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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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LA STORIA

Calciopoli, sei anni dopo

Fatti e sentenze sull'era Moggi

In libreria "Calciopoli, la vera storia", scritto dall'ex pm Giuseppe Narducci: un volume che mette un punto sul più grande scandalo del calcio italiano. Di parte (quella della pubblica accusa) ma difficilmente discutibile. Un esercizio di memoria utile che, ancora oggi, risulta sbalorditivo

Corrado Zunino - repubblica.it -15-06-2012

la Repubblica: apertamente schierata

http://www.youtube.com/watch?v=_MjSS3E1kO4&t=2m7s

C'hanno 'na faccia talmente da stronzi che, piuttosto di indagare e

commentare in ordine alle deposizioni di Tavaroli, per una settimana

intera si sono limitati a dettare due righe dalla luna.

P.s.

Talmente S****O, Zunino, che ri-echeggiando in prima persona il suo

contributo a Farsopoli (rif. a sua intervista a Pieroni in pagg.176-178),

tira in mezzo un suo collega uscito distrutto ed assolto dal processo

napoletano: Ignazio Scardina (su cui G.Narducci infierisce ancora).

-------

Repubblica SERA 14-06-2012

aarxxTSa.jpg

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Alla decima balla nell'articolo di Zunino ho smesso di contarle.

Ma possibile che se la società non si muove i tifosi non possano fare una class action contro chi racconta balle che offendono la propria squadra?

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QUELLA PICCOLA CITTÀ

INVASA DAI TURISTI

DEL GRANDE SCANDALO

CREMONA

AVVOCATI, CAMERAMEN E, SOPRATTUTTO, TIFOSI ARRABBIATI... L’INCHIESTA

SULLE PARTITE TRUCCATE È TUTTA UN PELLEGRINAGGIO, TRA PRIGIONE

E PROCURA, CHE INDIGNA GLI ABITANTI. VIAGGIO NEL CUORE DEL PALLONE TRADITO

di LEONARDO COEN (IL VENERDI DI REPUBBLICA | 15 GIUGNO 2012)

CREMONA. Un’auto targata Torino accosta in piazzetta Santa Lucia,

davanti allo studio mobile Rai, parcheggiato sul marciapiede dalla parte

della fermata d’autobus B: «Novità?». «Nessuna. Tutto tranquillo, oggi».

Il tecnico indica via Stefano Jacini. Deserta. Il sole del tramonto illumina

la facciata della Procura. Il portone, al numero 6, è chiuso e protetto da

una cancellata di ferro. Inutile bussare alla porticina del 6/a. Roberto Di

Martino, il procuratore capo, diventato suo malgrado il magistrato più

famoso d’Italia per via dello scandalo di Calcioscommesse, è tornato a casa.

Da un paio di giorni, poi, ha scelto la strada del silenzio. Per un po’ di tempo

vuole evitare di parlare coi giornalisti. È stanco di essere sotto i riflettori dei

media. Ed è stanchissimo perché l’inchiesta, partorita come un topolino,

è diventata pesante come un elefante.

Non che si sia mai fatto intimidire dalle dimensioni dei casi giudiziari

affrontati. Anzi. Sua è stata l’inchiesta sul terrorismo islamico che aveva

una cellula clandestina proprio a Cremona. Senza dimenticare la strage

di piazza della Loggia di Brescia del 28 maggio 1974, otto morti e 102 feriti,

un massacro rimasto impunito, un pezzo di Storia mancata. Di Martino ce

l’aveva messa tutta, insieme al pm Francesco Piantoni, pur di riannodare

i fili spezzati delle indagini sovente «deviate», pur di recuperare le

prove occultate e capire il perché delle prove distrutte.

Ed ecco che, un anno fa, gli scoppia tra le mani il caso Minias, cioè il caso

del calmante somministrato da Marco Paoloni, il portiere della Cremonese,

ai compagni di squadra durante l’intervallo della partita contro la Paganese:

è il primo giugno del 2011 quando Paoloni viene arrestato. Pareva una

storia piccola, per una procura piccola di una città piccola dove tutti

conoscono tutti, e infatti da mesi si mormorava delle strane «papere»

collezionate da Paoloni. Uno dei tanti furfanti pescati a imbrogliare la partita...

Chi mai si sarebbe aspettato di approdare in Asia, di fiondarsi a Singapore,

nei Balcani, in Romania, in Bulgaria, di inseguire le malefatte della Banda

degli Zingari, di vedere coinvolti mostri sacri del calcio?

In questura, Sergio Lopresti e la sua squadra mobile a un certo punto

hanno dovuto arrendersi all’evidenza: da soli non potevano farcela. Si è

formata una task force specializzata, grazie ai contributi di Brescia e

Bologna e dello Sco, e nel rispetto formale delle competenze: il segreto

del successo investigativo. Più dura la situazione in Procura: che rimane

sotto pianta organica. Col procuratore capo dovrebbero operare altri tre

pm, invece sono solo due (Francesco Messina e Fabio Saponara), e il lavoro

non manca, c’è un fascicolo delicato da trattare, l’indagine sul presunto

inquinamento della falda acquifera da parte della raffineria Tamoil, per

Cremona una patata bollente. Per evitare sconquassi, Di Martino sceglie di

assumersi l’onere dell’inchiesta Calcioscommesse (coinvolgendo il gip Guido

Salvini), liberando i due pm. L’impressione è che sia sempre più difficile

venir fuori dalla palude calcistica, ma Di Martino e Salvini hanno l’ambizione,

tipicamente provinciale, di dimostrare che ci si può liberare dalle nostre pigrizie,

dalle pessime abitudini.

L’auto targata Torino si allontana, non prima d’aver chiesto l’indirizzo

della prigione: «Non ce ne andiamo senza una foto!». Un cameramen lo

guarda di traverso. «Il turismo del Calcioscommesse!», dice, e nella voce

c’è un bel po’ di disprezzo. Poco più in là, verso il centro, un manifesto

nero annuncia la seconda edizione dell’altro lato del violino, «happy hour

in musica all’Ala Ponzone», al museo civico di Cremona, in risalto

la silhouette di un fondoschiena femminile nudo. Ironia alla Tognazzi che,

non a caso, era di Cremona.

«In realtà, il turismo tradizionale e colto del cibo, del Torrazzo e dello

Stradivari non tradisce mai, lo ha dimostrato il recente festival Le corde

dell’anima, sapiente mix di musica e letteratura, che si è tenuto dal primo

al 3 di giugno» spiega Vittoriano Zanolli, direttore del quotidiano locale la

Provincia, «la nostra città ha un potenziale enorme. E, contrariamente alle

apparenze, è una città insospettatamente vivace». Verissimo. Cremona è

bella. È ricca: il suo patrimonio culturale, musicale, liutario è universalmente

riconosciuto. La Libera – ossia la Libera Associazione Agricoltori Cremonesi

– è uno dei cuori pulsanti della città (conta 2500 soci), qui si produce un

decimo del latte italiano, qui c’è la Negroni, qui c’è l’impero del torrone

(Sperlari, Vergani, ma anche la piccola e quotatissima Rivollini), qui cibo e

violini sono una miniera d’oro, secondo Antonio Auricchio, il re del provolone

(sebbene sia nato a Parma, è cremonese d’azione e di cuore), per lui, però,

Cremona è una città che non sfrutta i suoi tesori, «è come una bella

addormentata».

Opinione non condivisa dal resto del mondo, dopo il fatidico primo giugno

del 2011, il giorno che il portiere Paoloni della Cremonese finì in manette.

Da allora, non passa giorno che il nome di Cremona non venga

associato all’inchiesta di Calcioscommesse: «Da un lato, questo ci inorgoglisce,

perché ci diciamo: tutto è merito nostro, i nostri magistrati hanno scoperto il

Grande Imbroglio» dice Matteo del grande negozio 3T Store di piazza Stradivari

«da un altro punto di vista, tuttavia pensiamo anche che il primo ad essere

coinvolto è stato il portiere della nostra squadra di calcio». Orgoglio e

vergogna. La Cremonese è un’istituzione cittadina. Il proprietario Giovanni

Arvedi, presidente dell’omonimo gruppo d’acciaierie che impiega 2400

dipendenti, è uno dei padri padroni di Cremona. In città sono convinti che

prima o poi cederà la società. È tutto preso dal progetto del Museo del

Violino, che verrà inaugurato a settembre. Ha puntato molto sulla nuova

Cittadella dello Sport. Lavoro, cultura, sport. Uno sport «pulito», non

inquinato da truffe, scommesse e doping. Arvedi è stato uno degli sponsor

di Oreste Perri, l’attuale sindaco di centrodestra (eletto nel 2009), quattro

volte campione mondiale di canoa, uomo che ha sempre cercato di andare

oltre le divisioni dei partiti. Un Pisapia di destra, un manovale del remo

– attività sportiva in auge da queste parti – che «batte i politici di mestiere»,

come pensa il cittadino Massimo Rizzi. Il fatto che Cremona sia sempre nel

cuore delle cronache italiane e di quelle straniere per via delle scommesse

truccate non garba a nessuno. E ancora meno, garba il fenomeno collaterale

del turismo dai contorni indefinibili e dai contenuti ancor più inqualificabili,

che gravita attorno all’abisso immorale del pallone italiano. Sempre più

gente, infatti, arriva a Cremona e chiede gli indirizzi della procura che

ha scoperto l’inghippo, della questura che ha arrestato i calciatori e della

prigione dove sono finiti, tra gli altri, Stefano Mauri, capitano della Lazio,

e Omar Milanetto, centrocampista del Padova (ed ex del Genoa).

È qualcosa che va al di là della curiosità morbosa. È la configurazione di

un itinerario spirituale del tifoso tradito, dell’appassionato deluso, dello

spettatore incazzato. Questi pellegrini dell’indignazione calcistica sono

comparse di un reality non più confinato negli stadi o negli studi tv, ma

tra le strade e i palazzi di un’antica bellissima città che si vanta d’essere la

più agricola della Lombardia, quasi a voler sottolineare il suo legame

profondo alla terra, anzi, a queste terre d’acqua, ritagliate tra il Po e il

tratto inferiore dell’Oglio.

Il riferimento all’acqua non è casuale. In fondo, il Calcioscommesse non è

una sorta di allegorico naufragio dello «sport più bello del mondo »? La

carcassa di Scommessopoli, disossata negli uffici giudiziari e nelle stanze

della polizia, è protagonista di un naufragio ancora in corso. Con

l’aggravante che l’inchiesta non solo va avanti, ma si è gonfiata a tal punto,

che ha rischiato di sopraffare le esigue forze degli inquirenti locali.

Ed è qui il bello. Da sempre Cremona vive storie di provincia e di frontiera.

Da quando fu la prima città che i romani costruirono a nord del Po, due

secoli prima di Cristo. Nel magnifico cortile Federico II dell’Arengario, dove

si trova il palazzo Comunale, di fronte all’altissimo Torrazzo e al meraviglioso

Duomo, c’è una significativa lapide dedicata a Giacomo Pagliari, «ucciso

a Porta Pia di Roma il 20 settembre 1870 nel combattimento che fu ultimo

ad atterrare una dominazione sacerdotale non voluta da Cristo condannata

dalla ragione e dalla Storia». Sono parole che raccolgono lo spirito indipendente

e fiero della città. L’essenza del provincialismo più nobile. Don Primo

Mazzolari, che era nato a Santa Maria del Boschetto, una frazione della

campagna attorno a Cremona, era un’altra voce che non conosceva inchini.

Lottò contro l’ottusità delle gerarchie ecclesiastiche, convinto che l’avvenire

fosse «della democrazia», nei primi anni Cinquanta fu il centravanti della

dottrina sociale i cui valori si imperniavano nel pacifismo e nella

nonviolenza, tanto da sostenere un forte movimento di resistenza contro

la guerra. Una sua frase chiosa il primo degli «incontri istituzionali » voluti

dal sindaco Perri, «non a destra, non a sinistra, non al centro ma in alto», a

proposito di «una politica per la città».

E allora, dopo aver sbirciato foto stupende in bianco e nero esposte

dall’Ottica Faliva («Era sul Po la nostra Rimini»), conviene tirar dritto

verso l’Ospedale Maggiore, e la sua torre. Non lontano da lì, in via Ca’

del Ferro, sorge il carcere che ha accolto e poi rilasciato Mauri e Milanetto.

Siamo ai limiti della città, verrebbe voglia di dire, ai limiti della civiltà.

Oltre, c’è solo tanta campagna e la tangenziale, uno dei tanti non luoghi dei

nostri tempi. La prigione, iniziata nel 1986 e terminata nel 1992, avrebbe

dovuto ospitare all’inizio 150 detenuti in altrettante celle di nove metri

quadrati: due letti, una tv a colori con telecomando e radio, un armadietto,

un gabinetto. Il decreto Scotti-Martelli del 1992 ne raddoppiò invece capienza

e problemi: oggi nelle sei sezioni si stimano in quattrocento. Dicono che

tutti fanno a gara per organizzare partite con gli ospiti «eccellenti». Non si

sa mai.

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Stavolta l'ho recuperato prima dell'imbarazzato oblio

aanNMzgo.jpg

LINK ORIGINARIO

-------

Aggiornamento

E' tornato online a questo link,

più tardi nella notte.

aagW2xZy.jpg

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Era ovvio che la scritta ermetica "30 sul campo" si sarebbe prestata ad interpretazioni ironiche degli antijuventini. La società è stata come minimo ingenua.

Comunque questa cosa di mettere articoli o immagini offensive online e rimuoverli oramai è sistematica.

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COMUNE NAPOLI, IPOTESI

AURICCHIO AL POSTO DI NARDUCCI

Napoli - La priorità per la giunta De Magistris è l'approvazione del bilancio,

carico di criticità storiche e attuali, ma tiene molto banco anche il rimpasto

a cui il sindaco sta lavorando da diversi giorni. Sempre più freddo il

rapporto con l'assessore alla Legalità Giuseppe Narducci, che – secondo

indiscrezioni raccolte dal VELINO – potrebbe essere sostituito prima

dell'estate dal capo di gabinetto del primo cittadino, il tenente colonnello

dei carabinieri di Calciopoli, Attilio Auricchio (che con De Magistris aveva

lavorato in alcune inchieste scottanti a Catanzaro). Il posto di Auricchio

andrebbe all'attuale vice capo di gabinetto, Alessandro Nardi. L'assessore al

Bilancio, Riccardo Relafonzo, pure rischia, ma potrebbe continuare a

collaborare con il sindaco con altre deleghe: De Magistris ha parlato in

questi giorni con vari professionisti del campo della contabilità come il

professor Emiliano Brancaccio e il numero uno dell'Ordine dei giornalisti

Achille Coppola. Voci al momento, ma i nodi verranno presto al pettine. Per

l'ingresso di Pd e Sel se ne parla invece eventualmente a dopo l'estate.

