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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Buongiorno di MASSIMO GRAMELLINI (LA STAMPA 02-06-2012)

Non gioco più, me ne vado

Il santo furbacchione è un classico tipo italiano. In politica annuncia nobili

dimissioni allo scopo di farsele respingere. In amore minaccia romantiche

rotture per vedersi riconfermare il proprio fascino. E sul lavoro, indossato

uno sguardo umile e offeso, si dichiarerà disposto a fare ciò che non vuole

nella certezza che lo scongiureranno di non farlo, così da continuare a fare

quello che vuole. Con quella faccia un po’ così, a strapiombo sulle lacrime,

temo che il commissario tecnico Prandelli appartenga alla categoria. Meglio un

santo furbacchione che un furbo mascalzone (abbiamo anche quelli), però non

me la sento di esaltare la sua ultima frignata: se proprio serve, rinunciamo agli

Europei. Ma chi glielo ha chiesto? Nessuno. Anzi: tutti, persino la ministra

dell’Interno, si sono affrettati a benedire la partecipazione all’evento. Che

era poi ciò che Prandelli voleva. Ma avrebbe potuto ottenerlo senza rifugiarsi

nel patetico.

Il c.t. si è inserito in una scia di successo. Pare stia diventando di moda

auspicare una fuga romantica dal calcio brutto sporco e cattivo, anziché

andare addosso alla realtà e triplicare le pene per gli scommettitori, oggi

talmente blande da convincere la malavita a investire nel pallone truccato

invece che in altri vizi sanzionati più duramente dalla legge. Ma è possibile

che per motivare una Nazionale circondata dagli scandali si debba sempre

pigiare il tasto del vittimismo? Ciascuno ha diritto al suo quarto d’ora di

emotività. Ma da chi siede sulla panchina di Pozzo e Bearzot resta lecito

aspettarsi forme di vita più evolute.

-------

Scommesse, i finanzieri

nella ricevitoria di Buffon

Perquisita la tabaccheria di Parma. Perché solo

dopo un anno? I punti oscuri sono tanti. Ecco quali

di NICCOLÒ ZANCAN (LA STAMPA 02-06-2012)

Dopo un giorno così, di silenzi durissimi, riunioni agli alti vertici e

telefoni che squillano a vuoto, si capisce il motivo. Sei agenti della Guardia

di Finanza si presentano nella ricevitoria di Massimo Alfieri, in via

Garibaldi, a Parma. Sono le sei di sera. Alle dieci sono ancora chiusi dentro

al lavoro, con le serrande abbassate. Il titolare non c’è. Si trova a New York

per qualche giorno di vacanza. Ma gli investigatori procedono. Stanno cercando

documenti sulle puntate degli ultimi tre anni, registri e archivi. È vero che

Gianluigi Buffon non è indagato per la storia dei nove assegni che ha girato

proprio al titolare di questa ricevitoria. Ma è altrettanto vero che

l’indagine sull’argomento è tutt’altro che chiusa. L’ipotesi è che quei soldi

- oltre un milione e mezzo di euro - siano stati utilizzati per scommesse

illegali.

Giornata tesa. Convulsa. In cui anche la procura federale ha aperto un

fascicolo. Per ora ripieno solo di ritagli di giornale. Ma è un atto che

potrebbe diventare propedeutico a un successivo approfondimento, con la

convocazione del portiere della Juventus e della Nazionale. L’inchiesta nasce

da un’iniziativa dall’ufficio movimentazione sospette della Banca d’Italia,

sezione antiriciclaggio. La storia diventa nota perché un’informativa della

Guardia di Finanza di Torino finisce allegata agli atti del calcioscommesse,

su cui lavora la procura di Cremona. Ed è proprio questa improvvisa notorietà

del fascicolo, pare di capire, ad aver consigliato «un’accelerazione

operativa». Molti aspetti restano controversi.

Appartamenti o puntate?

Per Marco Corini, avvocato di Buffon, questa è una storia inesistente:

«Perché Gigi ha usato quei soldi per acquisti vari. E come privato cittadino,

non deve renderne conto». La Finanza non ha mai chiesto documentazione in

tal senso - rogiti, ricevute - perché ipotizza un altro scenario: «A fronte dei

rilevanti fondi trasferiti da Buffon sono puntualmente identificabili addebiti

di importo abbastanza comparabile, disposti tramite rid bancari a favore di

Lottomatica Spa». All’assegno seguirebbero le giocate. «Solo il 10%

dell’intera movimentazione è riconducibile a titoli Pirelli Real Estate».

Allora diventa decisivo capire su cosa siano state fatte le singole puntate, a

nome e per conto di chi. Perché il Coni proibisce ai calciatori le scommesse

sulle partite, non quelle sugli altri sport.

La ricevitoria di Parma

L’Ufficio scommesse dei Monopoli: «Non abbiamo informative di comportamenti

scorretti da parte del titolare Massimo Alfieri. Secondo le nostre analisi, si

tratta di una ricevitoria specializzata nell’accettazione di scommesse sugli

sport minori, in particolare basket, hockey su ghiaccio e tennis». Ma questa

nota, uscita ieri pomeriggio, evidentemente non è bastata agli investigatori.

Rintracciare le giocate

Nell’informativa per la procura di Torino, la Finanza sembrava pessimista:

«Da quanto accertato con Banca Intesa, intermediario presso cui sono

incardinati i conti di Lottomatica, la successiva destinazione dei fondi

trasferiti automaticamente tramite rid, avviene per mezzo di operazioni di

cash pooling con l’azzeramento giornaliero del conto, che consente di riferire

il saldo positivo o negativo alla stessa capogruppo. Tale particolarità rende

assolutamente non individuabile l’utilizzo delle singole partite in entrata».

Altri tentativi

Resta percorribile la strada dei controlli sugli archivi cartacei. Ed ecco,

forse, il senso della perquisizione. Ogni singola giocata superiore ai 1000

euro deve essere segnalata dal titolare della ricevitoria. Spetta a lui

compilare un foglio che si chiama «Modulo di identificazione del cliente». Lo

stabilisce il decreto legislativo del 21 novembre 2007 in materia di

antiriciclaggio. Per ogni puntata, c’è quindi un documento con i dati

anagrafici e fiscali dello scommettitore. Il certificato deve essere trasmesso

al reparto assistenza scommesse dalla Snai in tempo reale: «I dati saranno

custoditi presso la sede della società in via Boccherini 39, Porcari,

Lucca...».

Scommettere sul cricket

Buffon era già stato al centro di «un’indagine sovrapponibile» nel 2006.

Allora le scommesse avvenivano tramite un sito Internet e tre broker. Il

portiere era stato sentito dai magistrati: «Aveva ammesso di essere un

giocatore accanito in vari settori: casinò, biliardo, lotteria, cricket. Ma di

non aver mai scommesso sulla Juve...». A maggio 2010 la procura di Parma

ha chiesto l’archiviazione del procedimento penale. «Analogamente la Figc ha

archiviato il procedimento relativo all’inchiesta sulle presunte scommesse».

-------

Intervista

Gigi in contropiede

“spendo i miei soldi come voglio”

di MASSIMILIANO NEROZZI (LA STAMPA 02-06-2012)

Gigi Buffon esce ammaccato dal primo tempo di ItaliaRussia, «uno stiramentino

alla spalla destra», ma fuori dal campo, in settimana, gli era andata molto

peggio: «Non ho fatto nulla e non ho ammazzato nessuno - si sfoga appena

uscito dagli spogliatoi dopo il match tra Italia e Russia - ma a qualcuno

faceva piacere tirare fuori queste cose».

Si difende alla grande sul prato il numero uno, con una parata delle sue, e

contrattacca fuori, dopo essere stato impallinato da critica e magistrati: per

le parole sull’etica del pallone e sulle presunte puntate, molto presunte, per

circa un milione e mezzo di euro.

Gigi Buffon, ci spiega che cosa è successo?

«E’ successo che una notizia morta e sepolta, e non pericolosa, è saltata

nuovamente fuori».

Non pericolosa?

«Io non ho fatto niente e non ho ammazzato nessuno».

Allora perché quella notizia è improvvisamente riemersa?

«Faceva piacere a qualcuno mettere in giro queste cose».

Che ha pensato?

«Non ho pensato solo a quello che è successo a me giovedì, ma a tutti i fatti

della settimana. La verità è che siamo in trincea, ma non c’è problema. E’ in

momenti come questi che si vedono gli uomini. Idem per la partita».

Cioè?

«Il risultato è brutto, inutile nasconderlo, ma è in questi momenti, appunto,

che bisogna essere uomini: paura zero, e io sono pronto alla battaglia».

Che ci ha fatto con quel milione e mezzo?

«Con i miei soldi faccio quello che voglio. Sono fatti miei, e non devo dare

spiegazioni a nessuno: posso aiutare un amico in difficoltà, comprare un

terreno, magari quadri, o una collezione di orologi. Se volete la prossima

volta vi faccio un dettaglio delle spese».

Perché se ne parla, allora?

«Non lo so. Io non devo chiarire nulla, con nessuno. Non sono indagato, e

neppure devo essere ascoltato».

Avevano setacciato i suoi conti.

«I miei conti correnti sono limpidi, ma mi spiace che si giochi sulla pelle

delle persone».

Quanto pesa sulla squadra?

«Diciamo che è tutta la settimana che non è stata molto regolare, che stride.

Cinque o sei di noi sono stati colpiti. Sono molto amareggiato».

Peggio giovedì sera o adesso, dopo aver perso 3-0?

«L’altra sera provavo amarezza, adesso grande amarezza. Dunque peggio ora,

perché la sconfitta coinvolge altre persone, i compagni, la squadra».

Se l’aspettava l’applauso di diciottomila spettatori?

«Non sai mai cosa aspettarti, a volte pane o sassate, va bene lo stesso. Ma

significa che loro, i tifosi, sanno chi sei. Se lo capissero anche altri non

sarebbe male».

Modificato da Ghost Dog

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Mi pare che...

La Juve ha finalmente imparato

a difendere i propri tesserati

di LUCIANO MOGGI (Libero 02-06-2012)

Sicuramente una provocazione quella del Presidente del Consiglio

Monti, l’invito per il calcio a fermarsi e riflettere: forse intendeva dire

che è ora che i capi di questo mondo mollino la poltrona. Qualcuno

magari gli avrà fatto presente che Abete, il presidente Figc, è

sfiduciato dall’ambiente sportivo. Quando infatti un presidente

federale nasconde radiazioni, passa sopra a valigette piene di euro

(250.000), gestisce Premiopoli come meglio gli aggrada (che fine ha

fatto Pichi, il professore di matematica che era il capo di

quell’ufficio? E perché il Procuratore federale Palazzi vietò con

tanto di email ad un suo stretto collaboratore di andare avanti nella

inchiesta asserendo che quell’ufficio presentava serie criticità? E

perché quel collaboratore fu subito trasferito dall’ufficio inchieste

all’Antidoping?), e ancora, tra i suoi e i nostri “brutti ricordi”, il

fallimento del mondiale 2010, la mancata qualificazione dell’Under

alle Olimpiadi, la mancata assegnazione dell’Europeo che sta per

cominciare, e per finire, il calcioscommesse. Che altro si vuole?

La farsa 2006

Possiamo solo dire che siamo in piena anarchia, ognuno dice quello

che pensa senza pensare a quello che dice. Prendete ad esempio

Moratti. Non gli sono bastate le 52 pagine di Palazzi, in cui l’Inter

veniva incolpata di “illecito sportivo”, salvata da Abete con la

solita prescrizione; non gli sono state sufficienti le motivazioni

della giustizia Sportiva e anche di quella Ordinaria di 1° grado che

recitano come il campionato 2004-05 fosse regolare; non gli è

bastato leggere nella relazione di Palazzi che l’incolpato di illecito

sportivo era il presidente dell’Inter Giacinto Facchetti; nonostante

tutto tenta di confondere la vicenda del 2006 (tutte frottole) con

quella attuale, ritenendo la prima «peggiore perché erano coinvolti

alti dirigenti» (infatti il Facchetti-prescritto era Presidente

dell’Inter): una bestemmia, non una valutazione, essendo sotto gli

occhi le abissali differenze, considerando che adesso esistono partite

truccate e giro di soldi.

Anche se bisogna riconoscere che una differenza c’è: oggi puoi rubare

e continuare a rubare, poi confessi e ti danno al massimo due anni;

nel 2006 invece mi hanno dato l’ergastolo per non aver commesso il

fatto, quando al massimo avrei meritato una multa per divieto di sosta.

Questo per far capire il degrado dell’ambiente. Chissà quante volte

Moratti avrà sognato un’altra Calciopoli, specie ora che è tornato

sulla terra (zero tituli): lo tsunami di oggi non gli può dare niente,

ecco perché nel 2006 per lui fu meglio. È questa la differenza.

Tutta da comprendere la rabbia di Buffon, ciò che meraviglia è che

non si sia accorto già sei anni fa di come va il mondo. È questo il

fatto nuovo rispetto ad allora, Buffon è sceso in campo in difesa

della categoria, oltre che del suo allenatore, “vedendo” ciò che

allora non aveva visto: «Parli con un pm e pochi minuti dopo tutti

sanno tutto, i media informati prima degli interessati, telecamere

all’erta all’alba a Coverciano in concomitanza con l’operazione degli

investigatori, che sarebbe dovuta essere riservata. Chi ha informato

chi e perché? La Giustizia non avrebbe bisogno di

spettacolarizzazione». Sono le riflessioni tardive di Gigi, e mi costa

molto sottolinearlo: però nel 2006 non ho mai sentito frasi del tipo

«quello che interessa è mettere qualcuno alla gogna».

Mal gliene incolse però, povero Gigi, di ieri infatti la notizia

delle sue scommesse, cifre comprese. In sua difesa possiamo dire che

è un atleta molto serio, che gioca sempre per vincere e il suo passato

lo dimostra. Forse l’unica cosa che resta da capire è la tempestività

della notizia: che fosse dovuta magari al suo sfogo?

Giustizia utopica

Patron Andrea Agnelli ha difeso con forza e puntiglio Antonio Conte.

Tanta differenza rispetto a quanto avvenne sei anni fa quando John

Elkann pronunciò la sua autodifesa («Siamo vicini alla squadra e

all’allenatore») «dando il via libera al massacro della dirigenza

juventina ». Lo dice il sito “Ju29ro”. «Andrea Agnelli ha voluto far

capire a tutti che con gli stessi metodi del 2006 stanno provando a

far fare a Conte la fine di Moggi e Giraudo, ma questa volta la Juve

difenderà se stessa e i suoi uomini. Gli esiti (non definitivi

ovviamente) delle vicende giudiziarie della Grande Farsa hanno infatti

dimostrato che in Italia la certezza del diritto è purtroppo un’utopia,

e che, con il supporto di media e politica, si può eliminare un

competitor per via giudiziaria. Soprattutto se non si difende ».

Appunto. A chi fischiano le orecchie?

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Calcio, Gigi contro i pm

E i travaglini insorgono…

di DAVIDE VARI (Gli Altri online 31-05-2012)

Niente, Gigi Buffon proprio non riesce a star zitto e ieri l’altro c’è

ricascato. Ricascato, certo, perché non è la prima volta che il

portiere della nazionale si lascia andare a opinioni e commenti che

non riguardino moviolone, gol e rigori. E in effetti il numero uno

della nazionale l’ha detta grossa: «Non si può giocare con la vita

delle persone», ha dichiarato dopo le retate sul calcio scommesse di

questi giorni. «Ma pensi a parare» è stata la riposta di commentatori,

nani e ballerine di Palazzo.

Per non parlare de Il Fatto, che oggi è uscito in edicola con il

solito titolo-sentenza: «Buffon insulta i magistrati». E sì, scorre a

fiumi l’indignazione nelle stanze della Cancelleria non ufficiale dei

giudici. Travaglio e soci, del resto, son lì per questo: per difendere

l’onorabilità dei togati e, se possibile, emettere sentenze e

comminare pene prima ancora che il processo abbia inizio.

Ma questa volta è un bene che Buffon non ami la giustizia sommaria,

altrimenti si sarebbe trovato con tutto il suo metro e novanta davanti

la porta di Travaglio che a quel punto avrebbe di certo fatto appello

al garantismo del portierone. La verità è che Buffon non ne ha

sbagliata una. Il ragazzo è sveglio e preparato. Sapeva che si sarebbe

infilato dritto dritto nel vortice delle polemiche e tra le la lame al

veleno dei moralisti. Ma lui se n’è fregato e ha sparato la sua. «Ci

sono delle operazioni giudiziarie, e voi lo sapete tre o quattro mesi

prima. Uno parla con i pm e voi sapete il contenuto dieci minuti dopo:

è una vergogna. Fuori da Coverciano c’erano le telecamere dalle 6 del

mattino».

