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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Risulta evidente che Cremona e Bari ritengono credibili in modo diverso i due loro pentiti.

Mi pare, però, che i pennivendoli, almeno negli articoli da te ora postati, ritengono accettabile tutto ciò che deriva da carobbio e non quello che deriva da masiello. Anche Di Vaio sarebbe prosciolto, vero? Ma viene citato pochissimo. Chissà perchè?

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Contropiede

ALLA JUVE

L'attivismo di Andrea Agnelli.

L'influenza di Giraudo.

La squadra di big del foro.

In tribunale la sfida più dura per la Vecchia signora

di GIANFRANCESCO TURANO (l'Espresso | 16 agosto 2012)

Un bravo allenatore sa adattare il gioco della squadra alle fasi della partita. E la partita del calcioscommesse si stava trasformando in un disastro per la Juventus, che con le partite tarocche c'entra zero. Andrea Agnelli ha rischiato la goleada prima di cambiare schema e di decidere che Antonio Conte, Leonardo Bonucci e Simone Pepe sono abbastanza cresciuti da rispondere di quanto fatto - o non fatto - quando erano tesserati del Siena, del Bari e dell'Udinese.

Il presidente della Juventus, 37 anni il prossimo dicembre, vive il calcio con un tale trasporto emotivo che ci ha messo mesi prima di indietreggiare in nome di un "chi me lo fa fare", italico e catenacciaro. Alla fine, si è convinto che nel calcio la squadra viene prima del singolo e che sulle partite truccate non ci saranno solo le sentenze della giustizia sportiva in assise al Foro Italico. La Procura di Bari, in particolare, ha indagato Bonucci e forse sentirà anche Conte come persona informata dei fatti. Trasformare il caos delle scommesse in una lotta tra il Bene (la Juve) e il Male (il resto del mondo) sarebbe stato un autogol clamoroso, evitato di poco alla vigilia della prima stagione in Champions league dopo l'onta della retrocessione con due scudetti cancellati nel luglio del 2006.

Quello che meglio spiega Andrea Agnelli è il suo atteggiamento in tribuna. Ai tifosi bianconeri che si rivolgono a lui con il titolo di presidente, lui risponde: «Chiamatemi Andrea». Suo padre Umberto, che pure è diventato presidente della Juve a 21 anni, non lo avrebbe mai fatto. Figurarsi lo zio Gianni, che era l'Avvocato e basta. Il rampollo di casa Fiat, unico maggiorenne a portare il cognome della dinastia, ha cambiato qualche abitudine della ditta dei 28 scudetti ma non troppe. E quando sbandiera 30 vittorie in campionato, proclama che nel 2006 ingiustizia è stata fatta.

Dal giorno in cui è diventato presidente del club (29 aprile 2010), Andrea ha tentato di recuperare il maltolto a colpi di ricorsi al Tar, cause al tribunale ordinario, richieste di risarcimento da 400 milioni di euro alla Federcalcio e continue schermaglie con l'arcirivale Massimo Moratti, padrone di un'Inter che, nella vulgata antagonista bianconera, è stata protetta da arbitri venduti, da commissari straordinari nerazzurri (Guido Rossi) e dalla bestia nera per eccellenza, la Procura federale di Stefano Palazzi.

A maggio, lo scudetto vinto da Conte, il mister che era capitano ai tempi di Antonio Giraudo e Luciano Moggi. Il corto circuito nasce lì, e anche lì l'emotività ha un ruolo primario. Giraudo, per cominciare. L'ex amministratore delegato della Juventus ha quotato il club al listino e ha lanciato il progetto dello stadio di proprietà realizzato solo nel settembre del 2011. Condannato in primo grado dal tribunale penale di Napoli a tre anni, vive in esilio dorato a Londra in vista dell'appello previsto in autunno. Secondo la frase di Andrea, «per me è stato un punto di riferimento, come un padre». È stato inoltre l'amministratore immobiliare di fiducia di Umberto Agnelli, dello stesso Andrea, della sorella Anna e della madre Allegra Caracciolo. Vicino di casa, anche. Sulla collina torinese, in via principessa Felicita di Savoia, c'è una residenza principesca così divisa. Il pianterreno e il primo piano sono della Flm75 di Andrea, una società gestita da Giraudo fino al novembre 2006 quando, con la Juve in B, l'ex manager si è dimesso davanti al notaio Antonio Maria Marocco, consigliere dello Ior e professionista di fiducia della Fiat. Il secondo piano è occupato da Beatrice Merz, direttrice del Museo Castello di Rivoli e figlia dell'artista Mario Merz. Al terzo e quarto piano ci sono i Giraudo con le loro immobiliari che Antonio ha girato alla moglie Maria Elena e al figlio Michele in via prudenziale. Sono infatti in corso le cause per risarcimento dei danneggiati di Calciopoli contro la dirigenza juventina del tempo.

Prendere le distanze dalla propria storia è poco consono ai meccanismi di potere torinesi, per quanto in declino possano essere, e lo svecchiamento di Andrea è più formale che di sostanza. Come quando in panchina c'era Giovanni Trapattoni, l'attenzione alla fase difensiva è fondamentale. Per la vicenda Conte, Andrea Agnelli ha scelto la tradizione e si è affidato agli avvocati Luigi Chiappero e Michele Briamonte.

Chiappero lavora allo studio Chiusano, fondato da Vittorio Caissotti di Chiusano, penalista degli Agnelli scomparso nel 2003 dopo essere stato per 13 anni presidente della Juventus. L'organigramma dello studio legale mette in evidenza come consulente esterno un'altra eminenza grigia del sistema. È Franzo Grande Stevens, civilista napoletano di fede juventina trapiantato a Torino e definitosi «l'avvocato dell'Avvocato».

Grazie alla difesa del suo giovane di studio, il trentacinquenne Briamonte, Grande Stevens è uscito indenne da due buriane giudiziarie che minacciavano di avvelenargli la pensione, semmai uno come lui andrà in pensione. Il primo processo riguardava gli equity swap di Exor, la finanziaria che controlla la Fiat e la Juve. Grande Stevens, a giudizio insieme a Gianluigi Gabetti, si è trovato di fronte il procuratore capo Giancarlo Caselli, torinista sfegatato. Gli imputati sono stati assolti. Con lo stesso risultato si è conclusa la vicenda che ha visto Grande Stevens e Gabetti accusati da Margherita de Pahlen, figlia di Gianni Agnelli e Marella Caracciolo, nella vicenda dell'eredità dell'Avvocato.

Briamonte, consigliere della Juventus di Andrea, è un enfant prodige in un ambiente dove manca la generazione di mezzo. Già presente nel collegio juventino al processo sportivo del 2006, il legale torinese ha un curriculum professionale in rapida espansione. Per conto della Fiat ha vinto la causa da 5 milioni di euro di danni contro la trasmissione Rai Annozero. Grazie al notaio Marocco, è diventato consulente dello Ior, la banca vaticana alle prese con la nuova normativa antiriciclaggio. Essendo in quota ai bertoniani e socio della camera di commercio italo-israeliana, Briamonte è stato inserito nella mitica lobby giudo-pluto-massonica da Ettore Gotti Tedeschi, defenestrato presidente dello Ior.

Interessante anche il percorso che ha portato Briamonte nel cda di It holding prima e del Monte dei Paschi di Siena poi. In entrambi i casi, il professionista ha rappresentato fondi di investimento con basi offshore e proprietà italiana. Nel caso di It holding, era in carica per conto del finanziere cuneese-monegasco Luigi Giribaldi, tifoso del Toro come del resto era Giraudo prima della conversione al culto gobbo. L'avventura è finita con l'amministrazione straordinaria per il gruppo tessile fondato da Tonino Perna.

Al Montepaschi Briamonte è stato nominato amministratore in rappresentanza, tra gli altri, del fondo Timelife di Raffaele Mincione, finanziere italo-americano con sede a Londra. Il "triplete" dell'avvocato si chiude con un posto nell'advisory board del londinese Tarchon capital management. Fondato da Alberto Marolda, Tarchon è noto per avere riempito le casse di alcuni enti previdenziali delle note Anthracite, prodotti finanziari tossici. A chiudere la lista, c'è l'incarico nell'Istituto per la ricerca sul cancro di Candiolo, presieduto da Allegra Caracciolo Agnelli.

Con una difesa così, la Juve di Andrea sogna di nuovo in grande. Chi ha conti da pagare, soprattutto se non vestiva in bianconero, si accomodi alla cassa.

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A Fixed Trial?

The FIGC is not even pretending to look for the truth

by IDAN WALLER (SOCCERISSUE 10-08-2012)

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Even before the outcomes of the Calcioscommesse trials are published, many Italian journalists have already written about the expected sentences of those involved. If existing reports are indeed true, there’s no better proof of the corrupted nature of the FIGC.

Claudio Zuliani, Renounced Juventino commentator/reporter, published on his Facebook account a post which details the sentences of the Juve staff involved in the calcioscommesse trials. That was almost a week ago.

According to Zuliani, Coach Antonio Conte will be hit with a 10 month ban and Juve players Leonardo Bonucci and Simone Pepe will be acquitted, as a result of the shattered reliability of the key witness Andrea Massielo. Soon after, major Italian sports websites, like Tuttosport, published the same reports.

The Funny thing is that the outcomes of the closed door trials should only be officially announced today (Friday).

Sure, The Italian media is infamously known for false reports and exclamations, designed only to sell papers. However, the number of media bodies reporting the same conclusion could lead one to speculate that someone “from above” already sealed the faith of Conte and Co, without even pretending to see the trials as means to find the one word the FIGC seems to always leave behind – TRUTH.

If the official sentences will see Conte banned for 10 month and the duo Bonnuci-pepe acquitted, then we can definitely conclude that the last thing on the FIGC mind was justice and the only thing that was “fixed” in the Calcioscommesse mess were the victims.

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Giustizia è sfatta

di GIULIANO FOSCHINI dal blog Lo zingaro e lo scarafaggio 10-08-2012

Premessa: alla fine, tranne il povero Lecce, il Grosseto, Bertani e qualche altro giocatore così, verranno tutti assolti. Anche Conte che si vedrà ridurre le condanne in appello e prima di Natale tornerà in panchina.

E’ giusto così, perchè davanti a un processo farsa, meglio avere tutti innocenti che tutti colpevoli.

Però, sia chiaro: non è cambiato niente. Tutto è esattamente come prima. Anzi se possibile anche peggio di prima. Perchè un allenatore accusato di aver detto ai suoi calciatori di pareggiare, perchè così era l’accordo, viene condannato per omessa denuncia di cui certamente non era colpevole (se c’era un reato, quello era certamente l’illecito). E poi perchè la giustizia sportiva è stata riformata senza riforma: l’onere della prova rovesciato (a carico cioè dell’accusato che deve dimostrare la propria innocenza e non dell’accusatore che deve essere riscontrato, propria del processo penale) non vale più (cosa che di per sé non sarebbe negativa ma che ha bisogno di un regolamento specifico, ovviamente). E’ possibile quindi che Masiello dica un sacco di fregnacce – sostengono così i giudici – e venga trattato con tutti i benifici dei pentiti.

Insomma, se truccate una partita dite che non avete denunciato. Oppure raccontate qualche cazzata al giudice. E’ la maniera migliore per essere praticamente assolti.

P.S.: Leggete l’articolo di Mario Sconcerti, sul Corriere della Sera, oggi su Schwazer e sul fratello calciatore. Fatelo.

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La provocazione L’Olimpiade è spettacolo, il pallone è religione: ecco perché condanniamo il marciatore e tolleriamo tutto il resto

Se Schwazer si fosse comportato da calciatore

Il paradosso Pioggia di condanne sull’atleta altoatesimo.

Ma ci siamo dimenticati di bilanci truccati in serie A e di Rolex regalati agli arbitri

di MARIO SCONCERTI (Corsera 10-08-2012)

Nell'evidenza del caso Schwazer, nella sua impossibilità di difesa, c'è tutta la differenza che passa tra gli sport olimpici e il calcio. Le Olimpiadi sono uno spettacolo, il calcio una religione. Le Olimpiadi sono «esterne», passano, mostrano il meglio che c'è, poi se ne vanno. Il calcio resta con noi tutta la vita, anzi l'aiuta, la modella. Le Olimpiadi in sostanza sono gli altri, il calcio siamo noi. Per questo i giudizi morali negli sport olimpici sono così netti, così trancianti, perché non ci riguardano, riguardano gli altri. Possiamo essere buoni o cattivi in gran quantità tanto Schwazer vale per se stesso, è nostro solo nel giorno in cui corre o in cui si dopa. Va visto, non capito. E quando scompare non lascia tracce. Si può giudicare in libertà, senza paura di sporcarsi le mani.

Nel calcio non è così, non esiste la realtà, esiste la fede. Non c'è una scienza che dia risposte, è il nostro pregiudizio che dirige il mondo. Se Schwazer fosse stato un calciatore della Juve, dell'Inter, della Roma, di qualunque squadra, avrebbe potuto negare tutto e la sua parte di popolo l'avrebbe creduto anche davanti a prove conclamate. Si sarebbe parlato di un complotto, di poca chiarezza nei sistemi di analisi, della «crudeltà incivile» dei controlli a sorpresa. Sarebbe bastato che lo Schwazer calciatore avesse insistito sulla sua innocenza e avrebbe portato la gente in strada in sua difesa.

Nel calcio ci sono state società che hanno alterato i bilanci e le classifiche con le plusvalenze, che hanno falsificato passaporti, presentato fideiussioni false per iscriversi al campionato, mandato Rolex d'oro agli arbitri, fatto seguire i propri giocatori dalla polizia privata, altre hanno avuto medici che si sono inventati come cura atletica gli psicofarmaci. Ma nessuno dei seguaci del calcio ha mai avuto uno scatto di rabbia morale per la scorrettezza della propria squadra. Nessuno anzi ha mai avuto un dubbio. Nel calcio si accetta tutto, l'importante è avere un'appartenenza. È il senso di questa unione che assolve per principio e genere una continua nuova innocenza.

Se crolla Schwazer fa male solo a se stesso, si perde nel grande spettacolo televisivo, sono tre righe in cronaca messe in un angolo dell'anima. Se crolla il calcio è una tragedia di tutti, per questo non può mai avere colpe. Un buon esempio lo avremo oggi. Quando saranno lette le sentenze sulle scommesse, qualunque siano, ci saranno milioni di messaggi contro la giustizia sportiva. Nessuno, sottolineo nessuno, contro chi l'avrà violata.

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Così la linea di Palazzi è stata demolita

Un'autentica caporetto che, ancora una volta, ripropone la questione

dei pentiti e l'improcrastinabile necessità di rifondare la giustizia sportiva.

di XAVIER JACOBELLI (globalist.it 10-08-2012)

La demolizione di Palazzi e del suo impianto accusatorio è il risultato più eclatante delle sentenze emesse stamane dalla Commissione Disciplinare che ha assolto 7 tesserati, smontando a una a una le accuse del Procuratore Federale.

Un'autentica caporetto che, ancora una volta, ripropone la questione dei pentiti e l'improcrastinabile necessità di rifondare la giustizia sportiva, fondata sull'arcaico principio dell'onere della prova a carico dell'incolpato e sulla responsabilità oggettiva, in base alla quale pagano anche società che non c'entrano nulla con le porcherie dei loro tesserati riconosciuti colpevoli.

Leggete (...) le motivazioni e i verdetti.

Nel caso di Bonucci (pr il quale erano stati addirittura richiesti 3 anni e mezzo di squalifica), Pepe, Di Vaio, Padelli, Salvatore Masiello, Vives, Belmonte e dell'Udinese, per i quali il proscioglimento è un autentico trionfo, è sconcertante come si sia potuto dare credito ad un pentito, Andrea Masiello, che ha cambiato più volte versione e aveva già indotto i magistrati d Bari a dubitare della sua veridicità.

Nel caso di Conte, la partita è ancora tutta da giocare in sede di appello ed eventualmente di Tnas, il Tribunale dell'Arbitrato Sportivo.

Non essendoci nessuna prova, nessun riscontro, nessuna intercettazione che avvalori le parole di Carobbio, ma soltanto la sua parola contro quella di Conte, i legali dell'allenatore dispongono di considerevoli margini di manovra per smontare in secondo grado il Teorema Palazzi.

C'è un passaggio della motivazione, relativo all'incontro Novara-Siena, decisamente iluminante sui meccanismi di funzionamento della giustizia sportiva.

Scrive la Disciplinare:

"Si è già dato atto di come le dichiarazioni rese dagli altri tesserati, deferiti e non, presenti alla suddetta riunione, tendenti a smentire quanto affermato da CAROBBIO, non siano attendibili, perché finalizzate a proteggere se stessi da una contestazione disciplinare.

Qui occorre valutare se le dichiarazioni rese da CAROBBIO siano attendibili o meno, anche alla luce delle specifiche eccezioni, sul punto, sollevate da CONTE. Preliminarmente, occorre sgombrare il campo dalla tesi, sollevata dalla difesa del deferito, che vorrebbe, nella mancanza di prova circa un "passaggio di soldi" o di un'intercettazione, telefonica o ambientale o di una testimonianza de relato, la riprova dell'inesistenza dell'illecito.

Si è spiegato come questo tipo di accordi trovi le proprie motivazioni in altre finalità, quali quella della convenienza reciproca delle due squadre ai fini della classifica, che non sempre comporta la necessità di corrispondere denaro.

Ancora, si è già indicato come questo tipo di illecito, a differenza di quelli legati alle scommesse, sia maggiormente "accettato" dall'ambiente e abbia un "protocollo" molto più semplice, perché se ne può liberamente parlare all'interno dello spogliatoio e non necessita di tessere una rete di contatti tra vari giocatori delle due squadre, con altrettanti trasferimenti di denaro, per portare a casa il risultato sperato, ma come sia sufficiente che un solo "rappresentante" della squadra prenda contatto con quello dell'altra, per chiudere la combine e riferirne agli altri".

Traduzione in italiano: noi non abbiamo nessuna prova che dimostri la responsabilità di Conte; i 24 tesserati che hanno partecipato alla riunione assieme a lui hanno smentito Carobbio perchè altrimenti sarebbero stati deferiti, ma Carobbio invece per noi è credibile".

Però, se è così credibile, se siete così convinti delle sue accuse, allora perchè la giustizia sportiva non ha punito, deferendoli, tutti, dicansi tutti i partecipanti alla fatidica riunione tecnica precedente Novara-Siena?

Questo è soltanto il primo punto a disposizione della difesa di Conte.

Il secondo concerne Albinoleffe-Siena. Secondo la Diciplinare, in quanto allenatoe del Siene, Conte non poteva non sapere della combine ordida dai giocatori infedeli. E le prove? Dove sono le prove?

En passant, il grande accusatore di Conte se l'è cavata con soli 4 mesi, grazie alle norme sui pentiti varate dalla Federcalcio.

Il 1° giugno corso, dopo l'ondata di sentenze precedenti l'attuale, con una nota d'agenzia la Federalcio aveva lasciato capire che Abete avrebbe potuto impugnare i verdetti troppo morbidi pro pentiti, suscitando l'irritazione dello stesso Procuratore Federale. Naturalmente, nonè successo nulla. E' giustizia questa? No, non è giustizia.

___

Dal biscotto al pasticcio, calcio alla frutta

di GIANFRANCESCO TURANO dal blog RAGÙ DI CAPRA (l'Espresso.it 10-08-2012)

Antonio Conte paga per tutti, o quasi. La stangata della Disciplinare all’allenatore della Juventus è la punta di lancia di una sentenza che fa lo slalom tra fatti e fattoidi senza trovare una quadra convincente. Il tecnico salentino sconterà due omesse denunce da allenatore del Siena con 10 mesi di squalifica.

Gli altri tesserati della Juve, i giocatori Leonardo Bonucci (ex Bari) e Simone Pepe (ex Udinese), vengono assolti dalla combine di Udinese-Bari del 9 maggio 2010 (3-3).

Il principale accusatore dei tre, l’ex barese Andrea Masiello, l’uomo che doveva essere decisivo per aiutare i magistrati sportivi e penali a sfasciare il sistema criminale delle partite truccate, è stato ritenuto meno credibile del previsto dalla Disciplinare che ha invece tenuto per buone le testimonianze di Carlo Gervasoni e Filippo Carobbio.

Masiello, l’artista dell’autogol formato fiction, ha inconsapevolmente seguito le orme di pentiti ben più illustri, e certo più criminali: Massimo Ciancimino e Vincenzo Scarantino.

Come nei processi sulle stragi di Cosa Nostra, i giudici si sono trovati di fronte a un “dichiarante” che manipola le percentuali tra vero e falso delle sue dichiarazioni. Con quale obiettivo?

L’impressione è che Masiello si sia esibito in un eccesso di zelo denunciando all’ingrosso con lo scopo di tornare in campo da qui a un paio di anni (lui ne ha 26) senza giocarsi del tutto la carriera sportiva come ha fatto un altro accusatore di Conte, Filippo Carobbio (33 anni a ottobre).

A chi pensa che difficilmente Masiello troverebbe ingaggio dati i precedenti basta ricordare gli illustri casi di Pablito Rossi e Bruno Giordano, resuscitati in gloria dopo le dure squalifiche per il calcioscommesse di trent’anni fa.

In questa vicenda caotica, è difficile decidere il peggiore in campo. Se in Italia fosse in uso l’istituto delle dimissioni, il procuratore federale Stefano Palazzi dovrebbe prenderlo in considerazione. È vero che il rigore lo sbaglia solo chi lo rifiuta, ma Palazzi è riuscito a scontentare tutti. Con quale credibilità possa dedicarsi al nuovo filone barese (Conte di nuovo) non è chiaro.

È chiaro invece che un processo del genere sembra fatto apposta per scatenare il tifo fazioso pro e contro, il complottismo e il grandevecchismo che l’Italia adora.

Mio modesto parere: magari c’entrasse il Demonio. Questa è solo incompetenza.

In attesa dell’appello alla corte federale, che non mancherà di procedere con qualche sconto di pena, si conferma la consolidata tradizione giudiziaria per cui non è possibile avere una ricostruzione dei fatti sensata e passabilmente completa.

In quello che manca, che non si è saputo trovare o provare, c’è spazio per altri dieci anni di chiacchiere.

___

10 mesi di squalifica ad Antonio Conte.

Porcherie alla moviola a mezzo stampa

di OLIVIERO BEHA (olivierobeha.it 10-08-2012)

Dopo tutto l’ambaradan su indagini, patteggiamenti,richieste di pena e anticipazioni di sentenze, quello che mi colpisce di più alla moviola è che queste sentenze siano state anticipate alla lettera sui media (tutti o quasi) già quattro giorni fa.

Il “Chi volete, Gesù o Barabba?” di Ponzio Pilato in confronto era robetta. E’ proprio marcia la situazione, da tutti i punti di vista. Guasto il sistema, guaste le persone, guasta l’idea di innocenza o colpevolezza. Rimango dell’opinione che il sistema sia assai più marcio di quello che dicono queste sentenze, e chi indaga e giudica sia omologo a questo marciume. Per il resto, adesso via con i commenti dei tifosi, alè…

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C'è un Foschini deluso ed amareggiato perchè le sentenze hanno travolto la sua voglia di scandalismo.

Ieri se la prendeva anche con gli ultras di twitter e oggi viene spalleggiato da Sconcerti che esalta Schwarzer e se la prende con le tifoserie ree di contestare una giustizia sommaria.

Quale logica abbia questo accostamento non lo so. Ma tanto l'uno quanto l'altro (Foschini per questione di portafoglio dal momento che più scandalo equivale a più notorietà del suo libro con Mensurati e Sconcerti per puro rincoglionimento senile) delirano.

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Ho letto le 40 pagine di sentenza su Conte

Claudio Cerasa - blog Cerazade - il Foglio.it - 10-08-2012

Ho letto le quaranta pagine del comunicato ufficiale con cui la federazione italiana giuoco calcio oggi ha ufficializzato (e dico non a caso ufficializzato) il deferimento di una serie di calciatori, dirigenti e persone legate al mondo del calcio (tra cui, il più famoso, è Antonio Conte) e, provando per un attimo a mettere da parte il fatto che a essere al centro della storia è un dannatissimo juventino (#amala), mi sono fatto un’idea su questa benedetta inchiesta pallonara. Innanzitutto, tutti i discorsi in punta di diritto per il mondo dei processi sportivi valgono quello che valgono per la semplice ragione che i processi sportivi, al contrario dei processi penali, sono ancora impostati con un criterio e un regolamento sullo stile del vecchio processo accusatorio, e rispondono dunque al principio che si è colpevoli fino a prova contraria, mentre il diritto penale italiano prevede (in teoria) che il giusto processo debba rispondere al principio del non si è colpevoli fino a prova contraria (cioè, in teoria dovrebbe essere così, ma ci siamo capiti).

Ora: dal punto di vista della qualità dell’inchiesta, prendendo in considerazione il singolo caso di Conte, che poi è quello più eclatante, si può dire che se fosse un processo penale sarebbe un processo che più folle non si può: zero testimonianze documentali, zero prove provate di passaggio di soldi, zero intercettazioni telefoniche o ambientali utili a individuare il reato e solo ed esclusivamente prove de relato (cioè, parole riferite da qualcuno, da un pentito o da un confidente o un testimone), che come si sa, in giurisprudenza, non dovrebbero avere forza probatoria ma dovrebbero essere considerate semplici indizi con i quali – cioè, solo con quelli – dovrebbe essere impossibile costruire un processo a se stante (a Rignano, per dire, esempio massimo e più recente di processo costituito sul principio “de relato”, alla fine le cose sono andate come sappiamo).

A questo, poi, bisogna anche aggiungere che il processo fatto a Conte (e compagnia) sembra essere più sullo stile cinese (senza contraddittorio e praticamente senza processo) che sullo stile di una civile giustizia occidentale. Fatta salva questa premessa, e ricordando (ah, l’Italia) che le sentenze di condanna sono state anticipate sui giornali (sulla giornalaccio rosa in particolare) tre giorni prima che fossero rese pubbliche (cose che forse non accadano neanche in Cina), alla fine dei conti l’impianto accusatorio è fragile. Tutto, come sapete, si basa sulla testimonianza di un pentito (Carobbio, ex Siena) e di una serie di dichiarazioni (molte contraddittorie) di alcuni calciatori e dirigenti sempre ex Siena. In sostanza, Conte è stato condannato in primo grado per omessa denuncia per non aver informato gli inquirenti su una combine che sarebbe stata decisa prima di due partite nel 2011 (Siena-Varese e Siena-Albinoleffe). Gli inquirenti, poi, descrivono anche la scena di due riunioni tecniche antecedenti alle due partite in cui Conte avrebbe informato i giocatori della combine e in cui in un caso (con l’Albinoleffe) Conte avrebbe (!) persino detto ai suoi giocatori di decidere loro come comportarsi (Conte – dice Carobbio in un interrogatorio – “lasciò a noi la decisione finale, ricordandoci comunque che, in caso di una nostra vittoria e di un risultato non positivo dell’Atalanta, saremo ancora riusciti a vincere il campionato”, e un altro ex giocatore del Siena, Sestu, avrebbe detto, parole ritenute importanti dagli inquirenti, che Conte, nel suo discorso prepartita, fece espresso riferimento alla necessità che quella gara non venisse persa", come se una gara che non deve essere persa equivale a dire che quella gara deve essere pareggiata).

La testimonianza di Carobbio, però, che ai fatti resta il perno attorno cui è costruita l’inchiesta, è viziata da una questione non irrilevante. Gli inquirenti sostengono che per quanto riguarda Carobbio vi sia “la totale mancanza di un qualunque motivo di risentimento o convenienza che possa averlo spinto a coinvolgere altri soggetti” come Conte; quando in realtà esiste un fatto, noto, che potrebbe aver determinato una ragione di risentimento di Carobbio nei confronti di Conte. L’episodio è quello della mancata autorizzazione concessa da Conte al suo giocatore di assistere al parto della moglie, ma su questo punto la commissione Disciplinare considera assolutamente incoerente "la circostanza che Carobbio avrebbe accusato Conte per rancore personale, legato all'episodio occorso nel settembre 2010, quando l'allenatore non gli concesse il permesso di recarsi dalla moglie per assisterla durante il parto”, e “al di là della circostanza che una tale motivazione sembra davvero non sufficiente a giustificare una (a quel punto falsa) denuncia addirittura riferita a un illecito sportivo, c'è da dire che le risultanze agli atti comprovano come Carobbio non avesse alcun problema all'interno dello spogliatoio del Siena e non nutrisse alcun risentimento nei confronti di Conte, del quale, anzi, aveva stima”.

Questo è quanto sostiene la disciplinare, ma come è evidente non si basa sua ragione oggettiva ma semplicemente su un’impressione soggettiva che, per forza di cosa, rende meno oggettivo e meno forte l’impianto accusatorio. Impianto accusatorio, poi, reso ancora più debole da una frase magica che compare spesso nei processi smontati poi in appello che gli inquirenti della disciplinare si lasciano scappare. Citando il caso del dottor Stellini (all’epoca collaboratore di Conte al Siena, che ha ammesso di essere stato lui stesso a dare incarico a Carobbio per “sistemare” la gara Siena-Albinoleffe, cosa per cui Stellini è stato sospeso per due anni e mezzo, e la cui vicenda è forse l’unico vero elemento significativo dell’inchiesta della disciplinare, anche perché Stellini era fino allo scorso anno il vice di Conte alla Juve), la Disciplinare, non riuscendo a dimostrare concretamente che Conte sapesse le stesse cose che sapeva Stellini, si arrampica sugli specchi e dice che “ipotizzare che i componenti dello staff tecnico o la squadra prendessero decisioni a insaputa di Conte non è oggettivamente credibile” in quanto Conte, come è noto, sarebbe “un accentratore”. Insomma, solita storia: non poteva non sapere, mister Conte. Il principio del “non poteva non sapere”, però, e qui che si tratti di giustizia sportiva o di giustizia penale poco camhia, è uno degli orrori della giustizia italiana: non poteva non sapere significa che avrebbe potuto non sapere ma non è credibile che non sapesse e che dunque suvvia non prendiamoci per il C**O è ovvio che sapeva non raccontiamo favole. I magistrati però, come è noto, si dovrebbero occupare di prove, e non di logica o di filosofia, mentre invece la cifra dell’inchiesta su Conte è proprio quella: logica. Non poteva non sapere della combine; non poteva non sapere della gara truccata; non poteva non sapere delle scommesse; non poteva non poteva non poteva. E invece forse, poteva chissà. Ecco. Questo è quanto. Questo è quello che dicono le carte. Nulla di più nulla di meno. Solo un processo debole, e come molti, moltissimi altri verrà probabilmente smontato in appello. Ma chissà, la giustizia sportiva, purtroppo, in Italia funziona più o meno come la giustizia cinese: certezza della pena sicuro, certezza del giusto processo purtroppo un po’ meno.

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Il personaggio Masiello: «Ho detto quello che sapevo, ho la coscienza a posto»

Da gola profonda a calunniatore:

tutte le verità di Andrea

di ANDREA ARZILLI (CorSera 11-08-2012)

ROMA — Possibile che chi ha già confessato l'inconfessabile ora avverta solo dubbi e diffidenza sul resto delle sue parole? La verità a singhiozzo di Andrea Masiello esce letteralmente fatta a pezzi dalle sentenze della Disciplinare: è buona per il derby e per la ammissione dolorosa dell'autogol pro combine, lo è parzialmente per la presunta combine del Bari a Bologna, ma vale poco o niente per Udinese-Bari, il tarocco su cui, secondo l'accusa, avevano lavorato anche Bonucci e Pepe, adesso entrambi dichiarati «puliti».

Da gola profonda a calunniatore nel giro di un processo, rivelazioni sofferte, «arricchite» o «adattate», a seconda che ne parlino Palazzi o i legali di Bonucci. Ora, però, che l'ex compagno nel Bari, e probabilmente anche ex amico, è libero da ogni accusa, Masiello non ritratta: «Da quando ho fatto le mie dichiarazioni ho la coscienza a posto — fa sapere il pentito —, sono sereno con me stesso per avere raccontato tutta la verità».

È il difficile mestiere del pentito, la scomoda verità che si propugna diventa ragione di vita e la propria credibilità una questione di coscienza. Lacrime in carcere quando si è trattato di spifferare di Leo Bonucci, una confessione ripetuta a Cremona e recuperata dalla memoria in quattro puntate. Ma per i giudici non è buona. Un inferno all'improvviso per il difensore viareggino cresciuto nella Juve con Marchisio, finito a Bari con la fascia al braccio perché primo ad arrivare all'allenamento, perché la sera non c'era movida che tenesse e perché ci metteva sempre la faccia. «Abbiamo fatto una figuraccia, dobbiamo tirare fuori le palle», diceva nell'anno della retrocessione e dei tarocchi. Era una mezza verità, stava cambiando tutto, Masiello stava cementando il legame con gli allibratori e gli scommettitori, forse un modo grottesco per tutelare il futuro di Matilde, la figlia di un anno e mezzo, e Alessandra, la donna sposata nel 2009. Ora è tutto da rifare.

Del resto, a 26 anni e con 26 mesi di squalifica appena patteggiati, la vita nel calcio è acqua passata, almeno quello giocato. Nelle Procure, invece, non è ancora finita: a Bari la credibilità di Masiello è ritornata di ferro negli ultimi giorni, gli stessi magistrati che hanno fornito l'assist alla difesa della Juve battezzando poco attendibile il pentito, ora hanno ripreso a nutrirsi delle sue rivelazioni. C'è il Bari di Conte da analizzare, il laboratorio del tarocco su cui indagare. Gli altri convocati hanno tutti scena muta o quasi, solo Lanzafame e Stellini hanno ammesso che Masiello e Micolucci, l'altro pentito creduto a metà del calcioscommesse, hanno detto il vero.

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Confermate le anticipazioni sulle sentenze della Disciplinare: il tecnico condannato per omessa denuncia

Conte fuori 10 mesi

Bonucci e Pepe prosciolti, retrocesse il Lecce e il Grosseto

Marotta: «Mai pensato di sostituire il nostro allenatore» assolto anche DiVaio, nessuna penalizzazione per il Bologna

di STEFANO CARINA (Il Messaggero 11-08-2012)

Nessuna sorpresa. Le indiscrezioni della vigilia sono state confermate. Dunque, 10 mesi di squalifica a Conte, 8 per il vice Alessio, assolti Bonucci, Pepe e Di Vaio, derubricato in omessa denuncia il reato di Portanova (6 mesi), annullamento dell'ammenda all'Udinese e del -2 al Bologna (per il quale rimane la multa), retrocessione in Lega Pro per Lecce e Grosseto. Sono questi i verdetti principali della Commissione Disciplinare riguardo il processo di primo grado sul calcio scommesse resi noti ieri dalla Figc. A conti fatti dei 58 deferiti iniziali, 27 hanno preferito patteggiare, rinunciando al dibattimento. Dei 31 rimasti, ben 8 (7 tesserati e un club, l’Udinese) - tutti appartenenti al filone di Bari - sono stati prosciolti. Tradotto: il pentito Andrea Masiello non è stato ritenuto credibile, facendo crollare il castello accusatorio di Palazzi riguardante Udinese-Bari (e l’implicazione del Bologna e dei suoi tesserati nel tentativo di combine). Contro i friulani non si trattò quindi di illecito: lo esprime chiaramente la commissione, ricordando in merito le «molteplici contraddizioni (...) sin troppo evidenti» del pentito nel formulare la ricostruzione della combine. «Ovvio che le dichiarazioni di Andrea Masiello sul punto non appaiano credibili, non essendo univoche e certe», sostiene nelle motivazioni il presidente Artico. Attendibilità che l’ex difensore mantiene, però, su due gare: il derby Bari-Lecce 0-2, che ha sancito la retrocessione del club salentino in Lega Pro, e il tentativo di illecito per Sampdoria-Bari che costerà a Guberti 3 anni di squalifica.

Differente il discorso che riguarda Carobbio e il filone di Cremona che tocca da vicino l’allenatore della Juventus, Conte. In questo caso i giudici sottolineano invece «l’assoluta attendibilità delle dichiarazioni del Carobbio, comprovata sia dai riscontri avuti (…) ma anche attraverso dichiarazioni rilasciate da altri tesserati con riferimento ad altre gare». Per ciò che attiene ai riscontri, questi sono ravvisabili «nei molteplici contatti telefonici registrati con il gruppo degli zingari e nell’incontro avvenuto nell’albergo in cui si trovava in ritiro il Siena tra Vitiello e Drascek. Viceversa, le dichiarazioni rese dagli altri tesserati coinvolti nella vicenda che tendono a smentire, non possono essere ritenute attendibili, proprio perché, qualora fossero state di conferma, sarebbero valse quali dichiarazioni autoaccusatorie». Smontata anche l'ipotesi del risentimento personale di Carobbio verso l'allenatore citando le parole dell'ex compagno Ficagna «il quale a precisa domanda sulla conoscenza di eventuali motivi di astio o rancore che Carobbio potesse avere con qualcuno del Siena, li esclude».

