più giovani e smilze: Berlusconi ha preteso solo 22 giocatori in prima squadra, e ha dichiarato di essere stufo di spendere una cinquantina di milioni a stagione per il suo Milan. L’abbassamento dell’età media equivale poi a una netta sforbiciata del monte-ingaggi. Il calciatore più pagato del campionato era Ibrahimovic, con i suoi 12 milioni di euro netti all’anno: partito lui, in cima alla classifica salgono Buffon, Sneijder e De Rossi con 6 milioni, tantissimi, ma pur sempre la metà dello svedese. E si tratta di contratti che non verranno più avvicinati da nessuno. Gli altri ricconi della serie A sono Totti (5,2 milioni), Milito (4,5), Pato (4) e Pirlo (3,5). Nessuno di loro, come si noterà, è un ragazzino: storie sportive e stipendi fanno ormai parte del passato, al limite di un presente sempre più breve. In confronto, la giovane stella Mattia Destro guadagnerà nella Roma un milione e mezzo all’anno più i bonus, non una miseria ma una cifra in linea con i tempi del nostro calcio. Tempi più poveri di denari, ma forse non meno ricchi di possibilità.

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L’intervista

L’ex ct e attuale coordinatore delle nazionali giovanili spiega perché siamo sempre troppo conservatori

Sacchi: “Trucchi, mestiere e furbizie

la nostra mentalità è ancora vecchia”

Abbiamo paura dell’insuccesso e questo ci condiziona: meglio l’usato sicuro che il rischio dell’inesperienza

Occorrono tecnici preparati e dobbiamo liberarci dalle polemiche che avvelenano tutto

di EMANUELE GAMBA (la Repubblica 22-08-2012)

Signor Sacchi, pensa che la crisi aprirà spazio ai giovani, se non per scelta almeno per necessità?

«Qualche segnale sembra che ci sia, ma ho notato che, appena cominciate le partite ufficiali, i ragazzi sono spariti dai tabellini. È difficile cambiare una mentalità cristallizzata».

L’Italia è un paese per vecchi?

«Siamo conservatori in tutto, anche nel calcio, che abbiamo trasformato, per attitudine e cultura, in uno sport di difesa. Si gioca per distruggere, e quello lo sanno fare meglio i giocatori esperti. Da noi furbizia, trucchi e mestiere sono componenti fondamentali; in questo contesto, un giovane si sente a disagio».

Di cosa avrebbero bisogno, invece?

«Il giovane è brillante, geniale, ha voglia di esprimersi, è generoso, altruista, ma gli manca la personalità che può costruirsi solo se viene calato in un progetto collettivo, non se deve lavorare per fermare un avversario».

Negli ultimi anni, però, il calcio italiano è più coraggioso, più spregiudicato: non crede che sia maturo anche un ringiovanimento?

«Se nessuno punta ancora sui giovani significa che quel progresso ancora non c’è stato. Alla base di tutto resta la paura dell’insuccesso, un modo di pensare che non si presta agli esperimenti. Si vive alla giornata, mentre con i giovani semini oggi per raccogliere domani. Ci vuole pazienza, organizzazione, competenza, ma se si perdono due partite l’allenatore rischia l’esonero. E quanti scelgono di rischiare, allora? Meglio l’usato sicuro».

È una situazione irreversibile?

«Siamo il paese che investe meno sui vivai. Eccetto la Juve, nessuno ha una vera accademia, non esistono centri di formazione. Grazie al volontariato e all’esperienza di qualche istruttore qualcosa produciamo, ma ormai siamo indietro anche rispetto a paesi come Austria e Svizzera. In poche parole, non crediamo nella cultura del calcio ».

A chi tocca il primo passo, alla base o al vertice?

«La Federcalcio si sta muovendo, ma le società ci credono ancora poco anche se cominciano a collaborare. Però nei vivai si investe ancora per vincere, non per formare. Dopo una partita non si chiede “come abbiamo giocato?” ma “abbiamo vinto?”. Però è una soddisfazione che Prandelli abbia convocato molti ragazzi dell’under 21, e non ha senso osservare che in questo modo gli azzurrini si siano indeboliti».

Non ha un segnale di ottimismo?

«Le società stanno cominciando a capire che non possono negare alle nazionali un ragazzo perché devono giocare un recupero di campionato. Si cresce soltanto confrontandosi con i più forti. In Federcalcio, con Baggio e Rivera, abbiamo introdotto due piccole ma utili riforme sui tornei Primavera e Allievi. Manca l’ultimo passo, cioè l’introduzione del campionato riserve».

Nasceranno centri di addestramento federali?

«Intanto, quest’anno le nazionali giovanili hanno giocato 85 partite internazionali, che sono un’ottima scuola. E poi stiamo cercando di impostare uno stile unico, dall’under 15 fino all’under 21. Vorremmo che anche i club si strutturassero in questo modo, senza puntare soltanto su difese accorte e contropiede. Ma c’è un altro problema».

Un altro ancora?

«Occorrono tecnici preparati, le società non possono scegliere soltanto ex giocatori o amici di qualcuno. Ai miei tempi il corso di Coverciano durava un anno, adesso trentadue giorni: eravamo tonti noi oppure oggi sono tutti fenomeni? Serve una riforma radicale, dobbiamo smuoverci da questo continuo scontro ideologico che ci distrugge. E prendere esempio dagli stranieri, anche da austriaci e svizzeri».

Abbiamo perso il treno del progresso?

«C’è stata un’evoluzione che non abbiamo seguito. Il calcio non è più specializzazione ma universalità, però noi non ci siamo aggiornati. E non parliamo delle strutture: in Olanda hanno campi per allenarsi favolosi, in Italia sono indegni persino in serie A».

I vivai sono pieni di ragazzi stranieri: è un buon segno?

«Spesso è solo un commercio sulla loro pelle. Tanti li prendono senza neanche averli visti prima, a decine. Mi diceva un bravo allenatore di una squadra giovanile che una volta ha dovuto mettere da parte un terzino italiano perché in quel ruolo gliene avevano comprati non so quanti. Che senso ha?».

E che senso ha scaricare i giovani fatti in casa e poi provare a ricomprarli anni dopo, come ha fatto l’Inter con Destro?

«Ma quelli sono errori, possono capitare. Quello che manca è l’idea. L’unico progetto delle nostre società è l’acquisto. Da un allenatore di una squadra che segna poco non ho mai sentito dire che bisognerebbe giocare meglio, ma che si deve comprare un centravanti».

E se quello che veramente mancasse fosse la materia prima?

«La Spagna ha vinto con campioni come Iniesta e Xavi, ma è fortissima anche a livelli di under 21, under 19 e under 17 perché alla base c’è un lavoro straordinario. Là stampa e tifosi criticano quando un allenatore trascura i ragazzi del vivaio, da noi è il contrario. L’opinione diffusa è che i ragazzi rischino di bruciarsi».

Non si bruciano?

«Mica sono pezzi di legno».

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Toh, ancora San Dulli

di ROBERTO BECCANTINI dal blog Beck is back 22-08-2012

Non sempre il Bongiorno si vede dal mattino. La corte di giustizia federale ha confermato i dieci mesi ad Antonio Conte e il proscioglimento di Leonardo Bonucci e Simone Pepe. Letteralmente smontata e ribaltata, viceversa, la sorte del Grosseto: dalla Lega Pro torna in serie B. Ribadite, anche, le condanne di Pesoli e, con strascico di molti dubbi (miei), Terzi.

In attesa delle motivazioni, ognuno tira la giacca dei giudici dalla sua parte. Il caso più mediatico è Conte. Conferma in toto della squalifica a fronte del «taglio» di un'omessa denuncia (Novara-Siena). Dov'è la logica? Su www.repubblica.it Piero San Dulli, membro della corte, giustifica la decisione con il fatto che, a parer suo, l'episodio di Albinoleffe-Siena sarebbe ben più grave di quanto non sembri, e spiega di essere rimasto molto sorpreso dal tipo di deferimento scelto dal procuratore Palazzi (omessa denuncia), visto che ci sarebbero stati gli estremi per un atto ben «diverso», l'illecito.

Ricapitolando: Filippo Carobbio è stato ritenuto credible, non già su Novara-Siena, ma su Albinoleffe-Siena, partita sulla quale ci sono stati la confesssione e il patteggiamento di Cristian Stellini, ex assistente di Conte, poi dimessosi dalla Juventus. Stellini, a differenza di Carobbio, esclude Conte dal traffico criminoso. Secondo l'accusa, però, l'allenatore non poteva non sapere.

Spero di non aver saltato passaggi cruciali. Resto della mia idea: illecito o niente. Continuo a non credere nei complotti, mi limito a pormi alcune domande:

1) L'uscita di San Dulli, paradossalmente, inchioda anche, e soprattutto, Palazzi: come reagirà il procuratore federale ai sospetti di aver ammorbidito il capo d'accusa?

2) Perché lo sconto ad Alessio, vice di Conte, e non a Conte?

___

Conte. Accuse dimezzate, sanzioni

raddoppiate. «È la morte della logica»

La Corte di giustizia federale non crede a Filippo Carobbio, ma ri-condanna l’allenatore della Juve a dieci mesi di squalifica. Intervista a Antonio Corsa, blogger juventino.

di FRANCESCO AMICONE (TEMPI.it 22-08-2012)

Dopo la sentenza di inizio agosto, Antonio Conte è stato ri-condannato dalla Corte di giustizia federale a dieci mesi di squalifica per omessa denuncia di combine quando era allenatore del Siena. Una sorpresa? Sì. Anche per il bravo e sempre informato blogger juventino Antonio Corsa: «Una condanna del genere non l’aveva prevista nemmeno la Ġazzetta dello Sport», dice ironicamente a Tempi.it.

Una sentenza che conferma la precedente?

Nient’affatto. Dopo la ricusazione del patteggiamento, la Corte di primo grado aveva condannato Conte a dieci mesi per due irregolarità. Ora è stato condannato di nuovo a dieci mesi ma soltanto per una omessa denuncia, quella fra Siena e Albinoleffe.

Ma se si è dimezzata l’accusa, perché la Corte non ha cambiato la sanzione?

Mi ritrovo nel comunicato di Andrea Agnelli: «Si è deciso di uccidere la logica». Sembra trattarsi di una sentenza ad personam. Nonostante la commissione abbia accolto le obiezioni di Giulia Bongiorno, legale di Conte, giudicando inattendibile il grande accusatore Filippo Carobbio, e quindi abbia fatto decadere l’accusa dell’omessa denuncia nella partita fra Siena e Novara, ha deciso di raddoppiare la sanzione, chissà per quale motivo, dell’altra omessa denuncia.

Forse perché Juventus e giustizia sportiva si combattono in una causa da oltre quattrocento milioni di euro?

Forse. L’accanimento nei confronti di Conte è evidente. Come anche le disparità di trattamento. Altre procure stanno portando avanti inchieste penali su altre combine, ma non hanno mandato ancora nessun incartamento alla giustizia sportiva. Così alcune squadre andranno in campionato mozzate dalle squalifiche, per altre si dovrà attendere l’autunno, l’inverno.

La giustizia sportiva è a pezzi. Qual è il problema?

I motivi sono due. Il primo è semplice: che ci si basa nella sentenza su indagini penali che sono ancora in corso. Non ti basi su delle prove. Il processo sportivo difetta di garanzie. Poi per quanto riguarda le sentenze in questo caso, si è deciso di dare credibilità a pentiti. Lo si fa alternativamente. Alcune volte va bene e altre volte. Palazzi ha giudicato queste persone quello che sarà giudizio penale.

La soluzione qual è?

Il suggerimento viene un po’ da tutti: società, giocatori, allenatori, avvocati. Si deve poter controesaminare i pentiti al processo: questo è l’unico modo per comprovare le loro affermazioni. La procura sportiva avrebbe potuto farlo, ma non lo ha permesso. Il primo passo per risolvere il problema di questa giustizia sportiva. E poi, in generale, che si vada verso il modello della premier league inglese, dove ad amministrare il marchio e il campionato sono professionisti indipendenti dalle squadre e dalla federazione.

___

la Repubblica SERA 22-08-2012

il commento di MARCO MENSURATI

MA CONTE SI SALVERÀ

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LA SQUALIFICA DI CONTE: PROVE OSCURE, DIECI MESI DI BUIO

E se la pena che fa più male

fosse il digiuno televisivo?

di UMBERTO FOLENA (Avvenire 23-08-2012)

I fan juventini strepitano al complotto. I tifosi avversi denunciano il vittimismo bianconero. Tutto perché la Corte di giustizia federale ha confermato ad Antonio Conte, allenatore della Juventus – campione d’Italia e recente vincitrice della Supercoppa – la squalifica di dieci mesi.

Sentenza peraltro non definitiva, dovendo ancora pronunciarsi il Tnas ( Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport).

Oggettivamente, la vicenda non è chiara. La giustizia sportiva si pronuncia sulla base di convinzioni, anche senza prove provate, e deve fare in fretta. Ma è sempre stato così. Oggi la sentenza finisce in prima pagina e riscalda gli animi perché coinvolge la società calcistica più potente d’Italia, quella che muove più denaro, con più tifosi, più lettori di gazzette e più abbonati alle tv a pagamento. In passato, ad esempio sei anni fa, su convincimenti altrettanto e forse ancor più impalpabili, squadre meno grasse sono state penalizzate di punti, abbastanza per non disputare la Champions, con danni economici di decine di milioni di euro. Senza tanto chiasso.

Difficile esprimere pareri autorevoli. Per esserlo, dovrebbero esprimersi i non tifosi. Ma i non tifosi ignorano la vicenda, che anzi li infastidisce. E allora? L’unico dato incontrovertibile è la pena. Iniqua.

Assurda. Persecutoria. «Caccia alle streghe» grida Andrea Agnelli. Ma che pena è, e quale danno oggettivo comporta?

Conte è un allenatore. Un non addetto ai lavori potrebbe pensare: squalificarlo significa impedirgli di allenare, con grave danno oggettivo a lui e alla squadra. Ma non è esattamente così. Conte non potrà sedersi in panchina alla domenica.

E non potrà presentarsi davanti alle televisioni. Dal lunedì al sabato guiderà la squadra a tutti gli effetti, la allenerà, imposterà la partita, deciderà la formazione. Per un calciatore, la squalifica è l’esatto opposto. Durante la settimana può allenarsi ma alla domenica non può giocare.

Il danno per Conte è, dunque, oggettivamente irrisorio. Ieri ad esempio Beppe Bergomi, ex calciatore, campione del mondo 1982, che oggi vive rilasciando opinioni, rilasciava questa opinione: «La questione Conte peserà relativamente, visto che può allenare durante la settimana».

Addirittura c’è un Gianni Rivera che da sempre minimizza: a contare è il lavoro durante la settimana, alla domenica in panchina basta... basta un Carrera (meritevole d’ogni stima, sia chiaro), che ha guidato da bordo campo la Juventus nella vittoria contro il Milan al Trofeo Berlusconi.

Equa o iniqua che sia la condanna, il danno è davvero minimo. Per la squadra. E per l’allenatore? Guai a sottovalutare il dato più sottovalutato: il calcio è un giuoco (con la u) ma soprattutto uno spettacolo, che regala ai suoi attori fama – tanto effimera quanto inebriante – infilandoli in milioni e milioni di case italiane, europee, di tutto il mondo. Spettacolo che ha come protagonisti anche gli allenatori, affabulatori cortesi o scostanti, capaci di prendere a calci nel sedere un collega o a cazzotti un proprio calciatore. Nel bene e nel male, una popolarità da far perdere le traveggole. All’allenatore squalificato, chiunque egli sia – lo insinuiamo sottovoce – potrebbe mancare proprio quello che a noi sembra il contorno ma per lui è un piatto forte: il microfono con i fari e l’occhio goloso della telecamera. La diretta con primissimo piano, le smorfie, la battuta, la polemica, la fama che solo la tv può dare. Se non vai in tv non esisti più.

Ma è solo una bassa insinuazione.

___

L’analisi

SE LA GIUSTIZIA GENERA SOLO CONFUSIONE

di MARIO SCONCERTI (CorSera 23-08-2012)

Adesso l'errore è dovunque. Non si tratta di essere juventini o meno, contro Conte o a favore, problemi che non mi competono. Si tratta di un minimo bisogno di capire questi verdetti. Adesso è impossibile. Conte era stato condannato in prima istanza per due omesse denunce, dieci mesi di squalifica. In appello una delle omesse denunce è caduta, improvvisamente è diventata risibile. Carobbio non è più un teste attendibile, diventa logica la tesi per cui se uno accusa e gli altri venticinque smentiscono, hanno ragione i venticinque. Viene quindi cancellato il sospetto su Novara-Siena. Si può discutere su cosa sia cambiato rispetto a dieci giorni fa, ma sono parole. Un appello è fatto per riesaminare, sono diverse le teste che giudicano, diverse quelle che difendono, è giusto che tutto possa cambiare. Ma se cade un'accusa deve cadere anche la punizione conseguente. Conte nel girone d'andata ha preso dieci mesi di squalifica per due omesse denunce. Se un'omessa denuncia decade, devono scomparire dei mesi di squalifica, forse quattro considerate le aggravanti, forse cinque, ma qualche mese deve comunque sparire. Invece così non è, questo è lo straordinario. I giudici cancellano la colpa ma non cambiano la pena. Penso e auspico lo facciano in seguito, ma non l'hanno fatto adesso. Secondo paradosso. Uno dei giudici racconta in diretta radiofonica il perché dell'errore. Mai visto un giudice che esce da un tribunale e commenta la propria sentenza. Mai visto però nemmeno un giudice che spiega di aver lasciato inalterata la condanna perché nel frattempo è stato ravvisato un reato molto più grave. In sostanza Conte è stato prosciolto perché nel primo caso non c'era più reato, ma è stato ritenuto «inevitabilmente» coinvolto nell'illecito (conclamato) tra AlbinoLeffe e Siena. Mezza accusa è saltata, ma una ancora più grave sarebbe diventata evidente. Allora cosa si fa? Non si tocca nulla, tanto alla fine i mesi di squalifica sarebbero stati più o meno gli stessi. Inutile assumersi la responsabilità di cambiare accusa, aggiungerne una più grave, smentire tutti i colleghi. Si fa solo sapere che Conte e la Juve devono stare tranquilli perché avrebbe potuto andare molto peggio. Il risultato finale è che abbiamo solo colpevoli. Il procuratore federale Palazzi per aver sfiorato l'illecito di Conte senza avere avuto il coraggio di affrontarlo. I giudici di prima istanza perché hanno accettato le due omesse denunce proposte dal procuratore senza farsi venire altri dubbi. I giudici di appello perché hanno rovesciato il tavolo senza cambiare la partita. E infine Conte che ha sbagliato certamente qualcosa, ma non è ancora chiaro cosa. Si è parlato spesso in questi giorni di come cambiare la giustizia sportiva, l'unica forse veramente seguita dalla gente. Si è parlato di tempi e di mezzi, di opportunità impossibili, dimenticando gli uomini. Sono gli uomini che hanno coraggio o paura, che danno senso alle leggi, non viceversa. Non prendiamocela solo con il fine, prendiamocela con i mezzi. Cominciamo a cambiare gli uomini di questa giustizia, poi qualcuno valuterà davvero quanto sarà possibile cambiare la giustizia.