(ilVelino/AGV)

(rep/cp) 15 Giugno 2012 15:39

___

In aula «Il Velino»: Attilio Auricchio per la successione

Narducci (ancora) assente,

l'addio forse dopo il bilancio

di PAOLO CUOZZO (Corriere del Mezzogiorno - Napoli 16-06-2012)

NAPOLI — Secondo Consiglio comunale in tre giorni, seconda seduta

con l'assessore Giuseppe Narducci assente. Due indizi che fanno una

prova. L'assessore-pm starebbe infatti per lasciare il Comune di Napoli.

Il suo (possibile) addio è dato per prossimo, subito dopo il via libera dell'aula

al bilancio (non oltre il 21 giugno?). Un modo elegante per evitare che

l'argomento prenda il sopravvento sulla discussione del documento

programmatico. Allo stato, i margini per ricucire uno strappo tra sindaco e

Narducci non sembrano esserci. Salvo sorprese. Da giorni, infatti, Narducci

anche a palazzo San Giacomo, si vede poco. E mercoledì scorso, quando

era atteso in aula per rispondere ad una interrogazione che riguardava le

sue competenze, è risultato «assente giustificato». E anche ieri era l'unico,

tra i 12 assessori che non si è visto. Un caso? Difficile pensarlo. Tanto più

alla luce dell'amarezza trapelata dalle sue parole (poche) a proposito di

un possibile rimpasto che lo riguarderebbe, con de Magistris che ha

anche ribadito che «non ho necessità di vederlo in questo momento».

L'agenzia di stampa Il Velino avanza pure un'ipotesi alternativa a

Narducci: quella di Attilio Auricchio, attuale capo di Gabinetto, che

potrebbe ricoprire l'incarico almeno fino alle prossime elezioni politiche.

In questo caso, sempre secondo Il Velino, il posto di Auricchio andrebbe

all'attuale vice capo di gabinetto, Alessandro Nardi. L'assessore al Bilancio,

Riccardo Realfonzo, dovrebbe invece continuare a collaborare con il sindaco

ma deleghe riviste: de Magistris avrebbe parlato in questi giorni con vari

professionisti del campo della contabilità. Tra i quali Achille Coppola,

presidente dell'Ordine dei commercialisti.

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Che illuso!

Leggendo il titolo (ma solo il titolo, non andrò oltre neanche di un rigo) "Calciopoli, la vera storia", pensavo che l'assessore (o già ex?) volesse dirci che non è vero quello che ha detto al proccesso e avrebbe detto veramente come sono andate le cose.

Pensavo ad una spiegazione del "piaccia o non piaccia", per esempio.

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Joined: 08-Jul-2006
21392 messaggi

Era ovvio che la scritta ermetica "30 sul campo" si sarebbe prestata ad interpretazioni ironiche degli antijuventini. La società è stata come minimo ingenua.

Comunque questa cosa di mettere articoli o immagini offensive online e rimuoverli oramai è sistematica.

vero però

chi avrebbe mai pensato nel 2006 o dopo il famoso striscione

bon travaille......

che il presidente della juve insistesse su questo tasto

non facesse cadere tutto nell'oblio

tenesse viva la fiammella della soperanza

c'è una spada di damocle sulla testa di tanti individui

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Cari nemici (e follower) della Gazza...

di SEBASTIANO VERNAZZA dalla rubrica NON CI POSSO CREDERE! (SW SPORTWEEK 16-06-2012)

Oggi parliamo di noi. Su Twitter hanno creato l’hashtag – tecnicismo

per definire un argomento di discussione – "Io non compro la Ġazzetta".

Sono stati degli juventini, inferociti perchè la Gazza, come altri media, ha

riportato le notizie sul nuovo presunto coinvolgimento di Gigi Buffon

nella bufera scommesse.

Pochi giorni prima Aurelio De Laurentiis, presidente del Napoli, aveva

dedicato il trionfo in Coppa Italia «ai giornalisti juventini della Ġazzetta».

La quale cosa ha spiazzato molti tifosi bianconeri, che ce l’hanno giurata

dai tempi di Calciopoli: per loro siamo la "Pravda rosa", anti-Juve

per definizione.

Un anno fa si erano arrabbiati gli interisti, per i servizi sugli

aggiornamenti "calciopoleschi". I milanisti ci rinfacciano il fatto che

il nostro editore abbia Fiat e Pirelli tra gli azionisti. Pure i fan delle

piccole e medie squadre ci bersagliano.

Su un sito di atalantini ci deridono ("Giornale color suino") come se

fossimo stati noi, e non Cristiano Doni e i suoi compari, a scommettere.

Non vogliamo fare vittimismo. Anzi, gli attacchi dimostrano che facciamo il

nostro mestiere (informare i lettori, non gli ultrà). È la solita storia: "Quando

il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito". Non abbiamo la presunzione

di essere saggi, ma neppure siamo così stolti da scrivere articoli senza

verificare.

L’infallibilità non esiste, anche noi sbagliamo. Però è ridicolo pensare che

la Gazza sia parte di complotti e oscure trame. La Ġazzetta è la Ġazzetta.

Dal 3 aprile 1896 (...), mica ieri.

aabGYHxw.jpg

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Cari nemici (e follower) della Gazza...

di SEBASTIANO VERNAZZA dalla rubrica NON CI POSSO CREDERE! (SW SPORTWEEK 16-06-2012)

Oggi parliamo di noi. Su Twitter hanno creato l’hashtag – tecnicismo per

definire un argomento di discussione – "Io non compro la Ġazzetta”.

Sono stati degli juventini, inferociti perchè la Gazza, come altri media, ha

riportato le notizie sul nuovo presunto coinvolgimento di Gigi Buffon

nella bufera scommesse.

Pochi giorni prima Aurelio De Laurentiis, presidente del Napoli, aveva

dedicato il trionfo in Coppa Italia «ai giornalisti juventini della Ġazzetta».

La quale cosa ha spiazzato molti tifosi bianconeri, che ce l’hanno giurata

dai tempi di Calciopoli: per loro siamo la "Pravda rosa”, anti-Juve

per definizione.

Un anno fa si erano arrabbiati gli interisti, per i servizi sugli

aggiornamenti "calciopoleschi”. I milanisti ci rinfacciano il fatto che

il nostro editore abbia Fiat e Pirelli tra gli azionisti. Pure i fan delle

piccole e medie squadre ci bersagliano.

Su un sito di atalantini ci deridono ("Giornale color suino”) come se fossimo

stati noi, e non Cristiano Doni e i suoi compari, a scommettere. Non vogliamo

fare vittimismo. Anzi, gli attacchi dimostrano che facciamo il nostro mestiere

(informare i lettori, non gli ultrà). È la solita storia: "Quando il saggio

indica la luna, lo stolto guarda il dito”. Non abbiamo la presunzione di

essere saggi, ma neppure siamo così stolti da scrivere articoli senza

verificare.

L’infallibilità non esiste, anche noi sbagliamo. Però è ridicolo pensare che

la Gazza sia parte di complotti e oscure trame. La Ġazzetta è la Ġazzetta.

Dal 3 aprile 1896 (. . . ), mica ieri.

- In RCS nasciamo interisti.

- Galdi che partecipa alle indagini di Farsopoli

- Palombo che conosce in anticipo le sentenze della Giustizia Sportiva

- Titoli "Così truccavano i sorteggi" a fronte di verità opposte

- Un lavorìo costante contro la Verità dei nuovi fatti emersi e le intercettazioni occultate ...

Il Sig. Vernazza ne avrebbe da riflettere e su Buffon l'accusa non è che abbiano riportato la notizia ma come (come al solito).

Questo voler dimostrare imparzialità perchè tutti li attaccano è penoso.

A chi ti accusa di qualcosa devi rispondere nel merito.

Perchè può darsi che questo attacco da più parti (quello interista poi fa ridere sefz e vorrebbero dimostrare di essere imparziali così???) sia solo il segno di un modo di fare puntualmente sbagliato.

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Palazzo di Vetro di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 16-06-2012)

Cremona e Telecom

inchieste imperfette

e parole in libertà

Da una parte c’è stata un’eccessiva

disinvoltura, dall’altra troppa fretta

Dice giovedì 14 giugno Guido Salvini, gip della Procura di Cremona, che «gli

elementi assai gravi desumibili dalla conversazione telefonica riferibile a un

capo ultrà non hanno trovato una conferma soddisfacente nella successiva

audizione dello stesso tifoso». E aggiunge, «si tratta di dati investigativi

significativi ma non conclusivi e dovranno essere approfonditi verosimilmente

da un’altra autorità giudiziaria ». L’altra autorità giudiziaria è la Procura

di Genova e il motivo del contendere è Genoa-Sampdoria dell’8 maggio 2011.

Per Salvini, questa è la sostanza delle sue parole, non esistono prove certe.

Eppure il 6 giugno, otto giorni prima, l’agenzia Ansa e di conseguenza tutti i

media italiani erano stati messi a parte del verbale d’interrogatorio di

Milanetto. Nel quale Roberto Di Martino, pm della Procura di Cremona, dice al

giocatore che su Genoa-Sampdoria emergono «fatti che avranno un effetto

devastante, sarà la cosa peggiore di quelle che sono capitate in questa

inchiesta».

Pare che Salvini e Di Martino vadano d’amore e d’accordo e talvolta indulgano

a recitare due parti in commedia. Fatti loro. Ma inchieste, come questa su

Scommessopoli, che diventano giocoforza anche fatti nostri. Come conciliare

le parole dell’uno e dell’altro? Impossibile. E gli «effetti devastanti» chi ce

li dovrà raccontare, la Procura di Genova alla quale viene ora sbolognato

«per competenza » il fascicolo? Detto delle Procure della Repubblica tutto il

bene possibile per come stanno aiutando il calcio italiano a tirarsi fuori dalla

palude, ci si consenta una critica costruttiva. C’è già tanto di quel casino

che non si avverte la necessità di una gratuita e talvolta eccessiva

disinvoltura. Un po’ di maggiore prudenza, tipo quella che sembra guidare

le inchieste di Antonio Laudati a Bari, sarebbe gradita da parte di tutti.

Giuliano Tavaroli, l’ex capo della Security di Telecom, racconta.

Dell’«operazione ladroni» e di come l’Inter cercasse di far spiare questo e

quello (De Sanctis e Moggi) nei lontani 2002 e 2003. Per la verità Tavaroli, e

con lui Cipriani, lo fanno dal settembre 2006, all’indomani di Calciopoli,

quando il caso Telecom divenne di pubblico dominio. Vicende relative agli

intrecci Telecom-Inter di cui questo giornale si occupò già sei anni fa,

ponendosi degli interrogativi che provocarono l’irritata reazione di parte

dell’allora dirigenza Telecom (con tanto di querele annunciate e mai

pervenute). Vicende che tornano d’attualità ora che a Milano è in corso il

processo sullo spionaggio Telecom. E riaprono vecchie ferite calcistiche.

Oggi è chiaro, più che mai chiaro, che la breve inchiesta sulla liceità

dell’«operazione ladroni » condotta dall’allora capo dell’Ufficio Indagini

Francesco Saverio Borrelli, con relativo interrogatorio di Massimo Moratti, e

conclusasi nel 2007, dopo l’elezione di Giancarlo Abete alla presidenza

federale, con l’archiviazione a cura di Stefano Palazzi, meritava maggiore

attenzione e un epilogo meno frettoloso. A margine, due osservazioni.

1. Non bastassero le 72 pagine della postuma inchiesta Palazzi sulle

sopraggiunte intercettazioni Inter (estate 2011), la vicenda Telecom

conferma che lo scudetto 2006 non andava assegnato.

2. L’Inter, sia pure illegalmente, cercava nel 2002 e 2003 quel che

la Procura di Napoli ha poi «trovato» nel 2005 e 2006.
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«La Lega è assente

Rinnovi il contratto

o si rischia lo stop»

Tommasi «Avverto la stessa indifferenza di un anno fa

L'Aic è disponibile a ridurre l'area professionistica»

di MARCO IARIA (GaSport 16-06-2012)

Avviso ai naviganti: non è che quest'estate si ripeterà la telenovela del 2011,

che riservò nei titoli di coda lo sciopero dei calciatori di Serie A, il

secondo nella storia? Basta dare un'occhiata al calendario, senza dover

vestire i panni della Cassandra di turno: tra 14 giorni, il 30 giugno, scade

il contratto collettivo frutto di un accordo ponte che, all'epoca, stemperò

gli animi e permise a tutti quanti di godere dello spettacolo del campionato.

Aic e Lega s'impegnarono, sotto il pressing di Federazione e Coni, a sedersi

subito dopo attorno a un tavolo per sottoscrivere un'intesa di lunga durata.

Niente da fare. Solo dichiarazioni rassicuranti da una parte e dall'altra. E

ora il grido d'allarme lanciato dal presidente del sindacato, Damiano Tommasi.

Davvero si rischia di far slittare pure la partenza del prossimo

campionato?

«È un rischio che non mi va di ostentare. Sono convinto che si possa evitare,

anche se non si può non mettere nel conto un piano B».

Perché questo pessimismo?

«Con la Lega di A non siamo riusciti ad avere nessun incontro ufficiale. Le

abbiamo scritto più volte, l'ultima qualche giorno fa, ma non c'è stata

risposta. Quello della Lega sembra lo stesso atteggiamento di un anno fa,

quando l'esigenza di avere un contratto collettivo sembrava fosse solo nostra.

Eppure, nel frattempo, abbiamo firmato due accordi triennali con B e Lega Pro.

Evidentemente non siamo poco dialoganti».

Quali possono essere i motivi di attrito?

«Potrebbe essere la durata, ma non i contenuti. Con l'intesa del 2011,

definita innovativa dalla stessa controparte, erano stati superati gli scogli

più grossi. Mi preoccupa la mancanza d'interesse della Lega. Non ha istituito

nemmeno una commissione ad hoc e sembra più interessata alla convenzione

promo-pubblicitaria».

Che è vecchia di 30 anni, mentre il calcio si è trasformato.

«Ma noi non siamo arroccati sulle nostre posizioni. Nel contratto collettivo,

per esempio, vorremmo introdurre anche per la Serie A le novità recepite

da B e Lega Pro. Mi riferisco, in particolare, alla facoltà per i club di

sospendere automaticamente lo stipendio a chi si trova impossibilitato a

svolgere la prestazione professionale perché coinvolto nelle inchieste sulle

scommesse».

Si è sentito con Beretta?