Tutto vero, anzi, verissimo. E ancora: «Ho piena fiducia nei pm che

possono fare piena giustizia. Perché non c’è nulla di peggio che

giocare o speculare sulla vita delle persone». In attesa della

condanna di Travaglio, noi ringraziamo e assolviamo lo juventino. Il

che, per un romanista, è tutt’altro che scontato…

-------

Caro Buffon, questo è un regime

la magistratura non si può criticare

di PIERO SANSONETTI (Gli Altri online 01-06-2012)

Ho sempre detto e scritto che in Italia c’è piena libertà di opinione,

di stampa, di espressione delle proprie idee. Mi sono ricreduto. In

Italia c’è effettivamente una ampia libertà di critica verso tutti i

cittadini e tutti i poteri tranne uno: il potere giudiziario. Il

potere giudiziario vive realizzando – per se stesso, cioè a proprio

esclusivo vantaggio – un regime fascista su misura. Totalmente

illiberale. Chiunque si avventuri a criticare la magistratura (o anche

il giornalismo ancillare della magistratura) sa di rischiare la

vendetta. Anzi, sa che subirà la vendetta. Forse in tempi brevissimi.

Come è successo a Buffon che il mercoledì ha criticato i giudici per

la vergogna mediatica costruita intorno al calcio scommesse (e li ha

criticati assolutamente a ragione) e il giorno dopo si è beccato una

fuga di notizie contro di lui, scientifica, consapevole e squadrista,

da parte della stessa magistratura che ha fatto sapere per filo e per

segno tutti i fatti suoi, infamandolo e poi trincerandosi dietro la

formula assurda: non c’è reato. Ma porca P*****A, se non c’è reato

perché dai le carte ai giornalisti?

Giorni fa, intervenendo a “Servizio Pubblico” e denunciando le feroci

lotte aperte dentro la magistratura (mi riferivo a una faida calabrese)

mi sono sentito rispondere dal Pm Scarpinato – che tra l’altro, a

quanto mi dicono, è uno dei migliori e più seri investigatori della

Sicilia – che di queste cose non si deve parlare in pubblico,

tantomeno in uno studio televisivo, perché esistono gli appositi

organi disciplinari (della stessa magistratura) che possono

occuparsene nel modo giusto e con la giusta riservatezza. Sono rimasto

basito.

Capite qual è l’idea? Una cosa è il mondo normale e una cosa diversa

la magistratura. La magistratura al disopra del mondo normale, tutto

dispone con giustizia, punisce se serve, coi metodi che ritiene i più

saggi, assolve, eventualmente, con magnanimità, e non ammette di

essere criticata. Una idea molto simile, credo, a quella di Khomeini.

Buffon c’è finito in mezzo, come in Iran è capitato a tanti

intellettuali laici.

-------

Calcio, il bluff di Prandelli e l’agguato dei pm:

va in scena il solito melodramma all’italiana

di DAVIDE VARI (Gli Altri online 01-06-2012)

Il sondaggio di repubblicapuntoittì già vola: “la nazionale deve

restare a casa?”. E sì, da quelle parti sanno bene che il calcio tira

e che gli italiani non vedono l’ora di appuntare il proprio

insindacabile giudizio sul caso del giorno. Il via alla girandola l’ha

dato Prandelli, il ct più perbene della storia: «Se ci dicessero che

per il bene del calcio la Nazionale non deve andare agli Europei non

sarebbe un problema», ha detto stamane davanti a uno sciame di

giornalisti eccitati.

E sì, Prandelli è davvero una brava persona. Fu lui che convocò in

nazionale Simone Farina, il giovane giocatore del Gubbio che denunciò

un tentativo di combine. E fu sempre lui, Prandelli, che portò Pirlo e

company a sgambettare nel campo di Rizziconi, una paesino a due passi

da Rosarno e Gioia Tauro. Un borgo ad alta densità mafiosa, come si

dice ultimamente. La gita in Calabria doveva servire a dare un

messaggio chiaro e forte: un no deciso alla mafia. Poi De Rossi e soci

se andarono ma i clan, quelli no, loro sono rimasti lì. Anzi, pare

ormai certo che tra gli spettatori della partitella azzurra c’erano

molti boss locali.

E oggi ci risiamo. Prandelli l’ha buttata lì: siamo pronti a non

giocare gli europei. Una sparata potente ma innocua come la cannonata

del mezzodì del Gianicolo. Tutti sappiamo che agli europei l’Italia

andrà, eccome. Ma nel frattempo, intorno al calcio, si sta allestendo

il palco del melodramma all’italiana. L’impressione è che si continui

a giocare l’eterna partita dell’antiberlusconismo. Buffon ha provato a

dire la sua, ha provato a spiegare a tutti noi che gli avvisi di

garanzia servono agli imputati per difendersi e non ai giornalisti per

vendere copie. Ma niente, la dinamica è sempre quella: il pm passa le

carte al giornalista di turno accampato nelle sale d’attesa delle

procure, il quale copia e incolla sulle colonne del suo giornale un

pezzo fiume che chiama inchiesta. Viva l’Italia.

-------

Ingroia, ascolta un interista: la Juve è come

il Cav, va sconfitta in campo e non nei tribunali

di NICOLA MIRENZI (Gli Altri online 02-06-2012)

Il procuratore antimafia Antonio Ingroia non riesce proprio a

liberarsi della legge. La vede ovunque. Anche nel calcio. Dove l’unica

legge che esiste è quella del più forte. Intervistato dalla

trasmissione radiofonica “Un giorno da pecora” ha detto di essere

«tifoso dell’Inter». «La squadra della legalità», l’ha definita. In

opposizione alla Juve, che «rivendica un trentesimo scudetto che gli è

stato giustamente cancellato».

Anche io sono tifoso dell’Inter. E in questi anni di ribalte e

sconfitte me ne sono sentite dire di tutti i colori: arrogante,

perdente, vittima, piagnone, indossatore di scudetti altrui.

Legalitario: mai. A dire il vero cosa significhi essere una squadra di

legge e ordine non riesco a capirlo chiaramente. Ho il sospetto che si

tratti di un insulto. Perché al di là della noia burocratica del fair

play è evidente che l’inganno – cioè la finta – è la materia prima del

talento. Da Messi a Roberto Baggio, da Ronaldo a Kakà, da Ibrahimovic

a Roberto Carlos, nessuno è mai riuscito a scucire un’esclamazione di

stupore senza stravolgere qualche regola fissata, senza mentire

all’avversario, suggerendogli una traiettoria e sgattaiolando via

dall’altra.

Più di tutti è stato Diego Armando Maradona a svelare l’essenza

mariuola del pallone, vincendo la più importante partita della sua

vita – Argentina-Inghilterra, anno 1986 – con uno sporco gol di mano.

Va da sé che secondo il procuratore Ingroia quell’irregolarità andava

punita con l’espulsione. Ma la giustizia segue percorsi più tortuosi

di quelli tracciati dalla legge e nessuno riuscì a mettere in

condizioni di non nuocere quel bandito di Diego Armando. Anche perché

quella manata non era affatto una manata qualsiasi: era la

manifestazione del divino in terra. Come dissero gli argentini, la

mano de dìos.

Sì, certo: chi trucca le partite va fermato. Non c’è bisogno di

premetterlo ogni volta. Ma confesso che da interista mi vergogno di

quello scudetto che Massimo Moratti fece cucire sulla nostra maglia

dopo la famigerata calciopoli. Non sono mai riuscito a portare con

fierezza un trofeo guadagnato a tavolino. A dispetto della Juventus,

poi: la nemica giurata. Contro la quale, caro procuratore Ingroia,

vale ciò che valeva per Silvio Berlusconi. Si batte in campo, non nei

tribunali.

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Bonucci, spunta la richiesta di perquisizione

E nelle carte ecco Tiziano Ferro, una sfilata di veline e la droga

Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica -Il Giornale -02-06-2012

Nelle carte di Cremona sul calcio marcio si delinea il network mondiale delle combine ma saltano fuori anche i rapporti non sempre limpidi tra calciatori e tifosi. Emerge il gossip di un mondo il cui confine con lo show business è spesso esile, relazioni e rapporti non necessariamente illeciti, le vite degli altri passate al setaccio.

«HAI CHIAMATO TIZIANO FERRO?»

Ed è così che salta fuori, naturalmente non coinvolto dalle indagini, il cantante Tiziano Ferro. Il suo nome spunta in una intercettazione di maggio 2011 tra Safet Altic, il bosniaco tifoso del Genoa e amico di Sculli, e Guido Morso, ultras la cui famiglia per la polizia è «collegata alla cosca mafiosa Emanuello di Gela». Quest’ultimo sembra dare per scontato che Altic conosca il cantante di persona, a meno che i due non parlino in codice. Morso: «Pronto, scusa…». Altic: «Che ora sono?». M: «È ora che ti ripigli, mezzogiorno e venti». A: «Giura!». M: «E giuro sì, ma secondo te cammino con le bugie? Senti un po’, lo hai chiamato a Tiziano Ferro?». A: «No (…) fa il concerto sabato».

VELINE E COLLEGHI. IL GIRO DI «ZAMPA»

Alessandro Zamperini, per la procura, è il «filtro» tra il laziale Mauri e il boss Ilievski, ed è lo snodo di varie presunte combine. Così «Zampa» finisce monitorato a fondo dalla polizia che evidenzia ogni suo contatto e le sue relazioni sociali. Nella rete finiscono i 1107 contatti con Mauri, i 236 con Bobo Vieri. Ma agli atti restano anche 71 contatti con un cellulare (33117…) intestato al «Consiglio regionale della Lombardia», e poi Gervasoni e Tisci (68 e 62 chiamate), Stefano Ferrario e Beppe Sculli, l’esponente del clan Moccia Angelo Senese, e una serie di amici non coinvolti come Alberto Aquilani (60) la showgirl Cecilia Capriotti, Barbara Fagioli, Melissa Satta, Roberto Baronio, Fabio Galante, Aldo Maldera, Simone Pepe (l’esterno juventino «coinvolto» da Andrea Masiello come a conoscenza, seppur contrario, della presunta combine di Udinese-Bari, la stessa di Bonucci), Abbiati, Rolando Bianchi e tanti altri.

BONUCCI E LA PERQUISIZIONE

Una nota dello Sco, depositata il 27 aprile come integrazione dell’ultima informativa, rivela che gli inquirenti volevano perquisire anche Leonardo Bonucci. Un «dettaglio» che aggiunge elementi alla polemica sull’incredibile differente valutazione che la Figc ha fatto per Criscito - indagato, perquisito e cacciato dalla nazionale - e per Bonucci – indagato, rimasto agli Europei perché non perquisito. La richiesta di perquisizione rende ancora più sovrapponibile la posizione dei due. Il nome di Bonucci, indagato a Cremona, è al primo posto nell’elenco di 21 persone per le quali sui chiede «l’emissione di decreti di perquisizione» per «favorire l’acquisizione di elementi utili alle indagini».

ALTIC, DROGA ALL’AMICA DI SCULLI

La sera del 12 maggio 2011 per Altic è in programma un viaggio. Secondo la polizia dopo aver incontrato Milanetto, intrattiene numerosi contatti telefonici con Sculli, Kaladze e altri del «gruppo genovese», propedeutici a pianificare un viaggio da Genova a Roma passando da Milano, «ove egli dovrà incontrare il calciatore Kaladze e la fidanzata di Sculli, M.H.». Ed è proprio Beppe Sculli a guidarlo per telefono fino al suo appartamento. Per la polizia «è evidente che Altic, dopo aver evidentemente consegnato a E.H. il quantitativo di stupefacente, si allontata dalla via per recarsi all’altro appuntamento con Kaladze».

KALADZE, IL BOSS E MIAMI BEACH

Dall’esame dei tabulati «caldi», nei giorni precedenti la presunta combine di Lazio-Genoa, gli inquirenti trovano uno strano legame parallelo tra il calciatore georgiano Kakha Kaladze e il boss degli «zingari» Ilievski. Il 14 maggio, giorno dell’incontro, Kaladze «alle ore 22.53 viene chiamato dall’utenza telefonica nr. 0017865(…), con la quale parla per circa tre minuti. Tale utenza, che da quanto verificato dovrebbe appartenere al distretto telefonico di Miami Beach - Florida (USA) è risultata essere in contatto con quella di Kaladze dal 02.04.2011 al 21.0S.2011, con la maggior parte delle chiamate concentrate tra il 9 e il 10 maggio».

Niente di strano, se non fosse che «il contatto assume rilevanza» perché esce dai tabulati di Ilievski «che nel solo periodo 12/13 maggio 2011 (prima di una partita incriminata, ndr) ha parlato a lungo per 11 volte con l’usuario dell’utenza nr. 001786(…) appartenente allo stesso distretto di quella in contatto con Kaladze». E la «cella» da cui Ilievski chiama, il 12 maggio, è a Milano «non lontano» da casa di Kakha.

SPUNTA ANCHE BIAVA

Lo Sco a un certo punto analizza il traffico telefonico degli indagati, e rimarca, tra «i contatti di maggiore interesse investigativo» di Carobbio, anche il difensore della Lazio (ex Genoa) Giuseppe Biava. Il «pentito» Carobbio lo chiama soltanto il tre occasioni, il 2 aprile e poi il 17 e 18 maggio. Gli inquirenti annotano che «in prossimità di tali date sono state disputate le competizioni sportive Lazio-Genoa (14 maggio) e Lecce-Lazio (22 maggio), alle quale il difensore laziale ha preso parte».

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France football | VENDREDI 1ͤ ͬ JUIN 2012

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IL GRAFFIO di EMILIO MARRESE (Repubblica.it 02-06-2012)

Fumus persecutionis

Un milione e mezzo a un tabaccaio. Buffon come Camilleri

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Il romanzo per ultrà e poliziotti

di SEBASTIANO VERNAZZA dalla rubrica NON CI POSSO CREDERE! (SW SPORTWEEK 02-06-2012)

Ha vinto il premio Calvino – riconoscimento dedicato al grande scrittore

Italo Calvino – con un romanzo di 450 pagine sulle relazioni pericolose tra

poliziotti e ultrà: A viso coperto il titolo provvisorio. Primo arrivato su

120 candidati, l’autore vincitore si chiama Riccardo Gazzaniga, ha 36 anni

ed è sovrintendente di polizia, delegato sindacale del Silp-Cgil. Lavora al

Reparto Mobile di Genova-Bolzaneto. Il libro è inedito, non è ancora stato

pubblicato («Ci sono trattative in corso con editori»). Lusinghiera la

motivazione della giuria del Calvino: “Per la capacità di coinvolgere il

lettore facendolo penetrare negli universi paralleli delle forze dell’ordine

e degli ultrà”. La trama? «Narro le vicende di una squadra di agenti e di un

gruppo di ultrà genoani», risponde Gazzaniga. «La storia è ambientata

a Genova. Tutti tradiscono qualcuno e qualcosa. Un libro su violenza e

fedeltà». Il poliziotto-scrittore sa di che cosa scrive: «Guido una decina di

uomini. La mia prima partita di “lavoro” fu un derby tra Pisa e Livorno di

ormai quindici anni fa. Da allora, ho collezionato centinaia di “presenze”».

E sul problema ha idee chiare: «Non ci sono mezze misure. Si è troppo

accondiscendenti o troppo semplicistici nel liquidare la questione alla voce

“quattro delinquenti”. Il tema della violenza nello sport è complesso, esiste

dai tempi di Roma antica». Dialogo o manganello? «Il dialogo è necessario,

ma viene meno se si supera una certa soglia». Un poliziotto tifa anche se

è in servizio? «Sono juventino, ma per me i tifosi sono tutti uguali».

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SPY CALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 02-06-2012)

Il silenzio di Petrucci

E adesso che fa Abete?

Quello che preoccupa è il silenzio di Gianni Petrucci. Il n. 1 dello sport

italiano medita. "E' in attesa di eventi", spiegano dal Coni. Aspetta di

sapere come evolverà la situazione del calcio, fra gaffe (Prandelli),

interpretazioni di norme (giustizia sportiva) e scelte che fanno discutere

(Bonucci sì, Criscito no). Il presidente del Coni, insieme con Lello Pagnozzi

che a maggio 2013 prenderà il suo posto, sarà in Polonia. Arriverà alla

vigilia di Italia-Spagna, un segnale di attenzione nei confronti di uno sport

che segue sempre con curiosità e rispetto. Petrucci è sempre stato il primo

"sponsor" di Giancarlo Abete: negli ultimi anni si è avvicinato molto a lui e

lo ha sempre difeso, varando anche norme (etiche e non solo) per aiutare il

difficile cammino della Figc. Ora aspetta in silenzio. Ma questo non vuol dire

che sarà passivo: Petrucci, soprattutto ultimamente, è molto attivo e quando

c'è da intervenire, anche con decisione, è pronto sempre a farlo. Ma prima

tocca a Giancarlo Abete dimostrare che può davvero governare una nave che è

incappata in Capo Horn... La sua decisione di intervenire sui patteggiamenti

del processo del calcioscommesse (sempre che possa farlo, ci sono pareri

fortemente discordi) ha irritato la disciplinare e anche la procura (Palazzi è

seccato e qualche membro pareva addirittura intenzionato a dimettersi, tanto

per 40 euro al giorno...).

Che farà adesso Abete, andrà avanti nella sua intenzione? O prenderà tempo?

D'altronde, a luglio ci sarà il processo-ter, con le big, e certi

patteggiamenti (vedi i sei punti di penalizzazione al Grosseto, per quattro

illeciti più omesse denunce) faranno giurisprudenza. Palazzi è stato morbido,

sin troppo in alcuni casi. Duro con chi non ha ammesso nulla: 27 punti di

penalizzazione all'AlbinoLeffe (ne erano stati offerti 10 col patteggiamento),

19 al Piacenza, 1 anno agli allenatori che non hanno denunciato l'illecito,

tentato o consumato che sia (ci pensi qualche tecnico importante. . . ).