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Corriere dello Sport 23-08-2012

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Più calcio, meno calci

Chissenefrega della giustizia sportiva, siamo tutti colombiani

editoriale de IL FOGLIO 23-08-2012

Ma in fondo cosa vuoi che gliene importi ad Antonio Conte di quei dieci mesi di esilio dalla panchina inflitti dalla così detta giustizia sportiva per omessa denuncia d’una combine fra tante altre conficcate sulla schiena del mondo pallonaro italiano. Prestigio ferito, nemmeno un po’: la Juventus è la squadra più mascariata (e mascariabile) d’Europa, peggio della sua reputazione c’è giusto quella dei narcotrafficanti colombiani. Impedimenti tecnici, pochi. I modernissimi dispositivi tecnologici permetteranno all’allenatore bianconero di gestire i suoi atleti dalla tribuna, se possibile anche più rilassato e con una visuale di gioco da abbonato di fascia alta. I Campionati di calcio possono iniziare sereni, grosso modo ha pagato soltanto il Lecce, ci sono alcuni punti di penalizzazione disseminati qua e là, la Lazio (terza in classifica dopo colombiani e juventini) pare averla sfangata di nuovo; al massimo si registra la squalifica di qualche ex calciatore a sua insaputa, puliti e salvi invece i giocatori con gli sponsor facoltosi alle spalle.

Dice: ma allora mi avete preso un’altra volta per il ċulo? Dipende dalle aspettative. Se uno s’illude che la giustizia sportiva non sia la controfigura sfigata di quella penale; se uno ignora che le squadre italiane a vario grado ci provano tutte, come i Galli di Asterix che prima delle gare bevono dal calderone la pozione magica (poi vince quasi sempre Obelix, cioè la Juve, che da bambino c’è caduto dentro); insomma se uno se le cerca poi è chiaro che ci rimane male. Noi ovviamente apparteniamo a quest’ultima categoria d’ingenui: la sentenza di ieri ci ferisce in modo indescrivibile, ma è stata l’ultima presa in giro, un’eccezione banale ne siamo certi. Il calcio è puro e non rompeteci con le vostre ossessioni complottiste. Domenica si ricomincia. Buon Campionato a tutti, ai gobbi perfino.

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I GIUDICI BOCCIANO IL DISTRATTO PALAZZI

di TONY DAMASCELLI (il Giornale 23-08-2012)

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La cosa più miserabile di questa vicenda, che riguarda la condanna di Antonio Conte, sono le parole pronunciate da un giudice, Piero Sandulli, membro della corte di giustizia federale: «A Conte è andata bene. Se fosse stato chiesto l’illecito sportivo il rischio erano tre anni di stop». Dunque sappiamo che i giudici sono stati gentili e di animo buono, hanno risparmiato all’allenatore una condanna pesantissima che lo avrebbe praticamente tolto di mezzo in modo definitivo, tra la ola di una grande fetta di italiani che, comunque, si ritengono soddisfatti, come le tricoteuses dinanzi alla ghigliottina, di vedere rotolare una testa illustre, «odio la Juve» è uno slogan che piace molto, ad alcuni opinionisti e ad alcuni colleghi di Conte.

Le parole di Sandulli, in verità gia preannunciate dagli house organ dei magistrati, sono gravi ma svergognano il procuratore Palazzi e non Conte. È Palazzi lo sconfitto vero, nel suo ruolo di accusatore a metà, distratto o superficiale, di questa storia acre, è lui ad uscire battuto e spiazzato mentre l’opinione pubblica e i media si concentrano sui dieci mesi inflitti all’allenatore. È Palazzi ad avere creato confusione giocando su due tavoli, prima il patteggiamento, poi la richiesta di condanna pesante. Il campionato parte in un clima bastardo, la Juventus è ladra e disonesta, anche se i fatti contestati riguardano altri club, il resto del football ha le mani e i piedi puliti, come nel duemila e sei; la serie A e la B partono senza sapere ancora come andrà a finire, le procure continuano a lavorare, alcuni club non sanno se potranno concludere la stagione senza nuove penalizzazioni. Il totale dice che Antonio Conte è colpevole di non avere denunciato un illecito. È colpevole a metà ma la pena resta immutata. Sandulli si è sbagliato,non è andata bene a Conte. Se l’è cavata Palazzi. E i suoi sodali. E temo che siamo soltanto all’inizio.

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IL CASO

Conte, confermata la squalifica

l’ira della Juve che ha perso lo stile

di ENRICO MAIDA (Il Messaggero 23-08-2012)

All’interno del colletto le nuove maglie juventine esibiscono una scritta, una specie di motto della casa: vincere non è importante, è l’unica cosa che conta. Giampiero Boniperti rispondeva così a chi gli citava il barone De Coubertin. E si divertiva a spedire un centimetro a Dino Viola dopo il famoso gol di Turone annullato per un fuorigioco che non c’era. Allora almeno c’era stile. Oggi non più: basta ascoltare le accuse bianconere dopo la conferma della squalifica di 10 mesi a Conte. Ma si direbbe che la Juventus stia cercando di recuperare, insieme all’antica fierezza, quell’arroganza tipica dei forti che hanno sempre ragione. Dalla storia dei trenta scudetti reclamati in totale disprezzo di una sentenza sportiva, all’ironia carica di veleno nei confronti di Zeman passando per le schermaglie con il Napoli dopo la controversa vittoria di Pechino, è stato tutto un crescendo di dichiarazioni incendiarie, di toni minacciosi, di accuse al sistema. Andrea Agnelli, figlio di Umberto, sembra volere seguire le tracce di Antonio Giraudo che non a caso lo considerava legittimo erede al trono. L’operazione simpatia che il saggio e mite Cobolli Gigli aveva varato dopo la retrocessione d’ufficio in serie B, è stata clamorosamente rinnegata dalla nuova dirigenza anche se i sussurri di corridoio vorrebbero John Elkan su posizioni meno oltranziste.

Dal momento che sul fronte Marchionne le cose non vanno poi tanto meglio, il rischio è di alimentare tensioni difficilmente controllabili. Una cosa va detta chiaramente: la Juve non ha alcuna colpa per il comportamento di Antonio Conte che all’epoca dei fatti allenava il Siena. Ma la pretesa d’impunità, accompagnata dalla denuncia di trame oscure, diventa un fattore intollerabile. I dieci mesi di squalifica a Conte, confermati dalla commissione disciplinare, avrebbero dovuto indurre la Juventus a un rispettoso silenzio, se non a un omaggio di stima verso la magistratura sportiva che tra l’altro ha assolto Bonucci e Pepe. Perché si tratta di una pena tutto sommato lieve di fronte a un illecito accertato e ammesso, tra l’altro, dall’assistente di fiducia di Conte che per questo ha patteggiato una pesante sospensione. Per salvare Conte, questa è la verità, era stata inventata (ma poi tolta) un’imputazione che avrebbe fatto a pugni con i codici, la doppia omessa denuncia. Ci sarebbe da sorridere se non ci fosse da piangere.

La storia naturalmente non finisce qui. Anche perché la Federcalcio ha il dovere di deferire la Juventus così come Agnelli ha il dovere di indicare nomi e cognomi dei cospiratori che vorrebbero oltraggiare una Vecchia Signora. A proposito: sabato comincia il campionato.

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COLPI DI TACCO

Se per difendere la Vecchia Signora

si scomodano persino i terremoti

di MARIO BIANCHINI (IL ROMANISTA 23-08-2012)

Povera, vecchia signora. Ce l’hanno tutti con lei. Che diamine, almeno un po’ di rispetto per le regali rughe appesantite negli anni di fatiche “oneste”. Si sentiva il bisogno di un difensore d’ufficio che si opponesse a cotanto scempio. Esso è giunto puntualmente sulle pagine di Repubblica a rinvigorire arringhe stantie. È mancata soltanto la lacrima a conforto della bistrattata madama. Sono stati scomodati terremoti, Venezia che affonda, la Torre di Pisa che frana, la Sicilia che ondeggia verso l’Africa a raffigurazione di un quadro davvero sconcertante su cui campeggia una banda di scalmanati impegnati nella caccia all’uomo povero, indifeso, ma soprattutto bianconero.

Sarebbe troppo facile chiedersi perché tre quarti degli italiani, quantificati dallo stesso autore dell’articolo, siano così inferociti verso la signora, “leggermente” colpevole di aver manipolato scudetti e campionati sotto l’abile regia del fidatissimo Moggi. Infatti non lo faremo. Troppo ovvio, facile, scontato. Alla fine i “fischietti” radiocomandati e i loro misfatti, la storia dei 28, 30 e facessero pure 40 scudetti, sono diventati materia di folklore da trasferire nell’archivio della noia. Magari potevano risparmiarsi di ricordare il “pianto” di Mazzarri. Troppo fresco e clamoroso lo scippo, ultimo emblema del risentimento anti juventino.

Non è stato saggio neppure nominare Zeman, maldestramente definito “il detective del nulla”. Il poliziotto a “ caccia di fantasmi” ha fatto tremare la parte marcia del calcio italiano e se questa si risente e ancora ribolle di rabbia, significa che sta correndo il rischio di darsi la zappa sui piedi. Esattamente come ha fatto il sig. Romagnoli quando ha chiamato in causa la “frustrazione” che sarebbe terreno d’angustia per chi non indossa la maglia bianconera. Ti pareva che mancasse la definizione principe con cui dall’alto delle strapotere arrogante, in genere si crede di poter zittire il nemico. Mai trascurare la distrazione. Paradossalmente quella parola “infallibile” è un invito a nozze per lo scanzonato animo romanesco. Infatti è proprio l’atteggiamento irridente del popolo capitolino, specialmente se colorato di giallorosso, a creare un senso di frustrazione a bianconeri e valletti, sconfitti sul piano della sottile arguzia, sconosciuta sotto le loro tristi latitudini. Essi potranno vantarsi di aver vinto di più. Noi ci teniamo le nostre bacheche che “stranamente” non suscitano il rancore di oltre mezza Italia, forse perché i trofei sono “pochi ma onesti”, come dice un vecchio proverbio popolare.

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Oltre la sentenza. Il danno d'immagine dell'allenatore campione d'Italia costretto in tribuna

Un autogol per l'intero campionato

L'IMMAGINE ALL'ESTERO Il tecnico leccese sarà, suo malgardo, il

simbolo di un movimento che perde ogni giorno un pezzo di credibilità

di GIGI GARANZINI (Il Sole 24ORE 23-08-2012)

Incapace di accettare sportivamente un risultato, come si è visto in finale di Supercoppa da parte di De Laurentiis, a maggior ragione il calcio di casa nostra non poteva essere in grado di accettare serenamente una sentenza. I dieci mesi di squalifica ribaditi ad Antonio Conte per omessa denuncia confermano secondo la lettura del presidente Agnelli i peggiori sospetti sul conto di una giustizia sportiva che somiglia sempre più a una caccia alle streghe. Sono passati, con tutta evidenza, i tempi in cui a dettare la linea al giovane Elkann (in momenti ben più drammatici della storia bianconera) erano i vecchi saggi, Gabetti e Grande Stevens. La linea del giovane Agnelli sembra non da oggi rifarsi a Giraudo, senza negarsi di tanto in tanto qualche accento alla Marchionne.

Aspettando l'ultima parola, che spetta al Tnas e ancora potrebbe azzerare o almeno ridimensionare la sanzione, rimane il fatto che il massimo campionato partirà senza l'allenatore campione in carica. O meglio, con l'allenatore campione in carica costretto ai domiciliari sull'alto delle tribune e messo nelle condizioni - almeno teoriche - di non poter comunicare con la panchina. Libero di allenare durante la settimana: ma non di guidare la squadra sul campo. Una pena anche concreta, certo, ma soprattutto simbolica. Come già si è visto nelle prime uscite stagionali, quando con Conte in tribuna e Carrera in panchina la Juve ha funzionato a pieno regime ribadendo il suo rango di campione in carica e favorita netta per la stagione che va ad incominciare.

Più della Juve dunque, a rimetterci è ancora una volta l'immagine del nostro calcio. Perché quell'allenatore appollaiato lassù potrà anche essere la vittima di una sentenza ingiusta. Quantomeno intempestiva. Ma sarà nello stesso tempo e suo malgrado il simbolo, l'icona di un calcio parallelo che mina la credibilità di quello che continua nonostante tutto ad appassionarci. Come buona parte dei media di tutto il mondo hanno già cominciato a sottolineare a Pechino. E non mancheranno di ripetere per il resto della stagione.

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Rispetto delle regole

ma la giustizia sportiva

deve essere rivista

di ANDREA MONTI (GaSport 23-08-2012)

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Pena confermata, nonostante la più infamante delle due accuse sia caduta. Neppure il piccolo, prevedibile sconto che in appello nei tribunali calcistici non si nega a nessuno, o quasi. Per Antonio Conte le conseguenze dello scandalo scommesse restano pesantissime sul piano sportivo e, ancor più, su quello umano. Ora la palla è nel campo del Tnas, l'ultima istanza, ma intanto l'allenatore della Juve, l'uomo di ferro, sarà sempre un mezzo colpevole. Che non fa un innocente. Estraneo certo ai luridi maneggi degli zingari e di tanti giocatori, tra cui il pentito Carobbio che lo accusa. Ma colpevole per non aver denunciato i suoi in occasione di una combine.

Questa è la legge, questa è la corte, questa è la sentenza. Come abbiamo scritto più volte, la giustizia sportiva ha la sua logica e non spetta ai giornali fare giurisprudenza. Il che non vuol dire, tuttavia, rinunciare a commentarne gli esiti. Non ho elementi per dire che il pronunciamento della corte federale sia sbagliato, così come non posso essere certo che Conte abbia detto il vero proclamando la propria innocenza nella lunga e a tratti toccante intervista che abbiamo pubblicato due giorni fa. Del resto è stato lui stesso a disegnare il meccanismo che regola le reazioni dei tifosi: quelli juventini giureranno sempre sulla mia innocenza, gli altri continueranno a pensare che sono un corrotto.

Tentare di conciliare questi due opposti emotivi frugando nel dispositivo della sentenza è tempo perso, anche se non mancano elementi di contraddizione rispetto al giudizio di primo grado e alla ricostruzione di Palazzi, destinati a fare discutere a lungo. La testimonianza di Carobbio, infatti, non è giudicata credibile nel caso della famosa riunione tecnica di Siena-Novara ma è ritenuta valida nel caso di Albinoleffe-Siena dove, complice il suo preparatore Stellini, Conte "non poteva non sapere". Cade la reiterazione del reato ma restano i dieci mesi di squalifica, quando lo standard per un'omessa denuncia in tutti i casi sinora affrontati è sei mesi. Il giudizio, dunque, dev'esser stato rimodulato su un'aggravante di cui sarebbe opportuno conoscere nel dettaglio la natura. Mi auguro sia stata valutata correttamente. Se l'assoluzione di Pepe e Bonucci sgombra il campo dal sospetto - ingiustificato - di un complotto anti-Juve, sarebbe una vera jattura alimentare quello (il peggiore secondo Andrea Agnelli) di un accanimento verso il suo allenatore.

Le sentenze non si contestano, si applicano: lo dice un vecchio adagio, usato e abusato da politici e magistrati. Giusto o sbagliato che sia, l'effetto non cambia. Ma ora che le bocce sono più o meno ferme, non riflettere su quanto ci ha insegnato il caso Conte senza l'ipoteca morale del colpevolismo o dell'innocentismo per partito preso, sarebbe un'omissione imperdonabile. Si dice: la giustizia sportiva ha regole diverse da quella penale. Dev'essere più veloce e quindi è necessariamente più sommaria. In aggiunta, occorre ammetterlo, non ha strumenti di polizia, dipende in gran parte dai pm ordinari eppure ci azzecca quasi sempre. Ma se il calcio è parte della vita di una società, e tanta gravissima corruzione lo conferma, non vi possono essere due giustizie. Vengo da un'esperienza giornalistica dove il garantismo è un valore acquisito attraverso prove durissime, processi di mafia e di corruzione che hanno sconvolto il Paese. Abbiamo imparato, tutti insieme, che l'onere della prova spetta all'accusa e non all'accusato, che la credibilità di un pentito è verificata nel dibattimento, che il "non poteva non sapere" è una scorciatoia pericolosissima. Ciò non significa dire che Conte è innocente. Serve semplicemente a ricordare i principi fondamentali dell'habeas corpus che, da otto secoli, tutelano il diritto alla difesa. E l'idea stessa di democrazia.