Discorso simile anche per l'altra gara contestata al tecnico, Albinoleffe-Siena. Sempre omessa denuncia, perché «è provato - scrive Artico - che Conte sapesse». Il presidente della Disciplinare si riferisce a quanto raccontato da Carobbio dell'impegno preso durante la riunione tecnica di qualche giorno prima, con la conferma da parte di Stellini di essere stato incaricato di ‘sistemare’ la gara. E quindi «davvero poco credibile che Conte non fosse a conoscenza dell'iniziativa presa dal suo collaboratore», anche in ragione del ruolo che il ds Perinetti ha definito «accentratore». Dalle accuse Conte potrà difendersi – con l’inserimento nel collegio difensivo del legale Bongiorno - a partire dal 20 agosto, davanti alla Corte di Giustizia Federale. Intanto la Juventus, non lo lascia solo: «Non ci è mai passato per la testa di sostituirlo – ha spiegato ieri l’ad Marotta - così come non è venuto in mente a lui di dimettersi. Siamo vicini al nostro allenatore che riteniamo estraneo ai fatti e siamo convinti che dopo il terzo grado di giudizio, intorno al 10 settembre, lo riavremo in panchina».

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CALCIOSCOMMESSE

Juve, il "10" se lo prende Conte

Sono i mesi di squalifica con cui la Disciplinare ha sanzionato il tecnico bianconero, che ricorrerà in appello, che

sarà discusso lunedì 20. Assolti invece Pepe e Bonucci. A settembre toccherà anche a Lazio, Genoa e Napoli

di LUCA PELOSI (IL ROMANISTA 11-08-2012)

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Mentre in tanti continuano a preoccuparsi non delle notizie ma della loro fuga, ieri sono uscite le sentenze della Commissione Disciplinare della Figc sul calcioscommesse. O meglio, sulla parte presa in esame adesso, perché la vicenda non è ancora finita e altre squadre, che per ora ostentano tranquillità, saranno coinvolte in una seconda fase. La sentenza più attesa riguardava Antonio Conte, allenatore della Juventus, che è stato squalificato per 10 mesi e quindi salterá la finale di Supercoppa italiana contro il Napoli in programma oggi. Il tecnico, condannato per fatti risalenti a quando era l’allenatore del Siena, ha avuto uno sconto di cinque mesi rispetto alla richiesta del Procuratore federale, Stefano Palazzi. Squalificato per otto mesi anche il vice allenatore Angelo Alessio, mentre il collaboratore tecnico Cristian Stellini ha giá lasciato il club dopo il patteggiamento di due anni e mezzo. Prosciolti Pepe e Bonucci, per i quali la Procura Federale aveva chiesto 3 anni e 6 mesi e un anno. Prosciolti anche l’Udinese, Salvatore Masiello, Daniele Padelli, Giuseppe Vives e Nicola Belmonte (limitatamente ai fatti di Udinese – Bari, squalifica di 6 mesi invece in relazione alla gara Cesena - Bari). Lecce e Grosseto retrocesse in LegaPro. Cinque anni di inibizione per il presidente del Grosseto Camilli e l’ex presidente del Lecce Semeraro. Nessuna penalizzazione invece per il Bologna e assoluzione per Marco Di Vaio. Condannato invece a 6 mesi di stop Daniele Portanova. Due punti di penalizzazione al Novara, che li sconterà nella prossima Serie B. Penalità che si somma alla sanzione del precedente processo e che porta dunque per il club piemontese ad penalizzazione complessiva di -5. Appelli da lunedì 20 agosto davanti alla Corte di giustizia federale.

In pieno stile Juventus, la società bianconera non ha perso tempo per esprimere il proprio sostegno ad Antonio Conte che in appello sarà assistito dagli avvocati Antonio De Rensis e Luigi Chiappero, cui si aggiunge l’avv. Giulia Bongiorno.

Squalificato per tre anni anche il tesserato della Roma Stefano Guberti, coinvolto nella combine per la partita Bari-Sampdoria del 2010-2011. «Sono distrutto - ha detto Guberti - Non mi aspettavo assolutamente una sentenza di questo tipo. Sono sbigottito, la trovo una decisione assurda. Ho tante domande che mi frullano per la testa cui vorrei venisse data una risposta. Non capisco perché Masiello, che ha cambiato versione mille volte, sia stato ritenuto attendibile soltanto per quello che ha dichiarato sul sottoscritto, a differenza di quanto avvenuto invece per tutti gli altri imputati».

Ma non finisce qui. A settembre saranno affrontate anche le questioni legate agli arrestati di Cremona. Tra i quali spiccano i nomi di Mauri e Milanetto che, di conseguenza, "chiamano" anche le posizioni di Lazio e Genoa, a rischio penalizzazione. E c’è sempre il filone di Napoli, che vede coinvolta la società del presidente De Laurentiis, anch’essa a rischio penalizzazione. E pensare che a maggio dissero che avevano tenuto fuori dai primi deferimenti le società di A «per non turbare il campionato in corso». Sarà «turbato» il prossimo.

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L'OSSERVATORIO

Ora ci spieghino se e come può allenare

di GIANFRANCO GIUBILO (IL TEMPO 11-08-2012)

Mancava soltanto l'ufficialità, dopo i verdetti mediaticamente anticipati, la «non credibilità» di Andrea Masiello libera dal sospetto e dall'ansia Bonucci e Pepe, resta la macchia per Antonio Conte, la duplice omessa denuncia costa dieci mesi. Sette in più di quelli pateggiati con Palazzi e sconfessati dalla Disciplinare, assai meno di quelli proposti dal Procuratore federale, forse un po’ piccato. Altri due gradi di giudizio, facile ipotizzare che il peso politico della Juve, che ha aggiunto alla sua armata difensiva un pezzo da novanta come Giulia Bongiorno, produca un meno pesante stop. Vero che esistono precedenti in cui i ricorsi hanno portato perfino inasprimenti, ma comunque qualche giorno prima del via al campionato la vicenda sarà definita. Auspicabile che nel frattempo qualcuno all'altezza ci offra una corretta interpretazione delle regole della giustizia sportiva, ambigua sulle mansioni consentite a un tecnico sotto squalifica.

Scontato, insomma, il divieto della panchina e della presenza negli spogliatoi, non è chiaro se sia lecito il lavoro quotidiano sul campo di allenamento. Se la lettura fosse in chiave restrittiva, è ovvio che la Juventus avrebbe un grosso problema. Assai più complesso di quello che all'ora di pranzo porterà sulla panchina bianconera Carrera, per il primo appuntamento ufficiale, la Supercoppa nazionale. La suggestione dell'evento è certamente legata più alla cornice che alla spessore tecnico dell'evento, il Nido d'Uccello di Pechino sarà gremito, in una proporzione che nessun impianto italiano avrebbe potuto garantire. O, forse, il San Paolo, che però nulla avrebbe avuto di neutrale. Il tifo cinese ha già dimostrato un entusiasmo straordinario, da non sottovalutare il traino dell'arrivo di Marcello Lippi, capolista in campionato. Dopo l'addio a Lavezzi e in attesa che voli in alto il piccolo Insigne, il Napoli ritrova Cavani accanto a Pandev, in centrocampo Hamsik avrà il supporto della coppia svizzera Inler-Behrami. Subito via libera invece, tra i campioni d'Italia, per Sebastian Giovinco, il ritorno più significatvio, dovrebbe affiancare in attacco il redivivo Matri, una volta accertata la rinuncia a Vucinic. Anche alla vigilia spazio al calcio giocato, al di là delle sentenze, con i sorteggi di Champions e di League. Portoghesi del Braga per l'Udinese, accettabile. Per il turno dell'Europa minore, Vaslui per l'Inter, per la Lazio sloveni promossi a tavolino dopo avere preso cinque gol a zero dall'Arsenal di Kiev.

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Juve, una botta e due sollievi

«Conte sapeva»: stop di 10 mesi

Prosciolti Bonucci e Pepe

I giudici della Disciplinare ritengono credibile

Carobbio ma non Masiello per Udinese-Bari

di MAURIZIO GALDI (GaSport 11-08-2012)

La conferma è arrivata ieri mattina: la Disciplinare ha inflitto ad Antonio Conte dieci mesi di squalifica. La Commissione non ha dubbi sul fatto che l'allenatore debba rispondere di due omesse denunce, la prima per Novara-Siena, la seconda per AlbinoLeffe-Siena. E mentre la difesa di Conte (gli avvocati De Rensis e Chiappero, ai quali si è aggiunta Giulia Bongiorno) sta predisponendo le memorie difensive per l'appello alla Corte di giustizia federale (Cgf) a sezioni unite di lunedì 20, la Juventus può essere soddisfatta, brindando al proscioglimento di Leonardo Bonucci e Simone Pepe per Udinese-Bari.

Le certezze La Disciplinare non ha ritenuto che Filippo Carobbio abbia coinvolto il suo ex allenatore per «motivi di risentimento». La Commissione ribadisce che Carobbio è credibile e per questo scrive — in merito a Novara-Siena —: «ne consegue che Conte è responsabile dell'addebito contestato... in quanto agli atti è stata raggiunta solo la prova che il Conte fosse a conoscenza della combine». Ancora più chiara è la motivazione con la quale è spiegata la condanna per la seconda omessa denuncia, in AlbinoLeffe-Siena. La Disciplinare scrive: «Peraltro, a ulteriore conferma che Conte sapesse, vi è la circostanza che Stellini ha ammesso di essere stato egli stesso a dare incarico a Carobbio e Terzi, al termine della gara di andata, di andare a parlare con Garlini e Bombardini per "sistemare" la gara di ritorno. Ed è davvero poco credibile che Conte non fosse a conoscenza dell'iniziativa presa dal suo collaboratore, anche in ragione della personalità e del ruolo che aveva all'interno della società, ben spiegati dalla dichiarazione resa da Perinetti, il quale ha affermato che l'allenatore aveva un "carattere accentratore" (dichiarazione Perinetti dell'8 marzo 2012). Ipotizzare che i componenti dello staff tecnico o la squadra prendessero decisioni a insaputa di Conte non è oggettivamente credibile».

La sanzione La Disciplinare per mantenere l'uniformità nei giudizi ha ritenuto di applicare il minimo della squalifica in caso di omessa denuncia: sei mesi. A questi è stata sommata per Conte e Alessio l'aggravante della pluralità, e per Conte l'ulteriore aggravante del ruolo ricoperto. Da questo i dieci e gli otto mesi.

Prosciolti Leonardo Bonucci e Simone Pepe (insieme a Salvatore Masiello e Nicola Belmonte) per Udinese-Bari sono stati prosciolti. Le richieste per loro erano pesanti (omessa denuncia per Pepe, ma illecito per gli altri), ma alla fine la Disciplinare ha dovuto concordare con i difensori che sulla vicenda Andrea Masiello non fosse credibile. Troppe le contraddizioni nei diversi interrogatori e audizioni: «Ovvio che le dichiarazioni di Andrea Masiello sul punto non appaiano credibili, non essendo univoche e certe; peraltro le stesse sono state puntualmente smentite da tutti i diretti interessati e non hanno trovato alcun riscontro oggettivo». Quella che è mancata è la spiegazione del fatto che nessuno dei calciatori coinvolti fosse poi passato «all'incasso» per avere le somme che sarebbero loro state promesse da Masiello. Infatti la Disciplinare dice: «Appare obiettivamente poco credibile, se non inverosimile, che i presunti sodali di Andrea Masiello, dopo avere aderito alla proposta combine e dopo avere ottenuto sul campo quel pareggio che sarebbe stato predeterminato a tavolino, non si siano interessati in nessun modo alla presunta vincita... né tanto meno si siano curati di passare all'incasso».

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3 domande a...

FABRIZIO CASTORI

di NICOLA BINDA (GaSport 11-08-2012)

Castori: «Ora avrà

bisogno dell'aiuto di

club squadra, tifosi»

Fabrizio Castori, oggi al Varese, ha allenato per due anni (2004-06) il Cesena in B da squalificato dopo la rissa durante la finale dei playoff a Lumezzane: il suo vice era Massimo Gadda.

1 Castori, come si fa?

«Non è facile. Conte, come me a Cesena, ha un gruppo consolidato e reduce da una vittoria. La mia squadra si responsabilizzò parecchio, la società mi diede forza rinnovandomi il contratto e l’affetto dei tifosi fece il resto. E il problema si è alleggerito parecchio».

2 Nessun problema quindi ad andare in tribuna?

«No, io soffrivo lo stesso, perché volevo andare in panchina, era dura stare fuori, soprattutto per una allenatore come me e come Conte che viviamo molto la partita».

3 E in settimana?

«In settimana mi impegnavo di più, con Gadda c’era grande intesa, era come se lui pensasse con la mia testa, stavamo sempre insieme e ragionavamo insieme. Mancava però l’immediatezza della gara, dalla mtribuna non si può comunicare me ci si arrangiava. Ed è andata mbene: il primo anno ci siamo msalvati e il secondo abbiamo fatto i playoff per la A».

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Il retroscena

Le troppe contraddizioni dei giudici

un teste credibile solo contro alcuni

Conte punito perché sapeva della combine, gli altri del Siena no

Guberti squalificato tre anni: “Perché Masiello è stato ritenuto attendibile solo su di me?”

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 11-08-2012)

Analizzando le motivazioni della sentenza emessa ieri dalla commissione disciplinare, anche alla luce della peculiare storia di questo infinito processo al calcio scommesse, si inciampa rovinosamente in una congerie di contraddizioni, illogicità e interpretazioni a dir poco originali tale da suggerire qualche riflessione sullo stato di salute della giustizia sportiva dell’epoca Abete-Palazzi.

CONTE

Nella sentenza i giudici non sembrano aver dubbi sulla vicenda Conte. A pagina 25, il presidente Sergio Artico, definisce “assoluta” l’ “attendibilità delle dichiarazioni rilasciate da Carobbio”, il grande accusatore di Conte. «Attendibilità - scrive che è comprovata sia dai riscontri avuti - anche attraverso dichiarazioni rilasciate da altri tesserati - sia per la totale mancanza di un qualunque motivo di risentimento o convenienza che possa averlo spinto a coinvolgere altri soggetti». Pertanto il suo racconto è ritenuto dal giudice vero. E il suo racconto è molto semplice: «Conte ci disse oggi dobbiamo pareggiare, c’è un accordo». Quanto alle smentite dei compagni di squadra di Carobbio, anche queste vengono liquidate dal giudice: non potevano dire il contrario senza fare «dichiarazioni autoaccusatorie ». Stabilito che Carobbio dice la verità e che Conte in ossequio a un accordo ordinò ai suoi di pareggiare, arriva il colpo di scena della sentenza: quel comportamento non configura un illecito sportivo, ma semplicemente un’omessa denuncia. Perché, ci si potrebbe chiedere? Leggendo la sentenza, purtroppo, non si capisce. A questo passaggio, che poi è il punto chiave dell’intera vicenda, Artico dedica 4 righe su 40 pagine. Eccole: «Ai fini della qualificazione della fattispecie, Conte deve essere chiamato a rispondere di omessa denuncia, in quanto agli atti è stata raggiunta solo la prova che il Conte fosse a conoscenza della combine».

GLI ALTRI 20

A questo punto ci si potrebbe aspettare che il giudice sportivo decida qualcosa anche in merito a tutte le persone che nel racconto, credibile, di Carobbio hanno assistito alla comunicazione di Conte (“pareggiate, c’è l’accordo”) e non hanno denunciato nulla. Il deferimento per omessa denuncia dovrebbe essere automatico. E invece non succede nulla. Palazzi se ne è dimenticato nel suo deferimento, il giudice non prende alcuna iniziativa. Perché Conte deve pagare per non aver denunciato un fatto che anche altre venti persone (almeno tutte quelle che hanno firmato il documento che smentiva Carobbio, ritenuto non credibile dal giudice) non hanno denunciato senza per questo pagare alcun dazio?

BARI E IL CASO MASIELLO

Scoppiato il caso Bari, dalla Figc avevano gridato alla tolleranza zero. Ma al processo le tesi dell’accusa sono state smontate in maniera importante. Il giudice Artico ha scelto la stessa linea della procura di Bari: laddove viene ipotizzato l’illecito penale c’è quello sportivo. Che significa?

Che il grande accusatore, Andrea Masiello, a differenza di Filippo Carobbio non è sempre attendibile. Ciò nonostante ha avuto gli stessi benefici di un pentito, ottenendo una condanna a poco più di due anni. Quindi per i giudici Masiello dice molte bugie. Ma nonostante questo va premiato. «La sua versione - si legge nella sentenza - è in alcuni casi non veritiera, in altri non provata e in altri ancora smentita dagli atti». Ma che frottole ha raccontato Masiello? La più grande, dice la Disciplinare, è sicuramente quella di Udinese- Bari stagione 2009-2010. Secondo il difensore lui insieme con i compagni di squadra e di reparto Leonardo Bonucci, Salvatore Masiello, Nicola Belmonte e Alessandro Parisi avevano organizzato un over. Avevano anche contatto Simone Pepe (all’epoca all’Udinese) ricevendo un no. Gli altri protagonisti hanno smentito. Il tabulato telefonico della chiamata a Pepe, passati i due anni, non è più disponibile. I giudici di Bari (a differenza di quelli di Cremona) avevano ritenuto di non iscrivere Bonucci & Co. nel registro degli indagati. E la Disciplinare ieri ha assolto tutti: «Le dichiarazioni di Masiello non appaiono credibili, non essendo univoche e certe; peraltro le stesse sono state puntualmente smentite da tutti i diretti interessati e non hanno trovato alcun riscontro oggettivo» scrivono. Peccato per Parisi, che giusto una settimana prima aveva patteggiato anche per quella partita. E per Stefano Guberti, il centrocampista ex Toro, squalificato a tre anni per Bari-Samp. «Non capisco perché Masiello sia stato ritenuto attendibile soltanto per quello che ha dichiarato sul sottoscritto. Vorrei chiederlo ai giudici, perché?».

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LA STAMPA 11-08-2012

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L'analisi

GLI OCCHI CHIUSI DI UN ALLENATORE

Trascinatore I giocatori hanno bisogno di un riferimento come Conte in campo

di MARIO SCONCERTI (CorSera 11-08-2012)

Conte non è caduto sulle scommesse, i risultati del Siena incriminati sono due «banali» addobbi di partite quasi certamente non costruiti da lui. Però è caduto.

Le due partite sono state truccate, non lo dice solo Carobbio, i riscontri ormai sono molti. L'omessa denuncia c'è stata ed è stata grave. Conte sarebbe stato innocente solo se non avesse mai saputo nulla, ma al di là dei riscontri, è molto difficile credere che uno come lui, presente in qualunque parte della società e della squadra, possa per due volte non sentire, non capire, non accorgersi che il gioco è falso. Data la certezza degli illeciti, il dubbio è sempre stato solo se Conte si fosse limitato ad accettare in silenzio o vi avesse partecipato direttamente. La seconda ipotesi è caduta subito. La prima è sempre parsa inevitabile. L'omessa denuncia ha il suono buono di una distrazione, ma è sempre stata nel calcio un reato estremamente serio. Non si trucca una partita, ma vi si partecipa sapendo che è truccata, si prendono i guadagni tecnici che procura. È molto più che farsi i fatti propri. Chi si limita a far finta di niente, non ha nessun vantaggio. Se si spartisce qualunque tipo di convenienza abbia dato il maquillage, si è comunque complici. Per questo le condanne di omessa denuncia sono sempre state dure, specie sulle spalle di un allenatore. La gravità non è stata scoperta adesso per Conte. Si scoprirà invece adesso cosa significhi far giocare la propria squadra senza andare tutto l'anno in panchina. Non ricordo precedenti. A mio avviso il danno alla fine sarà grande. Non arriverà subito, si accumulerà in decine e decine di particolari mancati fino a portare un handicap serio. Conte è un trascinatore, non è imitabile. E i giocatori hanno bisogno del suo riferimento in campo. Per questo sarà importante qualunque alleggerimento della condanna arriverà (e arriverà certamente). Sarà una prova dura anche per la società. La figura di Conte perderà fatalmente un po' di peso nei giochi interni. La Juve da questa storia ha subito solo danni senza aver commesso niente. Passato il bisogno di mostrare a tutti unità di scopi, resteranno alcune domande non leggerissime sul passato e sul danno reale del futuro che non faciliteranno il rapporto. Con un Conte indebolito servirà una società più forte, una presenza collettiva in grado di far capire alla squadra che alla fine ad esistere sempre è soltanto la Juve. Molto importante l'assoluzione di Bonucci. Rischiava la fine della carriera, gli è stato spesso offerto un patteggiamento che ha sempre rifiutato. Alla fine ha vinto lui. La sua assoluzione è stata una buona risposta anche alle paure di discriminazione della Juve. Cammino da tempo il marciapiede del calcio e della sua sventurata giustizia. So che può essere soltanto sommaria. Ma alla fine ho visto quasi sempre punito chi cattivo era stato davvero.

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PESI E MISURE Le “piccole” senza difesa

Altro che “Sistema” dittatoriale, la Juve se la cava

Le proteste di Andrea Agnelli sortiscono effetto, bruciano ancora le scorie di Calciopoli

di ROBERTO BECCANTINI (il Fatto Quotidiano 11-08-2012)

Così, a naso, non mi sono sembrate sentenze da “sistema dittatoriale”. Dieci mesi ad Antonio Conte, riducibili in appello e al Tnas; assolti Leonardo Bonucci e Simone Pepe. Come sempre succede quando c’è di mezzo la Juventus, il Paese ha cavalcato la giustizia in base al tifo. Delle condanne di Lecce e Grosseto frega solo ai parenti stretti. In compenso, i diaconi pro Goeba hanno scoperto Filippo Carobbio il giorno in cui venne abbinato al nome dell’allenatore, non prima. Siamo fatti così: punti sul vivo, ci agitiamo; in caso contrario, continuiamo a russare .

I LASCITI di Calciopoli sono ancora lì che friggono in padella. Non discuto le responsabilità di Antonio Giraudo e Luciano Moggi; discuto il percorso netto di Franco Carraro, lo scudetto a tavolino del quale venne gratificata l’Inter, le telefonate trascurate di Giacinto Facchetti e Massimo Moratti. Voce dal fondo: le solite menate. Vero, ma non si può non ripartire da quella zavorra per tradurre l’ennesima puntata (in senso buono, spero) del tormentone. Di sicuro, dai verdetti della Disciplinare esce a pezzi Stefano Palazzi, il superprocuratore federale, sbranato “da” Bonucci & Pepe.

Oggettivamente, le prove a carico della coppia mi sembravano fragili. È più complesso il dossier Conte. Là, un pentito ritenuto non credibile (Andrea Masiello); qui, un altro pentito considerato credibile (Filippo Carobbio). La doppia omessa denuncia non sta in piedi: illecito o niente. La terza via di Palazzi ha spiazzato tutti. Al posto di Andrea Agnelli, avrei dato retta al tecnico, e non avrei patteggiato. Oppure, una volta deciso di farlo, non avrei osato così tanto, tre mesi (con agosto di mezzo) e 200 mila euro di multa, ben al di sotto del minimo tabellare. Una provocazione: e come tale, mai arrivata oltre il circolo polare Artico.

Ci si chiede, saggiamente: che fine hanno fatto i giocatori ai quali Conte avrebbe comunicato la combine di Novara-Siena nel conclave della vigilia? E perché è “scomparso” il presidente Massimo Mezzaroma? Snodi cruciali. Ciò doverosamente premesso, ecco il patteggiamento di Cristian Stellini, le sue deposizioni e, soprattutto, le sue dimissioni dalla Juventus. Fin dai tempi del Bari, Stellini era un fedelissimo di Conte, possibile che agisse in totale autonomia? Qualcosa non torna.

L’AGORÀ del web adora i presidenti che gonfiano i muscoli e alzano la voce. La Juventus ha citato la Federazione per 444 milioni di euro e, dunque, apriti cielo. Gli juventini: non ci faranno mai vincere più niente. Gli anti-juventini: li lasceranno vincere nella speranza che abbassino la cresta, e le pretese. Per la cronaca, l’ultimo scudetto l’ha vinto, senza perdere una partita, la Juventus di De Ceglie e Giaccherini.

In appello, la difesa di Conte potrà valersi anche di Giulia Bongiorno. Non tutto ha funzionato, tra gli avvocati. Voci da Torino parlano di una frattura tra l’ala Elkann-Briamonte e il polo “umbertino” (pro Conte, comunque). Non so cosa bolla in pentola a Bari. Rammento che la Juventus prelevò Paolo Rossi e Angelo Peruzzi, dal Perugia e dalla Roma, quando ancora erano squalificati (il primo, per il toto nero; il secondo per doping); e l’Inter non sospese Gabriele Oriali dopo il patteggiamento davanti al Tribunale di Udine per la storiaccia del passaporto, falso, di Alvaro Recoba.

A meno che non bluffi, o qualcuno sia a conoscenza di dettagli che ignoro, non capisco perché Conte dovrebbe dimettersi, o la società allontanarlo. Oggi, a Pechino, Juventus e Napoli si contenderanno la Supercoppa di Lega, con Massimo Carrera in panchina e Conte in tribuna. Invito i tifosi delle Grandi a pensare, ogni tanto, ai “colleghi” delle Piccole: ai rari dibattiti che, in tv, ne ospitano le istanze. Due pesi e due misure: loro sì, possono urlarlo. Tornando a Conte, d’ora in poi marchi a uomo i suoi assistenti.

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Squalifica è quando giudice fischia

I dieci mesi a Conte, un tweet arguto e i vizi del calcio e del tifo

editoriale da IL FOGLIO 11-08-2012

Pigi Battista grande garantista, ma anche super tifoso juventino, ha subito twittato: “FLASH - Conte dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità”. Mettendo per un attimo da parte il concetto universale del Bello, che a dirla tutta non ha mai deposto a favore dell’allenatore della Juventus, si può concordare con lo spirito polemico di Battista sul fatto che tempi, modi, disparità (o peggio ancora casualità) di trattamenti della giustizia sportiva italiana gridano vendetta (ma né più né meno della giustizia ordinaria) e indurrebbero, non s’avesse altro da fare, a ricorrere supplici e indignati presso le Supreme Istanze che regolano l’armonia mondiale.

Al termine (provvisorio) del processo calcioscommesse, o almeno della sua tranche calcisticamente più rilevante, quello che coinvolgeva allenatore, vice e due giocatori della Juventus per fatti che sarebbero accaduti quando ancora militavano in altre squadre, Antonio Conte ha rimediato una pesante squalifica di dieci mesi, mentre i giocatori Leonardo Bonucci e Simone Pepe sono stati assolti. E’ vero, vista distrattamente da lontano, la sentenza sembra ribaltare le impressioni di solo qualche giorno fa, quando Conte sembrava vicino a un patteggiamento molto più soft, e invece i due calciatori sull’orlo dell’abisso (due o tre anni, nello sport, sono ergastolo). Ma l’esito finale, paradossalmente, non potrebbe significare che i giudici hanno lavorato bene, e ben valutato tutte le carte? Invece, in alcuni atteggiamenti più da tifosi che da garantisti, non ultimo quello del presidente della squadra torinese, Andrea Agnelli, che parlò di “dittatura” di fronte alla sola richiesta di condanna da parte del tribunale sportivo, continua a far capolino un vizio italiano. Chi abbia avuto modo di scorrere le quaranta pagine della sentenza, e abbia cognizione degli addebiti che erano stati mossi, sa che certi comportamenti e certi “reati” sportivi, qualora provati, vanno sanzionati e anche con durezza, pena la definitiva perdita di credibilità di tutto il movimento calcistico. Garantismo non è certo negare i reati, e resta il dubbio che, se quegli allenatori e giocatori fossero rimasti in una squadra bianconera di minor rango, il Siena, a nessuno sarebbe venuto in mente di gridare alla dittatura dei giudici. Antonio Conte ricorrerà in appello, ha scelto ottimi avvocati e sempre ci si augura che possa dimostrare la sua innocenza. Ma per il bene suo e della Juventus, non certo per poter poi andare allo stadio sventolando l’ennesimo sbaglio di un giudice, nascondendo sotto il cuscinetto da tifoso il dubbio di essere lì a sgolarsi per una farsa. Dal tifo all’Unesco, il passo è ancora lungo.

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L’intervista

Beretta: «Rispetto per le sentenze

la serie A alla fine ne esce bene»

Il presidente della Lega «Vicende molto delicate bisogna avere la freddezza di aspettare»

di ROBERTO VENTRE (IL MATTINO 11-08-2012)

Pechino. Parte la stagione ufficiale con la finale di Supercoppa Napoli-Juventus al «Bird's Nest». Il calcio nazionale si rimette in moto in Cina, mentre in Italia continua a tenere banco la vicenda scommesse, con le sentenze della Disciplinare. Il presidente della Lega di serie A Maurizio Beretta le apprende mentre dà il suo messaggio al calcio italiano dalla sede dell’ambasciata a Pechino, dove con i rappresentanti di Napoli e Juventus è stato ricevuto dall’ambasciatore Massimo Iannucci.

Presidente, ecco il doppio volto del calcio italiano. In campo a Pechino per la Supercoppa, nelle aule della giustizia sportiva a Roma.

«Nelle vicende delicate bisogna avere la freddezza di aspettare che tutto sia chiaro e ben definito. È giusto, così come abbiamo fatto noi, chiedere massima trasparenza e condannare con determinazione i casi in cui si riscontrasse la presenza di illeciti sportivi. Quello emerso in maniera chiara è che il gran calcio della serie A è sano: tutti i valori sani e sportivi che ha sempre assicurato negli anni passati ci sono ancora».

Nelle sentenze di ieri è stato condannato Conte, il tecnico della Juve, impegnata qui a Pechino...

«Prima di poter commentare questo episodio e tutti quanti gli altri dello stesso genere è bene aspettare i tre gradi di giudizio. È raccomandabile aspettare la fine dei percorsi che devono essere fatti, bisogna aspettare tutto quello che è in determinazione per avere quadro il chiaro».

Si riparte dalla Cina, una formula vincente?

«Bisogna prestare grande attenzione alle opportunità che il calcio italiano può avere per guadagnare attenzione all'estero. È bene trasferire questa immagine vincente delle grandi squadre di serie A. Durante le giornate del campionato italiano tra pubblico allo stadio e in tv raggiungiamo i dieci milioni di persone. Il fenomeno calcio in Italia non ha eguali. E per questa finale di Supercoppa Tim anche quest'anno ci sarà una grande partecipazione dei cinesi, si va verso almeno le sessantamila presenze, ciò contribuirà a un'ulteriore crescita del calcio italiano sul mercato mondiale».

Il club azzurro sta provando ad organizzare un torneo in Cina.

«Rientra in questo filone, che ben venga. Già oggi ci sono molte manifestazioni internazionali, bisogna tenere presente questa dimensione globale, si tratta della strada giusta da seguire e bisogna prendere al volo tutte le opportunità di crescita per il calcio italiano».

In finale di Supercoppa c'è il Napoli che torna dopo anni a questi grandi livelli: un bene per il calcio italiano?

«I valori attuali del calcio italiano dimostrano un grande equilibrio di forze, c'è grande incertezza fino all'ultima giornata di campionato e ciò aumenta lo spettacolo. La presenza del Napoli è importantissima per il movimento del calcio italiano, sia per il numero dei tifosi, sia perché stiamo parlando di un'eccellenza sportiva per il mezzogiorno d'Italia».

De Laurentiis porta avanti con fermezza il concetto di fair play finanziario: un esempio da seguire?

«La sostenibilità dei costi è diventata fondamentale e l'unica strada da seguire. Bisogna fare un'analisi attenta dei ricavi e in base a questo fare grande attenzione ai costi. In questo modo ne crea giovamento l'intera sistema: società, calciatori e tifosi».

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Se c'era marcio non è stato estirpato fermando Conte

IL CALCIO MERITA UN’ALTRA GIUSTIZIA

Sospetto È mancata la mano pesante e gli accusatori sono stati creduti in parte. Assoluzioni e condanne note da giorni

di GIUSEPPE SANZOTTA (IL TEMPO 11-08-2012)

Sarà anche un processo sportivo, ma almeno formalmente le regole dovrebbero essere le stesse di un processo penale. Così non può passare sotto silenzio che da alcuni giorni assoluzioni e sanzioni ai principali imputati del calcioscommesse erano stati anticipati dai giornali. Due squadre retrocesse, Lecce e Grosseto, che non hanno santi in paradiso. Conte si prende dieci mesi per omessa denuncia. Cioè per aver avuto notizia di partite truccate senza fare nulla. O Conte sapeva e ha fatto finta di allenare e preparare la propria squadra e allora la sentenza doveva essere ben più severa. Oppure era all’oscuro o al massimo avrà avuto un sospetto senza prove e allora la pena è eccessiva e ingiusta. Se chi lo chiama in causa poi fa riferimento a un discorso alla squadra perché non sono stati accusati tutti i presenti? Misteri. Come quelli di testi credibili e altri mendaci. Di testimonianze considerate credibili e di altre ritenute false.

È andata bene a Bonucci e Pepe, due imputati eccellenti e soprattutto il primo rischiava veramente tanto. Questo round, comunque, lascia l’amaro in bocca. È in arrivo un nuovo processo con altri personaggi e le somme le tireremo alla fine. Facciamo così un punto parziale. Abbiamo avuto la certezza di un giro criminale di scommesse che ha coinvolto molti giocatori. Nel pentolone sono finite società professionistiche e i loro dirigenti con l’accusa di aver pilotato i risultati. Insomma il marcio è venuto fuori, calciatori che facevano finta di disperarsi dopo un autogol invece fortemente voluto. Altri, bandiera di una squadra, che hanno tradito società, compagni e tifosi. Il sospetto, che a volte in campo ci sia una recita con un copione scritto può uccidere il calcio. Purtroppo le sentenze di ieri non fanno chiarezza. Non c’è stato il pugno di ferro, e il condannato eccellente, Conte, potrebbe apparire come una vittima sacrificata alla necessità di non chiudere la partita con una bolla di sapone. In fondo anche se sospeso potrebbe continuare ad allenare la squadra senza andare in panchina. Pesante è solo la macchia. Se Conte fosse innocente, però, sarebbe una macchia che non merita.

Comunque resta il timore che se illeciti ci sono stati la giustizia sportiva, forse per la necessità di chiudere presto, non sia andata fino in fondo. Per gestire un risultato non può bastare un calciatore corrotto. Da solo farebbe ben poco a meno che non sia un portiere che quel giorno decida di andare a caccia di farfalle. E potrebbe non bastare. Quando giocano 11 contro 11, per addomesticare e pilotare una gara occorrono ben altre resposabilità. Se non tutti, almeno una buona parte degli attori in campo deve essere partecipe, deve essere coinvolta. Un calciatore da solo cosa può fare? Sbagliare tutti gli interventi, passare il pallone agli avversari? Se fa così dopo 20 minuti l’allenatore lo spedisce sotto la doccia accompagnando la sua uscita con improperi irripetibili. Per falsificare un risultato serve molto di più.

Allora diciamo che questa sentenza ci lascia l’amaro in bocca. La Juventus rischiava di pagare molto, stavolta per vicende con non la vedono coinvolta direttamente, (Bonucci, Conte e Pepe erano sotto inchiesta per comportamenti tenuti in altre società). Alla fine ha pagato poco. Perché è tornata a pesare nella politica calcistica? Oppure perché non c’erano forti elementi accusatori nei confronti dei tesserati? Domande che per ora non hanno una risposta. Così questa sentenza non mette un punto fermo. Forse i giudici sportivi non potevano e non dovevano fare una scelta politica. Ma resta l’impressione che dopo l’emersione di tanto marcio, a pagare sia soprattutto Conte con il dubbio che non ci sia la prova decisiva.

Certamente non è finita. Ma la presa di posizione forte dei vertici calcistici ha partorito un topolino. Per ora.

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l’Analisi di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 11-08-2012)

Toni rispettosi

Ecco il fatto nuovo

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Sono sentenze di primo grado. Poi ci sarà l'appello presso la Corte federale e infine il terzo grado al Tnas del Coni. Questo per dire che tirare delle conclusioni sul futuro di Conte è fuori luogo. I dieci mesi di squalifica possono ancora diventare un proscioglimento o una condanna di durata inferiore, magari più vicina a quel patteggiamento mancato che oscillava tra i quattro e i cinque mesi. Entro fine settembre ne sapremo di più. Per ora, la sentenza dice che le convinzioni della Disciplinare poggiano su due elementi: la credibilità di Carobbio e il fatto che Conte non potesse non sapere, dal momento che il «suo» Stellini c'era dentro fino al collo. Il secondo elemento, più del primo, sarà pane per i denti affilatissimi dell'avvocato Giulia Bongiorno, che fa ingresso nel collegio di difesa dell'allenatore della Juventus. Se son rose fioriranno.