L'AlbinoLeffe è retrocesso dalla B alla Lega Pro: con questa stangata record

come fa ad iscriversi al campionato? E il Piacenza, che balla fra fallimento e

maxi-penalizzazione? In Lega Pro sono quantomeno perplessi, e non è detto che

Mario Macalli se ne stia zitto. Come più volte abbiamo scritto questo è un

processo frettoloso, valeva la pena aspettare fine giugno con le indagini e lì

tirare una riga. Anche perché Grosseto e Siena, per fare un esempio, sono

stati giudicati adesso e lo saranno anche nel processo di luglio. Che senso

ha? Abete voleva dare un segnale di fermezza, mandando subito in aula tutti i

casi "chiusi", certificati: ma così è venuto fuori un pasticcio, e tante

polemiche. Anche perché quello che sta uscendo dalle procure che indagano (e

sono benemerite per il mondo del pallone) è qualcosa di spaventoso e forse

inimmaginabile. La piaga delle scommesse è radicata ormai nel tessuto del

nostro calcio. Ce ne vorrà per estirparla.

Altro fronte caldo: la Nazionale. A parte il gioco, che è un altro capitolo,

prima di partire per la Polonia sarebbe il caso che Abete e Valentini

spiegassero ai vari Prandelli, Buffon e c. che loro non devono immischiarsi in

questioni che non li riguardano, lanciando (Prandelli) allarmi ridicoli e

prendendo di petto (Buffon) i magistrati. Pensassero uno ad allenare e l'altro

a parare. Delle questioni "politiche" se ne occupa Abete e poi c'è anche un

capodelegazione che è Demetrio Albertini, ex calciatore di un calcio che non

c'è più (e forse per questo anche lui finito nel frullatore...). A ognuno il

suo ruolo. Per chiudere: è probabile che Palazzi a fine processo sia destinato

ad altro incarico (si dice così, no?), vale a dire a capo di un organo

giudicante. La superprocura della Figc dovrebbe essere affidata a Giandomenico

Lepore, ex capo della Procura di Napoli. Ma nel frattempo speriamo che Palazzi

e i suoi, pur (obiettivamente) oberati di lavoro, ci facciano sapere se sono

venuti a capo dello scandalo di Genoa-Siena, con quei calciatori umiliati e

prigionieri degli ultrà. Non dimentichiamolo: è stato qualcosa di allucinante

e preoccupante. Che annata...

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Presunzione di ignoranza

di Marco Travaglio (il Fatto Quotidiano 03-06-2012)

E meno male che il Cainano, venuto meno all’affetto dei suoi servi, avrebbe

dovuto mancare agli antiberlusconiani. Ricordate i risolini dei suoi

impiegati? “Ora, senza di Lui, chi lo combatte resterà disoccupato”. Bene, mi

pare di poter dire che, senza di lui (almeno come premier), noi ce la passiamo

piuttosto bene, mentre chi rischia di restare senza lavoro, anzi di dover

andare a lavorare per la prima volta nella vita, sono i berlusconiani. Quelli

propriamente detti e quelli camuffati da riformisti, terzisti, dialoganti,

pompieri. Ora i servi s’aggrappano a Monti e Montezemolo, si convertono dalla

passera al Passera, si travestono da liste civiche. E signorini grandi firme

che, senza il padrone che dà la linea, non sanno più dove sbattere la testa.

Prendete Il Giornale. Olindo Sallusti prende carta e penna per difendere Rosa

Santanchè dalle intercettazioni del caso Ponzellini-Bpm. Rosa riempie due

pagine del Giornale, una di intervista l’altra di pubblicità, per annunciare

che ha deciso di non pagare l’Imu. L’editore Paolo Berlusconi, non fidandosi

comprensibilmente di Olindo, scrive un commento sulle sue intercettazioni del

caso Ponzellini-Bpm: “Ma in che Paese viviamo?”. In quello governato da suo

fratello Silvio per 10 anni negli ultimi 18. Un Paese in cui, per dire, la Bpm

era il bancomat dei ras Pdl, che chiedevano finanziamenti “aumma aumma” e

quasi sempre li ottenevano, diversamente da milioni di famiglie e di imprese.

Un Paese in cui l’ex ministro Romani è inquisito con il dottor Paolo per

corruzione in uno scandalo di favori immobiliari a Monza. A impreziosire

vieppiù la prima del Giornale, il titolone cubitale “Svolta Berlusconi.

Ultimatum all’euro”, subito smentito dalla viva voce del padrone: stava

scherzando, come si permettono i servi di prenderlo sul serio? Mitico anche il

commento di Tony Damascelli, sospeso dall’Ordine per essersi “posto al

servizio di Moggi” nella Calciopoli del 2006. Dunque ora si occupa della nuova

Calciopoli, in qualità di tecnico: per lui lo scandalo non sono le partite

truccate né i calciatori che si appartano con zingari, cinesi e mafiosi

nostrani per giocare contro la propria squadra; bensì “procure, avvisi di

garanzia, indagini aperte e chiuse, informative. . . il ventilatore delle

procure che quotidianamente spargono notizie”. E lui, da buon giornalista,

delle notizie ha il sacro terrore. Non vede l'ora di imbarcarsi per gli

Europei al seguito dei giocatori (nel senso di scommettitori): “Macché

rinuncia: andiamo agli Europei alla faccia dei pm”. C’è poi la piccola

succursale del Giornale in partibus infidelium, cioè sul Corriere: le due

colonne settimanali di Piero Ostellino che, da quando Monti ha rubato il posto

a Silvio, ha la labirintite. Ieri rilanciava la balla di Antonio Fazio

“riconosciuto innocente dall’accusa di aver favorito illegalmente scalate

bancarie” dopo che i giudici cattivi e il “giornalismo irresponsabile”

(compreso quello del suo giornale) hanno violato “la presunzione di innocenza”

(che non c’entra una mazza) e gli han “distrutto la carriera e l’onorabilità”

(falso: Fazio è stato assolto per Unipol-Bnl, ma condannato per

Bpl-Antonveneta). Segue commosso elogio di Buffon, colpito dalla Procura di

Torino con un “pizzino mafioso”, un “avvertimento di stampo mafioso”, una

“violazione del segreto istruttorio che sconfina nella prassi mafiosa”,

minaccia “la nostra democrazia” e impone “l’intervento del presidente

Napolitano al Csm”. Se questo monumento all’ignoranza avesse chiesto lumi ai

cronisti del Corriere che pubblica le sue fregnacce, avrebbe appreso che

l’informativa sulle scommesse di Buffon fu trasmessa mesi fa dalla Procura di

Torino a quella di Cremona, che l’ha depositata al gip e agli avvocati, dunque

non è segreta e chi ne parla non viola alcun segreto istruttorio (fra l’altro

abolito nel 1989). Ma a Ostellino, più che di innocenza, si applica la

presunzione di ignoranza.

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SALISCENDI

Se la tv copre il calcio

di CARLO TECCE (il Fatto Quotidiano 03-06-2012)

C’è una fotografia che i giornali hanno pubblicato a ripetizione. Coverciano,

ritiro azzurro durante una settimana nerissima, il commissario tecnico Cesare

Prandelli si copre il mento con una mano, osserva oltre la porta, quasi

socchiusa, con uno sguardo smarrito, forse rassegnato. I finanzieri

perquisiscono la camera di Domenico detto Mimmo Criscito, un terzino fragile

di spirito e di carattere, che assisteva ai vertici fra delinquenti con la

stessa inedia con cui si faceva scavalcare all’Olimpico da Francesco Totti. E

poi ci sono il vittimismo diffuso, il malloppo di Buffon, la malavita di

Sculli. Ecco, nonostante la passione calcistica scateni il vomito, e la

delusione per chi s’era illuso fra bandiere lise e campioni finti, c’erano 6

milioni di italiani che ascoltavano una telecronaca imbottita di riferimenti a

sc hemi, moduli, repar ti. E una premessa, la più fastidiosa: “Finalmente il

calcio giocato”. Non l’avessero finito di pronunciare, il giornalista e l’ex

calciatore in grisaglia ufficiale su Rai1, e le agenzie battono l’arrivo dei

finanzieri in quella tabaccheria di Parma dove l’astuto portiere juventino

metteva al sicuro i suoi guadagni. Dire che i guai del campionato italiano

siano cominciati con la televisione è la scemenza più semplice che si possa

rifriggere. Però, non buttatela via completamente. Un pizzico di verità c’è,

per quanto si possa conoscere e scrivere la verità. Quando notizie terribili

si rincorrevano e superavano, le bombe di Brindisi e il terremoto in Emilia, i

giornalisti di Skysport 24 cercavano di rassicurare i telespettatori non sia

mai eccessivamente emozionati o coinvolti in fatti ben più seri del prossimo

ingaggio di Alessandro Del Piero: “Andiamo avanti, via il collegamento con lo

stadio per Napoli-Juve”. Il pallone che rotola dà proprio la sensazione di un

momento sportivo che può rilassare, anzi deve. Ogni volta che un’inchiesta

giudiziaria aggredisce il calcio italiano si formano due fazioni: quelli che

desiderano condanne pesanti, quelli che giustificano i calciatori. Poi c’è una

terza fazione, che non manca mai, quelli che tendono a minimizzare. Per mesi,

anni, sempre dunque, le televisioni, che si sono comprate il calcio, hanno

minimizzato qualsiasi spiffero o valanga. Hanno raccontato una seconda parte

di campionato come se fosse un romanzo cavalleresco, mentre decine di

calciatori tremavano sapendo di finire in galera nel giro di un paio di

settimane. Hanno celebrato le partite finalmente regolari, come una vittoria

esterna del Parma in casa di un Lecce in lotta per non retrocedere. E

addirittura qualche buontempone ha frainteso il rapporto di Sculli con gli

ultrà; l’attaccante fu l’unico a non togliersi la maglietta in Genoa-Siena.

Pensavano fosse un gesto di coraggio.

Le televisioni hanno inventato le trasmissioni per esaminare le campagna

acquisti; per intervistare i campioni (o è un abbaglio o c’è stato su Sky uno

speciale su Alessio Tacchinardi); per entrare con la telecamere negli

spogliatoi, per comprendere le tattiche e i movimenti; per misurare le linee

di fuorigioco; per capire le buffonate di Balotelli. Ma si sono dimenticati di

interpretare il calcio come un’azienda che fattura miliardi, a volte sporchi.

A volte i loro.

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il Fatto Quotidiano 03-06-2012

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La Nocerina salva la Figc?

Potrebbe fare ricorso come parte lesa e bloccare i patteggiamenti “eccessivi”

L’impugnazione delle sentenze paventata da Abete fa infuriare Palazzi, ma i patteggiamenti di comodo sono un problema reale

di ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 03-06-2012)

ROMA. Il processo sulle scommesse riprende domani pomeriggio, ma

scommettiamo che le polemiche sul patteggiamento del Grosseto (e di

Carobbio ) proseguiranno per tutta l’estate? Ohi, ragazzi, la quota è bassa (e

al gruppo di Dan non interesserebbe) perché lo strappo istituzionale imposto

a processo aperto dal presidente federale Abete con la linea extra morbidosa

scelta per premiare il pentimento e il patteggiamento del club toscano non ha

precedenti. E sentire Abete sfidare - persino - l’articolo 23 comma 2 del

codice di giustizia (non si ricorre contro i patteggiamenti, che chiudono

il procedimento) è qualcosa di clamoroso. L’impugnazione (ex articolo 33

del codice) del presidente paventata da Zurigo ha scosso la Procura e

fatto imbufalire Palazzi e la Disciplinare che l’ha accordata, ma una strada

per uscire dall’impasse c’è: la Nocerina proporrà ricorso (probabilmente

alla Corte di Giustizia federale a sezioni unite) perché la norma esclude

ricorribilità per chi fa l’accordo (Grosseto e Federazione, rappresentata da

Procura e Disciplinare), ma non dice nulla sul terzo interessato. E fregato.

Una penalizzazione più forte, un’afflittività sul campionato in corso avrebbe

rimesso in gioco la retrocessa Nocerina. «Deve esistere un modo per ricorrere

contro l’errore di una procura o di una Corte», gridano a Nocera. E l’avvocato

Stagliano prepara il ricorso contro l’amico Grassani , abile a trovare una

falla nel sistema. C’è partito un colpo, forse abbiamo usato una premialità

eccessiva per otto illeciti, dicevano a mezza bocca anche in Procura. E la

stessa Disciplinare s’è espressa a maggioranza: tutto spaccato in Figc, di

questi tempi. Poteri contro (Abete ci risparmi per il futuro la favoletta

della separazione dei poteri, please); giudici che si dividono.

IL BUCO Il problema è che il principio utilizzato da Palazzi e Artico ,

presidente della Disciplinare, crea la falla: un pentito che parla ai giudici

ordinari equiparato a chi parla in federazione crea la strada per il club per

chiedere uno sconto eccezionale. Il Napoli potrebbe farlo con Gianello ,

collaboratore a Napoli. E allora tutti a caccia del pentito (magari a fine

carriera) che risolve la propria e altrui condizione. Chi affronta il giudizio

(Albinoleffe) perché si sente vittima degli “sfigatelli” che taroccavano

partite a raffica becca il meno 27. Insomma, questa del pentimento sta

diventando una scorciatoia a quattro corsie per chi sa attraversarla. La

Federazione (tra l’altro) ci guadagna pure: belle multe da incassare e via.

MECCANISMO MALATO Solo che il meccanismo - con l’aggravante del

tempismo sballato di questo processo divenuto ormai apripista per l’estate

di Scommessopoli - pare quello del bottone dell’autodistruzione: confessare

per resistere, col rischio di coinvolgimenti a macchia d’olio. La calunnia è un

venticello, ma soffia forte se - caso Nicco - non si darà conto di chi

denuncia, esponendosi, il Gervasoni di turno perché pensa di non aver

partecipato ad alcun illecito. Se sia proprio la «vergogna di chi legittima

l’illecito» di cui urlava il segretario della Nocerina al Foro Italiano

giovedì, non lo sappiamo ma applicando il criterio il Bari e il Siena (che i

loro pentiti li hanno già, Masiello e Carobbio ) se la possono cavare a buon

mercato. E la Lazio per i due casi che coinvolgono Mauri non ha che da

convincere a dire quel che si vuole sentire il calciatore per puntare ai 2

punti al massimo.

LA DELUSIONE In ogni caso è il frutto amaro dell’appello a pentirsi fatto da

Palazzi e dal procuratore Laudati a Bari: pentimenti che certo agevolano il

lavoro delle procure penali, ma stanno mandando in tilt il sistema federale

del calcio. E a bacchettare il tutto anche il maitre-a-penser del calcio

pulito, Zeman : «Non ci bastavano i terremoti e la crisi economica, pensavo

che arrivassero pene pesanti per quelli che hanno sbagliato per dare un

esempio, purtroppo vedo che non succede nemmeno questo. Non arriva

l’esempio da seguire. Sono preoccupato che questa situazione possa

continuare».

-------

E’ cambiato il clima rispetto a sei anni fa

di ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 03-06-2012)

C’ERA UNA volta Calciopoli, l’hanno fatta sembrare peggiore - un male che

poteva uccidere il calcio - ma era meglio di questa melma scommessara.

Cadevano o sarebbero potute cadere teste coronate, ma nessuna conseguenza

sul campo: quel che conta, nel calcio, è la palla che rotola e in quella stagione

(cfr. sentenza Casoria, 6 febbraio 2012) il campionato non venne alterato;

quel che contò allora è che i ragazzi di Lippi non erano toccati, solo

sfiorati (e comunque protetti: ma Abete non era il capodelegazione, allora?) e

vinsero e consentirono al sistema di rimettersi in moto. Se in campo gestirono

molto meglio la situazione, nel 2006, a livello di giustizia sportiva e

indagine la gestione del caso fu disastrosa: anche allora Borrelli fece

l’appello a pentirsi (di che?), ma quando qualcuno spiegava loro che il

sistema delle telefonate coi designatori non era vietato, era auspicato e

coinvolgeva altri che non il solo Moggi mica lo stavano a sentire. Paolo

Bergamo l’8 giugno 2006 parlò all’Ufficio Indagini della Figc di contatti

telefonici e incontri conviviali a 360°, con Facchetti, Sacchi, Meani, Capello

etc.: convinto di non svelare alcun reato sportivo (viste le direttive e le

circolari dell’epoca), diceva la verità, bastava verificare o chiedere agli

inquirenti. La Figc non lo fece, si concentrò sulla Juve, con l’incomodo

presto risolto di Fiorentina, Lazio e Milan. Stupisce che molti dei

protagonisti - sul fronte federale - dell’indagine di allora siano gli stessi

di Scommessopoli ma gli input, oltre alle norme, sono diversissimi.