La questione, come si vede, è più grande di un pallone. E se nessuno immagina di trascinare un giudizio sportivo per anni o di trasformare un tribunale federale in un luogo dove sfilano centinaia di testi, resta il fatto incontestabile che Conte è stato condannato senza mai poter guardare in faccia chi lo accusa. La stessa norma della responsabilità oggettiva che nel calcio è un deterrente importante, non può non tener conto di quanto la legislazione ordinaria dispone per qualsiasi società di capitali in materia di procedure, trasparenza e dipendenti infedeli. Insomma, occorre avvicinare la giustizia sportiva a quella ordinaria, senza paralizzarne il corso con regole eccessive o bizantine. Come si vede la materia non manca. Ci sarà il coraggio per affrontarla?

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PROCESSI CONFUSI

E URLA PERICOLOSE

di MAURIZIO CROSETTI (la Repubblica 23-08-2012)

Un processo a singhiozzo, una discutibile giustizia a rate, per di più personalizzata: in questo non si può non dar ragione alla Juventus. Il sistema giudiziario sportivo ha mostrato per lunghi mesi, chiusi da bizzarre sentenze, tutta la sua confusione e la necessità di essere non solo riformato ma ricostruito.

Se la premessa di Andrea Agnelli è condivisibile, le conclusioni lo sono assai meno. Il presidente del club più prestigioso d’Italia, con uno scudetto fresco e meritato sul petto, non può disconoscere così le regole di un sistema del quale anche lui fa parte. Non può gridare al complotto, alla caccia alle streghe, senza rendersi conto del pericolo: il calcio italiano, isterico e sospettoso, si avvia verso la sua stagione più incattivita, l’assaggio l’abbiamo avuto a Pechino, e non ha bisogno di altri detonatori. Si può cambiare un intero sistema giuridico, si può cambiare persino la Costituzione, figurarsi se non si può rimettere in sesto la giustizia sportiva: ma fino all’istante che precede la modifica di una legge, quella legge rimane sacra e si rispetta.

Quando le riforme diventano pretesti per battaglie politiche, c’è da stare in guardia. Lo spettro della giustizia sommaria è un vecchio trucco, lo hanno usato presidenti non solo di calcio, con esiti non sempre felicissimi. E comunque: possibile che sia sommaria solo la giustizia avversa? E’ stato forse barbaro e prevenuto anche il proscioglimento di Bonucci e Pepe? Il giovane Agnelli ha scelto lo stile populista del “tutti contro la Juve, la Juve contro tutti”, ma è meglio darsi una calmata. Gli stadi sono già abbastanza bollenti, non chiedono nuove occasioni di scontro.

E in mezzo a tutto questo marasma, che fa la Federcalcio? Tace. Il presidente Abete risponderà oggi, dopo avere meditato toni, virgole, sfumature, com’è nella sua pacata natura. Un assordante silenzio appena un po’ assente.

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L’incertezza del diritto

il gran caos di Palazzi

tra ombre e contraddizioni

Dai pentiti alle sanzioni, l’incoerenza dell’accusa

La sbandierata tolleranza zero con tante condanne dure a pesci piccoli. E mille dubbi

La fretta non è servita ad evitare che la A parta con 4 squadre ancora da giudicare

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 23-08-2012)

«Tolleranza zero e processi sportivi in tempi rapidi per fare pulizia e individuare tutte le responsabilità». Parlava così ad aprile di quest’anno il presidente della Federcalcio, Luigi Abete, in pieno scandalo giudiziario per il calcioscommesse, affidando e confermando la sua massima fiducia al procuratore Stefano Palazzi. Sono passati quattro mesi, due processi sportivi e quattro sentenze tra primo e secondo grado. È possibile fare un primo bilancio: c’è stata tolleranza zero? I tempi sono stati rapidi? Si è fatta pulizia e sono state individuate tutte le responsabilità?

TOLLERANZA ZERO

Antonio Bellavista, Mauro Bressan, Massimo Erodiani, Marco Paoloni, Cristiano Doni, Nicola Ventola, Giuseppe Signori, Stefano Guberti. Sono questi, a leggere i dispositivi della Federcalcio, i grandi colpevoli dell’inchiesta sul calcioscommesse. Giocatori di seconda fascia, ottimi calciatori a fine carriera, ex campioni. Tutto qui? E i campionati truccati? E le partite di serie A nelle mani di Zingari e singaporegni? Niente. Tutte invenzioni, evidentemente, dei giornali e delle procure antimafia. Ma anche di Andrea Masiello, il pentito all’80 per cento: Masiello dice la verità su Bari-Palermo (squalificati i compagni Parisi, Bentivoglio, Marco Rossi). Dice la verità su Bari-Samp (squalificato Guberti) e su Cesena-Bari (Belmonte). Dice sempre la verità, tranne quando parla di Bonucci e Pepe (Udinese- Bari) e di Giuseppe Vives (in Bari-Lecce). Per la cronaca: lo scorso anno, prima di essere arrestato, Doni fu squalificato un paio di anni per un’intercettazione nella quale qualcuno strisciava (“Do...”) il suo nome.

TEMPI RAPIDI

Abete e di conseguenza Palazzi avevano spiegato che bisognava fare in fretta con i processi sportivi per garantire che i campionati cominciassero quando previsto e senza stravolgimenti. Bene: il processo sportivo per Lazio, Genoa, Sampdoria e Napoli (per rimanere alle squadre di serie A) non è ancora cominciato. Le squadre sono a forte rischio deferimento e penalizzazione a stagione in corso: un colpo durissimo da un punto di vista internazionale, dopo la figuraccia di Schwazer, visto che due di quelle squadre sono iscritte a campionati Uefa.

PULIZIA E RESPONSABILITA’

Domenica scenderanno in campo calciatori che sono sospettati dalle procure italiane di aver truccato e venduto a criminali locali e internazionali le partite della propria squadra: Stefano Mauri, Giuseppe Sculli, Giuseppe Vives, giusto per fare i nomi dei calciatori più importanti. Non solo, in mezza Italia giocano (da Gillet a Ranocchia) calciatori sospettati dalla procura di Bari di aver assistito o partecipato alla spartizione di soldi nello spogliatoio per una partita venduta. Sull’individuazione delle responsabilità, emblematico è il caso di Antonio Conte: la procura di Palazzi lo ha fatto condannare a 10 mesi per due omesse denunce. In una l’omessa denuncia sarebbe consistita nell’aver detto alla squadra “pareggiate perché siamo d’accordo”, come a dire che se un allenatore ordina alla propria squadra di non giocare per vincere non commette un illecito. Ieri la disciplinare ha sbianchettato l’obbrobrio assolvendo Conte per questa partita (Carobbio come Masiello, avrebbe detto la verità su tutto ma non su Siena-Novara, ma questa è un’altra storia). Ma lo ha condannato ugualmente a 10 mesi per la gara con l’Albinoleffe. Stessa condanna rispetto al primo grado, ma per la metà dei reati. Due meno uno, insomma, fa sempre due.

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Una sola accusa,

ma più pesante

“Gli è andata bene...”

La Corte scriverà motivazioni “blindate”

“AlbinoLeffe-Siena poteva essere un illecito”

CREDIBILE A METÀ Il pentito Carobbio su Novara-Siena ha detto invece cose «illogiche»

di GUGLIEMO BUCCHERI (LA STAMPA 23-08-2012)

I conti non tornano. Lo dice la Juve, ma non chi ha cancellato dalla storia processuale di Antonio Conte una delle due accuse di omessa denuncia senza, però, modificare il peso della squalifica. «Gli è andata bene...», così Piero Sandulli, vice presidente della Corte Federale della Figc, già presidente quando il 25 luglio del 2006 su Calciopoli la corte emise i verdetti d’appello. «A Conte è andata bene...», ripete il giudice. Lo fa senza giri di parole perchè le toghe di secondo grado del pallone hanno avuto le carte processuali fra le mani per giorni e hanno deciso che anche se per una sola partita, AlbinoLeffe-Siena, fosse giusto punire il tecnico bianconero con la stessa sanzione con la quale la Commissione Disciplinare aveva condannato Conte, ma per due omesse denunce.

Novara-Siena è sparita dalle orbite perchè «illogico e incredibile», spiega Sandulli, è stato il racconto del pentito Filippo Carobbio. L’ex difensore del Siena ai tempi in cui Conte era sulla panchina dei toscani esce dal processo d’appello beffato, non creduto, messo in discussione come mai prima: come si può affermare che Conte annuncia l’accordo per il pareggio pre gara e, allo stesso tempo, urla in faccia ai ragazzi che in gioco quel pomeriggio dovrà esserci soltanto la vittoria? Non si può e la corte l’ha detto. Ma Carobbio, le sue ricostruzioni, hanno retto per l’altra partita, quella di Bergamo. E, a reggere, sono stati gli atti del deferimento del pm del pallone Stefano Palazzi e quelli delle motivazioni della Commissione Disciplinare, giudici di primo grado. «Se per Novara-Siena non abbiamo avuto elementi tali da giustificare l’accusa di omessa denuncia perchè sembrava curioso che un allenatore esperto come Conte va nello spogliatoio a dire che c’è l’accordo per il pareggio, per la gara con l’AlbinoLeffe si poteva ipotizzare qualcosa di diverso...», spiega Sandulli. Questo è il punto: la Corte Federale nel suo appello ha giudicato il coinvolgimento di Conte per la sfida di Bergamo tanto pesante da sfiorare un capo di imputazione più grave della omissione. «Se il procuratore federale avesse proposto l’illecito sarebbe stato accolto? Non lo so, ma probabilmente sarebbe stato più coerente visto la questione giuridica che si è posta...».

Per la Corte Federale, Conte sarebbe dovuto finire a processo per AlbinoLeffe-Siena con un’accusa diversa e più grave. E, per questo, i giudici di appello si preparano a scrivere le loro pagine di motivazioni - entro due settimane il deposito - a prova di Tnas, «blindate», intoccabili. Al Tnas, invece, guardano Conte e la Juve mentre ci si chiede se il tecnico bianconero sia uscito dal secondo grado più leggero per un’omessa denuncia cancellata, o in una posizione più aggravata da quanto giustificherebbe i dieci mesi per una sola partita. Di sicuro c’è la certezza che Carobbio non è più «uno e trino, quasi una divinità...», come affermato dall’avvocato Giulia Bongiorno nella sua arringa. Carobbio ha mentito, quindi la sua credibilità va pesata caso per caso: dicono i giudici. «A Conte è andata bene...», ripete Sandulli. Non poteva non sapere visto le ammissioni del suo fidatissimo collaboratore Stellini e AlbinoLeffeSiena è stata truccata: la Corte Federale così ha deciso.

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QUANTE OMBRE

La solita giustizia-barzelletta

del «non poteva non sapere»

I tribunali sportivi sono allo sbando ma regolano la quarta industria del Paese

La sentenza contro il mister bianconero serve solo a non delegittimare Palazzi

di GIAMPIERO MUGHINI (Libero 23-08-2012)

Confesso di capirci assai poco di questa sentenza nel processo d’appello contro Antonio Conte che conferma la condanna a dieci mesi pronunciata qualche settimana fa dalla Commissione Disciplinare della Figc. Nessuno sconto per Conte dunque e seppure la “omessa denuncia” dell’allora allenatore del Siena sia stata riconosciuta per una sola delle due partite in questione. Per AlbinoLeffe-Siena e non più per Novara-Siena, la partita di cui il “pentito” Filippo Carobbio aveva detto che Conte era entrato nello spogliatoio annunciando ai suoi giocatori l’inciucio con la squadra avversaria: e dei due casi imputati a Conte era questo il più grave, tanto che qualcuno aveva commentato la condanna in primo grado come benevola per avere configurato ai danni di Conte il reato di “omessa denuncia” e non quello (molto più grave) di “illecito sportivo”.

Cade l’accusa più grave (come ha subito notato Marco Mensurati sul sito de la Repubblica), cade la reiterazione del reato e pur tuttavia restano tutti e dieci imesi da passare lontano dalla panchina domenicale della Juve. E mentre il vice di Conte, Angelo Alessio, usufruisce lui sì di uno sconto di pena per lo stesso reato, da otto mesi scende a sei.

No, ci capisco assai poco. Anzi, ho l’impressione nettissima che la giustizia sportiva sia al rovinìo, e dire che è chiamata a giudicare i fatti dell’industria del football, un’industria tra le più importanti del Paese e per quello che mette in moto di euro e per quello che mette in moto di emozioni collettive.

SCELTA POLITICA

A meno di non intendere quella di ieri come una sentenza innanzitutto “politica”, nel senso di una decisione che mirava a non delegittimare oltremisura il pubblico accusatore della Figc Stefano Palazzi. E questo perché nella giustizia sportiva l’accusatore e i giudici appartengono alla stessa etnia, alla stessa tribù, allo stesso corpo professionale. Tanto è vero che nel corso di un processo sportivo non c’è un vero e proprio dibattimento, i testi addotti dalla difesa valgono infinitamente meno dell’eventuale “pentito” su cui poggia l’accusa, il tempo delle mini-udienze scorre rapidamente e bisogna decidere in tutta fretta altro che guardare il video della partita incriminata e da cui risulterebbe che fino all’ultimo minuto Conte vociava a che i suoi giocatori infilzassero gli avversari. No, non c’è tempo per guardare quel video.

La parola di Carobbio, l’attendibilità generale del suo racconto, il fatto (e qui sono d’accordo) che il suo racconto anti- Conte non può essere nato solo e esclusivamente da una frizione fra le due rispettive consorti, tutto questo nel processo sportivo è di per sé una prova, una tegola scaraventata in volto all’imputato. Non mi pare di star ragionando da “tifoso” e dunque come uno convinto in tutti i casi e a ogni costo dell’innocenza di qualcuno che veste i colori della Juve. Sono anzi d’accordo con quanto ha scritto ieri su Libero Tommaso Lorenzini. Che è debole l’ipotesi di un “sergente di ferro” quale Conte che non si avvede di quello che sta succedendo alle sue spalle, e che è stato ammesso da uno dei suoi collaboratori più stretti.

Solo che il “non poteva non sapere” è sinonimo di cattiva giustizia. In tutti i campi e in tutti i processi, anche i più drammatici. Ricordo di essermi trovato una quindicina d’anni fa in un salotto radical-chic in cui qualcuno affermava senza ombra di dubbio che Benito Mussolini “non poteva non sapere” dell’agguato mortale che un gruppo di delinquenti politici della destra francese avrebbe portato ai fratelli Carlo e Nello Rosselli, e dunque che Mussolini era corresponsabile di quel massacro in terra di Francia.

ZEMAN SERENO

Siccome conoscevo i polli che stavano in quel salotto, feci subito notare al mio interlocutore che se uno adopera il “non poteva non sapere” come un criterio dirimente della decisione di giustizia, allora com’è che lui e i suoi amici erano assolutamente convinti che Adriano Sofri non ne sapesse nulla di nulla dell’agguato mortale portato da un commando di Lotta continua al commissario Luigi Calabresi? Se il “non poteva non sapere” vale per Mussolini, allora vale anche per Sofri. E invece no, le questioni di giustizia e di verità sono molto più complesse.

E comunque restiamo ad attendere il terzo grado di giustizia, la decisione del Tribunale Arbitrale del Coni. Per adesso, e con il permesso di Zdenek Zeman (grande allenatore ma anche un impagabile cabarettista quando si tratta di lanciare veleno anti-Juve), Conte allenerà la Juve in settimana e guarderà la partita della domenica in tribuna. Buon calcio a tutti.

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TUTTOSPORT 23-08-2012

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Sandulli ha fatto parte della Corte che ha giudicato in secondo grado.Deontologia professionale, senso di etica ed orgoglio personale avrebbero voluto che evitasse di commentare le sentenze che ha contribuito a scrivere. Invece no, scende in scena con interviste televisive e gode di credibilità inferiore solo a Carobbio. Una scena disgustosa per chi è poi chiamato a giudicare....le pagliuzze negli occhi altrui ma non la trave nel proprio occhio. Daltronde conosciamo benissimo chi lo ha insediato su quella poltrona. La vergogna è un sentimento loro sconosciuto in compenso sono incompetenti.

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Domande logiche per persone illogiche

di SAL HUDSON (tifosisinasce 23-08-2012)

Non c’è limite al peggio. Mai e poi mai avrei pensato che qualcuno potesse raggiungere le estrinseche ed intrinseche congetture di messer Palazzi, eppure in Corte di Giustizia Federale ci sono riusciti. Prendendo tranquillamente in giro due dei principali fondamenti del pensiero umano: la logica e la matematica.

Per poter capire meglio come li abbiano stuprati, penso sia necessario riassumere il tutto sottoforma di ( poche ) domande, utopicamente dirette all’ onorevole illustrissimo venerabile dott. Sandulli e alla sua combriccola. Sperando che nella loro analisi delle carte ( ? ) ne abbiano tenuto conto. Nell’attesa delle motivazioni di questi obrobri giurisdisportivazionali ( stavolta la supercazzola ve la voglio fare io) , vi auguro buona lettura!

1)Come mai Conte, seppur prosciolto dall’accusa di omessa denuncia riguardo Novara Siena, si ritrova comminata la stessa identica pena del primo grado, quando le omesse denunce a suo carico erano due? ( Novara Siena ed Albinoleffe Siena). La motivazione di Sandulli non basta a giustificare tutto ciò, anzi lede i basilari principi del diritto. La pena non può essere riformata in negativo, se l’appello viene formulato dagli avvocati dell’imputato. Inoltre Conte risulta non indagato in ambito penale per frode sportiva. Come ben sappiamo, sin dal processo calcio scommesse degli anni ’80, Frode sportiva ( reato penale) ed illecito ( reato sportivo) sono strettamente correlati: Sandulli non può affermare che “Conte doveva essere deferito per illecito” quando non è neanche idagato, a meno che non si voglia scavalcare la giustizia ordinaria ( cosa ovviamente non fattibile). Per Bonucci questo principio è stato applicato, mentre per l’allenatore salentino no.

