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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Un Paese a sua insaputa

di MARCO TRAVAGLIO (il Fatto Quotidiano 31-05-2012)

Perché un terremoto del quinto-sesto grado Richter, così come un paio di

giorni di pioggia, fa strage solo in Italia (oltre, si capisce, al resto del

Terzo mondo)? La risposta l’ha data a sua insaputa il neopresidente di

Confindustria Giorgio Squinzi, quando ha detto che i capannoni industriali

sbriciolati dalle scosse del 20 e del 29 maggio erano “costruiti a regola

d’arte”. La questione, il vero spread che separa l’Italia dal mondo normale, è

tutto qui: nel concetto italiota di “regola d’arte”. La nostra regola d’arte è

quella che indusse la ThyssenKrupp a non ammodernare l’impianto antincendio

nella fabbrica di Torino perché, di lì a un anno, l’attività sarebbe stata

trasferita a Terni. Risultato: sette operai bruciati vivi. Mai la ThyssenKrupp

si sarebbe permessa di risparmiare sulla sicurezza nei suoi stabilimenti in

Germania, dove le tutele dei lavoratori sono all’avanguardia nel mondo. In

Italia invece si può. Perché? Perché nessuno controlla o perché il controllore

è corrotto dai controllati. Oltre all’avidità dei singoli, purtroppo

ineliminabile dalla natura umana, il comune denominatore di tutti gli scandali

e quasi tutte le tragedie d’Italia è questo, tutt’altro che ineluttabile:

niente controlli. Salvo quelli della magistratura, che però arriva

necessariamente dopo: a funerali avvenuti. Dal naufragio della Costa Concordia

al crollo della casa dello studente a L’Aquila, dalle varie Calciopoli ai

saccheggi miliardari della sanità pugliese, siciliana e lombarda, dal crac San

Raffaele ai furti con scasso dei Lusi e dei Belsito, dalle cricche delle

grandi opere e della Protezione civile alle scalate bancarie, dalla

spoliazione di Finmeccanica alle ruberie del caso Penati, giù giù fino alle

casse svuotate di Bpm e Mps, alle piaghe ataviche dell’evasione, degli sprechi,

delle mafie e della corruzione, quel che emerge è un paese allergico ai

controlli. Che, se ci fossero, salverebbero tante vite e tanto denaro,

pubblico e privato. Ma la nostra regola d’arte è quella di allargare ogni

volta le braccia dinanzi alla “tragica fatalità” o alle “mele marce”, per dare

un senso di inevitabilità a quel che evitabilissimamente accade. Mancano i

controlli a monte perché tutti si affidano alle sentenze a valle. E poi,

quando arrivano le sentenze a valle, non valgono neppure quelle. Formigoni,

mantenuto dagli amici faccendieri Daccò e Simone che hanno scippato 70 milioni

alla fondazione Maugeri, ente privato ma farcito di fondi pubblici dalla

Regione di Formigoni, non si dimette perché “non sono indagato”. E perché,

anche se lo fosse cambierebbe qualcosa? Qui non tolgono il disturbo né gli

indagati, né i rinviati a giudizio, né i condannati. La giustizia sportiva ha

definitivamente condannato e radiato Moggi dal mondo del calcio per i suoi

illeciti sportivi, revocando alla sua Juventus due scudetti vinti con la frode,

poi lo stesso Moggi è stato pure condannato dalla giustizia penale (a Roma in

appello e a Napoli in tribunale). Eppure il presidente Andrea Agnelli seguita

a elogiarlo come “grande manager” e rivendicare i due scudetti vinti col

trucco. E ora difende Conte, “solo indagato”. Perché, se fosse condannato come

Moggi cambierebbe qualcosa? Battista sul Corriere minimizza il

calcioscommesse: “Un pugno di partite sporcate... se qualcuno imbroglia, non

sono tutti imbroglioni”, “non è vero che così fan tutti”, ergo bisogna “essere

severi con chi ha violato un codice penale e un codice morale, ma non

dissolvere le differenze”. Bene bravo bis. Peccato che il 7 maggio, quando la

Juve ha vinto il 28° scudetto, Battista abbia scritto che è il 30° (“tre

stelle, meritate e vinte sul campo, cucite sulla ma glia”) e chissenefrega

delle sentenze (“nessuno ha mai pensato che una storia gloriosa fosse una

storia criminale”), frutto di “processi sommari” perché c’entrava anche

l’Inter. Dunque così fan tutti. Ricapitolando: niente controlli prima, niente

sentenze dopo. È il Paese dell’Insaputa. Arrivederci al prossimo funerale.

-------

SE LA PRENDE CON STAMPA E GIUDICI

CHE FIGURA DA BUFFON

Il pm Di Martino: “Se ha cose utili da dire, venga a Cremona”

di LUCA DE CAROLIS (il Fatto Quotidiano 31-05-2012)

Ci sono delle operazioni giudiziarie, e voi lo sapete tre o quattro mesi

prima. Uno parla con i pm e voi sapete il contenuto dieci minuti dopo: è una

vergogna”. No, non l’ha detto un ex premier che adora il burlesque. A tuonare

dal ritiro azzurro di Coverciano è stato il numero 1 della Juventus Gianluigi

Buffon, portiere e, soprattutto, capitano della Nazionale. Furente, con i

magistrati che indagano sulle scommesse. Più o meno come il suo allenatore in

bianconero, Antonio Conte: quello che “mi aspettavo che il pm di Cremona mi

convocasse prima di adottare certi provvedimenti (la perquisizione, ndr)”.

Buffon invece è irato, forse, per aver letto che la procura di Cremona voleva

convocarlo. Magari per capire il senso di questa sua frase: “Chi conosce il

calcio e lo vive giorno dopo giorno, sa cosa succede. Se ogni tanto qualcuno

fa qualche conto è anche giustificato. In molti casi, come si dice, ‘meglio

due feriti che un morto’”. Proverbio scivoloso, che a pensare male evoca

l’immagine di pareggi alla carte. Ieri sera il pm di Cremona, Roberto Di

Martino, ha precisato: “Non è prevista la convocazione di Buffon”. Ma ieri

mattina il portiere era ancora appeso alle indiscrezioni. E ha alzato la voce:

“La vera vergogna è che se vado a fare un interrogatorio dal pm in Italia dopo

10 minuti tutti sanno quello che ho detto. Fuori da Coverciano c’erano le

telecamere dalle 6 del mattino. Queste cose lasciano interdetti”. Insomma,

mentre l’Italia apprende di giocatori comprati a tariffa, di incontri tra

atleti e vivaci slavi in ristoranti chiusi e trattative pure nei tunnel degli

stadi, Buffon s’indigna contro procure e giornalisti. Per carità, c’è anche la

premessa rassicurante: “Ho piena fiducia nei pm che possono fare piena

giustizia. Perché non c’è nulla di peggio che giocare o speculare sulla vita

delle persone”. Poi però sono bordate: “Sarò ascoltato dai pm? Quello me lo

dovete dire voi, i diretti interessati non sanno mai niente e lo sapete sempre

voi prima…”. Vabbè, i tempi: ma la frase sui feriti non era evitabile? Buffon

mostra il petto: “Il mondo non è né ipocrita né moralista, il mondo sta

andando abbastanza male. Ma io credo che la prima cosa da preservare sia

sempre la democrazia e la libertà di pensiero, per cui uno di conseguenza

accetta le critiche e quello che ne scaturisce, ma nella vita bisogna anche

prendersi delle responsabilità e io me le sono sempre prese”. Si macera, il

portiere: “Non posso dire quello che realmente il mio cuore e la mia mente

pensano. Ho avuto l’ennesima conferma sul fatto che alla fine le persone

perbene, che in merito a certe situazioni hanno la coscienza a posto e non

hanno scheletri nell’armadio, non possono dire il proprio pensiero”.