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GaSport 03-06-2012

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L'INTERVISTA di LUCA TAIDELLI a WALTER SAMUEL (GaSport 03-06-2012)

le ultime 3 considerazioni

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L’INTERVISTA APPELLO PER COMBATTERE LE INFILTRAZIONI DI «COSA NOSTRA» NELLE SCOMMESSE

Il pm antimafia: «Basta omertà, rompete il silenzio»

Ingroia «Il calcio deve riformarsi se vuole evitare il commissariamento. Serve la svolta»

di ANDREA LUCHETTA (GaSport 03-06-2012)

Antonio Ingroia, 53 anni, è procuratore aggiunto alla Procura antimafia di

Palermo. Formatosi nel pool di Falcone e Borsellino, oggi lancia un appello

per combattere le infiltrazioni mafiose nel mondo delle scommesse calcistiche.

Una sua indagine ha portato martedì all'arresto di 10 persone accusate di

gestire un circuito clandestino riconducibile alla mafia. «Se Cosa nostra

s'impegna nel mondo delle scommesse — ha messo in guardia —, può

anche influenzare i risultati delle partite».

Cosa attira la mafia nelle scommesse?

«Il gioco è fonte di arricchimento e favorisce il riciclaggio, grazie

all'enorme quantità di contante in circolo. E poi facilita il controllo del

territorio, tramite la rete di esattori nei quartieri».

Il crimine organizzato entra anche nelle scommesse legali?

«Abbiamo traccia di infiltrazioni soprattutto sulle puntate on-line, le più

difficili da individuare. Purtroppo non assistiamo a uno sforzo adeguato

a contrastare il fenomeno».

L'evoluzione delle scommesse — dal live alle puntate su dettagli

secondari — ha favorito le infiltrazioni?

«Senz'altro. È esagerato dire che le organizzazioni mafiose stanno

sostituendo la droga con le scommesse. Ma sempre più spesso preferiscono i

traffici "grigi" a quelli "neri"».

Crede che nella normativa sulle scommesse esistano dei buchi tali da

facilitare l'inserimento delle mafie?

«Non sono un esperto della materia. Più che altro noto una scarsa

sensibilità. Quasi una tendenza a rassegnarsi alla convivenza con l'illecito».

Possibili soluzioni?

«Risvegliare la coscienza degli operatori del settore. Giocatori, tecnici,

dirigenti e tifosi spesso preferiscono il silenzio. Ma ci sono delle

componenti sane che non possono non vedere. Bisogna evitare di imporre

soluzioni drastiche dall'esterno. Il rischio è una chiusura corporativa, in un

mondo così orgoglioso e solidale. Dobbiamo aprire un dialogo franco, leale,

determinato ad arrivare al fondo del problema».

Prandelli ha definito i giocatori coinvolti nell'ultimo scandalo «40

sfigatelli».

«Non sono abituato a commentare delle indagini in corso. Temo però che questa

definizione rientri in una comprensibile ma non condivisibile tendenza a

mettere la polvere sotto il tappeto. Ci troviamo di fronte a una situazione di

una tale gravità che il mondo del calcio si sente minacciato e tende ad

assumere una posizione ultra-difensiva».

Come giudica il desiderio di Mario Monti di sospendere il campionato

per due anni?

«Monti è una persona che non cede alle boutade. Se questa riflessione viene

da una persona di tale serietà, dobbiamo renderci conto del livello a cui

siamo giunti».

Ritiene che il calcio abbia la capacità di riformarsi?

«Anche la classe politica attraversa un forte momento di crisi, non riesce a

riformarsi, e non a caso abbiamo un governo di tecnici. Se il calcio vuole

scongiurare il rischio commissariamento, deve arrivare assolutamente a una

svolta».

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GaSport 03-06-2012

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Caos patteggiamenti,

la Federcalcio insiste

«Abete può intervenire»

La Figc è sicura che il presidente abbia il potere di impugnare

alcuni provvedimenti accolti giovedì e considerati troppo miti

di MAURIZIO GALDI (GaSport 03-06-2012)

I patteggiamenti sono impugnabili o no dal presidente federale? Su questo la

giornalaccio rosa dello Sport da ieri resta convinta che il patteggiamento (in

base all'articolo 23 del Codice di giustizia sportiva) non sia una sentenza di

primo grado, ma una decisione definitiva e quindi non impugnabile. La

Federcalcio è di diverso parere e sicuramente la questione farà discutere

illustri giuristi, che sono pronti a scontrarsi sulla legittimità del

patteggiamento alla luce del comma 3 dell'articolo 23, che lo escluderebbe in

caso di pluralità di illeciti. Ma su questo ci sono precedenti dello scorso

anno e soprattutto andrebbe a confliggere con l'articolo 24. Insomma, un vero

caos.

Convinzioni Figc La Federcalcio ha sicuramente valutato con i suoi esperti

la questione e fonda la sua ferma convinzione sull'appellabilità sul fatto che i

patteggiamenti di giovedì scorso sono frutto di un «combinato disposto degli

articoli 23 e 24 del Codice di giustizia sportiva». È vero, però anche se

l'articolo 24 (quello della collaborazione) non parla di «decisione non

impugnabile», si dovrebbe poi sempre rifarsi al 23. Un'altra convinzione della

Figc è sul «principio generale» della possibilità che l'articolo 37 comma C

del Codice di giustizia sportiva riserva al presidente la possibilità di

impugnare presso la Corte di giustizia federale sentenze di primo grado

ritenute «inadeguate e illegittime». È verissimo che questo articolo non

esclude i patteggiamenti, ma parla soltanto di sentenze dei giudici sportivi o

della Disciplinare. Quindi sentenze di primo grado. L'articolo 23 è

chiarissimo quando dice che il patteggiamento «chiude il procedimento nei

confronti del richiedente». Dove finisce la certezza del diritto, fosse pure

quello sportivo?

Sessanta giorni Certo, la Federcalcio ha sessanta giorni per decidere.

Per molti in via Allegri questi scatterebbero all'emissione delle sentenze della

Disciplinare al termine di questo procedimento. Meglio fare anche noi un

«avviso ai naviganti»: i sessanta giorni, se fosse possibile impugnare il

patteggiamento, sono scattati da giovedì. Ma siamo convinti che la Figc

esaminerà a fondo la questione, quello di venerdì più che «un avviso ai

naviganti» (così molti hanno letto l'agenzia della possibile impugnazione)

voleva essere soltanto una testimonianza della voglia di rigore che si vuole

per la vicenda calcioscommesse. Un rigore che oltre al presidente federale

Giancarlo Abete ha visto in prima linea quello del Coni Gianni Petrucci e

quello dell'Uefa Michel Platini. Comunque, è lecito ritenere che alla fine

quei patteggiamenti non saranno impugnati.

Nessuna pressione Abete, nell'intervallo di Italia-Russia da Zurigo,

aveva sottolineato e confermato la «piena fiducia in tutti gli organi di giustizia

sportiva». Non poteva quello della mattina essere un «invito» al rigore:

Palazzi le richieste le aveva già preparate da tempo e la pesantezza delle

richieste è soltanto l'ennesimo messaggio lanciato, questo sì, ai naviganti:

pentitevi e collaborate, altrimenti dimenticatevi il calcio. Un tentativo di

dire basta agli scandali e ripartire da capo.

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AVVOCATI ALL’ATTACCO IL PROCURATORE FEDERALE PALAZZI SI DIFENDE: «NON È VERO CHE LA NOSTRA NON È UNA GIUSTIZIA GIUSTA»

Regole e buonsenso: i casi Avesa e Sbaffo

Il centrocampista «tradito» dal fax, il club di calcio a 5 accusato per una partita celebrativa

di ROBERTO PELUCCHI (GaSport 03-06-2012)

Stefano Palazzi, l'altra mattina, era piuttosto incavolato. Il concetto

secondo il quale essendo veloce la giustizia sportiva sia inevitabilmente

ingiusta lo irrita e inorridisce quando legge che nel processo sportivo non è

l'accusa che deve dimostrare la colpevolezza, ma è l'incolpato a dover

dimostrare la propria innocenza. «Chi sostiene questo — ha tuonato

rivolgendosi ai componenti della Disciplinare — non ha mai letto una sola

delle vostre pregiatissime sentenze». Insomma, secondo il procuratore federale

il processo sportivo è giusto quanto quello penale.

Il buonsenso Probabilmente ha ragione, ma Palazzi converrà che il margine

di errore è più alto, proprio perché le indagini devono bruciare i tempi e non

sempre c'è la possibilità di avere la collaborazione dell'autorità

giudiziaria. Questo processo, proprio grazie ai tanti documenti arrivati da

Cremona, dovrebbe abbassare il margine d'errore. Quello del buonsenso,

invece, deve essere applicato senza «aiuti esterni». Prendiamo il caso

dell'Avesa calcio a 5, società dilettantistica di un quartiere di Verona, che

si è ritrovata coinvolta nel processo per le colpe di Federico Cossato. Ma

l'ex calciatore del Chievo è stato tesserato soltanto per festeggiare il centenario

di fondazione e ha giocato una partita, il 21 dicembre 2010. La responsabilità

oggettiva, però, non fa distinzioni. Un anno fa la Pino di Matteo di calcio a

5, squadra di Erodiani, fu condannata a 8 punti di penalizzazione e mille euro

di ammenda. Palazzi per l'Avesa ha chiesto invece 1 punto e 200 euro, già

troppi per una società che sta in piedi con il volontariato e che dovrà pure

bruciare risorse per pagare l'avvocato. Se la Disciplinare, con una mano sul

cuore, dovesse assolvere l'Avesa, nessuno si scandalizzerebbe.

Il caso Tutti gli avvocati stanno cercando di smontare il teorema dell'accusa,

fondato sull'attendibilità dei pentiti Gervasoni e Carobbio. Venerdì è stata

la giornata dei casi Job e Sbaffo e altri rischiano di spuntarne. Il primo

potrebbe essere al centro di uno scambio di persona con Conteh, il secondo

sta disperatamente cercando di spiegare il motivo per cui non si è presentato

all'audizione in Procura federale. L'Ascoli, la sua squadra, sostiene di non

avere ricevuto il fax di convocazione. Sbaffo non soltanto non ha potuto

difendersi o collaborare, ma non essendo stato ascoltato la Disciplinare ha

dovuto respingere pure la richiesta di patteggiamento 1 anno e 4 mesi di

squalifica e 100 mila euro di ammenda. Palazzi ha chiesto una squalifica di 3

anni e 3 mesi, una mazzata per un giovane 21 anni promettente. Il suo avvocato,

Eduardo Chiacchio, ha cercato di toccare il cuore di Palazzi e della

commissione per ottenere lo stralcio della posizione di Sbaffo e permettergli

almeno di essere ascoltato prima di essere giudicato: «Ragionate come farebbe

un padre». Basterà?

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Inviato (modificato)

Scommesse

Caccia alle giocate di Buffon

tutta la verità negli scontrini

Sequestrate le ricevute della tabaccheria di Parma

La Finanza cerca l´eventuale prova di puntate o della presenza di prestanome

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 03-06-2012)

ROMA - Sui tavoli della Guardia di Finanza di Torino lunedì arriveranno

migliaia di scontrini. Pezzi di carta apparentemente anonimi e che invece

conservano una verità importante: quegli scontrini diranno se il capitano

della nazionale, Gianluigi Buffon, ha mentito oppure ha raccontato la verità.

Diranno se quel milione e 585mila euro versati al tabaccaio Massimo Alfieri

servivano per scommettere, come sospettano i pm (e se sì su cosa). O

se realmente servivano per essere investiti in orologi, titoli immobiliari o

chissà che altro, come ha raccontato Buffon attraverso il suo avvocato.

Gli scontrini sono stati sequestrati venerdì pomeriggio dalle Fiamme gialle

di Parma su delega dei colleghi di Torino. Si tratta di tutte le giocate che

la tabaccheria di Alfieri ha contabilizzato nel 2010. La legge impone alle

ricevitorie abilitate alle scommesse - come quella del circuito Lottomatica

alla quale Alfieri era affiliato - di conservare le matrici dei biglietti e il

nome dello scommettitore per le puntate che superino i mille euro. «Questo

ufficio - aveva scritto il sostituto procuratore di Torino, Giorgio Parodi

chiedendo collaborazione al collega di Cremona - ha accertamenti in corso al

riguardo relativi ad ingenti somme di denaro che lo stesso Buffon avrebbe

utilizzato per scommesse presentate avvalendosi di soggetti terzi».

Accertamenti che sembravano essere finiti in stand by ma che dopo la

pubblicazione dell´informativa della Finanza sull´argomento hanno subito

un´accelerata visto che, spiega lo stesso Parodi, «erano in corso ulteriori

attività investigative, rispetto a soggetti che a tutt´oggi non risultano a

conoscenza delle indagini». In sostanza, per essere certi che nessuna prova

potesse essere alterata o distrutta era necessario procedere alla

perquisizione. Buffon non è indagato. Rischia la squalifica sportiva soltanto

se venisse accertato che ha scommesso sul calcio. Nelle ricevute si cercherà

quindi il nome del capitano ed eventualmente di suoi prestanome.

Già nel 2006 Buffon, sempre a Parma, era stato oggetto di un caso simile:

erano state registrate uscite di due milioni di euro dai suoi conti correnti

verso quelli di un amico. Che aveva il compito di «accreditare su siti

specializzati quelle somme per evitare di fare comparire direttamente il nome

del giocatore», spiegò la Finanza. Nel 2010 l´inchiesta era stata archiviata

dalla procura di Parma e prima ancora da quella sportiva perché il giocatore

aveva dimostrato di aver scommesso sì, ma su campionati esteri e su altri

sport (e giochini elettronici), mai sul calcio italiano.

Stavolta, però, l´avvocato di Buffon, Marco Corini, chiamato in causa dalla

banca che aveva notato quei trasferimenti sospetti ha assicurato che i

versamenti non riguardano il gioco. «A tutela della privacy del suo assistito

- annota la Finanza - non ha voluto dettagliare le ragione dell´operatività

segnalata. Lo stesso si è limitato a descrivere il beneficiario degli assegni

come persona di assoluta fiducia, spiegando che i trasferimenti di liquidità

sono volti a tutelare parte del patrimonio personale di Buffon». La Finanza si

limita a notare una circostanza: subito dopo la convocazione del legale, nel

luglio del 2010, il flusso degli assegni si ferma. Ce ne sarà soltanto un

altro il 13 settembre del 2010, un bonifico di 300mila euro. Che per la prima

volta ha una causale: «Prima rata orologi». Parte di quella somma (175mila

euro) è stata poi girata da Alfieri nella sottoscrizione di titoli Pirelli

Real Estate.

-------

Biscotto Football Club

quella legge non scritta

che fa ricchi gli Zingari

Mazzarri ai pm: "Se alle due squadre serve un punto, va così". E le giocate aumentano

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 03-06-2012)

ROMA - «Circa l´incontro Napoli-Inter dello scorso anno, ritengo che si sia

trattato di una partita finita in pareggio per una legge sportiva non scritta

secondo la quale se ad entrambe le squadre serve un punto, per giunta a

fine campionato, difficilmente il risultato sarebbe stato diverso dal pareggio».

Se mai avesse bisogno di un mister la "Biscotto football club", squadra

calcistica iscritta virtualmente a tutti i campionati italiani, quello ideale

sarebbe sicuramente Walter Mazzarri. L´allenatore del Napoli ha avuto il

coraggio di mettere nero su bianco, in un verbale davanti ai pm di Napoli che

lo interrogavano come testimone nell´inchiesta che riguardava alcuni suoi

calciatori con il vizio delle scommesse, "la legge non scritta", il biscotto

appunto, sulla quale le associazioni criminali internazionali come quella

degli Zingari hanno potuto fare milioni di euro in questi anni.

Li hanno fatti in Italia e soltanto in Italia e non magari in Spagna o in

Germania, perché la legge del biscotto è una specialità soltanto locale. Per

accorgersene basta leggere le ultime settantamila pagine all´incirca

depositate agli atti dalla procura di Cremona. Per esempio, uno dei pochi che

non potrebbe mai giocare nella squadra del Biscotto è Emanuele Calaiò,

attaccante del Siena, che lo scorso anno fece di tutto per fare saltare due

combine: Siena-Torino 2-2 e Siena-Novara 2-2. Partite, secondo la Procura,

accomodate in campo sulla base della legge non scritta tanto cara a Mazzarri.

Partite sulle quali gli Zingari hanno guadagnato qualche milione di euro.

Racconta Filippo Carobbio a verbale: «Con il Torino il 2-2 era un risultato

scontato, si respirava nell´aria. Senza neanche che ci fosse bisogno di un

input da parte dell´allenatore, scesi in campo per la ricognizione e cercammo

di metterci d´accordo con gli avversari. I miei compagni mi dissero che

l´accordo era stato raggiunto. Il 2-2 è poco rappresentativo di un intento da

parte delle due squadre di defilarsi dall´impegno? È accaduto per questa gara

e anche per Novara-Siena che l´attaccante Calaiò ha segnato un non voluto

2-1 provvisorio, costringendo a rivedere in alto il risultato del pari...». Quante

seccature, questo Calaiò. Tutto liscio invece in Atalanta-Piacenza (1-1) e

Albinoleffe-Piacenza (3-3), partita quest´ultima sulla quale da Singapore

arrivarono quattro milioni di euro in pochi minuti tanto che tutte le agenzie

furono costrette a bloccare le giocate. Alle volte, per avere un biscotto

fatto bene, bisogna alzare anche la voce. Ancona-Grosseto 1-0 a pochi minuti

dalla fine. «L´allenatore Sarri rivolgendosi agli occupanti della panchina tra

cui c´ero anche io - mette a verbale Conteh - affermava "ma non si doveva

pareggiare?". In effetti pareggiammo a pochi minuti dalla fine». Ecco.