2) perché nonostante le motivazioni di primo grado affermano che esistono prove solamente dell’omessa denuncia di Conte ( e per il GIP di Cremona non esistono neanche quelle) , la Corte di Giustizia Federale ha considerato la gara Albinoleffe Siena come “illecito” ?

3) Per quale motivo Alessio, incolpato solamente per la gara Novara Siena, è stato condannato? Eppure la Corte di Giustizia federale ha considerato le parole di Carobbio in merito a questa partita quali menzogne. Nella riunione tecnica nessuno ha spronato nessuno a combinare il pareggio ( oramai è sportivamente e penalmente accettato), eppure Alessio viene condannato.

4) Possibile che nessuno abbia voluto verificare che l’Albinoleffe, prima della partita con il Siena, era già matematicamente sicuro dei playout? ( contrariamente a quanto sostiene l’uno e trino Carobbio)

5) Allo stesso modo, nessuno ha voluto constatare che Terzi è stato tirato in mezzo per un errore di Poloni? Oppure che Mastronunzio, contrariamente a quanto motivato in primo grado, è stato escluso sia per scelta tecnica ( dichiarazioni di Conte), che per infortunio ( sito del Siena), e comunque era un panchinaro?

6) Come mai le dichiarazioni di Stellini in cui venivano discolpati sia Conte che Terzi sono state omesse dalle motivazioni ?

7) Perché le motivazioni utilizzate per colpire Conte ( “non poteva non sapere”) non sono state utilizzate anche per Mondonico, data la condanna del suo vice Poloni?

Ci sarebbero moltissime altre domande da fare, ma mi fermo qui. Queste penso che bastino a far riflettere juventini o non juventini, o perlomeno a far capire ad un distratto lettore l’ingiustizia dell’operato di certa gente.

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Conte: poteva andare peggio, poteva piovere

di PAOLO PEGORARO dal blog PALLONATE (EUROSPORT.COM 23-08-2012)

Caos. Pochi altri termini possono descrivere meglio quello che sta accadendo nell'ambito della giustizia sportiva. Il tempo è tiranno. Sulla bilancia si sono esiti di carriere di singoli giocatori e destini d'intere squadre/campionato. Diciamolo: è un lavoraccio quello cui sono sottoposti gli organi di giustizia federale. Per di più in un clima arroventato: la difesa ad oltranza dei propri tesserati è l'unico credo. Condanne, mancati proscioglimenti: qualunque decisione contraria alle proprie più rosee aspettative viene impugnata come la più atroce delle ingiustizie.

Ma non voglio scadere nel più becero qualunquismo, è tempo di passare ai dati di fatto, al caso scottante del giorno, il mancato sconto all'allenatore della Juve. Un Antonio Conte scagionato dall'accusa di omessa denuncia per i fatti di Novara Siena - "quella nei confronti di Novara-Siena non abbiamo ritenuto che fosse un'omessa denuncia. Sembrava curioso che un allenatore come Conte si vada a mettere nello spogliatoio 'questa la pareggiamo' " dirà Piero Sandulli, componente della Corte di Giustiza Federale - ma non per la partita Albinoleffe-Siena, per cui è stato confermato il capo di accusa. Ad Andrea Agnelli è andata di traverso la conferma dei dieci mesi di qualifica per il suo allenatore. E giù a parlare di "giustizia sportiva", "barbaro provvedimento", addirittura di "caccia alle streghe". Se per le motivazioni di questo secondo grado di giudizio - e il conseguente ultimo grado sportivo del Tnas - dovremo attendere dai 16 ai 30 giorni, una voce autorevole può gettare più di una luce sull'intricata vicenda. L'abbiamo già citata. È quella del professor Piero Sandulli. Le sue parole: "A Conte è andata bene, forse più che sull'omessa denuncia, si poteva ipotizzare qualcosa di diverso. Illecito? Più coerente".

Palazzi, dunque, stando alle parole di Sandulli, probabilmente poteva osare qualcosa in più. Forse quella giustizia "barbara" è stata persino magnanima nei confronti del principale imputato - per tacere del totale proscioglimento di Pepe e Bonucci.

Detto questo, una ragionevole riforma della giustizia sportiva - invocata a gran voce da più parti - è più che mai auspicabile: ma fin tanto che rimane in vigore questa, ci vorrebbe una dose maggiore di buon senso: merce rara....

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Non sarà facile cancellare la macchia

nella sua carriera di allenatore

CONTRO CONTE - Ancora una volta i colpevoli diventeranno vittime e gli innocenti saranno i carnefici. E' un giochetto che già conosciamo dal 2006 e che avremmo tanto voluto non vedere più. E la strategia della Bongiorno, basata sull'insulto sistematico, ha indispettito i giudici

di STEFANO MASSARON (IL VOSTRO QUOTIDIANO 23-08-2012)

Che si decida, una buona volta, Antonio Conte. Perché è sempre troppo facile e bello ragionare con il senno di poi e dichiarare ai microfoni che «quella del patteggiamento è stata una scelta sbagliata» quando, ormai, si è al corrente dell’esito di quella scelta.

Che, non ne abbiamo alcun dubbio, sarebbe invece stata «saggia» e «ponderata» qualora il patteggiamento fosse stato accettato e i mesi di squalifica-fantasma — eh già, perché anche di questo si tratta — fossero stati soltanto tre e non dieci, come confermato oggi dalla Corte di Giustizia Federale.

Il fatto è che — per quanto possa essere giuridicamente non corretto — quando si accetta di patteggiare una pena inferiore di fronte a un capo d’accusa, equivale — per l’opinione pubblica e per tutti coloro che non sono addentro ai tecnicismi dei procedimenti legali — a un’ammissione di colpevolezza. E di questo l’allenatore della Juventus doveva tenere conto o, meglio ancora, se ci fidiamo delle sue parole, i suoi legali dovevano tenere conto.

La successiva marcia indietro, infatti, mediaticamente è rilevante quanto il celeberrimo due di coppe a briscola: parlare di errore strategico quando il novanta per cento degli italiani (me compreso) non riesce a operare il necessario distinguo tra richiesta di patteggiamento e implicita ammissione di colpa non è soltanto inutile, è anche francamente un po’ pietoso.

Anche la scelta di affidare la propria difesa a Giulia Bongiorno — famosissima per aver difeso, tra gli altri, Giulio Andreotti — e la strategia adottata da quest’ultima, ovvero l’insulto sistematico e aprioristico ai giudici e ai procuratori federali prima che avenisse il dibattimento, si va ad allineare con la prassi mediatico-giudiziaria a cui abbiamo assistito un po’ impotenti e un po’ annichiliti negli ultimi diciassette anni di politica italiana, ma con il calcio e con la giustizia sportiva ha ben poco a che fare e, probabilmente, non ha fatto altro che indispettire ulteriormente coloro che, alla fine, l’appello dovevano discuterlo e la pena dovevano ridurla.

D’altra parte, il personaggio-Conte, da tutta questa faccenda, esce sì intatto dal punto di vista sportivo, ma completamente a pezzi sotto ogni altro aspetto. Perché, se da un lato andremo incontro a un’altra farsa tipicamente italica, in cui la «vittima ingiustamente condannata» (virgolette d’obbligo) alla fine non sconterà proprio nulla di quella condanna perché potrà tranquillamente allenare la sua squadra durante la settimana limitandosi a sedere in tribuna la domenica, dall’altro non sarà facile cancellare anche questa macchia ulteriore da una carriera che definire «discussa» è riduttivo — a partire dalla militanza in quella squadra condannata e salvatasi soltanto per sopraggiunta prescrizione (eh sì) per abuso di sostanze illecite nel periodo dal ’94 al ’98.

Se poi la si butta in caciara totale, con dichiarazioni deliranti come quella incredibile di ieri in cui Conte è riuscito a dire che, se avesse «ucciso una persona, il tifoso juventino» l’avrebbe difeso «ma gli altri no», ecco che, ancora una volta, si perde completamente non soltanto il senso della misura, ma addirittura quel minimo di raziocinio che servirebbe per non trasformare sempre tutto in una guerra di megafoni e di fenomeni da baraccone, in cui a essere tirati in mezzo — e a farne le spese — sono sempre e soltanto i tifosi e quelli che, del calcio, hanno fatto la loro passione disinteressata.

Che poi anche i giudici ci abbiano messo del loro, confermando una sentenza che, almeno tecnicamente, doveva essere ridotta perché era venuto a mancare uno dei suoi presupposti, ovvero la reiterazione del fatto, non farà altro che esacerbare ancora di più gli animi. E, sono pronto a scommetterci, ancora una volta i colpevoli diventeranno vittime e gli innocenti diventeranno carnefici.

È un giochetto che già conosciamo dal 2006 e che avremmo tanto voluto non vedere più.

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Solo il risarcimento per Calciopoli

spiega un accanimento così feroce

PRO CONTE - L'errore è stato chiedere, un mese fa, il patteggiamento rispettando un impianto accusatorio paradossale. Il popolo bianconero è in piena mobilitazione e sabato, alla prima di campionato, i cori saranno tutti per la società e per il mister. Le dure parole del presidente Agnelli hanno lasciato il segno

di GIANLUCA SAVOINI (IL VOSTRO QUOTIDIANO 23-08-2012)

«Che nessuno faccia un passo indietro, società Juventus in primis! Il presidente Agnelli ha una parola sola e quindi noi tifosi staremo compatti vicini alla società e al mister Antonio Conte. Tutto il mondo del calcio sappia che tifosi e squadra saranno uniti fino alla fine, pronti allo scontro totale con questo sistema calcistico ormai prossimo all’implosione».

Le parole di Anna, storica tifosa organizzata e conduttrice di Radio Juve, rappresentano in maniera chiara il pensiero del popolo “gobbo” dopo la conferma dei 10 mesi di sospensione per il mister neo scudettato. A pochissimi giorni dall’inizio del campionato, il clima si sta surriscaldando in maniera eccessiva e sabato sera a Torino i cori saranno quasi esclusivamente imbastiti sulla difesa di Conte. La proprietà, del resto, non si è fatta attendere e Andrea Agnelli è andato giù più duro che dopo le sentenze di primo grado.

L’errore di chiedere un mese fa il patteggiamento è costato caro a Conte, che aveva seguito le richieste (rivelatesi sbagliate) della società. Su questo giornale avevamo già espresso il nostro pensiero contrario a qualsiasi patteggiamento e purtroppo la giornata ci ha dato ragione. Se qualcuno si illudeva che sarebbe stato utile mostrare accondiscendenza verso un impianto accusatorio paradossale, che andava a colpire Conte sulla base di un pentito non tenendo conto di altri 15 giocatori che invece sostenevano l’estraneità del tecnico juventino, ecco il risultato: Conte rischia di guardare tutta la stagione dalla tribuna.

E qualche corvaccio già regala consigli non richiesti del tipo: la Juve si sbrighi a convincere il mister sospeso a dimettersi e si trovi un altro allenatore. Non ci siamo proprio! Il popolo bianconero ha scelto di difendere il suo allenatore non per partito preso o per principio infantile. Il popolo bianconero difende Conte perché l’impianto accusatorio fa acqua da ogni parte e perché certe affermazioni di Palazzi contro Bonucci e Pepe sono più adatte al tribunale della vecchia Inquisizione che non ad un aula di giustizia sportiva.

« A simile malcelato accanimento si deve rispondere colpo su colpo, come si è giustamente fatto chiedendo 440 milioni come risarcimento danni per Calciopoli» è il pensiero comune che corre su tutti i siti web della tifoseria della Vecchia Signora. Già, il risarcimento per Calciopoli. Qualcuno potrebbe pensare (e lo pensa) che se il presidente bianconero avesse evitato di chiedere tale cifra, forse Conte sarebbe stato salvato. Come diceva qualcun altro, a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Soprattutto quando si parla di una giustizia calcistica che dal 2006 ad oggi ha dimostrato tutta la sua inadeguatezza e il suo doppiopesismo. Altrimenti avrebbe dovuto ascoltare anche i calciatori che hanno dichiarato la totale estraneità di Conte da Scommessopoli e non dar retta ad uno solo che alla fine, pur se reo confesso, potrebbe rientrare in campo molti mesi prima di colui che ha accusato e diffamato.

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Moggi: «Dieci mesi a Conte? Non è

giustizia sportiva, è un gran casino»

Intervista all’ex direttore generale della Juventus. Conte è «una persona corretta e trasparente». Abete «difende il procuratore Palazzi a cui ha già offerto ufficiosamente il rinnovo della carica»

di MASSIMO GIARDINA (TEMPI.it 23-08-2012)

I dieci mesi di sospensione all’allenatore della Juventus Antonio Conte sono stati confermati dalla giustizia sporiva che ha accolto le accuse del procuratore Stefano Palazzi. L’ex direttore della Juventus, Luciano Moggi, conosce bene Antonio Conte e, com’è noto, anche le dinamiche del tribunale del calcio.

Moggi, ad Antonio Conte la giustizia sportiva ha confermato i dieci mesi di squalifica…

Mi scusi, ma la devo interrompere. Quale giustizia sportiva? È più che altro una giustizia domestica o, perdoni il termine, un gran casino! Quando sei indagato non c’è bisogno degli avvocati, perché se hanno deciso a priori che sei colpevole, così sarai giudicato.

Beh, possiamo dire che il suo giudizio è già abbastanza chiaro.

Conosco Antonio Conte da molto tempo, sia nella veste di giocatore sia di allenatore, ed è una delle persone più corrette e trasparenti che conosca. Vorrei anche aggiungere che è un professionista caparbio e determinato nella sua voglia di vincere, come la sua carriera testimonia. Le squadre le fa correre e lavorare come pochi altri sono in grado di fare, proprio per queste sue caratteristtiche caratteriali. Insomma, questa sentenza è definibile con una sola parola: una vergogna.

Dove sta il problema, allora?

Come dicevo, la giustizia sportiva è domestica. Il presidente Giancarlo Abete continua a conclamare l’autonomia della Figc dagli interessi dei team, ma la verità è che il presidente è troppo compromesso con le cose del passato e tutte le nomine dipendono da lui. Difende il procuratore Palazzi a cui ha già offerto ufficiosamente il rinnovo della carica. Sottoscrivo le dichiarazioni di Andrea Agnelli di questi giorni e ripeto: è una vergogna.

Quindi il suo suggerimento è mandare via Abete?

Certo, ma no solo. Va riformato tutto il sistema: dalla Figc alla giustizia sportiva. Le faccio un esempio. Nel 2009 ci fu la partita Grosseto-Livorno e alla fine del primo tempo la squadra di casa vinceva 1-0. Nel secondo tempo è successo di tutto: cose mai viste del portiere del Grosseto che si è preso tre gol nel secondo parziale, risultato 2-3. Il presidente del Grosseto, Piero Camilli, ha capito subito che c’era qualcosa che non andava, ma la sua voce è rimasta un grido nel deserto dal 2009. È bastato un bugiardo qualunque per inguaiare il Grosseto che, grazie alla fermezza del suo presidente, è riuscita a spuntarla in appello.

Mi scusi, ma nella sostanza, cosa determina la colpevolezza o l’innocenza in questo campo?

Le faccio un altro esempio. Perché il Siena con tre giocatori squalificati per illecito ha preso solo 6 punti di squalifica e non è stata retrocessa? Grazie al suo direttore, bravissimo nelle pubbliche relazioni e in modo particolare in federazione.

Diretta conseguenza è che alla Juventus non sono dei bravi Pr?

Il problema della Juventus è che ha rotto da tempo i rapporti con la federazione. Aggiungo che hanno fatto un errore a proporre i patteggiamenti perché equivale a un’ammissione di colpa. Conte ha sempre detto di essere innocente e io gli credo.

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Andrea Agnelli e il sistema calcio italiano,

cronaca di un amore mai sbocciato

L'attacco di ieri del presidente della Juve dopo la conferma della squalifica di Antonio Conte è solo l'ultimo capitolo di una guerra strisciante tra i vertici della Juventus e le istituzioni calcistiche. Una battaglia combattuta a suon di comunicati stampa incendiari

di ANDREA BONINO (ilFattoQuotidiano.it 23-08-2012)

Ieri, a poche ore dalla conferma della squalifica di Antonio Conte per 10 mesi per omessa denuncia da parte della Corte di Giustizia Federale, è arrivata la reazione di Andrea Agnelli sul sito ufficiale della Juventus. Una lettera dai contenuti a dir poco incendiari, che vale la pena di riportare quasi integralmente.

“L’odierna sentenza della Corte di Giustizia Federale conferma i peggiori sospetti sulla vicenda che ha coinvolto Antonio Conte, per fatti asseritamente avvenuti quando egli era tesserato per altra società – ha scritto Andrea Agnelli – Per molti mesi ho osservato questa situazione con incredulità, accompagnata da un crescente sconcerto, per una giustizia sportiva che somiglia sempre di più ad una caccia alle streghe. Oggi la misura è colma: in presenza di una vittoria giuridica lampante, cioè il proscioglimento per l’omessa denuncia di Novara-Siena che ha fatto emergere le contraddizioni e le ritrattazioni ad orologeria di un ‘pentito’ interessato solamente a sgravare la sua posizione personale, si è deciso di uccidere la logica e di applicare in modo arbitrario una sanzione addirittura raddoppiata. Per mesi ho dovuto sentire le lezioni, provenienti da membri delle istituzioni e illustri opinionisti, che invitavano alla fiducia in un sistema di giustizia sportiva che, in assenza di prove riscontrate, si accontenta di celebrare processi sommari con tempi asimmetrici, caso per caso, filone per filone, forse persona per persona o peggio società per società, e con modalità barbare che non trovano cittadinanza in democrazia. Non solo: questo sistema brandisce dapprima il patteggiamento come facile via d’uscita in spregio al sentimento di giustizia del singolo, salvo poi rifiutarlo immotivatamente. Il sistema deve essere riformato dalle sue fondamenta – è il parere del presidente bianconero – Confido che gli organi di giustizia del Coni, cui con urgenza si farà ricorso, sappiano porre rimedio a questa profonda ingiustizia”.