Si è già esaurito, invece, il viaggio processuale di Bonucci e Pepe, che escono prosciolti insieme agli altri attori di Udinese-Bari per via dell'inattendibilità dell'accusatore Andrea Masiello. La Juventus si produce in un commento pacato e istituzionale: «Grande soddisfazione» per Bonucci e Pepe e «auspicio che i prossimi gradi di giudizio possano infine permettere alla innocenza di Conte e Alessio di emergere appieno». Parole giuste. Lontane anni-luce da quelle al vetriolo di appena otto giorni fa, quando saltò il patteggiamento di Conte. Rileggerle oggi può essere comunque istruttivo: «Federcalcio e giustizia sportiva continuano a operare fuori da ogni logica di diritto e di correttezza sostanziale», «...è in atto un nuovo attacco ai danni della Juventus e dei suoi tesserati» e «sistema dittatoriale che priva le Società e i tesserati di qualsivoglia diritto alla difesa e all'onorabilità». C'era proprio bisogno di tutto questo? La risposta è no. Il ripristinato rispetto dei ruoli si spera faccia il resto.

Scommessopoli due merita anche un altro paio di considerazioni, su Palazzi e sul patteggiamento. Il procuratore federale, che verrà riconfermato nel suo incarico per il prossimo quadriennio, è sotto il fuoco di una critica un po' facilona per le richieste su Udinese-Bari e i successivi proscioglimenti. Giova forse ricordare che nei due round di Scommessopoli su un totale di 143 richieste accusatorie, Palazzi tra patteggiamenti e condanne ha avuto in primo grado soddisfazione, totale o parziale, 128 volte. Nelle altre 15 la Disciplinare, che sta lì anche per questo, gli ha dato torto. Se Palazzi ha qualcosa da farsi perdonare, è in qualche pasticcio dibattimentale di troppo. La sostanza del suo improbo lavoro rimane pressoché intatta.

Il patteggiamento, a prescindere dal caso Conte e dintorni, così non va per almeno tre motivi: 1. Non può essere la via d'uscita scorciatoia-escamotage per quanti negano sempre tutto e poi all'ultimo momento, dopo essersi fatti quattro calcoli, decidono che è più conveniente patteggiare e magari metterci sopra anche una collaborazioncina buona per ulteriori sconti. Se un imputato si pone processualmente come «innocente», lo faccia dall'inizio alla fine. 2. E' sbagliato che la possibilità di patteggiare resti tale anche durante il dibattimento, con il rischio di esporre tutti a scene imbarazzanti, dove più che a un processo sembra di presenziare a un mercato. 3. Il rischio più grande, diventare terreno fertile per ben altro tipo di «patteggiamenti» clandestini: io tesserato senza presente nè futuro mi accollo tutte le responsabilità e lascio a te tesserato importante e in carriera solo il peso di una risibile omessa denuncia. In cambio di che cosa? Per fortuna, questo non è ancora avvenuto. Ma certi problemi è meglio prevederli. E, ove possibile, prevenirli.

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Il commento

Se società, squadra e tifosi non si arrabbiano per le partite comprate ma per le sentenze di condanna il calcio non è ancora guarito

Gridare al complotto è una sconfitta doppia

Più idolatrati di prima gli ultrà biancorossi che chiedevano ai giocatori di perdere

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica - Bari 11-08-2012)

Quando si parla dello scandalo del calcioscommesse, c’è una domanda frequente: «Cosa succederà ancora?». Lo chiedono a Milano, lo chiedono a Roma e Napoli e lo domandando anche a Bari, a Lecce, qui in Puglia. Prima di poter dare una risposta è il caso di analizzare quello che è già successo, siano o no giuste le pene che il tribunale sportivo ha appena emesso. Bene. In Puglia è successo che la società del Lecce ha comprato due anni fa la promozione in serie A della propria squadra. Comprato: 250mla euro, sborsati da Pierandrea Semeraro (bollato sui forum con un geniale Piertrota), figlio dell’allora presidente, e incassati con la collaborazione di un paio di intermediari dal difensore della squadra avversaria, che per dimostrare la propria complicità si è anche segnato un bell’autogol.

Quella giornata, quando il Lecce sancì la matematica salvezza in serie A, fu probabilmente una delle più belle della storia di un tifoso giallorosso. Avevano vinto il loro scudetto e soprattutto lo avevano fatto a casa dei nemici giurati, il Bari, già condannati alla retrocessione. Ecco cosa può esserci di meglio per un tifoso? Cosa può rovinare una gioia così?

Quello che è successo ieri. Scoprire che quella partita non era stata soltanto giocata. Ma anche comprata. E per colpa di quella partita retrocedere e finire ancora più giù rispetto agli odiati cugini del Bari. Bene, accanto a una storia del genere uno si aspetta che i tifosi si arrabbino. Cavolo, si arrabbieranno. Prima il danno della presa in giro infine la beffa della retrocessione. Certo si arrabieranno. Invece non si sono arrabbiati, o meglio lo hanno fatto con chi ha soltanto annotato (i giudici, i giorna-listi) quello che è accaduto. E il giorno dopo invece di implorare di smetterla, di sparire, invece di pretendere indietro il loro giocattolo, in A, in B, in C, purchè fosse quel vecchio, sano giocattolo, hanno cominciato a cavillare sperando in un ripescaggio o gridando al complotto.

Non sono i soli a parlare di complotti. Perché immaginate cosa ci sia di più brutto per un tifoso che sapere che il proprio presidente compri le partite: sapere che i propri tifosi paghino o minaccino per fare perdere la propria squadra. Ecco, è successo a Bari: tre capi ultras, sono stati arrestati (e sono liberi da qualche giorno dopo mesi) con l’accusa di aver costretto i propri giocatori a perdere. Ora, magari saranno anche innocenti, ma per lo meno uno sospende il giudizio, il dubbio se lo fa venire. E invece guardate i loro profili Facebook e capirete che continuano a essere idolatrati come e più di prima.

Per questo quando chiedono cosa succederà ancora c’è una sola risposta che si può dare. Niente, non succederà niente. Il Cittadella ve lo meritate.

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GIUSTIZIA SPORTIVA TUTTA DA RIFARE

di MAURIZIO CROSETTI (la Repubblica 11-08-2012)

Se il calcio italiano è poco credibile, la giustizia sportiva da ieri lo è ancora meno. Più che una sentenza questo è un colossale accordo, un gigantesco barattolo di colla per tenere insieme i pezzi di uno sport senza più controllo e senza regole, se non quelle del mercato e del compromesso.

L’enorme forbice tra la richiesta di 3 anni e 6 mesi per Bonucci (aveva forse ferito suo cognato, aveva svaligiato un ufficio postale?) e la successiva assoluzione in primo grado, dimostra che questo processo si è mosso nella nebbia, con poche prove e nel totale marasma della procura federale: prima, i famosi 3 anni e 6 mesi (per non parlare del sì, no, forse, avanti e indietro nel patteggiamento/palleggiamento su Conte), poi il grottesco tentativo da parte di Palazzi di far patteggiare pure Bonucci e Pepe, infine il crollo del castello. Ci sono magistrati che si dimettono per molto meno.

Duecento pesi e duemila misure, altro che giustizia. Se il Grosseto dovrà mangiare polvere nei secoli dei secoli, personaggi di club molto più potenti hanno e avranno la scorciatoia. Uno come Doni, al netto di tutte le sue fesserie si è preso cinque anni, in pratica ha chiuso la carriera, ma questo molti mesi fa, mentre uno come Masiello, con otto - diconsi otto - illeciti commessi, ammessi e reiterati se la cava con venti mesi di squalifica: patteggiamenti in offerta speciale, condanne a prezzo scontato per i pentiti, però anche loro non sono tutti uguali, qualcuno è più uguale degli altri.

La Federcalcio, dopo avere perso totalmente il controllo di un sistema che ha visto oltre 200 calciatori coinvolti nello scandalo e indagati, e molti di loro colpevoli del peggiore atto di slealtà possibile dopo il doping, cioè vendersi le partite, ha cercato una via d’uscita per salvare le poltrone: missione compiuta, ma salvare la faccia sarà più difficile. Questo processo dimostra che la giustizia sportiva va rifondata e riformata, e probabilmente la Figc. Anche se i tempi forzatamente frettolosi del calcio, le famigerate esigenze di calendario, la voglia matta di colpi di spugna e non certo di tolleranza zero, portano ai processi sommari, ai pasticci clamorosi e alle sentenze già scritte: proprio come questa, del resto pubblicata dai giornali assai prima della lettura in aula. Altro sintomo di malattia.

L’imputato più eccellente, cioè Antonio Conte, è stato condannato ma avrà certamente un forte sconto: in appello dovrebbe cavarsela con tre o quattro mesi di squalifica. La Disciplinare dichiara che è provato che l’allenatore sapesse dell’accordo sottobanco, e avesse pronunciato quel famoso discorso ai suoi giocatori, ma nel contempo giudica non credibili i calciatori del Siena e non accusa neppure uno di loro di omessa denuncia: altra contraddizione. E comunque, con questa sentenza si crea un precedente pericolosissimo: da oggi, qualunque allenatore o giocatore dica nello spogliatoio «ragazzi, oggi non si vince, siamo d’accordo con l’altra squadra», non sarà accusato di illecito sportivo ma di omessa denuncia. Qualcuno allora provi a spiegare cos’è un illecito, e possibilmente a dimostrarlo.

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VERDETTI DELLA DISCIPLINARE

Ieri oggi e domani

Dieci mesi di squalifica a Conte

La Juve: “Resta il nostro allenatore”

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 11-08-2012)

Dieci mesi di squalifica per Antonio Conte, due in meno per il suo vice Angelo Alessio. Sette proscioglimenti, Bonucci, Pepe, Di Vaio, Vives, Salvatore Masiello, Padelli e, per i fatti di Udinese-Bari, Belmonte e un club assolto, l’Udinese. Poi, due squadre, il Lecce e il Grosseto nei guai con l’esclusione dal campionato di serie B e il naufragio in Lega Pro Prima Divisione e un pentito, Andrea Masiello, la cui credibilità è stata minata dai cinque guidici della corte: i verdetti di primo grado della Commissione Disciplinare - 19 le condanne totali - confermano a pieno quanto annunciato nei giorni scorsi e, adesso, lasciano spazio alla corsa delle difese verso l’appello in agenda per lunedì 20 agosto (resta in campo l’ipotesi della prima udienza tre giorni prima). Il terzo processo al calcioscommesse ha fatto segnare il passo al teorema accusatorio del pm del pallone Stefano Palazzi in quanto la corte ha capovolto o alleggerito le pene di club e tesserati quando alle ricostruzioni del pentito di turno non sono seguiti riscontri probatori di un certo peso. Fra poco più di una settimana si torna in aula. A settembre ci sarà spazio per il terzo grado di giustizia sportiva davanti al Tribunale Nazionale Arbitrale per lo Sport presso il Coni: da quel momento, le sentenze saranno passate in giudicato senza più appelli.

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Casualità della vita

il caso di MARIO GIORDANO (il Giornale 11-08-2012)

BUON SANGUE È giusto imporre la squadra del cuore?

Mio figlio deve tifare come me

È un diritto sancito dalla fede

Per addormentare il piccolo mio padre gli recitava la formazione del Toro.

Io ho provato a fargli amare il Milan: ma l’ho portato a Istanbul...

MOLTO PERSUASIVO... Costrizioni? Macché, quando si «sbucciava» davo la colpa alla Juve...

LIETO FINE (O NO?) La sconfitta rossonera lo riconvertì: «Vedi papà, tutti soffrono come noi...»

Quando nacque mio figlio mio padre cominciò a cullarlo cantandogli una strana ninna nanna: «Bacigalupo, Ballarin, Maroso.. . ». La formazione del Grande Torino. Raccontano le leggende famigliari che alla parola Valentino Mazzola il bébé già sussultasse d'orgoglio granata, come se fosse un predestinato. Si tratta evidentemente di una menzogna che ci siamo sempre bevuti, per giustificare a noi stessi l'utilizzo massiccio di metodi di persuasione occulta. Perché, è ovvio, si fa ma non si dice: a parole i figli sono sempre liberi di scegliere, ci mancherebbe, figuriamoci un po'. Nella realtà se mi fosse cresciuto un figlio juventino credo che avrei chiesto l'intervento dell'assistente sociale per togliermi la patria potestà.

In effetti, noi siamo una famiglia di torinisti doc: mio nonno tifava Toro, mio padre e mio zio tifavano Toro, io e mio fratello tifiamo Toro, i miei figli e i miei nipoti (cioè i figli di mio fratello) pure. C'è un unico cugino che tifa Juve: dev'essere frutto di una disattenzione paterna, per cui abbiamo più volte invocato sul congiunto l'intervento di un tackle a piedi uniti di Giacomo Ferri (picchia per noi). Comunque nei raduni di famiglia a questa pecora (bianco) nera è democraticamente impedito di pronunciare la parola «calcio».

Da notare: siamo sparpagliati in giro per l'Italia e siamo per lo più cresciuti in epoche in cui tifare per il Torino era un po' come piantarsi chiodi nelle mani, una pratica masochistica, insomma. Eppure quando qualcuno ci domanda: «Hai costretto tuo figlio a tifare Toro?», la risposta scatta automatica: «Macché figurati, ho fatto di tutto per evitarlo, ma è una questione di sangue ». Ma certo: è una questione di sangue. Ma caso mai il sangue non bastasse ci vuole qualche aiutino. L'Epo del tifoso doc. Mio padre usava quelle nenie seducenti che finivano sempre con Menti-Loik-Gabetto-Mazzola-Ossola e sempre forza Toro. E io nel timore che neppure quello bastasse, usavo metodi ancora più spicci: ogni volta che gli cambiavo il pannolino, gli dicevo: «Buttiamo via questa brutta Juve».

Per carità: nessuna costrizione. Però, ecco, capitava che, mentre stava per mettere in bocca un oggetto sporco, io lo intimavo: «Questo non si mangia, questo fa male, questo è Juve». E se cadeva e si sbucciava le ginocchia, picchiavo il pavimento: «Brutto pavimento, fai male al mio bimbo: sei cattivo come la Juve». Vi sembrano costrizioni queste? Certo: nel frattempo ho riempito la casa di Dvd del tipo: «Tutti i gol di Pulici» o «Le magie di Claudio Sala» e glieli propinavo, sostituendo di nascosto Walt Disney. Ma non era costrizione: soltanto un corso di cultura sportiva. Nessun obbligo, nessuna forzatura. Al massimo una maglia in regalo («hai visto che bella, tutta granata con la scritta Lentini sulle spalle?»). E qualche gita in montagna che, casualmente, finiva nel ritiro estivo del Toro. Che colpa ne ho se il Toro andava in vacanza proprio sul cucuzzolo dove volevo andare anch'io?

Fu in una di quelle occasioni che il mio piccolo Lorenzo scelse come idolo De Ascentis. De Ascentis, capite? Il tribunale internazionale dei minori potrebbe condannarmi per averlo ridotto a De Ascentis. Ma non è stato l'unico crimine paternal-calcistico commesso nei suoi confronti. Anzi. Tifare Toro, in sé, per un bimbo che sta in Brianza nell'era di MilanInterJuve dev'essere stata una specie di tortura. Ricordo ancora quando Lorenzo tornava a casa da scuola e mi diceva: «I compagni mi dicono se il Toro è una squadra che esiste davvero perché non la sentono mai in Tv». Mia moglie ha cominciato ad accusarmi: «Povero figlio, perché lo vuoi condannare alla sofferenza pallonara eterna? ». Allora ho deciso di togliermi anche l'ultimo peso dalla coscienza: «Lo porto a vedere un'altra squadra, così magari si appassiona», mi sono detto (e ho detto a mia moglie). E per farlo appassionare come si conviene ho cercato l'occasione giusta: una gara importante, una squadra italiana stellare candidata a vincere, una festa di una notte intera con i tifosi di altri colori. Perfetto, ho trovato: organizzo e vado con mio figlio a Istanbul per la finale del Milan in Champion's League.

Molti di voi ricorderanno: i rossoneri, favoritissimi, chiudono il primo tempo in vantaggio 3 a zero. La festa è già pronta, ma nel secondo tempo il Liverpool rimonta e poi vince ai rigori. Un'umiliazione. E un delusione cocente. «Papà, ma se si soffre anche coi milanisti, allora è meglio tifare per il Torino. Se non altro noi abbiamo sempre Bacigalupo, Ballarin, Maroso... », mi ha detto Lorenzo alla fine di quella partita. E io (mi perdonino i rossoneri) non ho mai benedetto tanto una sconfitta di una squadra italiana come in quell'occasione. Mi ha regalato quello che desideravo più al mondo: un figlio che ha riempito la sua stanza di bandiere granata. E, insieme, un alibi perfetto: «Costrizione? Ma quale costrizione? Io ho persino cercato di farlo diventare milanista. . . »

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La Malaeducacion Il calcio dei famosi

I vip e gli (sporchi) trucchetti

per catechizzare il pargolo

Dalle «rapine» di Amendola alle «purificazioni» di Teocoli

di MASSIMO M. VERONESE (il Giornale 11-08-2012)

Non è solo insegnamento, è catechismo. É educare i figli ai principi della fede, al dogma eterno che ti segna dentro, qualche volta a porta vuota. Prendi «Febbre a 90 » , un milione di copie vendute solo nel Regno Unito, la bibbia dell’Arsenal, ma anche la sintesi dei principi del tifo universale: «Mi innamorai del calcio come mi sarei innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente, senza pensare al dolore o allo sconvolgimento che avrebbe portato con sé». Nick Hornby, che ha scritto quella bibbia, ha un figlio, 9 anni, ossessionato dal calcio e cotto dell’Arsenal. «Tutti dicono che sono io. E invece sono i compagni a scuola». Giusta la punizione: «Viene a casa e dice: papà, lo sai che i giocatori dell’Arsenal li chiamano Gunners?... » E lui: «Figliolo, a me lo dici?. . . ». Papà Claudio Amendola non ha disertato invece la didattica religiosa: «Per far diventare mio figlio Rocco romanista gli ho fatto sparire i giocattoli dalla stanza. E poi gli ho detto: Sono stati i laziali a rubarteli.. . ». E per fissare bene il concetto nella capoccia qualche giorno dopo glieli ha fatti ricomparire: «Hai visto? Che bravi i romanisti a riportarteli. . . » Non sempre funziona anche nei templi della fede. Davide,

figlio di Materazzi l’interista, è milanista: «Una volta ero in giro per le vie del centro io con la tuta dell’Inter e lui con la maglia di Kakà. Voleva venire al derby vestito di rossonero, ma gliel’ho impedito: questo figliolo te lo togli dalla testa. . . ». Achille, figlio di Costacurta il milanista, è interista. O almeno era giura mamma Colombari, juventina: «Fino a 5 anni era innamorato dell’Inter per Ibra, poi quando è passato al Milan ha condiviso la fede di papà». Anche Chiara, figlia di Teo Teocoli, da piccola era interista perché innamorata di Bobo Vieri. Con fede, speranza e carità papà l’ha convertita rossonera. Per questo forse si chiamano virtù «teologali». . .

Le colpe dei padri ricadono sui figli. Diego Maradona junior, figlio del Pibe e di Cristiana Sinagra, è tifoso del River Plate, nemico giurato del Boca Juniors di cui è simbolo papà. Gli hanno regalato una maglietta con il numero 10, non si sa bene se per fare un piacere al figlio o un dispetto al padre. Pino Insegno con il papà allo stadio non ci vuole andare più: «Lui è genoano, io laziale. Tutte le volte che andiamo a vedere la partita assieme le becco». Evelina Tortul, 92 anni, mamma di Fabio Capello, invece spasima solo per il pargolo, Inghilterra, Russia, ma non Italia: «Per chi altri dovrei tifare se non per mio figlio?». Un peccatuccio rispetto a Andrew Mann, inglese ma pazzo per il Brasile che ha battezzato il figlio con i nomi di tutti i giocatori brasiliani tricampeao con qualche aggiunta volante. All’anagrafe il piccolo si chiama: Edson Arantes Do Nascimento Felix Minelli Venerando Hercules Brito Ruas Wilson Da Silva Piazza Carlos Alberto Torres Everaldo Marques Da Silva Clodoaldo Tavares De Santana Jair Ventura Filho Gerson De Oliveira Nunes Eduardo Goncalves Andrade Roberto Rivelino Mario Jorge Lobo Zagalo Arthur Antunes Coimbra Socrates Brasileiro Sampaio De Souza Oliveira Diego Armando Maradona.

Di cognome però fa solo Mann...

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Calcio. I titoli United chiudono invariati la prima seduta di contrattazioni di Borsa

Manchester a Wall Street

Debutto con un pareggio

Il team inglese ha un valore di 2,3 miliardi di dollari

di MARCO VALSANIA (Il Sole 24ORE 11-08-2012)

Non è stata una vittoria convincente quella del Manchester United nella partita giocata a Wall Street. Ma la società ieri ha forse evitato quantomeno un autogol. La storica e popolare squadra britannica, di proprietà della famiglia americana del Glazer, è scesa in campo al New York Stock Exchange con un collocamento sottotono, a soli 14 dollari rispetto ai 16-20 dollari indicati in precedenza dalla sue stesse banche. Al debutto, però, ha evitato scivoloni, nella tradizione calcistica che ordina anzitutto di non perdere perché i campionati sono lunghi: le sue azioni hanno aperto a 14,01 dollari.

La sfida era diventata difficile: le Ipo a Wall Street nell'attuale clima di nervosismo a volte vengono rinviate, a volte finiscono nei guai (vedere Facebook per credere). Il Manchester, nonostante i 134 anni di storia e i 19 “scudetti” vinti, era già stato costretto da cattive condizioni di mercato a ritirare piani per un collocamento a Singapore, che prevedevano di rastrellare fino a un miliardo sfruttando il cescente seguito asiatico (maggiore di quallo statunitense). L'operazione è stata spostata a Wall Street per cercare di andare sul sicuro: le ambizioni sono state ridimensionate a una initial public offering del 2% dei titoli, 16,7 milioni di azioni, capace di raccogliere oltre 330 milioni di dollari. E la società ha ammesso che le entrate nell'ultimo anno potrebbero essere diminuite del 5%, evidenziando le incertezze del business calcistico. Alla fine i capitali rastrellati sono stati un terzo in meno, 233 milioni, e il valore in Borsa della squadra è stato fissato a 2,3 miliardi contro gli oltre tre miliardi sperati.

Il collocamento non va tuttavia sottovalutato. Alcuni analisti, tra cui il team di Morningstar, hanno valutato le azioni alla vigilia dello sbarco ancora meno del prezzo poi fissato, a 10 dollari, con rischi di flessioni per il titolo. L'enterprise value del Manchester, la misura più ampia del suo valore in caso di vendita, rimane comunque di 2,9 miliardi, oltre un miliardo più del Real Madrid e dei New York Yankees nel baseball, seconda e terza squadra più preziose al mondo stando alle classifiche di Forbes. Il prezzo di sbarco rappresenta un multiplo di 4,6 volte il fatturato dell'ultimo anno.

Il collocamento a New York, oltretutto, è stato un raro evento e da record per una squadra professionistica nello sport: l'ultimo risaliva al 1998, ai Cleveland Indians nel frattempo tolti dalla Borsa. Con i capitali rastrellati i Glazer, che possiedono anche la squadra di football americano Tampa Bay Buccaneers e centri commerciali, intendono ridurre l'indebitamento accumulato con il loro leveraged buyout della società da 1,2 miliardi nel 2005. Per loro, e per il Manchester, dopo la prima incerta partita del collocamento comincia però solo adesso il vero campionato di Borsa che ha in palio la fiducia degli investitori.

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Il Manchester United debutta a Wall Street:

un affare soprattutto per i Glazer

di MARCO IARIA dal blog FOOTBALL SPA (Ġazzetta.it 12-08-2012)

Il Manchester United ha debuttato a Wall Street senza infamia e senza lode: al termine della prima giornata di scambi, il titolo ha chiuso esattamente come aveva cominciato, a 14 dollari per azione, rastrellando 233 milioni di dollari per il 10% del pacchetto societario. Questo significa che il valore di Borsa dei Red Devils è di 2,3 miliardi di dollari. E’ vero che gli advisor avevano ipotizzato un collocamento tra i 16 e i 20 dollari per azione (con conseguente valutazione da oltre 3 miliardi), ma il Man Utd resta pur sempre la società sportiva più valutata al mondo, superando i Los Angeles Dodgers di baseball (2 miliardi). Quasi il doppio, peraltro, di quanto lo stesso club fu valutato nel 2005, quando la famiglia Glazer lo acquistò tramite un leveraged buyout da 1,47 miliardi di dollari. Gli americani non fecero altro che caricare su una squadra all’epoca sana il pesantissimo debito di quell’operazione, e proprio le finanze incerte dello United rappresentano uno spauracchio per gli investitori.

Ma a chi conviene l’Ipo? Micheal Jarman, chief equity strategist di Saxo Bank, non ha dubbi: “Il collocamento alla Borsa di New York sembra un tentativo disperato di guadagnare soldi e porta vantaggi alle tasche dei Glazer più che al club. Inizialmente i Glazer avevano dichiarato che tutti i soldi raccolti tramite l’Ipo sarebbero stati usati per pagare il debito, ma le cose sono cambiate. Attualmente il Manchester United ha un debito di 685 milioni di dollari. Questo significa che dopo che le banche avranno incassato le commissioni e i Glazer la loro quota, al club rimarrà un debito di 567 milioni di dollari. Una cifra troppo alta, che richiederà un’ulteriore emissione azionaria”.

Diversi analisti predicono per il Man Utd la stessa fine di Facebook, la cui super quotazione si è rivelata un fiasco. Giusto qualche giorno fa è stato sottoscritto un contratto record con Chevrolet per la sponsorizzazione di maglia (559 milioni di dollari in 7 anni) ma il bilancio al 30 giugno 2012 chiuderà in perdita, con un fatturato in calo tra il 3 e il 5% a causa dell’eliminazione ai gironi di Champions e spese per giocatori e staff in crescita del 4-5%. Resta valido, a 15 anni di distanza, lo spassionato consiglio che diede Victor Uckmar, da presidente della Covisoc: “Ai risparmiatori va fatta un’avvertenza: i titoli legati al calcio sono sconsigliati agli orfani e alle vedove”.

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Oggi Juve-Napoli

Il calcio italiano punta sulla Cina

di MARIA LUISA COLLEDANI (Il Sole 24ORE 11-08-2012)

Oggi, alle 14 italiane, quando a Pechino inizierà ufficialmente la stagione calcistica 2012-13 con Juventus-Napoli, gara che assegna la Supercoppa italiana, qualcuno mancherà già all'appello. Non potrà sedere in panchina l'allenatore della Juventus, Antonio Conte, fermato ieri dalla Disciplinare con dieci mesi di squalifica per l'omessa denuncia su due gare in cui guidava il Siena.

La gara di oggi vale molto, non solo per chi alzerà il primo trofeo della stagione: la società cinese Uvs, che cura l'organizzazione dell'evento, ha versato 3,7 milioni alla Lega per portare la Supercoppa al Bird Nest, copre le spese delle squadre e dalla Rai vengono 750mila euro di diritti. Soprattutto in palio c'è l'immenso mercato cinese. L'ex presidente del Barça Joan Laporta diceva che se i 200 milioni di tifosi cinesi gli avessero dato solo un euro l'uno avrebbe sistemato i conti. Ha ragione. Ma non basta una gara, una tournée per fidelizzare il pubblico: per ora resta utopia giocare tutta la prima di campionato in Cina, ma ci sono vie di accesso al mercato come vendere contenuti alle compagnie telefoniche (il Manchester ha ricavato 15 milioni di euro in un anno) oppure avere una tv che, sul modello della Premier Tv, diffonda partite e contenuti prodotti in Italia, senza dispendiosi "spezzatini" fra le tv locali. O anche, e per passi graduali, continuare a portare la Supercoppa a Pechino o Shanghai: la società Uvs sarebbe infatti pronta a un'offerta per i prossimi cinque anni. I cinesi, pur avendo Lippi e Drogba nel loro campionato, guardano solo all'Europa e in particolare alla Bundesliga (che gioca sempre alle 15 europee, quindi le 21 cinesi) e alla serie A. Un interesse da cavalcare per salvare i conti di casa nostra.

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NAPOLI

L'ordine di De Laurentiis

"Disertiamo la premiazione"

E' stato il presidente ad ordinare il clamoroso gesto di protesta dopo il fischio finale della gara persa con la Juve. Una decisione presa per la rabbia generata dall'arbitraggio di Mazzoleni

di MARCO AZZI (Repubblica.it 11-08-2012)

PECHINO - L'ordine è partito direttamente dal cellulare di Aurelio De Laurentiis. "Via tutti al fischio finale, non dobbiamo partecipare alla premiazione della Juventus". Il presidente del Napoli, furibondo per l'arbitraggio di Mazzoleni, ha poi lasciato a sua volta la tribuna d'onore con i nervi a fior di pelle, gesticolando e urlando verso il campo. Più ponderata la decisione di ordinare a Mazzarri e ai giocatori il silenzio stampa, che almeno eviterà al club ulteriori sanzioni da parte del giudice sportivo. Ma gli azzurri hanno lasciato il Nido d'Uccello di Pechino con la bruciante sensazione di aver subito un vero e proprio scippo. Ecco il motivo di una protesta così clamorosa.

De Laurentiis se l'è presa per le espulsioni di Pandev e Zuniga, che hanno di fatto condannato il Napoli alla sconfitta. Poi c'è stato pure il cartellino rosso per Mazzarri, furibondo pure lui. Il tecnico ha declinato l'invito del suo presidente a raggiungerlo in tribuna d'onore, dopo essere stato allontanato dal campo. "Preferisco di no, ora sono troppo arrabbiato". Ma tra i due, questa volta, non ci sono state scintille. Entrambi si sono infuriati solamente con Mazzoleni, imputandogli una sconfitta che gli azzurri non sentivano di meritare. "Mai viste cose del genere in tanti anni di calcio...", ha urlato una voce dagli spogliatoi, rimasta anonima. Di pessimo umore soprattutto i giocatori, che hanno lamentato da parte del direttore di gara l'utilizzo di due pesi e due misure, soprattutto quando si è trattato di prendere provvedimenti sulle proteste.

Pure quelli della Juve avrebbero varcato più volte la soglia della buona educazione durante la gara. In tv si vedrebbe bene un insulto di Lichtsteiner a un assistente. E allora il Napoli non si spiega perché sia scattato il cartellino rosso per una reazione tutto sommato veniale di Pandev, che giura di non aver insultato il guardalinee Stefani. Ma l'elenco dei presunti torti lamentati dagli azzurri è molto più lungo. Esagerato viene considerato il rigore dato ai bianconeri, per il contatto in area tra Vucinic e Fernandez. Addirittura assurde le due ammonizioni inflitte a Zuniga, in particolare prima per un fallo subito e non compiuto.

Ed è rimasto il forte sospetto ai giocatori di Mazzarri anche per un paio di contatti ai danni di Behrami dalle parti di Buffon, sfuggiti a Mazzoleni. E qualcuno, senza peraltro provarlo, sussurra perfino di un occhiolino del portiere bianconero verso il giudice di porta, dopo il gol del 4-2 di Vucinic che ha chiuso la sfida. Troppe recriminazioni, insomma. Di qui la decisione di abbandonare il campo al fischio finale, senza partecipare alla premiazione. De Laurentiis, anche se non lo dice, si sente vittima di una presa in giro.

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La Juventus ovviamente ha rubato,

come si può affermare il contrario?

di ANDREA MARIUZZO dal blog A MENTE FREDDA (LINKIESTA 11-08-2012)

Dopo la partita appena conclusa non si può pensare il contrario, pena essere derisi. Qualche tifoso napoletano, in preda a un riflesso condizionato evidentemente duro ad essere domato dalla razionalità e dalla memoria storica, ha anche tirato in ballo uno dei principali artefici del suo secondo scudetto per giustificare l'andamento della partita.

Resta da chiedersi per quale ragione una dirigenza dovrebbe consapevolmente muovere un dito (ché "rubare" ed "essere ladri" non significa "vincere immeritatamente", ma ben altro) per un trofeo per cui nessuno ha alcun interesse, invece di concentrarsi sul bersaglio grosso.

E resta da chiarire perché una FIGC che in questo momento è con tale dirigenza ai ferri corti debba lasciar fare così, senza un perché, soprattutto a scapito di una squadra che in questi ultimi anni ha acquisito un'influenza politica adeguata all'influenza economica del suo azionista di riferimento.

Resta, in generale, ancora da chiarire come mai sia così facile addossare su una squadra (sempre quella su cui si è sviluppato, in proposito, un sentire comune assai consolidato in materia) le responsabilità della finora e nel caso specifico presunta (ché quello che ha fatto o detto Pandev, non il barone Liedholm, resta da chiarire) incapacità degli arbitri, nonostante il fatto che, come ho detto, assumere con questa disinvoltura il dolo da parte della Juve per la vittoria di ciò che per i campioni d'Italia è un incontro a un livello appena superiore a un'amichevole richieda o la piena ammissione della stupidità dei dirigenti bianconeri, o la piena ammissione della propria.

Resta, infine, da chiarire perché nel valutare le posizioni che esprimo si considera rilevante la mia simpatia per la Juventus, senza considerare che si tratta di riflessioni critiche, fondate su strumenti di analisi testuale e di indagine socio-culturale che io (certamente; meno certamente altri interlocutori che fanno altri mestieri) domino e quindi applico a ogni cosa che dico o scrivo; riflessioni critiche che varrebbero di fronte a ogni squadra e che possono essere discusse e contraddette da prese di posizione dello stesso livello, non certo dall'assunzione che una persona, in quanto antijuventina, possa abdicare alle proprie capacità di giudizio senza sentirsi colpevole. Un atteggiamento del genere ha condotto, ho già avuto modo di argomentare, a uno dei più grandi disastri nella storia del calcio italiano (gli effetti degli interventi atti a modificare "un clima diffuso" di sospetto verso la squadra più forte sono evidenti nel nostro ranking e nella qualità di gioco che si vede sui nostri campi). Una simile legittimazione della scelta di abdicare all'uso dell'intelligenza, trasferita in altri ambiti, ci ha portato alla stagione politica da cui stiamo ora cercando faticosamente di uscire.

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La Juventus non è una squadra

di ladri (firmato Agenzia Luce)

di MASSIMILIANO GALLO dal blog MI CONSENTO (LINKIESTA 11-08-2012)

La Juventus ha meritatamente vinto la Supercoppa italiana. Nella finale di Pechino, per nulla condizionata dall’arbitraggio, la squadra del calcisticamente pregiudicato Antonio Conte ha battuto il Napoli per 4-2. La partita è risultata regolare grazie all’esperimento della Federazione di avvalersi degli arbitri di porta. Sei arbitri, dodici occhi, hanno garantito lo svolgimento della gara perfetta dal punto di vista disciplinare.

Nel primo tempo il Napoli si è portato immeritatamente in vantaggio con azione di contropiede incredibilmente non fermata dal guardalinee per fuorigioco. E così Cavani, tutto solo, ha portato in vantaggio i suoi. Immediato il pareggio della società ingiustamente al centro di indagini della magistratura sportiva. Prima dell’intervallo, gli azzurri di Mazzarri si riportano inopinatamente avanti con Pandev. Sconcerto della comunità internazionale.

Nel secondo tempo, il calcio italiano è tornato finalmente alle sue origini. E la Juventus in rassegna ha ottenuto: un calcio di rigore nettissimo per placcaggio di Vucinic prontamente fischiato dall’arbitro di linea, signor Rizzoli, poi realizzato da Vidal; la sacrosanta espulsione di Pandev, reo di aver servito un assist e di aver segnato un gol. Ma tutto ciò non è bastato al signor Mazzoleni per rendere la giusta gloria alla società torinese. Prima della fine del tempo ha espulso anche Zuniga, altro calciatore del Napoli, che infastidiva con la sua presenza. Ma era poco. E così ha cacciato anche l’allenatore Walter Mazzarri. Nella sua magnanimità, l’arbitro ha graziato Inler e Cavani che hanno lungamente protestato.

Tempi supplementari. La Juventus ha finalmente dispiegato la propria forza. E si è portata in vantaggio grazie a un’autorete di Maggio, e ha chiuso il match col gol di Vucinic. Ristabilendo così il reale rapporto di forza in campo.