«Sì ma in assenza delle deleghe dell'assemblea dei club non è che si possa

far molto. L'Aic ha rinnovato le sue cariche, la Lega no: magari può essere un

freno alle trattative».

Nel frattempo le urgenze del calcio italiano, alle prese con lo

scandalo scommesse e il crollo della competitività, sembrano

oggettivamente altre. L'Aic si rende conto, per esempio, che il

sistema non è più sostenibile?

«Sì, e anche noi siamo convinti che l'area professionistica debba essere

ridimensionata. Non si può vivere di soli contributi federali, bisogna

produrre spettacolo e avere una mission».

Ma lo sa che questo è un ragionamento anti-sindacale? Presuppone

che il parco dei calciatori "pro" si assottigli.

«Noi vogliamo salvaguardare la qualità del lavoro, non possiamo accettare

che le società mettano sotto contratto 50 giocatori, perché si finisce con lo

svilire le professionalità».

Un'altra ricetta?

«Le seconde squadre dei club di A in Lega Pro, magari Under 23 o 25,

segnerebbero una svolta. Bisogna rilanciare il movimento e puntare sui

giovani. Nel 2011-12 il 47% dei tesserati era straniero, contro il 31% del

2006-07. Una deriva pericolosa. Tra l'altro, le seconde squadre sarebbero

un buon filtro per le tentazioni di combine: il giovane vivrebbe l'esperienza

come un trampolino di lancio e andrebbe in campo per fare bella figura,

non per scendere a compromessi».

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GaSport 16-06-2012

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CorSera 16-06-2012

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Moratti, Tavaroli e i «Ladroni»

Quel dossier prima di Calciopoli

L’ex capo della security di Telecom e Pirelli conferma di aver spiato Moggi e De Santis

per conto dell’Inter. Punto per punto il verbale che fa nuova luce sullo scandalo del 2006

di GIGI MONCALVO (Libero 16-06-2012)

E adesso, Massimo Moratti, nel suo consueto briefing stradale coi giornalisti

a Milano sotto gli uffici della Saras, in via San Pietro all’Orto, come

risponderà? La solita scrollatina di capo, una battuta senza nessuno che osi

replicare, il consueto «ora basta, mi aspettano in ufficio» ? Certo non oserà

replicare a Giuliano Tavaroli, figuriamoci se si abbassa “al suo livello”.

Forse aspetterà di ricevere la linea da Ruggiero Palombo e Maurizio Galdi che,

sulla Ġazzetta dello Sport, da qualche giorno stranamente non hanno nulla

da dire? L’uno-due di Tavaroli, assestato non in una TV privata o al bar-sport,

ma nell’aula della Corte d’Assise di Milano nel processo per i dossier illegali,

nel corso delle sue ultime deposizioni (6 e 13 giugno) ha portato nuovi, importanti

elementi di verità, ma soprattutto di conferma in una sede ufficiale e probante.

Egli ha dimostrato, sotto giuramento, che l’Inter non poteva non sapere: era la

mandante, i presunti onesti non erano tali, santi e beati non ce n’erano: anzi,

facevano pedinare, spiare, intercettare. I verbali parlano chiaro, finalmente non

sono stampati su carta rosa ma sugli atti di un Tribunale.

C’è di più. I carabinieri di Milano sequestrarono a Tavaroli il personal

computer. Pochi giorni dopo quel prezioso pc è andato poi a finire a Roma

nella seconda sezione del Nucleo Operativo dei carabinieri di Roma, guarda

caso, proprio quella di via In Selci dove il maggiore Auricchio coordinava le

indagini su Farsopoli. Un avvocato ha scoperto nel fascicolo un decreto di

ispezione relativo a questo pc, che fu sequestrato a Milano il 3 maggio 2005 e

che si decise di inviare a Roma per farlo ispezionare. Il decreto in questione

fu firmato il 9 maggio 2005, il pc venne portato a Roma urgentemente quello

stesso giorno e alle 14 iniziò l’ispezione. La successione delle date è

intrigante e suggestiva, visto che quello fu il periodo in cui si stavano

concludendo le indagini su Farsopoli. In sostanza, per tenere in piedi

l’inchiesta che era stata gonfiata dal punto di vista mediatico per colpire

Moggi e la Juventus, ci si dovette basare in extremis sul “Dossier Ladroni”

preparato da Tavaroli tre anni prima e concentrato su pedinamenti e

intercettazioni contro Moggi. Dunque due nuove fonti di prova per la difesa

dell’ex dirigente juventino.

Incontro a tre

Cerchiamo di riepilogare i fatti, ricordando che a parlare è un

testimone-imputato per un reato connesso a ciò su cui si sta dibattendo

nel processo.

Sulla base di queste inconfutabili dichiarazioni messe a verbale davanti ai

giudici, proviamo a elencare fatti e circostanze.

1) L’incarico di spiare fu affidato a Tavaroli a fine 2002 «in un incontro a

tre con Massimo Moratti e Giacinto Facchetti» nella sede della Saras,

la società del presidente dell’Inter. Tavaroli fu convocato dalla segreteria

del Presidente Tronchetti Provera.

2) «Fui contattato da Moratti», «L’input arrivava da Moratti».

3) «Presi contatto con Facchetti per i termini organizzativi dell’operazione».

4) «Il dossier era per l’Inter».

5) «Il report (il famoso “Dossier Ladroni”, ndr) era teso a confermare le

rivelazioni di un arbitro (Nucini, ndr) in merito a possibili frodi sportive

del 2002». Venne realizzato ad inizio 2003 (da notare che i fatti di

“farsopoli” fanno riferimento a fatti al periodo successivo al 2003).

Tiger Team

6) «Le attività vennero poi condotte dall'agenzia Polis d'Istinto» di

Firenze che faceva capo a Cipriani. Si trattava del famoso “Tiger Team”.

7) Su Moggi «non svolsi le indagini io personalmente, ma credo che fu il

dottor Bove (l’ex manager Telecom trovato morto a Napoli nel 2006, ndr)»

a fare «l’analisi del traffico telefonico»

8) Il controllo è stato compiuto «sicuramente sul traffico telefonico di

Luciano Moggi, oltre che su quello di Massimo De Santis. Non ricordo se

anche su quello di Antonio Giraudo».

9) «Consegnai integralmente il rapporto a Facchetti, allora vicepresidente

dell’Inter. Poi ne discutemmo assieme, ma non so se poi riferì a Moratti e lo

mise al corrente dell’esito delle indagini».

10) «Quello non fu il primo incarico per cui l’Inter si rivolse a Tronchetti

Provera e quindi a me per un supporto professionale»: in precedenza

infatti Tavaroli era stato incaricato di controllare i calciatori Vieri e Jugovic.

Ricordiamo che quando il club nerazzurro si rivolge alla security della

società di Tronchetti Provera, quest’ultimo faceva, così come fa, parte

del CdA nerazzurro.

11) A pagare per quel primo dossier «fu l’Inter».

12) «Per il dossier Ladroni pagò Pirelli per un errore amministrativo».

Infatti non ha senso pensare che a Pirelli interessassero i fatti di Moggi o

dell’arbitro De Santis, non hanno nulla a che vedere con gli pneumatici,

mentre all'Inter ovviamente queste “investigazioni” interessavano assai.

13) L'Inter scarica l'eventuale responsabilità su Pirelli, ma occorre

rilevare che la società di Tronchetti Provera, azionista all'epoca dell'Inter

(ne deteneva il 19,485% delle azioni, in seguito vendute), è sponsor

nerazzurro ormai da anni.

14) Sulla fatturazione a Pirelli, anziché a Telecom, Cipriani ha detto che

Tavaroli gli riferì che era opportuno che l'Inter non apparisse direttamente.

Strane nomine

15) 3 maggio 2005: a Milano viene sequestrato dai Carabinieri il personal

computer di Tavaroli.

16) 9 maggio: i Carabinieri di Roma si presentano a Milano con un decreto

di ispezione del Nucleo Operativo e portano nella Capitale il prezioso pc,

contenente il “Dossier Ladroni” preparato su incarico dell’Inter tre anni

prima. Ricordiamo che Telecom aveva ai suoi vertici Tronchetti Provera e

Buora (dirigenti anche dell’Inter), il commissario della Federcalcio era il

prof. Guido Rossi (dirigente dell’Inter) e l’investigatore principale dell’ufficio

diretto da Francesco Saverio Borrelli era il tenente colonnello Federico

Maurizio D'Andrea, comandante della Guardia di Finanza di Bergamo. Pochi

mesi dopo quel suo incarico all’Ufficio Inchieste viene assunto come altissimo

dirigente proprio da Telecom, come capo della security e dell’intelligence

interna ed esterna. Il governo Berlusconi nell’agosto 2011, senza obbligarlo

a lasciare Telecom, lo ha nominato presidente della Sogei, la società di

informatica (già di proprietà Telecom e ora interamente controllata dal Tesoro)

che gestisce l'anagrafe tributaria dello Stato italiano.

17) I periti dei pm Robledo e Piacente, in un’altra inchiesta sullo spionaggio

e il dossieraggio illecito di Telecom, hanno scritto che fino al 2005 «il

sistema complessivo della rete Telecom era potenzialmente in grado

di raccogliere e analizzare i dati sensibili relativi alle comunicazioni

intercettate», mentre il sistema Radar poteva «segnalare l'esistenza

di traffico tra utenti che si volesse monitorare».

18) Il 31 agosto 2006 a Sabelli Fioretti (in un’intervista su Corriere della

Sera Magazine) Moratti, alla domanda sull’ex arbitro Nucini «Tempo fa venne

da voi e vi raccontò tutto il marcio che c’era nel calcio», risponde: «Lo

mandammo dai giudici ma non confermò il suo racconto. Ebbe paura delle

conseguenze». Domanda: poteva denunciare la cosa lei. Risposta di Moratti:

«Temevo che fosse una trappola per farci fare brutta figura. Però nacque la

voglia di capire che cosa ci fosse di vero». Domanda: metteste sotto

sorveglianza l’arbitro De Santis. Risposta di Moratti: «Una persona si offrì

di farlo. Conosceva alcune persone in grado di darci informazioni perché

lavoravano al ministero dove aveva lavorato De Santis. Ma non ne uscì nulla».

Interviste e amnesie

19) Il 22 settembre 2006 Roberto Beccantini intervista Moratti per La Stampa:

gli chiede se è preoccupato che possa essere tirata in ballo l’Inter a seguito

degli sviluppi delle indagini. Moratti risponde: «No, nella maniera più

categorica». Eppure faceste pedinare l'arbitro De Santis. Moratti risponde: «È

ormai un episodio di dominio pubblico. Le rispondo come risposi a Claudio

Sabelli Fioretti: un tizio si offrì di farlo. Era in contatto con persone del

ministero presso il quale aveva lavorato De Santis. Potevano offrirci delle

informazioni. Risultato: zero su tutta la linea. E comunque, c'è un'inchiesta

in corso. Meglio attendere gli esiti».

20) Dopo queste dichiarazioni qualcuno ancora dubita che Moratti fosse a

conoscenza del pedinamento illegale ai danni di De Santis? E Moratti era

all'epoca amministratore dotato di tutte le deleghe necessarie a rappresentare

l'Inter ed a sottoscrivere contratti vincolanti, non come Facchetti. Però

stranamente nel documento dei difensori dell’Inter di questi mesi a Milano

viene evidenziata solo la mancanza di deleghe di Facchetti ma nulla si dice

delle dichiarazioni di Moratti.

21) Massimo Moratti, nel 2007 – cioè un anno dopo lo scoppio di “Farsopoli” -

dichiarò davanti a Palazzi di non sapere nulla del “Dossier Ladroni”.

Contraddizioni

22) Palazzi, sulla base di questa dichiarazione, pronunciò - secondo la

Ġazzetta dello Sport - un’“assoluzione sportiva” (?) di Moratti per

il “Dossier Ladroni”, Mentre solo Tuttosport aveva osato far notare lo strano,

inquietante e vero «non doversi procedere» sentenziato da Palazzi. Quindi,

mentre la Ġazzetta celebrava l'assoluzione, Tuttosport non poteva esimersi

dal chiamare in causa Facchetti.

23) Per la Ġazzetta, l'Inter non rischia nulla perché per la giustizia

sportiva i fatti sono prescritti; su Tuttosport, invece, Alvaro Moretti

richiama l'archiviazione a suo tempo disposta da Palazzi, facendo notare

che la stessa era stata motivata, per il “Dossier Ladroni”, non per prescrizione

ma per improcedibilità. Adesso tale improcedibilità non avrebbe più ragion

d'essere, e dunque il relativo processo dovrebbe essere oggetto di una qualche

revisione.

24) «L'Inter ha appreso del “Dossier Ladroni” solo da notizie di stampa»:

questo si dice nel documento difensivo (a pag. 8) degli avvocati del club

nerazzurro depositato presso il tribunale di Milano nella causa civile

intentata da De Santis per risarcimento danni (21 milioni) per lo spionaggio

cui era stato illecitamente sottoposto.

25) C’è un altro fatto giudiziario rilevante. Nell'udienza preliminare del

processo sul dossieraggio Telecom, il Giudice dell’Udienza Preliminare

dott.ssa Panasiti era chiamata a decidere sul rinvio a giudizio del Tiger Team

per appropriazione indebita, come sostenuto da Pirelli, da Telecom ed anche

dagli stessi pm (bacchettati poi dalla stessa Panasiti). La Panasiti ha

stabilito (con pronuncia del 28 maggio 2010, depositata il 14 giugno) che

il Tiger Team operava nell'interesse e su input dei vertici Telecom e Pirelli, e

che anche il “Dossier Ladroni” venne realizzato nell'interesse del gruppo

Pirelli. E che l'Inter era considerata una “società del gruppo Pirelli” come

ebbe a testimoniare Ghioni.

26) Sulla base delle ultime deposizioni di Tavaroli in Tribunale e sotto

giuramento, Massimo Moratti avrebbe dichiarato il falso a Palazzi circa

il “Dossier Ladroni” affermando che non ne sapeva nulla. Su questo

fatto possibile che non ci siano risvolti in tema di giustizia sportiva?

27) E che cosa dire, alla luce di quanto sta emergendo su tre punti: la revoca

dello scudetto all'Inter, la ri-assegnazione alla Juventus, una dura sanzione

(Moggi ha chiesto la serie B) per il comportamento dell’Inter contro dei

tesserati, per condotta sleale e antisportiva.

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IL CASO

INCONTRO ALLA SPEZIA

La sparata di Nicchi «Prima di me

hanno agito i pirati. Ora si cambia»

«C’è chi ha dato la maglia a delinquenti

gli arbitri non la consegneranno mai»

di MIRCO GIORGI (IL SECOLO XIX - Genova 14-06-2012)

«QUALCUNO aveva portato l’Associazione Italiana Arbitri a picco, invece

il lavoro di tutti l’ha riportata a galla. Ora non c’è più spazio per i pirati».