Ma quella di ieri è stata solo l’ultima frecciata di una lunga serie da parte del rampollo della famiglia Agnelli contro il sistema calcio ed in particolare contro la Federcalcio. Un uomo che s’è sentito derubato, prima da tifoso e poi da presidente bianconero, di due scudetti da parte della giustizia sportiva nel 2006, di una squadra che aveva fior fior di campioni e che ora rischia, Tnas permettendo, di dover fare a meno anche del tecnico che ha riportato alla vittoria (scudetto e Supercoppa Italiana) la sua Signora.

Della serie: c’eravamo tanto amati. Un sentimento mai sbocciato e che difficilmente mai germoglierà tra le due parti visti i molti capitoli che hanno riempito la cronaca degli ultimi anni, sin dai primi vagiti del neo-presidente juventino che a pochi mesi dalla sua elezione comincia la sua battaglia con gli organi sportivi presentando, il 10 maggio 2010, un esposto ai presidenti di CONI e FIGC, alla Procura Federale e al Procuratore Federale Capo, per chiedere la revisione della decisione di assegnare il titolo di Campione d’Italia 2005/’06 all’Inter e pertanto la revoca del titolo medesimo. In attesa della risposta da parte degli organi competenti, a dicembre dello stesso anno Agnelli non perde tempo e ricorda a tutti cos’è stato per lui Calciopoli: “Un procedimento ridicolo. I legali mi hanno detto che non sono riusciti nemmeno a leggere tutte le carte”.

Dopo un anno di silenzio, a maggio del 2011, un’altra bordata: “Se la Figc ci mette più di un anno per rispondere al nostro esposto, allora forse non ha la coscienza troppo pulita”. Il 6 luglio dello stesso anno, alla presentazione delle maglie per la stagione 2011/12, il patron bianconero rincara la dose ed ha un presentimento: “Vogliamo parità di trattamento, ma il nostro timore è che si decida di non decidere: sarebbe la cosa peggiore. Si avrebbe la sensazione che chi giudica non sa prendersi le proprie responsabilità. Ora dalle motivazioni di Palazzi qualcosa di poco limpido emerge. Voglio rispetto per la Juve visto che noi l’abbiamo avuto per le istituzioni e siamo stati l’unica squadra ad aver subito ingenti danni patrimoniali da questa inchiesta”.

Detto, fatto: la richiesta viene respinta il 18 luglio 2011. Motivazione? “Mancano i presupposti giuridici”. Un mese dopo, ad agosto, il numero uno di corso Galileo Ferraris convoca i giornalisti a Roma per una conferenza in cui entra ancora una volta a gamba tesa: “La cosa incredibile è che si è dichiarata incompetente la stessa istituzione che ha lapidato la Juventus nel 2006. Lo stesso sistema che oggi è diventato anche garantista. Lo scudetto del 2006, che il commissario Guido Rossi ha recapitato all’Inter con atto amministrativo, lo hanno chiamato lo scudetto degli onesti, ma a questo punto è lo scudetto dei prescritti”. E la battaglia continua a colpi di frecciate.

A metà novembre l’ennesima stoccata: “Si è svolto un maxiprocesso nel 2006, quello di Calciopoli, in soli quattro mesi arrivando a pesanti condanne, mentre ci sono voluti 14 mesi per rispondere ad un esposto di otto pagine. Un esposto che per 14 mesi è rimasta lettera morta”. Agnelli prova persino ad aprire le porte al dialogo: “Chiedo a Petrucci e al nuovo ministro dello Sport, Piero Gnudi, di fare un passo avanti, di aprire un tavolo politico conciliatorio”. Ma non si presenta nessuno e nel frattempo anche il Tnas si dichiara incompetente: “Voglio ricordare che ero l’unico presidente presente all’udienza per la conciliazione: la Figc e l’Inter hanno mandato solo i loro legali”.

Ovviamente non finisce qui. La battaglia personale tra Juve e Federazione prosegue con animosità. Nello stesso periodo la Juve sferra l’attacco più violento alla Figc chiedendone il commissariamento e presentando al Tar del Lazio la richiesta di risarcimento danni di 443 milioni di euro per i comportamenti illegittimi della stessa federazione sul caso Calciopoli dal 2006 al 2011. E gli strascichi sono arrivati fino ai giorni nostri. Il 13 maggio 2012 la Signora, in una stagione non avara di polemiche (dai rigori non assegnati al gol non visto di Muntari), conquista l’ennesimo scudetto della sua ultracentenaria storia. Secondo gli juventini sono 30, per la Figc e la giustizia sportiva sono 28. Dunque sulla maglia dovrebbe comparire la terza stella. Ma alla presentazione delle nuove divise Agnelli non perde occasione per affondare il colpo e stuzzicare: “Noi contiamo e arriviamo a 30 scudetti, la Lega arriva fino a 28. E quindi abbiamo preso le due stelle e le abbiamo tolte dalla maglia perché non riconosciamo più il conteggio della Federazione”.

Dunque stelle coperte da una toppa e una scritta sul colletto: “30 sul campo“. Ma il presidente chiede anche “la revisione del codice di giustizia sportiva che oggi è piuttosto obsoleto”. Fino alle recenti bordate sul caso scommessopoli che ha coinvolto Conte. Prima dell’ultima nota sul sito ufficiale risalente a ieri, ce n’era stata un’altra (2 agosto) susseguente alla richiesta della Commissione Disciplinare che aveva respinto la richiesta di patteggiamento del tecnico juventino infliggendogli 10 mesi di squalifica poi confermati proprio 24 ore fa dalla Corte di Giustizia Federale. Anche in quel caso Agnelli non è andato troppo per il sottile: “La decisione della Commissione Disciplinare Nazionale della FIGC, che ha opposto un non motivato rifiuto al patteggiamento già ponderato e sottoscritto dal Procuratore Federale, è la testimonianza della totale inadeguatezza del sistema giuridico sportivo, vetusto e contraddittorio, e della Federazione in seno a cui opera. Constato che la Figc e la sua giustizia sportiva continuano a operare fuori da ogni logica di diritto e di correttezza sostanziale. E’ un sistema dittatoriale“. Juve e Federazione Italiana Giuoco Calcio: un amore che non sboccerà mai. E le frecciate non finiranno qui. L’eterno scontro tra le due parti, durissimo, a volte persino rozzo nei toni e nei modi, non terminerà. La stessa Figc ha risposto più volte sdegnata, minacciando il deferimento del presidente Agnelli. Ma il “peccato originale” fu Calciopoli. Da quel giorno la società di corso Galileo Ferraris si sente accerchiata.

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SPY CALCIO di F.BIANCHI (Repubblica.it 23-08-2012)

Palazzi pronto a dimettersi

Solo Petrucci lo difende...

Silenzioso Giancarlo Abete (parlerà domattina a Coverciano) e sbalordito dall'uscita del "solito" Sandulli, ecco che a difendere la giustizia sportiva interviene il presidente-sindaco Giovanni Petrucci. "Basta attacchi ai giudici, basta esibizioni muscolari: il lato peggiore di questo sport". Non cita la Juventus, è in ottimi rapporti con Andrea Agnelli, che ha sentito anche da Londra, ma non può accettare il tono di certi comunicati del club juventino. Il n.1 dello sport italiano è preoccupato per la pessima piega che sta prendendo il mondo del calcio (vedi anche la figuraccia in mondovisione di De Laurentiis a Pechino...), ma è altrettanto convinto che in autunno, quando si voterà in Figc, non ci sia alternativa a Giancarlo Abete. Però, sarebbe il caso che il buon Giancarlo iniziasse quel percorso di riforme che, per tanti motivi e per tante colpe (alcune certo non sue), ultimamente si è fermato. E sul fronte della giustizia sportiva c'è molto da lavorare: fra patteggiamenti e ribaltamenti, c'è il rischio di avvelenare la stagione (se già non è stata avvelenata). La superprocura così non ce la fa: non c'è ancora una risposta al caso di Genoa-Siena (22 aprile), lo scandalo della maglie tolte. Niente deferimento per le dichiarazioni della Juve e non si sa cosa verrà deciso per De Laurentiis che ha snobbato la premiazione della Supercoppa (cosa sarebbe successo in Uefa, per non parlare dell'Olimpiade?...). I processi del calcioscommesse vanno avanti a singhiozzo: a Napoli, Lazio e Genoa toccherà probabilmente verso ottobre-novembre. Abete era poco convinto dei primi patteggiamenti (come i 6 punti al Grosseto) ma non è intervenuto per evitare di sfiduciare la Superprocura: ma oggi a Roma gira la voce che Stefano Palazzi, sentendo poca fiducia nei suoi confronti (vedi persistente silenzio Figc), starebbe meditando di lasciare. Di dimettersi. Mi sembra strano, sinceramente, perché Palazzi è un combattente, uno che non si arrende mai e che prepara il suo lavoro con meticolosità da magistrato di vecchio stampo. Certo, ha commesso errori (vedi i 3 mesi di patteggiamento con Conte, sconfessati subito dalla Disciplinare): ma vale la pena lasciare adesso, a processi in corso?

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Ho visto cose di MAKKOX (ilPOST 23-08-2012)

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Le motivazioni

«Ammissioni di Stellini

e caso Mastronunzio

Ecco perché 10 mesi»

Secondo la Corte federale, per l'allenatore poteva

configurarsi l'illecito. Il giocatore del Siena sarebbe

stato messo fuori rosa perché contrario alla combine

«Carobbio non è bugiardo incallito né un soggetto di assoluta credibilità»

di MAURIZIO GALDI (GaSport 24-08-2012)

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Carobbio credibile, Carobbio mentitore abituale. Da troppo tempo sentiamo Procura federale e difese fare una sorta di ping pong che ha riempito le pagine dei giornali. Conte è stato prosciolto per Novara-Siena perché, secondo le motivazioni rilasciate ieri dalla Corte di giustizia federale, «Non si riesce a comprendere come il Conte abbia potuto pronunciare un discorso enfatico alla squadra, spronandola al massimo impegno in quella partita e, nella medesima occasione, dare conferma dell'accordo illecito raggiunto; né vale osservare, come fatto dalla Disciplinare, che si trattava di una combine che avrebbe, comunque, comportato un risultato utile per il Siena». L' accusatore Carobbio viene definito «non meritevole dell'etichetta di "bugiardo incallito" né di quella di soggetto di "assoluta credibilità"».

La condanna Il punto più atteso, ovviamente, riguardava la conferma della condanna a 10 mesi, soprattutto considerato che delle due omesse denunce ne era rimasta in piedi solo una. E qui si scopre che la convinzione che Antonio Conte meritasse la squalifica per la Corte di giustizia federale è maturata per le ammissioni di Stellini. Nelle motivazioni della sentenza, uscite in mattinata dopo che il giorno prima il professor Sandulli le aveva anticipate nella sostanza in un'intervista a radio Capital, si legge: «Come si avrà modo di evidenziare più oltre, Conte deve rispondere di omessa denuncia perché era pienamente consapevole dell'illecito, tanto da aver posto in essere un comportamento particolarmente significativo in proposito». E qui si scopre un altro punto che gioca a favore della costruzione accusatoria: l'aver messo fuori rosa Mastronunzio.

La dissociazione Certo è Carobbio a dire alla Procura federale che Mastronunzio si era dissociato dall'accordo per AlbinoLeffe-Siena «pretendendo» un analogo comportamento con l'Ascoli, sua ex squadra e in lotta per non retrocedere, e da allora finì in tribuna. A tal proposito, la Corte di giustizia federale scrive: «L'allenatore Conte, dopo aver preso atto di tale dissociazione, non convocò più, da allora e fino al termine del campionato, il Mastronunzio, sia per le rimanenti gare che per i relativi ritiri, consentendo solo che lo stesso partecipasse agli allenamenti. La predetta decisione (della quale, peraltro, Conte non ha fornito, in sede di audizione davanti alla Procura federale, motivazioni credibili, attribuendola, in un primo momento, a un infortunio del Mastronunzio del tutto inesistente, e, successivamente, al fatto che il predetto calciatore non avesse dimostrato un adeguato spirito di gruppo per avere rifiutato di trasferire il proprio domicilio da Empoli a Siena) poteva in effetti essere oggetto di valutazione anche in termini di contributo causale idoneo e finalizzato all'alterazione della gara, efficiente rispetto all'accordo già raggiunto mediante un'attività posta in essere fin dal termine della gara di andata».

Appunto alla Procura Secondo la Corte di giustizia federale, per l'allenatore Antonio Conte l'incolpazione poteva anche essere più pesante: «La responsabilità di Conte... poteva essere diversamente valutata, nella sua gravità, sia dalla Procura, che dai giudici di prime cure, in modo da poter configurare, ovviamente verificata la sussistenza dei presupposti, una fattispecie diversa e più grave di incolpazione». Più grave dell'omessa denuncia è l'illecito sportivo che prevede una squalifica di tre anni (più le aggravanti da dirigente).

L'indagine di Bari Sebbene il Procuratore federale Stefano Palazzi abbia solo fatto cenno all'inchiesta della Procura di Bari e dell'impossibilità di portare come «prova» in appello l'audizione di Lanzafame, la Corte di giustizia federale scrive: «Come noto, Stellini risulta, peraltro, coinvolto nelle indagini penali attualmente in corso da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari con riferimento a episodi di illecito sportivo che coinvolgerebbero la squadra del Bari con riferimento anche a una delle due stagioni sportive, quella 2008-2009, in cui la predetta compagine era allenata da Conte. Circostanza, quest'ultima, molto significativa atteso che Stellini è un fidato collaboratore di Conte e che suona come conferma del fatto che Conte fosse pienamente consapevole dell'accordo illecito intervenuto tra gli spogliatoi delle squadre del Siena e dell'Albinoleffe».

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Il dibattito _parlano gli esperti

La giustizia sportiva

deve essere riformata?

Cantamessa: «Diritto di difesa e contraddittorio allungano i tempi»

Coccia: «Stessa struttura presente in tutto il mondo»

Valori: «Serve una maggiore professionalità»

di MARCO IARIA (GaSport 24-08-2012)

Quando i toni si saranno abbassati e la ragione prevarrà sull'istinto, ci si potrà interrogare sui pregi e i difetti dell'ordinamento sportivo per tentare di migliorarlo e renderlo più rispondente alle nuove esigenze di un calcio che ormai muove un business miliardario. Il Coni, per la verità, ha già dettato dei principi riformatori che le federazioni dovranno recepire: massimo 90 giorni per un'inchiesta, che non può essere attivata oltre un anno dai fatti; non più di 15 giorni per un processo, che si svilupperà attraverso due gradi di giudizio (uno dei quali opzionalmente al di fuori della federazione di riferimento). Il calcioscommesse ha acceso i riflettori su istituti nati per rompere il muro dell'omertà: l'obbligo di denuncia, la figura del «pentito», i patteggiamenti. E posto l'accento sull'equilibrio sottilissimo che corre tra la necessità di chiudere i processi in fretta per non interrompere l'attività agonistica e la salvaguardia dei diritti di difesa. Su questi temi abbiamo chiesto il parere a tre fra i massimi esperti di diritto sportivo in Italia. Il comune denominatore delle risposte si può riassumere così: «Va bene fare qualche aggiustamento, ma non serve cambiare da cima a fondo la giustizia sportiva».

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1 La giustizia sportiva va riformata?

LEANDRO CANTAMESSA: «Dal punto di vista procedurale non credo che debba essere cambiata. La giustizia sportiva riesce a muoversi con gran fatica in una strettoia tra due esigenze confliggenti: il bisogno di celerità, ribadito dalla Legge 280 del 2003, e il rispetto di regole fondamentali, come il diritto di difesa e il contradditorio, che allungano i tempi. Peraltro, tutti i soggetti che operano nella giustizia sportiva lo fanno gratuitamente e svolgono un'attività meritoria».

MASSIMO COCCIA: «Si può fare un tagliando al codice di giustizia sportiva, ma non rivoluzionarne l'impianto. Ridurre il gap con il sistema ordinario vorrebbe dire allungare i processi. Magari si può rendere l'amministrazione più efficiente, impiegando più personale, ma sotto il profilo delle regole non vedo esigenze di cambiamento. La struttura della giustizia sportiva italiana è la stessa che c'è in tutte le federazioni in tutto il mondo. Per forza di cose si sacrificano una serie di garanzie, ma è così dappertutto. Anzi da noi c'è qualcosa in più: i giudici sportivi sono nominati e controllati da una commissione di garanzia, che assicura indipendenza e imparzialità. In un processo ordinario è normale che l'avvocato acquisisca le carte e si prenda mesi di tempo per studiarlo, in un processo sportivo no, ma vale sia per l'accusa sia per la difesa».

GUIDO VALORI: «Questo è un sistema che regge da decenni e dà risposte rapide. Non può e non potrebbe avere gli stessi metodi della giustizia ordinaria, come non può disporre intercettazioni, pedinamenti, perquisizioni. È giusto, comunque, approfondire le tematiche relative all'ordinamento sportivo perché le migliorie sono sempre possibili. Ciò di cui si ha più bisogno è che chi fa parte di questi organismi conosca obbligatoriamente il diritto sportivo. Si deve tendere verso una sempre maggiore professionalità, ma servono risorse da investire. Altro che 30 euro di rimborso spese».

2 Obbligo di denuncia, collaborazioni, patteggiamenti, diritti di difesa. C'è qualcosa da cambiare?

LEANDRO CANTAMESSA: «Capisco che l'obbligo di denuncia, come quello di deporre davanti ai giudici — che pure è contrario al quinto emendamento della costituzione americana — siano strumenti funzionali alla giustizia sportiva. Ma esistono regole che stanno al di sopra. L'obbligo di denuncia equivale a fare la spia ed espone il soggetto al rischio di calunnia. Tra gli istituti da modificare aggiungo la responsabilità oggettiva: è sbagliata, figlia di un tempo che non c'è più».