Partita per nulla condizionata dall’arbitraggio. Chi sostiene il contrario è solo un malpensante. La Juventus ha meritatamente vinto la Supercoppa. E chi pensa che si tratti di una squadra di ladri a mio avviso va messo in galera.

(con la gentile collaborazione dell’Agenzia Luce)

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La rabbia azzurra Il presidente stava per impedire ai suoi di restare in campo dopo i 90 minuti

De Laurentiis voleva ritirare la squadra nei supplementari

art.non firmato (Quotidiano Sportivo 12-08-2012)

GOL ED EMOZIONI. Poi espulsioni e polemiche. Altro che terzo tempo e fair play. E’ stata una supercoppa al veleno. Ha vinto la Juventus con merito per la quinta volta. Ai supplementari. Al termine di un’omerica zuffa, dove i protagonisti, dentro e fuori dal campo non si sono fatti mancare niente. L’esperimento degli arbitri di linea, una primizia per il football Made in Italy, è stato indigesto per il Napoli. Che si è lamentato. Si è trincerato nel silenzio stampa. Ha protestato per il rigore concesso alla Juventus. Si è infuriato per le espulsioni di Pandev e Zuniga.

STESSA SORTE per Mazzarri che ha imboccato la via degli spogliatoi anzitempo, dove non ha stretto la mano all’assistente di Conte, Massimo Carrera. Ciliegina sulla torta la decisione di disertare la premiazione, presa di pancia dal patron De Laurentiis che avrebbe voluto impedire ai suoi giocatori di entrare in campo per i supplementari. Lo spirito olimpico, di moda di questi tempi, è un’altra cosa. Il pubblico che numeroso ha affollato la stadio di Pechino ci è rimasto malissimo. Non ha capito.

L’agente di Pandev, ha cercato di giustificare il suo assistito: «Pare si trattasse di un’esclamazione in macedone». Pare. Appunto. Perché l’assistente di Mazzoleni ha confermato di essere stato insultato pesantemente. Anche il presidente della Lega, Maurizio Beretta, era alquanto deluso dopo aver appreso che il Napoli avrebbe disertato la premiazione: «L’epilogo è un peccato, si possono capire la delusione e l’irritazione, resta il fatto che è mancato un ultimo pezzetto. Ma quanto accaduto non toglie validità a tutta l’iniziativa».

A nessuno piace perdere. Un pò di stile non guasterebbe.

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Padiglione Italia di ALDO GRASSO (CorSera 12-08-2012)

Il Grande inquisitore Palazzi

vittima della giustizia sportiva

Il suo fragile castello di accuse è stato smontato

Il tifo tinge dei propri colori tutto ciò che tocca. Detto questo, tanto per ribadire che se in Italia un mascalzone patentato procura vantaggi alla nostra squadra è santo subito, il vero sconfitto del calcioscommesse è il Grande inquisitore, Stefano Palazzi. Napoletano, magistrato presso la Corte militare d'appello, da anni è il capo della Procura federale, l'indiscussa guida degli 007 della Figc. È descritto come magistrato preciso, pignolo, accentratore. La Disciplinare della Federcalcio ha in gran parte smontato il suo castello accusatorio, capovolgendo o alleggerendo le pene richieste e, soprattutto, mostrandone la fragilità intrinseca.

Ci sono giocatori che si sono venduti alcune partite: è un vizio antico, la novità consiste nel fatto che oggi ci sono gli scommettitori che lucrano pesantemente su risultati taroccati. Giusto reprimere con tutti i mezzi prima la slealtà e poi il crimine. Il fatto è che la giustizia sportiva, per essere celere, si basa sugli indizi e non sulle prove ed è facile quindi incappare in palesi incongruenze e infischiarsene delle garanzie. Per esempio: tra la richiesta di condanna per illecito sportivo di tre anni e sei mesi per Bonucci (il che significa bruciare una carriera) e il proscioglimento ci corre un abisso che sa tanto di abbaglio; l'«omessa denuncia» è un non senso: o un allenatore sa che la sua squadra sta barando (e allora è complice) oppure non sa (e allora è incapace); l'istituto del patteggiamento è un insulto alla giustizia: prima Palazzi si accontentava di tre mesi di squalifica per Conte se questi avesse patteggiato, poi ne ha chiesti 15 di squalifica. Nella sua contraddittorietà, il patteggiamento sembra fatto apposta per corroborare le tesi fragili dell'accusa, sa di ricatto.

Visti i tempi della giustizia italiana, Palazzi ha chiesto condanne su dichiarazioni «non riscontrate»: è lui la prima vittima di un sistema accusatorio che andrebbe rifondato e che, in passato, ha già fatto non pochi danni. Il Grande inquisitore si prende ora i pesci in faccia, com'è normale che sia, anche se nelle squadre ne capitano di tutti i colori. Perché, alla fine, è sempre il colore della nostra squadra a risultare immacolato.

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L’intervento

Laforgia: ecco perché servono le condanne

Quel calcio venduto che

ha tradito i tifosi bambini

di MICHELE LAFORGIA avvocato (la Repubblica - Bari 12-08-2012)

Caro direttore, «Pentiti Arlecchino, disse l’uomo del tic tac». Le ultime disavventure del calcio mi hanno fatto tornare in mente il futuro dispotico del genio di Harlan Hellison (premio Hugo nel 1965). In cui l’intero sistema sociale è organizzato intorno al Tempo, che un solo uomo, il terribile Uomo del Tic Tac, amministra, abbreviando la vita di chi non rispetta le regole sino a spegnerla del tutto.

Sarà perché le condanne della Disciplinare, alla fine, sottraggono tempo, sarà perchè il calcio in sè ha misteriosamente a che fare con il tempo. Il nostro tempo. Da quando la magia di una figurina Panini ha legato per sempre il nostro umore al risultato di un derby, spesso prima ancora di aver imparato a prendere un pallone a pedate. Noi tifosi torniamo tutti bambini, di fronte a una partita di calcio. E proprio come i bambini abbiamo bisogno di credere che quei ventidue ragazzoni in mutande ce la mettano davvero tutta quando si rincorrono sul campo, pur sapendo che il calcio muove ormai tanti soldi da rendere la fede nei campioni dello sport pericolosamente simile alla convinzione che esista Babbo Natale. Qualcosa si ribella, dentro di noi, quando viene rivelato un imbroglio, dimostrando quanto è fragile il confine tra il gioco e la beffa. Ma proprio perché bambini non siamo più dobbiamo sperare che venga punito chiunque ha violato le regole, vendendo le partite o omettendo di denunciare chi lo ha fatto. Con tutte le garanzie che ogni sistema processuale, anche quello sportivo, deve garantire agli accusati (e tanto più quando le accuse sono gravi), ma senza alcuna indulgenza da tifosi, evitando di farci prendere in giro da chi per propri e poco nobili interessi invoca la difesa a oltranza dei Sacri Colori. Dinanzi alla frode, non c’è fede che tenga. E ogni Arlecchino deve pentirsi per aver tradito il nostro entusiasmo: altrimenti, per favore, spegnetelo.

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Cominciamo bene

di ROBERTO BECCANTINI dal blog Beck is back 12-08-2012

Cominciamo bene. Con il Napoli che «cancella» la premiazione della Juventus. Tira aria di complotto anche a Pechino. Tecnicamente, per quello che può valere il calcio d’agosto (molto poco), la partita è stata equilibrata ed è finita due a due. L’ha cambiata l’ingresso di Vucinic e firmata Mazzoleni. Il rosso a Pandev, per un vaffa all’assistente Stefani, è una botta di integralismo in un mare di smaccata tolleranza (soprattutto con gli speroni di Cannavaro e Inler, all’inizio). Le espulsioni di Zuniga (doppio giallo) e Mazzarri (proteste) appartengono alle storie tese dei romanzi diversamente olimpici. Piaccia o non piaccia alla Rai, il rigore su Vucinic, scovato da Rizzoli, c’era.

Non uno del Napoli, naturalmente, che abbia ricordato il penalty che, nella finale di Coppa Italia, venne sfilato a Marchisio, sullo zero a zero. Lungi dall’attenuare le responsabilità globali di Mazzoleni, voto 2, racconta della memoria a orologeria degli italiani. Era il battesimo dei giudici di porta: mamma mia.

E adesso? La Cina è lontana, ma non ho colto tracce di «sistema dittatoriale». Il Napoli ha giocato all’italiana, trincee fragili e contropiede ficcante. La Juventus, come le ha insegnato Conte e rinfrescato Carrera: sequestrando il territorio. I ritmi e il pressing, però, erano vaghi; e la difesa, troppo alta e larga. Il gol di Cavani conduce all’eresia zemaniana (tutti nella metà campo sbagliata); il gioiello di Pandev, a una leggerezza di Bonucci (non sarà la sola).

Bello l’esterno sinistro di Asamoah, già a suo agio. La sfida ha riassunto, a grandi linee, le tendenze dell’ultimo campionato: al Napoli, perso Lavezzi, il concetto di profondità fa aggio sull’idea di possesso-palla; nella Juventus, c’è la torta ma non ancora (o non sempre) la «ciliegina», a meno di non considerare tale il Vucinic di Pechino, inno allo stretto necessario. Calma.

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L'analisi

SIAMO RISSOSI E VITTIME DI NOI STESSI

di MARIO SCONCERTI (CorSera 12-08-2012)

Si ricomincia da dove avevamo finito, stesse proteste, stessi calci, stessa necessità di considerare l'avversario un nemico. La Juve ha passato l'estate a litigare con la Federazione, ora viene implicitamente accusata di riceverne i favori. Il Napoli compie una scorrettezza formale grave non presentandosi alla premiazione confermando che nel calcio hanno sempre ragione solo quelli che la pensano come noi. La scorrettezza rasenta poi la maleducazione se si pensa che tutti gli italiani ieri a Pechino erano ospiti dei cinesi ed erano stati pagati lautamente per recitare intera la loro parte, non scegliere da soli quando andarsene di scena. Decine di migliaia di spettatori pechinesi hanno assistito alla gara con indosso maglie bianconere e azzurre, una specie di immedesimazione profonda quasi incomprensibile e infatti alla fine non capita e rifiutata. Non discuto il risultato, né le decisioni arbitrali. La partita è stata a tratti anche bella. Qualcosa di strano, di anomalo c'era, come un'inconsuetudine spinta che abbassa le resistenze e porta tutto sopra le righe. Ma il troppo lo abbiamo messo noi col nostro calcio isterico dove non è prevista la possibilità di perdere. Se accade è colpa dell'arbitro, dell'erba, del destino, perché perdere da noi è un tabù inviolabile, un disonore. Così la partita è una lotta, il clima sempre quello di una guerra. Chissà cosa avranno pensato i milioni di cinesi che hanno visto la partita vedendo i nostri eroi schizzare sul campo rissosi e frenetici come pupi siciliani, straziati dalla paura che un arbitro decidesse per loro. Non è colpa di tutti, è vero, c'è stato anche nella Juve e nel Napoli, chi ha fatto semplicemente il suo, chi ha cercato di giocare. Ma spaventa quest'immagine impulsiva di un calcio sempre scontento, sempre polemico, che eternamente ritorna. Questa fotocopia da italiani rissosi, sempre dediti a vincere, mai a costruire uno spettacolo. Poi ci meravigliamo se nel mondo preferiscono vedere il calcio inglese e portano nella grande isola i mille milioni di diritti tv che quello spettacolo vale. Gli inglesi non sanno nemmeno cosa sia il senso di un arbitro, non ne conoscono i nomi. Sono esseri casuali che svolgono un compito non fondamentale, solo necessario perché esista il gioco. Mettiamo che siano loro troppo inglesi e che un po' di malafede italiana a volte serva. Ma c'è un limite che anno dopo anno continuiamo a spostare. E che ci allontana dagli altri e dalle loro classifiche. Non si vince se non si sa accettare. A forza di pensarci tutti vittime di qualcosa, lo stiamo diventando davvero. Di noi stessi.

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Corriere dello Sport 12-08-2012

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Calcio, cominciamo male

Dopo quel che abbiamo visto a Pechino il campionato che comincia fra due sabati promette bene, nel senso che promette tutto il brutto possibile.

di GIAN PAOLO ORMEZZANO (FamigliaCristiana.it 12-08-2012)

Sembrava che il calcio italiano avesse sfogato le sue perversioni periodiche con Scommessopoli, contorni e dintorni compresi, ma a Pechino, dove si è organizzata la finale della Supercoppa italiana fra Juventus campione e Napoli primo in Coppa Italia proprio sulla Juventus, pensando ad un mercato di un miliardo e mezzo di persone da affascinare con il grande spettacolo, è andata in scena un’altra penosa recita, tutta nostra, senza nessun aiutino locale, ambientale: il che è stato un bene considerando la competenza dei cinesi che sul 2 a 2 dopo i 90’ regolamentari hanno lasciato in maggioranza lo stadio, quello dei Giochi olimpici 2008, convinti che tutto fosse finito, e che soltanto un appello dello speaker ha riportato sugli spalti per assistere ai supplementari ed applaudire il 4 a 2 della Juventus (i tifosi di Pechino erano in maggioranza bianconeri, grazie a misteriose vie mediatiche).

Il presidente del Napoli, l’armatore De Laurentiis che ogni tanto dice e fa cose buone, magari proprio perché felicemente inesperto dell’ambiente e dunque della sua corrotta presupponenza, ogni tanto sembra muoversi nel calcio con l’albagia di un tecnico della Silicon Valley fra i selvaggi del Borneo, ha comandato ai suoi, speriamo sconcertati, di non andare alla premiazione, ritenendo la sua squadra penalizzata da un discusso rigore pro Juve e da due espulsioni. Mancare la cerimonia che doveva mostrare al mondo, cinese e non solo, la faccia aperta, comunque sportiva del nostro calcio è colpa gravissima, e nessun errore eventuale dell’arbitro e dei suoi collaboratori la giustifica. Per i cinesi pensare al grande sport olimpico di quattro anni prima, proprio ospitato lì, per tutti pensare ai Giochi di Londra che, davvero gonfi di sportività, assegnavano le penultime medaglie (compresa quella del football, al povero Messico sul ricco e tronfio Brasile che mica rifiutava di partecipare alla premiazione), mentre il calcio offriva ed infliggeva questo controshow sempre in Mondovisione, è automatico.

Il tutto a prescindere da buone ragioni eventuali del Napoli per quel che riguarda la partita, messa presto sul piano della lotta dura, delle scorrettezze, e sfuggita di mano all’arbitro e ai suoi collaboratori, tutti - toh - italiani. Insomma, peggio non si poteva fare. Il nostro calcio non solo è sempre eguale a se stesso, ma spesso si inventa nuove occasioni di peggioramento. Il campionato che comincia fra due sabati promette bene, nel senso che promette tutto il brutto possibile ai noi viziosi. Le premesse sono pessime ed abbondanti. La Juventus farà pesare psicologicamente la squalifica di Conte come persecuzione, continuando a offrire la massima solidarietà ad una persona senz’altro valida ma che la giustizia sportiva ha detto pur sempre colpevole di doppia omessa denuncia di un illecito (il quale Conte, intanto, provvisoriamente ma anche formalmente sostituito da Carrera suo discepolo, finalmente dalla tribuna potrà vedere bene le partite, come non è possibile dalla panchina a nessun allenatore). Gli altri club leggeranno (e non è escluso che cominci il Napoli, in queste ore) ogni presunto favore alla Juventus come coda di paglia della giustizia sportiva stessa. Inter e Milan, non appena avranno trovato una inquadratura decente, magari spendendo forte sul mercato ultimo - i nerazzurri hanno rischiato l’eliminazione ad opera di una squadretta di Spalato nei preliminari della non eccelsa Europa Cup, i rossoneri hanno preso cinque gol a uno dal Real Madrid in un’amichevole molto seria -, oltre che ai casi propri penseranno ad un patto antiJuve, ad un asse Milano-Napoli.

Passando per Roma, per la Roma di Zeman più che per la Lazio di Petkovic, allenatore croato che è arrivato qui come un Mourinho bis però a basso costo e ha subito quattro sconfitte nelle prime quattro partite di preparazione. Zeman, sia detto, per inciso, non tradisce la nota passione anti-juventina con la frase detta in conferenza stampa: "Sentenza lunga? Non è possibile allenare", alludendo a Conte. Ci sono insomma tutti gli ingredienti non per la solita minestra, ma per la solita brodaglia. Manca poco e poi, turandoci il naso, potremo andare a tavola, per la crapula chiamata campionato.

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CON LA SUPERCOPPA

LA CINA SCOPRE

IL CINEPANETTONE DEL CALCIO

La finale Juventus-Napoli tra zuffe e cartellini rossi sembra un brutto film

Il team di De Laurentiis, sconfitto 4-2, non si presenta alla premiazione

Tre espulsi tra gli azzurri, l’allenatore Mazzarri incluso; prima partita dei bianconeri dopo i 10 mesi a Conte

di MALCOM PAGANI (il Fatto Quotidiano 12-08-2012)

Più risoluto del Galliani di Marsiglia: “Fuori tutti dal campo, subito”. Più efficace dell’indignato emiro del Kuwait, precipitato dalla tribuna al campo, in Spagna, nell’82, per ritirare i sudditi suonati dall’arbitro ċornuto e dalla Francia. Più di chiunque altro perché De Laurentiis Aurelio, nato nello stesso giorno di maggio in cui il Piave mormorò, è competitivo e alla guerra di trincea preferisce il bombardamento. Spegne la luce, segrega la squadra obbligandola a disertare la premiazione della Supercoppa, irradia in mondovisione la nuova frontiera di un non inedito, ma affinato trailer di purissimo calcio panettone. Accade a Pechino, dove un Napoli isterico, ridotto in 9 e senza guida tecnica (espulsi Zuniga, Pandev e anche Mazzarri) perde per 4-2 ai supplementari con una Juve che tra un pugno e l’altro, trova il tempo di festeggiare dedicando il trionfo commerciale, in coro polifonico, all’allenatore Conte, appena squalificato (10 mesi) per calcio scommesse.

SPETTACOLO lunare, visto da decine di milioni di spettatori, commentato all’estero, utile (sulla carta) a stipulare affari e proiettare l’immagine del nostro calcio nella mecca dei paesi che oggi comandano il gioco. All’ultimo stadio del dichiarazionismo, negli ultimi 15 giorni, Aurelio aveva esternato sull’intero scibile. Prima la grottesca tiritera Pechino sì, Pechino no, Pechino più tardi, con annessi preventivi di penale ipotetica in caso di contratto stracciato, telefonate compulsive con Agnelli, crisette istituzionali con la Lega, fuoco amico della curva: “Pechino? Spediteci una cartolina. Noi Ultras non made in China!” e innocenti bugie: “Io non vado”. Poi, perso per perso, mentre prenotava il volo, l’antico pragmatismo. La monetizzazione trasversale.

Ubiquo e umile sul San Marzano: “Mi piacerebbe poter investire in colture biologiche in Cina, importando la cultura contadina italiana. Sono un eccellente tecnico della distribuzione del prodotto, mi sarebbe facile organizzare la distribuzione del pomodoro anche per un miliardo e mezzo di persone”. Collaborativo sul cinema: “Un team di professionisti cinesi arriverà a Roma per realizzare un film scritto e pensato per il mercato della Cina”. Tutto naufragato adesso, in uno specchio rovesciato che riflette il profilo delle future vittime di lazzi e barzellette. Una rivoluzione che archivia decenni di cinesi in coma, la pur immortale imitazione lotitesca: "Semo scesi a Pechino, ahò, ce stavano 3.000 cinesi, devi vede’ che tifo ‘folza Lazio, folza Lazio’” e accende il faro sul solo De Laurentiis. Meno di una settimana fa, in una delle tante conferenze stampa trasformate in avanspettacolo, Aurelio aveva scelto la nota elegiaca: “Ho prodotto un film sul rugby, si chiama terzo tempo”. A tappe forzate ne ha mostrato la summa al pianeta, promuovendo il De Coubertin che è in lui. Maurizio Beretta (dimostrazione di impotenza assoluta) avrebbe cercato invano di convincerlo, mentre l’agente di Pandev, Pallavicino accarezzava l’uomo nero munito di fischietto, Mazzoleni su Twitter “Ancora tu” e sullo stesso network (contagio?) il Napoli con una nota avara, sintetizzava in rete senso e nucleo di una figura che sul web, in nutrita schiera, definivano “di ɱerda”: “Al termine della partita di Supercoppa il Napoli ha deciso di non presenziare alla cerimonia di premiazione e non rilasciare dichiarazioni”. Un bel clima, a 15 giorni dal campionato e in coda a un’estate che tra pentiti, patteggiamenti, sit-in minacciosi e quotidiani dileggi della giustizia sportiva (“dittatori”, copyright Agnelli), aveva già mostrato un pozzo.

Si riteneva fosse senza fondo e ci si sbagliava per difetto. Il fondo è stato toccato. Non era mai successo. Merito di un signore che dicono dorma male e si risvegli peggio. Il Napoli in silenzio stampa (con De Laurentiis che una volta alla settimana tracima su doppi paginoni dei quotidiani specializzati) sarebbe la battuta migliore del mese. Se non precedesse la successiva. Basterà aspettare. Se i giornalisti sportivi sono “cafoni”, le mani addosso un espediente a cui ricorrere e le croniste impertinenti (tema l’addio a Lavezzi) come riferisce il Corriere, si trovano arruolate loro malgrado: “Te ce metto a te nuda in mezzo al campo”, si può essere ottimisti.

MEGLIO di tutti l’ha capito il collega Zamparini: “De Laurentiis deve fare i film, di calcio non capisce nulla. De Laurentiis recita”. A volte a soggetto, altre d’impulso. Un giorno forse se ne andrà, come delicatamente, irritato dai risultati in altalena, aveva paventato ad aprile: “L’obiettivo reale? Voglio sta’ nei primi 5. . . Non debbo fare karakiri (sic) o dire, come molti pontificano ‘è una stagione buttata nel cesso’”. Pausa: “Ma che ċazzo avete vinto a Napoli? Perché io poi me ne posso pure anda’ perché poi uno si rompe i ċoglioni e se ne va. . . se io devo stare qui bisogna che tutti quanti armonizziamo. . . Stiamo con i piedi per terra, perché qui a Napoli (urlando, ndr) non funziona un ċazzo. A Napoli c’è solo il calcio”. Sospensione da Re Sole. “E allora, ringraziatemi”.

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il commento

BENTORNATI NELLA DISCARICA CALCISTICA ITALIANA

di TONY DAMASCELLI (il Giornale 12-08-2012)

Ci siamo fatti riconoscere anche a Pechino. Il Napoli le busca dalla Juventus nella sfida della supercoppa e per ripicca, infantile e cafona contro l'arbitro, al fischio finale si infila nello spogliatoio e non si presenta alla premiazione da cerimoniale. Lo spirito olimpico non riguarda il football nostrano, De Coubertin era un barone un po' pirla, non aveva capito che, come hanno scritto anche sulla maglietta gli juventini, non è importante vincere ma è l'unica cosa che conta (roba del football americano degli anni Cinquanta, mica di Boniperti, ne riparlerò). Dunque si torna nella discarica calcistica italiana, proteste, insulti, baruffe da Bronx, gioco sporco più che falloso, arbitro e collaboratori contestati, espulsioni, rigori. Totale: due ore di calci e di calcio, con quella coda che ribadisce l'assoluta immaturità, direi anche ignoranza, del nostro sistema ad accettare il verdetto, del campo, del giudice, del vigile urbano. Anche certe voci dei commentatori Rai si sono aggiunte al corteo di manifestanti, la colpa dello spettacolo indecente era dell'arbitro Mazzoleni mentre non c'è stata una sola parola di censura nei confronti dei gentiluomini scarpari, meglio tenerseli buoni per le interviste. Lo stesso gesto maleducato del Napoli, al momento della cerimonia, è andato in cavalleria come semplice dato di cronaca. Che cosa saprà e potrà mai dire sull'argomento il presidente De Laurentiis che si distingue, di solito, per il fair play di parole e di concetti?

Ci risiamo: se la Cina è vicina vorrei che quest'Italia si allontanasse il più possibile.

E invece rieccola, puntuale e screanzata, come l'aumento del prezzo della benzina a Ferragosto.

E, tra un processo e l'altro, tra due settimane si riparte con il campionato, stessi clienti, stessa educazione. Siamo soltanto all'aperitivo.

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QUATTORDICI SUL CAMPO

Se dopo Zeman ritorna

pure la Juve di Moggi

di LUCA PELOSI (IL ROMANISTA 12-08-2012)

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Avremmo voluto aprire il giornale con l’ottava vittoria su 8 partite in precampionato della Roma, i 3 gol di Destro che va in Nazionale e il lavoro di Zeman che continua a far crescere la squadra. Però il sospetto che sia tutto inutile è troppo forte per far finta di niente. E’ come se al ritorno di Zeman e di tutto ciò che rappresenta, la Juve avesse risposto col ritorno di Moggi e di tutto ciò che rappres...aglia. Già, perché ciò che è successo ieri a Pechino, dove un arbitraggio del genere non lo vedevano dalle gare di ginnastica, boxe e altri sport con giudici e atleti o squadre cinesi nei Giochi olimpici del 2008, sembra quasi una rappresaglia "moggiana", arrogante e quindi juventina a quello che ritengono un torto, e cioè la squalifica di Conte.

La loro sindrome d’accerchiamento, d’altronde, non consente obiettività. Si arrabbiano per la fuga di notizie sulle sentenze, ma neanche le leggono. Se lo facessero, capirebbero perché Carobbio viene considerato credibile. Usando il loro stesso criterio, gli si potrebbe facilmente rispondere: perché l’assistente Stefani è credibile e Pandev no?

Le sentenze vanno rispettate. Quindi, in attesa dell’appello, Antonio Conte è colpevole di omessa denuncia. Poteva andargli peggio. Gli juventini però insultano Palazzi, che ha risparmiato al tecnico l’accusa di illecito sportivo ed era pronto al patteggiamento. Sono in confusione, perché si trovano di fronte a qualcosa che non amano, cioè le regole. Infatti hanno 28 scudetti (o forse meno, basterebbero Turone, Muntari e le farmacie. . . ) e se ne assegnano 30 sul campo. Ieri erano almeno 14 sul campo, e gli avversari in 9. Certo, anche il Napoli non è stato proprio un bell’esempio di sportività, disertando la premiazione. Di questo passo, però, la Juve si ritroverà proprio come ieri a fine partita: da sola. E potrà fare anche 300 sul campo.

Nota a margine, a proposito di Olimpiadi: oggi si chiudono i Giochi di Londra. In 15 giorni abbiamo visto tutti gli sport. Il calcio è l’unico che non utilizza la tecnologia per ridurre al minimo gli errori arbitrali.

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L’OSSERVATORIO di GIANFRANCO GIUBILO (IL TEMPO 12-08-2012)

L’arbitro rovina una sfida di qualità

Cambiano i parametri spazio-temporali. Tra Cina e Italia sei ore di fuso orario e migliaia di chilometri di distanza. Scenario della venticinquesima Supercoppa nazionale il Nido d'Uccello di Pechino, retaggio dei Giochi olimpici, presidiato da un volatile incontinente, vista la quantità torrenziale di acqua abbattutasi sull'impianto per tutta la partita. Quella che non cambia mai è la storia, la rivincita della Juventus sul Napoli lascerà l'abituale strascico di polemiche. Non c'è Conte in panchina, ma Carrera ne scimmiotta gli atteggiamenti meno eleganti, le continue proteste nei confronti dell'arbitro, che proprio non le meriterebbe. La Juventus aveva tenuto inizialmente in panchina Vucinic, decisione all'apparenza folle visto l'impatto del montenegrino sul ribaltamento del punteggio. ma non ha sbagliato nel partire dall'inizio con Mazzoleni, il vero risolutore di una sfida che sarebbe stata appassionante senza le ignominie arbitrali. Per due volte il Napoli si era portato in vantaggio, prima Cavani e poi Pandev, rimpianti juventini per non avere tempestivamente fatto ricorso contro il proscioglimento di Bonuci, che non ne indovinava una neanche sotto tortura. Prodezza di Asamoah per il primo pareggio, De Sanctis non impeccabile, discussa decisione arbitrale sul rigore fischiato a beneficio di Vucinic. Prima dei supplementari, le perle di Mazzoleni: rosso a Pandev per qualche parola non gradita dal permaloso assistente Stefani, rosso a Zuniga per un secondo giallo a due secondi dallo scadere. Ma il colombiano, nelle due ammonizioni, aveva subito interventi fallosi netti e non rilevati, dunque ingiustizia plateale alla quale ha reagito male Mazzarri, a sua volta cacciato. La partita si è chiusa lì, un autogol di Maggio e un tocco morbido di Vucinic hanno scritto un verdetto che non può lasciare indifferenti gli osservatori neutrali. Peccato che una serie di fischi infelici e di cartellini sventolati a senso unico abbiano avvilito un spettacolo di buon livello, qualità perfino impensabile in questo periodo della stagione. Già in evidenza gli interpreti più attesi, dal Cavani reduce dagli ozi di Londra a Pandev autore di grandi giocate, di là oltre a Vucinic e Asamoha un Pirlo cresciuto alla distanza, una folta barba a tradire forse ferie troppo noiose. Messaggi al campionato: il Napoli c'è, della Juve non era lecito dubitare. Ma possibile non riesca ad alzare un trofeo senza ombre?

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l’analisi di LUIGI GARLANDO (GaSport 12-08-2012)

Una ritirata che offende tutto lo sport

Le aggravanti sono due. Prima: eravamo in uno stadio olimpico, nel Nido d’Uccello consacrato dai record mondiali di Bolt. È stato come profanare un tempio. Tra i valori cardine del sentimento olimpico, che alimenta lo sport, ci sono quelli del rispetto dell’avversario, dell’accettazione della sconfitta e del tributo alla vittoria. Per ordine superiore, il Napoli ieri ha lasciato il campo al momento della premiazione. Non ha ritirato la medaglia, non ha assistito alla festa della Juve. Buffon non ha nascosto il suo disappunto. Ma il gesto non ha sfregiato solo la Juve o l’arbitro, ha disturbato tutti gli sportivi. Ogni squadra ha diritto alla rabbia, alle proteste, agli sfoghi. Ma certi valori base, che rappresentano il sentire comune, dovrebbero essere inattaccabili. Sarebbe stato bello vedere anche solo un giocatore del Napoli in campo, ribelle all’ordine dall’alto. E sarebbe bello che oggi qualcuno chiedesse scusa per la ritirata della vergogna, in modo netto. Seconda aggravante: eravamo in casa d’altri, in qualità di ambasciatori. Volevamo presentare un prodotto grazie a un evento ben organizzato. Dopo anni di scandali, volevamo convincere che il nostro calcio è altro, una gioia che merita fiducia e magari investimenti. Durante il riscaldamento, il megaschermo del Nido trasmetteva ritagli di giornale che celebravano la società di De Laurentiis, regina di incassi e di bilanci in regola. Noi lo sappiamo che Napoli è il San Paolo che canta d’amore per la sua squadra anche se perde. Purtroppo invece Pechino ricorderà una squadra che è uscita dal campo al momento di onorare i vincitori.

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La polemica

IL CALCIO È TORNATO

È subito calcio al veleno

di GIANNI MURA (la Repubblica 12-08-2012)

Sporco, brutto e cattivo. La promozione del calcio italiano in Cina è stata perfetta nel suo squallore, nella sua esasperazione, nel suo cosciente andare contro ogni simulacro di cultura sportiva.

Benvenuti nel calcio italiano: questo è lo spot, il biglietto da visita e insieme la cartella clinica, che conosciamo da tempo, che arrivano da Pechino. Facile, si dirà, scrivere queste cose durante un’Olimpiade, che oltre le medaglie qualcosa dovrebbe insegnare e, per chi abbia occhi e orecchie, effettivamente insegna, ma senza vantarsene, perché in fondo è naturale. È naturale che un pugile o un judoka si inchinino all’avversario e stringano la mano al suo tecnico, anche se sul verdetto pesa un arbitraggio sbagliato. È naturale che pallavolisti e cestisti si salutino a fine partita. E’ naturale e spontaneo congratularsi in pista con chi ti ha appena battuto, perché ha corso più veloce o ha lanciato più lontano di te. Certo, è facile ma anche inevitabile. La differenza non è tra sport poveri e sport ricchi, ma tra sportivi responsabili e sportivi irresponsabili.

Tra Juve e Napoli è stata una partita isterica, senza nemmeno la magra giustificazione delle tossine di fine stagione. Noi abbiamo altre tossine e non esitiamo ad esibirle tutte insieme al non tanto competente pubblico cinese, che per metà se ne era già andato sul 2-2 credendo che la gara fosse finita. Chi se n’è andato ha perso il piatto forte: la premiazione della squadra che aveva vinto, sola in campo perché quella che aveva perso se ne stava chiusa negli spogliatoi per protesta. L’ultima, perché di proteste, accenni di rissa, insulti agli ufficiali di gara già si era fatto il pieno durante la partita. Un espulso, due, tre contando Mazzarri. Silenzio- stampa alla fine, tanto per gradire. Grazie, ma ci siamo abituati. E meno male che il presidente De Laurentiis è uomo di comunicazione, così almeno dicono. Non ricordo una così plateale mancanza di rispetto verso il pubblico, l’avversario, gli arbitri. Chi si comporta così ha sempre torto, anche se può aver ragione in qualche episodio isolato. Chi si comporta così è irresponsabile perché non può ignorare di innescare una reazione a catena proprio in un momento delicatissimo per la credibilità del nostro calcio. Un momento che richiede comportamenti ponderati, sempre che la credibilità del calcio sia ancora in piedi.

«Peccato per questa cosa, ma è stato comunque un successo» ha commentato Beretta, presidente di Lega. Neanche il coraggio di chiamare «questa cosa» col suo nome: una figuraccia cosmica e un odioso «bentornati nel calcio italiano». Che è per definizione il più bello del mondo. Per chi ci crede, tra due sabati è già Campionato. E per chi non ci crede più, pure. Dopo due settimane di inchini e strette di mano, di nauseanti manifestazioni di fair play, torniamo a farci del male. Più sporchi, più brutti, più cattivi.

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UNA PROTESTA CLAMOROSA

S'incatena fuori dalla Figc

«Vita rovinata ma non ci sto»

Pesoli condannato a 3 anni per le scommesse: il Siena l'aveva dato

al Verona che adesso non lo vuole più. Valentini: «Incontrerà Abete»

L'ex difensore del Varese chiede un confronto con gli accusatori Carobbio e Gervasoni

di MARCO CALABRESI & MAURIZIO GALDI (GaSport 12-08-2012)

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«Mi sento ferito per la condanna, e vorrei un confronto con chi mi accusa, e cioè con Carobbio e Gervasoni. Non sto mettendo in discussione il lavoro dei magistrati e di Palazzi ma mi vorrei difendere in maniera giusta». Così Emanuele Pesoli spiega il suo gesto: ieri mattina, poco dopo le 10, è arrivato in via Allegri, alla sede della Federcalcio, e si è incatenato alla cancellata della Figc. Assieme a lui, un gruppo di amici e la moglie Teresa, sarda, arrivata appositamente dall'isola.

La Disciplinare Pesoli è stato condannato per illecito per la tentata combine di Siena-Varese del 21 maggio 2011. Durante il procedimento il suo avvocato, Paolo Rodella, aveva chiesto il confronto con Carlo Gervasoni e Filippo Carobbio, suoi principali accusatori, ma la Commissione aveva respinto la richiesta. «È una protesta forte — ha ammesso l'ex difensore del Varese — ma mi stanno rovinando la vita per una cosa che non ho fatto. Prima di smettere di giocare vorrei lottare. Attendo qualcuno, il presidente della Figc, Giancarlo Abete, resterò qui fino a quando non ce la faccio più».

La Federcalcio Non è arrivato Abete, ma il direttore generale della Figc, Antonello Valentini: «Quello del confronto non è un problema degli organi politici della Federazione, ma una competenza dei giudici sportivi — gli ha spiegato Valentini —. Dopo averle espresso la mia umana solidarietà, la invito a rifletterci. Prendo l'impegno per un suo incontro con il presidente, fermo restando che gli organi di giustizia sono totalmente autonomi».

Il legale «Pesoli ritiene di essere vittima di menzogne e bugie che sono state dette a suo carico da Gervasoni e Carobbio. Non si dà pace per il fatto che gli sia stata preclusa la possibilità di confrontarsi con coloro che lo accusano — ha detto Paolo Rodella, legale del calciatore —. L'iniziativa non tende a contestare la sanzione della Disciplinare. Anzi, Pesoli ha conservato e conserva tuttora intatto il massimo rispetto nei confronti degli organi di giustizia sportiva».