C’È TANTA malafede, in giro. E Buffon ne ha pure la prova: “Dopo l’errore in

Juventus-Lecce, mi arrivò un sms su cui c’e ra scritto: ‘Sul web dicono che

hai scommesso’. Me lo ha mandato un giornalista. Se sei così tarato da pensare

male, davvero non so cosa dire”. Dopodiché, calcia via lo stop al campionato

evocato da Monti (“Tanti rimarrebbero senza lavoro”), sposa la linea De Rossi

(“Ora è peggio del 2006”) e invoca il pugno duro: “Se non hai dentro l’onestà,

l’unica soluzione sono pene esemplari e severe ”. Questo è Buffon. Con lui, il

portavoce del Pdl Daniele Capezzone: “Buffon ha ricordato che esiste il

principio costituzionale della presunzione di innocenza, ha detto una cosa

garantista e cora ggiosa”. In serata, le parole di Di Martino: “Non è prevista

da parte mia la convocazione di Buffon, sarebbe superfluo. Se Buffon è a

conoscenza di fatti o, come dice lui, di morti o feriti, prenda l’iniziativa e

venga a dirmi quello che sa. Diversamente non vedo motivo per convocarlo”.

Quanto a Conte, “capisco il suo sfogo, ma non si poteva agire diversamente.

Non si può mandare un’informazione di garanzia e poi dar seguito ad una

perquisizione, lui queste cose non le sa e lo capisco”.

-------

IL PEGGIO DELLA DIRETTA

Silenzio, parla Berlusconte

di NANNI DELBECCHI (il Fatto Quotidiano 31-05-2012)

Non temo il Berlusconi in sé, temo il Berlusconi in me”. La profetica battuta

di Giorgio Gaber affiorava alla memoria nella riproposta da parte di Sky di

sette minuti televisivi che sembravano girati proprio per essere trasmessi

all'infinito; quelli utilizzati da Antonio Conte per rispondere alla sua

iscrizione nel registro degli indagati dell'inchiesta sulle scommesse nel

calcio. Alla notizia dell’avviso di garanzia l'allenatore della Juventus non è

rimasto con le mani in mano, ma ha subito convocato una conferenza stampa per

annunciare ai media “chi è veramente Antonio Conte”. Anche se parlare di

conferenza stampa è un po’ eccessivo, considerato che gli attoniti giornalisti

non hanno potuto interloquire in alcun modo nel suo monologo, ancora una volta

Conte ha mostrato la sua natura di guerriero indomito, che giammai si tira

indietro anche quando è costretto a maneggiare armi per cui non è granché

tagliato, come le parole.

Già qui si notavano diversi punti di contatto con le uscite televisive di

colui che fino a qualche mese fa era il nostro Presidente del Consiglio;

analogie che hanno sfiorato il plagio quando il tecnico juventino, senza

spendere una parola per rispondere alle circostanze contestategli, ha invece

accusato a sua volta il magistrato: “Mi sarei aspettato che mi avesse sentito

prima di adottare certi provvedimenti”. In effetti, conse - cutio temporum a

parte, il comportamento del giudice è stato poco carino. Non dico una

partecipazione su carta intestata, o un invito a cena; ma almeno un colpo di

telefono o un sms poteva mandarlo. Così, giusto per non prenderti del tutto

alla sprovvista, che poi ti arriva la perquisizione e ti fai trovare con tutta

la casa in disordine. Quel giudice avrebbe dovuto prendere esempio proprio da

Conte che, anche se ai giornalisti non ha fatto aprire bocca, li ha invitati

lo stesso alla conferenza stampa, evidentemente per un puro gesto di cortesia.

Insomma, ferma restando la presunzione d'innocenza e augurando a Conte un

proscioglimento in tempi brevi, questa conferenza stampa ripresa dalle

telecamere aveva un modello ben preciso: zero contraddittorio, zero risposte

nel merito; ma in compenso, attacco a testa bassa alla magistratura e

sperticato elogio di se stessi (“Antonio Conte è uno che vuole vincere

sempre... Abbiamo vinto il campionato con tre settimane d’anticipo.. . ”). Più

che da Conte, un’uscita da Berlusconte. E apertamente “berluscontiana” è stata

la seconda parte della conferenza stampa: un secondo monologo, questa volta

del presidente della Juventus Andrea Agnelli, in cui si ribadiva fiducia

nell'allenatore e certezza della sua estraneità ai fatti contestati. Più o

meno quel che per quindici anni abbiano sentito dire a proposito di B. , quasi

a cadenza quotidiana, ai Bonaiuti, ai Cicchitto, ai Capezzone e a chi altri

volete voi. La sola differenza è che stavolta non si può parlare di toghe

rosse, casomai di toghe giallorosse, o al massimo nerazzurre. Ma questi sono

dettagli cromatici del tutto secondari, mi dicevo mentre la conferenza stampa

ripassava in video per l'ennesima volta. E a mia volta mi ripetevo che

vent'anni di lavaggio del cervello mediatico non passano invano, e dunque non

dovevo temere tanto il Berlusconte in sé, ma il Berlusconte in me.

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LE RIVELAZIONI DALL’UNGHERIA SU LECCE-LAZIO 2-4

«Così manipolammo la A»

di SIMONE DI STEFANO & ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 31-05-2012)

ROMA. «Per quanto riguarda Borgulya e Schultz vorrei raccontare di una partita

italiana di serie A. In un giorno intorno a maggio 2011... ». Sembra l’inizio

di un romanzo di Kipling, e invece si tratta del doppio interrogatorio tenuto

dall’ungherese Gabor Horvath tra novembre e gennaio e ottenuto dalla Procura

di Cremona sotto rogatoria internazionale. La gara in questione è Lecce-Lazio

2-4 e sarebbe quella in cui il teste avanza il dubbio anche sul presunto

coinvolgimento delle due dirigenze: «In un pomeriggio domenicale io, Lazar

Matyas ed altri eravamo da Kenesei nella sua casa di Urom. In quell’occasione

Keno ha detto che eravamo arrivati sulla cima. Gli ho chiesto cosa lui

intendesse e lui ha detto che l’organizzazione sotto la guida del Boss (Tan

Seet Eng, ndr), della quale faceva parte anche lui, aveva manipolato una

partita italiana di serie A. Da Kenesei ho saputo che hanno influenzato la

partita Lazio-Lecce».