Il presidente nazionale degli arbitri Marcello Nicchi getta veleno contro i

suoi predecessori. E lo fa intervenendo alla festa di fine anno della sezione

spezzina. Davanti ai presidenti delle sette sezioni liguri e ad alcune

centinaia di fischietti provenienti da tutta la Liguria, si è riferito al

recente passato dell’associazione in termini non proprio lusinghieri. A nostra

domanda su chi fossero questi pirati, Nicchi ha abbozzato una retromarcia

imbarazzata: «Era una battuta». Che si riferisse al recente passato delle

giacchette nere, tra Moggiopoli e dintorni, con diverse condanne inflitte dal

Tribunale di Napoli? L’ex fischietto aretino ne ha avute anche per i

calciatori di serie A: «Quest’anno il campionato maggiore è stato allo sbando:

si sono visti professionisti milionari in crisi di nervi fare delle gazzarre

indegne, azzuffarsi sul nulla, per gli arbitri è stato più difficile avere a

che fare con loro che con i dilettanti». E riferendosi ai calciatori del Genoa,

senza nominarli, li ha duramente stigmatizzati: «C’è stata gente che ha

consegnato la maglia ai delinquenti, gli arbitri non la consegneranno mai,

senza di noi il movimento non esisterebbe». Ma mentre il mondo dilettantistico

«sta prendendo coscienza e sta migliorando nei comportamenti, ora è il

professionismo che deve fare altrettanto». Ma non è tutto nero l’orizzonte per

il presidente Aia: «Si sta capendo che l’arbitro sbaglia come un portiere o un

centravanti, dopo un minuto non si parla più dell’errore. Questa è una grande

conquista». Buone notizie anche sul fronte della violenza che spesso vede

vittime gli arbitri, specie nei campionati minori: «In un anno le aggressioni

agli arbitri sono passate da 600 a 320, a fronte di 1.300 di alcuni anni fa.

Chi fa violenza agli arbitri deve pagare salato, chi non sa stare dentro un

campo va cacciato». Per i fischietti valanghe di miele e l’orgoglio di non

aver avuto a che fare «con lo schifo delle scommesse». Con una certezza:

«Noi il campionato lo arbitreremo, non si sa ancora chi lo giocherà».

___

Nicchi: «Sì agli arbitri di porta

ma la Can di A non si tocca»

Il presidente Aia: «Applicheremo le disposizioni Ifab

Però non possiamo allargare i quadri»

di MARIA MORONI (GaSport 16-06-2012)

Il comitato nazionale dell'Aia si riunisce a Foligno. È l'occasione per un

bilancio della stagione. Soddisfatto il presidente Marcello Nicchi. «Tutti i

campionati si sono svolti nella regolarità anche se è capitato di sbagliare —

commenta Nicchi —. Dietro un errore c'è solo questo. Gli arbitri svolgono

un lavoro di gruppo e quindi a raccogliere il risultato è sempre tutto il team».

Come valutate gli errori commessi?

«Vogliamo migliorare ed è per questo che stiamo lavorando costantemente

anche se, ahimè, qualche errore si commetterà ancora. Non siamo attenti al

singolo episodio, ma valutiamo il complesso della situazione perché l'arbitro

è parte integrante del gioco. Gli errori arbitrali sono molto diminuiti grazie a

una migliore preparazione atletica e alla competenza dei regolamenti».

L'International Board si riunirà il 5 luglio a Zurigo e dovrà decidere

anche sull'utilizzo dei giudici di porta nei campionati nazionali. Se

arrivasse il via libera?

«Non ci rimarrebbe che adeguarci, faremo quello che ci chiedono proprio

perché noi siamo un'associazione al servizio della Federazione. In concreto

se dovesse arrivare il via libera bisogna riorganizzare tutto valutando anche i

risvolti economici. Per quanto riguarda la Can A sicuramente non possiamo

aumentare l'organico di altre 20 persone perché ad ora non ci sono altri

arbitri formati all'altezza della situazione».

Il ritiro a Sportilia della Can A per quando è previsto?

«Inizierà il 28 luglio per terminare l'1 agosto».

Il 22 a Livorno si svolgerà la partita tra la nazionale Aia e quella

cantanti. Perché la scelta di creare una squadra?

«Anche noi vogliamo contribuire alla raccolta fondi per aiutare chi è

in difficoltà. A conclusione delle celebrazioni del centenario dell'Aia

si giocherà questa partita di beneficenza nel ricordo di Piermario Morosini.

La partita servirà a raccogliere fondi per la onlus Agbalt, impegnata presso

il reparto di oncologia pediatrica dell'ospedale di Pisa. Sarà la prima uscita

ufficiale della nazionale Aia».

-------

Nuovi organici

Salgono Tommasi e Calvarese

di FRANCESCO CENITI (GaSport 16-06-2012)

Solo il 2 luglio ci sarà l'ufficializzazione degli arbitri promossi nella Can

A, ma le decisioni sono state già prese. Queste: salgono di categoria

Gianpaolo Calvarese di Teramo 36 anni, 7 gare dirette nel massimo campionato

e Dino Tommasi di Bassano del Grappa anche lui 36 anni e 18 partite fischiate

in A. Bruciato sul filo di lana Davide Massa di Imperia, molto più giovane 30

anni e considerato uno dei più talentuosi tanto che la Can B aveva insistito

per ottenere 3 promozioni. Nulla da fare.

Addio Brighi e Gava Saranno Cristian Brighi e Gabriele Gava a lasciare

il gruppo del designatore Braschi. Per il primo si tratta di una scelta

«obbligata» essendo arrivato alla 10a stagione, il massimo per i non

internazionali. Solo una proroga poteva consentirgli di andare avanti, ma

nonostante una stagione quasi perfetta anche se la finale di Coppa Italia è

stata una direzione titubante a malincuore l'Aia è stata coerente con quello

detto tempo fa da Nicchi: «Niente proroghe, bloccano il ricambio». Per Gava è

stata una scelta tecnica dopo un paio di campionati così così. Le 7 stagioni

in A gli sono state fatali. Altri colleghi più giovani che hanno balbettato

sono stati salvati nell'ottica di un possibile miglioramento. Entrambi

potrebbero rientrare dalla finestra, se il 2 luglio arriverà l'okay ai giudici

di porta.

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Figc, il 22 consiglio federale

Abete e tutti i nodi da sciogliere

Fulvio Bianchi - SPY calcio - repubblica.it -16-06-2012

Giancarlo Abete ha convocato un consiglio federale per il 22 giugno: il giorno successivo, la Nazionale se finisse prima nel suo girone, giocherebbe un quarto di finale. Altrimenti, se finisse seconda, scenderebbe in campo il 24 giugno. L'altra ipotesi, l'eliminazione, sarebbe devastante: il bis dopo il flop dei Mondiali 2010 in Sudafrica. Il c. f. In giugno è obbligatorio per parlare di bilancio ma questa situazione può, e deve essere l'occasione, per mettere (o rimettere) mano su tanti problemi che rischiano di travolgere il nostro calcio. Una cosa è certa: Gianni Petrucci ha appena detto che l'uomo giusto per la Figc è sempre e ancora Abete, le elezioni saranno anticipate a fine anno, massimo gennaio 2013 (prima tocca alle Leghe), e quindi Abete ha poco tempo per cercare di avviare un piano di rilancio. C'è da dire, ad onore del vero, che uno statuto estremamente ingessato (e non certo voluto da lui) gli lascia scarsi margini di manovra e tutti i tentativi di modificarlo, con la buona volontà della commissione Tavecchio, sono miseramente naufragati. Ma ciò non toglie che sia arrivato il momento che Abete, sempre che voglia conservare quella carica in Figc che detiene dal 22 aprile 2007, alzi la voci, richiami tutti alle loro responsabilità, riavvia la macchina. Abete il 26 agosto fa 62 anni, è dirigente e imprenditore dai toni sempre estremamente moderati: ma ora deve mettere intorno ad un tavolo tutte le Leghe e le componenti, così vediamo chi sfugge e chi rema contro. I problemi da risolvere sono tanti. Troppi. Damiano Tommasi ha appena detto che la "Lega di A è assente, se non si rinnova il contratto dei calciatori c'è il rischio di un nuovo stop". Come lo scorso anno (28 agosto 2011), che il campionato partì in ritardo: su questo sia Petrucci che Abete erano stati già chiari, "non tollereremo più una cosa del genere". Siccome siamo a metà giugno, sarebbe il caso che iniziassero a trattare, no? Lo scorso anno Abete fece da mediatore: coi risultati che sappiamo. Ora Lega e Aic rischiano il commissariamento? Di sicuro, la Figc dovrà mettere mano anche alla giustizia sportiva: del processo-farsa non abbiamo ancora la sentenza, ma ora incombe il secondo (o terzo...), centinaia di audizioni, quando mai andranno in aula? La Figc non ha mai voluto chiarire: quando vanno consegnate all'Uefa le liste per le Coppe? Il processo potrebbe concludersi ad agosto: l'Inter il 2 agosto è già impegnata nei preliminari di Europa League, eventuali sanzioni Uefa su altri club coinvolti potrebbero essere prese a stagione già iniziata. Sai che caos. Abete, nei suoi blitz agli Europei, ha mai chiarito con Platini, di cui è uno dei vice, come sta esattamente la questione? Credo che i tifosi e i club abbiano diritto di sapere. Dopo la gaffe della volontà di intervenire a processo in corso, poi fortunatamente rientrata, un po' di chiarezza non guasterebbe. In futuro, la Procura federale va riformata: così non può farcela. Ci vogliono professionisti, o almeno rimborsi adeguati. Possibile che non si sappia ancora come è finita l'inchiesta di Genoa-Siena? Sono passati quasi due mesi da quello scandalo (22 aprile, Marassi) che ha gettato ombre sul nostro calcio. Per deliberare sul black out di Padova-Torino ci sono voluti cinque mesi: è normale? Lo chiedo ad Abete che aveva promesso celerità e trasparenza della giustizia sportiva. C'è voluto un anno per stabilire che il consiglio federale non era competente sullo scudetto 2006? E' normale? Stanno uscendo atti nuovi, o che erano stati nascosti, sullo spionaggio dell'Inter nei confronti di un arbitro (De Santis) e di un dirigente di un club avversario (Moggi): non si fidavano del mondo del calcio? Perché non sono andati alla procura della Repubblica? Calciopoli 2006 lascia ancora ombre inquietanti e quello scudetto 2006 davvero era meglio lasciarlo vacante. Resta poi la Lega di A. Latitante. Maurizio Beretta si è dimesso nel marzo 2011: in oltre un anno non sono riusciti a stabilire un nuovo sistema di governo, indispensabile per uscire dalla paralisi, tantomeno l'erede del mega-manager di UniCredit. Tanti sono sono "ballati": Carraro, Camiglieri, Carbonetti, Simonelli, Abodi, Paolillo, Albanese, eccetera. Per un motivo o per l'altro non stanno bene ai venti padri-padroni.

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5193 messaggi

Cari nemici (e follower) della Gazza...

di SEBASTIANO VERNAZZA dalla rubrica NON CI POSSO CREDERE! (SW SPORTWEEK 16-06-2012)

Oggi parliamo di noi. Su Twitter hanno creato l’hashtag – tecnicismo per

definire un argomento di discussione – "Io non compro la Ġazzetta”.

Sono stati degli juventini, inferociti perchè la Gazza, come altri media, ha

riportato le notizie sul nuovo presunto coinvolgimento di Gigi Buffon

nella bufera scommesse.

Pochi giorni prima Aurelio De Laurentiis, presidente del Napoli, aveva

dedicato il trionfo in Coppa Italia «ai giornalisti juventini della Ġazzetta».

La quale cosa ha spiazzato molti tifosi bianconeri, che ce l’hanno giurata

dai tempi di Calciopoli: per loro siamo la "Pravda rosa”, anti-Juve

per definizione.

Un anno fa si erano arrabbiati gli interisti, per i servizi sugli

aggiornamenti "calciopoleschi”. I milanisti ci rinfacciano il fatto che

il nostro editore abbia Fiat e Pirelli tra gli azionisti. Pure i fan delle

piccole e medie squadre ci bersagliano.

Su un sito di atalantini ci deridono ("Giornale color suino”) come se fossimo

stati noi, e non Cristiano Doni e i suoi compari, a scommettere. Non vogliamo

fare vittimismo. Anzi, gli attacchi dimostrano che facciamo il nostro mestiere

(informare i lettori, non gli ultrà). È la solita storia: "Quando il saggio

indica la luna, lo stolto guarda il dito”. Non abbiamo la presunzione di

essere saggi, ma neppure siamo così stolti da scrivere articoli senza

verificare.

L’infallibilità non esiste, anche noi sbagliamo. Però è ridicolo pensare che

la Gazza sia parte di complotti e oscure trame. La Ġazzetta è la Ġazzetta.

Dal 3 aprile 1896 (. . . ), mica ieri.

'azz!

Dopo il fatto quotidiano si sono sentiti colpiti pure questi!

Che belloo!

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Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

LA SENTENZA CALCIOPOLI.

ASSOCIAZIONE A DELINQUERE:

SÌ, NO, FORSE

Tweet: «Non siamo abituati ad avere tanti amici ma non mi

aspettavo di non averne nemmeno a Milano, dove la stampa

ci attacca» (Massimo Moratti).

di MASSIMO ZAMPINI (IL GOL DI MUNTARI - 2012)

Premessa

A novembre arriva la sentenza di primo grado del Tribunale di Napoli: Luciano

Moggi e alcuni altri imputati vengono condannati per associazione a delinquere.

A febbraio escono le motivazioni, e qui i giudici sono più duri con i pm che con gli

associati a delinquere: chi ha portato avanti l'accusa lo ha fatto a senso unico,

contro il solo Moggi, ne ha ostacolato la difesa processuale, il sorteggio degli

arbitri non era truccato i testimoni erano inattendibili, il campionato era

regolare, ma la distribuzione agli arbitri delle schede svizzere pare credibile ed

è sufficiente a integrare il reato configurato.

Questo stabilisce la sentenza di primo grado: inutile dire che quella d'appello,

e poi la Cassazione, magari se ne discosteranno del tutto, e allora valuteremo

cosa i giudici avranno definitivamente stabilito sulla vicenda. Per ora, però,

abbiamo la decisione di primo grado.