MASSIMO COCCIA: «I collaboratori di giustizia sono previsti anche dalle norme antidoping. Sta all'accusa e al giudice capire se un "pentito" è credibile, vagliarne accuratamente l'attendibilità; non è un problema di regole. È vero che c'è una compressione dei diritti della difesa, ma non dimentichiamoci che l'onere della prova ce l'ha sempre l'accusa. La differenza è che lo standard della prova è più basso nel diritto sportivo, che è un diritto disciplinare. Una spiegazione c'è ed ha a che fare con il bene tutelato: nell'ordinamento penale è la libertà personale, in quello sportivo lo svolgimento di una certa attività».

GUIDO VALORI: «Il procedimento sportivo offre ampie garanzie per una buona difesa, che può poggiare su differenti gradi di giudizio: ne sono una prova le numerose sentenze ribaltate. Quanto all'omessa denuncia, baluardo per la regolarità delle competizioni come il principio di lealtà e la responsabilità oggettiva, se la si abbatte si finisce per distruggere l'autonomia dello sport».

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IL RICHIAMO DI PETRUCCI:

FORTE, CHIARO E NECESSARIO

di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 24-08-2012)

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«Il calcio non può pensare di vivere senza regole o in spregio di quelle esistenti approfittando di casse di risonanza mediatiche». Lo dice Gianni Petrucci, senza mai citare Conte e la Juventus, al termine di una giornata in cui i toni sono tornati ad alzarsi oltre il livello di guardia. Aggiunge anche un'altra cosa, il presidente del Coni: «Ci vuole rispetto per giudici e arbitri altrimenti sarà il caos e questo il Coni non può consentirlo». Arbitri, come quelli del Tnas, Tribunale di arbitrato dello sport presso il Coni, che dovrà decidere in terza e ultima istanza sui famosi dieci mesi di squalifica di Conte, e che ha la strada aperta, una sola omessa denuncia e non più due, per una riduzione della pena. Andrea Agnelli nel j'accuse del giorno precedente («E' una caccia alle streghe»), più per convinzione che per calcolo si era addirittura affidato al Coni nella nuova disputa con la Federcalcio, ma forse col passare delle ore avrà compreso che diplomazia e bon ton sarebbe meglio riservarli alle istituzioni sportive in senso lato, e non ad personam.

Politicamente, l'intervento di Petrucci è la cosa più importante del giorno dopo la sentenza d'appello. Più importante delle motivazioni uscite a stretto giro di posta dopo le esternazioni (come minimo inopportune) del giurato Sandulli, più importante dei fuochi d'artificio di Conte e dei suoi legali in conferenza stampa. Il dispositivo della sentenza, lettura breve e di facile consultazione sul sito della Federcalcio, risponde a molti degli interrogativi che in questi giorni sono sulla bocca di tutti. Condivisibile o meno, è un testo chiaro, fermo restando che la giustizia sportiva e in particolare l'istituto del patteggiamento sono da rivedere. Il Carobbio che non è «un bugiardo incallito» ma nemmeno un tipo «assolutamente credibile», condizione necessaria e sufficiente per prosciogliere Conte su Novara-Siena, diventa solo un pezzo del mosaico di numerosi elementi (non ci spingiamo a chiamarle prove, altrimenti chissà che succede) che convincono invece la Corte di giustizia della non estraneità di Conte su Albinoleffe - Siena. Un match dove l'omessa denuncia è il minimo sindacale, da cui, con un briciolo di perfidia, la conferma dei dieci mesi di squalifica («Perché non si dica che siamo la Corte di sconto federale», ci ha confidato uno che c'era).

La passione con cui Conte si è difeso dinanzi a telecamere e taccuini è naturalmente degna del massimo rispetto. Quello che purtroppo il tecnico non ha riservato ieri a chi lo ha giudicato già due volte. Il richiamo al «popolo juventino», soprattutto, quasi a voler lasciar trasparire una sorta di strategia della tensione, non è piaciuto a Petrucci e naturalmente ad Abete, che oggi a Coverciano si toglierà qualche sassolino dalle scarpe. Per quanto ci riguarda, il documento-intervista di Conte con la Ġazzetta dello Sport dice quasi tutto. Quanto al solo errore che Conte si attribuisce, quello di avere in un primo tempo aderito da innocente all'ipotesi di patteggiamento, sarebbe bello se alla prossima occasione ne aggiungesse un secondo, sul quale certamente converrà: non essersi mai accorto, da allenatore del Bari prima e del Siena poi, di quello che accadeva alle sue spalle.

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scrittoreBianconero

E' GIUSTO CHE LA JUVE SI COMPATTI

NON CHE MANDI «IN GUERRA» I TIFOSI

di SANDRO VERONESI (GaSport 24-08-2012)

«Che ognuno faccia quel che deve. Che la vita continui normalmente». Sono le luminose parole che l'Imperatore del Giappone Meiji rivolse al proprio popolo all'inizio della guerra con la Russia, nel 1904: oggi suonano perfette per accompagnare l'esordio della Juventus nel campionato 2012-2013.

Perché è vero che ieri, nel corso della conferenza-stampa congiunta di Antonio Conte, Angelo Alessio e i loro avvocati, anche in risposta alle sconcertanti dichiarazioni del Vicepresidente Sandulli, e tenendo ben presente l'ovvia differenza di situazione e contesto, è stata dichiarata una guerra: la guerra che la Juventus F.C. ha deciso di muovere all'attuale Federazione Italiana Gioco Calcio e ai suoi organismi inquirenti e giudicanti.

Personalmente, da tifoso, sono rimasto colpito dal vigore delle dichiarazioni rese non già da Conte, ma dall'ultimo degli arruolati nel suo staff di avvocati, quella Giulia Bongiorno che a tratti è sembrata anche più accalorata e indignata di lui. E, sempre da tifoso, sono stato contento di constatare che la Juventus è rimasta compatta e ha deciso di combattere fino in fondo con avvocati così appassionati e competenti quella che considero un'ingiustizia.

Ma, allo stesso tempo, ho anche provato il timore che altri tifosi, sentendosi coinvolti in maniera eccessiva da quella dichiarazione di guerra, si mettano a combatterla. Guai. È una guerra legale, verrà combattuta nelle sedi proprie, secondo le regole vigenti, da avvocati di grande valore. Fine.

I tifosi devono fare altro, e ora che la parola torna al campo - un luogo dove ultimamente la Juventus è tornata a prendersi certe soddisfazioni - il loro apporto torna a essere determinante.

A patto però che nessuno cada nella trappola di mettersi a combattere quella guerra - con cori, striscioni e comportamenti che potrebbero nuocere gravemente alla squadra. A patto cioè che si limitino a tifare e a sgolarsi come l'anno scorso nello Juventus Stadium, facendone una fortezza inespugnabile. Appunto: «Che ognuno faccia quel che deve. Che la vita continui normalmente».

Il Giappone la vinse facilmente, quella guerra.

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L’ostile Juventus

di CACASENNO TRAVAGLIO (il Fatto Quotidiano 24-08-2012)

Gentile John Elkann, Le scrivo da appassionato di calcio, ma soprattutto da juventino che aveva appena smesso di vergognarsi di esserlo dopo la dipartita di Moggi & C. grazie allo scandalo di Calciopoli. Ora, se possibile, gli juventini perbene, che hanno iniziato a tifare ai tempi di Boniperti, Trapattoni, Zoff, Scirea, Gentile, Cabrini, Tardelli, Platini, e anche di Conte, quando la società indossava un certo “stile”, sono costretti a vergognarsi ancor più di prima. Mai infatti, nemmeno negli anni bui di Calciopoli, la Juventus si era spinta a tanto: manipolava arbitri e campionati, ma non negava alla giustizia sportiva il diritto di fare il suo dovere. Oggi invece Suo cugino - il signorino Andrea, che porta il cognome francamente eccessivo degli Agnelli - ha trasformato la società in una succursale del Pdl: da mesi insulta la Federazione di cui è uno dei soci più autorevoli e demolisce le regole e le istituzioni della giustizia sportiva, quasi fossero frutto di un complotto planetario contro la Juve, decise all’insaputa del club più potente d’Italia. Ma non sempre: solo quando danno torto alla Real Casa. Se la giustizia sportiva respinge i ricorsi per riottenere gli scudetti inquinati e dunque revocati, è una congiura e scattano addirittura le denunce civili per risarcimento danni (tanto la tremebonda Figc, che per molto meno ha deferito giocatori e dirigenti di altri club, porge l’altra guancia). Se condanna Conte in primo grado e in appello - fra l’altro per vicende cui la Juve, una volta tanto, è estranea - è “caccia alle streghe” o, per dirla con Berlusconte, i giudici sono “tifosi ” e “pappa e ciccia” con i testi d’accusa (ma non aveva chiesto di patteggiare su consiglio dei legali della società? S’è mai visto un innocente che patteggia?). Se invece gli juventini Bonucci e Pepe vengono assolti in entrambi i gradi di giudizio, il verdetto è sacrosanto e giustizia è fatta. Che direbbe, se fosse vivo, Gianni Agnelli? Era tutt’altro che una mammoletta. Ma quando Boniperti usava Moggi come osservatore, non lo faceva entrare in sede: l’Avvocato lo chiamava “il nostro stalliere” e mai l’avrebbe promosso non dico direttore generale, ma nemmeno magazziniere. Quando, nel 1980, la società fu coinvolta nello scandalo scommesse per un famigerato Bologna-Juve, non si ricorda una sola parola dell’Avvocato, di Boniperti giù giù fino al vicemassaggiatore, contro la Figc e i suoi organi inquirenti e giudicanti. E quando la Fiat, come quasi tutti i grandi gruppi, fu coinvolta in Tangentopoli, Gianni Agnelli si guardò bene dall’attaccare i magistrati. Anzi disse: “È bene che i magistrati lavorino serenamente e tranquillamente. Gli scandali è sempre bene che vengano a galla. Ritengo importante che si faccia piena luce e si accertino i fatti. Non credo alle mezze misure. In certe situazioni è determinante la chiarezza totale”; “Anche in Fiat si sono verificati alcuni episodi non corretti di commistione con il sistema politico. Credo sia errato e fuorviante pensare che le indagini della magistratura siano parte di un complotto o di oscure manovre politiche”. Si dirà: era pura ipocrisia. Può darsi: ma l’ipocrisia è la tassa che il vizio paga alla virtù. Ora si evade anche quella. Domani inizia un campionato turbolento che, complice la crisi, potrebbe diventare teatro di violenze e intemperanze fra tifosi. Non crede, gentile Elkann, che sarebbe molto opportuna qualche parola distensiva dal club campione d’Italia, magari mutuata da quelle dell’Avvocato sui magistrati che devono “lavorare serenamente e tranquillamente”, sugli scandali che “è sempre bene che vengano a galla” senza “mezze misure”, sulle indagini e le sentenze che non sono “complotti od oscure manovre”? Se il Suo focoso cugino è in grado di pronunciarle, queste parole, tanto meglio. Altrimenti forse è il caso di metterlo in condizione di non fare altri danni alla fu Juventus. Nell’attesa, e nella speranza, che prima o poi impari come sta al mondo un Agnelli.

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PICCOLI B. CRESCONO

BERLUSCONTE

FA LA VITTIMA:

“GIUDICI TIFOSI”

L’allenatore della Juve convoca i media e contesta la squalifica: “Testimoni

istigati alla bugia dalla Procura”. Chissà se qualcuno, almeno stavolta, lo deferirà

I dirigenti bianconeri esternano a gara ma la Figc non fa una piega. Palazzi, voci di dimissioni

di PAOLO ZILIANI (il Fatto Quotidiano 24-08-2012)

E se adesso, dopo la chiamata alle armi di Vinovo da parte di Conte (o meglio “Berlusconte”, che si presenta vittima della giustizia e attacca “i giudici tifosi” fuori dalle aule dei tribunali), il presidente federale Abete si svegliasse, uscisse dal suo sarcofago e provasse a sollecitare il deferimento della Juventus nelle persone del presidente Andrea Agnelli e dell’allenatore Antonio Conte? Non succederà, naturalmente. Ieri, l’unica autorità sportiva a esporsi è stato il presidente Coni Gianni Petrucci: “Basta con questi attacchi ai giudici e alla giustizia sportiva. Abbiamo assistito a esibizioni muscolari che mostrano il lato peggiore di uno sport che non merita mortificazioni”, ha dichiarato all’Ansa, pur non citando mai direttamente la Juve. Per il resto, silenzio di tomba. Sul capo della Figc pende già una richiesta di risarcimento di 443.725.200 euro presentata al Tar dalla Juve per i danni di Calciopoli (cioè: Moggi tarocca i campionati per una dozzina di anni, viene scoperto, e la danneggiata, naturalmente, diventa la Juventus), figurarsi se Abete può spaventarsi per la minaccia di ricorso alla giustizia civile che l’avv. Bongiorno, a precisa domanda, non esclude; o si scompone se Conte parla di Procura e Carobbio “pappa & ciccia” e di giustizia sportiva che “istiga i testimoni alla bugia”.

IL CALCIO è lo specchio dell’Italia: davanti ai potenti l’istituzione si genuflette, e “chisseneimporta” se sullo Juventus Stadium campeggiano 30 scudetti con le 3 stelle e se sul colletto della maglia il rampollo della Real Casa ha fatto stampare la frase di Boniperti: “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”, primo (e unico) comandamento delle tavole portate a Torino da San Luciano Moggi da Monticiano.

La Juventus strepita e minaccia, con un’arroganza pari solo all’incoscienza, ma il Palazzo non fa una piega: tutto va ben, madama la Signora. I deferimenti, come le squalifiche per illecito che vengono risparmiate a Conte ma non a Pesoli (3 anni e mezzo per Siena-Varese 5-0: lui entrò in campo sul 4-0), scattano solo per i pesci piccoli o i cani sciolti: tipo Zeman, per l’appunto, che viene deferito ad ogni colpo di tosse (vedi intervista a Il Romanista, settembre 2004, critico per la nomina di Lippi a c.t. senza aspettare la chiusura del processo doping alla Juve). Tanto odiato da riportare in vita persino John Elkann, autore della famosa frase: “Ha vinto più Carrera in una partita che Zeman in una vita” .

Pare che la conferenza-stampa di ieri a Vinovo sia già stata richiesta da “Teche teche tè” (Rai 1, dopo il Tg): perché Franco & Ciccio fanno ancora ridere, Walter Chiari e Carlo Campanini erano bravissimi, ma la maschera di Conte che piange sul collaboratore perduto Cristian Stellini, 2 anni e mezzo patteggiati per l’illecito con l’Albinoleffe (“A fine partita, all’andata, ci fu una rissa, lui andò da Carobbio e gli disse: ‘Ahò, so’ amici tuoi, all’ultima partita vediamo di non andare a fa’ la guerra’”; e ancora: “Sono stato privato di un collaboratore molto importante: come se io in questo momento mi manca il braccio”, testuale, ndr) e i contorsionismi della Bongiorno (“Vi assicuro: per Conte un secolo di squalifica è meglio che patteggiare”: peccato che ci abbia provato), le gag di Conte e Bongiorno, dicevamo, sono più esilaranti persino del Sarchiapone.

IL MESSAGGIO che Agnelli e Conte passano al popolo juventino è chiaro: c’è una congiura, l’ennesima, contro la Juventus. Che i giudici abbiano fatto invece scrupolosamente il loro lavoro, con una lucidità e un’onestà che Palazzi – forte coi deboli, debole coi forti e su cui ieri sera sono circolate voci di dimissioni – non ha avuto, lo dimostrano l’assoluzione piena di Bonucci e Pepe (rischiavano 4 anni e mezzo in due) e la stessa revisione della sentenza su Conte: assolto per debolezza d’accusa su Novara-Siena e sanzionato, invece, più duramente per il pasticciaccio di Albinoleffe-Siena, passibile di accusa di illecito a detta stessa dei giudici. Detto per inciso: Conte doveva rispondere personalmente di 2 partite, ma sono 8 i match in odore di tarocco del Siena. E se è vero che la sua rovina si chiama Carobbio, che dire dell’inchiesta che la Procura di Bari sta portando avanti sulle partite vendute, dal Bari, nelle stagioni in cui in panchina sedeva proprio lui, Conte (2007-2008 e 2008-2009)? A meno che anche Masiello e Micolucci non abbiano dovuto pagare 1500 euro di ostetrica per colpa di quel cattivaccio di Conte, che qualcosa non funzioni, nei club in cui passa l’allenatore col parrucchino, è fuori di dubbio. Per la cronaca: in quel Bari giocava Stellini che poi Conte portò con sé, come indispensabile braccio destro, a Siena e poi alla Juve. Miracolati che fanno le vittime. Quel che basta, però, per riscuotere la solidarietà di Capezzone, che con il pronunciamento di ieri tocca quota 30 e si guadagna la 3ª stella. Vinta sul campo.

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Retorica e vecchi complotti

Untonio,

l’unto del Dio Pallone

di MALCOM PAGANI (il Fatto Quotidiano 24-08-2012)

L’identità è una maglietta da cambiare. Un finale di partita. Un nuovo inizio. Nessuno lo sa meglio di Antoniocapitano. Piagnucola, martireggia, recita da prigioniero politico e del grottesco, se ne fotte. Un colpo alla retorica, l’altro all’orgoglio della curva. Si prende sul serio come nessuno, strizza gli occhi, cerca la lacrima, proietta un’espressione grave. La colpa (antica regola dei tennisti italiani, dei soldati di Montecitorio e da oggi, anche degli allenatori con l’elmetto), è sempre altrui. Complotti, giudici, poteri forti, grandi vecchi.