ASSUNZIONE LIVE Seguono la parte già nota, i 600. 000 euro investiti da

Bugulya, Kenesei e Schultz, i 2 milioni scommessi dal Boss Tan Seet Eng e il

fatto che «la scommessa prevedeva un risultato con più di 4 gol. Sul 2-2 il

rigore è stato segnato, così la Lazio vinceva 3-2, così il risultato della

scommessa era già fatto». Questo si sapeva, ma altri dettagli arrivano dalla

rogatoria integrale: «Durante la partita - dice Horvath - Kenesei mi ha detto

che mi assumeva per 3. 000 euro se arrivava il risultato».

SAN SIRO E FIGC La combine si decise a San Siro durante Inter-Barcellona di

Champions League. In un’intercettazione Matyas Lazar si vanta infatti con

Zoltan Kenesei di aver visto la partita «in un posto fantastico («il miglior

posto finora?») ma, soprattutto, rivela che il biglietto in qualche modo

proveniva dalla Figc: «Non mi ero ancora seduto là... Anello interno... Allora

un paio d’ore prima della partita ho fatto un messaggio a Bartos. Mi dice,

perché non l’avevo detto, mi avrebbe dato un biglietto Vip... gratis... Ma lo

aveva già regalato via... E nulla. . . Noi siamo venuti per comprare un

biglietto, poi c’era quell’uomo che vendeva... l’uomo davanti la cassa.. . Era

un biglietto così... Non aveva neanche un numero di serie.... Era un biglietto

emesso dalla Federazione italiana? So che l’ha emesso la Federazione Italiana

Calcio...». Sulla tribuna di San Siro, quel giorno, gli ungheresi non furono

gli unici. Infatti durante l’interrogatorio del 17 gennaio, il macedone Rade

Trajkovski (che poi si scoprì esser stato la guardia del corpo di Ilievski)

raccontò al gip: «Venni in Italia per vedere Inter-Barcellona: avevamo avuto i

biglietti gratis da Pandev». Allora è un vizio... C’era gente che - a quei

tempi - giocava col fuoco tra chi consegnava biglietti omaggio. E tra chi

giocava da matti sull’over 3.5 di Inter-Lecce, come ricordava Tisci citando

imprecisati calciatori nerazzurri e Bobo Vieri.

___

IL RETROSCENA LA CHAMPIONS SULLO SFONDO

In tribuna a San Siro

il patto degli ungheresi

per manipolare la A

L'incontro di Kenesei e compagni con il singaporiano

Eng Tan Seet avviene mentre in campo si gioca Inter-Barça

di FRANCESCO CENITI & LUIGI PERNA (GaSport 31-05-2012)

Ad assistere all'impresa dell'Inter contro il Barcellona, un 3-1 che avrebbe

spianato la strada dei nerazzurri verso la conquista della Champions e del

Triplete, c'erano anche i vertici dell'organizzazione che gestiva il

calcioscommesse. Proprio a San Siro è stato siglato il patto tra il gruppo

degli ungheresi e il singaporiano Eng Tan Seet (il capo dei capi): è

l'ingresso «in società» di Kenesei e compagni, benedetto da Ilievski, anche

lui presente allo stadio. In quella serata Tan Seet avrebbe dato il via libera

agli ungheresi: potevano trattare in Italia le combine del campionato di A.

Rogatoria La circostanza emerge da una serie di telefonate registrate dagli

investigatori di Budapest e inviate ai pm di Cremona con una rogatoria

internazionale. «Abbiamo un incontro lì in Italia - dice al telefono uno dei

destinatari, Matyas Lazar - viene con l'aereo quello di là, l'uomo dell'Asia.

Martedì sera dobbiamo essere a Milano. Ci ha invitato alla partita

Inter-Barcellona e lì si faranno i conti». I tre assistono alla partita (il 20

aprile 2010) tanto che al termine Kenesei racconta al telefono che erano

seduti «di fronte all'uscita dei giocatori: era un buon posto». Il gruppo si

mette subito al lavoro. E Horvath Gabor racconta nell'interrogatorio in

Ungheria dello scorso novembre cosa quel lavoro aveva prodotto: «Una

domenica di maggio 2011, eravamo da Kenesei Zoltán nella sua casa di

Üröm. In quell'occasione ci disse che eravamo arrivati sulla cima: spiegò

che aveva manipolato una gara italiana di Serie A. Si trattava di Lecce-Lazio

2-4.. . ». Secondo il pm Di Martino, soldi investiti per corrompere i giocatori:

600 mila euro. Guadagno netto: 2 milioni.

___

La storia

La grande alleanza zingari & ungheresi

a San Siro durante Inter-Barcellona

Il gruppo poi puntò su Lecce-Lazio: in 90 minuti 2 milioni guadagnati

di GIOVANNI BIANCONI (CorSera 31-05-2012)

ROMA — Inter-Barcellona era la partita dell'anno. 20 aprile 2010, stadio

Giuseppe Meazza di San Siro, semifinale d'andata di Champions League.

I nerazzurri di Mourinho contro i blaugrana di Guardiola. Ma tra tanti

spettatori interessati allo spettacolo ce n'era qualcuno più interessato agli

affari, alle gare truccate e alle scommesse: gli «zingari» e gli «ungheresi»

che s'incontrarono con il grande capo per «fare i conti». Proprio lì, quella

sera a San Siro, si tenne il summit che sancì l'alleanza tra i due gruppi e

l'organizzatore arrivato apposta da Singapore, Tan Seet Eng detto «Dan».

È la convinzione degli investigatori italiani che da un anno sono sulle

tracce del «sodalizio criminale» che ha guadagnato milioni attraverso le

puntate sui risultati combinati. Convinzione che deriva dalle intercettazioni

sui telefoni di alcuni cittadini magiari inquisiti e arrestati nel loro Paese

con le stesse accuse per cui si procede in Italia.

La sera del 16 aprile 2010 uno di loro, Matyas Lazar, parla con Layos

Baranyai, e gli annuncia l'imminente trasferta a Milano: «Ti dico che alla

partita di campionato non ci saremo mercoledì». «Perché?», gli chiede l'amico.

«Perché abbiamo un incontro là in Italia, viene con l'aereo quello di là,

l'uomo dell'Asia... Il volo è martedì sera. Martedì sera dobbiamo essere a

Milano. Ci ha invitato alla partita Inter-Barcellona e lì si faranno i conti.

Dopo torniamo...».

Secondo gli inquirenti «l'uomo dell'Asia» è proprio Tan Seet Eng, il grande

capo che presumibilmente ha invitato gli ungheresi in Italia. E della missione

fa parte anche Zoltan Kenesei, l'uomo di Budapest che secondo l'ordinanza del

giudice Salvini è definito «responsabile del gruppo criminale, unitamente al

suo ‘‘braccio destro'' Matyas Lazar, Làszlò Schultz» e altri. In una seconda

telefonata registrata il 19 aprile 2010, vigilia di Inter-Barcellona, proprio

Kenesei dice a un interlocutore: «Noi stiamo partendo, andiamo. . . Vogliamo

arrivarci prima perché non ci siano troppe macchine, code sull'autostrada.. . ».