La carriera Con la condanna in primo grado a tre anni di squalifica per illecito sportivo è in forse il passaggio dal Siena al Verona di Pesoli. Ha un contratto con il Siena, ma il 20 luglio la società bianconera ha deciso di cederlo a titolo definitivo al Verona: il club scaligero, dopo il deferimento, ha fatto sapere che, in caso di condanna, non avrebbe reso effettivo l'acquisto del giocatore e ha quindi rinunciato a depositare il contratto in Lega. Pesoli ha un fratello più piccolo, Stefano, cresciuto nella Roma e che in Primavera aveva come compagni De Rossi, Aquilani e Simone Farina, e nella sua carriera vanta anche tre stagioni con il Montreal Impact, che ora è la squadra di Nesta e del prosciolto Di Vaio. Emanuele, invece, ha fatto «gavetta» nei dilettanti: Anagni (dove è nato), Lupa Frascati e Tivoli prima della scalata nei professionisti. Ieri continuava a ripetere: «Dopo tutta la m... che ho mangiato per 15 anni nei campi di periferia, come sarebbe potuto passarmi nella mente di combinare una partita?».

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LE TAPPE

Entro domani vanno presentati i ricorsi in appello

E Palazzi ci riprova contro il Bologna!

di ALBERTO ABBATE (CorSport 12-08-2012)

ROMA - Il secondo grado seguirà il primo. Ancora un processo diviso in due tronconi: la Corte di Giustizia Federale il 20 agosto aprirà il dibattimento sul filone di Cremona (Conte e altri 16 “condannati”), il 21 sui 7 “colpevoli” del filone di Bari. Su quest’ultimo, il Procuratore Federale Palazzi potrebbe anche impugnare - entro domani - le sentenze di proscioglimento della Disciplinare: è un suo diritto, ma rischierebbe un altro schiaffo, dopo aver visto crollare il castello accusatorio di Andrea Masiello su Udinese-Bari per Bonucci, Pepe, Salvatore Masiello e Belmonte. Secondo le ultime indiscrezioni, ricorrerà soltanto contro il Bologna, Di Vaio e Portanova oltre al leccese Vives e lascerà stare gli juventini.

Le difese attendono, qualcuno invece sta già correndo. Ci saranno da oggi altri 4 giorni di tempo: entro domani le nuove memorie, 2 per le repliche, uno per le controdeduzioni, prima del secondo processo. Il 17 agosto la Corte di Giustizia Federale, riunita a sezioni unite, esaminerà le carte e da lunedì 20 tornerà in aula, all’ex Ostello della Gioventù. Il dispositivo con tutti i verdetti - ci sono al momento solo 25 posizioni da esaminare - dovrebbe arrivare entro il 23 agosto. Prima dell’inizio del campionato. Si punta ad avere anche un terzo grado d’urgenza - di fronte al Tnas - per Lecce e Grosseto, retrocesse dalla Disciplinare in Lega Pro. Entro il 2 settembre (inizio dell’eventuale nuovo campionato di competenza) si cerca una sentenza definitiva.

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Quotidiano Sportivo 12-08-2012

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FILOSOFIA DEL CALCIO

La morale è nel pallone

Elio Matassi sovverte il tradizionale punto di vista sociologico sullo sport più amato dagli italiani e lo trasforma in un soggetto cognitivo con una sua etica ed estetica

Efficace il motto del tecnico Josè Mourinho, che Matassi vede ispirato

da Simmel e Bergson: «Chi sa solo di calcio non sa niente di calcio»

di ALESSANDRO PAGNINI (Il Sole 24ORE - Domenica 12-08-2012)

Sul calcio è stato sempre posato un occhio giudice, per lo più sociologico. Il calcio è razionalizzazione emotiva della vita sociale, serve a dominare le passioni, a favorire l'autocontrollo, a ridurre le tensioni. In quanto tale è rito, è pratica liturgica (Pasolini ardì la provocazione che «il calcio è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo... l'unica rimastaci»). Oppure, per l'etologo, il calcio è epitome di comportamenti un tempo essenziali alla sopravvivenza, una specie di metafora della guerra o della caccia, memoria di un trascorso non più funzionale alla specie (almeno lo si vuol credere), ma di cui resta la ripetizione simbolica, l'espressione di una radice tribale, di un passaggio iniziatico che prepara alla vita insegnando all'uomo strategie, tattiche, cooperazione, inseguimenti, resistenza, invenzione, sangue freddo, mira. Ma il calcio è anche poesia. Il poeta e critico inglese Wystan Hugh Auden lo catalogò tra i «giochi competitivi innocenti», quelli che nel fare senza necessità qualcosa di assolutamente arbitrario, in un certo senso contro natura (e contro, dunque, quello che insegna la lettura etologica), nell'esaltare una sorta di gideano atto gratuito, consente all'uomo di affrancarsi dall'ordine delle cose, di sfregiare il disegno divino, di sottrarsi alla meccanicità e ripetitività della vita, per instaurare uno spazio e un tempo fittizi in cui affermare autonomamente se stessi.

Il teologo tedesco Bernhard Welte (Filosofia del calcio, Morcelliana, pagg. 80 € 8,00), sulla stessa linea di Auden e facendo sua l'interpretazione "terapeutica" del gioco di Eugen Fink, parla del calcio come di «un'oasi dell'eternità», una sorta di estasi che ci regala una redenzione temporanea, che ci fa dimenticare la storia e ci rende irresponsabili, ma nella positiva illusione, in quegli atti di pura liberazione dal vincolo del reale, di aver anticipato escatologicamente (nientemeno) il regno di Dio.

Matassi conosce tutte queste cose e in buona parte le condivide. Ma decide di sovvertire quello sguardo verticale che fa sì che vi sia una posizione privilegiata, della scienza o della filosofia, che rende genitivo soggettivo il calcio in un'espressione come "filosofia del calcio". Mentre lui, qui simpatetico con una certa forma di popsophia, vuole che sia il calcio il soggetto che parla filosoficamente e che addirittura mette in discussione gli assunti della filosofia stessa. Per esempio, un'etica principialista e deontologica ci porterebbe a condannare senza appello il caso recente dei tifosi del Genoa che hanno umiliato i loro giocatori obbligandoli pubblicamente al gesto simbolico della restituzione della maglia. Ma quell'atteggiamento di appartenenza che richiede un sacrificio ancestrale, quella manifestazione estrema di fede laica, è forse più aderente ai valori in gioco, nell'enclave del calcio, di quanto non lo sia il moralismo di chi condanna dall'esterno. La conclusione di Matassi è che il calcio esige amore-passione, quell'amore eroico «che non potrà mai essere istituzionalizzato» e che la modernità ha perduto, avendolo isterilito in una cultura di emozioni delegate, deprivate di spontaneità, socialmente controllate (interessanti, a proposito, le considerazioni sull'odierno conflitto tra etica pubblica e quella che sulla scia di Goethe-Heidegger-Bourdieu Matassi chiama "etica terapeutica").

Ma il calcio non ci parla solo di morale. Ci parla anche di estetica e di gnoseologia. E qui Hegel ha da insegnare a tecnici e critici del calcio, teorizzando il primato del tutto sulle parti, l'idea che il gioco (come lo Stato nella sua filosofia del diritto), pur non avendo una priorità cronologica, seriale, sia un telos cui tendono i momenti componenti. L'analogia con la visione metafisica olistica di Hegel risulta perfetta: «la squadra viene prima degli undici giocatori» (è dell'allenatore, dunque, la missione più importante). E c'è di più. Come insegna il tecnico-filosofo Josè Mourinho, che Matassi vede ispirato da Simmel e da Bergson, le stesse motivazioni della squadra vanno oltre le competenze individuali e collettive e hanno un loro primato, quasi trascendentale, il cui senso generalista-dialettico è icasticamente espresso da un motto di Mourinho: «Chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio» (vedi Sandro Modeo, L'alieno Mourinho, Isbn Edizioni, pagg. 192 € 13,50).

Il calcio, come si è detto, ha anche un suo spazio e un suo tempo. Allo spazio del calcio accenna Elias Canetti in «Massa e potere», suggerendo l'immagine dell'arena che volta le spalle alla città, isolando una vita volutamente alterata e autoreferenziale; «una massa chiusa verso l'esterno e in se stessa», che interrompe in una scarica energetica verso l'interno e in una sia pur momentanea autoreclusione il rapporto di dipendenza dal potere. Lo stesso si dica, alla Auden, della sospensione del tempo, con un'efficace analogia con la musica: «musica e calcio postulano entrambi l'innocenza della trasgressione, una innocenza che si limita a violare l'ordine temporale costituito».

E qui è chiaro il debito di Matassi all'estetica, che è appunto anche etica e gnoseologia, di Adorno. Se musica e calcio sono analoghi è nel senso adorniano di "autonomia dell'arte", che non vuol dire astoricità o assoluto svincolo dell'arte da ogni rapporto con la società, ma affermazione di un suo piano di esistenza che sfugge a un determinismo socio-economico anche se, a seconda del momento storico-sociale, può confliggere col reale empirico e rivelarne criticamente le contraddizioni o può esserne essa stessa (ma non per una necessità ineludibile) espressione e strumento. Purtroppo l'autonomia e la purezza del calcio, come forse la sua innocenza e «il suo esito redentivo», oggi, in un'epoca di nihilismo economicistico e di degenerazione feticistica, sono assai dubbi. Questo il filosofo serio non può non denunciarlo; anche se il richiamo di quella "trasgressione" per lui resta forte e sempre più impudicamente confessata.

Elio Matassi (intervistato da Lucrezia Ercoli), La filosofia del calcio, Popsophia Kultur, Civitanova Marche, € 10,00.

Elio Matassi, La pausa del calcio, Il ramo, Rapallo, € 10,00.

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BARÇA VS REAL MADRID:

LA GUERRA DEI MONDI

Le regine del campionato spagnolo e della Champions esprimono culture sportive e geopolitiche opposte. I catalani curano lo spirito di squadra e sognano l'indipendenza, i madrileni puntano sui campioni e credono nella Spagna. Quando Monti arbitrò un loro scontro.

di LUCA VALDISERRI (Limes n. 4/2012)

1. «I CULETTI» CONTRO LE «MERINGHE». DETTA così, in un mondo a misura di macho come quello del calcio - basti pensare al caso Cassano-Cecchi Paone e a tutti i suoi sconfortanti particolari - non sembra una sfida epica. E invece è quella tra le due squadre più forti e più ricche del mondo: Futbol Club Barcelona e Real Madrid Club de Fútbol. Barcellona e Real per tutti gli italiani. Se meringhe (merengues) è intuitivo, visto il colore bianco dei dolci e delle maglie del Real, più interessante è la genesi di culé, il soprannome dei tifosi catalani. Fra molte ipotesi, la più accreditata data 1909-22, quando il Barça giocava al campo di Calle de la Industria, dove il pubblico era diviso tra la tribuna a due piani e le due curve. Quando la capienza iniziò ad essere insufficiente, molti tifosi iniziarono a sedersi sul muro di cinta dello stadio. Chi passava dall'esterno vedeva sporgere i sederi e, così, la gente rifilò quel soprannome ai tifosi del Barça. Genesi molto popolare per una società che, nel suo futuro, diventerà un modello di stile e eleganza.

2. Più interessante è il motto del Barcellona, che spiega molto se non tutto: més que un club, più che una società calcistica. Rende l'idea di una multinazionale dove il calcio è il motore principale di moltissime iniziative. La sponsorizzazione dell'Unicef, voluta dall'ex presidente Joan Laporta, ne è stata un esempio. Il Barça non ricavava soldi dall'accordo, anzi li versava all'Unicef, ma il ritorno di immagine è stato clamoroso. Il successore di Laporta, Sandro Rosell, ha portato sulla maglia lo sponsor Qatar Foundation (150 milioni di euro in 5 anni, è il logo istituzionale di un'organizzazione no profit per la difesa dei bambini), suscitando comunque grandi polemiche e un commento sarcastico di Laporta, che ha visto lo sponsor Unicef «scivolare in basso sulla maglia», all'altezza dei calzoncini. Més que un club, poi, è scritto in catalano e non in castigliano (sarebbe: más que un club), particolare chiaro della trasformazione del Barcellona in una vera e propria bandiera catalana, opposta al centralismo di Madrid. Una storia antica, ma che nell'èra dei social media e della globalizzazione è esplosa in tutta la sua forza.

L'indipendentismo catalano non ha molti punti in comune con quello sperimentato in Italia con la Lega Nord. Non è un fenomeno conservatore, non ha connotati xenofobi, è patrimonio anche di una classe acculturata, giovane e europeista. Barcellona è storicamente e politicamente la città antagonista di Madrid. La differenziano il mare e la cultura mediterranea. Più che un bilinguismo, in molte parti della Catalogna (vedi Girona) c'è stato un ritorno quasi totale all'idioma locale. Durante la dittatura di Francisco Franco, il Barcellona è stato più di un simbolo: è stato il catalizzatore del sentimento catalano quando l'uso della lingua era proibito. Le vittorie calcistiche erano festeggiate come battaglie vinte.

Il Real Madrid è sempre stato, in Spagna ma anche in Europa, un club ricchissimo, potentissimo, presente nella stanza dei bottoni. Ha cercato e comprato i migliori giocatori, fin dai tempi in cui Ricardo Zamora, lo storico portiere della Nazionale, passò proprio dal Barcellona al Real. La rivoluzione culturale del Barcellona è invece arrivata negli anni Settanta, con la guida tecnica di Rinus Michels, l'inventore del primo Ajax (Coppa dei Campioni 1970, 4 scudetti olandesi, 3 Coppe d'Olanda). Michels, a Barcellona, ha allenato dal 1971 al 1974 e dal 1976 al 1978, vincendo tutto sommato poco (una Liga e una Copa del Rey) ma tracciando la strada del gioco "all'olandese" e impiantando la tradizione della formazione di giocatori all'interno delle squadre giovanili. I suoi eredi sono stati Johann Cruijff, Frankie Rijkaard e soprattutto Pep Guardiola, sotto la cui guida il Barcellona è diventato la squadra degli Imbattibili, oscurando in quanto a stile di gioco anche il cosiddetto Real Madrid dei galácticos.

Cultura del lavoro, rispetto delle regole, importanza della vittoria ma soprattutto di come si ottiene la vittoria. Il Barcellona ha trovato il modo calcistico di rappresentare in pieno le virtù che i catalani sentono parte del loro dna. Con un pizzico di pessimismo tipico della storia e della cultura locale. Basti pensare che la festa nazionale è la Diada Nacional de Catalunya (o semplicemente Diada), che si celebra l'11 settembre e che commemora la caduta di Barcellona nelle mani delle truppe borboniche di Filippo V di Spagna, durante la guerra di successione spagnola, 1'11 settembre 1714, dopo 14 mesi di assedio. Conseguentemente, nel 1716, vennero abolite le istituzioni catalane, come ad esempio la Generalitat de Catalunya, a seguito dei decreti di Nueva Planta.

Celebrazione di una sconfitta, eroica ma pur sempre una sconfitta, come se fosse più importante di una vittoria senza onore.

3. Il contraltare del Barça è, da sempre, il Real Madrid. La squadra della capitale, citta dell'interno, senza mare, multiculturale, centro moderno di una movida ancor più intensa che a Barcellona. Il Real come squadra del governo e del potere. La più amata, quella con più tifosi in tutte le regioni della Spagna, ma anche la più odiata. Calcisticamente legata a grandi presidenti: in primis lo storico Santiago Bernabéu, dal 1943 al 1978, cui oggi è dedicato lo stadio, e il modernissimo Florentino Pérez, colui che costruì la squadra dei galácticos dal 2000 al 2006 e che è ritornato al comando nel 2009. Grandi presidenti e grandi giocatori, comperati con investimenti sempre superiori a quelli che venivano fatti per la guida tecnica e/o per lo sviluppo del settore giovanile. Del Real Madrid si ricordano più i campioni (Amando, Di Stefano, Puskás, Zidane, Raúl, Cristiano Ronaldo) che gli allenatori che li hanno guidati. Se il Barcellona è diventato il simbolo di un gioco di squadra, il Real Madrid è sempre stato e probabilmente sempre sarà il simbolo della giocata di un grandissimo campione.

Come il barcelonista si specchia nella sua squadra, così anche il madrileno. Gode della sua tradizione, si sente parte della storia della Grande Spagna e vede la sua squadra di club come la vera Nazionale del paese, al contrario dei simboli del separatismo: Barcellona e Athletic Bilbao. Non a caso le uniche tre squadre spagnole che, dalla creazione della Primera Division, nel 1929, non sono mai retrocesse.

Il palmarès del Real Madrid è più ricco di quello del Barcellona: 32 titoli nazionali vinti, 18 Coppe di Spagna (Copa del Rey), 8 Supercoppe di Spagna, ma soprattutto 9 Coppe dei Campioni, 3 Coppe Intercontinentali, 2 Coppe Uefa e una Supercoppa Europea. È sul terreno europeo che il Real Madrid, fino all'avvento dell'èra Guardiola, ha marcato la sua superiorità sui rivali. Quanto alla denominazione Real, non è «originale» del 1902. È arrivata per concessione del re Alfonso XIII, nel 1920, insieme alla corona applicata sullo stemma. Il primo cambio di simbolo data 1908, quando le lettere MCF (Madrid Club de Fútbol) furono stilizzate e inserite in un cerchio. Con la dissoluzione della monarchia, nel 1931, ogni simbolo reale fu eliminato. Dal nome fu tolta la denominazione Real e la corona fu levata dallo stemma, mentre fu aggiunta una banda trasversale violetta, a rappresentare la Castiglia. Nel 1941, due anni dopo la conclusione della guerra civile, fu ripristinata la corona reale nello stemma e il club tornò a chiamarsi Real Madrid Club de Fútbol. Ma ancor più che la squadra del re, soprattutto dai catalani, il Real è sempre stato identificato come la squadra di Francisco Franco e dei franchisti. Il Real Madrid, in tempi di autarchia e isolamento, fu per Franco un potente veicolo internazionale. Non per questo, nella sanguinosa guerra civile spagnola, mancarono episodi cruenti ai danni di dirigenti della squadra. Il presidente Rafael Sánchez Guerra (in carica dal 1935 al 1936) fu imprigionato e torturato perché repubblicano. Riuscì poi a fuggire a Parigi, dove divenne uno dei principali membri del governo repubblicano in esilio. Le milizie arrestarono e uccisero anche un vicepresidente e un tesoriere e fecero scomparire un sostituto presidente.

4. Real Madrid-Barcellona è diventata così qualcosa di più di una semplice partita di calcio. La rivalità divenne ancora più feroce dopo la semifinale di Coppa del Re del 1943. L'andata finì 3-0 per il Barcellona, in casa, ma il ritorno vide vincere il Real Madrid per 11-1. Secondo molti sui giocatori catalani furono fatte pressioni e intimidazioni. Negli anni Cinquanta la disputa per l'ingaggio di Alfredo Di Stefano, naturalmente finito al Real Madrid, gettò altra benzina sul fuoco. E in tempi recenti, il 23 novembre 2002, in occasione di una gara di campionato al Camp Nou, il «traditore, Luis Figo, passato dal Barça al Real Madrid per 60 milioni di euro, si vide lanciare dagli spalti una testa di maiale - entrata chissà come nello stadio - mentre stava per battere un calcio d'angolo.

L'indipendentismo catalano, di cui il Barcellona è un simbolo, impregna la vita dell'ex presidente Joan Laporta, avvocato e poi politico, che ha costruito l'epopea di Pep Guardiola, l'allenatore che tra il 2008 e il 2012 ha vinto 3 campionati, 2 Coppe del Re di Spagna, 3 Supercoppe spagnole ma soprattutto 2 Champions League (più due semifinali), 2 Supercoppe europee e 2 Coppe Intercontinentali. Laporta ha dichiarato di «sognare una nazione catalana organizzata come uno Stato a sé stante, ed è entrato in politica a metà degli anni Novanta, come membro del Partit per la Independència (1996-99), creato da Pilar Rahola e Àngel Colom. Il partito non ottenne successo, ma Laporta non si è dato per vinto ed è entrato prima nelle file del CiU (Convergència i Unió) e poi in quelle dell'Ere (Esquerra Republicana de Catalunya). Ha infine fondato Democràcia Catalana, che si è presentata alle elezioni del parlamento catalano del 2010 unita a Solidaritat Catalana per la Independència (Si). Nelle primarie di Si (4 settembre 2010), Laporta è stato eletto capolista per la circoscrizione di Barcellona e ha ottenuto un posto nel parlamento catalano. Nel dicembre 2011, intervistato dal giornale La Cámara, ha dichiarato: «L'indipendenza è indispensabile per la Catalogna perché riguarda tutte le persone che vivono e lavorano nella nostra comunità e perché è l'unica via per uscire dalla crisi economica, democratica e culturale nella quale, per disgrazia, siamo precipitati».

La sua posizione sul dualismo Barcellona/Madrid ma anche Catalogna/Spagna è sempre stata chiarissima. I recenti campionati Europei 2012, in Polonia e Ucraina, l'hanno, se possibile, rafforzata: «Ho tifato Spagna perché c'erano tanti giocatori del Barcellona e la loro felicità è anche la mia. Però la mia vera Nazionale è quella catalana che, purtroppo, non gioca gli Europei».

Trascinato in una sfida a chi è più catalano e più antimadridista, il successore di Laporta, Sandro Rosell, è voluto intervenire anche lui sull'argomento, trovando una chiave interpretativa molto astuta: la rivalità dentro la rivalità. Non solo Barça contro Real, ma anche Messi contro Cristiano Ronaldo nell'ottica della conquista del prossimo Pallone d'oro: «Cristiano Ronaldo non è il miglior giocatore al mondo, è il dodicesimo. I primi undici sono i titolari del Barcellona». Non contento, Rosell ha attaccato anche José Mourinho, l'allenatore del Real, che in occasione dell'ultima Supercoppa di Spagna aveva avuto un'accesa discussione con Tito Vilanova, all'epoca assistente e adesso erede di Pep Guardiola sulla panchina blaugrana: «Non accetterei mai un allenatore che vuole vincere a tutti i costi, senza tenere in conto il modo in cui si vince. E chiederei scusa se il mio tecnico mettesse il dito nell'occhio di un altro». Sì, in Barça-Real è successo anche questo. «Quanto al Pallone d'Oro, fuori dalla Spagna tutti lo darebbero a Messi. Ma qui...». Vecchio discorso: il Real Madrid sempre dalla parte dei potenti, delle istituzioni, dei mass media.

5. La guerra tra le due grandi rivali non si limita al campo. Stiamo parlando (fonte Deloitte, Football Money League 2012, con dati che si riferiscono alla stagione 2010-11) dei due club che fatturano di più al mondo. Il Real Madrid primo, con 475,9 milioni di euro, il Barcellona secondo con 450 milioni. Staccato il Manchester United, terzo, con 367 milioni. La prima squadra italiana è il Milan, al settimo posto, con 235,1 milioni. Fino a una decina di anni fa, il fatturato dei grandi club italiani era allo stesso livello di quelli spagnoli, poi è rimasto drammaticamente indietro. Nonostante questo, sia il Barça sia il Real sono pesantemente in passivo. Campagne acquisti faraoniche e stipendi sempre più alti mandano in rosso i bilanci. Con fatturati simili, però, non è un problema trovare aperture di credito.

Come e più che in campo, la competizione economica è piena di colpi bassi e priva di vere regole. Ne chiese conto l'europarlamentare catalano Pere Esteve, il 2 settembre 2002, con un'interrogazione presentata all'Unione Europea. Nel mirino il Real Madrid che, da società con 277 milioni di euro di debiti (praticamente sull'orlo del fallimento), si ritrovò in cassa 480 milioni grazie al cambio di destinazione del suo centro sportivo, reso edificabile dal Comune di Madrid e venduto per la costruzione di 224 mila metri quadri di uffici. La modifica del piano regolatore, insomma, permise la creazione della squadra dei galácticos, con gli acquisti di Zidane, Ronaldo, Beckham, Roberto Carlos, del «traditore» Figo...

Per Esteve, il favore «pilotato» dall'allora premier Aznar (grande tifoso del Real, mentre Zapatero lo è del Barcellona) violava il trattato dell'Unione Europea che proibisce «gli aiuti degli Stati o dei Fondi statali sotto qualsiasi forma, tali da falsare o minacciare la concorrenza favorendo determinate imprese». Florentino Pérez, per la precisione, è uno dei più importanti costruttori edili spagnoli. L'allora commissario europeo Mario Monti rispose così: «Il Comune e la Comunità di Madrid hanno modificato l'accordo urbanistico in un modo che sembra conferire un vantaggio, ma non implicare un trasferimento di risorse statali». In poche parole, una furbata. Ma inattaccabile. E non l'unica. La Spagna ha assistito i suoi club calcistici dal punto di vista finanziario in almeno due occasioni (1985: prelievo del 2,5% dalla Quiniela, l'equivalente del Totocalcio; 1995: contributo per l'ammodernamento degli stadi attraverso un prelievo del 7,5% della Quiniela). In totale: 168 milioni di euro.

Non contento della risposta, Esteve ripresentò l'interrogazione. Così: «Il giorno 7 maggio 2001, il presidente della Comunità autonoma di Madrid, il sindaco di Madrid e il presidente del Real Madrid hanno sottoscritto un accordo per lo sviluppo urbanistico dell'area situata tra il Paseo de la Castellana, l'Avenida de Monforte de Lemos e le Calles di Pedro Rico e Arzobispo Morcillo, distretto di Fuencarral-El Pardo, ai sensi del quale le parti in causa si impegnano e si obbligano ad effettuare tutti i passi necessari per modificare la qualifica urbanistica dei circa 120 ettari di terreno in cui si trova attualmente la Città sportiva del Real Madrid, cosicché 30 mila metri quadrati di terreno, considerati precedentemente impianti sportivi privati, vengono trasformati in terziario generico, ossia la qualifica di industrie, stabilimenti commerciali, hotel. Sul terreno si prevede la costruzione di quattro torri, ciascuna di 54 piani, la cui vendita e/o utilizzo permetterà al Real Madrid di beneficiare di una fonte di entrate atipiche che non solo assorbiranno il forte debito della squadra ma la porranno finanziariamente dinanzi alle sue concorrenti. Poiché il calcio europeo costituisce un mercato unico, ai sensi della normativa comunitaria, bisogna considerare che una situazione di favoritismo nei confronti di una squadra spagnola non si ripercuoterebbe solo su altre squadre spagnole, ma anche su altre squadre dei paesi dell'Ue, visto che tutte attingono allo stesso mercato di beni e servizi sia per quanto riguarda il materiale sportivo che le prestazioni professionali di calciatori e allenatori. Deve esser chiaro che non stiamo discutendo l'esistenza di squadre di calcio più o meno ricche: si tratta di stabilire se le condizioni di trasmissione o vendita delle proprietà immobiliari in questione partono da uno speciale favore politico e amministrativo, a detrimento delle norme che disciplinano la libera concorrenza. In questo caso è stato possibile mascherare giuridicamente un aiuto di Stato sotto le apparenze di un'operazione urbanistica».

Anche questa seconda volta, però, la risposta di Mario Monti deluse le speranze di Esteve e, con lui, del Barcellona: «La Commissione constata che la riqualificazione del terreno in questione non sembra implicare trasferimenti diretti o indiretti di risorse né da parte della città di Madrid né da parte della Comunità autonoma di Madrid. Il fatto che la riqualificazione conferisca un vantaggio al Real Madrid non basta di per sé a conferirle un carattere di aiuto di Stato ai sensi dell'articolo 87 del trattato Ce».

Barcellona e Real, Catalogna e Castiglia, gioco e giocatori, indipendentismo e centralismo, europeismo e tradizione degli hidalgos. Ma soprattutto una battaglia senza quartiere per il potere. Perché il calcio è passione, nazionalismo, storia, fanatismo. Ma anche e soprattutto business.

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Roma Zeman punge Conte

Il boemo convinto:«Un tecnico squalificato non dovrebbe allenare» Sulla squadra: c'è una formazione-tipo ma dipenderà dalla mia pazzia

Adriano Serafini

Non fa il nome però l'attacco arriva dritto e colpisce nel segno.

Perché per Zeman possono cambiare i luoghi, ma non le posizioni. Direttamente dall'ultima conferenza del ritiro austriaco di Irdning, il boemo lancia un'altra stoccata verso la Juventus ed il suo allenatore Antonio Conte, squalificato dalla Disciplinare per 10 mesi nell'ambito della vicenda calcioscommesse. La domanda sulla regola che vieta ad un tecnico squalificato di sedersi in panchina ma non di allenare, è un assist troppo ghiotto per lasciarselo scappare: «Anche un giocatore squalificato si allena. Se squalificato per molto tempo però, non credo sia giusto. Quanto tempo? Almeno tre mesi». Poi un giudizio più generale sulla vicenda: «Fino ad ora non capisco fino in fondo, non ho letto tutte le carte. Però penso che se si vuole debellare questa cosa bisogna essere più decisi». Colpo su colpo l'attenzione si sposta anche sul calcio giocato e sui progressi della sua Roma. E la soddisfazione non manca: «Ho sempre utilizzato questo sistema di preparazione e non mi lamento. Durante il ritiro servono avversari che ti permettano di fare quello che stai costruendo». La tabella di marcia è al momento rispettata, senza nessuna preoccupazione per gli ultimi leggeri infortuni riscontrati dai suoi ragazzi: «Dovevamo fare certi lavori e siamo riusciti a metterli in pratica con soddisfazione. Mi aspetto tanto da tutti, capisco che in questi momenti c'è chi rende di più e di meno. Ci sono alcuni problemi, acciacchi fisici, ma è normale». Normale quindi entrare anche nello specifico. A partire dai volti nuovi: «Destro? Non era abituato a tutto questo lavoro, adesso lo sta accusando, ma gli servirà per il campionato. Credo che lo scambio con Borini sia stato azzeccato, Destro è più tecnico». Senza dimenticare Osvaldo: «Sta facendo molto bene e non ha problemi, perché è una forza della natura». Complimenti anche a Pjanic, «è un ragazzo che capisce subito, ci si può lavorare alla grande», e al duttile De Rossi: «Da mezzala ci gioca anche in Nazionale, lo fa a destra o a sinistra perché c'è Pirlo. Per me lo può fare anche qui». Zeman ammette che «un'idea di formazione titolare c'è, poi spero che i giocatori sui quali io non vedo l'impegno, dimostreranno di poter entrare. Ho una rosa in cui ogni ruolo è coperto da due giocatori, dipenderà dal loro stato di salute e dalla mia pazzia riguardo al loro utilizzo». A poche ore dal ritorno a Roma, la capitale continua ad essere agitata dalle ultime questioni di mercato legate principalmente all'arrivo del difensore centrale: Marquinhos è a un passo. «Non ho nessuna preferenza - aggiunge Zeman - so che stiamo seguendo quattro o cinque difensori centrali, mi auguro che uno alla fine possa arrivare. È normale che l'esperienza ha un valore e la gioventù un altro, mi auguro quindi che si riesca a scegliere quello che serve di più a noi. Oggi considero terzo centrale Romagnoli, se poi arriva qualcuno che invece che il terzo farà il primo è meglio per noi». Si inizia con riferimenti ad un allenatore, si termina con un altro, fresco vicecampione olimpico con il Settebello a Londra. Ovviamente con giudizi diversi: «Sandro Campagna? L'ho conosciuto quando era ancora un bambino. Lo tiravo in aria per fargli fare i tuffi a Mondello, giocavo con lui e sua sorella. Poi il tempo ci ha fatto perdere di vista, ma ora vederlo affermato mi fa veramente piacere. L'eroe olimpico? Phelps. È inimitabile».

13/08/2012 [il tempo]

Non si sentiva la mancanza a proposito?

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PAX SPORTIVA Verso l’addio della Nato

AAA calciatori cercansi

Kabul si affida a un reality

per ripartire dal pallone

Karzai tenta la transizione anche sul campo.

Giocatori reclutati in tv per dare il via a un nuovo campionato. Boom di ascolti

LA RIVOLUZIONE Azzerate le vecchie squadre. Agli ex atleti la scelta delle new entry

OBIETTIVO AMBIZIOSO Il progetto: imitare Mandela che usò il rugby per pacificare

di LUIGI GUELPA (il Giornale 13-08-2012)

Tra due anni l’Afghanistan dovrà imparare a camminare senza più il sostegno delle stampelle messe a disposizione dalle forze armate della Nato. Karzai pubblicamente ostenta sicurezza e approva qualsiasi iniziativa che vada oltre i meccanismi della «transizione ». Ed è proprio in quest’ottica che nei giorni scorsi è stata presentata la Afghan Premier League, il campionato di calcio che prenderà il via a fine mese. Otto le squadre ai nastri di partenza in rappresentanza di altrettante regioni del paese. Non è stato permesso a nessuno dei vecchi club di partecipare alla competizione. «Abbiamo deciso di voltare pagina e di partire con tante novità ­spiega il presidente della federazione Karim Keramuddin - il percorso di pace e la stabilità dell’Afghanistan devono nascere senza più concentrarsi sui soldati. Lo sport è veicolo di pace, rafforza l’unità del paese,l’orgoglio e allontana l’intolleranza». Dalle parti di Kabul non si disputava un torneo ufficiale da dieci anni. Mancava davvero tutto, dalle strutture agli stessi calciatori. Dietro la nuova Premier League ci sono importanti finanziatori locali: una compagnia telefonica, la Roshan Telecom Development, e il Gruppo Moby del magnate Saad Mohsen. L’entusiasmo di Keramuddin è palpabile, unito forse a un pizzico di ingenuità quando sostiene di riuscire a costruire in Afghanistan con il pallone «quello che ha saputo fare Nelson Mandela con il rugby». Il riferimento va alla pellicola Invictus, storia romanzata dell’unità del Sudafrica ritrovata attraverso lo sport. Anche se sulla rotta Città del Capo-Johannesburg la palla ovale è sempre stata un ottimo collante, mentre il calcio e l’Afghanistan storicamente non godono di ottimi rapporti. Il boom degli anni Settanta venne infatti bruscamente interrotto dall’invasione sovietica del 1979.

Le otto squadre per il momento di suggestivo hanno soltanto il nome (si passa dai Falconi di Asmayee fino ad arrivare alle Aquile di Hindukush o alla Tempesta di Harirood), manca però all’appello la materia prima, ovvero i calciatori. Un problema non da poco che però la federazione è riuscita a risolvere con una trovata a dir poco geniale. Da alcuni giorni ha preso il via «Campo Verde», un reality televisivo dove migliaia di ragazzi si cimentano con il pallone tra i piedi. I migliori, selezionati da una giuria composta da ex calciatori della nazionale, verranno distribuiti negli otto club con un sistema simile al draft dell’Nba. Il reality, trasmesso in sei città tra le quali Kabul, Jalalabad e Mazar-e Sharif, sta ottenendo un successo strepitoso sia a livello di partecipanti che di telespettatori. «Stiamo facendo un’accurata selezione anche per far conoscere agli appassionati di calcio i nuovi idoli sportivi - commenta Sayed Ali Reza Aghazada, uno dei produttori dello show - questi ragazzi diventeranno famosi ancora prima di scendere in campo». La Premier League prenderà il via ufficialmente domenica 26 agosto. Quattordici le giornate previste per un totale di due mesi di competizione. «Sarà un campionato sperimentale- aggiunge Keramuddin ­ trasmesso in chiaro dalla tv di stato. E se tutto andrà bene riproporremo la formula nel 2013 ampliando il numero dei club».

Lo sport afghano fa i conti senza l’oste, che ovviamente ha la fisionomia inquietante dei talebani. «Il popolo afghano non perderà le conquiste ottenute. Non sono preoccupato da un ritorno dei talebani con le armi. Se torneranno grazie al processo di pace, sono i benvenuti», aveva detto Karzai qualche tempo fa. Affermazione rafforzata da un documento degli stessi talebani che si impegnerebbero a promuovere l’educazione delle donne definite come «grande risorsa della società». C’è davvero tanto buonismo nell’Afghanistan del futuro. Troppo secondo gli osservatori occidentali che diffidano ovviamente dei talebani e continuano a temere scenari simili a quelli iracheni, dove la partenza degli alleati coincise con una recrudescenza spaventosa di attentati ed esplosioni.

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L’intervista

La reazione Il patron del club va all’attacco dopo la sconfitta in Supercoppa a Pechino contro la Juventus: Lega incapace a rigenerarsi

«Napoli scippato,

danno al calcio italiano»

Il patron: per colpa dell’arbitro penalizzati noi e il volto dello sport rivedremo la gara e valuteremo

di ROBERTO VENTRE (IL MATTINO 13-08-2012)

Pechino. In volo verso Roma lasciandosi alle spalle la finale da incubo della Supercoppa. Aurelio De Laurentiis si mostra sereno sul volo Air China mentre analizza di nuovo la serata di Pechino e non fa sconti a nessuno.