-------

Alcuni giornali (Il Foglio, Il Fatto) e alcune trasmissioni televisive

(il Tg di La7) hanno dato notizie che io, Carlo De Benedetti ed Ezio

Mauro propugneremmo una lista civica di Repubblica che intraprenda

una “scalata ostile” al Pd portando come personaggio di sfondamento

Roberto Saviano. Saviano da un lato e noi dall’altro abbiamo smentito

questa notizia degna soltanto del sito Dagospia, peraltro preclaro per

chi ama il gossip.

Queste sono invece questioni molto serie e non gossippare e come

tali dovrebbero esser trattate. Il giornalismo che usa il gossip fa molto

male il suo mestiere e reca danno non alle persone ma al Paese.

(EUGENIO SCALFARI - la Repubblica 03-06-2012)

Modificato da Ghost Dog

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Il pallone

sgonfiato

L’accordo fra calciatori è

il peccato imperdonabile

La vittoria rappresenta il vero senso dello spettacolo quindi sono

ammessi i bari ma non quelli che distruggono l’essenza stessa del gioco

di GIANCARLO LIVIANO D’ARCANGELO (l'Unità 03-06-2012)

QUALCHE ANNO FA C’ERA UN UOMO ANZIANO ALLO STADIO COMUNALE

DI MARTINA FRANCA, (allora sbarazzina compagine impegnata a lottare

per i primi posti in serie C) , che ogni due settimane, il giorno della

partita casalinga della sua squadra del cuore, comprava il biglietto e

raggiungeva il suo posto una o due ore prima del calcio d’inizio. Si fermava

da mezzo secolo dietro le recinzioni che dividono i «distinti» dalla linea

laterale del campo, e al momento dell’ingresso in campo dei suoi eroi,

festeggiava con incontrollabile emozione l’avvicinarsi a portata d’olfatto del

mister locale e dei panchinari. E, dopo il fischio d’inizio, cominciava la sua

partita, in parallelo con quella vera: 1) tampinare, protetto dalla rete, ogni

movimento del guardalinee a scopo intimidatorio, 2) richiamare la sua

attenzione urlandogli «segnalineo» nelle orecchie per l’intera durata dei 90

minuti, 3) arricchire l’opera insultandolo in tutti i modi e infine, 4) a

intermittenza con le parolacce, completare l’impresa sputandogli addosso.

Quanti punti in più, o in meno, questo stravagante tifoso abbia portato alla

sua squadra, nessuno lo sa. Un personaggio così non sembrerebbe

l’esempio edificante da contrapporre ai molti calciatori professionisti che nelle

ultime settimane, in molti casi per loro stessa ammissione, hanno deciso

di trasformare in una vita infettata dal gioco più squallido che c’è, la

scommessa a fini economici, la propria esistenza consacrata al calcio, cioè il

gioco che più di ogni altro è in grado di rendere l’infanzia una dimensione

pressoché sempiterna per chiunque abbia segnato almeno un gol o parato

un calcio di rigore. Non c’è alcun dubbio che il fustigatore di guardalinee mai

e poi mai avrebbe scommesso contro la propria squadra, né avrebbe mai

travestito da combine una partita di calcio. La verità è che uno come lui avrebbe

trovato posto in un racconto di Soriano, in un’analisi storico-calcistica di

Gianni Brera, in un saggio sulla differenza tra calcio in prosa e in poesia

di Pasolini, o in una pagina dello splendido saggio La tribù del calcio di

Desmond Morris (etologo inglese interessato alle attitudini ferine che

deflagrano al semplice contatto tra certe psicologie e il roteare magico del

pallone di cuoio), molto più degli odierni professionisti della pedata,

antieroi che per sensibilità alla moda e agli status symbol, sono così simili

tra loro che sembrano usciti da una fabbrica di manichini per outlet.

LA FASCINAZIONE DEI 90 MINUTI

Per esprimere la propria delusione, allora, non c’è alcun bisogno di far

ricorso alla retorica dello sport pulito. E a nulla serve l’ingenuità di chi

vuole puro un mondo che di ludico ha conservato solo l’apparenza,

la fascinazione mitica e il tempo ristrettissimo dei 90 minuti racchiusi tra i

fischi arbitrali, ossia l’unica e sola patria indiscussa del gesto tecnico che

fa sognare o delle altalene di risultati che rendono il calcio pressoché non

rappresentabile in cinema e letteratura. Né occorre disseppellire il messaggio

decoubertiniano dello sport in cui è importante solo partecipare. Perché

l’etica dello sport può esistere come dimensione interiore dello sportivo, o

come pedagogia per talenti agli albori. Lo sport è uno spettacolo, non è

un’istituzione da cui pretendere sanità assoluta. Quando si arriva a livelli

di eccellenza e in modo assolutamente immediato si suscita la passione

di milioni di fratelli umani, quello che conta è vincere. E se non fosse così

nessuno si appassionerebbe agli spettacoli sportivi, e lo sport basterebbe

praticarlo. Invece è lo spettacolo della vittoria e della sconfitta che

ipnotizza.

Ecco perché, persino i loschi tentativi di ottenere scorciatoie verso la

vittoria che caratterizzarono quella noiosa intromissione giudiziaria al

consueto giocherellare tra impostori che è stata calciopoli (dice acutamente

Baudrillard che quando il fine del gioco è vincere l’unico giocatore sensato è

il baro), erano più umani e accettabili di quest’ultima manipolazione. In

qualsiasi pagina della Storia critica del Calcio Italiano di Gianni Brera è

presente, quasi come essenza metafisica, l’idea della mistificazione del

risultato sportivo da parte di chi vive il pallone fuori dal campo. In questo

senso il calcio internazionale non si discosta molto dal Palio di Siena,

competizione in cui il fine ultimo e profondo dei partecipanti trascende la

vittoria stessa, e risiede nel tentativo dell’uomo di mettere sotto controllo

le bizzarrie del fato attraverso qualsiasi mossa sottobanco che precede la

corsa. Ma la corsa, almeno quella, è autentica. Allo stesso modo, chi agisce

fuori dal campo di calcio, per quanto possa spendersi, non potrà mai essere

certo di ottenere il risultato per il quale ha escogitato l’imbroglio. Il

calcio è lo sport con il più alto coefficiente di free-roaming del protagonista

assoluto, cioè il pallone: sia per grandezza del campo da gioco e l’ingerenza

delle condizioni ambientali, sia per l’alto numero degli interpreti, per

l’incredibile mutevolezza, in gara, delle loro condizioni psicofisiche, e in

ultima istanza per l’importanza della casualità. Ciò lo rende del tutto

imprevedibile. Anche nell’universo calcistico di Soriano esistono i corrotti.

Ma al limite possono essere gli arbitri, cioè elementi fisicamente in campo,

ma in realtà alieni al sostanziale svolgersi della battaglia, e soprattutto,

nemmeno loro sufficienti, da soli, a garantire il lineare concretizzarsi della

mistificazione. Nemmeno il doping è minima garanzia di risultato. C’è solo in

un caso, nel calcio, in cui l’imbroglio è assoluto: quando vi è l’accordo tra i

calciatori. Niente è quindi più deprecabile.

Ma se ai tempi del primo scandalo del calcio scommesse, quello di Paolo Rossi,

ancora c’erano motivazioni umane dietro la distruzione del sogno individuale

e collettivo (stipendi relativamente bassi, necessità di assicurarsi un futuro),

oggi dietro la scelta di violare anche l’ultima zona autentica della propria

vita, il campo, sembra esserci solo un grande, incolmabile vuoto. Lo stesso

vuoto, insomma, che sembra caratterizzare tutte le altre diramazioni della

vita pubblica in questi tempi, e che rende desueto e cadaverico qualsiasi

concetto di patto sociale. Lo stesso vuoto che non si sa bene perché avrebbe

dovuto risparmiare solo il mondo del calcio.

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PERICOLO CRIMINALITÀ L’Interpol allerta Cremona

Scommesse sul calcio:

spunta anche un delitto

Un bookmaker ammazzato per aver denunciato una combine alla Uefa

Non è l’unico caso di violenza minacciata o praticata. Anche in Italia...

di GIAN MARCO CHIOCCI & MASSIMO MALPICA (il Giornale 03-06-2012)

Due feriti sono meglio di un morto. Yordan Petrov Dinov, 40anni, responsabile

bulgaro dell’agenzia di scommesse SkySport365 (la stessa che per prima

denunciò il flusso di puntate anomale sulle partite italiane),

sottoscriverebbe la frase di Buffon, non fosse che due mesi fa è stato

freddato a colpi di pistola dopo aver denunciato una probabile combine nel suo

Paese. Dinov è il primo morto ammazzato di scommesse che salta fuori

nell’inchiesta del calcio marcio. E obbliga a riconsiderare un aspetto

dell’indagine che, fino a ora, era rimasto marginale. Quello della violenza,

minacciata o praticata per non far sgarrare i tanti, troppi protagonisti delle

combine: calciatori e dirigenti, scommettitori e intermediari.

Con i milioni non si scherza. L’aveva raccontato il portiere Marco Paoloni

all’alba dell’inchiesta, un anno fa, rivelando che dopo aver garantito l’over

per Benevento-Pisa, finita invece 1-0, era stato minacciato daBellavista e

Giannone, e aveva dovuto consegnare un assegno da 300mila euro a un «tale di

Bari» dalle intenzioni non pacifiche: «Mi ha minacciato con una pistola.

Ricordo che fece il gesto di estrarla dalla giacca e io ho avuto modo di

vedere nitidamente l´arma». E a rimarcare il concetto, due giorni fa, ha

provveduto l’ex portiere del Bellinzona Matteo Gritti, raccontando quale modo

il “boss” degli zingari, il macedone Hristiyan Ilievski, nato in Bulgaria,

aveva trovato per convincere lui e l’allenatore in seconda della squadra

svizzera a collaborare con la rete internazionale del calci omarcio per

falsare il campionato elvetico. «Se non lo fate, vi sparo nelle gambe».

Minaccia credibile, visto il curriculum del capo degli «zingari» e di molti

dei suoi sodali: lui ha precedenti per omicidio, e così anche il suo «autista

tuttofare», Rade Trajkovski.

Eppure, fino a venerdì scorso, il massimo che s’era detto di Ilievski è che

era uno che sapeva incutere timore, stando alle testimonianze dei calciatori

spaventati (non al punto da non buttarsi nel business) dal bulgaro con

tatuaggi di Scarface e cicatrici, che intervistato da Repubblica in Macedonia

mostra orgoglioso ai cronisti la sua pistola. Guascone o violento, il «boss»?

Alla luce dell’interrogatorio di Gritti, in lacrime davanti al gip, chi lo

considerava solo «pittoresco» potrebbe aver cambiato idea. Non gli inquirenti,

che non hanno mai sottovalutato la potenziale pericolosità del personaggio. E

non solo la sua, visti i milioni in ballo per ogni singola partita.

Per questo l’omicidio di Dinov ha colpito gli inquirenti, ancora prima delle

minacce di gambizzazione rivelate venerdì da Gritti. La segnalazione del

fattaccio è arrivata alla procura di Cremona a metà aprile.

Il nome del povero Dinov non era emerso in Last Bet , ma l’episodio è

strettamente legato al mondo delle scommesse clandestine, come spiega

l’Interpol: «Vi informiamo che le autorità di Sofia stanno indagando su un

omicidio collegato alle scommesse illegali nel mondo del calcio (…) il 4

aprile scorso a Sofia è stato ucciso il cittadino bulgaro Yordan Petrov Dinov,

nato il 24.08.1972, titolare e legale rappresentante di due agenzie di gioco

d’azzardo in internet: scommesse su eventi sportivi (incontri di calcio, ecc.) ».

Possibile movente dell’omicidio? «Secondo le informazioni disponibili,

Dinov ha inviato un rapporto alla sede della Uefa in Svizzera nel quale

indicava che a causa della corruzione nella lega calcio bulgara alcuni

incontri del campionato bulgaro erano stati predeterminati». In particolare,

il match incriminato era ChernoMore-Lokomotiv Sofia, terminato 3-0, lo scorso

1 aprile.

Dinov, secondo i media bulgari, era quasi una celebrità nel gambling sul

calcio. Eppure ha deciso di allertare l’Uefa. La sua denuncia non dev’essere

andata giù a qualcuno, che ha pensato bene di freddarlo a colpi di pistola,

nel centro della capitale del Paese balcanico. Meno di 72 ore dopo il 90’ di

quella partita in odore di combine.

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“Le scommesse? Altro

che quaranta sfigatelli”

Nel libro di un reporter canadese lamappa del crimine

“Parte tutto da Singapore. Italia nei guai: è senza contromisure”

di ANDREA MALAGUTI (LA STAMPA 03-06-2012)

È tutto documentato. Boss, capi banda, runners, interessi, legami, metodi. Per

capire il pianeta calcioscommesse bisogna leggere «The Fix», il libro del

giornalista investigativo canadese Declan Hill, che nel 2008 ha dato il via a

una gigantesca operazione di polizia internazionale disegnando - svelandola -

la mappa criminale che soffoca il mondo dello sport da Singapore a Roma. Hill,

laureato in sociologia a Oxford, ha continuato a scavare e oggi è uno dei

massimi esperti planetari di partite truccate.

Mister Hill, come funziona l’industria internazionale delle scommesse

sportive?

«Parte tutto dagli asiatici. Sono loro a truccare il mercato. E sono i loro

uomini a contattare i giocatori. Meglio ancora se sono ex giocatori. Perché

hanno conoscenze e sono più affamati di soldi. A quel punto agganciano le

squadre».

Che cosa c’entrano gli asiatici con gli slavi?

«Stesso giro. I cinesi, gli indonesiani, i malesi e i tailandesi hanno

distrutto lo sport a casa loro. E poi si sono trasferiti. Ma il salto da un

continente all’altro non è semplice. Ci sono differenze culturali, di lingua,

di rapporti con i club. Così si sono saldati con le gang europee. Soprattutto

dell’Est».

Quanto è esteso il sistema?

«Ha dimensioni industriali. E colpisce i grandi tornei come la Champions e i

mondiali, ma anche le competizioni giovanili».

Davvero c’è una Piovra che controlla il calcio?

«Date un’occhiata al Libro Nero pubblicato dall’associazione internazionale

dei calciatori professionisti. Un sondaggio rivela che oltre il 10% di loro -

circa due per squadra - è stato contattato per truccare un partita. E uno su

quattro ammette di essere a conoscenza di partite truccate nel proprio

campionato».

Qual è il giro d’affari?

«Impossibile dirlo con precisione. È come per la droga. Ma parliamo di

centinaia di miliardi di dollari».

Le bande sono pericolose?

«Non particolarmente. A meno che qualcuno non li tradisca. È il caso, per

esempio, di Kevin Zhen Xing Yang».

Chi è?

«Chi era. Un ragazzo cinese il cui corpo fu trovato a pezzi nel 2008 a

Newcastle assieme a quello della sua ragazza. Era entrato in Inghilterra

fingendosi uno studente. In realtà raccoglieva le scommesse per gli asiatici.

Poi ha voluto fare da solo. Non una buona idea. Ma in generale la violenza non

serve. Molti giocatori sono disponibili. Soprattutto quelli pagati poco».

In Italia sono pagati moltissimo.

«Vero. Ma non per tutti. Non è un caso se la piaga è più larga nelle serie

minori. Poi esiste sempre l’avidità personale».

Cesare Prandelli, parlando del calcioscommesse ha detto: sono 40

sfigatelli.

«Mi pare ottimista. Il vostro calcio ha un problema grosso come una casa e ha

bisogno di intervenire subito».

Perché l’Italia?

«L’Italia come la Germania, il Belgio, la Turchia, chiunque. Ma voi, come

tanti, non avete preso ancora le contromisure».

Suggerimenti?

«Molte federazioni me li chiedono. Faccio io una domanda: se oggi un

giocatore viene avvicinato, magari proprio dal suo presidente, come fa a

difendersi?».

Denunciando tutto.

«Così non gioca mai più. No. Per prima cosa serve una hotline anonima. Un

posto dove si può telefonare, raccontare, spiegare e mettere in moto le

indagini. In secondo luogo bisogna cambiare la classe dirigente. Nel mondo del

calcio un sacco di persone non vogliono essere corrotte. Ma il sistema non li

difende».

Perché un presidente dovrebbe corrompere un proprio giocatore?

«Perché la corruzione è diventata un modello di business. E tu puoi

programmare di perdere dieci partite in un anno sapendo che il saldo economico

sarà abbondantemente attivo».

Lei sa chi è il singaporiano Eng Tan Seet?

«Certo. È uno dei capi. E lo so come chiunque lo voglia sapere. Nomi,

cognomi, indirizzi, fotografie. La mappa è completa. Mi colpisce che la

polizia italiana, che per altro sta facendo un ottimo lavoro, fosse all’oscuro

dell’identità di questa gente. Dopo la pubblicazione del mio libro è

cominciata un’indagine internazionale. I primi a muoversi sono stati i

tedeschi».