L'indomani è ancora Kenesei che, a un amico che gli chiedeva per quale posto

aveva il biglietto, risponde: «Di fronte all'uscita dei giocatori... ». Amico:

«All'altro lato». Kenesei: «Sì, sì, era un buon posto. . . ».

Da altre intercettazioni gli investigatori hanno ricostruito che all'incontro

assisté anche Hristian Ilievski, il macedone considerato a capo dell'altro

gruppo al servizio di Tan Seet Eng, e secondo la loro ipotesi è proprio a San

Siro che fu sancita la sovrapposizione tra le due articolazioni operative:

quella degli «zingari» e quella degli ungheresi. Nella rogatoria arrivata da

Budapest con le intercettazioni si consiglia di acquisire i filmati di

Inter-Barcellona in cui si vedono gli spettatori: «Se è disponibile una

ripresa HD della parte e c'è una parte dove si percorre la tribuna, forse si

potrebbe identificare anche Tan Seet Eng».

In quella stessa rogatoria sono trascritti i colloqui registrati alla vigilia

di Lecce-Lazio del 22 aprile 2011, una delle partite truccate. Làszlò Schultz,

altro collaboratore di Kenesei, è in partenza con la macchina dall'Ungheria

per la Puglia, dove — secondo l'accusa — deve portare i soldi necessari

a corrompere i giocatori: 600 mila euro, stando ai calcoli degli inquirenti. A

bordo della macchina, Schultz e Matyas Lazar parlano di come impostare

il navigatore. «Cosa devo metterci? Bologna?», domanda Schultz. E Lazar

risponde: «Mettici Lecce... ».

Tre ore dopo Schultz richiama dalla macchina: «Adesso indica per la meta

1.161 chilometri. Ho messo anche l'hotel, indica Grand Hotel Tiziano».

L'albergo è quello dove si trovavano la squadra del Lecce, Alessandro

Zamperini, il reclutatore di calciatori per conto degli «zingari». Proprio lì,

il calciatore del Lecce Ferrario ha detto di aver incontrato Zamperini, il

quale gli disse che c'erano «degli amici che volevano mettere dei soldi su

quella partita».

Il 21 maggio, vigilia di Lecce-Lazio, Schultz parla con suo padre in

Ungheria: «Siamo giù in fondo allo stivale, in fondo fondo del tallone.

Totalmente. Siamo qui nell'albergo, partiamo domani sera». A partita finita e

— sempre secondo i calcoli degli inquirenti — due milioni guadagnati.

___

Il patto tra bande nella tribuna vip a San Siro

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 31-05-2012)

CREMONA - Gli investigatori lo chiamano "il patto di San Siro". E´ un summit

tra i tre gruppi più potenti del calcio scommesse europeo (i singaporegni di

Den, gli Zingari di Ilievski e gli ungheresi di Zoltan Kenesi) che si è tenuto

nei salottini della tribuna vip dello stadio Meazza durante Inter-Barcellona,

semifinale di Champions League di due stagioni fa. A ricostruire l´incontro

c´è un informativa degli uomini nello Sco, poche paginette nelle quali i

migliori poliziotti italiani, tramite una rogatoria arrivata dai colleghi

ungheresi e una serie di intercettazioni, ricostruiscono la storia di

quell´incontro. Viene pianificato almeno quattro giorni prima della partita.

«Abbiamo un incontro là in Italia – spiega Lazar, uno degli ungheresi

arrestati da Cremona - viene con l´aereo quello di là, l´uomo dell´Asia.

Martedì dobbiamo essere a Milano. Ci ha invitato alla partita Inter-Barcellona

e li si faranno i conti. Dopo torniamo».

L´ungherese incontra così a San Siro Tan Seet e Ilievski: non è chiaro chi

procuri loro i biglietti (in un´intercettazione parlano di biglietti della

Federcalcio, in un´altra di un amico macedone, forse Pandev) certo è che i tre

si vedono allo stadio e riescono a vedere la partita da una posizione

privilegiata: «Eravamo di fronte al tunnel dei giocatori». L´Inter vince,

l´accordo è fatto: da quel momento in poi le tre associazioni che fino a quel

momento avevano lavorato sole (in realtà Zingari e Singapore erano già legati

da un filo) si scambieranno le informazioni in modo tale da essere più sicuri

dei risultati e giocare a colpo sicuro. Lecce-Lazio, ultima giornata di

campionato, sarà sicuramente una delle partite della cricca ma è anche

possibile che su Bari-Samp e Lazio-Genoa ci siano dei movimenti di denaro

comuni.

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ilCommento di FRANCO ARTURI (GaSport 31-05-2012)

LA CLASSIFICA DELLE VERGOGNE

LE SCHIFEZZE DEL CALCIOSCOMMESSE E LA CLASSIFICA DELLE VERGOGNE

Gigi Buffon ha usato la parola vergogna. Per la fuga di notizie. Noi, forse

ingenuamente, pensavamo che quel termine potesse essere meglio impiegato

per i giocatori che vendono e comprano le partite, per i dirigenti che fanno

lo stesso o sono ciechi, per i tifosi delinquenti che minacciano, picchiano e

inquinano. Poi, al quinto-sesto posto della classifica della vergogna ci si

possono anche inserire alcuni storici peccatucci di certi magistrati. Che però

non s'inventano le schifezze che sta producendo il mondo del calcio.

E così in poche ore una materia tanto magmatica e vischiosa, quella

della crisi di credibilità del mondo del pallone, ha avuto due punti

fermi dialettici da cui partire. Da una parte il no corale alle parole naif del

nostro presidente del Consiglio sulla chiusura punitiva di tutta la baracca

per due-tre anni, dall'altra la presa di distanza dalle purtroppo ripetute

uscite a vuoto del nostro capitano della nazionale: dal dopo Muntari, ai

«feriti e morti» dei pareggi di convenienza e ora all'attacco ai pm.

Non è poco considerando che il sentire condiviso della tribù del calcio

italiana è purtroppo molto ristretto.

In questo grande campo di calcio delimitato dal rifiuto delle ricette Monti e

Buffon, dovremmo ora cercare di disegnare le linee per giocare. Cioè di fare

un abbozzo di proposte, di stabilire un'agenda programmatica, di constatare se

e quanto la consapevolezza della crisi ha fatto strada in tutti noi.

Disgraziatamente continuiamo a sentire niente a riguardo nè da parte federale

e lega nè sul versante dei giocatori e tantomeno su quello dei dirigenti di

club. Proviamo allora in tutta modestia a buttare sul tavolo qualche elemento

di riflessione che sia anche spunto per un'operatività immediata.

Primo: siamo tutti d'accordo che nel calcio italiano, produttore di scandali

a getto continuo, esiste un'emergenza etica da affrontare? Cominciamo a

prenderne atto. E' di questo che si discute, non d'altro. La parte sana del

pubblico, che si misura in decine di milioni di appassionati, esige che i

valori e il fair play tornino al primo posto in ogni tipo di discussione e di

pianificazione futura. per troppo tempo non si è parlato di questo, ma di

soldi e di devastanti guerre di posizione fra fazioni.