Qual è il suo stato d'animo?

«Una manifestazione tra squadre importanti e tifoserie importanti dovrebbe essere organizzata in modo inappuntabile. Se uno è abituato al calcio trasmesso con l'accurata tecnologia di Sky, un calcio attraverso il quale non si possono offrire dubbi o alimentare dietrologie, non capisco perché per quest'evento ci si è affidati alla Rai senza obbligare ad utilizzare le stesse riprese e gli stessi replay, l'unico modo per poter verificare con precisione ciò che è accaduto durante la manifestazione. Vuol dire che la Lega, che pure abbiamo rifondato, vive ancora dell'incapacità a rigenerarsi in modo efficiente e moderno. Si dovrebbe avere il coraggio di mandare a casa tutti quelli che hanno più di quarant'anni e ricominciare con giovani vogliosi di lavorare per la tutela sia dei calciatori da un punto di vista sportivo che delle società da un punto di vista imprenditoriale».

Una brutta figura per il calcio italiano?

«Non posso dirlo, solo dopo aver esaminato in maniera scientifica tutte le riprese che sembrano piuttosto limitate potrei esperimere giudizi. La cosa che mi ha infastidito di più è che la prima partita vera dell'estate è stata gestita e affrontata con un piglio di severità scolastica tipica di noi italiani. Il rigore era discutibile, diciamo una situazione da fifty-fifty. Quello che è inaccettabile da parte di chi ha il controllo del gioco è la prima ammonizione a Zuniga che ha subito il fallo. Ed è lì il momento secondo me che può nascere una possibile lettura di dietrologia. Con tutta la buona volontà che uno può metterci è chiaro che nei tifosi non possono non nascere dei dubbi. Perché tramutare un fatto dell'amicizia in una semina di odio tra tifoserie? La cosa più bella sarebbe quella di essere applauditi dalla tifoseria opposta».

Il bersaglio della protesta era la Juve?

«Non ce l'avevamo con la Juve, una grande squadra composta da grandi giocatori. Ma se si semina sul campo l'irrazionalità è chiaro che le squadre cominciano a confrontarsi con atteggiamento diverso a volte spocchiosi. E poi vorrei sapere se l'assistente ha fatto un corso di macedone visto che Pandev si è rivolto a lui in macedone ed era molto lontano e poi mi ha giurato di non aver offeso. Comunque al di là di questo, l'adrenalina di un giocatore durante la partita determina certi atteggiamenti che l'arbitro dovrebbe gestire. Ricordo quell'episodio di Totti, attraverso la lettura del labiale si riscontrò che mandò più volte a quel paese un assistente e in quel caso l'arbitro fece finta di nulla e la sua lettura della situazione fu geniale».

Ha lasciato il segno questa sconfitta?

«Non ha lasciato il segno. Mi ha dato fastidio vedere la trasferta organizzata in questo modo, ci ho messo un'ora e mezzo dall'albergo al campo, l'albergo, il Park Hyatt, dove siamo stati benissimo, l'ho scelto io. Sono molto deluso dell'organizzazione cinese e della Lega. Questo trofeo fatto così non vale niente».

Che sensazione ha provato durante la partita?

«Mio figlio Edoardo è andato via dopo un quarto d'ora del secondo tempo, io volevo farlo più avanti ma poi ci ho pensato. Quando prendi dei cazzotti che puoi farci? O ti arrabbi e reagisci o la prendi con filosofia: ho scelto la seconda strada. Mi è però è rimasta l'amarezza che è stata sprecata una grande occasione per esportare nel migliore dei modi il calcio italiano all'estero e la reponsabilità ce l'ha chi ha arbitrato che non solo ha penalizzato il Napoli ma l'immagine del nostro calcio. A questo punto tanto vale mandare arbitri internazionali. E poi dico che il regolamento andrebbe rivisto, quando si chiude una stagione si dovrebbe ripartire da zero, invece noi avevamo Dzemaili squalificato e perderemo Pandev e Zuniga per squalifica. Se dovesse ancora essere organizzata così questa competizione non m'interessa».

Al rientro in albergo cosa è avvenuto?

«Abbiamo cenato e poi ho ordinato sette-otto bottiglie di champagne portando la squadra a brindare alla discoteca dell'hotel al sesto piano. Ho detto ai ragazzi che hanno giocato una grande partita e ad ognuno ho regalato un premio partita di 20mila euro. Bisogna cancellare subito quanto successo, è stata solo una brutta scampagnata, come essere andati al mare ed aver trovato otto ore di traffico nel viaggio di ritorno. Guardiamo subito avanti, abbiamo i campioni della Grecia e l'esordio in campionato a Palermo. Nella sfortuna avremo la possibilità di vedere i nuovi gioielli del Napoli che sono Insigne e Vargas».

Perché non avete partecipato alla cerimonia di premiazione?

«Perché essendo stata la partita mal gestita si sgretola la psicologia di condividere alla fine vittoria e sconfitta, non c'era la condizione di vivere il terzo tempo modello rugby nel rispetto dell'avversario, questo non può avvenire se uno si sente preso in giro. Siamo stati in Cina otto giorni, mentre la Juve voleva organizzare le sua tourne e io seppure un po’ troppo tardi ho avanzato la proposta di far giocare una partita di andata e ritorno, a Torino e Napoli, che avrebbe fruttato dieci milioni di fatturato invece di una manciata di yuan. Per le società di calcio il fatturato è importante a me la Cina piace per l'esportazione del prodotto calcio ma se l'evento viene organizzato così allora meglio gestirlo da soli: la Juve ha alle spalle la grande organizzazione della Fiat, il Napoli della Filmauro».

Che mosse avete in mente, rianalizzerete le immagini e prenderete qualche iniziativa?

«Abbiamo milioni di tifosi napoletani che meritano rispetto e che devono sapere la verità. Per questo dobbiamo rivedere le immagini in modo da stabilire se c'è stato qualcosa di sbagliato, anche se l’errore su Zuniga è inequivocabile e non c'è bisogno di rivedere niente».

___

Supercoppa Moratti: «Se ha disertato avrà avuto i suoi motivi»

La ritirata del Napoli

è un caso da Procura

Il club di De Laurentiis sarà deferito

di PAOLO TOMASELLI (CorSera 13-08-2012)

MILANO — Se questo è l'inizio ufficiale della stagione calcistica, allora c'è almeno un aspetto positivo: si può solo migliorare. La sceneggiata del Napoli, che ha disertato la premiazione della Supercoppa italiana persa contro la Juventus (4-2) non è passata inosservata. Gli inviati della Procura federale sono rimasti colpiti dall'ammutinamento ordinato dal presidente De Laurentiis alla sua squadra, in segno di protesta per le scelte di Mazzoleni e dei suoi collaboratori. Il deferimento è più che probabile, perché un atteggiamento senza precedenti, per giunta in casa d'altri (con i cinesi che non badano a spese) non può passare sotto silenzio. E la multa, anche salata, è assicurata.

Qualche dirigente del Napoli sabato sera a Pechino si è scusato con gli uomini della Lega calcio, ma a titolo personale. Walter Mazzarri, in silenzio stampa come tutta la squadra dopo la partita, ha volato ieri con il presidente di Lega, Beretta: solo una stretta di mano cordiale, ma nessun chiarimento.

De Laurentiis invece ha esternato ampiamente, prendendosela soprattutto con Mazzoleni, con la stessa Lega e gli organizzatori cinesi, in un crescendo stonato dei suoi. «È stata rovinata una festa e c'è un unico responsabile — ha detto il presidente —. Pandev mi ha giurato che non ha detto niente al guardalinee». Sul tema, il numero uno dell'Inter, Massimo Moratti, ammette di non aver visto la partita, ma da Londra va lo stesso in scivolata e dice che «se il Napoli ha disertato la premiazione avrà avuto i suoi motivi...».

Vale la pena ricordare quelli principali, tenendo presente che si sono accavallati nel giro di venti minuti, facendo perdere la testa ai napoletani, e che comunque, al di là dei presunti torti, la squadra di Mazzarri è stata in generale molto fallosa. Il primo: il rigore che ha spaccato la partita, consentendo alla Juve di portarsi sul 2-2 per fallo di Fernandez su Vucinic. Mazzoleni, che ha avuto oggettive difficoltà a gestire la partita, non lo ha visto ed è stato richiamato da Rizzoli, assistente di porta. Il contatto in area, poco evidente, c'è comunque stato. E invocare maggiori aiuti all'arbitro per poi contestarne la credibilità è una strada pericolosa. Secondo episodio: l'espulsione di Pandev per insulti all'assistente Stefani, per la quale non ci sono labiali televisivi. Il macedone prima sostiene di aver detto «che non era fuorigioco». Poi che l'assistente «è bravo se capisce il macedone». Ognuno può trarre le sue conclusioni. Terzo episodio: l'espulsione di Zuniga, che si merita il secondo giallo, ma aveva subìto abbastanza ingiustamente il primo dopo una piccola zuffa innescata da Lichsteiner. Una situazione questa piuttosto comune, che però, sommata alle altre, ha portato alla sfuriata (con espulsione) di Mazzarri, poi alla sconfitta ai supplementari e quindi alla ritirata poco onorevole nella premiazione.

Decisamente meno ordinaria era la situazione di Leo Bonucci, prosciolto nell'inchiesta sul calcioscommesse a meno di 24 ore dalla sfida col Napoli. E poi protagonista (un po' balbettante) sul campo: «Sono stati due giorni intensi — dice il difensore della nazionale — ma ho vinto due volte. Io ero consapevole della mia innocenza, quindi sono andato sempre a testa alta. La giustizia ha fatto il suo corso ed è venuta fuori la verità. La cosa più difficile? Affrontare una giustizia obsoleta, ma per fortuna la mia innocenza è stata stabilita. Non ho mai pensato che potesse andare male perché ero convinto che la verità alla fine sarebbe venuta a galla e così è stato. Quando ho saputo la notizia alla vigilia della partita sono andato a cercare Pepe. La sua situazione era diversa con una richiesta di squalifica minore, ma cambia poco perché le sensazioni che si vivono sono molto simili. Poi c'è stato l'abbraccio con tutta la squadra. E sul campo, anche per Conte, abbiamo dimostrato che siamo ancora i più forti e siamo tornati. Masiello? Non lo so perché mi ha tirato in mezzo. Forse per invidia. Ma questo per me è un capitolo chiuso».

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l'opinione

VIGILEREMO SUGLI

SCEMPI ARBITRALI

di ALBERTO DALLA PALMA (CorSport 13-08-2012)

Non è stato necessario neanche aspettare l’inizio del campionato per capire che per gli arbitri italiani si prospetta un’altra stagione nera, più o meno in linea con quella che si è conclusa a maggio con il trionfo della Juventus in volata. Avevamo ancora negli occhi i gol fantasma che avevano avvelenato la nostra serie A, che sono arrivati gli scempi di Pechino, datati 11 agosto. Troppo presto, siamo sinceri: gli arbitri hanno rovinato una partita stupenda, che aveva fatto il pieno allo stadio e davanti alle tv di mezzo mondo. E’ stato danneggiato il Napoli, ma sarebbe potuto accadere anche il contrario, tanto erano in confusione i direttori di gara: sì, perché è vero che a fischiare in campo c’era Mazzoleni, ma i suoi principali collaboratori (Rizzoli e Stefani, il guardalinee permaloso) sono stati altrettanto scarsi nel provocare certe decisioni assolutamente contestabili e giustamente contestate dal club azzurro.

Ieri abbiamo cercato Marcello Nicchi, il presidente dell’Aia, e Stefano Braschi, il designatore, per confrontarci sugli errori dei loro uomini ma abbiamo trovato davanti a noi un doppio muro invalicabile: con cortesia, hanno respinto ogni interrogativo. Un atteggiamento lecito, sia chiaro, soprattutto per i rappresentanti di una casta che vive e lavora all’interno di una cupola di vetro, ma il Corriere dello Sport-Stadio manterrà comunque alta la guardia sull’operato degli arbitri italiani. La speranza, intanto, è che i Grandi Capi fermino Mazzoleni, in modo che in attesa di ritrovare una condizione decente non combini altri guai. Il timore, però, è che Nicchi e Braschi facciano finta di niente: lo stop significherebbe ammettere il fallimento della gestione della prima partita italiana con sei arbitri. Che invece di migliorare il prodotto, hanno solo moltiplicato gli errori.

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il retroscena

Cinesi dispiaciuti ma vogliono

rinnovare per altre 3 edizioni

E pensano a eventi invernali

di MARCO IARIA (GaSport 13-08-2012)

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A sipario chiuso il pensiero degli organizzatori cinesi potrebbe essere stato più o meno il seguente: «Ma chi ce l'ha fatto fare?». I 65 mila spettatori del Nido d'Uccello e il crescente seguito di investitori hanno mitigato la delusione, senza però cancellarla del tutto. Perché la mancata partecipazione del Napoli alla premiazione è stata soltanto l'ultimo «incidente» di un percorso a ostacoli che avrebbe sfiancato chiunque. Basti pensare al balletto sull'opportunità o meno di giocare la Supercoppa in Cina: l'11 giugno, a due mesi dall'evento, il sì ufficiale da parte della Lega, dopo i dubbi della Juventus e la smania del Napoli. Poi a fine luglio, qualche giorno prima della partenza per Pechino, il clamoroso dietrofront di De Laurentiis, indispettito perché era saltata la collaterale tournée e pronto a sollevare dubbi sull'efficienza della macchina organizzativa, che in realtà stava procedendo senza intoppi. Alla fine la Supercoppa è sbarcata lo stesso in Estremo Oriente, ma che faticaccia. I cinesi, tuttavia, ritengono che ne sia valsa la pena, che da quelle parti il calcio italiano riscuota un interesse da sfruttare, che il rapporto instaurato ormai diversi anni fa con la Lega di A debba andare avanti.

Scenari Beretta, Brunelli e Wang Hui si sono lasciati con la promessa di rivedersi a settembre in Italia: la United Vansen International — che è anche in trattativa con Bundesliga e Liga — vorrebbe rinnovare il contratto per organizzare la Supercoppa in Cina per altre tre edizioni (oltre a quella già prevista tra il 2013 e il 2014) e imbastire in inverno dei road show sul calcio italiano. La figuraccia, davanti peraltro all'ambasciatore italiano a Pechino, è stata di una società, non dell'intero movimento. Per dire, la Juventus è tornata a casa con feedback positivi: dal calore dei tifosi locali alle iniziative commerciali gestite con Nike e Jeep. Piccoli mattoni necessari per aumentare l'appeal del marchio e, di conseguenza, la competitività del club.

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GLI SBAGLI DA EVITARE

Il presidente ha prestigio in Lega ma deve recuperare in Federazione

L’allenatore, impeccabile nei giorni feriali, è troppo emotivo in panchina e poco lucido nei cambi

di ANTONIO CORBO (la Repubblica - Napoli 13-08-2012)

Pechino apre in anticipo il campionato. Indica due sicure protagoniste, Juve e Napoli. Ma segnala anche una serie di interrogativi: almeno tre.

Il primo: quali sono i rapporti di forza tra i campioni d’Italia e una Federcalcio resa più debole da arbitri scadenti e dalla sia pur arrugginita macchina giudiziaria. È fallito in Cina l’esperimento della formula a sei, con due assistenti di area oltre i soliti quattro. Proprio uno degli arbitri aggiunti, Rizzoli, ha suggerito a Mazzoleni il dubbio rigore di Fernandez su Vucinic.

Se la Federcalcio saprà liberare i campi di calcio da ombre e sospetti, ancora più avvicente si annuncia il campionato, con una Juve da battere, ma con un Napoli più equilibrato e ambizioso. Al lavoro di Mazzarri, è questo il secondo interrogativo, dovrà seguire in parallelo quello di Aurelio De Laurentiis. Ha prestigio in Lega per il suo acume manageriale e per un invisibile legame con il presidente Maurizio Beretta, a sua volta responsabile dell’area “Identity and Communication” di Unicredit, la banca che soccorre la Roma e altri club ma che trae profitti dai comuni investimenti con Napoli e Filmauro, clienti privilegiati.

De Laurentiis deve invece recuperare spazio in Federazione. Il suo rifiuto di organizzare a Napoli Italia-Spagna il 10 agosto del 2010, poi spostata a Bari, non è stato dimenticato. Per il prossimo incontro al San Paolo a che punto siamo? Il settore arbitrale non prende certo ordini dalla Federcalcio, ma ha antenne così sensibili da captare alleanze e inimicizie. È un’opera diplomatica, lenta e silenziosa, che manca. Alla semifinale Italia-Germania di due mesi fa c’era Marotta a festeggiare con i vertici federali, del Napoli nessuno. Si capirà qualcosa sulle polemiche di Pechino seguendo le sorti di Mazzoleni e Rizzoli: i tempi del loro ritorno a dirigere grandi sfide chiarirà il giudizio sull’arbitraggio in Cina ma anche il peso politico del Napoli.

Terzo interrogativo: tutta colpa degli arbitri? Il Napoli ha commesso degli errori, e sarà un temibile avversario della Juve solo dopo averli capiti e corretti. Mazzarri ha reso più compatta la squadra con una mossa: in mediana Hamsik. Si è liberato spazio intorno a Pandev, ha più consistenza il centrocampo. Il modulo è passato dal 3-4-2-1 a un più saggio 3-5-1-1. Non cambia molto, perché la fisionomia è la stessa: difesa a 3 e due esterni. Non basta per rendere il Napoli più forte e meno prevedibile, e lo ha dimostrato Conte. Con il sistema speculare la Juve ha dominato sulle fasce, Lichsteiner ha mostrato i limiti di Zuniga esterno sinistro, Asamoah ha compresso Maggio e segnato un gran gol da solo, mentre Maggio era sul versante opposto per tamponare, proprio Zuniga aveva perso palla su Lichsteiner. Ci vuol poco a capire i limiti tattici emersi ieri. L’esterno sinistro è da acquistare, Maggio da valutare, perché dalla primavera scorsa è in affanno. Bocciato agli Europei, deludente al pari di De Sanctis in Italia- Russia. Già, Pechino fa scattare un allarme: De Sanctis nelle uscite si consegna al vento. È ancora il fortissimo portiere degli anni scorsi?

Mazzarri migliora se concella un suo neologismo. Titolarissimi. È discriminante per metà del gruppo. Dà la certezza del posto a chi è fuori forma e toglie speranze a chi lotta per conquistarlo.

I cambi errati di Cannavaro e Hamsik hanno inciso. Mazzarri, impeccabile nei giorni feriali, è troppo emotivo e concitato in panchina, quindi poco lucido. L’inserimento di Fernandez era plausibile se la Juve fosse stata pericolosa di testa. È stato inviato un gigante contro i guizzanti brevilinei Vucinic e Giovinco: un azzardo. Fernandez, titolare della nazionale argentina, non ha poi colmato in oltre un anno il suo limite: molto riflessivo e poco intuitivo, decide in ritardo il movimento di chiusura.

Dettagli, al confronto di uno staordinario potenziale offensivo. Cavani, Pandev e Hamsik meritano compagni più tonici. In ritardo Maggio, Inler, Britos e De Sanctis, in bilico Zuniga. Basta dare tempo, la stagione è appena cominciata. Non è mai troppo presto invece per il ritorno di Insigne. Il talento che il campionato aspetta. Mazzarri l’aveva dimenticato alla dogana, speriamo che prima dell’imbarco a Pechino ieri se lo sia ripreso.

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Scommessopoli

Difesa Conte,

spunta un jolly

Palazzi vuole ricorrere sul caso Bologna e non solo. I legali del tecnico produrranno nuovi elementi

di SIMONE DI STEFANO (TUTTOSPORT 13-08-2012)

ROMA. Una mossa dopo l’altra, la partita di Stefano Palazzi si gioca su due fronti: 24 condanne da difendere a denti stretti e impugnazione di alcuni proscioglimenti che gli hanno lasciato l’amaro in bocca. Il pm federale è al bivio, accontentarsi o rilanciare. Oggi scade il termine per presentare ricorso e sapremo quali assoluzioni (tra quelle emesse dalla Disciplinare la settimana scorsa) la procura deciderà di impugnare. Da quando è scoppiata Scommessopoli non era mai successo che fosse la procura federale a fare ricorso. Ma dopo due processi passati lisci, stavolta sul pm federale si è abbattuta la mannaia del proscioglimento di gruppo con tanto di polemiche al vetriolo. Le motivazioni di Sergio Artico non lo hanno fatto dormire per notti: impugno o non impugno, le domande che oggi (termine per presentare il ricorso per entrambe le parti in causa) avranno una risposta. È il filone barese che ha mandato Palazzi su tutte le furie: 8 proscioglimenti (compresa l’Udinese a rimorchio con quello di Simone Pepe ) non s’erano mai visti. Fino a oggi tremeranno in molti, se arriva la chiamata tutto torna in bilico. Certo, le motivazioni sul filone barese sono dure nei confronti delle fondamenta del castello palazziano: la non credibilità di Andrea Masiello è ormai pacifica, l’unica mossa di Palazzi (l’ultima) sarà far leva sui (pochi) punti deboli delle motivazioni.

CERTEZZE L’unica certezza è che Udinese-Bari non si tocca (ci sarebbe anche la parola d’onore del pm federale), e quindi Bonucci , Pepe e Salvatore Masiello dovrebbero dormire sonni tranquilli. Palazzi sembra invece orientato a richiamare Portanova per rilanciare su Bologna-Bari, così tornerebbe in ballo anche Marco Di Vaio e il Bologna. In bilico resta invece la posizione di Giuseppe Vives , nonostante le motivazioni di Artico sembrano a prova di bomba: «Non vi sono prove - recita la Commissione sul giocatore del Toro - né indizi gravi, precisi e concordanti atti a dimostrare la responsabilità disciplinare di Vives».

CONTE Prosegue la marcia di avvicinamento al secondo grado anche per Antonio Conte , che nel prossimo processo schiererà i mezzi pesanti: agli avvocati Chiappero e De Renzis , è stata aggiunta la novità dell’avvocato Giulia Bongiorno . Il suo curriculum sembra ad hoc per il caso di Conte: ha contribuito a scagionare Giulio Andreotti dalle accuse dei pentiti di mafia Giovanni Brusca e Balduccio Di Maggio , adesso avrà a che fare con un altro tipo di pentitismo, Filippo Carobbio e quel “Conte sapeva”, che al tecnico juventino al momento costa 10 mesi di squalifica. La Bongiorno punterà quasi esclusivamente agli aspetti penali (meno su quelli sportivi già ampiamente affrontati da Chiappero e De Renzis), evidenziando alcune storture colte dagli atti della Procura di Cremona. Una delle quali riguarderebbe tempo e luogo del presunto incontro tra Bertani e Carobbio prima di Novara-Siena.

GIUSTO PROCESSO A parte gli eventuali ricorsi della procura, sono 24 le condanne ad avere diritto di ricorrere in appello. Anche il dibattimento sarà diviso in due tronconi, come per il primo grado: il 20 agosto Cremona, il 21 agosto Bari. La sentenza tra il 22 e 23, serve la massima velocità in modo tale da fornire subito le motivazioni al Tnas sulle eventuali retrocessioni di Grosseto e Lecce, in modo da evitare lo slittamento anche delle gare interessate di Lega Pro (inizia il 2 settembre). Si comincerà con il botto, perché saranno tanti gli avvocati che rinvieranno la Disciplinare all’articolo 111 della Costituzione. La norma sul giusto processo che garantisce a tutti la possibilità di un contraddittorio con il pentito. Quel che chiede col digiuno davanti alla Figc, Pesoli.

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SECONDO PROCESSO RICORSO SU TUTTO IL FILONE DI BARI:

TORNANO IN BALLO ANCHE PEPE, PORTANOVA, DI VAIO E IL BOLOGNA

Per Leo non è ancora finita

Palazzi presenterà appello

di MAURIZIO GALDI (GaSport 13-08-2012)

Ha tempo fino alle 19, ma il procuratore federale Stefano Palazzi anche ieri ha lavorato per predisporre gli appelli alle sentenze di primo grado della Disciplinare. Stamattina avrà l'ultima riunione coi suoi più stretti collaboratori, ma la sua intenzione è quella di appellare le sentenze del filone Bari, quelle sulle quali maggiormente ha influito la Disciplinare tra proscioglimenti e derubricazioni. Non avrebbe, invece, intenzione di appellare la decisione sul materiale di Cremona. Tanto per chiarirci, quello che ha portato alla squalifica di Conte, ma in questo caso appelleranno le difese.

Il dettaglio Palazzi sta verificando la solidità delle dichiarazioni di Andrea Masiello, principale accusatore per questo filone, e sta preparando la sua esposizione in memoria (scritta) e di persona per le udienze del 20 e 21 agosto davanti alla Corti di giustizia federale a sezioni unite (presidente Gerardo Mastrandrea). In particolare le motivazioni della sentenza della Disciplinare mettevano in evidenza le «contraddizioni» emerse nelle diverse dichiarazioni di Masiello (fornite a più riprese a Cremona, Bari e alla Procura federale). Palazzi era convinto del lavoro fatto e soprattutto si era fatto forte anche di alcuni patteggiamenti, molti dei quali con la combinazione sia dell'articolo 23 (solo patteggiamento) che dell'articolo 24 (collaborazione) del Codice di giustizia sportiva.

Le partite In particolare Palazzi è convinto che per Udinese-Bari ci sia stata la combine che vedeva coinvolti Leonardo Bonucci, Salvatore Masiello e Nicola Belmonte. Inoltre, è convinto che Simone Pepe abbia rifiutato l'accordo, ma che sia responsabile di omessa denuncia. Altra gara che Palazzi appellerà è Bologna-Bari, per la quale aveva chiesto l'illecito per Daniele Portanova e l'omessa denuncia per Marco Di Vaio con conseguente penalizzazione di 2 punti al Bologna. Infine Lecce-Bari. Per la Disciplinare Pierandrea Semeraro (ex presidente del Lecce) è colui che ha dato i soldi a Quarta che poi li ha girati ad Andrea Masiello e ai suoi sodali, ma ha escluso che Masiello abbia fatto il segno convenuto a Giuseppe Vives. Per questo il calciatore, adesso al Torino, era stato prosciolto, Palazzi appellerà.

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IL ROMANISTA 13-08-2012

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Le scommesse

“Così smonteremo di nuovo Palazzi”

La Procura impugna, il Bologna vuole l’assoluzione di Portanova

I ricorsi di Grassani e Bordoni. Il giorno chiave il 21 agosto, presso la Corte di giustizia federale

di FRANCESCO SAVERIO INTORCIA & SIMONE MONARI (la Repubblica - Bologna 13-08-2012)

L’indiscrezione di sabato notte trova conferme, sebbene non ancora ufficiali. Stefano Palazzi, il procuratore della Federcalcio, impugnerà le sentenze della Disciplinare. Quelle relative al Bologna e non solo. «Spero non lo faccia, sarebbe accanimento teurapeutico», diceva il dg Zanzi all’indomani del verdetto di primo grado. Che era stato assai favorevole ai rossoblù. Nessuna penalizzazione, solo un’ammenda per il club di 30 mila euro e sei mesi a Portanova per omessa denuncia. Dunque nessun illecito. Sembrava, dopo mesi di preoccupazioni, che uno spiacevole capitolo si fosse finalmente esaurito. Ma Palazzi, il cui impianto accusatorio è stato smontato, torna alla carica. Ne ha tutto il diritto e per farlo ha tempo sino a stasera alle 19; per proporre le relative contro deduzioni il Bologna avrà invece 24 ore, da quando l’appello di Palazzi sarà messo a disposizione delle parti. «Non ci faremo trovare impreparati di fronte al reclamo dell’accusa », chiarisce Mattia Grassani, legale del club.

L’avvocato di Portanova, Gabriele Bordoni è in Baviera e il suo ricorso l’ha già spedito con un corriere privato. In esso chiede il proscioglimento del giocatore e, in subordine, la riduzione della squalifica da 6 mesi a 4, come chi ha patteggiato, con conversione di parte di essa in ammenda. Con un nuovo argomento a sostegno della difesa, relativo all’applicabilità della squalifica di 6 mesi al difensore. «L’ottavo comma dell’articolo 7 del Codice di giustizia sportiva, che fissa un minimo di pena in sei mesi e 30 mila euro per l’omessa denuncia, è entrato in vigore solo nella scorsa stagione, ma Bologna-Bari risale a due campionati fa e la normativa prevedeva sì l’obbligo di denuncia, ma non quantificava la pena che poteva andare dall’ammenda a una o più giornate di squalifica. È la sanzione da applicare a questo caso», nota Bordoni. Va detto però che la casistica da quando esiste l’omessa denuncia ha sempre visto condanne minime di sei mesi e anche elevate fino ad un anno.

«Sono curioso - ancora Bordoni - di capire quali temi possa sviluppare Palazzi, se davvero ha impugnato nei confronti di Daniele, dopo che la Disciplinare ha demolito con grande logica l’impianto accusatorio». Il Bologna chiederà che i 30 mila euro di ammenda vengano annullati, bisognerà capire le argomentazioni di Palazzi. Qualora giocasse la carta della telefonata fra Portanova e Di Vaio con nuove acquisizioni da Bari, il quadro accusatorio si rafforzerebbe notevolmente. E difendersi sarebbe molto più difficile. Il processo si svolgerà il 20 (filone di Cremona) e il 21 (filone di Bari) presso la Corte di giustizia federale. Dunque Portanova sarà in aula il 21.

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Is Conte’s Suspension

a Blessing in Disguise

Juventus' hierarchy are doing a world of

good to the unity and passion within the club

by IDAN WALLER (SOCCERISSUE 13-08-2012)

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Conte – CC

At the end of the 2011/12 edition of the Serie A, everything looked bright for Juventus: Antonio Conte’s team has just completed a season without a single loss and won the Scudetto title. After years of mediocrity, The Old Lady finally looked like a young, up-and-coming team.

Conte was fundamental for the revival of the club and he’s regarded in Italy as an innovative, ruthless and inspirational manager, who can lead the Bianconeri to more domestic and European glory. It seems like Juve found their “Pep Guardiola” – the former star who turned into the loved and successful manager. An icon who oozes class and intimately understands the club.

However nothing comes easy. Especially for Juve. The Calcioscommesse scandal saw the former Juve Captain outrageously suspended for 10 months. This led to a lot of speculations about his future as Juventus coach: Should Juve keep their suspended manager although he won’t be able to sit on the team’s the bench for the entire season, or should they find a replacement?

The initial answer was given in the successful Super Cup match against Napoli. Former player and current member of the coaching staff, Massimo Carrera, was leading the team on the lines while Conte was sitting in the stands.

In addition, both club president Andrea Agnelli and general manager Beppe Marotta declared they stand behind Conte and that he’s still the one and only leader of the team.

This decision is the correct one and the club should stick to it.

Jose Mourinho once said that “unity and passion lead to success”, and the feeling now is that the support Conte is receiving from the club’s hierarchy can do world of good to the unity and passion within the club. This will surely lead to future success.

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LA PROPOSTA INDIGENTE

DEL CALCIO ITALIANO

di MATTEO MARANI dalla rubrica il corsivo (GUERIN SPORTIVO | SETTEMBRE 2012)

Come in una vignetta di Cipputi, il calcio italiano si presenta al via della nuova stagione con l'ombrello ben piantato nel fondoschiena. E proprio come succedeva al mitico operaio di Altan, l'importante è continuare a sorridere. Anzi, a sdrammatizzare, non si dice così? Allegria, amici.

È inutile passare per pedanti nel ricordare la sfilza di dati negativi della Serie A negli ultimi dieci anni. Deprime le vendite, smonta la fiducia del consumatore e porta pure un po' sfiga. Molto più aggraziato e funzionale continuare allora a cercare con insistenza ragioni positive nel declino evidente del nostro calcio. Abbiamo perso Ibra, Thiago Silva e Lavezzi in un solo mercato? Pazienza: daremo finalmente più spazio a giovani come Insigne o Acerbi. Peccato che il ventenne Verratti abbia nel frattempo preso anche lui la strada straniera già imboccata dai vari Giuseppe Rossi, Balotelli e Borini. Le nostre squadre perdono terreno rispetto alla concorrenza europea? Ma noi rispettiamo il fair play finanziario, mica come quegli zozzoni degli sceicchi che ancora spendono per vincere. Bizzarro, pure qui, che il Paese dello Spalmadebiti, delle plusvalenze gonfiate, delle fidejussioni fasulle e della finanza creativa dia lezioni agli altri.

Ma tant'è. A forza di ripetere pedissequamente il mantra, di esercitarsi cioè nel duro e faticoso esercizio della passività, uno finisce pure per crederci. E per rimettere il sorriso di circostanza malgrado l'ombrello conficcato in quel posto. Le parole, del resto, fanno miracoli. Un lavoratore che finisce a casa ottimizza l'operatività dell'azienda. Ogni taglio è una razionalizzazione. Una mancata crescita è soltanto un consolidamento. Seguendo questo principio, il campionato più bello del mondo è stato prima rivenduto come torneo più difficile del mondo e adesso, senza più argini davanti all'evidente arretramento, come laboratorio per nuove idee, almeno finché anche queste non rappresenteranno un costo per i nostri club.

La verità è che non c'è un quattrino da spendere. Che a forza di prestiti con diritto di riscatto - anche qui con un inganno lessicale, visto che l'acquisto è in realtà un dovere - siamo arrivati al punto zero del nostro calcio. Fino a qualche anno fa ci pensavano Inter e Milan a rifinanziare il sistema, pagando per tutti con le dispendiose campagne-acquisti. Magari torneranno a provvedere cinesi e arabi, sull'uscio dei due club. Ma ormai anche sul Naviglio la festa è finita. Sono stati dismessi in poche settimane simboli illustri del recente passato come Julio Cesar e Gattuso, Pazzini e Inzaghi. La Juve spende qualcosa in più avendo ritrovato la Champions e godendo dell'unico stadio di proprietà, ma ha fatto penare per il sedicente top-player come se fosse l'annunciazione dell'arcangelo. In realtà tutti sognano di fare l'Udinese. Di comprare a poco e di vendere a molto, moltissimo. Chi se ne importa se la squadra friulana, priva di quattro titolari, rischia di uscire ai preliminari di Champions e di far abbassare il nostro già malandato ranking. Auguriamoci che ciò non succeda, soprattutto guardando al domani, ma in cuor loro i presidenti invidiano tutti Pozzo. Vorrebbero monetizzare ogni cosa, privi di uno straccio di adulto spirito sportivo. Lottano per mesi per arrivare in Europa, poi ne vogliono uscire per risparmiare energie.

Non facendo lo psicologo, ho rinunciato da tempo a capirli. I più lungimiranti e illuminati hanno individutato ora nella Germania il nuovo modello da citare nei salotti televisivi. Fa tanto trendy. Nel punto più basso della loro storia, i tedeschi hanno in effetti investito sui giovani e sugli stadi, diventando un riferimento. Ma avevano una classe dirigente credibile. Noi abbiamo presidenti da operetta, che credono ancora di essere più furbi degli altri mentre si sollazzano all'uscita della Lega calcio. Sono quelli che non hanno visto, ma in alcuni casi persino partecipato, all'ennesima vergogna di Scommessopoli, arrivata in queste ore a giudizio. Con nuove polemiche tra la Juve e la Figc. Non so a voi, ma a me ricorda la classica goccia che fa traboccare il water.

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Ulivieri: "Zeman? Polemiche fuori luogo"

Parla il responsabile dell'Assoallenatori dopo l'affondo di Marotta: "Le regole sono chiare. Troppe discussioni in un momento inopportuno". Ma il sindacato dei tecnici pronto ad inserire la clausola anti-scommesse nei contratti

di GIOVANNI CAPUANO (PANORAMA.IT 13-08-2012)

Un allenatore (Mazzarri) espulso per proteste alla prima occasione ufficiale mentre l'altro (Conte) era in tribuna perché squalificato nel processo sul calcioscommesse. La polemica furibonda tra Zeman e la Juventus con l'ad dei bianconeri che chiede l'intervento dell'Assoallenatori per mettere a tacere il boemo. Il calcio italiano arriva con i nervi già a fior di pelle alla vigilia del debutto stagionale. "Polemiche fuori luogo in un momento in cui il Paese è in difficoltà" prova a smorzare i toni Renzo Ulivieri che del sindacato degli allenatori italiani è il capo.

Ulivieri, Marotta chiede a lei di intervenire per impedire a Zeman di parlare della Juventus...