La Fifa e la Uefa?

«Ferme. Come se nulla fosse. Hanno i rapinatori in banca ma non sembrano

essere preoccupati dei soldi. È folle».

Quanto è alto il rischio di calcioscommesse agli Europei?

«Non tanto».

Perché?

«Perché i giocatori delle nazionali europee sono i più pagati del mondo.

Perché almeno otto squadre hanno la possibilità di vincere. Perché agli

Europei esce sempre una sorpresa e nessuno vuole mollare. Gli anelli deboli di

questa catena sono tradizionalmente la Grecia e l’Ucraina e la Polonia che

ospitano la competizione. Non sto dicendo che si faranno corrompere - anzi, mi

auguro di no - sto solo facendo un’analisi generale».

Lei ci crede ancora a quello che vede sul campo?

«Sinceramente non molto».

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L'Osservatorio di RENATO MANNHEIMER (CorSera 03-06-2012)

Effetto scommesse? Gli italiani si allontanano dal calcio

La promessa del cittadino-tifoso: lo seguiremo di meno

Il presidente Monti ha proposto, di fronte agli scandali che hanno ancora

una volta investito il calcio italiano e nella prospettiva di un risanamento di

questo settore così importante per i cittadini, che il campionato venga

sospeso per due o tre anni. Si è trattato ovviamente di una provocazione:

ma essa incontra comunque il favore di una larga parte degli italiani. Infatti,

alla domanda sull'accordo o meno con la proposta del presidente del Consiglio,

quasi la metà risponde affermativamente. E un altro 30% dichiara che, pur

essendo in disaccordo con l'eventuale sospensione del campionato, «Monti

ha agito comunque bene affermando quanto ha detto». Solo meno di un

italiano su cinque (in particolare i più giovani e, forse per motivi più politici

che altro, gli elettori del Pdl) dichiara che Monti ha sbagliato. Naturalmente,

tra i tifosi gli orientamenti sono diversi. Ma meno di quanto ci si poteva

forse aspettare. È vero che la maggioranza di quanti seguono il calcio

manifesta il proprio disaccordo a sospendere il campionato. Ma è vero anche

che, tra costoro, la gran parte (più del 70%) reputa comunque positivo

l'intervento del presidente del Consiglio e che quasi un terzo di quanti

tifano attivamente per una squadra si dichiara addirittura d'accordo con una

interruzione del gioco per un paio d'anni.

Il fatto è che gli ultimi episodi di malaffare non vengono percepiti come

casuali. Anzi: secondo il 60% degli italiani si tratta di un vero e proprio

sistema consolidato che agisce all'interno del mondo del calcio. Una cultura

radicata che provoca inevitabilmente — e continuativamente — la corruzione.

È importante sottolineare che su questa considerazione è d'accordo anche

più della metà dei tifosi. Anche, se l'altro 50% di costoro continua — forse

come speranza — a ritenere che gli scandali siano dovuti al cattivo agire di

poche persone e non riguardino il calcio come sistema.

Secondo alcuni commenti apparsi in questi giorni, parte delle malversazioni

sarebbero comprensibili perché «è normale mettersi d'accordo sul risultato

di alcune partire a fine stagione per esigenza di classifica». Anche questa

considerazione, tuttavia, è respinta dalla netta maggioranza (84%) degli

italiani che condanna dunque anche questo tipo di accordi illeciti. Una

posizione nettamente condivisa (81%) tra i tifosi. Tutto ciò porta a un

allontanamento dei cittadini dal calcio. Tanto che quasi un italiano su

quattro dichiara che l'anno prossimo intende seguire meno questo sport.

Ma, ciò che è più importante, afferma la stessa cosa — e con maggiore

intensità — l'universo dei tifosi. Tra costoro, ben il 32% afferma che l'anno

prossimo si occuperà meno di calcio. Per la verità, è poco più di un tifoso su

dieci che, a seguito degli avvenimenti più recenti, ha deciso di diminuire il

proprio impegno calcistico: per un altro 20% si tratta del proseguimento di un

comportamento già in atto dopo quanto è accaduto gli anni scorsi. Naturalmente,

non sappiamo se si tratta di mere intenzioni, dettate magari dall'emozione

del momento, o se per davvero il calcio vedrà ulteriormente diminuire i propri

seguaci. Il trend di questi anni sembra però suggerirlo. Se nel 2010 ISPO

aveva rilevato che circa metà degli italiani dichiarava di seguire, più o meno

assiduamente, il calcio, oggi — ma potrebbe trattarsi naturalmente anche della

reazione immediata subito dopo gli scandali recenti — questa percentuale si

attesta sotto il 40%.

Al di là delle cifre puntuali sul numero dei tifosi (che possono variare

anche molto in relazione ai successi di questa o quella squadra), emerge da

questi dati un clima di crescente disaffezione nei confronti del mondo del

calcio. Un sentimento presente in larga misura anche tra gli stessi tifosi. E

tale da suggerire un profondo ripensamento da parte dei protagonisti — così

seguiti e spesso amati — di questo comparto. Che rischiano, a un certo punto,

un abbandono di massa del sostegno popolare.

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Inviato (modificato)

Il dibattito delle idee

Dai populismi politici al volto di Melissa

rischi e opportunità dei sentimenti condivisi

Empatia

canaglia

Dopo il «new journalism»

un nuovissimo giornalismo?

di BEPPE SEVERGNINI (laLettura #29 - 3 giugno 2012)

Andrebbe studiato, l’Anticomunicatore. Ci ha provato per iscritto, ci ha

provato alla radio, ci ha provato in pubblico, ci ha provato in televisione:

ma si è accorto che, quando scriveva e parlava, nessuno reagiva. Si fossero

arrabbiate, almeno, le comparse del pubblico pagato! Invece, niente:

indifferenti anche loro.

Poi il secolo fresco, i social network e tutte quelle novità eccitanti.

L’Anticomunicatore ci si è buttato con un entusiasmo di cui non si credeva più

capace. Ma ha dovuto scoprire un nuovo significato di 2. 0. Ha riprovato.

Punto. Zero, ancora una volta, il risultato. Per anni s’era crogiolato

nell’illusione d’essere letto, seguito, apprezzato — nel 1992 erano tanti i

colleghi che telefonavano! Arriva addirittura qualche fax.

Cos’è accaduto? Semplice. I nuovi canali professionali — Internet in testa —

sono diventati strumenti diagnostici; e hanno rivelato quello che

l'interessato, in fondo, non voleva sapere.

Triste: perché l’Anticomunicatore, a suo modo, è un entusiasta. Nel 2003 ha

creduto a Second Life, producendo l’Avatar più solitario del web. Nel 2006 s’è

emozionato con Facebook, poi frettolosamente abbandonato: pochi amici e —

cosa grave — erano gli amici veri. Nel 2009 ha scoperto Twitter, l’ansia del

retweet e il contatore ipnotico dei follower. Non aumentavano mai, però. Così

un giorno ha scritto un elzeviro furibondo contro la nuova moda, sentendosi

Jonathan Franzen. Niente da fare: neppure quello, hanno letto.

Perché alcuni di noi riescono a comunicare e altri no? Perché molti, pur

avendo idee originali, non riescono a trasferirle? Perché talvolta il

messaggio passa, e altre volte s’insabbia nell’indifferenza?

Esiste un elemento oggettivo — legato al messaggio, al linguaggio,

all’occasione, allo strumento — e un elemento soggettivo. Ci sono persone

e organizzazioni incapaci, apparentemente, di creare un collegamento emotivo

con chi legge, ascolta, guarda, segue. Sono comunicatori falliti: tirano i dardi,

e non si preoccupano di sapere se hanno centrato il bersaglio. Scrive

Annamaria Testa, autrice della metafora: «Qualsiasi comunicatore, in quanto

autore di scelte di stile (ehi! di scelte affettive!) produce mondi in cui

proietta qualche parte di sé. Sono grandi e scintillanti come quello della

campagna della Coca-Cola, piccoli e freddini come quello del bugiardino di

un farmaco (Farsi capire. Comunicare con efficacia e creatività nel lavoro e

nella vita, 2000).

Ecco: alcuni comunicano con l’entusiasmo degli estensori di quelle indicazioni

farmacologiche, e il risultato è simile: lettura distratta, irrilevanza. È più

grave quando si tratta di professionisti dei media. Noi dovremmo sapere che

nessun messaggio esiste, se non arriva a destinazione. Ecco, allora, la

formula magica, evocata prima con pudore, poi gridata nei corridoi, nelle

redazioni, sopra gli schermi dei computer accesi: EMPATIA! Dobbiamo capire

e condividere i sentimenti e le intenzioni del pubblico! Sperando che il

pubblico condivida le nostre, naturalmente.

Se l’emozione è stata la chiave del New Journalism — Michael Herr ci ha

portato l’odore del Vietnam, Truman Capote e Tom Wolfe il profumo perfido di

New York — l’empatia è la formula del nuovissimo giornalismo? Siamo soffocati

da informazioni, e dobbiamo scegliere. Per evitare che la profezia si

avveri—sapremo tutto, non capiremo nulla—occorrono strumenti efficaci.

L’autorevolezza di una testata o di una firma non bastano. Occorre capacità

empatica: il cuore, da sempre, arriva dove la mente si ferma. Non perché sia

migliore: segue semplicemente un’altra strada.

L’empatia apre un canale di comunicazione; ed è un canale navigabile a doppio

senso. Noi professionisti dei media dobbiamo intuire cosa vuole il pubblico?

Certo. Non per dargli tutto ciò che vuole — scorciatoia pericolosa — ma per

capire come essere utili. Il giornalista più bravo del mondo, se nessuno lo

legge/lo ascolta, è il giornalista più inutile del mondo.

È un atteggiamento che richiede umiltà e sforzo, e qualcuno non vuole farlo.

È necessario, tuttavia. La gente sta imparando a utilizzare mezzi di

comunicazione di massa che, fino a poco tempo fa, erano riservati ai

professionisti dell’informazione. A metà degli anni Novanta—il secolo scorso,

ma non un secolo fa — se non si scriveva su un giornale, non si aveva accesso

a una radio o a uno studio televisivo, occorreva rassegnarsi. Le opinioni

sarebbero rimaste in famiglia, in ufficio, sulla spiaggia o nella piazza.

Oggi è cambiato tutto. Il Nieman Journalism Lab di Harvard, giorni fa, ha

pubblicato le conclusioni di uno studio dell’Università dell’Indiana, e lo ha

riassunto così: «You might not be a journalist, but you play one on Twitter»,

magari non sei un giornalista, ma su Twitter la tua parte è quella. In

sostanza: se i lettori passivi sono diventati attivi, al punto da meritare un

nome nuovo (quale?), noi giornalisti dobbiamo coinvolgerli, e farli partecipi.

Non per bontà: per interesse.

L’empatia è un dovere e uno strumento professionale: uno dei pochi efficaci,

in un mercato sempre più difficile. L’empatia vende giornali, genera accessi,

produce ascolti, crea curiosità, provoca quell’attenzione che i pubblicitari

desiderano, e di cui non sono mai certi. Ecco perché cercano di infilarsi

nelle storie (anche quando non potrebbero): perché la narrazione è

naturalmente empatica, la pubblicità tradizionale molto meno. Ecco perché oggi

hanno dubbi su Facebook (l’andamento del titolo lo dimostra): «Le grandi

marche vogliono esserci, ma non capiscono chi vede le loro promozioni, e se

queste conducono a maggiori vendite», scriveva giorni fa il «New York Times».

L’empatia è uno sviluppo affascinante del giornalismo. Ma non è sinonimo di

buon giornalismo. Però vende: e i media lo hanno capito. Torniamo in Italia,

nel mondo dei quotidiani. «Tuttosport» dice le cose che gli juventini vogliono

sentire, e solo quelle. «Libero » comunica direttamente col fegato, che

notoriamente sta a destra. «Il Manifesto» tocca — toccava? — il cuore,

a sinistra (e la Pravda rosa? ndt). All’estero cambia poco. La sorpresa

del web britannico è il «Daily Mail», che sussurra alla middle class

conservatrice parole rassicuranti, ne condivide i pregiudizi, ne alimenta

l’indignazione. Negli Stati Uniti l’equidistanza CNN non paga quanto la

parzialità di Fox News. La prima cerca di essere obiettiva, secondo le regole

classiche del giornalismo americano; la seconda si è sintonizzata

sull’elettorato repubblicano. Quello risponde e ripaga.

L’empatia — usata bene — è un passepartout che apre porte complicate.

Era opportuno pubblicare la fotografia di Melissa Bassi, sedicenne di Mesagne

(Brindisi), uccisa da una bomba davanti alla scuola intitolata a Francesca

Morvillo Falcone? Alla fine, questo giornale ha ritenuto che fosse l’unico

modo per spiegare la gravità di quant’era accaduto davanti a quella scuola.

Agli adulti che l’hanno vissuto, per capire l’orrore e l’assurdità del

terrorismo, basta un commento di Pietro Ichino. I ragazzi avevano bisogno di

quel volto. Hanno capito per empatia.

L’empatia è un fascio di luce che taglia la foresta delle informazioni. Non è

né buona né cattiva. Dipende da chi tiene in mano la torcia, e dove vuole

portarci. Ma la vita non è una favola: alla fine, la direzione e la meta le

scegliamo noi.

L’empatia è la capacità di condividere gli stati d’animo. Una forma di

intelligenza emotiva. Un dono naturale concesso a molti, ma non a tutti. Tra i

fortunati, c’è chi lo coltiva e chi lo trascura.

L’empatia è parente dell’intuizione, cui ha dedicato un libro di gran successo

Malcom Gladwell (In un batter di ciglia. Il potere segreto del pensiero

intuitivo, Mondadori). Le decisioni rapide e spontanee—spiega l’autore,

riproducendo un’antica convinzione popolare— spesso sono buone quanto

le decisioni meditate; se non migliori. Quando ci affidiamo all’intuizione, il

nostro cervello utilizza informazioni sofisticate, e le elabora a velocità

prodigiosa. L’intuizione, in sostanza, è intelligenza: così rapida da

diventare inspiegabile.

Qualcosa del genere si può dire dell’empatia. Ci sono uomini e donne—più

donne che uomini—capaci di leggere e condividere lo stato psicologico degli

interlocutori; e ci sono gli ignoranti emotivi. I primi, di solito, hanno più

successo dei secondi.

Non esiste la formula dell’empatia:ma di sicuro Fiorello ne possiede in

quantità superiore a Sabina Guzzanti (che pure è brava). Gli ascolti lo

dimostrano. Un bravo conduttore televisivo deve saper leggere l’umore della

nazione, o almeno di quella parte che ha il televisore acceso. Un cattivo

conduttore rischia l’ilarità sciocca o la pornografia del dolore: la

televisione italiana ci ha mostrato l’una e l’altra, come sapete.

L’empatia è come la fiducia: può essere tradita.

L’empatia è come la seduzione: si rischia di abusarne.

L’empatia è l’arma dei venditori: il contratto conta più del prodotto.

L’empatia èmarketing riuscito dei sentimenti: il sacro Graal dei pubblicitari,

il sogno segreto di ogni ufficio- stampa.

L’empatia è il lievito della politica. Non da oggi, naturalmente. I grandi

populisti di ogni epoca—da Tiberio Gracco a Silvio Berlusconi—sanno che le

emozioni arrivano prima dei ragionamenti, dei fatti e dei numeri. E, a

differenza di questi, non possono essere confutate.

Gli Stati Uniti sono il laboratorio scientifico dell’empatia politica. Solo i

Grandi Empatici entrano alla Casa Bianca (salvo eccezioni, come George Bush

padre). Ronald Reagan e GeorgeW. Bush sono stati presidenti con cui gli

americani «sentivano di potersi fare una birra» (talvolta si sono fatti una

guerra, ma questo è un altro discorso). Bill Clinton e Barack Obama sono

esempi di empatia liberale, più sofisticata come formula, ma con effetti

simili.

Leggete Primary Colors di Joe Klein, o guardate il film omonimo (con John

Travolta ed Emma Thompson): è la descrizione artistica di un fenomeno

scientifico. La capacità sovrumana di Bill Clinton di creare legami con gli

interlocutori, di qualunque origine, in ogni situazione. Un’empatia bulimica,

che il quarantaduesimo presidente riusciva a trasformare in voti, passioni,

pulsioni, sostegno, legami personali e sessuali.

Obama è diverso e usa strumenti diversi. Nel 2008 non ha vinto grazie a

Internet, come dicono gli ingenui e i disinformati. Ha vinto perché aveva una

passione ideale — o ne forniva un’ottima interpretazione, dicono gli avversari

e i cinici. Internet era il nuovo canale dove farla passare (insieme alla

televisione, ovviamente). Quattro anni dopo, non ha cambiato strategia. Le

email elettorali dove il destinatario viene chiamato per nome; l’invito

personalizzato per una lotteria, in premio una cena a casa di George Clooney

(«Obama, Clooney, and You» ). Ricavato: 15 milioni di dollari, due terzi dei

quali provenienti dalle tasche degli elettori-sognatori. Empatia hollywoodiana

e finanziaria: funziona.