La contraddittorietà tra sentenza (durissima) e motivazioni (molto più

concilianti con gli imputati) è emblematica della vicenda giudiziaria più

incredibile che si ricordi, almeno in ambito sportivo. Di professione faccio

l'avvocato, per passione seguo il calcio sin da piccolo, per dovere civico e

interesse personale cerco di informarmi da sempre sulle principali vicende

politiche e giudiziarie italiane. Non solo: da quando avevo otto anni, per ragioni

professionali (tranquilli: di mio padre, non mie), ho sempre avuto a disposizione

sette quotidiani da leggere ogni giorno. Da sinistra a destra dallo sport a tutto

il resto. L'abitudine, quindi, è sempre stata quella di sforzarsi di comprendere

le ragioni di tutti, di spiegare a chi legge solo un giornale, o a chi crede

sempre e soltanto a una parte, che vi sono anche ragioni opposte, portate

avanti dagli «avversari», magari altrettanto valide o comunque degne di

attenta riflessione.

Calciopoli, sotto ogni punto di vista, è davvero un caso assurdo. Lo è per

l'appassionato di calcio, per l'avvocato e, a maggior ragione, per il lettore di

sette quotidiani al giorno.

L'appassionato di calcio da sempre

La vicenda, inutile prendersi in giro, non nasce certo nel 2006. Si pensi

alla tesi ricorrente di gran parte dei tifosi e di diversi giornalisti (per quanto

le due categorie spesso si confondano) secondo la quale la Juve, al di là

dei due revocati, ha fin troppi scudetti rispetto a quelli che avrebbe meritato di

avere.

Inutile dire quanto il teorema sia risibile e facilmente smontabile: basti

ricordare che le squadre di cui maggiormente si contesta la legittimità delle

vittorie sono quelle di Boniperti (che diede sei nazionali all'Italia campione del

mondo) e quella della Triade (che ne diede cinque, l'allenatore, il preparatore,

oltre a tre giocatori all'altra finalista ). Zoff, Gentile, Cabrini, tanto per

capirci, per molti non juventini non hanno meritato gran parte delle proprie

vittorie. Come già accennato, infatti, per la Roma è immeritato (loro dicono

rubato) lo scudetto del gol di Turone, per i fiorentini è immeritato (loro dicono

rubato) lo scudetto del rigore di Brady, e così via. Zoff, Gentile, Cabrini,

dunque, avrebbero dovuto vincere molto meno.

Una volta è l'arbitro, una volta le (presunte) squalifiche dei giocatori

avversari, una volta la fortuna, una volta il (presunto) doping: l'assunto da cui

parte l'Italia non juventina è che la società bianconera abbia vinto spesso con

metodi sporchi. Non per Zidane, Scirea, Baggio, Del Piero, Platini, Nedved, Lippi

e Trapattoni, ma per Paolo Bergamo, per Ceccarini, per i farmaci. Le sconfitte

all'ultima giornata nel pantano dopo ore di attesa o con regole cambiate in corsa,

quelle no, quelle sono sacrosante, e ci manca pure che vi lamentiate. Proprio voi,

che dovreste averne vinti la metà. Tutto ciò da sempre. Non certo dal 2006.

È per questo che le vicende di Calciopoli non le conosce quasi nessuno.

Non interessano a nessuno. Perché anche se dimostrassimo che quell'anno

non abbiamo truccato partite, sicuramente lo avremo fatto negli anni precedenti.

Anche Moratti ha fatto capire più volte che per lui i trucchi c'erano prima, più

che negli anni incriminati: lo scudetto a tavolino lo intende dunque come

una forma di risarcimento. Per questo la discussione sull'argomento non

può esistere: non perché ci siano idee opposte su quell'anno incriminato

(con alcuni tifosi avversari che si sono informati sì, ma sono una percentuale

quasi inesistente), ma in quanto dopo un minuto di dialogo si percepisce

che l'interlocutore non conosce la questione, se non attraverso quanto letto

sui titoli di qualche giornale, equindi si passa al doping, er-go'-de-Turone,

rigore-su-Ronaldo e così via.

Ora, questa non è la sede - e non ci sarebbe lo spazio necessario - per raccontare,

che prima del gol di Turone (tra l'altro sul filo del fuorigioco, difficilissimo

da vedere) c'erano state altre decisioni sfavorevoli alla Juve e subito

dimenticate, che l'anno del presunto rigore su Ronaldo all'andata c'era un rigore

di West su Inzaghi subito dimenticato, che la Juventus nella sua storia ha avuto

una marea di errori a sfavore ma non ne ha mai fatto una ragione di vita e quindi

non se li ricorda nessuno. Inutile, non c'è lo spazio e comunque non servirebbe.

Qui ci si deve soffermare solo sulla vicenda Calciopoli, che concerne la stagione

2004-2005 e, non si sa bene perché, quella successiva. L'assurdità della vicenda,

per un appassionato di calcio, emerge in primo luogo proprio dall'osservazione

delle partite. La Juventus, allenata da Fabio Capello, aveva appena acquistato

Ibrahimovic, destinato come sappiamo a fare sfracelli nel campionato italiano. Tra

gli altri, con lui, giocavano Nedved, Thuram, Cannavaro, Buffon, Emerson,

Trezeguet e svariati altri campioni. Tanto per essere chiari, Alessandro Del Piero,

che comincia la stagione da ventinovenne, parte in panchina insieme a un

giocatore come Mutu. Ora, per capire la forza di quella squadra, basti pensare che

il Del Piero trentottenne viene considerato elemento di cui non privarsi

assolutamente, pena la lesa maestà da parte del presidente Agnelli, mentre quello

ventinovenne era costretto in panchina da giocatori ritenuti dal tecnico di allora

più determinanti. Del Piero, a ventinove anni, era un panchinaro di quella squadra.

Sulla forza di quei giocatori davvero non sussistono dubbi. E in effetti va

riconosciuto che ben pochi avversari ne contestano la qualità da un punto di

vista, tecnico e caratteriale. Rimane appunto la questione arbitrale quella

principale: ebbene, qualunque tifoso abbia seguito da vicino quell' anno faticherà

a ricordare gravi errori arbitrali in favore della Juve. Da tifoso, un po' te ne accorgi:

ci sono degli anni in cui la squadra è più fortunata con i direttori di gara (nel

famoso 1998 le cose andarono così) e altri molto meno (gli anni post Calciopoli

sono stati una tragedia): quella 2004-2005 è una di quelle stagioni in cui il

bilancio non era certamente a nostro favore. Basti pensare che tra gli errori pro

Juventus che si ricordino, e per i quali si è ovviamente gridato allo scandalo, i

principali riguardano il match Roma-Juventus, terminato 1-2 (gol di Cannavaro

in fuorigioco, difficilissimo da vedere in diretta, e rigore per fallo su Zalayeta al

limite dell'area, forse fuori di qualche centimetro), partita in cui il romanista

Cufré dà un pugno (!) a Del Piero senza essere espulso e Ibrahimovic si

vede annullare per fuorigioco un gol regolarissimo.

L'altra partita che tuttora si ricorda, per evidenziare i vantaggi che riceveva

quella squadra, è un Bologna-Juventus arbitrato da Pieri. Il povero arbitro paga

e pagherà per sempre il fischio di un calcio di punizione (!) dubbio al limite

dell'area in favore della Juve. Sfortuna vorrà, per il suo prestigio e la sua

carriera, che Nedved infili un tiro fantastico e i bianconeri vincano la partita

grazie a quello. Un calcio di punizione è oggetto di discussione in un tribunale

italiano. Ora, ogni tifoso di calcio sa che una punizione dal limite, per quanto

pericolosa, decide la partita una volta su dieci. Di gol di Nedved su punizione,

nella Juve, ne ricordo pochissimi, forse addirittura solo quello. Se in una

stagione calcistica ci indigniamo addirittura per i calci piazzati ottenuti da una

squadra, è chiaro che non troveremo un campionato regolare a partire dall'inizio

del Novecento. Anche allora, chissà che la Pro Vercelli o il Vado non abbiano

ottenuto una punizione che non c'era o realizzato una rete in fuorigioco senza che

nessuno se ne sia accorto, giocatori avversari compresi. L'altra contestazione,

relativa a episodi dubbi in favore dei bianconeri, riguarda la mancata sanzione

per una mezza trattenuta in area su Crespo in Juventus-Milan, che se mi dai rigore

contro spacco il televisore e chiedo anche i danni morali all'arbitro Bertini.

Basta. In più di trenta partite, alla Juventus, nell'anno che le è costato la

retrocessione in serie B e la revoca di due scudetti, i tifosi avversari (non

proprio noti per essere generosi nei suoi confronti) rinfacciano un gol in

fuorigioco che in diretta era sfuggito anche ai giocatori dell'altra squadra, un

rigore pochi centimetri fuori dal limite dell'area, un calcio di punizione e una

mezza trattenuta non sanzionata. Gli episodi avversi, invece, sono tanti e ben più

evidenti. A cominciare dalla partita delle partite, Reggina-Juventus, quella del

fantomatico (ma rimasto impresso nell'opinione pubblica) sequestro di persona

dell'arbitro Paparesta da parte dell'Anonima moggiana. Ci si è spesso soffermati,

appunto, su questo terribile rapimento, finito fortunatamente nel migliore dei

modi, con il direttore di gara barese che ha potuto riabbracciare i suoi cari dopo

lungo patimento. Ma pochi ricordano cosa sia accaduto nel corso della gara. Ci

viene in soccorso, guarda un po' tu, la moviola della «Ġazzetta dello Sport», che

racconta così quanto accaduto quel giorno: «L'arbitro non aveva visto un chiaro

fallo di mani di Balestri (già ammonito) in area, annulla una rete a Ibrahimovic e

una nel finale a Kapo per un fallo di mano dubbio». Un rigore netto negato, con

conseguente espulsione mancata, e due gol annullati, con decisioni dubbie. In

poche parole, questi episodi già pareggiano, da un punto di vista quantitativo, i

più gravi in favore della Juve nel corso di tutto il campionato contestato. E poi

ti lamenti se ti sequestrano? Non c'è davvero più religione.

Ma non basta. Gli episodi contro i bianconeri, nell'anno della Cupola, sono

anche altri, altrettanto clamorosi: tra gli altri, un gol di Cannavaro non visto

contro la Fiorentina (ma non diventerà mai il titolo di un libro, possiamo starne

certi), un clamoroso rigore negato a Del Piero a Parma e un altro fallo in

area non sanzionato a Palermo da De Santis, l'arbitro della Cupola. La partita

decisiva, il big match Milan-Juventus a poche giornate dalla fine, in cui ci si gioca

tutto, lo arbitra Collina, non proprio il preferito dei tifosi bianconeri. E la Juve

lo gioca senza la sua stella principale, Zlatan Ibrahimovic, squalificato per tre

giornate grazie alla prova TV per una manata a Cordoba, prontamente ripresa

e segnalata dalle televisioni Mediaset. A occhio, quindi, la Cupola per quella

partita non si è industriata più di tanto. Con Collina e senza Ibra. Ma a San Siro

vince la Juve. Rovesciata di Del Piero, gol di Trezeguet. I due del 5 maggio, i

due di mille vittorie.

La nuova stagione si apre con la Supercoppa italiana, tra Juventus e Inter (non

ricordo bene perché proprio tra loro due, forse il trofeo si disputa tra chi vince

lo scudetto sul campo e chi se lo vede assegnato a tavolino). Arbitro De Santis,

proprio lui. Vince l'Inter, con gol di Trezeguet annullato per fuorigioco

inesistente. Non c'è niente da fare, è proprio la Cupola più pazza del mondo.

Sul campo, prima di ascoltare le intercettazioni e di leggere mille chiacchiere di

ogni genere, i tifosi italiani hanno visto questo. Ma questo scudetto è stato

revocato, come quello seguente, che pure non è mai stato oggetto di indagini

ed era governato, dal punto di vista arbitrale, da personaggi diversi rispetto

al 2005. Al di là di ogni sentenza, di ogni titolone di giornale o di ogni luogo

comune sulla Juve, che comunque ruba, e se non ruba si dopa, in campo è

accaduto questo.

Per finire, da appassionato di calcio, devo però aggiungere una verità, tendendo

la mano ai poveri accusatori, che indagavano convinti di trovare chissà che: sono

stati pure scalognati, perché da tifoso credo di non avere mai visto una stagione

così sfortunata dal punto di vista arbitrale per una Juventus (ma anche un'altra

squadra) che abbia poi vinto lo scudetto.

L'avvocato

Professionalmente, non mi occupo di diritto penale. Tranne che per gli

studi universitari, quelli per l'esame di avvocato e lo studio di qualche

piccola pratica, non ho quindi una profonda esperienza diretta nella specifica

materia. Tuttavia, non serve essere dei penalisti di lungo corso per cogliere

appieno le contraddizioni, le omissioni, le violazioni del diritto della difesa e le

troppe pressioni che hanno caratterizzato questa vicenda giudiziaria.

Anzitutto, le contraddizioni: si è già accennata la contraddizione principale,

relativa alla discrasia tra dispositivo e motivazioni della sentenza penale di

primo grado (sulla superficialità e parzialità dei processi sportivi non vale

neanche la pena soffermarsi). Associati a delinquere, ma non troppo.

Merita invece soffermarsi su qualche passaggio indicativo della sentenza, primo

vero giudizio su Calciopoli con gran parte degli elementi necessari conosciuti dal

collegio giudicante: ne mancherebbero altri, a dire il vero, considerato che le

difese devono ancora ascoltare decine di migliaia di telefonate, ma perlomeno

stavolta si è giudicato conoscendo tante chiamate di dirigenti di altre squadre,

misteriosamente omesse e dimenticate da parte dell'accusa.

Partiamo dai principali motivi per cui si è arrivati alla condanna.

Non vi è dubbio che l'elemento più rilevante, ai fini della condanna degli

imputati, riguardi «l'uso delle schede straniere delle quali è risultata la

disponibilità procurata da Moggi a designatori e arbitri». Per i giudici è dunque

credibile il sistema di attribuzioni prospettato dai pubblici ministeri, anche se

il giudice Casoria evidenzia il «metodo pacificamente artigianale» utilizzato dal

maresciallo Di Laroni.

Sia chiaro: nessuno sa cosa si dicesse su quelle schede, intercettabili ma non

intercettate. Ciò che si sa con assoluta certezza è che, quando veniva arbitrata

da arbitri asseritamente in possesso delle tessere straniere, la Juventus faceva

meno punti rispetto alle partite dirette dagli altri (come dimostrato in sede

dibattimentale dalla difesa degli imputati). In poche parole, andando per logica:

pare credibile che Moggi avesse dato le schede svizzere ad alcuni arbitri, anche

se il metodo utilizzato da chi doveva attribuirle è pacificamente artigianale, ma

non si sa bene per farci cosa, dal momento che poi in media (vedi De Santis e gli

arbitraggi sopra riportati) la squadra andava peggio. Forse utilizzava le schede

per chiedere di perdere, ma allora l'imputazione dovrebbe essere relativa alle

scommesse, più che a un'associazione a delinquere.