Secondo: gli stadi. E' intollerabile che nel 2012 parte degli impianti siano

tabù per i tifosi civili e per lo Stato italiano. Le nostre curve devono

diventare ciò che sono in Germania, in Inghilterra, in Spagna. Questo

significa che le società devono troncare in modo definitivo i loro rapporti

con quella associazioni ultrà che sono contigue al mondo della violenza. Con

uno sforzo organizzativo-culturale da pianificare insieme a tutti. Badate

bene: parliamo degli stadi in uso qui e ora, non di quelli ipoteticamente da

costruire con una legge di cui si è ormai persa ogni traccia. Perché

diversamente ci prendiamo in giro.

Terzo: i contratti e i simboli. I club devono potersi rivalere,

contrattualmente, contro comportamenti illegali dei propri giocatori,

portandoli in tribunale per ottenerne risarcimenti adeguati. Questo deterrente,

unito ad un controllo del «territorio sportivo», è fondamentale. Come sarebbe

decisivo insistere, anche su un piano educativo con tutte quelle iniziative

tendenti a premiare comportamenti virtuosi e leali e a scoraggiare nel

contempo episodi di intolleranza.

Basterebbe questo per cominciare. Sempre che qualcuno voglia davvero

cominciare.

-------

Di Martino:

«Se ha qualcosa

da dirmi sono qui

io non lo convoco»

Il Procuratore: «La perquisizione di Conte seguendo le regole e non era anticipabile»

di FRANCESCO CENITI & LUIGI PERNA (GaSport 31-05-2012)

«No, l'inchiesta non finisce con questi arresti. Ogni volta che penso di

essere vicino al traguardo, poi non lo trovo più... È come se lo spostassero

in avanti. Prima o poi dovrò chiudere, seguire i problemi del calcio sta

paralizzando il resto del lavoro. Avremmo bisogno di rinforzi. Ma per ora

continueremo nelle indagini: gli spunti non mancano. Sono fin troppi: è come

cercare di svuotare il mare con un cucchiaino». Alle sette della sera di un

fine maggio afoso come solo la pianura padana sa «regalare», il procuratore

Roberto Di Martino si affaccia nel cortile del Tribunale. Ci sono decine di

giornalisti ad attenderlo e molte questioni aperte. E il pm non delude le

attese: in modo pacato, ma fermo, risponde alle «parole in libertà» di Buffon

e Conte e fa capire che nonostante i tanti calciatori mandati in galera siamo

distanti dal risolvere la questione scommesse. Per questo, andando anche oltre

quello detto tra virgolette dal procuratore, non è azzardato attendersi

ulteriori novità nelle prossime settimane. Nel frattempo, c'erano da mettere

un po' di puntini sulle «i». Così è stato.

Capitolo Buffon Il portiere ieri ha sbottato con i giornalisti al seguito

della Nazionale. «Una vergogna», ha tuonato riferendosi al fatto che i media

sanno le notizie prima degli interessati. Riassunto delle puntate precedenti:

Buffon la scorsa settimana si produce in una dichiarazione avventata riguardo

gli accordi in campo tra giocatori («Sono meglio due feriti che un morto»).

Frase che fa arrabbiare gli inquirenti («Non si rende conto che giustifica

comportamenti sbagliati?») tanto da ipotizzare una sua chiamata in Procura

per sentirlo come persona informata sui fatti. Circostanza registrata dai

giornali. Buffon non gradisce e attacca tutti. Di Martino compreso. E allora

arriva la replica: «Se quella di Buffon è un'opinione, magari non la condivido

ma non m'interessa. C'è libertà e si può criticare qualsiasi cosa,

magistratura compresa. Se invece si riferisce a una situazione specifica e

vuole rendermi edotto di qualcosa che riguarda l'inchiesta, si faccia avanti

tramite un avvocato: lo ascolterò volentieri. E comunque stia tranquillo: io

non lo convoco, turberebbe l'avvicinamento all'Europeo dell'Italia, per cui

farò il tifo».

Capitolo Conte Ancora più secca la replica ad Antonio Conte («Ho subito

una perquisizione, perché il pm non mi ha sentito prima?»). Ecco le parole di

Di Martino: «Ho parlato con i suoi avvocati e capisco la sua reazione, ma non si

può mandare un'informazione di garanzia avvisando l'indagato. La perquisizione

è stata fatta secondo le regole e non è anticipabile. Serve per cercare prove

importanti come è accaduto con Signori, quando gli abbiamo trovato gli appunti

riferiti a delle combine. Lui non conosce queste procedure e per questo si è

scandalizzato. In realtà siamo stati molto attenti: abbiamo anche aspettato la

fine del campionato prima di muoverci proprio per non turbare la situazione».

Parole definitive.

Criscito, Bonucci e Monti Sulla vicenda Criscito e Bonucci (entrambi indagati,

ma il secondo ancora non avvisato da Bari), il pm di Cremona ha spiegato:

«Non invado campi che non mi competono. Per me poteva andare all'Europeo

anche Criscito. Non c'erano divieti di espatrio. Come sapete, di Bonucci non

mi occupo più io. Poi spetta ad altri valutare se le due situazioni siano

diverse». Sull'idea del premier Monti di «fermare il calcio per 2-3 anni», Di

Martino ha un'opinione ben precisa: «Era una provocazione, va intesa come

tale. Non credo che il calcio si fermerà. Anche io continuo a guardare le

partite in tv. E resterò male se l'Italia non farà bene all'Europeo».

-------

GaSport 31-05-2012

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Gianello tentò combine

per Sampdoria-Napoli

L'ex portiere azzurro e Silvio Giusti accusati di frode sportiva

E la Procura di Venezia indaga su Portogruaro-Crotone

di MAURIZIO GALDI (GaSport 31-05-2012)

Due novità da Napoli: la prima è che d'ora in poi sarà la Procura federale

della Figc a occuparsi di Sampdoria-Napoli del 16 maggio 2010; la seconda è

che c'è una nuova Procura della Repubblica a lavorare sul calcioscommesse,

quella di Venezia alla quale il pool «reati da stadio» ha inviato gli atti

relativi a Portogruaro-Crotone.

L'inchiesta La Procura di Napoli ha chiuso le indagini, atto propedeutico

a una possibile richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Matteo Gianello

(ex portiere di riserva del Napoli) e di Silvio Giusti (ex calciatore del

Chievo). L'accusa è pesante: associazione per delinquere finalizzata alla

frode sportiva per il tentativo di illecito in Sampdoria-Napoli. Articolato

l'atto della Procura napoletana che mette in luce i rapporti tra Gianello e

Giusti e, soprattutto spiega come il reato di frode sportiva sia un reato «di

pericolo» che non necessita della riuscita del tentativo di illecito.

Da cosa nasce l'accusa Tutto si basa soprattutto sulle ammissioni che

lo stesso Matteo Gianello ha fatto davanti ai magistrati nell'interrogatorio del

15 giugno 2011. È lui a raccontare che su pressione di Giusti aveva offerto

soldi per perdere la partita con la Sampdoria, a Paolo Cannavaro e Gianluca

Grava. Entrambi i calciatori hanno negato questa circostanza. Ma la Procura

ricorda anche che l'inchiesta non è finita e il fatto che ci sia

l'associazione per delinquere contestata a due elementi lascia intendere che

probabilmente ci siano altre persone che potrebbero in seguito aggiungersi.