A puntellare la “conteide”, incorniciata da un’eversione troppo comica per non proiettare afrori tragici, tutto e il suo contrario. Cinque anni fa, retrocesso in serie C all’ultima giornata per una tipica vergognetta di fine stagione, disse parole definitive. Il suo Arezzo aveva passeggiato in casa del retrocesso Treviso e lo Spezia, ne aveva emulato il passo facendo lo stesso a Torino con la Juve, senza incontrare resistenza alcuna. Allora Conte il leccese, quello arrivato in Piemonte dando del voi a Platini, la bandiera di una enclave di sangue orgogliosamente moggiano, si era abbandonato. Considerazioni lievi, rasserenanti, interlocutorie. “Rispetto i tifosi, non la Juventus. Questo pomeriggio mi fa capire cose che già sapevo, evviva il calcio pulito”. Erano seguite velate minacce del dg Blanc: “Farebbe meglio a non dire cose di cui potrebbe pentirsi” e l’oblìo che del fango del dio pallone, a meno che tu non sia un apostata di nome Carlo Petrini, rappresenta la religione monoteista. Un giorno da un lato, il giorno dopo sulla barricata opposta. Sulla sua squalifica, l’imitatore senza ironia del Trap costruirà il dolce domani. Ragazzino alla corte di Franco Jurlano ed Eugenio Fascetti nel Salento pauperista di metà anni 80, umile crociato dai crociati devastati nel decennio successivo, tecnico urlante a nuovo millennio già avviato. Si sente Alex Ferguson, ricorda Al Pacino, ma è solo Conte Antonio. Uno che seppe e non disse nulla. Uno che colto in fallo, gioca a chi ce l’ha più duro e rivela la patina più intima di chi a forza di professarsi umile, pensa, ragiona e predica come un intoccabile. Ora cambiare è lecito quasi quanto sospettare che il nuovo Conte coincida con il vecchio. L’università della strada, il linguaggio primario. Picchiare per primi. Picchiare due volte. Nell’insipienza generale, potrebbe risultare la migliore delle tattiche. Dove un tempo abitavano i veri Agnelli, le sudditanze psicologiche, i righelli di Dino Viola in dono a Boniperti: “Così avrà modo di riflettere sul gol di Turone” e i dubbi, albergano certezze capaci di confondere. Non la consapevolezza di essere i migliori (storicamente, secolarmente, partita reale non c’è), ma il sospetto (capace di ribaltare gusto, buon senso, statistiche e almanacchi) di essere perseguitati. Vale più di mille campagne acquisti. Fidelizza, come in omaggio al più spaventoso tra i neologismi, assicurerebbero i pubblicitari. La Juve del 2012 ha scelto il proprio testimone di riferimento. Si chiama Antonio Conte. Capitano pseudodimesso in passato. Protervo attore (senza dimissioni) del futuro.

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Lo sfogo del tecnico della Juventus dopo la conferma della squalifica: “Il patteggiamento? Un ricatto fatto a un innocente”

L’urlo di Conte

“Accuse infamanti, vergogna

contro di me un giudice-tifoso”

Il club chiederà la sospensiva dello stop in attesa del nuovo ricorso: “Siamo sospettosi”

di EMANUELE GAMBA (la Repubblica 24-08-2012)

Antonio Conte ha urlato, nel senso letterale del termine, la sua innocenza con un grido di dieci minuti abbondanti passati all’attacco e in apnea, veemente e imbizzarrito. Ha impallinato molti bersagli, anche se a uno solo ha dato un nome: Filippo Carobbio, «anzi Pippo, come lo chiamano in procura, dove sono pappa e ciccia con lui. Loro lo considerano un pentito, per me è un aggiustatore di presunta giustizia, una giustizia che istiga alla menzogna ». Qualcun altro è stato facilmente individuabile, come il giudice Sandulli che l’altro ieri aveva commentato la sentenza a giudizio ancora caldo, e motivazioni non depositate: «Sono allibito. Reputo il comportamento da parte di questo signore improprio e fuori dalle regole. Per uscire sulle prime pagine di tutti i giornali nazionali, grazie a me e al mio nome, prende e fa delle dichiarazioni quantomeno inopportune.

Non so se da tifoso, ma sicuramente inopportune. E che mi fanno pensare che forse c'è qualcosa di personale nei miei confronti». Ecco, questo è il cuore del problema: Conte è convinto che questa storiaccia sia una macchinazione nei suoi confronti. «Quando subisci delle ingiustizie ti chiedi perché. Sono diventato allenatore della Juve dopo due settimi posti, quando era simpatica, con dei tifosi simpatici. E d’incanto abbiamo vinto. Do fastidio? Sono antipatico perché vinco? Non è un problema mio». Queste parole sono state in qualche modo rinforzate da quelle di uno degli avvocati, Luigi Chiappero: «Abbiate pazienza, noi juventini quando arriviamo a Roma, dove le guardie sono vestite di nerazzurro, già diventiamo sospettosi, e lo siamo per tutto quello che è già successo. E allora quando squalificano Conte per dieci mesi, il tifoso juventino comincia a pensare che la squalifica copre anche la finale di Champions. Sembra che lo facciano apposta, o forse non sapevamo a chi dare il numero dieci e allora lo hanno dato a Conte».

Per Conte nulla è normale. «Il patteggiamento è un ricatto, ma questo ai giustizialisti non interessa. Ho letto le interviste di Locatelli e Poloni, gli dicevano che se avessero fatto il nome di un pezzo grosso avrebbero avuto degli sconti. È agghiacciante. Io sono in prima pagina da sette mesi senza avere mai scommesso in vita mia. Un’accusa infamante è caduta. Hanno detto: eh eh eh, ci siamo sbagliati. Ma intanto mi hanno sbattuto nei titoli di tutti i tg. Il popolo juventino deve sapere cosa mi hanno fatto, è assurdo. Adesso ho paura, ho paura che se mando un giocatore in tribuna quello impazzisce e mi denuncia. Cosa devo fare, girare con una telecamera in testa? E ai miei colleghi dico: fate attenzione: oggi è successo a me e domani può accadere a un altro, ammesso che abbia il mio stesso nome se no non lo caga nessuno». E su Carobbio, ancora: «Come si può credere a uno che ha venduto partite, ha venduto la famiglia, ha venduto i compagni?». Al fianco di Conte, mogio e silente, Angelo Alessio, quasi dimenticato: «Sono stato condannato senza mai essere ascoltato. Come è possibile?».

La Juve chiederà la sospensiva della squalifica, in attesa del ricorso al Tnas. La linea difensiva, ribadita ieri, mira a evidenziare le contraddizioni di Carobbio (il sospetto dell’avvocato De Rensis è che l’ultima audizione sia stata in qualche modo pilotata) ma anche le tre diverse interpretazioni date al materiale probatorio, definito «oscuro» da Giulia Bongiorno, dal procuratore e dalle due corti giudicanti, che hanno valutato in maniera diversa la gravità delle colpe di Conte. Tutti e 17 i giudici, però, lo hanno ritenuto colpevole.

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Il retroscena

Bufera su Palazzi, voci di dimissioni

Petrucci lo difende: basta attacchi

Il presidente del Coni contro le “esibizioni muscolari” in vista del Tnas

di FULVIO BIANCHI & MATTEO PINCI (la Repubblica 24-08-2012)

ROMA — La Juventus scontenta attacca, la Figc risponde con un accanito silenzio mentre frana il sistema giuridico sportivo. E il Coni, arbitro in pectore della questione, scende in campo. «Basta con questi attacchi ai giudici e alla giustizia sportiva», si fa sentire il presidente dello sport italiano Gianni Petrucci. Una presa di posizione forte, che arriva al culmine di due giorni di dure repliche di matrice juventina alle sentenze della Corte di Giustizia Federale. E che spingono Petrucci a invadere il campo della partita in cui il Coni era rimasto spettatore fino a oggi. Per dire basta a modi ed «esibizioni muscolari».

Con le sentenze è tornato d’attualità il ruolo del procuratore Palazzi. Una nuova picconata al suo lavoro viene proprio da quell’alone di illecito con cui la Corte Federale avvolge l’omessa denuncia per Albinoleffe-Siena contestata dalla procura a Conte. Picconata forse decisiva: nelle ultime ore serpeggia l’indiscrezione di una bufera che potrebbe portare alle dimissioni di Palazzi, sfiduciato da Abete: agnello sacrificale del gigantesco flop processuale, a partire dal patteggiamento-bufala poi rigettato a Conte. «Sembra che l’unico colpevole di questo calcio scommesse sia Palazzi e non chi ha commesso illeciti», la dice Petrucci. Troppo forte l’impulso a prendere posizione per il Coni. Soprattutto dopo aver assistito allo sfogo furente di Conte nei confronti degli organi della giustizia sportiva. Il secondo dopo quello del presidente Andrea Agnelli. Ma è l’unica risposta alla violenta raffica di accuse piovute da Torino, occupa il vuoto lasciato dal gelido silenzio del presidente Abete. Petrucci ha voluto esporsi direttamente per condannare i metodi della Juventus, quelle «esibizioni muscolari che mostrano il lato peggiore di uno sport che non merita mortificazioni». Un modo, anche, per allentare quella pressione indebita che le parole di Andrea Agnelli («Confido negli organi del Coni») avevano messo sul Tnas, in vista delle prossime decisioni su cui dovrà pronunciarsi. Il fronte è aperto.

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I 10 mesi spiegati dalla Corte

“È più di un’omessa denuncia”

Motivazioni anticipate: “Escluso chi si oppose alla combine”

Stellini teste chiave per le accuse. E il pentito Carobbio “né bugiardo né del tutto attendibile”

di MATTEO PINCI (la Repubblica 24-08-2012)

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Se i tempi possono far sorridere la Juventus, i contenuti le mettono i brividi. La Corte di Giustizia Federale ha emesso ieri, a sorpresa, le motivazioni sui 10 mesi rimasti intatti di squalifica a Conte nonostante il proscioglimento per Novara-Siena. Sono state rese note con un anticipo di 14 giorni sui tempi previsti, e danno alla Juventus la possibilità di anticipare i tempi del ricorso al Tnas. Una buona notizia, non fosse che proprio quanto scritto dalla Corte Federale complica dannatamente la strategia difensiva, parlando apertamente di «possibile contributo causale idoneo e finalizzato ad assicurare l’effettiva alterazione del risultato». Di fatto, un illecito per Albinoleffe-Siena. «La responsabilità di Conte in ordine alla combine della gara Albinoleffe-Siena trova riscontro in molteplici elementi, quali, fra tutti, le dichiarazioni dei calciatori dell’Albinoleffe nonché le ammissioni di Stellini, strettissimo collaboratore di Conte», spiega il giudice Mastrandrea.

Tutto o quasi ruota intorno alla figura di Salvatore Mastronunzio, attaccante di quel Siena di Conte e già squalificato per 4 anni nell’ambito del primo filone del processo al calcio scommesse. Ma anche l’ultimo a entrare sulla scena di questa partita: lo scorso 10 luglio Carobbio lo indica come l’unico giocatore a opporsi alla proposta di lasciare il risultato all’Albinoleffe. Un atteggiamento che, sempre secondo il pentito — né «bugiardo incallito» né «soggetto di assoluta credibilità» per la Corte — sarebbe costato all’attaccante l’esclusione fino al termine del campionato. Esclusione confermata dai numeri: 34 presenze fino a quel momento, poi mai più convocato. «Se fosse stato convocato, avrebbe avuto la possibilità di determinare un risultato dell’incontro diverso rispetto a quanto illecitamente concordato», la riflessione della Corte. Proprio la difesa in merito esposta da Conte è la chiave della sentenza: «La difesa — si legge — si è limitata a cercare di dimostrare che l’esclusione del calciatore Mastronunzio sarebbe avvenuta per motivi tecnici; si tratta della terza spiegazione fornita della predetta esclusione, dopo quelle dell’infortunio e dello scarso spirito di gruppo dimostrato dal calciatore». Contraddizioni, come quelle che Conte imputava a Carobbio, ora imputate al tecnico.

Smontata invece la prima omissione contestata a Conte («L’affermazione di Carobbio non trova conferma ma, anzi, è smentita da tutti i tesserati del Siena»). Pur ridimensionando il ruolo delle mogli nella vicenda, di quella lite da far west, con la signora Carobbio arrivata a rinfacciare 1.500 euro alla signora Conte, da lei spesi per un’ostetrica a causa del permesso per presenziare al parto negato dall’allenatore a suo marito: se davvero fosse questo il motivo del risentimento di Carobbio «saremmo veramente in presenza di un mitomane; il che questa corte si sente di escludere con decisione ». Eppure l’assoluzione parziale apre un nuovo fronte cui si aggrappa la Juventus. Secondo cui «Carobbio non è più credibile, ora devono dirci perché mentiva», come sostiene l’avvocato De Rensis. Giulia Bongiorno indica invece le «tre letture diverse della sentenza tra Palazzi, Disciplinare e Corte». Dal Tnas la Juve spera in una quarta. Di tutt’altro segno.

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Il fatto q. è veramente in guerra contro la Juve e gli Juventini

Peggio che la gazza, la figc, i giudici, ecc. ecc.

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Passeggiata preventiva nella nuova

Serie A snobbata dal Fantacalcio

DALLA FINE DEI FENOMENI AI FALSI IDOLI DEL PALLONE.

CONTRO LA BELLA RETORICA DEL “CAMPIONATO SALVATO DAI RAGAZZINI”

La bufala della cantera, la trappola dell’Italia, i giri di parole di Repubblica

e le scelte tecniche dei magistrati. Prendere l’elenco di tutte le rose delle

squadre di serie A e rendersi conto delle parole che non si possono più

utilizzare alla vigilia della nuova èra del calcio degli sceicchi

di BEPPE DI CORRADO (IL FOGLIO 24-08-2012)

Prendi l’elenco delle rose di tutte le squadre di serie A e comincia: portieri, difensori, centrocampisti, attaccanti. Chi mi prendo quest’anno al Fantacalcio? Silenzio. La pochezza del nostro pallone si chiude in una sera tra amici: una copia della Ġazzetta dello Sport aperta a pagina 21. Basta mettere il dito sul primo attaccante di tutta la lista: Elvis Abbruscato, costo 13 fantamilioni. Tredici per uno che in serie A ha fatto al massimo due gol. Il Fantacalcio spiega il pallone spesso meglio degli allenatori, dei calciatori, dei direttori sportivi e dei giornalisti di calcio. E’ lo specchio che riflette ciò che siamo: mediocri, in recessione di talenti e di personaggi. Chi è che ha voglia di riunire i propri sodali football addicted in una sera d’estate alla vigilia del campionato per farsi una fantasquadra in cui il massimo della vita è Di Natale? Pizza, birra, Gazza e poi il vuoto. Una depressione unica. Un anno fa ti scannavi in un’asta milionaria per Ibrahimovic. Scontato, sì. Poi provavi gli altri: merce umana da trattare con entusiasmo, con la speranza che il nuovo acquisto della squadra X fosse il calciatore giusto. Uno che costa poco e segna tanto. Sapete come funziona il Fantacalcio, no? Ci sono diverse varianti, ma in linea di massima tu hai a disposizione un capitale e devi allestire la tua squadra rimanendo in quel budget: 23 giocatori, in tutto, e se qualcuno vuole lo stesso calciatore che hai scelto tu si va all’asta. Più spendi per un elemento, meno soldi ti restano per gli altri. Ecco. Vai allora: tutti su Ibra, poi arriva quello che punta su Destro e magari vince lui. Il problema è che qui, adesso, non c’è materiale. Dove vai? Chi prendi? Col massimo rispetto per Totò Di Natale, miglior cannoniere italiano dell’anno scorso e di quello prima, siamo nel sottobosco pallonaro. Senza soldi e senza idee, tutti vittime della potenza economica degli altri paesi, o meglio di quei quattro o cinque club che hanno fatto il vero calciomercato in queste settimane. Tutti orfani dei vecchi che hanno tirato la volata in questi anni: rimane Francesco Totti. Punto.

Il Fantacalcio lo quota 27 fantamilioni, uno sproposito se confrontato con quello che può dare. E’ l’altra dimostrazione di ciò che è la serie A: un campionato Calimero, un calcio in contrazione dei consumi. Senza volti, senza storie. Un’emorragia che non si ferma. Non è normale ricambio, né di qualità né di generazione. E’ una specie di smobilitazione unica che ci rende modesti. Un album delle figurine mancanti: mi manca, mi manca, mi manca. Non c’è Ibra, e vabbè. Non c’è Thiago Silva. Non c’è Ezequiel Lavezzi. Per tutta l’estate li hanno chiamati “top player”, la surreale categoria dei più forti del mondo ai quali spesso vengono assegnati anche improbabili nomi: può mai essere un top player Fernando Llorente dell’Athletic Bilbao? Siamo seri, dài. Vale poco più di un Matri o un Pazzini, vale meno di un Vucinic o di un Milito. Non è uno che può riempire il vuoto che lascia Ibrahimovic. Il problema però non è neanche questo. Perché Zlatan lo cedi e stop, spesso è più un affare venderlo che acquistarlo. Il problema è che il pallone italiano s’è liberato di Verratti e di Borini: ragazzi che non costano nulla e che forse sono veri campioni. Ma non dovevamo diventare più sobri e puntare sul talento dei nostri ragazzi? Ci hanno distrutto l’anima per anni con la boiata del Barcellona, un modello che non è un modello. Convinti che fosse il sistema da imitare ne abbiamo preso il peggio: il Barça fece scappare senza neanche provare a trattenerlo Cesc Fàbregas. Lo lasciò andare praticamente gratis in Inghilterra, nell’Arsenal, dove è diventato uno dei più forti giocatori del mondo e da dove il Barcellona se l’è ripreso spendendo 50 milioni di euro. Bravissimi, come no. Inseguendo questo schema, con la colossale bufala della cantera, con la retorica del “i-nostri-campioni-ce-li-alleviamoin- casa”, il Barça ha illuso gli altri. L’Italia c’è cascata. Via i campioni e via anche i potenziali campioni. Quando le casse dei nostri club saranno un po’ meno vuote di adesso, non rimpiangeremo Ibra, ma proprio i Verratti e i Borini: cercheremo di andarceli a riprendere come ha fatto il Barcellona con Fàbregas. Vale anche per Balotelli, ceduto perché siamo incapaci di gestire un fenomeno matto. Comincia un campionato mediocre non perché non ci sono campioni, ma perché è diminuito il talento. Vedrete, tra un po’: comincerà la folle rincorsa nostalgica al vecchio che ha mollato o per soldi o per stanchezza o perché messo alla porta. Avremo le pagine dei giornali e i cori delle curve piene di rimpianti allucinanti: Nesta che ha scelto il crepuscolo americano (Impact), Gattuso che ha cominciato a ringhiare in Svizzera al Sion, Seedorf che si è lasciato attrarre dai soldi del Botafogo. Poi c’è Inzaghi che ha preferito tentare la carriera di allenatore dei giovani piuttosto che chiudere altrove. Poi Zambrotta, un altro dei congedati, che è in attesa di sistemazione. Poi, ovviamente, Alessandro Del Piero. Sarebbe stato molto peggio se fosse andato via Ramírez del Bologna. Uno che abbiamo preso dal nulla e che è cresciuto in serie A: lo stavano per cedere al Southampton, squadra appena promossa nella Premier League inglese. Non agli sceicchi o agli emiri padroni del pallone contemporaneo, ma a un club che vale più o meno il Bologna stesso. L’operazione non s’è fatta perché gli inglesi non riuscivano a dare le garanzie economiche adeguate. Ma per l’Italia, però, il giocatore era fuori. Ceduto, andato, venduto, senza che una sola squadra di serie A abbia provato a rilanciare e senza che nessuno si sia indignato. E’ la nostra maledizione, questa: guardare indietro e mai in avanti. Rimpiangeremo le vecchie glorie e non i ragazzi che non abbiamo tenuto per quattro spiccioli illudendoci che tanto ne troveremo degli altri.