Quanto ai rapporti con i vertici arbitrali, il collegio giudicante sottolinea la

«generalizzata tendenza a conquistare il rapporto amichevole, in funzione

del suggerimento, con designatori e arbitri». Più avanti si sottolinea che «dagli

atti emerge il rapporto di altri arbitri non imputati e addirittura di taluno degli

arbitri imputati, come De Santis, altrettanto amichevole con dirigenti sportivi

curanti interessi diversi da quelli di Moggi, ad esempio Meani». Tuttavia,

sottolinea il collegio, questo quadro generalizzato non preclude il giudizio sui

reati.

In poche parole: abbiamo capito che lo facevano in tanti, quasi tutti, ma a

noi hanno portato le vostre telefonate, e noi quelle dobbiamo giudicare. Bello,

quando le proprie intercettazioni vengono nascoste da chi di dovere.

Fino a qua, le principali ragioni della condanna: ragionevolmente certa

assegnazione di schede svizzere, che già di per sé configurano un tentativo

di frode, e rapporti fin troppo amichevoli con i designatori. Hanno nascosto

alcune telefonate, hanno indagato solo su di te, e su di te hanno giudicato.

Piaccia o non piaccia, così vanno le cose. È la nostra giustizia, bellezza. Il

collegio,però, non si ferma qui: afferma anche (e soprattutto, per quanto ci

interessa) che il dibattimento in verità «non ha dato la prova del procurato

effetto del risultato finale del campionato 2004-2005». Quindi, ricapitoliamo:

avete dato le schede, intrattenevate rapporti fin troppo amichevoli con i

vertici arbitrali cercando di condizionarli (come tutti, però hanno indagato solo su

di voi), ma il campionato non è stato in alcun modo alterato.

Ancora più definitivo il giudizio sull'ipotesi, portata avanti fino allo stremo

dai pubblici ministeri, dei sorteggi degli arbitri truccati: «Che il sorteggio non

sia stato truccato, così come hanno sostenuto le difese, è emerso in maniera

sufficientemente chiara al dibattimento. Incomprensibilmente il pubblico ministero

si è ostinato a domandare ai testi di sfere che si aprivano, di sfere scolorite e

di altri particolari, se il meccanismo del sorteggio per la partecipazione ad esso

di giornalista e notaio era tale da porre i due designatori, Bergamo e Pairetto,

nell'impossibilità di realizzare la frode».

Durissimi i giudici, sull'ostinazione dei pubblici ministeri, che pure appare

del tutto comprensibile. Che razza di Cupola era, se non riusciva neanche a

scegliersi l'arbitro? Il sorteggio avveniva all'interno di una griglia che Moggi (e

non solo) cercava di condizionare, si dirà, ma quella griglia aveva margini

bassissimi di discrezionalità: c'era tutta una serie di paletti cui i designatori

dovevano attenersi, e molto spesso i giornalisti specializzati la indovinavano prima

ancora che fosse decisa. Una Cupola deboluccia, e talvolta masochista (come sulle

schede, date agli arbitri «cattivi»).

Altro giro, altra bordata a chi ha portato avanti l'accusa, probabilmente la più

grave, quella definitiva: «La difesa è stata in fatto molto ostacolata nel suo

compito dalla mole delle telefonate, 171 mila, e dal metodo adoperato per il loro

uso, indissolubilmente legato a un modo di avvio e sviluppo delle indagini per

congettura, emerso dal dibattimento» .

Calciopoli, ci fanno capire i giudici di Napoli, nasce da un teorema, da

uno sviluppo di indagini per congettura: Moggi è il cattivo, gli altri sono i buoni.

È stato intercettato solo lui, tra i dirigenti delle grandi squadre: se abbiamo

qualche possibilità di ascoltare vecchie telefonate di Facchetti, Moratti e

Galliani, tanto per fare un esempio, è solo perché parlavano con soggetti

intercettati. Ma se quei tre dirigenti parlavano ad esempio con Collina, non

lo sapremo mai (oddio, su almeno uno dei tre abbiamo qualche sospetto

abbastanza fondato). Buoni e cattivi, la solita divisione, profondamente

radicata nel sentimento dei tifosi italiani. È per questo che siamo partiti dal

campo. Per spiegare che Calciopoli non riguarda un'analisi serena sul

campionato sotto esame, ma è un processo alla Juventus, ai suoi dirigenti

e alla sua storia.

Juventus che viene assolta del tutto, mentre il suo direttore generale viene

condannato: Moggi lavorava per sé, per i suoi rapporti, per il mercato,

procuratori e così via, ma non portava vantaggi alla sua società. Che dunque,

visto che tutti ci invitano a rispettare le sentenze, è ritenuta innocente.

Motivazioni della sentenza a parte, sono molteplici gli aspetti che

non convincono chi si occupa quotidianamente di questioni legali (e non solo,

suppongo): tornando al diritto di difesa calpestato, è impossibile dimenticare

quanto emerso negli ultimi mesi circa le valutazioni dei Carabinieri (i

cosiddetti «baffi», messi accanto alle conversazioni più rilevanti), ignorato da

chi portava avanti l'accusa. Diverse conversazioni di dirigenti interisti (e non solo),

valutate come estremamente gravi, sono state del tutto dimenticate da chi di dovere.

Va bene che si è proceduto per congetture, ma insomma ... E poi così, un po' di

flash su episodi surreali di questi anni: il famoso «piaccia o non piaccia non ci

sono telefonate di Bergamo o Pairetto con il signor Moratti», incautamente pronunciato

dal pm Narducci, che ha dovuto poi confusamente spiegare che intendeva parlare di

telefonate rilevanti (per lui, ovviamente).

L'incredibile incontro tra Moratti, il responsabile delle indagini colonnello

Auricchio e il suddetto pubblico ministero alla presentazione di un libro sui

Mondiali argentini del 1978 e il regime militare dell'epoca, su prefazione proprio

di Narducci: non si tratta chiaramente di qualcosa che vada contro la legge, ma

di clamorosa mancanza di opportunità, da parte di tutti e tre. Il video dell'incontro,

per certi versi inquietante, è stato segnalato da un lettore al sito di

controinformazione su Calciopoli Ju29ro: si vede Moratti confabulare a lungo

con Auricchio, mentre nella stessa sala ci sono Narducci e il giornalista della

«Ġazzetta» Piccioni, tipo i quattro amici al bar di Gino Paoli. Rimane il mistero:

cosa si saranno detti il presidente della squadra da tutti riconosciuta come la

più grande graziata (nonché beneficiaria) dell'intera vicenda e il responsabile di

quell'indagine? Perché si conoscono? E di cosa avranno parlato tra di loro per

buona parte dell'incontro? E Moratti va a Roma alla presentazione di un libro

sull'Argentina del 1978 solo perché magari ha dato l'autorizzazione a intervistare

alcuni suoi giocatori?

Anche qui, come per i contenuti delle chiamate con le schede svizzere, prove non

ne abbiamo. La situazione sembra paragonabile, pur se con una grande differenza:

con gli arbitri chiamati in gran segreto, la Juve perdeva. Con i responsabili

delle indagini di Calciopoli, incontrati in un'anonima presentazione romana di

fine maggio, l'Inter ha sempre vinto.

Il punto, in fondo, è proprio questo: perché le telefonate dell'Inter sono state

nascoste? La risposta che sentiamo spesso è che i toni erano diversi, che non

sono state giudicate rilevanti, che l'Inter voleva solo difendersi dalla Cupola

moggiana, eccetera eccetera. Ma Facchetti parlava al telefono con Bergamo,

invitandolo a fare presente all'arbitro Bertini quanto sarebbe stato

«determinante» il suo arbitraggio, prima di un Cagliari-Inter di Coppa Italia,

dove la Juventus è già stata eliminata. Perché allora l'ex presidente nerazzurro

ricorda al designatore il deludente score dell'arbitro toscano con la sua squadra?

Paura del potere dei sardi di Cellino? A occhio, e così la pensava chi valutava

inizialmente le telefonate, si trattava di intercettazioni estremamente

interessanti, utili a chiarire il contesto in cui operavano le grandi squadre di

serie A: perché allora sono state nascoste, mentre tutti conosciamo il contenuto

di una telefonata tra Alessandro Moggi, procuratore figlio di Luciano, e una nota

presentatrice sportiva, in cui si parla di tutto, tranne che di aspetti che

possano interessare un processo penale (e sportivo, s'intende)?

Gli aspetti poco chiari sono troppi, comprese le insistite richieste di

ricusazione del giudice Casoria, provenienti non da parte della difesa, come

solitamente accade, ma dall'accusa, che non si sentiva abbastanza tutelata da un

giudice dai modi un po' spicci e che sembrava ascoltare con la stessa attenzione

tutte le parti in causa, senza troppi preconcetti.

Richieste respinte, alla fine, ma magari non del tutto inutili, dal momento che il

procuratore capo dott. Lepore, intervenendo con toni fin troppo enfatici a

RadioRadio dopo la sentenza, ha chiarito che ci sono volute ben «due istanze

di ricusazione per ristabilire la regolarità del processo». Ora, non serve essere

dei legali per capire che c'è qualcosa di poco logico nel ritenere ristabilita la

regolarità del processo dopo le istanze di ricusazione, visto che sono state

respinte tutte e due e il giudice è rimasto al suo posto. Magari è stato un

elemento di pressione, magari altro ancora, dubito che lo capiremo mai.

Le stranezze, ad ogni modo, sono davvero troppe, tanto che l'avvocato Maurilio

Prioreschi, legale di Moggi, intervenendo nella trasmissione radiofonica che

conduco con l'amico Antonello Angelini, ha detto di avere riscontrato più anomalie

in questo processo che in quello relativo all'omicidio di Mino Pecorelli, e non si

spiega il perché.

Qui non si tratta di decidere se Moggi sia colpevole o innocente: ognuno di noi

ha una sua vita, e quando ci sarà una sentenza definitiva, qualunque essa sia,

ce ne faremo tranquillamente una ragione. Qui si tratta di capire come

funziona, talvolta, la giustizia in Italia. Perché se Moggi non avesse avuto

le disponibilità economiche che ha, non avremmo mai conosciuto altre migliaia

di telefonate, e sarebbe rimasto per tutta l'Italia «quello che parlava con i

designatori delle griglie», quando si trattava di un'abitudine estremamente

diffusa. Perché se il rapporto tra organi inquirenti e alcuni dei protagonisti in

gioco (o non in gioco, in quanto miracolosamente salvati) è stretto e misterioso,

qualcosa non quadra più. Perché se per arrivare alla condanna di qualcuno

si omettono vicende fondamentali, si ostacolano le difese, tanto da venire

bacchettati dall'organo giudicante, la giustizia diventa ingiustizia.

Per la cronaca, Narducci e Auricchio, pesantemente criticati dal collegio

giudicante, sono stati giustamente promossi dal sindaco di Napoli De Magistris,

con ruoli rilevanti nella nuova giunta: assessore alla sicurezza l'uno, capo di

gabinetto l'altro. Da noi, le cose, funzionano così.

L'assiduo lettore di diversi quotidiani (che talvolta va in TV)

C'è il tifoso, l'avvocato, e poi c'è il divoratore di giornali, che un po'

casualmente è finito in radio e TV, su RadioRadio e su Antenna 3 (emittente

legata a Telelombardia), il cui direttore, Fabio Ravezzani, ha voluto la presenza

mia e di Antonello Angelini nella trasmissione di punta Lunedì di rigore. Lo

specifico perché talvolta, da attento osservatore dei media, ne sono diventato

quasi involontariamente parte, trovandomi a discutere di temi calcistici con persone

che se ne occupano di professione da una vita.

Seduto accanto a me (o ad Angelini, a seconda delle puntate), a Lunedì di rigore

c'è solitamente Franco Melli, giornalista romano molto conosciuto dal grande

pubblico, già al «Corriere della Sera», grande protagonista del Processo

biscardiano negli anni in cui aveva ancora un suo forte seguito. La carriera e

l'onore di Melli sono stati fortemente danneggiati da Calciopoli: siccome è emerso

un rapporto telefonico con Luciano Moggi, cioè il diavolo, Melli è passato agli

occhi di tanti moralisti come un suo servo, o comunque un giornalista asservito

alla diabolica Cupola moggiana. Proprio RadioRadio e Antenna 3, appunto, lo

hanno comunque voluto come opinionista principe delle proprie trasmissioni sportive.

Mi è capitato spesso di parlare con lui, che ovviamente non è sotto processo,

non deve difendersi da niente e soprattutto non era davanti alle telecamere.

Lui, profondo antijuventino, è sinceramente disgustato dalla vicenda Calciopoli

e da come i media l'hanno gestita. Il suo caso è esemplare: parlava con Moggi, è

vero, ma parlava con tantissimi dirigenti di serie A, pure facenti parte delle squadre

che piangono sempre, le miracolate di Calciopoli. Ognuno, a suo dire, gli dava

consigli, indicazioni, imbeccate, perché la trasmissione aveva un suo seguito e la

parola di Melli la sua influenza. Tuttavia, avendo intercettato solo Moggi, e non

i dirigenti delle squadre miracolate da quella farsa processuale, la realtà

visibile a tutti è di un Melli che parla con Big Luciano della puntata successiva

o di altri argomenti. Il problema, purtroppo, è sempre lo stesso: perché si sono

intercettati solo alcuni, falsando così la rappresentazione della realtà? La

risposta ce l'ha data il giudice Teresa Casoria: si è indagato seguendo un

teorema. Stop.

È stato questo il moralismo insopportabile mostrato da gran parte dei media: la

condanna e la gogna per chi è stato intercettato, e la beatificazione di chi non

lo è stato, nonostante sappiano tutti che certe abitudini sono sempre andate

avanti a 360 gradi. Dovessi indicare il lato più inquietante di tutta la vicenda

Calciopoli, darei senza dubbio la precedenza a quello mediatico. Il vero problema,

infatti, non è tanto (o comunque non solo) che una vicenda processuale non sia

gestita nel migliore dei modi. Capita, ed è sicuramente capitato di molto peggio,

dove gente che non aveva proprio niente a che vedere con i reati di cui era

accusata è stata condannata ed esposta per anni al pubblico ludibrio (per quanto,

anche qui, i tanti assolti già in primo grado come il giornalista Ignazio Scardina

e tanti altri colleghi e arbitri si siano visti rovinare la vita senza motivo)

prima dell'assoluzione definitiva.