Archiviazione Per molte delle persone indagate in un primo momento, invece,

la posizione è stata archiviata in quanto non sono emerse delle «rilevanze

penali». Napoli-Parma del 10 aprile 2010, Lecce-Napoli del 8 maggio 2011,

Brescia-Catania della stessa data, Napoli-Inter del 15 maggio, Catania-Roma

della stessa giornata e Palermo-Chievo del 22 maggio, sono le partite

esaminate dai magistrati che comunque hanno trasmesso gli atti al Procuratore

federale Stefano Palazzi che dovrà verificare l'esistenza di «rilevanze

sportive».

Il Napoli rischia? Dal solo esame dei fatti è indiscutibile che Gianello

ammette il tentativo di illecito e Gianello all'epoca era un tesserato del

Napoli. Questo dovrebbe comunque portare il Napoli a un deferimento per

responsabilità oggettiva. Da valutare la posizione di Cannavaro e Grava

relativamente alla circostanza di una omessa denuncia. Per quanto riguarda

la possibilità che il Napoli venga escluso dalla Europa League, le ipotesi

sono diverse. Per l'Uefa il coinvolgimento diretto o indiretto in frodi sportive

comporta l'esclusione dalle Coppe europee, ma il legale del Napoli, Mattia

Grassani, segnala come l'articolo 50 dello statuto Uefa stabilisce che è

necessaria una «valutazione» della questione. Questa sarà la battaglia del

Napoli: Gianello per la squadra non contava nulla.

Modificato da Ghost Dog

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IL BERLINER ZEITUNG

Tedeschi ironici: «Inquisitore chiacchierone»

«Troppe interviste, Di Martino ricerca la notorietà e continua a farlo in modo disinvolto»

di ENZO PIERGIANNI (CorSport 31-05-2012)

BERLINO - «L’inquisitore chiacchierone» è il titolo del commento dedicato ieri

dal Berliner Zeitung al procuratore della Repubblica di Cremona, Roberto Di

Martino. In prima pagina, nello spazio di solito riservato agli editoriali

politici, il quotidiano berlinese critica aspramente il protagonismo del

magistrato cremonese nell’inchiesta sul calcioscommesse per la fuga di notizie

dal suo ufficio giudiziario e per le continue interviste che rilascia ormai da

mesi a tutti i giornali. Secondo il giornale, la città di Cremona che una

volta era famosa per i violini di Stradivari, adesso deve la sua celebrità

alle inchieste e al volto di Di Martino «ormai noto quasi quanto quello delle

stelle del pallone indagate» . In Germania, come in gran parte d’Europa, i

magistrati non appaiono quasi mai. Il fatto che in Italia molti non siano

spaventati dalla notorietà, ma anzi la alimentino, è una cosa che fuori dai

nostri confini sorprende.

«Di Martino sembra godersi l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. -

fa notare il giornale - E continua ad assicurarsela per il modo disinvolto con

cui tratta la materia». E qui il Berliner Zeitung sottolinea che Di Martino,

in una precedente fase dell’inchiesta, aveva parlato di «sensazioni»

accusatorie, prive di indizi, e poi dovette scusarsi «per avere manifestato

pubblicamente un vago sospetto».

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Italians di BEPPE SEVERGNINI (CorSera 31-05-2012)

Gioco da immaturi

Il prezzo da pagare

Il professor Mario Monti, annusati i miasmi che salgono dal pallone, sogna di

chiudere la rotonda baracca per due-tre anni. Castigo meritato, per carità. Ma

non condurrebbe alla riabilitazione: semmai al lutto di metà della nazione e

al giubilo dell'altra metà. Molti calciatori sono ragazzi con molti soldi e

poca testa. O meglio, ce l'hanno, ma sono convinti che serva per colpire su

calcio d'angolo. Non credo sia avvenuta una trasformazione genetica, e non

esistano più i Mazzola e i Rivera, i Bicicli e i Lodetti (neppure i Baggio e i

Bergomi). Pochi, ma ci sono ancora. Di solito vengono aiutati da una buona

famiglia, un buon carattere e una buona moglie (come Zanetti, Cordoba, Del

Piero e Costacurta).

I problemi non sono questi giocatori; sono gli altri. I deboli, gli immaturi,

gli arroganti, gli sciocchi e le teste matte. Alcuni, particolarmente dotati,

riescono a riunire tutte queste caratteristiche: e prima o poi si ritrovano i

carabinieri alla porta. Non è facile avere vent'anni con troppi soldi, e

vivere circondati da pseudo-amici e giovani sirene in tanga. Trenta presenze

in serie A costituiscono un passaporto sociale: il medico, il commercialista e

il ristoratore avranno occhi diversi. Sguardi e riguardi diventano un droga,

alla quale diventa difficile rinunciare (ecco il motivo degli addii sempre

rimandati, delle depressioni quando il ritiro arriva).

Ho scritto di calcio per dieci anni (2000-2010): pochi per considerarmi

competente, abbastanza da capire con chi abbiamo a che fare. Parlando con

Mourinho, Prandelli e Zaccheroni — tre allenatori pensanti — ho capito quanto

fossero consapevoli del loro ruolo di educatori, spesso alle prese con ragazzi

immaturi. Ragazzi semplici, talvolta ragazzi deboli che nascondono dietro il

machismo dei tacchetti la loro insicurezza. Mourinho mi disse d'aver appena

espulso dall'allenamento un giovanotto: aveva mancato di rispetto a un collega

più esperto. Lo raccontava senza entusiasmo, consapevole che non sarebbe

servito a nulla (così è stato).

Noi tifosi amiamo i calciatori. Sono i veicoli dei nostri sogni, gli

strumenti per i ritorni d'infanzia: anche volendo, non possiamo aiutarli. La

Federazione ci prova, ma viene tentata dal piacere proibito della rimozione

(finché un giudice ordinario non costringe a ricorrere). Solo le società hanno

gli strumenti per educare i calciatori. Chiedano ai tesserati di sottoscrivere

regole ferree e spieghino le conseguenze, per chi sgarra: stipendio trattenuto,

rescissione del contratto, causa per danni. Grandi onori, grandi oneri: così

funziona il mondo. Ogni professionista, quando firma un contratto, s'impegna

a fornire una prestazione. Un giornalista finanziario non può giocare in Borsa

sui titoli di cui scrive; un chirurgo non si presenta ubriaco in ospedale; un

pilota d'aereo non va al lavoro dopo una notte in bianco. Un calciatore che

scommette, bazzica pregiudicati, tira tardi e butta giù di tutto non è solo

stupido: è inadempiente. A proposito: è anni che non beccano più nessuno

all'antidoping. O i controllati sono diventati tutti bravi, o i controllori

sono impotenti. Voi che dite?