"Mi sembra che ci sia un errore. Noi siamo una libera associazione, componente federale e sindacato allo stesso tempo. Ma tutti gli allenatori sono iscritti all'albo federale e dal punto di vista del regolamento rispondono a una commissione disciplinare del Settore tecnico con la quale noi non c'entriamo nulla. Se una dichiarazione viene considerata lesiva o sbagliata c'è un deferimento o un giudizio, ma noi non abbiamo alcun ruolo"

Quindi lei e il suo sindacato non interverrete?

"Dico solo che esiste un regolamento del Settore tecnico e a quello bisogna rifarsi"

Le sono parse così gravi le dichiarazioni di Zeman sull'opportunità o meno che un tecnico squalificato alleni in settimana?

"Non spetta a me dare un giudizio. Ci sono delle regole e vanno rispettate. Il regolamento dice che un allenatore squalificato non può esercitare le sue funzioni anche se poi vediamo molti che usano il telefonino"

Quindi Zeman...

"Le valutazioni di Zeman non mi interessano e non ne faccio altre io. Ci mancherebbe"

Marotta fa riferimento al clima pesante che si sta creando. Non siamo già oltre i livelli di guardia?

"La volontà di intervenire per svelenire il clima va bene anche se già negli anni passati si è detto e poi ci si è dimenticati. O tutti ci si mette d'accordo per abbassare i toni altrimenti il rischio è continuare in questa maniera. Le trovo polemiche fuori luogo in un momento in cui il Paese è in difficoltà. Che senso ha mettersi a discutare se uno può allenare o meno o se gli scudetti sono 30, 28 o 22... La gente comincia ad allontanarsi"

Difficile tenerla attaccata a un mondo che litiga sempre...

"La gente comincia a essere stufa anche perché ha altri problemi cui pensare. Io eviterei di fare queste polemiche però il mio è solo un consiglio che giro agli allenatori, poi ognuno è responsabile delle sue azioni"

A Pechino abbiamo fatto una brutta figura?

"Non voglio entrare nel merito. Ormai mi sono riproposto di guardare le partite solo per i gesti tecnici e tattici dei novanta minuti e spero che i tifosi facciano come me"

I calciatori hanno accettato di inserire nel nuovo contratto collettivo la clausola che congela gli stipendi in caso di coinvolgimento in vicende di doping e scommesse. Voi come vi muovete?

"Laddove abbiamo firmato il contratto come con la Lega Pro la clausola esiste già. Con la Lega di Serie, quando ci siederemo al tavolo non avremo alcun problema a inserirla anche perché mi sembra corretta. Uno squalificato in fondo alla domenica non lavora e una società può anche legittimamente dire che non vuole più pagarlo.

Nessun problema"

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OPINIONE di Michele Fusco (LINKIESTA 13-08-2012)

Il salotto buono del calcio

(Prandelli in testa) in difesa di Conte

Zdenek Zeman rompe la cortina di silenzio e dice: se un allenatore è squalificato più di tre mesi non dovrebbe nemmeno allenare, non solo evitare la panchina la domenica. Apriti cielo, interviene persino il ct della Nazionale. E voi che dite: vi fareste curare da un medico sospeso dall’Ordine?

Com’era nelle cose, la buona borghesia del calcio si è ribellata (nuovamente) alle parole di Zdenek Zeman. Il quale ha espresso un concetto di una linearità esemplare: chi è lungamente squalificato – il boemo pone il confine oltre i tre mesi – non dovrebbe allenare neppure durante la settimana. Altrimenti, questa è considerazione d’accompagno, sarebbe come non scontare la pena. Un’ipocrisia. Un modo per salvare le apparenze. La solita giustizia sportiva che non ha il coraggio di andare sino in fondo. Per la precisione, è utile sottolineare come sia proprio il regolamento disciplinare a consentire a Conte di allenare nel corso della settimana. Ma non di sedere in panchina il giorno della partita.

Tra le voci che si sono levate immediatamente a difesa del tempietto calciofilo, quella di Beppe Marotta era del tutto naturale e persino doverosa in un momento di così grande difficoltà. Ma per non limitarsi al banale e colpire di contraggenio, l’ad della Juventus ha immesso il veleno societario ch’era inevitabile, ricordando quel Lecce-Parma in cui negli ultimi dieci minuti di partita il tecnico boemo girò – schifato – la testa dall’altra parte subodorando odor di biscotto. Diciamo non proprio elegante, per non dire patetico, il Marotta. L’altra voce, forse più inaspettata, è stata quella del nostro confessore istituzionale, l’amor patrio fatto allenatore, il custode dei nostri valori calcistici, al secolo Cesare Prandelli. Il cittì della Nazionale ha deciso di abbandonare la sua condizione di terzietà istituzionale, che gli porrebbe l’obbligo del silenzio, per scendere in campo in favore di Conte e della Juventus. «La squalifica di dieci mesi è già abbastanza pesante, non si capisce perché un tecnico non dovrebbe allenare in settimana».

Cercando paralleli o similitudini in altri mestieri, non mi è riuscito di trovare situazioni che potrebbero richiamare alla mente questa ipocrisia sportiva. Prendiamo la professione di medico e proviamo a immaginare una condizione analoga: chi mai si farebbe visitare (allenare) da un dottore che è stato sospeso dal suo Ordine professionale per motivi assai poco lusinghieri? E lo stesso un avvocato: con quale fiducia un cliente potrebbe bussare alla porta di un legale (di fiducia?) per questioni che generalmente hanno a che fare con l’etica delle leggi, il rigore della legge, se il medesimo è stato sanzionato proprio sugli stessi argomenti? Come vedete, Prandelli è stato quantomeno improvvido a declinare con troppa precipitazione le sue pur legittime sensazioni.

Ma poi, al fondo della questione, si pone il problema dei problemi. Quanto può essere contento e soddisfatto un datore di lavoro nell’apprendere che uno dei suoi maggiori dirigenti è stato valutato come un professionista dalla dubbia moralità, esattamente quei temi della moralità che oggi sono sulla carne viva degli italiani? È del tutto meritorio che la Juventus difenda il suo dipendente sino all’ultimo grado di giudizio, ma se anche nell’ultimo grado di giudizio il signor Antonio Conte dovesse essere considerato colpevole, come si comporterebbe, di grazia, l’Fc. Juventus, risolverebbe il rapporto di lavoro per giusta causa?

Per ora solo domande. Ma a breve ci vorranno anche le risposte.

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RITORNI DI FIAMMA

“CONTE NON ALLENI”

LA JUVE REPLICA A ZEMAN

“PAROLE INACCETTABILI”

Fiamme tra il Boemo e l’ad bianconero Marotta

Palazzi ricorre, Bonucci e Pepe di nuovo a giudizio

di LUCA CARDINALINI (il Fatto Quotidiano 14-08-2012)

Poche parole, bisbigliate con la stessa flemma di Chance il giardiniere, in Oltre il giardino: “Me ne rendo conto, se è stato squalificato, non può allenare”. Con il clima torrido che c’è in giro, il gesto di un piromane. Un boemo trovato in mezzo ai rovi, con un lenzuolo e un accendino in mano. E così la vigilia di campionato ci regala un inedito Zeman vs Juventus, una roba mai vista. Il copione, ormai unto e bisunto, quasi mai contempla cose di calcio, preferendo farmacie, sentenze e tribunali. L’ultimo pretesto – puntuale come l’ennesimo anticiclone africano - è la squalifica di Conte per dieci mesi, stabilita dalla commissione disciplinare. Nessuno obbligava Zeman a dire la sua, ma nemmeno a non dirla. L’ha detta. E siccome ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria (Newton, nome da terzino dell’Arsenal ma in realtà matematico e fisico del 1600, padre della dinamica), è arrivata puntuale quella del direttore generale Beppe Marotta, che ha definito “inopportune” le parole del boemo. E già che c’era lo ha invitato a spiegare perché, nei minuti finali di Lecce-Parma del 2005 – la prescrizione breve è già scattata, maledizione – lasciò la panchina voltando le spalle al campo, visto lo strano comportamento dei calciatori in campo, per una partita finita 3-3. Il retropensiero è: vuoi vedere che anche quella era una partita accomodata?

Il punto servì al Lecce per garantirsi la matematica salvezza e al Parma per disputare lo spareggio per non retrocedere con il Bologna (vinto). Primo tempo over 3,5, diremmo oggi, scoppiettante 2-2, con rete anche dell’ex leccese ed oggi juventino Mirko Vucinic (ecco uno al quale Marotta potrebbe farsi dare qualche dettaglio in più), e gol di Dalla Bona e Gilardino all’11° della ripresa. Da allora fino alla fine, tutti con l’orecchio teso verso gli altri campi, visto che un pareggio avrebbe significato la salvezza per entrambe, anche se il gol del Siena in zona Cesarini, in realtà, “condannò” il Parma allo spareggio. Morale, per oltre mezz’ora, la partita si giocò a ritmi bassi, comunque assai più lenti di quelli previsti dallo spartito zemaniano. Fumando e non condividendo, il tecnico decise di far sapere allo stadio che non c’entrava nulla con lo spettacolo del campo, in un modo singolare: si alzò dalla panchina, e si piazzò sul retro, guardando la tribuna e non vedendo nemmeno un passaggio di ciò che avveniva sul terreno di gioco. I più risero e si diedero di gomito: è il solito pazzoide. Intervistato nel dopogara, se ne uscì con un’altra battuta da Chance, “non c’era più niente da vedere”, che nel film sarebbe stata interpretata come una metafora tra le più argute. Da noi no. Quella partita è entrata anche nel processo Calciopoli, con le condanne dei fratelli Della Valle – la Fiorentina grazie a quel pareggio si salvò -, del designatore arbitrale Paolo Bergamo, del vicepresidente della Figc Innocenzo Mazzini – in un’intercettazione, al dirigente viola Mencucci, disse : “È stata un’operazione chirurgica” -, e dell’arbitro della gara, Massimo De Santis. Tornando ad oggi - con il procuratore federale Palazzi che ha impugnato tutte le sentenze della Disciplinare e dunque ha fatto tornare a giudizio Bonucci e Pepe - c’è da registrare - l’intervento sulla querelle “Conte sì Conte no” del direttore generale della Roma, Franco Baldini: “Quella di Zeman è un’opinione personale, ed in quanto tale da ritenersi legittima, fornita in seguito a una domanda generica che ha generato un'inutile polemica”. Una tiepida presa di distanza con cui Baldini prova a chiudere il match. Fino al prossimo round.

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Calcio Prima i fischi, poi la protesta dopo un suo gol

Bomber nigeriano

Gli ultrà del Varese

lasciano lo stadio

La società: è stato insultato e ha reagito

Offese Urla offensive anche sul colore della pelle. «Ma non siamo razzisti»

di CLAUDIO DEL FRATE (CorSera 14-08-2012)

VARESE — Mai abituarsi ai paradossi e alle isterie del calcio italico, accade sempre qualcosa capace di aggiornare la galleria degli orrori. E così, mentre a Londra la fiaccola olimpica mandava i suoi ultimi bagliori, allo stadio «Franco Ossola» di Varese andava in scena una commedia dell'assurdo in cui il centravanti della squadra di casa — fin lì ricoperto di insulti a sfondo razziale — segnava un gol e gli ultrà della Curva anziché esultare abbandonavano lo stadio per protesta. Dulcis in fundo, la società dopo la partita diramava un asciutto comunicato in cui sosteneva che il giocatore domandava scusa ai tifosi.

In ballo c'era niente più e niente meno che il secondo turno di Coppa Italia, in cui il Varese (serie B) si è trovato di fronte i dilettanti bergamaschi del Pontisola, che erano riusciti pure a passare in vantaggio. E allora perché tanto accalorarsi? Il fatto è che in campo con la maglia biancorossa dei padroni di casa c'era Giulio Osarimen Ebagua, attaccante nigeriano in Italia da quando è bambino, fisico e carattere esuberanti. Giulio non è giocatore che rispetta il «codice d'onore» dei curvaioli: non bacia la maglia, non fa giuramenti, non fa mistero di voler puntare al grande palcoscenico del calcio. Dopo due stagioni trionfali a Varese, l'anno scorso si è giocato la chance al Torino; è andata male ed è tornato coi biancorossi.

È stata la sua condanna. Al fischio d'inizio domenica sera — prima partita ufficiale della stagione — la Curva Nord ha cominciato a fischiarlo, insultarlo, a innalzare i ben noti «buuu!». «Il razzismo non c'entra l'abbiamo fatto perché Ebagua ha mancato di rispetto alla città» scriveranno poi gli ultrà nei loro forum. Sarà, ma guarda caso gli insulti sempre lì andavano a mirare, al colore della pelle, all'Africa. Tanto che anche la società ha già ammesso che il Varese verrà multato dalla Federcalcio per i cori razzisti della tifoseria.

Si arriva di questo passo al minuto 28 della ripresa quando — con il Varese sotto di un gol — Giulio Ebagua spedisce in rete la palla del pareggio. Incurante di ogni diplomazia il giocatore corre sotto la Curva che lo sta svillaneggiando, si porta l'indice alla bocca, urla parole irriferibili, alza anche il dito medio finché un compagno lo porta via di peso. Dagli spalti ripiegano gli striscioni e abbandonano la scena. Gli altri settori del «Franco Ossola», per la verità, intonano cori a favore del giocatore. Mica è finita però, perché a partita conclusa (vittoria 2 a 1 del Varese), gli ultrà assediano gli spogliatoi, pretendendo un «chiarimento» e il pullman della squadra deve allontanarsi protetto dalla polizia.

Poco dopo la società diffonde una dichiarazione: «Il giocatore chiede scusa alla tifoseria per il suo gesto». Sembrava la firma sull'atto di divorzio tra Ebagua e Varese ma ieri il presidente Antonio Rosati, con un nuovo comunicato ha corretto il tiro: «Il gesto di Ebagua è da condannare e nelle opportune sedi prenderemo i giusti provvedimenti, ma mi sento di sostenere che il ragazzo ha reagito a cori ripetuti e discriminanti per lui e per la sua razza».

Resta da capire quale sarà il prosieguo del rapporto tra l'atleta e il club. La Curva pretende un «chiarimento»; è una fetta minoritaria del tifo biancorosso. Ma è quella in grado di farsi valere di più.

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VARESE CONTINUA LA POLEMICA, MENTRE LA SOCIETÀ DI CALCIO DOPO LE POLEMICHE PENSA DI SCARICARE IL BOMBER

Ebagua, i tifosi non ne vogliono sapere: «Se ne vada»

I SUPPORTER «Nessuno offende il giocatore. Il razzismo non c’entra. Qui si parla di tradimento»

di FRANCESCA MANFREDI (Il Giorno 15-08-2012)

«CON I TIFOSI mi sono già scusato. Ribadisco le mie scuse e siamo a posto così». Giulio Ebagua, attaccante del Varese, quando arriva allo stadio «Ossola» di Masnago per il primo allenamento dopo il botta e risposta con gli ultras della curva nord nel match di Coppa Italia contro il Pontisola, è di poche parole. È stato più loquace domenica sera quando, dopo essere stato bersagliato per tutto il match con cori e insulti razzisti dalla frangia più accesa del tifo biancorosso, nota per le simpatie di estrema destra, ha deciso di zittire a modo suo i supporter che lo contestavano.

VUOLE COMUNQUE puntualizzare: «Con i tifosi - afferma il bomber, nigeriano di origine ma italiano per cittadinanza acquisita - non ho mai avuto problemi. E questo non è neanche un caso di razzismo. Ci tengo a precisarlo». Poi corre dentro gli spogliatoi dove lo aspettano i compagni, pronti a riprendere gli allenamenti in vista dell’avvio del campionato di serie B, previsto per fine agosto. Non ne uscirà più. «Ha fatto palestra e terapie per una distorsione alla caviglia», fanno sapere dalla società. Fidiamoci. Sugli spalti una cinquantina di persone assiste alla seduta. L’atmosfera è rilassata. Sotto il sole d’agosto sedici giocatori sgambettano per il campo. I due portieri si allenano sotto la curva. Una manciata di ultras si è radunata all’ingresso dell’impianto. Lì la tensione è più alta. I supporter non le mandano a dire. «Nessuno contesta il giocatore - scandiscono - Non è un problema di razzismo, ma di tradimento». I ragazzi fanno riferimento a presunte frasi che Giulio avrebbe pronunciato due anni fa, prima della finale playoff di Prima Divisione. «Vado via - sarebbero state le sue parole - perché sono ambizioso». Frasi che, però, agli ultras non sono mai andate giù. Ebagua rimase ancora per un anno. Poi una stagione fra Torino e Catania. Adesso il ritorno. Con le prime contestazioni già al raduno. Poi la «bomba» esplosa con il Pontisola. Ora alla curva le scuse per il gesto dopo la rete in Coppa Italia a loro non bastano. «Mostrare il dito medio sotto la curva - dice uno di loro - non è un bel segnale di apertura». Nessun pentimento per il trattamento riservato al giocatore. Insulti legati al colore della pelle compresi. «Se non vuole giocare qui vada da un’altra parte», aggiunge il tifoso arrabbiato. Finirà così? Possibile. La società, infatti, starebbe meditando una cessione di Ebagua. Per la sua tranquillità e per quella dell’ambiente. Così, forse, sarebbe una sconfitta per tutti.

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LA POLEMICA

È alta tensione tra Juve e Zeman

lo scontro divide il calcio italiano

di ALESSANDRO ANGELONI (Il Messaggero 14-08-2012)

Riscone di Brunico, 7 di luglio, tarda mattinata, chiamato in causa sulla querelle degli scudetti assegnati (assegnabili) alla Juventus, Zeman risponde: «Certo, se mi leggo qualche dichiarazione e qualche libro penso che già 28 sono troppi...». L’11 maggio, da allenatore del Pescara, era stato più preciso. «Saranno ventidue, massimo ventitré». Zeman ce l’ha con la Juve. È quanto dissero tre mesi fa.

Ora che è tornato ad allenare la Roma, le sue parole fanno ancora più rumore. E un’opinione si trasforma in polemica. L’ultima freccia contro la Juve l’ha scoccata domenica, stavolta da Irdning, in Austria. Zeman parla di Conte senza nemmeno nominarlo, dicendo che un tecnico, se squalificato per più di tre mesi, «non deve allenare». Zdenek, dunque, discute il regolamento (l’articolo 22 di Giustizia Sportiva parla di squalifica su «attività inerenti la disputa delle gare», quindi non la preparazione delle stesse), non Conte. Ma apriti cielo. Le sue parole vengono lasciate decantare per ventiquattro ore, poi arriva la replica piccata della Juve, del suo amministratore delegato Beppe Marotta, a Sky. «Ritengo inopportuna l'uscita di Zeman, visto che era chiaro il riferimento a Conte. O è una boutade e lascia il tempo che trova, o era mirata: dice di non aver letto le carte, quindi non riesce a dare un significato ad una condanna di primo grado di un suo collega per omessa denuncia e non per illecito. L'omessa denuncia può nascere anche dalle parole di un singolo calciatore che non trova riscontro in altre decine di colleghi che affermano il contrario. Il codice di giustizia è obsoleto. Squalificare un allenatore è un grave danno per una società: non ci sono prove concrete, questo codice va riformato, e il regolamento dice che l'allenatore può svolgere la sua attività nell’arco della settimana. Ho tanti ricordi del boemo, ma anche un’immagine chiara: quando allenava il Lecce, in un Lecce-Parma 3-3, abbandonò la panchina a dieci minuti dalla fine fumando la sua sigaretta e dando le spalle al campo. Dovrebbe darci una risposta su questo piuttosto che interessarsi a vicende che non gli appartengono. Mi auguro che il presidente dell’Assoallenatori prenda una posizione sulle parole di Zeman». Eccola, immediata. «Ci sono delle regole. Solo a queste bisogna attenersi», prova a chiudere il discorso Renzo Ulivieri, appunto, numero uno dell’Assoallenatori. «Non c’è un’altra posizione possibile, le norme esistono e tutti devono starci e il momento che sta attraversando la nazione imporrebbe di evitare le polemiche». Inevitabile, il parere di Cesare Prandelli, tecnico della Nazionale, radunatasi ieri a Coverciano per l’amichevole con l’Inghilterra. Il ct si schiera con Conte. «Per me una squalifica di dieci mesi è già abbastanza pesante, non vedo perché uno non possa allenare».

La Roma prova chiudere la polemica con l’intervento del dg Franco Baldini, dopo una difesa di Zeman da parte dell’ad Claudio Fenucci in una telefonata con Marotta. «Un’opinione personale - ha spiegato Baldini - ed in quanto tale da ritenersi legittima, fornita in seguito ad una domanda generica e alla quale negli stessi termini è stata data risposta, tralasciando l’uso che della risposta è stato fatto, ha generato un'altra inutile polemica». Chiaro, no? E ancora: «Abbiamo appena finito di realizzare, attraverso le Olimpiadi, quanta bellezza lo sport sia invece in grado di generare, bellezza che la Roma davvero non vorrebbe rendersi complice nel disperdere. Una volta rilevato la profonda differenza tra regolamenti e sentenze con quelle che sono invece semplici ed inutili illazioni, ci auguriamo ed auguriamo a tutti un buon campionato». Ma intanto ieri il procuratore federale Palazzi ha impugnato tutte le sentenze della commissione disciplinare, tranne quelle relative a Padelli e Bombardini. Quindi Bonucci e Pepe tornano a giudizio.

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Quando attaccano la Figc

nessuno però si scandalizza

di UGO TRANI (Il Messaggero 14-08-2012)

In caso di sospensione della patente, un cittadino non può certo guidare. Per un periodo determinato, da 15 giorni a 5 anni. Zeman, domenica a Irdning, è come se avesse chiamato in causa il codice della strada. Perché se un tecnico è squalificato vuol dire che ha violato il regolamento e che quindi non dovrebbe allenare. Invece il nostro calcio non toglie niente a nessuno. Dà la possibilità a un tecnico di lavorare durante la settimana anche se la giustizia sportiva lo ha fermato per quasi un anno. Le norme gli vietano solo di andare in panchina durante un match. Sono le nostre regole, spesso scorciatoie per evitare punizioni o sanzioni. Perché chi sbaglia, quasi mai paga. Anzi si arrabbia. Con chi vorrebbe vedere meno furbizia e arroganza.

È il caso della Juve che vuole vincere sempre. Sul campo, in tribunale e soprattutto a parole. Se lo scorso 2 agosto, dopo le richieste di pena del procuratore federale Stefano Palazzi, il club bianconero, per bocca del suo presidente Andrea Agnelli, si può permettere, un attacco violentissimo alle istituzioni («la Federcalcio e la giustizia sportiva sono fuori da ogni logica di diritto e di correttezza: ci scontriamo contro un sistema dittatoriale») senza che nessuno abbia avuto voglia di zittirlo o deferirlo (non sia mai), fa sorridere che ieri l’ad Beppe Marotta chieda la punizione di Zeman solo perché ha espresso un suo pensiero sulle squalifiche nel calcio. Senza mai, tra l’altro, citare Conte, proprio come non fece i nomi di Del Piero e Vialli nell’estate di 14 anni fa quando consigliò al nostro calcio di uscire dalle farmacie. Anche allora diventò lui il colpevole: perché aveva denunciato, ovviamente. Marotta, ben istruito dai tanti nemici dell’allenatore romanista che collaborano con il club bianconero, ha ricordato quel Lecce-Parma finito 3 a 3 che fece tanto arrabbiare Zeman. L’ad bianconero smaschera l’omessa denuncia del boemo, simile a quella che inchioda al momento Conte. Sfrutta, però, male il suggerimento. Dimentica un’intercettazione dell’arbitro Massimo De Sanctis, figura primaria del sistema Moggi, dopo quella gara: «Abbiamo fatto un’opera d’arte». Era fine maggio 2005, in piena Calciopoli. Il riferimento che proprio non ci voleva nel giorno in cui il ct Cesare Prandelli difende Conte e cancella per sempre il codice etico. Sarà per un altro calcio. Non il nostro.

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LA POLEMICA

E Baldini zittisce Marotta

L’ad bianconero ha la coda di paglia: «Zeman inopportuno. E spieghi Lecce-Parma del 2005». Il dg giallorosso:

«Quella del tecnico è un’opinione legittima. Una risposta generica a una domanda generica. Polemica inutile»

Nella NFL un tecnico squalificato non può neanche avvicinarsi all’ufficio

di LUCA PELOSI (IL ROMANISTA 14-08-2012)

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La verità fa sempre un po’ male. Anzi, brucia. Come la coda di paglia della Juventus, che dopo le dichiarazioni di Zeman dell’altro ieri in conferenza stampa, insorge per bocca dell’amministratore delegato Beppe Marotta: «Mi auguro che il presidente dell’associazione allenatori prenda una posizione». Anche Zeman è un allenatore, quindi l’Assoallenatori deve tutelare anche il boemo. Il presidente Renzo Ulivieri si è limitato a dichiarare che «ci sono delle regole, solo a queste bisogna attenersi. Non c’è altra posizione possibile».

Torniamo a Marotta, che prosegue: «Anche se non ha mai menzionato Conte, il riferimento di Zeman era chiaro. O la sua era una boutade, o è stato inopportuno, perchè parla di un collega condannato per omessa denuncia e non illecito ». E quindi? Si può parlare solo di chi è condannato per illecito? Chissà. Ancora il dirigente bianconero: «Il regolamento dice che può andare in panchina ». E infatti Zeman ha detto che il regolamento dovrebbe essere diverso, non consentendo a un tecnico squalificato di poter allenare. E poi Zeman lavora in una società che ha una proprietà americana. Magari sa anche che cosa è successo proprio negli Stati Uniti. Sean Payton, allenatore dei New Orelans Saints, franchigia di Football americano della NFL, è stato squalificato per tutta la stagione perché non poteva non sapere che il suo allenatore della difesa dava dei premi in denaro ai propri giocatori. Bene, non solo non può allenare, ma non può neanche avvicinarsi agli uffici della società.

Marotta, comunque, non si ferma: «Zeman aveva già parlato degli scudetti della Juventus e il fatto è ancora più grave perché alimenta tensioni». Alimenta tensioni più questo o più autoassegnarsi 30 scudetti invece di 28?

«Adesso ritengo che quelle frasi su un suo collega siano proprio inconcepibili ed inaccettabili» continua Marotta ai microfoni di Sky, e poi fa un bel favore a Zeman: «Di lui mi ricordo ancora il maggio 2005 quando negli ultimi dieci minuti di Lecce-Parma seguì la partita con le spalle girate al campo. Devo ancora capire quel gesto: dovrebbe spiegarlo invece di interessarsi delle vicende che non lo riguardano». L’ha già spiegato ed è molto chiaro. Marotta in effetti fa un bell’assist a Zeman, citando quella partita, che testimonia la totale onestà dell’attuale tecnico della Roma. Forse conta sulla memoria corta. Ma da queste parti la memoria c’è e allora va tirata fuori. In quella partita serviva un pareggio per la salvezza della Fiorentina. «Ci pensiamo noi a salvarti» dice al telefono, il 29 maggio, Moggi a Diego Della Valle. Viene sorteggiato (?) l’arbitro Massimo De Santis, che combina di tutto. Zeman nel finale si mette dietro la panchina, «perché non c’era niente da vedere», dissociandosi da ciò che accadeva in campo, dove a un certo punto i giocatori avevano smesso di giocare. Ce l’aveva con loro Zeman, piuttosto che con l’arbitro. Finì naturalmente in pareggio, 3-3, con la telefonata finale dell’allora vicepresidente federale Innocenzo Mazzini all’ad della Fiorentina Mencucci: «L’operazione chirurgica è stata perfetta».

E ora si può tornare a Marotta, che sottolinea: «Allorquando si squalificano calciatori e allenatori si creano grandi danni, anche economici, alle società di calcio. Ciò avviene anche senza prove certe, a causa di un codice obsoleto, da cambiare al più presto. Noi rispetteremo di certo le sentenze, quando queste saranno definitive. Ma c’è anche un regolamento, che dice chiaramente che è lecito che un allenatore possa svolgere il suo lavoro durante la settimana». Insomma, le regole che non piacciono sono «obsolete», quelle che piacciono, invece, vanno bene.

La vicenda è stata poi chiusa in serata dalle parole del dg della Roma Franco Baldini: «Quella di Zeman è un’opinione personale e in quanto tale da ritenersi legittima, fornita in seguito ad una domanda generica ed alla quale negli stessi termini è stata data risposta, tralasciando l’uso che della risposta è stato fatto, ha generato un’altra inutile polemica. Abbiamo appena finito di realizzare, attraverso le Olimpiadi, quanta bellezza lo sport sia invece in grado di generare, bellezza che la As Roma davvero non vorrebbe rendersi complice nel disperdere. Una volta rilevato, da parte nostra, la profonda differenza tra regolamenti e sentenze con quelle che sono invece semplici ed inutili illazioni, ci auguriamo ed auguriamo a tutti un buon Campionato».

Ultima considerazione, su un’altra frase di Marotta: «Noi rispetteremo le sentenze, quando saranno definitive». Come facciamo ad esserne sicuri, visto che, nonostante le sentenze definitive, ancora si auto-assegnano 30 scudetti?

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L'OSSERVATORIO di GIANFRANCO GIUBILO (IL TEMPO 14-08-2012)

Da quale pulpito arriva la predica?

Nel gregge, lo cerchereste invano. Banalità, luoghi comuni, ricerca di comode amicizie non appartengono alla sua cultura sportiva e, dunque, alla sua dialettica.

Di Zeman ho da sempre apprezzato il coraggio quando si tratta di esternare opinioni impopolari, la coerenza delle idee prevalente sugli umori del momento. Personalmente, condivido in pieno quella che l'opinione pubblica ha ritenuta oltraggiosa, cioè la convinzione che Oscar Pistorius non avrebbe dovuto prendere parte ai Giochi Olimpici dei normali. Personaggio a tutti carissimo, persona squisita, ma l'evento agonistico non può consentire aiuti meccanici, come quelli che supportano la corsa dell'australiano, affetto e umana comprensione non si possono sostituire alle regole, uguali per tutti.

Mi scuso per la digressione, ma era utile per sottolineare il rigore morale del tecnico boemo, che ancora una volta la Juventus mette sotto accusa. Marotta, per altro persona solitamente civile nei comportamenti, è indignato perché il tecnico romanista ha espresso dei dubbi sulla legittimità, per un allenatore squalificato, di svolgere normalmente la preparazione nel corso della settimana. Dubbio che un'attenta lettura delle norme della giustizia sportiva, magari ambigue, rendono plausibile. E certo non tale da provocare il solito astioso e arrogante risentimento.

Per comprendere da quale pulpito scenda la sacra predica, va ricordata la reazione indignata da parte juventina per il rifiuto del Napoli di presentarsi in premiazione a Pechino. Senza voler giustificare un atteggiamento poco opportuno specialmente nel clima olimpico di quei giorni, è doveroso precisare che la stessa assenza gratuita l'aveva firmata proprio la Juventus. Era accaduto dopo la Supercoppa vinta dalla Lazio nel 1998, Marcello Lippi disertò con la sua squadra la cerimonia, poi spiegò l'episodio come una dimenticanza. Sinceramente, meglio la dichiarata incazzatura di De Laurentiis e Mazzarri.

In serata Franco Baldini, che conosce le sfumature della diplomazia, ha definito inutile la polemica sulle parole di Zeman, ma ne ha anche legittimato il diritto alla critica nei confronti di norme che non sempre vengono rispettate, vedi le continue telefonate tra tribuna e panchina nel Nido d'Uccello, più adeguato sarebbe stato un piccione viaggiatore. E poi, la solita stucchevole definizione riservata ai critici: «Parole inaccettabili». Vero, accettabili sono soltanto i regali arbitrali.

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Scintille Juve-Zeman

Il contrattacco di Marotta:

«Spieghi piuttosto Lecce-Parma 3-3»

L’a.d. bianconero ribatte all’allenatore

della Roma: «Ci dica perché in quella gara

del 2005 voltò le spalle al campo...»

di G.B. OLIVERO (GaSport 14-08-2012)

Mai una giornata tranquilla. Da un po' ormai è destino che la Juve venga coinvolta in polemiche di ogni genere. A volte la società ne è direttamente protagonista, altre è tirata in ballo dai propri avversari che si divertono a punzecchiare i campioni d'Italia. La Juve a volte risponde, altre no. Ieri Beppe Marotta ha deciso di replicare con durezza a Zeman. «Se c'è una squalifica a tempo lungo penso che un tecnico non dovrebbe allenare» aveva detto il boemo riferendosi a Conte, senza citarlo. Marotta, invece, non si fa problemi a citare Zeman: «Ritengo inopportuna, come spesso accade negli ultimi periodi, l'uscita di Zeman perché, anche se non ha chiaramente menzionato Conte, si riferiva a lui — ha detto a Sky l'a.d. della Juve — Zeman tra l'altro dice di non aver letto le carte. L'omessa denuncia può nascere anche dalle dichiarazioni di un singolo calciatore che non trovano riscontro in altri 24 giocatori. Questo però dipende da un codice di giustizia sportiva che, secondo tanti, ormai è obsoleto».

Regolamento e scudetti Marotta, poi, sottolinea un altro aspetto della vicenda facendo emergere la convinzione societaria che le esternazioni di Zeman nascano da un risentimento personale del boemo nei confronti della Juve: «Il regolamento prevede che l'allenatore possa svolgere le sue attività in settimana. Quindi trovo fuori luogo questa uscita di Zeman, che già quindici giorni fa aveva avuto modo di dire la sua sugli scudetti della Juve e oggi si esprime su un collega: un fatto ancora più grave. Quelle frasi sono proprio inconcepibili e inaccettabili. Mi auguro che anche il presidente dell'Assoallenatori prenda una posizione, perché queste situazioni non fanno altro che generare ulteriore tensione in un momento molto delicato del nostro calcio». Ma Renzo Ulivieri, presidente dell'Assoallenatori, si tira fuori dalla mischia: «Gli allenatori sono iscritti all'albo federale e dal punto di vista del regolamento rispondono a una commissione disciplinare del Settore tecnico con la quale noi non c'entriamo nulla».

L'episodio Infine Marotta riporta a galla un episodio di sette anni fa: «Aggiungo che io di Zeman ho tanti ricordi, ma ho davanti a me un'immagine chiara. Nel maggio 2005, quando era al Lecce, durante un Lecce-Parma finito 3-3 abbandonò la panchina a 10 minuti dal termine, si girò di spalle al campo, guardò la tribuna per 10 minuti fino alla fine della partita, fumandosi la sua sigaretta. Quella cosa non l'ho capita prima e non la capisco oggi. Zeman dovrebbe magari darci una risposta su questo, piuttosto che interessarsi a vicende che non gli appartengono». Tanti nemici tanto onore, si suol dire. Certo è che la stagione della Juve si preannuncia calda. Già in estate le polemiche sono state tante. E, viste le prime frecciate tra Zeman e i bianconeri, chissà come sarà la vigilia di Juve-Roma.

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LA REPLICA DI BALDINI

«Idee personali

Ma tra illazioni

e sentenze

c’è differenza»

di ANDREA PUGLIESE (GaSport 14-08-2012)

«Un'opinione personale, e in quanto tale da ritenersi legittima». È l'inizio della nota di replica della Roma, a firma del d.g. Franco Baldini, dopo le parole di Marotta su Zeman. Baldini è sceso così in campo per difendere il suo allenatore, ma con l'obiettivo di non avvelenare gli animi nel confronto Zeman-Juventus. Il d.g. nella nota prosegue: «Un'opinione fornita in seguito a una domanda generica e alla quale negli stessi termini è stata data risposta, tralasciando l'uso che della risposta è stato fatto, ha generato un'altra inutile polemica». Chiara la voglia di Baldini di chiudere subito l'ennesimo focolaio, un'ulteriore polemica dove — però — non ci sono stati fraintendimenti. Zeman, infatti, non ha mai nominato Conte (domanda e risposta generica, appunto), ma sia la domanda, sia la risposta erano implicitamente rivolte al tecnico juventino. E il boemo, se ha risposto così, è perché sapeva cosa gli veniva chiesto. E anche che messaggio aveva voglia di lanciare.

Stoccatina «Abbiamo appena finito di realizzare, attraverso l'Olimpiade, quanta bellezza lo sport sia in grado di generare — prosegue Baldini nella nota — bellezza che la Roma davvero non vorrebbe rendersi complice nel disperdere». Poi, però, l'affondo, perché uno stoccatina alla Juve Baldini l'ha voluta comunque dare, tanto per mettere le cose in chiaro: «Una volta rilevato, da parte nostra, la profonda differenza tra regolamenti e sentenze con quelle che sono invece semplici ed inutili illazioni, ci auguriamo ed auguriamo a tutti un buon campionato», ha concluso il dirigente romanista. I «regolamenti e le sentenze» sono quelle che riguardano la squalifica di Conte per omessa denuncia, le «semplici ed inutili illazioni» a cui si riferisce Baldini, invece, sono quelle di Marotta su Zeman e gli eventuali chiarimenti relativi a quel Lecce-Parma finito 3-3 nel 2005.