La vera anomalia, l'autentico baco nel sistema, è all'interno dei principali media

nazionali sportivi (e non solo, ma qui ci interessano quelli). Funziona come in un

regime: c'è una verità ufficiale, anche ben prima delle sentenze (che vengono

spesso pronosticate da taluni con discreto successo), si dividono i personaggi in

buoni e cattivi, e da quel momento in poi ogni accusa ai secondi viene riportata

come una condanna certa, mentre ogni prova a discarico viene sottaciuta o irrisa

in qualche trafiletto. Procedimento inverso per i buoni: le accuse nei loro

confronti sono nascoste o comunque esposte in termini dubitativi, meritando

un'immediata replica (ben visibile) dell'interessato, mentre tutto ciò che può

scagionarli richiede un bel titolo in prima pagina. Gli esempi sono infiniti, e

solo relativamente a questa vicenda possiamo farne alcuni che riguardano gli

organi d'informazione ritenuti più prestigiosi e alcuni giornalisti considerati

tra i più preparati.

Marco Travaglio è un giornalista scrupoloso. L'ho incontrato due o tre volte in

aereo, con il suo pacco di giornali, che legge con estrema attenzione. Sa molto,

è preparato (pregi non da poco, rispetto ad altri colleghi) e ha il gusto della

polemica. Anche lui, però, divide il mondo in buoni e cattivi. E se, restando al

calcio, non è difficile capire chi siano i cattivi, meno facile è capire perché

gli altri ai suoi occhi siano i buoni. Per essere più chiari: Moggi a suo parere è

un disonesto, perché telefona, parla di griglie, dà schede svizzere, eccetera

eccetera. Okay. Per un fustigatore della morale, duro allo stesso modo con tutti,

mi sta benissimo: personalmente, neanche io sono un fan sfegatato di certi modi

e rapporti al limite, tipici di questo paese. Quindi va bene, Big Luciano non ci

piace. Ma allo stesso tempo non deve piacerci neanche chi telefona per dire

che un arbitro deve essere determinante, oppure che in una partita bisogna

condizionare il sorteggio per fare uscire Pierluigi Collina, e così via.

Com'è noto, nel luglio del 2011 viene divulgata la relazione del procuratore

federale Palazzi sulle telefonate dell'Inter, di cui archivia la posizione

dichiarando che è ormai intervenuta la prescrizione. Vale la pena ricordarne

qualche estratto: «Alla luce dei principi posti dalla decisione della CAP (CU 1\C

del 14 luglio 2006), va rilevato che la condotta del Facchetti appare presentare

notevoli e molteplici profili di rilievo disciplinare. In questa trattazione

specifica della posizione del Facchetti, è appena il caso di rilevare che la

società Internazionale F.C. di Milano, oltre che essere interessata da condotte

tenute dal proprio presidente che, ad avviso di questa Procura federale,

presentano una notevole rilevanza disciplinare per gli elementi obiettivamente

emergenti dalla documentazione acquisita al presente procedimento, risulta

essere, inoltre, l'unica società nei cui confronti possano, in ipotesi, derivare

concrete conseguenze sul piano sportivo, anche se in via indiretta rispetto agli

esiti del procedimento disciplinare, come già anticipato nella premessa del

presente provvedimento e come si specificherà anche in seguito. Dalle carte in

esame e, in particolare, dalle conversazioni oggetto di intercettazione

elefonica, emerge l'esistenza di una fitta rete di rapporti, stabili e protratti

nel tempo, intercorsi fra il presidente della società Internazionale, F. C. ,

Giacinto Facchetti ed entrambi i designatori arbitrali, Paolo Bergamo e Pierluigi

Pairetto, fra i cui scopi emerge, fra l'altro, il fine di condizionare il settore arbitrale.

La suddetta finalità veniva perseguita sostanzialmente attraverso una frequente

corrispondenza telefonica fra i soggetti menzionati, alla base della quale vi era

un consolidato rapporto di amicizia, come evidenziato dal tenore particolarmente

confidenziale delle conversazioni in atti ( ... )».

L'Inter voleva condizionare i designatori arbitrali, con frequente corrispondenza

telefonica di tenore particolarmente confidenziale. Chi lo dice non offende

affatto la memoria di chi non c'è più, come afferma in modo evidentemente

strumentale chi non vuole arrivare a discutere nel merito delle questioni,

fermandosi agli slogan. Sono vicende giudiziarie (di diritto sportivo, in questo

caso) che devono portare solo alla ricerca della verità, poi il ricordo di un

fenomenale giocatore e di una persona certamente positiva (e di un dirigente

che a mio parere non faceva niente di diverso da quanto gli veniva richiesto)

non ha motivi per essere intaccato. Torniamo alle frasi di Palazzi, molto dure

con i dirigenti interisti (ce ne sono altre su Moratti, che sapeva dei rapporti

tra Facchetti e i designatori e così via). Travaglio, spietato all'epoca con Moggi,

cosa scrive? Si indigna anche stavolta? Nossignore.

Scrive un articolo con diverse imprecisioni, in cui il bersaglio è, ma guarda un

po' , ancora Big Luciano, un'autentica ossessione. Comincia affermando che,

per Palazzi, Moratti e Facchetti hanno violato le regole semplicemente «telefonando

ai designatori», quando invece per il procuratore sono state riscontrate condotte

«certamente dirette ad assicurare un vantaggio in classifica in favore della

società Internazionale F. C. , mediante il condizionamento del regolare

funzionamento del settore arbitrale e la lesione dei principi di alterità,

terzietà, imparzialità e indipendenza, che devono necessariamente connotare

la funzione arbitrale». Palazzi, tra l'altro, aggiunge che «assume una portata

decisiva la circostanza che le conversazioni citate intervengono spesso in

prossimità delle gare che dovrà disputare l'Inter e che oggetto delle stesse sono

proprio gli arbitri e gli assistenti impegnati con tale squadra». Il problema

dunque non è telefonare (anche se nel 2006 sembrava fosse un problema anche

quello), ma fare pressioni per ottenere dei vantaggi. E l'Inter, secondo Palazzi

(idolo nel 2006, oggi mero accusatore giustizialista), lo ha fatto più volte.

Travaglio prosegue sottolineando che «non basta telefonare ai designatori

per commettere illecito: occorre che le pressioni arrivino agli arbitri e li

condizionino». Ora, ribadito che il problema non erano le telefonate di per sé,

ma il loro contenuto (Travaglio insiste nell'equivoco), ecco la seconda imprecisione:

sono sei anni che ogni volta che portiamo dati che smentiscono le tesi dell'accusa

(ammonizioni preventive mai esistite, medie punti degli arbitri di cui si è

ipotizzato il possesso di schede svizzere ecc.) tutta Italia ci dice che per la

giustizia sportiva basta il tentativo, non va provato il condizionamento effettivo,

quindi meritavate la C, eccetera eccetera, e ora invece è necessario provare

che le pressioni arrivino agli arbitri e li condizionino? E quali condizionamenti

sarebbero stati provati, nel caso di Moggi? Quali pressioni sarebbero certamente

arrivate agli arbitri?

Il Travaglio morbido, in versione nerazzurra, afferma poi che «è verosimile che,

anche se l'Inter rinunciasse alla prescrizione, verrebbe assolta o privata di

qualche punto». Assolta? Ma sbaglio o non è stato assolto nessuno? Ma sbaglio o

il Milan si è salvato dalla B solo perché Meani non aveva responsabilità diretta,

mentre Facchetti dell'Inter era il presidente? Palazzi con l'Inter è durissimo:

certamente avrebbe ricevuto come minimo una forte penalizzazione (lo ha detto

addirittura il vicedirettore della «Ġazzetta» Palombo, noto antimoggiano),

probabilmente non avrebbe preso Ibrahimovic, sicurissimamente non avrebbe mai

indossato lo smoking bianco.

Poi diverse altre imprecisioni per il gran finale: «Finora hanno parlato solo

Palazzi e Moggi con la sua corte di avvocati e giornalisti à la carte». Questa

è il top. Premesso che andrebbe stabilito chi siano i giornalisti à la carte, e

cosa si intenda esattamente con questo termine, perché poi le accuse di

malafede vanno provate e non solo accennate, vanno ricordati i due

schieramenti. Da un lato «Ġazzetta», «Repubblica », Travaglio, «Corriere

della Sera», Mediaset, Rai e compagnia bella, molto duri con Moggi e

non altrettanto con i nerazzurri. Dall'altra la potenza mediatica di Zampini,

Angelini e di qualche sito, blog e forum di tifosi della Juve. La prossima

volta, se possibile, facciamo a cambio. Ah, un'ultima richiesta: scriva quello

che vuole, Travaglio, ma non si definisca juventino. Perché sennò io mi

definisco interista e poi comincio ad attaccare l'Inter in tutti i modi, e allora

è troppo facile.

La «Ġazzetta dello Sport» è il quotidiano più letto d'Italia. Storicamente, è

ritenuto il più autorevole tra i giornali sportivi. Dal 2006 in poi, ha cambiato

registro: una serie di titoli contro la Juventus rimasti storici (epica la

collezione di «Juve, così non si può!» ogni mezzo errore arbitrale in suo favore);

l'insistenza con la definizione dello scandalo mediante l'espressione «Moggiopoli»;

le prime pagine con cui si anticipavano le sentenze di condanna; il mitico «Ecco

come truccavamo i sorteggi» dopo la deposizione del segretario della Can

Manfredi Martino, che quindi, da testimone, voleva evidentemente diventare

imputato, autoaccusandosi così (basti rileggere il pensiero dei giudici sulle

ipotesi di sorteggi alterati, per capire l'attendibilità di questo titolo), e così via.

Poi è arrivata la relazione di Palazzi, e anche la Rosea non ha potuto esimersi

dal fare un titolo molto forte sul suo contenuto, auspicando la revoca dello

scudetto di cartone dalle maglie dell'Inter. A quel punto, però, è intervenuto

Moratti, per il quale «l'attacco a Facchetti è più grave dell'eventuale perdita

dello scudetto 2006». Palazzi, dunque, impeccabile nel 2006, ora non sta

giudicando le telefonate, ma vuole attaccare Facchetti. Bah. La parte più

divertente, tuttavia, deve ancora arrivare: «Non siamo abituati ad avere tanti

amici ma non mi aspettavo di non averne nemmeno a Milano, dove la stampa ci

attacca».

Dai, questa davvero non è male. Da quel giorno, in prima pagina, la «Ġazzetta

dello Sport» continuerà a far intendere che lo scudetto avrebbe dovuto essere

revocato, ma ospitando diverse interviste di Moratti (ricordate? se si accusano i

buoni, si dà loro la parola) e sancendo, già il 14luglio, che lo scudetto 2006 non

è revocabile. Dai, presidente, non sono proprio così nemici.

E così va quando capita di confrontarsi con i vari opinionisti nelle radio e nelle

televisioni che frequentiamo: i toni sono diversi, i contenuti sono diversi, gli

altri lo facevano per difendersi e comunque, dando per buono che fossero come

voi, rimanete colpevoli. L'approfondimento non va oltre, l'indignazione del 2006

per ogni piccola notizia emersa ha lasciato il posto alla noia perché ci sono ancora

degli scocciatori che vogliono parlare di questo argomento.

Ci sarebbero altre mille cose da raccontare, ma il campionato va avanti e

dobbiamo proseguire il racconto. Il finale sul tema va dedicato allora

all'incredibile video del «Corriere della Sera», che sul proprio sito, diverso tempo

dopo l'uscita delle motivazioni, cerca di andare in soccorso dei pm: «Esclusivo,

il video inedito del sorteggio arbitrale». La demolizione della tesi, operata

dalla sentenza di primo grado, ai pm non dev'essere andata giù, e allora il

«Corriere» dà grandissimo risalto a un video in cui non si capisce nulla tranne

che poi le palline le pescano i giornalisti, confermando dunque che il sorteggio

non è truccato. Nel servizio la giornalista incaricata legge parola per parola l'appello

dei pm, come se si trattasse di verità sconvolgenti e rivoluzionarie, quando si

tratta solo di un atto di parte, della solita parte che trova spazio su certi

media. Questa è l'esclusiva sbandierata a gran voce dal «Corriere della Sera» su

Calciopoli, diversi mesi dopo la sentenza di primo grado. Almeno ci siamo messi

l'anima in pace: anche per i prossimi gradi di giudizio, sappiamo già come saremo

informati.

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Stavolta l'ho recuperato prima dell'imbarazzato oblio

aanNMzgo.jpg

LINK ORIGINARIO

-------

Aggiornamento

E' tornato online a questo link,

più tardi nella notte.

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Hanno ragione se si considera che sono stati vinti con i migliori giocatori del mondo!

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la Repubblica 17-06-2012

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___

IL TEMPO 17-06-2012

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___

il Giornale 17-06-2012

LA PAROLA AI LETTORI

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Calcio, basket e cricket sono mondi perfetti per analizzare

equilibri (e disequilibri) finanziari. Ecco perché negli Usa

e in India il sistema funziona, ma in Spagna e Italia no

Sport, questione di business

di DOMENICO CALCAGNO (laLettura #31 - 17 giugno 2012)

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Può sembrare paradossale, ma nelle leghe americane (e in quella indiana

del cricket), dove il business conta più delle vittorie e ogni partita muove

cifre impressionanti, c’è una giusta ripartizione della ricchezza. Nel calcio,

dove vincere è tutto e dei debiti chissenefrega (Barcellona e Real Madrid,

in coppia, hanno un rosso di circa 900 milioni), la differenza tra giocatori

meglio e peggio pagati è imbarazzante.

Prendiamo la Nba, il miglior campionato possibile di basket e anche

il campionato dove si guadagna meglio (media stipendio annuale:

3.533.122 euro). I Lakers di Los Angeles sono i più generosi, ogni loro

giocatore incassa in media poco più di 5 milioni di euro a stagione (i dati

si riferiscono al 2010-2011 e sono al netto dei vari bonus). Ma neppure

nella squadra che paga peggio, gli Indiana Pacers, si sta malissimo

considerato l’ingaggio medio di 2,7milioni di euro. Nella Liga spagnola,

invece, conviene giocare solo nelle prime della classe (e della classifica):

al Barcellona si portano a casa 7 milioni abbondanti, allo Sporting Gijon

si scende a 307 mila euro. Quello che, più o meno, succede in Italia:

l’ingaggio medio di un giocatore del Milan è di quasi 5milioni, al Cesena ci

si ferma a 337.738.

Il paradosso è però solo apparente. Le leghe americane sono meglio

gestite dei campionati di calcio europei (la Bundesliga tedesca è la meno

squilibrata e anche una delle poche economicamente sane) e funzionano

come un club privato. Chi vuole partecipare (soprattutto agli utili) fa

domanda e se dà le garanzie richieste (capitali, stadio e tutto il resto) può

essere ammesso, ottenere cioè una franchigia. Inoltre, per tenere alto

l’interesse di tutti, gli introiti della Lega (diritti tv, merchandising) vengono

divisi in parti uguali e l’ultima classificata sceglie per prima i migliori

talenti universitari (negli States le scuole sostituiscono i settori giovanili).