E Twitter? Il presidente ha lanciato 4107 tweet, ma sotto la fotografia

sorridente si legge: «Questo account è gestito da #Obama2012 campaign staff.

I tweet del Presidente sono firmati -bo». Il Presidente -bo è seguito da

16.076.372 persone e ne segue 677.584: questo è insolito, ed è un tentativo di

empatia. Si traduce così: Ehi!, se voi siete interessati a me, io sono

interessato a voi!

E al vostro voto, potremmo aggiungere. Ma nei nuovi Empathic States of

America, non si fa.

Modificato da Ghost Dog

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L’accusa

Tommasi

«Sistema ben rodato e corrotto»

di PAOLA DEL VECCHIO (IL MATTINO 03-06-2012)

Madrid. Il calcio italiano? «È infetto. Un sistema criminale, corrotto e ben

rodato». Damiano Tommasi, a Madrid per l’Eurocoppa di calcio indoor, non

usa giri di parole. A «El Pais», il presidente dell’Associazione calciatori

italiani, ex della Roma e dello spagnolo Levante, parla di scandali e combine

che sferzano il campionato italiano, critica la presenza degli ultrà e

assicura che «il calcio di alto livello, non solo italiano ma europeo, è un

business popolato di gente che lo avvelena».

Avverte Tommasi: «Le inchieste parlano anche di persone non italiane, che

hanno il quartiere generale all’estero e che favoriscono un certo tipo di

scommessa». Possibile che la Liga spagnola sia in salvo? «Ho letto che hanno

archiviato l’Operazione Galgo – ricorda – Non mi è di nessuna consolazione, ho

voglia di andare fino in fondo alla questione: l’Italia ha bisogno subito di

un cambio di mentalità», ammonisce.

Il giudice Di Martino dice che, se necessario indagherà all’infinito, pur di

chiudere il cerchio. Tommasi invita a «delimitare il problema e fare giustizia,

se vogliamo ricominciare la prossima stagione. Sappiamo che non si tratta

di casi isolati. C’è un sistema corrotto, criminale e ben oleato. A me – incalza

Tommasi - preoccupano più le dichiarazioni di Laudati, il procuratore che

indaga a Bari, che parla di questa rete di scommesse come di un business

che genera più del traffico di droga». L’ipotesi fatta balenare da Prandelli di

non partecipare agli Europei? «Una provocazione». Certo, a Coverciano

gli animi sono tesi e costa isolarsi, ma «il terreno di gioco è il migliore luogo

in cui sviare l’attenzione» dai veleni.

«In Italia c’è sempre stato malcostume – riflette Tommasi - considerare come

normale che le squadre che non hanno obiettivi in classifica non giochino con

lo spirito di quelle di testa. E, chiaro, ora sono entrate le scommesse, i

business, le raccomandazioni... Se si arriva alla serie A è perchè il sistema

è già ben collaudato e chi lo mette in pratica sente di avere le garanzie

necessarie per non essere scoperto». E Buffon? «Bisognerà accertare se

ha responsabilità, penali o di comportamento e solo dopo trarre conclusioni»,

avverte Tommasi.

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CALCIOSCOMMESSE

Tutte le Procure chiedono di Bonucci

Da Bari a Cremona, lo juventino è in cima alla lista di giudici e pm. E Criscito è a casa per una foto

di GILBERTO BAZOLI (Libero 03-06-2012)

che bel titolone!

All’inizio si era parlato genericamente dei sospetti su Udinese-Bari, poi era

circolata la notizia di un suo possibile coinvolgimento insieme con altri

compagni di squadra, ora si è saputo di una domanda specifica del giudice su

di lui. È un crescendo di elementi quelli accumulatisi su Leonardo Bonucci,

difensore della Nazionale e della Juventus. Indagato dal 3 maggio, gli

investigatori avevano inserito il suo nome tra le persone da perquisire ma in

extremis il procuratore di Cremona l’ha depennato perché gli atti sono stati

trasmessi a Bari. Risultato: Bonucci parteciperà agli Europei mentre Domenico

Criscito, indagato per lo stesso reato (associazione a delinquere finalizzata

alla frode sportiva), è stato escluso dalla lista dei convocati.

Quella con l’Udinese, ultima giornata del campionato 2009- 2010, è una delle

tante partite chiacchierate del Bari. Dietro la combine ci sono unicamente i

giocatori. È Andrea Masiello a fare per la prima volta, nell’interrogatorio a

Cremona del 15 marzo, il nome di Bonucci. «Per quanto non avessimo

raggiunto l’accordo con i calciatori dell’Udinese, almeno per quello che mi

era stato riferito, io, Bonucci, Belmonte e Parisi giocammo per raggiungere

il risultato a cui mirava Di Tullio (ristoratore barese, ndr), agevolando la

segnatura di tre reti. La partita finì infatti 3 a 3». C’era stato anche il

tentativo di agganciare Simone Pepe, juventino allora all’Udinese, che però

aveva rifiutato l’offerta.

Sembrava fosse tutto qui, ma non era così. Sentito a Bari, Masiello aggiunge

altri particolari: «Io vado al campo e parlo con Bonucci, Belmonte, Parisi e

Salvatore Masiello e gli faccio presente questa cosa, De Tullio era pronto a

scommettere sul live e che in caso di pareggio ci avrebbe dato... ». A questo

punto il gip di Bari Giovanni Abbatista ferma Masiello: «La blocco un attimo.

Lei parla di Bonucci ». Risposta: «Sì». Domanda: «Quando è successo

questo, che giorno della settimana? Perché Bonucci è in ritiro con la

Nazionale». Altra risposta: «Sì, è successo prima di partire in ritiro ad Udine».

Chiede ancora il gip: «Quindi Bonucci è rientrato dal ritiro con la Nazionale? ».

«Sì, io gliel’ho detto a lui - continua Masiello -. Gli avevo fatto presente che,

insieme agli altri compagni, c’era De Tullio che era pronto a darci

determinati soldi, non so quanti, che era pronto a scommettere sul live se la

partita finiva in pareggio, e lui e gli altri compagni erano a favore,

comunque ha detto: se si può fare siamo interessati». Ascoltato a Bari due

volte come testimone, Bonucci ha negato ogni addebito.

Durante l’affollatissima conferenza stampa, lunedì, sul terzo filone del

calcioscommesse il pm di Cremona Roberto di Martino ha sottolineato che,

a parte Criscito, «non ci sono altri nazionali o in odore di convocazione che

abbiano a che fare con questa vicenda». Un altro, Bonucci, c’era ma è stato

salvato da un cavillo.

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CALCIOSCOMMESSE

Tutte le Procure chiedono di Bonucci

Da Bari a Cremona, lo juventino è in cima alla lista di giudici e pm. E Criscito è a casa per una foto

di GILBERTO BAZOLI (Libero 03-06-2012)

che bel titolone!

All’inizio si era parlato genericamente dei sospetti su Udinese-Bari, poi era

circolata la notizia di un suo possibile coinvolgimento insieme con altri

compagni di squadra, ora si è saputo di una domanda specifica del giudice su

di lui. È un crescendo di elementi quelli accumulatisi su Leonardo Bonucci,

difensore della Nazionale e della Juventus. Indagato dal 3 maggio, gli

investigatori avevano inserito il suo nome tra le persone da perquisire ma in

extremis il procuratore di Cremona l’ha depennato perché gli atti sono stati

trasmessi a Bari. Risultato: Bonucci parteciperà agli Europei mentre Domenico

Criscito, indagato per lo stesso reato (associazione a delinquere finalizzata

alla frode sportiva), è stato escluso dalla lista dei convocati.

Quella con l’Udinese, ultima giornata del campionato 2009- 2010, è una delle

tante partite chiacchierate del Bari. Dietro la combine ci sono unicamente i

giocatori. È Andrea Masiello a fare per la prima volta, nell’interrogatorio a

Cremona del 15 marzo, il nome di Bonucci. «Per quanto non avessimo

raggiunto l’accordo con i calciatori dell’Udinese, almeno per quello che mi

era stato riferito, io, Bonucci, Belmonte e Parisi giocammo per raggiungere

il risultato a cui mirava Di Tullio (ristoratore barese, ndr), agevolando la

segnatura di tre reti. La partita finì infatti 3 a 3». C’era stato anche il

tentativo di agganciare Simone Pepe, juventino allora all’Udinese, che però

aveva rifiutato l’offerta.

Sembrava fosse tutto qui, ma non era così. Sentito a Bari, Masiello aggiunge

altri particolari: «Io vado al campo e parlo con Bonucci, Belmonte, Parisi e

Salvatore Masiello e gli faccio presente questa cosa, De Tullio era pronto a

scommettere sul live e che in caso di pareggio ci avrebbe dato... ». A questo

punto il gip di Bari Giovanni Abbatista ferma Masiello: «La blocco un attimo.

Lei parla di Bonucci ». Risposta: «Sì». Domanda: «Quando è successo

questo, che giorno della settimana? Perché Bonucci è in ritiro con la

Nazionale». Altra risposta: «Sì, è successo prima di partire in ritiro ad Udine».

Chiede ancora il gip: «Quindi Bonucci è rientrato dal ritiro con la Nazionale? ».

«Sì, io gliel’ho detto a lui - continua Masiello -. Gli avevo fatto presente che,

insieme agli altri compagni, c’era De Tullio che era pronto a darci

determinati soldi, non so quanti, che era pronto a scommettere sul live se la

partita finiva in pareggio, e lui e gli altri compagni erano a favore,

comunque ha detto: se si può fare siamo interessati». Ascoltato a Bari due

volte come testimone, Bonucci ha negato ogni addebito.

Durante l’affollatissima conferenza stampa, lunedì, sul terzo filone del

calcioscommesse il pm di Cremona Roberto di Martino ha sottolineato che,

a parte Criscito, «non ci sono altri nazionali o in odore di convocazione che

abbiano a che fare con questa vicenda». Un altro, Bonucci, c’era ma è stato

salvato da un cavillo.

Quindi un PM suggerisce all'interrogato ... senti ma questa cosa quando è successa dato che Bonucci ha l'alibi fino a Giovedì ed è rientrato solo Venerdì ... risposta dell'interrogato eh si è successa Venerdì ... ottimo ... che investigatori ...

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Io sto con Buffon (e non perché bianconero)

L'attacco al portiere della Nazionale è una ripicca

Roberto Catania - Panorama.it - 03-06-2012

Parto da una premessa. Buffon è un grande portiere. Ma nelle sue uscite, intendo quelle pubbliche, non mi è mai piaciuto.

Troppo impulsivo, guascone, a tratti strafottente e nonostante questo troppo morbido, compiacente, insomma l'antitesi del personaggio sobrio,

self-controlled ma allo stesso tempo cazzuto e determinato che piace tanto ai cultori dello stile juve (me compreso).

Eppure, guardando lo sfogo di Coverciano non ho mai pensato, nemmeno per un minuto, che si trattasse della solita uscita alla Buffon. Questa volta il

portierone della Juve e della nazionale è uscito a tempo, proprio come fa incampo, con decisione ma senza infrangere le regole. Anche quelle del buon

senso. Buffon ha detto quello che molti di noi pensano. E cioè che c'è qualcosa di strano nei metodi inquisitori della magistratura italiana. E nelintreccio con i media.

Perchè nessuno sta qui a sindacare sul fatto che il mondo del calcio sia un modello di sportività e di etica professionale. Tutt'altro.

Ma è davvero strano che un giocatore di calcio di cui debbano essere ancora accertate colpe e responsabilità venga sbattuto in prima pagina. E' davvero strano che la consegna di un avviso di garanzia sia ormai uno show con tanto di fotografi e telecamere convocati ad arte. Ed è davvero strano che il giorno dopo il citato sfogo di Coverciano qualcuno parli delle scommesse milionarie di Buffon, citando e rendendo scaricabile in pdf un'informativa di due anni fa che non ha portato a niente, nessuna indagine, nessun avviso di garanzia, niente di niente.

Viviamo in un calcio malato che giustifica questo clima di sospetti? Ok, allora lasciatemi sospettare che forse anche per i pubblici ministeri il calcio stia diventando un business, capace di garantire successo e popolarità in breve tempo. Lasciatemi sospettare che la qualità dell'informazione sia andata a farsi f***e e che alla fine ci sia sempre qualcuno che pensi che per vendere i giornali bastano i soliti quattro titoloni da caccia alle streghe (poi ci si chiede perché invece non vendono più). E lasciatemi pure sospettare che quello che stiamo vivendo è un clima da rappresaglia pura. Nel quale non ci sono solo i buoni e i cattivi, le guardie e ladri, gli onesti e i disonesti ma anche quelli che si prostrano a questo stato di cose e quelli che provano a dire

di no. No alla giustizia sommaria, o peggio ancora a quella scritta a nove colonne da sedicenti giornalisti.

Buffon potrebbe essere invischiato fino al collo nel calcio scommesse, oforse no. Ma non è questo il punto. Il punto è che ci hanno insegnato che

chi sbaglia paga. Chi sbaglia, badate bene, e non chi parla.

Ma servono prove provate non sospetti e chiacchiere da bar.

Serve la pistola fumante, le telefonate i flussi di denaro illeciti: se li trovate mostrateceli e andremo a giusto processo, altrimenti lasciate perdere, cambiate mestiere, tornate a fare i menestrelli. Noi non ce ne dispiaceremo.

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Calcio, un avvocato catanese commenta

«La vicenda di Gianluigi Buffon mi fa paura»

Goffredo D'Antona - Ctzen.it - 03-06-2012

Mette le mani avanti e sottolinea di non essere juventino Goffredo D’Antona, penalista catanese autore di questa nota sulle ultime novità dell’inchiesta sulle calcio scommesse. Lo sfogo del portiere sulla fuga di notizie dalle Procure ai giornali italiani e la risposta di questi ultimi il giorno dopo lo inquietano. In un Paese dove, anziché perquisire il covo di Totò Riina, polizia e cronisti si ritrovano a Coverciano, al ritiro della Nazionale azzurra

Non sono juventino. Non mi piace la Juve, e quando la mia squadra la batte è come se avessi vinto un campionato.

Il livello di dialogo e di democrazia in questo Paese è talmente deprimente, che quando si affronta un tema bisogna dire subito da che parte non si è.

Dichiarare la propria parzialità è forse l’unico modo di non apparire parziali. Follia allo stato puro.

Comunque non sono juventino. E da non juventino posso parlare di Buffon, il portiere della Juve e il portiere della nazionale.

Mesi fa, tanti in Italia con la caduta di Silvio hanno pensato che l’Italia si sarebbe evoluta. Sarebbe diventato un paese più civile, più democratico, dove il dialogo e la libertà di esprimere le proprie idee poteva essere fatto senza la paura di ritorsioni, o senza la paura di essere insultati.

Illusi.

In Italia, c’è un signore che si chiama Gianluigi Buffon, ma che potrebbe chiamarsi Pinco Pallino, Tizio, Sempronio.

Questo signore ha un torto, esprime la propria opinione su una questione. Nella specie questo signore tra l’altro lamenta un fatto, che chiunque operi nei tribunali sa bene.

Lamenta la spettacolarizzazione, in certi casi, della giustizia.

Effettivamente dà un po’ di fastidio vedere dei giornalisti piazzati davanti a un posto (Coverciano sede della nazionale di calcio) a bella posta per riprendere, un’ora dopo, l’intervento della polizia ( chi li ha avvertiti e perché?).

Effettivamente dà un po’ di fastidio sapere dai giornali di essere indagati.

Effettivamente dà un po’ di fastidio vedere una perquisizione a Coverciano per cercare… Per cercare cosa? Il tal calciatore cosa può nascondere a Coverciano? Qualcuno mi ha suggerito che forse volevano sequestrare il telefonino o il portatile del calciatore. Può essere, peccato che nel codice di procedura penale ci sono, per questi casi, modalità investigative ugualmente efficienti e meno invasive.

Ma tant’è. Questo signore si lascia andare ad uno sfogo. Sfogo per certi aspetti sicuramente comprensibile.

La Giustizia deve fare il suo corso, è il tintinnio di manette che onestamente dà fastidio a questo signore. E’ lo sbatter il mostro in prima pagina che fa un po’ di paura. Non solo a lui.

In un Paese dove non viene perquisito il covo di Totò Riina, si perquisisce Coverciano.

In questo momento il calcio in Italia viene additato come tutti i mali.

Addirittura c’è un professore universitario che è pure Presidente del Consiglio che al posto di occuparsi di un terremoto che ha messo in ginocchio la terra d’Emilia, dei suicidi, degli attentatori che ammazzano le ragazzine, trova pure il tempo di parlare di sospendere per anni il campionato.

Ma torniamo a noi.

C’è quindi questo signore, che si chiama Gianluigi Buffon, ma che si può chiamare in qualsiasi modo che lamenta tutto questo, che si sfoga.

Il giorno dopo questo sfogo, un giornale di color rosa ma che non è un giornale economico, pubblica pezzi della sua vita.

Vecchia (gli atti risalgono a mesi fa) corrispondenza interna tra due Procure della Repubblica, atti che se il difensore di Buffon chiedesse gli direbbero che c’è il segreto istruttorio, atti di vita personale e di un soggetto, non indagato secondo le due Procure.