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Juve contro Zeman,

già prima di iniziare

Marotta: “Inopportuno su Conte, parli di Lecce-Parma”. Baldini: “Illazioni”

di EMANUELE GAMBA (la Repubblica 14-08-2012)

Al ritorno nel cortile di casa, il pallone ha subito cominciato a starnazzare polemiche. Come nei palinsesti tv dell’estate, vanno in onda repliche dei classici: Zeman contro la Juve, la Juve contro Zeman, la Roma contro la Juve, nei secoli dei secoli. Lo schema ha una sua ripetitività: puntura del boemo, cannonata bianconera. Da Torino rispondono ormai con un ruggito anche a un miagolio.

Ieri, dunque, la veemente censura di Beppe Marotta, via Sky, all’opinione espressa domenica da Zeman: «Chi viene squalificato per più di tre mesi, secondo me non può allenare». Apriti cielo: Marotta, non troppo versato per le polemiche (ma ogni tanto per ruolo gli toccano), ha parlato di «uscita inopportuna, fuori luogo », che genera «ulteriore tensione » e ha chiesto «una presa di posizione al presidente dell’Associazione allenatori», perché esprimersi su un collega «è ancora più grave». Ulivieri si è chiamato fuori: non siamo competenti. E Prandelli ha risposto con un’opinione all’opinione: «Non sono d’accordo con Zeman, non andare in panchina è già una pena pesante ». In chiusura, Marotta ha seminato una subdola allusione: «Io di Zeman ho molti ricordi, ma davanti a me ho un’immagine del maggio 2005. In un Lecce-Parma finito 3-3 lui ha abbandonato la panchina a 10 minuti dalla fine, si è girato di spalle al campo, ha guardato la tribuna fumando la sua sigaretta. Quella cosa non l’ho capita allora e non la capisco adesso. Vorrei che ci desse una risposta su questo piuttosto che interessarsi di vicende che non gli appartengono». Marotta allude chiaramente a una teorica omessa denuncia di Zeman a proposito di una delle ombre di Calciopoli. Arbitrava De Santis, che prima della partita disse al designatore Bergamo: «Il Lecce vuole vincere, il Parma vuole vincere, a ‘sto punto ci mettiamo di mezzo noi, facciamo la partita». Alla fine Innocenzo Mazzini telefonò a Della Valle (quel pareggiò consentì la salvezza della Fiorentina) vantandosi di avere organizzato «un capolavoro». Zeman fiutò l’andazzo, la protesta plateale fu la sua denuncia.

Difficile che ci sia un’altra puntata della replica, perché Franco Baldini, per conto della Roma, ha chiuso la miniserie con un comunicato ufficiale, non troppo acido e non troppo ipocrita: «Una volta rilevata la profonda differenza tra regolamenti, sentenze e semplici e inutili illazioni, ci auguriamo e auguriamo a tutti un buon campionato ». Però il flusso di veleno tra Zeman e la Juve è destinato a segnare l’anno. Il giochino è semplice: al boemo viene posta una domanda sui bianconeri, o qualcosa che li riguarda, lui ci prova gusto a non essere diplomatico e dice ciò che pensa, a Torino i nervi si tendono come un arco e l’Italia si spacca in due. Nel suo intervento, Marotta ha anche parlato di «giustizia sportiva obsoleta» e della necessità di riformarla, un’urgenza da quando si occupa della Juve. A questo proposito, va registrata la decisione, scontata, del procuratore Palazzi di ricorrere in appello contro le sentenze di proscioglimento (quindi, anche contro l’assoluzione di Bonucci e Pepe) sul calcioscommesse.

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Zeman, la Juve dice basta

“Inopportuno, crea tensioni”

Marotta replica al tecnico Roma: “Su Conte dice di non conoscere neanche le carte...”

L’AFFONDO DEL DG «Ancora ci deve spiegare quel 3-3 di Lecce in cui guardava la tribuna e non il campo...»

IL CLUB GIALLOROSSO «Quella del tecnico è una legittima opinione personale»

di GIANLUCA ODDENINO (LA STAMPA 14-08-2012)

Più che una difesa d’ufficio, è stato un attacco frontale. Studiato in ogni dettaglio, pepato al punto giusto e soprattutto chiarificatore dopo tutto quel che è successo attorno ad Antonio Conte. La Juve ieri ha detto basta. Stufa di leggere le reazioni altrui alla squalifica del proprio allenatore, la società bianconera ha sfruttato la provocazione dell’eterno nemico pubblico numero uno, Zdenek Zeman, per scatenare una reazione tanto potente quanto inusuale. Perché a pronunciarla è stato Beppe Marotta in persona, attraverso il megafono di Sky, con un vero e proprio “j’accuse” nei confronti del tecnico della Roma. Per una volta il dirigente juventino ha abbandonato i toni cortesi, i sorrisi diplomatici e le parole prudenti per respingere al mittente le frasi su Conte. Quel “penso che in caso di una squalifica superiore ai tre mesi un allenatore non debba allenare”, pronunciata domenica dal boemo, ha fatto infuriare Marotta come raramente era accaduto in questi due anni a Torino. «L’uscita di Zeman è stata inopportuna – è l’introduzione dell’ad – perché lui stesso ha detto di non aver letto le carte e non riesce a dare un significato a quella che è la condanna di primo grado di un collega allenatore, il quale è stato condannato per omessa denuncia e non per illecito». E non importa se Zeman non ha mai citato Conte nella sua conferenza stampa, per Marotta «il riferimento era fatto a lui. O la sua era una boutade, e lascia il tempo che trova, oppure era mirata».

Questa volta, però, è stata la Juve a prendere la mira. Non l’aveva fatto quando Zeman aveva tirato in ballo la questione dei trenta scudetti sul campo (“Per me 28 sono già troppi”, disse), ma di fronte alla punzecchiatura post-squalifica non ha più taciuto. «Trovo fuori luogo questa uscita di Zeman contro un collega – aggiunge Marotta -, cosa che trovo ancora più grave. Mi auguro che anche il presidente dell’associazione allenatori prenda una posizione, perché queste situazioni non fanno altro che generare ulteriore tensione in un momento molto delicato del nostro calcio». In serata è intervenuto Franco Baldini, dg della Roma: «E’ un’opinione personale quella di Zeman e in quanto tale da ritenersi legittima, fornita in seguito ad una domanda generica ed alla quale negli stessi termini è stata data risposta, tralasciando l’uso che della risposta è stato fatto, ha generato un’altra inutile polemica».

Nella Juve, però, si sono tolti anche un sassolino grande così contro Zeman. «Io di lui ho molti ricordi, ma ne ho uno del maggio 2005 quando era allenatore del Lecce. In un Lecce-Parma finito 3-3 – è l’attacco di Marotta – Zeman ha abbandonato la panchina a dieci minuti dalla fine, si è girato di spalle al campo, ha guardato la tribuna fino alla fine fumando la sua sigaretta. Quella cosa non l’ho capita allora e non la capisco ancora adesso. Vorrei che ci desse una risposta su questo, piuttosto che interessarsi di vicende che non gli appartengono». La battaglia dialettica è appena all’inizio, così come il dibattito sulla regola che coinvolge Conte. Tra le voci più autorevoli spicca quella di Cesare Prandelli, ct della Nazionale. «Dieci mesi senza andare in panchina è già una pena pesante – è stata la sua riflessione – e non vedo perché non possa allenare durante la settimana”. Un attestato forte, ma il contraccolpo patito dalla Juve per la squalifica del proprio tecnico fa ancora male. E non solo per il balletto sul patteggiamento che aveva fatto esplodere l’ira bianconera contro la Figc. I bianconeri si sentono orfani di Conte e sentire le frasi di Zeman sulla vicenda è stato come veder gettare benzina sul fuoco. Per questo Marotta è entrato nel dettaglio del problema. «Quandosi squalifica un allenatore si crea un danno incalcolabile all’azienda calcio – è stata la sua analisi - perché si viene a perdere un grande dirigente vista la responsabilità che ha. Quindi bisogna trovarsi davanti a delle prove concrete per squalificarlo e nella fattispecie non ci sono delle prove concrete».

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Stesso calcio, stessi veleni

Dalla Supercoppa allo scontro Marotta-Zeman

Botta e risposta sull’asse Roma-Torino. All’inizio del campionato

mancano due settimane, ma polemiche e liti sono già al livello di guardia

...L’ad bianconero: «Frasi inaccettabili. Il boemo spieghi le sue spalle voltate durante quel Lecce-Parma»

di SIMONE DI STEFANO (l'Unità 14-08-2012)

VECCHIE E NUOVE RUGGINI SULLA STAGIONE APPENA INIZIATA, UN SOTTOBOSCO DI POLEMICHE. COME SE IL CAMPIONATO SCORSO NON FOSSE MAI FINITO, SI RIPRENDE DA DOVE CI ERAVAMO LASCIATI: CI ERAVAMO TANTO ODIATI. Prima partita ufficiale e subito attriti, veleni, polemiche: Juve-Napoli di Supercoppa, i partenopei perdono dopo aver giocato alla grande, due espulsi e niente premiazione per il Napoli, anzi silenzio stampa. Solo 24 ore dopo, Villa Park di Birmingham: sarà lo spirito olimpico del giorno di chiusura dei giochi, o il fairplay britannico, o che loro sono inglesi e noi italianissimi. Il City batte il Chelsea, 3-2 risultato tirato fino all’ultimo, e stretta di mano e abbraccio finale tra Mancini e Di Matteo. Italiani loro, mica extraterrestri.

Sarà l'aria del nord allora, ma stride al confronto con quanto accaduto il giorno prima a Pechino. Lì lo spirito olimpico è tramontato da 4 anni, anche se lo stadio era lo stesso dove Bolt si rivelò al mondo. Adesso il “nido d'uccello” lo usano per importare prodotti e hanno scelto il made in Italy. Ne è uscita fuori una tragedia greca, e ci sono rimasti male i cinesi. Dicono che vogliono rinnovare il format per altri 3 anni, ci faranno l’abitudine allora. «Dobbiamo in generale prendere esempio dalle Olimpiadi, dove gli atleti sconfitti hanno accettato, magari non condividendo, il verdetto finale. Per rispetto di chi guarda l’evento o chi lo organizza», e lo dice il ct Cesare Prandelli, che dopo la scoppola per 4-0 in finale con la Spagna non ha fatto una piega.

Lo scorso anno i litigi erano politici (sciopero calciatori, mancata revoca dello scudetto all'Inter), quest'anno sono “amministrativi” e a punzecchiarsi sono dirigenti e allenatori: siamo al cannibalismo pallonaro. E si litiga, nel bene e nel male, nel pallone e nelle aule. Al centro delle polemiche la Vecchia Signora tirata a lustro dopo 6 anni di naftalina post-Calciopoli. Quella con il Napoli l'ha assorbita bene la Juve, guarda e passa. Ma da quella partita, la coda di polemiche si è appena spostata sul vecchio continente e tocca di nuovo il suo allenatore colpito da squalifica di 10 mesi nel primo grado di Scommessopoli. Mentre Conte era a Pechino, da Trigoria il vecchio nemico di un tempo ricominciava la sua marcia personale contro gli antichi rivali. Le liti e le frecciate al vetriolo di Zdenek Zeman evidentemente fanno ancora troppo male per far finta di niente. Qui si toccano le corde dell'orgoglio, è la stessa musica di allora. Una volta era il doping e il dottor Agricola al centro delle attenzioni del boemo. Oggi è la giustizia sportiva. Conte può allenare durante la settimana, anche se è squalificato, lo prevede il codice di giustizia sportiva, ma Zeman non ci sta: «Per me un allenatore squalificato per più di tre mesi non dovrebbe allenare durante la settimana la sua squadra». Non cita Conte, ma a meno che il tecnico giallorosso non mirasse al povero Mirco Poloni dell'AlbinoLeffe, il riferimento era all’altro tecnico squalificato dall'ultima Scommessopoli: Antonio Conte, che della Juve di Moggi nemica fidata di Zeman era il capitano. Insomma, è sempre una “opoli” ma di nuova generazione. E al posto di Big Luciano, oggi risponde l'amministratore delegato Beppe Marotta, che invoca interventi alti per azzittire il mister romanista: «I regolamenti – ha tuonato ieri Marotta - consentono ad un allenatore, oltretutto squalificato per omessa denuncia e non per illecito sportivo, di allenare la squadra in settimana. Zeman dovrà dare conto delle sue affermazioni all’Associazione degli allenatori, che mi auguro intervenga in proposito». Allora siamo andati dal presidente dell'Assoallenatori, Renzo Ulivieri, che chiamato in causa risponde: «Marotta ha sbagliato destinatario. Ogni allenatore risponde del suo comportamento alla Commissione Disciplinare che giudica se è passibile di multa o altro. Conte? Il regolamento gli consente di allenare durante la settimana, salvo la domenica, dove non può esercitare la funzione di allenatore, neanche intervenire sulla partita dalla tribuna». Se poi non bastasse, è ancora il ct Prandelli a dettare il buonsenso: «10 mesi senza andare in panchina – ha detto ieri il ct - è già una pena pesante, non vedo perché non possa allenare durante la settimana». E allora diventa Zeman contro tutti. Archiviato Conte, la polemica potrebbe finire in procura federale (ma non è più grave la firma apposta dal boemo su una maglia «odio la Juve»?), dove Zeman rischia di trovarsi naso a naso con il presidente della Juve, Andrea Agnelli. Già, perché se adesso il pm federale Stefano Palazzi è ancora preso dal calcioscommesse, le conseguenze del mancato patteggiamento di Conte avevano portato Agnelli a parlare di «giustizia dittatoriale», e a Palazzi non è sfuggito. Anche qui, unito alla querelle sulla terza stella (poi convertita nella scritta «trenta sul campo» sulla maglia), la delegittimazione delle istituzioni è un segnale preoccupante, e l’unica risposta politica di Giancarlo Abete va in direzione di quelle riforme(giustizia sportiva, campionati, accordi tv) reclamate da tutti. Altrimenti liberi tutti.

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Nuovo processo il 20 e 21 agosto

Palazzi contro la Disciplinare: impugnato

il proscioglimento di Bonucci e Pepe

di Andrea Arzilli (CorSera 14-08-2012)

ROMA — Palazzi prova a blindare di nuovo il suo pentito Andrea Masiello. Ieri sera il procuratore ha presentato in Figc l'appello contro le sentenze del filone di Bari, quello su cui, tra proscioglimenti e derubricazioni, c'è stato il colpo di spugna della Disciplinare: il 20 e il 21, davanti alla Corte di Giustizia, torneranno in aula Bonucci, Pepe, Salvatore Masiello e Belmonte per Udinese-Bari; Di Vaio e Portanova per Bologna-Bari; Vives per Bari-Lecce. Palazzi è convinto che, contrariamente a quanto stabilito in primo grado, le rivelazioni di Andrea Masiello siano più che solide. In secondo grado, ci sarà anche Conte per il ricorso ai 10 mesi di squalifica. «Gli squalificati non dovrebbero allenare», aveva detto due giorni fa Zeman pur senza mai nominare Conte. Ieri la replica di Marotta. «Il riferimento era chiaro: o era una boutade o è stato inopportuno, perché parla di un collega condannato per omessa denuncia e non illecito: il regolamento dice che può allenare. Zeman non dovrebbe interessarsi di vicende che non lo riguardano, prenda posizione l'Assoallenatori». Il presidente dell'Aiac, Ulivieri: «Noi non abbiamo funzione sanzionatoria». Poco dopo, la nota della Roma firmata dal d.g. Franco Baldini: «Quella di Zeman è un'opinione personale, fornita a seguito di una domanda generica. Polemica inutile». Il c.t. Prandelli: «Non la penso come Zeman».

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Palazzi riparte

Tutti alla sbarra

Clamoroso: impugna ogni proscioglimento

Ricorsi contro Pepe Bonucci, Masiello Belmonte, Di Vaio Portanova, Vives Coppola e Vitiello

di ALBERTO ABBATE (CorSport 14-08-2012)

ROMA - Non lascia, raddoppia. Palazzi contro tutti, all’arrembaggio. La Disciplinare distrugge il suo castello accusatorio? Il Procuratore ci riprova con la Corte di Giustizia Federale. In appello trascina pure Bonucci e Pepe, Udinese-Bari, smontata dalle contraddizioni di Masiello. Palazzi impugna anche, le sentenze sul Bologna, l’ex capitano Di Vaio, e la derubricazione di Portanova. S’attacca ai 6 punti di penalizzazione del Lecce (già a un passo dalla Lega Pro) e rivive l’incubo persino Vives. Padelli, prosciolto, esulta: pericolo scampato.

UDINESE-BARI - La ventata di “libertà”, sbandierata da Bonucci con la Supercoppa in mano, ha forse infastidito Palazzi. C’era stata pure qualche rassicurazione, dietrofront. La Procura Federale non ha alcuna intenzione d’arrendersi. Crede alle sue accuse, vuole portarle avanti. Nonostante la Disciplinare le abbia ampiamente sconfessate. Con le motivazioni, in particolare su Udinese-Bari (3-3): «Le dichiarazioni di Andrea Masiello in alcuni casi non sono veritiere, in altri non provate, in altri ancora smentite dagli atti, per cui i deferiti Bonucci, Belmonte, Pepe e Salvatore Masiello vanno assolti» . Non c'è nessuna prova della telefonata fra quest'ultimi, né che «citando una Ferrari - e anche lì Andrea Masiello prima parla di acquisto, poi di vendita - Pepe abbia inteso l'esistenza della presunta combine» . Le verità del ristoratore De Tullio ai pm di Bari sembravano addirittura il colpo di grazia: «Andrea Masiello s’è inventato quella partita» .

BOLOGNA-BARI - Palazzi aveva dato un’ «interpretazione univoca» della combine Bologna-Bari. Anche lì, la Disciplinare l’aveva bacchettato sulle rivisitazioni dei Masiello Boys, Carella e Giacobbe: «Non solo si contraddicono sulla predeterminazione a tavolino del risultato finale della gara, non appare credibile che Portanova includesse un gol di Di Vaio nella combine - non risulta che sarebbe stato corrisposto un premio dal Bologna - col quale i rapporti erano inesistenti. Non c'è tra l'altro traccia di una telefonata. La derubricazione del reato di Portanova a omessa denuncia fa decadere ogni addebito in capo a Di Vaio» . Palazzi non ci sta, li vuole di nuovo a giudizio. Insieme al Bologna per responsabilità oggettiva. Chiede che l’incontro di Piazza Maggiore venga equiparato a quello di Guberti all’hotel Oriente.

BARI-LECCE - Il derby del Salento ci sarebbe comunque stato all’appello, per l’ex presidente Semeraro e un Lecce condannato alla Lega Pro. Ora Palazzi invoca pure i sei punti di penalizzazione e persino la squalifica per Vives, nonostante le prove d’assoluzione portate dalla Disciplinare: «Se avesse saputo della combine, avrebbe riferito a chi di dovere la mancata pacca sulla spalla. Andrea Masiello lo accusa solo per dimostrare il proprio determinante contributo» . Ieri a via Po c’era l’avvocato Chiacchio a raccogliere la brutta notizia.

ALBINOLEFFE-SIENA - Ha atteso l’ultimo istante, Palazzi. Per depositare i suoi ricorsi. Ore 18.53, dalla Procura volavano centinaia di pagine indirizzate alla Corte di Giustizia Federale. Suspence, tutti aspettavano la mossa. E alla fine c’erano tutte le “sconfitte” - nessun ricorso però su Padelli e Bombardini - di Palazzi dentro quei fogli. Il Procuratore cerca subito la rinvincita, persino su Albinoleffe-Siena: contestate le derubricazioni a omessa denuncia per Coppola e Vitiello. Il 20-21 agosto si preannunciano scintille all’ex Ostello della Gioventù. Palazzi non mette l’elmetto. Conte incrocerà il suo sguardo.

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Calcioscommesse Impugnati i proscioglimenti

Palazzi non molla: Bonucci

e Pepe ancora a giudizio

Ritornano in gioco anche le posizioni di Di Vaio, Portanova e dell’Udinese

di GIANNI REPETTO (IL MATTINO 14-08-2012)

Roma. La Procura federale non ci sta e si appella contro tutti i proscioglimenti disposti dalla Commissione Disciplinare venerdì scorso. La vicenda del calcioscommesse non è finita quindi per gli juventini Leonardo Bonucci e Simone Pepe che soltanto tre giorni fa avevano festeggiato le sentenze emesse dall'organo presieduto da Sergio Artico. Ma tutti i protagonisti, secondo il pentito Andrea Masiello, della tentata combine di Udinese-Bari torneranno alla sbarra davanti alla Corte di Giustizia federale: il torinese Salvatore Masiello, il senese Nicola Belmonte, ma anche l'Udinese chiamata a rispondere nuovamente per responsabilità oggettiva per l'ex Pepe.

Il procuratore federale, Stefano Palazzi, quindi crede in Masiello (Andrea) al punto da impugnare anche le sentenze di proscioglimento del granata Giuseppe Vives per il derby Bari-Lecce, ma anche quella dell'ex bolognese Marco Di Vaio e la derubricazione da illecito a omessa denuncia del difensore felsineo Daniele Portanova (torna a rischiare la penalizzazione il club emiliano) nella presunta combine di Bologna-Bari. Dei sette prosciolti in primo grado, l'unico a cavarsela sembrerebbe il portiere della Samp Daniele Padelli.

Per gli altri l'appuntamento è invece all'ex Ostello della Gioventù dove lunedì inizierà il processo d'appello dinanzi alla Corte di Giustizia federale presieduta da Gerardo Mastrandrea. La decisione della Procura deve essere stata ponderata bene negli uffici federali di via Po visto che le istanze d'appello sono pervenute in Corte di Giustizia una manciata di minuti prima della chiusura del termine fissato, illudendo gli avvocati presenti che, visto il traguardo delle 19 così vicino, pensavano di vedere le posizioni dei propri assistiti chiuse con le sentenze della settimana scorsa.

E, invece, no il loro Ferragosto lo trascorreranno a lavoro. Così come la Procura che dovrà preparare anche le repliche alle memorie presentate ieri dai legali dei condannati in primo grado. Tra questi, il più famoso è certamente il tecnico della Juventus, Antonio Conte, che anche grazie all'ingresso dell'avvocato Giulia Bongiorno nel suo collegio difensivo (oltre ad Antonio De Rensis e Luigi Chiappero) spera quantomeno di ridurre i 10 mesi di stop che gli ha inflitto la Disciplinare. Sperano anche il suo vice, Angelo Alessio (fermato 8 mesi) e tifosi e dirigenti di Lecce e Grosseto, estromessi dalla Serie B e collocati un campionato di categoria inferiore dal Consiglio federale (di fatto la retrocessione in Lega Pro) per le inibizioni di 5 anni dell'ex presidente salentino Pierandrea Semeraro e del patron grossetano, Piero Camilli.

Visto che l'avvio dei campionati è ormai imminente e data l'urgenza di risolvere le questioni relative ai due club le sentenze della Corte di Giustizia dovrebbero arrivare già il 23-24 agosto.

A pochi metri di distanza dalla Corte dove per tutto il giorno è andato in scena il via vai di avvocati, in via Allegri, davanti alla sede della Federcalcio, Emanuele Pesoli prosegue il suo sciopero della fame, incatenato alla cancellata d'ingresso della Figc. Il calciatore del Siena, e l'ex Mantova, Maurizio Nassi, hanno ottenuto ieri l'assicurazione da parte del direttore generale della Federcalcio, Antonello Valentini, di incontrare nei prossimi giorni il presidente Giancarlo Abete.

Ma non basta: Pesoli - che ieri ha ricevuto la visita di una delegazione di Anagni, suo luogo di nascita, guidata del sindaco del Comune ciociaro, Carlo Noto - vuole sensibilizzare i giudici della Corte di Giustizia federale affinchè nel processo d'appello possa avere un confronto con i suoi accusatori: i pentiti Carlo Gervasoni e Filippo Carobbio. La pioggia e il calo di pressione che lo ha colpito nel primo pomeriggio di ieri alla soglia delle 54 ore di sciopero della fame, non lo hanno fermato: «Vado avanti lo stesso, chiedo un confronto in aula con Carobbio e Gervasoni».

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Bonucci e Pepe, si ricomincia

Palazzi fa appello

Ricorso del procuratore federale contro tutti

i proscioglimenti, juventini ancora a processo

Di nuovo in aula pure il Bologna, Di Vaio e Portanova Tra gli assolti si salva solo Padelli

di MAURIZIO GALDI (GaSport 14-08-2012)

Sul filo di lana. Sembra di assistere all'arrivo della maratona dei recentissimi Giochi di Londra, invece eravamo in via Po a Roma. La Procura federale consegna alle 18.55 il suo ricorso e appella tutti i proscioglimenti e le derubricazioni. Questa volta è il procuratore federale Stefano Palazzi a dire alla Disciplinare «queste sanzioni non sono congrue». In particolare appella alla Corte di giustizia federale a sezioni unite le decisioni sulle partite AlbinoLeffe-Siena (del filone di Cremona), Udinese-Bari, Bologna-Bari e Bari-Lecce (del filone di Bari). Ora si aspettano le repliche dei difensori di Ferdinando Coppola, Roberto Vitiello, Leonardo Bonucci, Simone Pepe, Nicola Belmonte, Salvatore Masiello, Daniele Portanova, Marco Di Vaio, Giuseppe Vives. Poi anche di Bologna, Udinese e Lecce, per quest'ultima appellando Vives torna a chiedere i sei punti di penalizzazione da scontare nella prossima stagione, oltre alla retrocessione.

Gli altri ricorsi Fino al momento dell'arrivo degli uomini della Procura federale, gli avvocati difensori avevano già presentato una quarantina di ricorsi alla segreteria della Corte di giustizia federale. Mancava pochissimo allo scadere del tempo massimo (la Corte di giustizia federale aveva stabilito che i ricorsi dovevano arrivare entro le 19), l'attesa si tingeva di giallo: la Procura rischiava di arrivare fuori tempo massimo. Poi la baraonda: la Procura depositava gli appelli, gli avvocati chiedevano subito le copie per poter preparare le memorie. Ora la battaglia si sposta all'ex Ostello della gioventù: lunedì 20 comincia la seduta davanti alla Corte di giustizia federale.

Motivi dell'appello Palazzi ha lavorato fino all'ultimo momento. Memorie a prova di bomba per sferrare l'attacco in aula a quei proscioglimenti e a quelle derubricazioni che non gli sono piaciute. Su AlbinoLeffe-Siena è convinto che Vitiello e Coppola abbiano avuto nella combine un ruolo maggiore di quello che la Disciplinare ha attribuito loro e per questo torna a chiedere l'illecito sportivo. Udinese-Bari torna prepotentemente a far parlare di Bonucci e Pepe. La credibilità di Andrea Masiello, per Palazzi, sarebbe data dalle ultime dichiarazioni rilasciate (al gip e ai pm di Bari dopo l'arresto, e alla Procura federale sempre dopo l'arresto) e non in contraddizione con quelle «spontanee» rilasciate prima delle verifiche. Per questo l'appello anche nei confronti di Portanova e Di Vaio per Bologna-Bari. Infine Bari-Lecce, per Palazzi il ruolo di Vives è determinante al di là del tipo di segnale che si sarebbe scambiato con Andrea Masiello e questo comporta anche per il Lecce oltre alla responsabilità diretta, rispondere anche di quella oggettiva. Padelli è l'unico prosciolto per il quale non è stato presentato ricorso.

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LA PROTESTA VISITATO DA UN MEDICO

Pesoli non molla

Incontrerà Abete

Il presidente Figc gli parlerà dopo Ferragosto,

ma lo sciopero della fame va avanti

di MARCO CALABRESI (GaSport 14-08-2012)

I primi segni di cedimento ci sono, ma Emanuele Pesoli resiste: per il difensore del Siena — con un contratto già firmato con il Verona e soltanto da depositare — oggi sarà il quarto giorno di sciopero della fame. Solo acqua e integratori, con la visita di un medico che ieri ha evidenziato un abbassamento della pressione: «Non mollo — ha detto — ma spero che la situazione si risolva in fretta. Non vorrei che alla squalifica si aggiungessero problemi di salute». Difficile (visti anche i precedenti) che possa esserci un confronto con i suoi accusatori, Carobbio e Gervasoni; sicuro, invece, un incontro con il Presidente federale Abete al suo rientro a Roma. Abete parlerà anche con l'altro calciatore in protesta a via Allegri, Maurizio Nassi: «Ho aspettato il secondo grado di giudizio (la Corte di Giustizia Federale, che gli ha confermato tre anni di stop, ndr) per farmi sentire. Sono pulito, ridatemi la mia vita».

Solidarietà La moglie di Emanuele, Teresa, è lì giorno e notte, gli amici si alternano, i passanti esprimono solidarietà, così come il Verona, nonostante non abbia gradito il gesto; ieri, davanti alla sede della Figc, è arrivata anche una delegazione del Comune di Anagni, città natale di Emanuele. «Non possiamo sostituire o intervenire negli atti della giustizia sportiva — ha spiegato il sindaco, Carlo Noto — ma sentendo le parole di Emanuele non possiamo non dargli forza». Pesoli attendeva anche un appoggio diverso da Tommasi e dall'Aic, che domenica avevano diffuso una nota: «Sono profondamente deluso — ha aggiunto — Mi sarei aspettato maggior sostegno, non solo dal punto di vista umano».

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Impugnati i proscioglimenti

Scommesse, Bonucci e Pepe

Il pm Palazzi ci riprova

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 14-08-2012)

Stefano Palazzi non si arrende e, dopo aver valutato la situazione, ieri ha deciso di impugnare tutti i proscioglimenti decretati dalla Commissione Disciplinare della Figc per il processo sul calcioscommesse. Quello del procuratore federale è un vero e proprio atto di forza, che riporta sotto la lente della giustizia sportiva i bianconeri Pepe e Bonucci, insieme a Salvatore Masiello e Belmonte per i fatti di Udinese-Bari, ma anche Vives per Bari-Lecce e la coppia Di Vaio-Portanova per Bologna-Bari (i rossoblù emiliani rischiano nuovamente i 2 punti di penalizzazione, Portanova riparte dai 6 mesi di stop).

Lunedì il procedimento affronterà il secondo grado, davanti ai giudici della Corte di giustizia federale, e Palazzi è pronto a richiedere nuovamente 3 anni e 6 mesi di squalifica per gli illeciti sportivi e un anno per le omesse denunce. La mossa, fatta ieri sera in extremis prima della scadenza dei termini, ha sorpreso le parti che erano state deferite e poi prosciolte in primo grado, soprattutto perché dopo la riscontrata inattendibilità di Andrea Masiello e il cambiamento di rotta dello stesso Palazzi (per Bonucci voleva patteggiare durante il processo) la partita sembrava chiusa. Ed invece i riflettori tornano ad accendersi e gli avvocati ritornano in aula. Il secondo grado si risolverà nell’arco di pochi giorni: lunedì 20 si discuterà il filone di Cremona (quello che coinvolge Conte, pronto al ricorso contro i 10 mesi di squalifica), martedì 21 quello di Bari e per giovedì 23 sono attese le sentenze. La camera di consiglio della Corte federale, rispetto a quella della Commissione disciplinare, sarà molto breve perché non verranno scritte subito le motivazioni, ma solo il dispositivo.

Non ritenendo congrue le decisioni del primo grado, con 19 condannati e 7 tesserati assolti (esclusi i patteggiamenti), Palazzi ha impugnato le carte e sosterrà le stesse accuse nei confronti dei prosciolti. Per il procuratore federale Masiello viene considerato credibile perché ha permesso di accertare illeciti e condannare altri tesserati. La partita più delicata si gioca proprio attorno a Udinese-Bari 3-3 del maggio 2010 con Pepe e Bonucci in primo piano.

E proprio ieri un tweet di Pepe dopo pranzo sembrava voler riaprire la sfida con Palazzi, però quel «Ritenta sarai più fortunato!» non ha destinatari o un contesto preciso ed è rimasto così in sospeso. Come un processo che venerdì sembrava concluso definitivamente ed ora torna in discussione.

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Palazzi si accanisce

Ricorso in appello: «Condannate tutti. Anche Pepe e Bonucci»

Solo Padelli e Bombardini sfuggono all’impugnazione del pm. Irritazione Juve. Il tweet ironico di Pepe

di SIMONE DI STEFANO & ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 14-08-2012)

ROMA. I faldoni con gli appelli sono arrivati in procura federale alle 18,53, poco dopo le prime conferme: dentro tutti, tranne Padelli e Bombardini . Palazzi fa all-in, soprattutto sul filone barese. Segue l’incredibile Andrea Masiello, o la va o la spacca, il pm federale: s’accanisce su tutti. Non molla la presa sugli juventini e azzurri, Bonucci e Pepe . Che hanno anche reagito all’insistenza accusatoria con battute poco gradite, come quella in cui il difensore definiva «obsoleta» la giustizia sportiva o il tweet amaramente ironico di Pepe, che si sente un perseguitato della vicenda. «Ritenta, sarai più fortunato», tweeta Simone all’ora di pranzo, prefigurando amaro la nuova sfida giudiziaria che terrà appeso lui, il compagno Bonucci e tanti altri fino al 22-23 agosto. Il 20 e 21 processo d’appello davanti alla Corte di giustizia. Intanto avvocati che sentono rotto un patto d’onore stretto nelle concitate e confuse ore del processo vissute dal Procuratore in apnea, coi risultati già visti. Si dice che il procuratore si giochi tutto: vittoria o dimissioni. Di certo, questo appello di massa a molti appare provocatorio. E fa risalire forte l’irritazione della Juventus e degli altri club.

UDINESE-BARI La gara su cui Palazzi ha fallito su tutti i fronti e su cui ora alza la soglia. Pesano quei cinque proscioglimenti in blocco, di Bonucci, Pepe, Salvatore Masiello , Belmonte (derubricato in omessa denuncia per Cesena-Bari) e l’Udinese. Palazzi cala la scure: tutti dentro, non ci sono distinzioni. Torna in ballo Bonucci e le quattro versioni di Andrea Masiello sul luogo dove ci sarebbe stato il presunto avvicinamento con Andrea Masiello per concordare l’illecito. E torna di moda la presunta telefonata - senza riscontro - tra Salvatore Masiello e Pepe, quindi anche la multa per l’Udinese. Per il pm federale sarà una montagna da scalare, perché le motivazioni della Disciplinare sembrerebbero non lasciare spiragli: «Le dichiarazioni di Andrea Masiello risultano in alcuni casi non veritiere, in altri non provate e in altri ancora smentite da quanto in atti, anche alla luce del principio espresso dalla Corte di giustizia federale, secondo il quale solamente in presenza di elementi certi e incontrovertibili, si può ritenere accertata una condotta illecita».

LECCE E VIVES Ma se Udinese-Bari è rimasta in bilico fino all’ultimo, sembrava quasi certo il ricorso su Giuseppe Vives , prosciolto per il derby Bari-Lecce. Vives dovrà tornare a difendersi dall’accusa di essere stato il braccio operativo di Semeraro cercando il segnale con Masiello sul presunto accorso. Fa sorridere però che il pm federale abbia anche chiesto appello contro la società salentina, per la quale la Disciplinare aveva inflitto la retrocessione in Lega Pro ma commutato il -6 in una multa di 30mila euro. Palazzi rivuole i 6 punti di penalizzazione decurtati. Irritato, si dice, dalle dichiarazioni di chi vedeva nell’assoluzione di Vives, un grimaldello per l’appello del Lecce.

TUTTA BOLOGNA Quanto era certo fin dall’inizio trova conferma: per Palazzi Bologna-Bari non la fece solo Masiello ma partecipò anche Daniele Portanova . Derubricato in omessa denuncia, Portanova torna a tremare per l’illecito, e con lui Marco Di Vaio , che secondo la tesi di Palazzi fu avvertito e rifiutò. La Disciplinare lo aveva prosciolto, ora anche l’ex capitano del Bologna torna in aula per difendersi dall’omessa denuncia. Il Bologna dal -2 e 50mila euro.

CREMONA Ma ci sono ricorsi anche sul filone cremonese (non chiede di inasprire la pena di Conte, però), per cui Palazzi richiama a giudizio Coppola che era stato derubricato in omessa denuncia per AlbinoLeffe-Siena. Sarà il primo filone ad essere estinto, con inizio il 20 agosto, il 21 seguirà quello barese con sentenze previste tra il 22 e 23 agosto. Oggi invece scade il termine per gli avvocati di depositare le memorie e chiedere gli atti. Da lì conosceremo anche le motivazioni di tanto azzardo.

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