-------

LA SORPRESA DI UN MONDO CHE SI CREDEVA IMPUNITO

di MARIO SCONCERTI (CorSera 31-05-2012)

Temo che Buffon abbia solo anticipato quello che succederà nelle prossime

settimane, via via che il timore della gente per la sorte delle proprie

squadre porterà a cercare un altro colpevole. E i media in questo senso sono

sempre i primi sospettati perché la colpa avviene tramite loro, sono loro che

la raccontano. È sempre successo così. Si parte da un'infinita voglia di

ripulire tutto e si arriva sempre al piacere di dare la colpa al mondo,

comunque a un altro. È successo con Moggi, succederà con le scommesse,

impossibile trovare un'evidenza che tenga. C'è però qualcosa di più profondo

nelle dichiarazioni di Buffon. Sono convinto siano sincere, solo poco logiche.

Il problema non è perché i giornalisti sappiano presto le cose, ma se le cose

sono vere. Il problema sarebbe se raccontassero cose sbagliate. Saperlo prima

degli altri è il loro mestiere. Buffon fa il mestiere che fa perché è il

migliore, nessuno gliene ha mai fatto una colpa. In sostanza, Buffon dovrebbe

seriamente capire che il peccato sta in chi lo commette, non in chi lo

racconta.

C'è nella sua reazione una gran parte di sdegno autentico, ma anche un angolo

di disabitudine all'accusa. Senza volerlo Buffon tocca la vera debolezza del

calcio: una profonda coscienza di impunità. Buffon accetta di essere uomo

pubblico, tutti i calciatori lo fanno volentieri, ma hanno difficoltà davanti

ai problemi dell'essere pubblico. Sono di solito protetti dalla religione che

rappresentano, dalla loro gioventù ricca e diversa. Accettano la luce del

grande calcio, ma non il peso. Pensano che raccontare un mondo significhi

automaticamente farne parte, spartirne i vantaggi. Questo è il vero punto. Le

scommesse, come Calciopoli, interrompono la complicità tra il calcio e i

media. E la realtà suscita stupore. «Voi sapete tutto prima» dice Buffon. È

chiaro che non è una accusa seria, ma la denuncia di un patto silenzioso che

il calcio vede improvvisamente interrotto. Forse non ha torto nemmeno Buffon,

forse spesso i media sono davvero complici. Sta di fatto che questo è il

momento sbagliato per avere dubbi. Tocca al calcio curare se stesso. È il suo

male il vero spettacolo, non quello che finisce in pagina.

-------

Moratti al premier

«I soldi pubblici? Mai visti nel calcio»

di FABIO MONTI (CorSera 31-05-2012)

MILANO — Un rispettoso e composto dissenso. Massimo Moratti ha ascoltato le

parole pronunciate martedì dal presidente del Consiglio, Mario Monti e non si

è trovato d'accordo (e non perché il premier sia milanista). Non tanto

sull'idea di uno stop per 2 o 3 anni del calcio, che non era «né una proposta

e men che meno una proposta che viene dal governo, ma un desiderio che qualche

volta io sento dentro di me». Quanto su un'altra osservazione: «Trovo

inammissibile, e me ne sono occupato quando ero commissario europeo, che si

usino soldi dei contribuenti per ripianare società di calcio».

Moratti è rimasto stupito da queste parole, pur ricordando il provvedimento

adottato otto anni fa sugli ammortamenti dei giocatori: «È sicuro che il

calcio italiano dovrebbe e potrebbe offrire un'immagine di sé migliore, e lo

dico non soltanto per quello che è accaduto nel 2006 con Calciopoli o con

quello che sta emergendo adesso. In generale, si potrebbe fare di più e lo si

potrebbe fare meglio, pensando anche che ci guardano all'estero. Detto questo,

io sono presidente dell'Inter dal '95 e in tutti questi anni di soldi dei

contribuenti per sistemare il bilancio non ne ho mai visti. E con me tanti

altri presidenti. È difficile pensare che si possa guadagnare facendo calcio.

Di certo non è il mio caso. Se ho una colpa, e riconosco che è una colpa molto

grave, perché ripetuta negli anni, è di avere investito un sacco di soldi

nell'Inter e di essere pronto a investirne altri ancora per il futuro. Avrò

fatto spese eccessive e mi sarò fatto prendere dalla passione più che da

quella che dovrebbe essere una sana gestione del club. Ma certo fra tante

colpe non ho quella di avere sperperato i soldi dei contribuenti, che non ho

mai preso. Mai visti, neanche per sbaglio. In ogni caso, e questo vale anche

per il passato, è sempre stato il calcio a dare soldi allo Stato e non

viceversa. La mia non vuole essere una polemica, ci mancherebbe, però il

flusso di denaro non è mai stato dallo Stato alle società di calcio, ma sempre

dalle società allo Stato. Attraverso le imposte sui contratti, i contributi

previdenziali, il pagamento degli affitti degli stadi di proprietà dei comuni

e tutto il resto. Senza contare il cosiddetto indotto, perché comunque il

calcio di vertice crea posti di lavoro, attività collaterali, movimento di

tifosi che seguono le partite e tutto il resto. Ma non devo essere certo io a

sottolineare queste cose».

Il dissenso di Moratti si spiega anche pensando agli 844 milioni di euro con

il quale il presidente ha sempre ripianato in prima persona le perdite del

club nerazzurro da quando ne è diventato azionista di maggioranza fra febbraio

e aprile '95, con il solo scopo di creare una squadra vincente, passando anche

attraverso percorsi tortuosi. Ma anche investimenti, per ridare forza

competitiva alla squadra. Non una polemica, ma una semplice precisazione,

consapevole del fatto che il premier è il primo a sapere come gira il mondo.

Anche quello del calcio.

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LA STAMPA 31-05-2012

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Il circuito mediatico-pallonaro

Pm protagonisti e giornali non rovinino un’inchiesta ancora lunga

Editoriale de IL FOGLIO 31-05-2012

Il circuito mediatico-giudiziario attorno alla vicenda del calcioscommesse è

partito, e come spesso succede in Italia sembra già destinato a far finire in

fuffa le inchieste che tra Cremona, Napoli e Bari avrebbero svelato una rete

internazionale di criminali dediti a truccare le partite dei campionati di

calcio italiani per poi scommetterci sopra, il tutto con l’aiuto (pagato) di

diversi calciatori di serie A, B e campionati minori. Che nelle operazioni di

lunedì mattina ci fosse molto spettacolo è indubbio; che ci sia stata la

ricerca di nomi altisonanti per far parlare dell’inchiesta, pure. Così come è

difficile dare torto al portiere della Nazionale, Gigi Buffon, che ieri ha

denunciato la stranezza della presenza dei giornalisti (evidentemente

avvertiti per tempo) durante il blitz a Coverciano dopo il quale il difensore

Criscito, indagato, è stato costretto a lasciare gli Azzurri (“Ci sono delle

operazioni giudiziarie, e voi lo sapete tre o quattro mesi prima. Uno parla

con i pm e voi sapete il contenuto dieci minuti dopo: è una vergogna. Fuori

da Coverciano c’erano le telecamere dalle 6 del mattino”, ha detto). Lo

stesso Criscito che ieri è stato praticamente scagionato dagli stessi giornali

che il giorno prima lo avevano mostrificato per le foto con i capi ultras del

Genoa fuori da un ristorante (forse non sapeva davvero chi erano, hanno scritto).