Ma tant’è. Oggi un signore esprime critiche ad un sistema di fare giustizia. Il giorno dopo questo sistema, lo stesso sistema, mette in piazza pezzi di vita di una persona.

E cosi apprendiamo che Buffon si compra degli orologi, dà soldi alla sua compagna, acquista azioni della Pirelli (cavolo questa si che è combine… la Pirelli non dell’Inter?), e paga una tabaccheria, dove esiste pure una ricevitoria Lottomatica.

Fermiamoci un attimo.

Con molta franchezza, a me questa circostanza, questa “coincidenza” che un soggetto oggi denunzi un “sistema” e domani sia sbattuto in prima pagina dal sistema appena denunziato, che un giornale possa avere corrispondenza interna tra due procure, mi mette paura.

Lo dico con molta onestà. E ho paura di dire che paura. Sarà una coincidenza, nonché una violazione del segreto istruttorio. Ma a me inquieta.

Con paura dico che questa a me sembra una ritorsione.

Oggi a Buffon domani… a chi?

Ma la cosa che più mi inquieta non è che chiunque possa veder messa in piazza i fatti propri (se Buffon ha commesso degli illeciti questo è giusto verificarlo, con serietà che fa rima con riservatezza, almeno nella fase investigativa). No. La cosa che più mi inquieta è il fatto del giorno: Buffon scommette.

La violazione della dignità del singolo, della privacy, della riservatezza, non turba più nessuno.

La possibilità di una ritorsione non viene neanche ipotizzata. Abbiamo un mostro.

Per lui i diritti non valgono. Se poi non è un mostro? Se poi Buffon non ha scommesso va beh… pazienza. Tanto è ricco.

Non mi piace.

Tutto questo mi fa paura.

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Joined: 14-Jun-2008
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A proposito di Buffon e Conte

di MARCO TRAVAGLIO (il Fatto Quotidiano 03-06-2012)

Rispondo ai molti messaggi sul blog che, siccome non c’è peggior sordo di chi

non vuol sentire né peggior cieco di chi non vuol vedere, mi accusano di aver

scritto il falso a proposito dell’informativa della Guardia di Finanza su Gigi

Buffon (che metto a disposizione di chi vuole leggerla) e delle dichiarazioni

di Antonio Conte.

- E’ vero che nessuna sentenza ha ancora accertato se Buffon abbia versato

tutti quei soldi alla nota tabaccheria di Parma per scommettere e, in quel

caso, se puntasse su partite di calcio (violando il divieto del codice

sportivo) o su altri eventi (restando nella legalità). Ma la Procura di Torino,

nella lettera di trasmissione del rapporto a quella di Cremona, firmata dal

pm Cesare Parodi, afferma di ritenere che quelle “ingenti somme di denaro”,

per le modalità dei versamenti e per le giustificazioni diverse e in parte

contraddittorie (tutela del patrimonio personale, operazioni immobiliari,

acquisto di orologi) date dai legali di Buffon quando mesi fa furono informati

dell’indagine, Buffon le abbia “utilizzate per scommesse presentate

avvalendosi di soggetti terzi”. Quindi è falso che la Guardia di Finanza e la

Procura di Torino o altre autorità escludano l’uso del denaro a fini di

scommesse: anzi affermano esattamente il contrario (nell’informativa la parola

scommesse è citata un bel po’ di volte, e solo l’esistenza di scommesse

giustifica la trasmissione degli atti alla Procura di Cremona, che sul

calcioscommesse indaga e dove altri atti presentano Buffon come

uno scommettitore). Siccome faccio il giornalista e non il giudice, e siccome

Buffon fu già beccato a scommettere nel 2006 (procedimento archiviato perché

non si dimostrò che scommettesse anche su partite del calcio italiano), ho

tutto il diritto di parlare di “scommesse di Buffon”, come ho fatto, anche se

ho precisato che al momento non si sa su cosa avvenissero le puntate (che

potrebbero anche essere lecite, sia per la giustizia ordinaria sia per quella

sportiva).

- So bene che Conte non ha detto che voleva essere avvertito della

perquisizione: ha detto che si aspettava che la Procura di Cremona lo

convocasse, a sua richiesta, prima di indagarlo e prima di perquisirlo.

Purtroppo non sa, e i suoi legali non l’hanno informato, che i pm indagano

quando sono in presenza di una notizia di reato (le accuse di un ex calciatore

del Siena a Conte) e non sono affatto tenuti a interrogare l’indagato quando

lo chiede lui. Anzi, per il bene delle indagini, tengono segreto il registro

degli indagati se hanno intenzione di compiere atti a sorpresa, cioè

all’insaputa di quello e di altri indagati o indagabili: come, appunto, le

perquisizioni o le intercettazioni. Avvertire un indagato che è indagato

o interrogarlo sugli elementi di accusa significa metterlo sull’avviso e

vanificare l’esito di perquisizioni e intercettazioni. Per questo Conte non è

stato sentito prima di essere indagato e perquisito. Se fosse stato sentito,

l’effetto sarebbe stato appunto quello che ho descritto: teoricamente avrebbe

potuto, se intercettato, non parlare al telefono di vicende oggetto di

indagine e, se perquisito, anticipare il blitz facendo sparire eventuale

materiale compromettente e utile all’indagine.

Se poi qualcuno pretende un Codice di procedura penale speciale, “ad

Juventutem”, non so che farci. Vuol dire che il berlusconismo è sempre vivo e

lotta insieme a noi, anzi a loro.

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La vera storia di Calciopoli

Marco Travaglio - ilmegafonoquotidiano.globalist.it

Uscirà in libreria il 13 giugno il libro di Giuseppe Narducci sulla madre delle inchieste che hanno svelato il marcio del calcio italiano. In anteprima uno stralcio della lunga prefazione di Marco Travaglio

Ci voleva proprio, questo libro di Giuseppe Narducci, per rinfrescare la memoria agli smemorati di Calciopoli. E non mi riferisco tanto ai tifosi che, per definizione (me compreso, quando ancora lo ero), ragionano con la pancia e non con la testa. Ma ai giornalisti, ai commentatori, agli “esperti” veri o presunti e ai dirigenti del calcio italiano, che sono o sarebbero tenuti a rispettare le regole: quelle della correttezza, della deontologia, della completezza dell’informazione, e anche del codice penale e di quello sportivo.

Scrivo questa prefazione poche ore dopo la vittoria dello scudetto da parte della “mia” Juventus: lo scudetto numero 28, che però i dirigenti e molti tifosi bianconeri spacciano per il numero 30, incuranti del fatto che due campionati furono giustamente sanzionati dalla giustizia sportiva (e anche penale) perchè viziati dalle gravissime irregolarità e illegalità di Calciopoli. Sono felice di questo scudetto numero 28 (gli altri due sono quelli della vergogna ed è meglio dimenticarli): felice perchè è stato conquistato sul campo, senza favoritismi né moggismi, così come fui felice che la “mia” Juventus nel 2006 venisse retrocessa per espiare le sue colpe. Colpe che erano sotto gli occhi di tutti i vedenti ancor prima che uscissero le intercettazioni dello scandalo, anche se pochissimi cronisti, commentatori e osservatori osavano scriverlo sui loro giornali e dirlo nei programmi Tv (Moggi controllava militarmente anche quelli).

Quelle intercettazioni fui il primo a pubblicarle, sulle pagine di Repubblica con cui all’epoca collaboravo. Ma, per conoscereil sistema Moggi, non ebbi bisogno di leggerne le trascrizioni: mi era bastato seguire le partite della mia squadra del cuore con occhi non foderati di prosciutto, per rendermi conto che molte delle vittorie travolgenti dell’èra Moggi-Giraudo-Umberto Agnelli avvenivano altrove, fuori dal campo, prima ancora del fischio d’inizio: frutto del doping e dell’abuso di farmaci (come poi dimostrò il processo intentato dal procuratore torinese Raffaele Guariniello al capo dello staff medico bianconero Riccardo Agricola e all’amministratore delegato Antonio Giraudo, salvati dalla prescrizione in Cassazione), ma anche del controllo padronale e capillare su arbitri, procuratori, dirigenti federali, giornalisti, moviolisti e addirittura sui vertici di altri club (come poi dimostrarono le sentenze della giustizia sportiva e poi di quella penale).

Chi fosse Moggi, poi, l’aveva stabilito un altro processo, celebrato ai tempi in cui Moggi era direttore generale dell’altro club pallonaro subalpino: il Torino Calcio. Un processo che dimostrò come “Lucianone” fosse solito allietare le trasferte delle terne arbitrali sotto la Mole prima e dopo le partite di coppa Uefa con la dolce compagnia di ragazze squillo da lui ingaggiate (quella volta Moggi se la cavò grazie a un buco nella legge sulla frode sportiva, reato punito soltanto se commesso nell’ambito di competizioni organizzate dal Coni e non dall’Uefa). Eppure, nonostante quell’indecente pedigree, o forse proprio per quello, nel 1994 Umberto Agnelli e Antonio Giraudo lo arruolarono come direttore generale del club più blasonato d’Italia, con tanti saluti allo “stile Juventus”. E lui ricominciò a vincere alla sua maniera: con la frode, solo in forme più sistematiche e spudorate (la famigerata “Cupola”) grazie alla potenza della Real Casa zebrata.

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Joined: 01-Jun-2005
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La vera storia di Calciopoli

Marco Travaglio - ilmegafonoquotidiano.globalist.it

Uscirà in libreria il 13 giugno il libro di Giuseppe Narducci sulla madre delle inchieste che hanno svelato il marcio del calcio italiano. In anteprima uno stralcio della lunga prefazione di Marco Travaglio

Ci voleva proprio, questo libro di Giuseppe Narducci, per rinfrescare la memoria agli smemorati di Calciopoli. E non mi riferisco tanto ai tifosi che, per definizione (me compreso, quando ancora lo ero), ragionano con la pancia e non con la testa. Ma ai giornalisti, ai commentatori, agli “esperti” veri o presunti e ai dirigenti del calcio italiano, che sono o sarebbero tenuti a rispettare le regole: quelle della correttezza, della deontologia, della completezza dell’informazione, e anche del codice penale e di quello sportivo.

Scrivo questa prefazione poche ore dopo la vittoria dello scudetto da parte della “mia” Juventus: lo scudetto numero 28, che però i dirigenti e molti tifosi bianconeri spacciano per il numero 30, incuranti del fatto che due campionati furono giustamente sanzionati dalla giustizia sportiva (e anche penale) perchè viziati dalle gravissime irregolarità e illegalità di Calciopoli. Sono felice di questo scudetto numero 28 (gli altri due sono quelli della vergogna ed è meglio dimenticarli): felice perchè è stato conquistato sul campo, senza favoritismi né moggismi, così come fui felice che la “mia” Juventus nel 2006 venisse retrocessa per espiare le sue colpe. Colpe che erano sotto gli occhi di tutti i vedenti ancor prima che uscissero le intercettazioni dello scandalo, anche se pochissimi cronisti, commentatori e osservatori osavano scriverlo sui loro giornali e dirlo nei programmi Tv (Moggi controllava militarmente anche quelli).

Quelle intercettazioni fui il primo a pubblicarle, sulle pagine di Repubblica con cui all’epoca collaboravo. Ma, per conoscereil sistema Moggi, non ebbi bisogno di leggerne le trascrizioni: mi era bastato seguire le partite della mia squadra del cuore con occhi non foderati di prosciutto, per rendermi conto che molte delle vittorie travolgenti dell’èra Moggi-Giraudo-Umberto Agnelli avvenivano altrove, fuori dal campo, prima ancora del fischio d’inizio: frutto del doping e dell’abuso di farmaci (come poi dimostrò il processo intentato dal procuratore torinese Raffaele Guariniello al capo dello staff medico bianconero Riccardo Agricola e all’amministratore delegato Antonio Giraudo, salvati dalla prescrizione in Cassazione), ma anche del controllo padronale e capillare su arbitri, procuratori, dirigenti federali, giornalisti, moviolisti e addirittura sui vertici di altri club (come poi dimostrarono le sentenze della giustizia sportiva e poi di quella penale).

Chi fosse Moggi, poi, l’aveva stabilito un altro processo, celebrato ai tempi in cui Moggi era direttore generale dell’altro club pallonaro subalpino: il Torino Calcio. Un processo che dimostrò come “Lucianone” fosse solito allietare le trasferte delle terne arbitrali sotto la Mole prima e dopo le partite di coppa Uefa con la dolce compagnia di ragazze squillo da lui ingaggiate (quella volta Moggi se la cavò grazie a un buco nella legge sulla frode sportiva, reato punito soltanto se commesso nell’ambito di competizioni organizzate dal Coni e non dall’Uefa). Eppure, nonostante quell’indecente pedigree, o forse proprio per quello, nel 1994 Umberto Agnelli e Antonio Giraudo lo arruolarono come direttore generale del club più blasonato d’Italia, con tanti saluti allo “stile Juventus”. E lui ricominciò a vincere alla sua maniera: con la frode, solo in forme più sistematiche e spudorate (la famigerata “Cupola”) grazie alla potenza della Real Casa zebrata.

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Basta quello come commento.

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Joined: 10-Sep-2006
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La vera storia di Calciopoli

Marco Travaglio - ilmegafonoquotidiano.globalist.it

Uscirà in libreria il 13 giugno il libro di Giuseppe Narducci sulla madre delle inchieste che hanno svelato il marcio del calcio italiano. In anteprima uno stralcio della lunga prefazione di Marco Travaglio

Ci voleva proprio, questo libro di Giuseppe Narducci, per rinfrescare la memoria agli smemorati di Calciopoli. E non mi riferisco tanto ai tifosi che, per definizione (me compreso, quando ancora lo ero), ragionano con la pancia e non con la testa. Ma ai giornalisti, ai commentatori, agli “esperti” veri o presunti e ai dirigenti del calcio italiano, che sono o sarebbero tenuti a rispettare le regole: quelle della correttezza, della deontologia, della completezza dell’informazione, e anche del codice penale e di quello sportivo.

Scrivo questa prefazione poche ore dopo la vittoria dello scudetto da parte della “mia” Juventus: lo scudetto numero 28, che però i dirigenti e molti tifosi bianconeri spacciano per il numero 30, incuranti del fatto che due campionati furono giustamente sanzionati dalla giustizia sportiva (e anche penale) perchè viziati dalle gravissime irregolarità e illegalità di Calciopoli. Sono felice di questo scudetto numero 28 (gli altri due sono quelli della vergogna ed è meglio dimenticarli): felice perchè è stato conquistato sul campo, senza favoritismi né moggismi, così come fui felice che la “mia” Juventus nel 2006 venisse retrocessa per espiare le sue colpe. Colpe che erano sotto gli occhi di tutti i vedenti ancor prima che uscissero le intercettazioni dello scandalo, anche se pochissimi cronisti, commentatori e osservatori osavano scriverlo sui loro giornali e dirlo nei programmi Tv (Moggi controllava militarmente anche quelli).

Quelle intercettazioni fui il primo a pubblicarle, sulle pagine di Repubblica con cui all’epoca collaboravo. Ma, per conoscereil sistema Moggi, non ebbi bisogno di leggerne le trascrizioni: mi era bastato seguire le partite della mia squadra del cuore con occhi non foderati di prosciutto, per rendermi conto che molte delle vittorie travolgenti dell’èra Moggi-Giraudo-Umberto Agnelli avvenivano altrove, fuori dal campo, prima ancora del fischio d’inizio: frutto del doping e dell’abuso di farmaci (come poi dimostrò il processo intentato dal procuratore torinese Raffaele Guariniello al capo dello staff medico bianconero Riccardo Agricola e all’amministratore delegato Antonio Giraudo, salvati dalla prescrizione in Cassazione), ma anche del controllo padronale e capillare su arbitri, procuratori, dirigenti federali, giornalisti, moviolisti e addirittura sui vertici di altri club (come poi dimostrarono le sentenze della giustizia sportiva e poi di quella penale).

Chi fosse Moggi, poi, l’aveva stabilito un altro processo, celebrato ai tempi in cui Moggi era direttore generale dell’altro club pallonaro subalpino: il Torino Calcio. Un processo che dimostrò come “Lucianone” fosse solito allietare le trasferte delle terne arbitrali sotto la Mole prima e dopo le partite di coppa Uefa con la dolce compagnia di ragazze squillo da lui ingaggiate (quella volta Moggi se la cavò grazie a un buco nella legge sulla frode sportiva, reato punito soltanto se commesso nell’ambito di competizioni organizzate dal Coni e non dall’Uefa). Eppure, nonostante quell’indecente pedigree, o forse proprio per quello, nel 1994 Umberto Agnelli e Antonio Giraudo lo arruolarono come direttore generale del club più blasonato d’Italia, con tanti saluti allo “stile Juventus”. E lui ricominciò a vincere alla sua maniera: con la frode, solo in forme più sistematiche e spudorate (la famigerata “Cupola”) grazie alla potenza della Real Casa zebrata.

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'azz!

Che sie andata a trovare!

Il monnezzaro scrive un libro e da chi si fa fare la prefazione? Dallo sparacazzate.

Più che la prefazione di un libro mi sembra la sintesi della vita di quella carogna di T.. In questo senso, mi pare fatta pure bene.

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