Il neopauperismo pallonaro

Così adesso passa la bella retorica del “campionato salvato dai ragazzini”. L’ha scritto Repubblica: “Si può dire che tutte le squadre abbiano almeno un ragazzino al quale affidarsi. Molti di loro sono già titolari o stanno per diventarlo, anche perché parecchi ultratrentenni se ne sono andati, quasi sempre strapagati, lasciando posti liberi. Gli sceicchi sono gli altri, quelli veri, e non è detto che sia un male. Esiste una ‘spending review’ pure in campionato, anche se forse ci siamo mossi un po’ tardi. Da noi, comunque, i campioni stranieri non vengono, e se possono se ne vanno: non ce li possiamo più permettere (…). Ma per essere davvero nuovi, bisognerà dare più spazio ai cosiddetti ‘club-trained players’, come li chiama l’Uefa. Si tratta dei calciatori dai 15 ai 21 anni che abbiano giocato almeno per tre stagioni nel loro club di appartenenza: in Spagna sono il 24,7 per cento, in Italia appena il 7,4 per cento, e va da sé che anche in questa graduatoria siamo agli ultimi posti”.

E’ il neopauperismo pallonaro. Bizzarra anomalia della critica sportiva italiana: trovare affascinante la povertà sapendo che non riguarda i conti, ma il talento. Vale la pena ripeterlo. E’ di questo che si parla, non del monte ingaggi che è stato abbattuto. Perché poi ci vuole onestà intellettuale: se si fa il tifo per i baby che costano poco, poi non si può dire che il Milan e l’Inter sembrano squadre in dismissione perché non hanno più voglia di entrare in concorrenza sul mercato con chi spende decine e decine di milioni. Non si può dire a Berlusconi e Moratti che sono presidenti a fine giro. Bisogna essere coerenti: ci piace questo pallone senza facce famose? Può essere, ma allora godiamoci la nostra mediocrità senza inseguire le ambizioni di successi internazionali. Il pauperismo pallonaro è soltanto un’arma, è questa la verità: lo sponsorizzano adesso perché fa chic, ma poi verrà rinfacciato presto.

Adesso Andrea Stramaccioni è un simbolo: quattro mesi fa era un agnello sacrificale. Non c’era un solo giornale e una sola firma dello sport che lo supportava: il più gentile lo definiva un allenatore a scadenza. Immediata. Siamo un paese grottesco, il calcio non è la causa, ma la conseguenza: il campionato mediocre parte con la giustizia sportiva sempre più sommaria. Non c’è un personaggio che sia uno. Siamo ridotti ad aggrapparci a Zeman, nella speranza che sia più interessante quello che farà vedere la sua Roma sul campo di quanto farà lui davanti ai microfoni. Ci vantiamo di aver abbassato l’età media delle nostre squadre, poi però vedrete quanti allenatori saranno accusati di far giocare gente troppo inesperta. Se usciremo presto dalle coppe europee, troveremo la responsabilità nella mancanza di investimenti, nella giovinezza dei nostri calciatori. E il modello Barcellona? Sarà dimenticato. Il Fantacalcio serve a tenere tutti incollati alla realtà: abbiamo perso classe, fantasia, forza. Stoffa, quindi. Tenuti in vita da De Rossi, amici. E poi da quello che viene: sbarbatelli a caccia di qualcosa. Prima ce li dimenticavamo, ora li esaltiamo. Se vogliamo giocarcela con i nostri ragazzini almeno dobbiamo avere il coraggio di supportarli, di credere in loro, di non scaricarli alla prima occasione. Quello che purtroppo molti si preparano già a fare, nel nostro più classico stile da straccioni delle idee. Ci siamo, questo conta. Non se ne può più di stare senza calcio, senza gol, senza azioni. Stasera niente pizza, né Ġazzetta. Siamo mediocri e infelici, invidiosi degli altri. Però per fortuna il campionato comincia: non si prevede bello, né affascinante, né spettacolare. E’ solo meglio di niente. Una consolazione sufficiente a metterci in pace per qualche tempo. Quando un pallone rotola qualcosa accade. Sicuro.

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Il Fatto Quotidiano tutto unito a difesa delle evidenti bugie e dei boiardi con i tentacoli che li tengono avvinti alle poltrone.

Travaglio che di fatto chiede a Elkann di esonerare Andrea (apperò!) e Ziliani con Pagani che attaccano Conte invece di rendersi conto del sistema perverso che ha denunciato e scoperchiato, un sistema basato sulle bugie e le falsità nonchè sull'azzeramento del diritto di difesa.

Cercando di trovare un elemento per cui la linea di questo giornale dovrebbe appassionarsi alla causa di Petrucci, Abete e Palazzi (il peggio delle sedimentazioni democristiane sulle poltrone pubbliche) riesco a trovare solo quest'ultima. E' evidente che il Fatto Quotidiano postula che in Italia i cittadini dovrebbero genuflettersi al PM. Che sia esso quello penale o sportivo o un qualsiasi inquisitore di altro genere non cambia. E' questa la liasion del giornale.

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UN MATTATORE MA NON C’ENTRA CON MOURINHO

di TONY DAMASCELLI (il Giornale 24-08-2012)

Chi ha visto o ascoltato la conferenza stampa di Antonio Conte dovrebbe avere capito quale sia il valore aggiunto, dicesi carisma, dell’allenatore che ha ottenuto,negli ultimi anni, due promozioni dalla serie B alla A e uno scudetto. Conte ha sfogato la sua rabbia disperata, sicuramente sarà deferito per alcuni passaggi del suo intervento, ma ha detto alcune verità dinanzi alla quale il tifo non c’entra.Da sette mesi è l’uomo delle scommesse ed è complice di illeciti (così insinuò il giudice Sandulli) anche se non risulta agli atti. Proprio alla luce della sentenza ultima e delle parole del giudice di cui sopra, praticamente la sua carriera è bruciata, dall’insinuazione,dall’illazione,dal sospetto che per il popolo calcistico è certezza, è verità assoluta, come era assoluta,fino all’altro ieri,la credibilità di Pippo Carobbio, il Ciancimino di questa storia.C’è chi avvicina la reazione sanguigna di Conte a certe posture di Josè Mourinho ma il portoghese recita una parte da sempre, è nella sua educazione, nella sua astuzia, nella sua forza vincente e convincente.

Antonio Conte ha parlato in conferenza come usa fare nello spogliatoio, per dire agli altri quello che dice a se stesso. Di certo è mattatore, sa trascinare il suo gruppo come il professionista di Setubal ma trattasi di uomini e figure diverse e distanti. Conte non è un martire, non è una vittima ma è il bersaglio centrato dal Palazzo (e dal Palazzi) che così facendo pensa di essersi messo la coscienza a posto.

Era accaduto nel duemila e sei, era accaduto in tangentopoli, eliminata la punta pericolosa dell’iceberg,il resto della comitiva poteva e può continuare a spassarsela, con la protezione di una parte della stampa. Al corteo dei sepolcranti si è aggiunto anche il presidente del Coni che, senza citare Juventus e Conte, li ha ammoniti a tenere giù le mani dai giudici. Gianni Petrucci deve aver avuto un momento di amnesia. Qualche settimana fa, commentando l’argento olimpico di Cammarelle, la pensava diversamente: «Per noi ha vinto l’oro,tutto il mondo ha visto l’incontro,il verdetto non rispecchia il risultato del ring». Coni e Federcalcio in questi ultimi sei anni nulla hanno detto sui giudici distratti o sulle indagini part time e imparziali di calciopoli. Scomparsi gli Agnelli la festa si è fatta grande.

Antonio Conte non va ko, non getta la spugna suggerita dai suoi astutissimi legali d’avvio e non ha concluso la battaglia che non è personale. Non siederà domani in panchina, anche se gli avvocati hanno annunciato (all’insaputa dell’ufficio stampa della Juventus che aveva smentito decisamente l’ipotesi«frutto di invenzione giornalistica»)la richiesta di sospensiva. La commedia prosegue, il caso non è affatto chiuso, mentre il popolo antijuventino stappa spumante e prepara gli insulti. Viva l’Italia.O no?

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«Giudici tifosi», bufera su Conte

di VINCENZO CERAMI (Il Messaggero 24-08-2012)

Antonio Conte, meno sfortunato di altri tesserati finiti nella rete della giustizia sportiva (solo dieci mesi di stop), ieri, in una conferenza stampa, accompagnato dai suoi avvocati e da un legale della Juventus, ha sparato cannonate contro la Corte di giustizia federale. Giù Sansone con tutti i filistei. Questa è l’ultima, disperata strategia di difesa dell’ex allenatore del Siena.

Conte è meno sfortunato degli altri perché spalleggiato da una società che nel calcio ha sempre fatto e disfatto a suo piacimento. Gli altri, per i quali valgono i suoi stessi diritti, accettano il verdetto della legge sportiva senza poter battere ciglio. Eppure la Juventus, in questa brutta faccenda, non c’entra nulla. Probabilmente la società accusa i giudici di lesa maestà. Come si son permessi di punire il suo allenatore!

Conte dice che se la sono presa con lui perché è bravo e ha vinto lo scudetto. La Juve la butta invece sul tifo: gli accusatori sono tutti anti juventini, anche se sono stati assolti due importanti giocatori bianconeri come Pepe e Bonucci. Se questa linea di difesa (e di attacco) basata sulla totale contestazione delle regole della giustizia sportiva dovesse portare all’assoluzione di Conte, un attimo dopo dovrebbero essere assolti tutti. Infatti la legge è uguale per tutti, e non solo di chi ha la Juventus alle spalle. È vero che i magistrati del calcio hanno fretta e non possono oggettivamente seguire le procedure della giustizia ordinaria, ma è anche vero che il codice dello sport è fatto di regole concordate e sottoscritte, a cui ogni tesserato deve attenersi, anche quando i processi sono indiziari e svolti celermente. In questo caso, tra l’altro, le accuse a Conte, pesantemente legittimate dalla testimonianza di un «pentito» e dalle strazianti dimissioni del suo vice, non sarebbero campate in aria: per quale motivo i giudici hanno emesso quella sentenza, sono forse anti juventini? È semplicemente ridicolo. Così come è ridicolo, e patetico, dare la colpa all’istituzione del patteggiamento dopo aver patteggiato ammettendo d’aver commesso l’illecito. La dignità non dovrebbe avere nessun prezzo. È vero: l’innocenza vale più di cento anni di squalifica, come dice l’avvocato Bongiorno. Per la quale pentirsi equivale a un «suicidio precoce» (curiosa, lugubre e comica metafora).

Si dimentica spesso che il comune tifoso che paga per vedere partite vere avrebbe diritto a un risarcimento dopo aver subito una truffa. Il comune tifoso, autentica parte lesa di tutta la faccenda, vorrebbe vedere questa gente fuori dal calcio per sempre. Sentir dire in giro che anche lo sport è corrotto fa male al Paese, anche a chi non va mai allo stadio. Si rifondino pure le regole della giustizia sportiva, se necessario, ma finché ci sono, guai a tradirle. E guai soprattutto a delegittimare i giudici, anche questo uno sport che in Italia, purtroppo, conosciamo bene.

___

Va in scena la difesa, attenzione all’autogol

di JARABE DE PAOLA (CorSport.it 24-08-2012)

Ma che c’entra la Juventus con questo papocchio? Sinceramente è la prima domanda che ci poniamo osservando gli avvocati schierati dietro la scrivania con il logo della società bianconera. Comprendiamo la rabbia, le strategie difensive, le logiche comunicative, ma il quesito resta: che cosa c’entra la Juventus? Certo, Conte è l’allenatore della squadra campione d’Italia, però le accuse che gli vengono rivolte riguardano il suo passato quando guidava il Siena (e il Bari). Facciamo fatica a comprendere questo estemporaneo carrozzone mediatico organizzato con chiara sceneggiatura degli interventi. A parte l’accorata autodifesa di Conte e la sottolineatura dello scivolone di Sandulli, il resto appare chiassoso, esagerato, fuori luogo. Persino un po’ triste. Con variegate cadute di stile. Uno spettacolino che produce solo un inasprimento della divisione fra juventini e anti juventini. Non sappiamo chi sia stato il/la regista di questa operazione di cui non si sentiva il bisogno se non per esaltare il radicalismo dell’ingiustizia o della persecuzione.

La Juventus prenda le distanze da tutto ciò. Non è in questo modo che si alza il livello dello scontro cercando rimedio a una giustizia sportiva che fa acqua da tutte le parti. I castelli crollano dal basso, non si abbattono urlando dalla torre. Agnelli sta garantendo qualsiasi difesa possibile al suo allenatore anche con un cambio di linea in corsa, ma occorre cautela. La continua volontà di gettare il cuore oltre ogni ostacolo appare eccessiva rispetto a qualche domanda che è legittimo porsi: Conte è sicuramente innocente? Conte è e sarà l’allenatore a qualsiasi prezzo? Di certo non sono i giudici a decidere chi guida la Juventus, ma perché l’eventuale responsabilità del tecnico, qualora venisse accertata senza ombra di dubbio – già, senza ombra di dubbio – non deve avere un peso? La gratitudine non può diventare condivisione. Prescindere da tutto è rischioso e trascina la Juventus inevitabilmente allo scontro. Questa sta diventando la madre delle battaglie bianconere con una società pronta a tutto a dispetto di qualsiasi sorpresa negativa. Normale? Se Conte è il paladino per scardinare il sistema bisogna essere sicuri di avere in mano le carte vincenti. Dopo comunicati, conferenze e vesti stracciate restano 10 mesi di condanna in attesa di Bari (come si intuisce nelle motivazioni di condanna di Conte) e del Tnas. Al calcio si può togliere tutto, ma non la memoria. Se le guerre si trasformano in questioni d’orgoglio poi si disperdono lasciando sul terreno i proclami. E le sconfitte.

Riflessione finale. Sfilarsi da considerazioni di parte fra colpevolisti e innocentisti è un dovere morale però sono innegabili le enormi responsabilità della Federcalcio inadeguata a garantire linearità e trasparenza in materia di giustizia sportiva. Una discutibile sorpresa ad ogni grado di giudizio è troppo e non fa altro che alimentare l’incendio.

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PIPPO, PAPPA E CICCIA

di VITTORIO OREGGIA (TUTTOSPORT.it 24-08-2012)

Il monologo iracondo di Antonio Conte fa seguito cronologicamente al duro comunicato di Andrea Agnelli, in maniera che quel «la misura è colma» non sia solo un modo di dire ma diventi la parola d’ordine per agire. E’indiscutibile che stiamo assistendo a una guerra tra Torino e Roma, tra la Juventus e parte delle istituzioni: viene da chiedersi, dal 2006 in avanti, dove sia la novità. La risposta è semplice: non c’è nessuna novità. Certo, quando sarà finita questa storia grottesca di scommesse e sconcezze, converrà mettere mano a una riforma capillare della giustizia sportiva, palesemente deficitaria, ma adesso la realtà è un’altra e diversa. La mela non cade mai lontano dall’albero, tanto che il presidente del Coni ha subito bacchettato chi questa giustizia sta tentando di demolirla.

L’intervento di Gianni Petrucci non lascia presagire nulla di buono per Conte in vista della richiesta di sospensiva e del pronunciamento del Tnas. Perfortuna di tutti noi, a nessuno è saltato in mente di apparecchiare un altro tavolo della pace; però tra i tifosi bianconeri monta il sospetto che se Conte fosse stato l’allenatore di una squadra diversa questo accanimento non ci sarebbe stato. Non sempre la voce del popolo è la voce di Dio, ma spesso provoca un discreto chiasso se qualcuno non si sbatte per fare silenzio. Oggi ci proverà il presidente Abete. Immaginiamo che il capo della Federazione si aggrapperà al dovere del rispetto delle regole. Regole che l’avvocato Bongiorno ha smantellato al punto da parlare di violazione delle norme costituzionali, regole che l’avvocato Chiappero ha sbriciolato insinuando il tarlo di «guardie nerazzurre a Roma».

Conte ha urlato la propria innocenza alzando i toni. Umanamente c’è da capirlo, strategicamente no. Per l’allenatore, la Procura federale e Pippo Carobbio sono «pappa e ciccia», c’è un giudicetifoso (Pietro Sandulli, segnalato dalla Federazione alla Commissione di garanzia per comportamento non corretto) «che ha qualcosa di personale contro di me», il patteggiamento «è un ricatto». Conte è stato veemente, schietto come la terra da cui proviene. A naso, uno che racconta balle non parla così.

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