È un sistema—improponibile nel calcio europeo — che alza il livello

competitivo e dà a tutti la certezza di incassare e la speranza di vincere.

Un discorso a parte merita la Lega del cricket indiana. Creata dal nulla

nel 2008 da un gruppo di imprenditori, ha rastrellato i migliori giocatori

del mondo e avuto un successo clamoroso. È il secondo campionato

nel quale conviene giocare (quasi 3 milioni l’ingaggio medio) e l’esempio

migliore di come lo sport possa diventare un grandissimo affare.

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Inviato (modificato)

Quest'ultimo articolo di Zampini è un CAPOLAVORO, questo si da tradurre in tutte le lingue e far girare.

Modificato da leo13

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Inviato (modificato)

SportEconomy.it

12:17 - domenica 17 giugno 2012

Si riapre una "finestra" su Calciopoli?

Il caso del pc di Tavaroli

Un interessante approfondimento del portale Ju29ro.com (a

firma di Salvatore Cozzolino) sul caso del pc di Giuliano Tavaroli,

ex capo della security di Pirelli e Telecom, in una intervista

all'avvocato Paolo Gallinelli, difensore dell'ex arbitro Massimo

De Santis. Si riapre una "finestra" su Calciopoli?

Gallinelli: "Il PC di Tavaroli inviato

a Roma è una strana coincidenza"

Redazione JUVENTINOVERO.COM Venerdì 15 Giugno 2012 09:12

Il Processo Telecom entra nel vivo. Mercoledì mattina è tornato in

aula Giuliano Tavaroli, ex capo della “security” di Pirelli e di Telecom,

per essere interrogato in merito ai dossier illegali realizzati fino al 2004

dai ,dipendenti e dai consulenti dell’ufficio da lui diretto. Nella prima parte

dell’interrogatorio, quella svolta nell’udienza precedente, aveva confermato

di avere avuto incarico da Moratti per spiare De Santis. Ieri ha rincarato la

dose, confermando che anche altre persone del mondo del calcio sono

state “attenzionate” su incarico della società nerazzurra, ed in particolare

Luciano Moggi. Per approfondire il tema abbiamo sentito l’avv. Gallinelli,

difensore di Massimo De Santis, l’ex arbitro che in questo processo si

è costituito parte civile.

Avv. Gallinelli, leggendo gli atti di questo processo la sensazione è

che ogni udienza contribuisca ad arricchire il puzzle che ben

conosciamo con una nuova importante tessera.

E’ proprio così. La novità di oggi è che, studiando le carte, ho rinvenuto

un atto della Procura di Milano risalente al 9 giugno 2005. È un decreto

d’ispezione che riguarda materiale informatico di Tavaroli sequestrato il

3 maggio di quello stesso anno negli uffici Telecom. Viene deciso di far

monitorare quel computer, a partire dal 15 giugno 2005, ai carabinieri

della seconda sezione del nucleo operativo di via in Selci a Roma, guidata

dal tenente colonnello Attilio Auricchio.

Secondo Lei come mai ciò avviene e a che titolo?

A mio parere questo evento è l’anello di congiunzione tra quanto accadde a

Milano e a Napoli. Indubbiamente è una strana coincidenza che il computer

di Tavaroli sia stato ispezionato, nell’ambito delle indagini su Telecom, dallo

stesso ufficio dell’Arma che si occupava di Calciopoli, sul finire della stagione

sportiva 2004-05, quando le indagini su Calciopoli non erano state chiuse e

le informative sulle schede svizzere dovevano ancora essere realizzate.

Lei è a conoscenza dell’esito di quell'ispezione?

Per approfondire questo aspetto ho chiesto di poter visionare e studiare il

verbale dell’operazione per capire quali furono i risultati di quell'ispezione

e per quale motivo fu fatta a Roma, mentre poteva essere fatta benissimo

a Milano. Studiando le date, passa circa un mese, e davvero non si capisce

come mai il PM Napoleone decide di spedire il tutto a Roma. Cercheremo di

fare chiarezza.

Emblematica a nostro parere è la chiamata in causa di Adamo Bove:

Lei che ne pensa?

Senza dubbio la storia di Adamo Bove, ex dirigente della Security TIM,

è una delle più misteriose di tutta la vicenda Telecom. Non dimentichiamo

che il suo suicidio è avvenuto in circostanze poco chiare. Tra l’altro,

durante le precedenti udienze abbiamo appreso che presso il suo ufficio era

installatonon solo il programma Radar per monitorare e interrogare in maniera

anonima il traffico telefonico ma anche, e questo dovrebbe essere illegale,

un apparecchio RT-6000 per ascolto e registrazione delle telefonate, identico

a quello normalmente in uso alle Procure e alla polizia Giudiziaria.

Tutto ciò cosa Le suggerisce?

Il fatto che Tavaroli chiami in causa come “esecutore” materiale di queste

indagini proprio Adamo Bove conferma i nostri sospetti soprattutto sulle

modalità di acquisizione dei tabulati che poi hanno portato alle analisi del

maresciallo Di Laroni sulle schede svizzere. Peraltro il Tavaroli ha più volte

parlato di attività finalizzate ad accertare episodi di frode sportiva, di

dossier consegnati a Facchetti e a Moratti, ma non ha mai accennato

agli esiti di questi accertamenti, il che mi fa pensare che fossero

assolutamente negativi. E qualche tempo fa anche lo stesso Moratti in

un'intervista mi pare abbia affermato che dalle indagini sull’arbitro De

Santis non uscì nulla.

Resta il fatto che Nucini fu spedito dalla Boccassini. Quali sono i

punti di contatto con quanto affermato da Tavaroli in aula?

Moratti davanti a Borrelli dichiarò in maniera ambigua di essersi rivolto

a Tavaroli, ma di non avergli dato nessun mandato, né di aver visionato

alcun report. Esattamente il contrario di quanto dice Tavaroli, che

afferma invece di aver avuto l’incarico di verificare quanto rivelato

dall’arbitro Nucini a Facchetti e di aver consegnato proprio a quest’ultimo

un resoconto. Ma fu lo stesso Moratti a confermare di aver spedito Nucini

davanti alla Boccassini, per cui è improbabile che non conoscesse il

contenuto di quel dossier. Peraltro la Boccassini, sentito l’arbitro, decise

di archiviare tutto con il famoso modello 45. Possiamo perciò ipotizzare

non solo che alla base dell’archiviazione ci fosse la mancanza assoluta di

materiale probatorio, ma anche che il materiale che l’Inter aveva fornito

a sostegno delle sue accuse fosse proprio il contenuto dei dossier di

Tavaroli, e quindi frutto di attività illegali. In ogni caso da tempo ho

chiesto di poter visionare il fascicolo per valutare quanto accaduto.

E fino ad oggi non mi è stato concesso.

Lei pensa che quello stesso materiale, ripudiato dalla Boccassini,

possa essere stato “riciclato” ed utilizzato per l’indagine di Napoli?

Questo non possiamo dirlo con certezza. Tuttavia alcune coincidenze

fanno veramente pensare. In particolare sappiamo ad esempio che molti dei

nomi che Tavaroli ha ammesso di aver fatto dossierare sono finiti, pari pari,

nel fascicolo di Narducci. Si pensi alla vicenda Ceniccola, per esempio. Ma

non solo. Il fatto che il computer di Tavaroli sia finito tra le mani di Auricchio,

che in quel momento stava indagando proprio su mandato di Narducci,

appare davvero inquietante.

Alla luce di quanto accaduto, quali sono i prossimi passi che farete?

Ovviamente stiamo studiando le carte con attenzione. Non credo sia il

momento di anticipare le nostre future strategie. Di sicuro ascolteremo

Emanuele Cipriani, uno degli esecutori materiali dei dossier, che dovrebbe

venire a testimoniare dopo l’estate. E cercheremo di completare i dettagli di

un quadro che ci sembra fin troppo chiaro. Dopodiché decideremo i passi

da compiere, anche nell’ambito della giustizia sportiva.

Modificato da Ghost Dog

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Calciopoli

La vera storia

di Giuseppe Narducci

-------

Nota dell'editore

Il testo che pubblichiamo ripercorre la lunghissima requisitoria che il Pm

Giuseppe Narducci, insieme al collega Stefano Capuano, ha condotto al

termine del processo di Napoli sulla vicenda Calciopoli. Quasi un record

nella storia giudiziaria italiana: circa 18 ore durante le quali i pubblici ministeri

hanno esposto la propria tesi e illustrato le prove che dovevano convincere

il giudice a scrivere una sentenza di condanna.

Abbiamo fatto questa scelta ritenendo che quella offerta dall’accusatore

(Pm dell’investigazione con Narducci è stato Filippo Beatrice) sia la più

convincente ricostruzione della storia di un’indagine che, senza dubbio,

ha cambiato il calcio italiano.

La nostra è una chiara scelta di campo, contro ogni operazione

mistificatoria o “revisionista”.

Esistono, infatti, ormai due provvedimenti di un giudice – quello

del giudizio abbreviato del Gup De Gregorio e quello della 9° Sezione

del Tribunale di Napoli – che, accogliendo in toto o solo in parte le

argomentazioni e le richieste dell’accusatore, ritengono che sia esistita

un’associazione per delinquere che ha operato nel mondo del calcio

professionistico italiano, in particolare durante il campionato di calcio

di serie A della stagione 2004/05 . Insomma, la vicenda Calciopoli non è

stata il frutto di un abbaglio degli investigatori e dei pubblici ministeri.

È opportuno però ribadire che le due sentenze non sono definitive e che

dovranno ancora svolgersi altri due gradi di giudizio. Sino a quel momento,

secondo la Costituzione italiana, gli imputati non possono essere considerati

colpevoli.

In appendice al testo, proprio per fornire un’informazione completa

ed obiettiva, pubblichiamo il dispositivo delle due sentenze con l’elenco

preciso degli imputati assolti e di quelli condannati. Infatti, non tutte le

persone accusate dai Pm sono state ritenute responsabili; in altri casi, il

giudice ha fatto una valutazione diversa sull’esistenza dei reati o delle

prove. Ma questa è la vicenda processuale e il giudizio sulla responsabilità

penale.

Quello che vogliamo offrire al lettore sono soltanto i fatti e le circostanze,

i volti e le vicende della vera storia di Calciopoli.

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Joined: 31-Jul-2007
1401 messaggi

repubblica.it

fulvio bianchi spycalcio

La mano dura di Palazzi

E adesso tocca ai big...

Lo leggo dopo

111431309-7e536c9e-a5ce-456b-8e35-83db46ac33b7.jpgStefano Palazzi (agf)

Ecco le sentenze-bis di uno scandalo che ha proporzioni enormi e che ha inquinato il tessuto del calcio, dalla serie A alla Lega Pro. C'è stato qualche sconto, non molto però. La procura Figc aveva chiesto 27 punti di penalizzazione per l'AlbinoLeffe, la Disciplinare ne ha inflitti "solo" 15. Taglio anche al Novara, 4 punti anziché sei (da scontare un B), 11 al Piacenza (fallito) anziché 19, 4 invece di 6 alla Reggina. Ha tenuto la linea del procuratore federale: consistenti sconti (secondo alcuni eccessivi) per chi collabora e mano dura per gli altri. Secondo noi bisognava evitare questo processo, e farne uno unico: perché ad esempio giudidicare due volte Siena e Grosseto? Ma ora lo staff di Stefano Palazzi dovrà volare perché c'è da sentire ancora un centinaio di persone e mettere a punto il processo-ter (poi ci sarà un quater, eccetera eccetera). Le audizioni sono già iniziate ma il materiale arrivato dalle procure di Cremona, Napoli e Bari è più che consistente e i tempi della giustizia sportiva lasciano a desiderare. Di fronte ad una situazione del genere ci vorrebbe una struttura imponente, una Superprocura che possa lavorare a tempo pieno: invece ci si affida ancora a investigatori che lo fanno per passione, quasi gratis (40 euro a missione) quando i funzionari della Covisoc, per fare un esempio, ne prendono 200. Ma non è meno delicato il lavoro che devono svolgere Palazzi e c. Non è affatto semplice interrogare calciatori o ex che si affidano a stuoli di avvocati

e che hanno poca voglia di farsi interrogare e cercare di sfuggire, rimandando gli appuntamenti (ora poi molti calciatori sono in vacanza a Formentera,,,). Ma bisogna fare in fretta perché qui potrebbero entrare in ballo-anche se non è ancora certo-molte società di serie A (Genoa, Torino, Lazio, Sampdoria, Napoli, Siena, ecc.) e di serie B (Bari, Lecce, Grosseto, ecc.), oltre a calciatori e tecnici illustri. La giustizia ordinaria ha i suoi tempi lunghi, lunghissimi, si sa. Basta pensare che l'inchiesta di Cremona non è ancora chiusa. Ma è giusto che Carobbio il 29 febbraio abbia lanciato, davanti a Palazzi, delle accuse nei confronti del suo ex tecnico (quando erano al Siena) Antonio Conte e che l'allenatore campione d'Italia non abbia avuto ancora la possibilità di difendersi? Che aspettano a chiamarlo? Non si può tenere la gente "appesa" per mesi e mesi, siano essi illustri o meno illustri: la presunzione d'innocenza vale per tutti ma bisognerebbe procedere con maggiore celerità ad interrogatori, confronti, eccetera. Per il rispetto delle persone e per consentire a chi non c'entra nulla di poter uscire da questa palude. Ci sono inoltre problemi di urgenza: il 2 agosto l'Inter deve scendere in campo per i preliminari di Europa League. Intorno al 10 agosto vanno fatti i calendari, perché il 26 inizia il campionato e la Figc, giustamente, non ha alcuna intenzione di farlo slittare (tra l'altro c'è ancora da risolvere la grana del contratto dei calciatori....). Palazzi quindi dovrà correre: gli interrogatori potrebbero finire intorno a metà luglio, subito dopo i processi-lampo che si concluderebbero intorno alla prima decina di agosto. L'Uefa può anche sanzionare i club a stagione in corso. Ma una cosa è certa, ormai: Giancarlo Abete ora dovrà mettere mano alla macchina della giustizia sportiva. Massima autonomia (ci mancherebbe), ma anche massima celerità e trasparenza. Ripeto: lo scandalo di Marassi, Genoa-Siena, è del 22 aprile, sono passati quasi due mesi. Quando Palazzi ci farà sapere cosa ha deciso?

(18 giugno 2012

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