La giostra è partita, e c’è il rischio di rovinare tutto come al solito, facendo

giustizia sommaria, arresti in favore di telecamera più che di verità, e dando

in pasto a stampa e televisioni intercettazioni e documenti riservati.

Allo stesso tempo però sarebbe ridicolo cercare di nascondere il pallone

dietro un filo d’erba, gridare al complotto manettaro senza rendersi conto che

comunque un sistema in cui diversi giocatori (per loro stessa ammissione, non

dei pm) aggiustavano i risultati delle partite ricevendo denaro deve essere

cambiato. Lo abbiamo già scritto, la soluzione non saranno i processi

mediatici, né gli arresti esemplari a capocchia. Servirebbero tempi lunghi,

poca pubblicità, nuovi vertici in Federazione e un controllo immediato sulle

partite (assurdo che si indaghi oggi su match di due anni fa: in Francia

l’indagine su Lens-Istres 1-0, probabile combine dell’11 maggio, è partita

subito, appena si sono registrate delle puntate anomale). Difficile, ma

auspicabile.

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Un Paese a sua insaputa

di MARCO TRAVAGLIO (il Fatto Quotidiano 31-05-2012)

Perché un terremoto del quinto-sesto grado Richter, così come un paio di

giorni di pioggia, fa strage solo in Italia (oltre, si capisce, al resto del

Terzo mondo)? La risposta l’ha data a sua insaputa il neopresidente di

Confindustria Giorgio Squinzi, quando ha detto che i capannoni industriali

sbriciolati dalle scosse del 20 e del 29 maggio erano “costruiti a regola

d’arte”. La questione, il vero spread che separa l’Italia dal mondo normale, è

tutto qui: nel concetto italiota di “regola d’arte”. La nostra regola d’arte è

quella che indusse la ThyssenKrupp a non ammodernare l’impianto antincendio

nella fabbrica di Torino perché, di lì a un anno, l’attività sarebbe stata

trasferita a Terni. Risultato: sette operai bruciati vivi. Mai la ThyssenKrupp

si sarebbe permessa di risparmiare sulla sicurezza nei suoi stabilimenti in

Germania, dove le tutele dei lavoratori sono all’avanguardia nel mondo. In

Italia invece si può. Perché? Perché nessuno controlla o perché il controllore

è corrotto dai controllati. Oltre all’avidità dei singoli, purtroppo

ineliminabile dalla natura umana, il comune denominatore di tutti gli scandali

e quasi tutte le tragedie d’Italia è questo, tutt’altro che ineluttabile:

niente controlli. Salvo quelli della magistratura, che però arriva

necessariamente dopo: a funerali avvenuti. Dal naufragio della Costa Concordia

al crollo della casa dello studente a L’Aquila, dalle varie Calciopoli ai

saccheggi miliardari della sanità pugliese, siciliana e lombarda, dal crac San

Raffaele ai furti con scasso dei Lusi e dei Belsito, dalle cricche delle

grandi opere e della Protezione civile alle scalate bancarie, dalla

spoliazione di Finmeccanica alle ruberie del caso Penati, giù giù fino alle

casse svuotate di Bpm e Mps, alle piaghe ataviche dell’evasione, degli sprechi,

delle mafie e della corruzione, quel che emerge è un paese allergico ai

controlli. Che, se ci fossero, salverebbero tante vite e tanto denaro,

pubblico e privato. Ma la nostra regola d’arte è quella di allargare ogni

volta le braccia dinanzi alla “tragica fatalità” o alle “mele marce”, per dare

un senso di inevitabilità a quel che evitabilissimamente accade. Mancano i

controlli a monte perché tutti si affidano alle sentenze a valle. E poi,

quando arrivano le sentenze a valle, non valgono neppure quelle. Formigoni,

mantenuto dagli amici faccendieri Daccò e Simone che hanno scippato 70 milioni

alla fondazione Maugeri, ente privato ma farcito di fondi pubblici dalla

Regione di Formigoni, non si dimette perché “non sono indagato”. E perché,

anche se lo fosse cambierebbe qualcosa? Qui non tolgono il disturbo né gli

indagati, né i rinviati a giudizio, né i condannati. La giustizia sportiva ha

definitivamente condannato e radiato Moggi dal mondo del calcio per i suoi

illeciti sportivi, revocando alla sua Juventus due scudetti vinti con la frode,

poi lo stesso Moggi è stato pure condannato dalla giustizia penale (a Roma in

appello e a Napoli in tribunale). Eppure il presidente Andrea Agnelli seguita

a elogiarlo come “grande manager” e rivendicare i due scudetti vinti col

trucco. E ora difende Conte, “solo indagato”. Perché, se fosse condannato come

Moggi cambierebbe qualcosa? Battista sul Corriere minimizza il

calcioscommesse: “Un pugno di partite sporcate... se qualcuno imbroglia, non

sono tutti imbroglioni”, “non è vero che così fan tutti”, ergo bisogna “essere

severi con chi ha violato un codice penale e un codice morale, ma non

dissolvere le differenze”. Bene bravo bis. Peccato che il 7 maggio, quando la

Juve ha vinto il 28° scudetto, Battista abbia scritto che è il 30° (“tre

stelle, meritate e vinte sul campo, cucite sulla ma glia”) e chissenefrega

delle sentenze (“nessuno ha mai pensato che una storia gloriosa fosse una

storia criminale”), frutto di “processi sommari” perché c’entrava anche

l’Inter. Dunque così fan tutti. Ricapitolando: niente controlli prima, niente

sentenze dopo. È il Paese dell’Insaputa. Arrivederci al prossimo funerale.

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SE LA PRENDE CON STAMPA E GIUDICI

CHE FIGURA DA BUFFON

Il pm Di Martino: “Se ha cose utili da dire, venga a Cremona”

di LUCA DE CAROLIS (il Fatto Quotidiano 31-05-2012)

Ci sono delle operazioni giudiziarie, e voi lo sapete tre o quattro mesi

prima. Uno parla con i pm e voi sapete il contenuto dieci minuti dopo: è una

vergogna”. No, non l’ha detto un ex premier che adora il burlesque. A tuonare

dal ritiro azzurro di Coverciano è stato il numero 1 della Juventus Gianluigi

Buffon, portiere e, soprattutto, capitano della Nazionale. Furente, con i

magistrati che indagano sulle scommesse. Più o meno come il suo allenatore in

bianconero, Antonio Conte: quello che “mi aspettavo che il pm di Cremona mi

convocasse prima di adottare certi provvedimenti (la perquisizione, ndr)”.

Buffon invece è irato, forse, per aver letto che la procura di Cremona voleva

convocarlo. Magari per capire il senso di questa sua frase: “Chi conosce il

calcio e lo vive giorno dopo giorno, sa cosa succede. Se ogni tanto qualcuno

fa qualche conto è anche giustificato. In molti casi, come si dice, ‘meglio

due feriti che un morto’”. Proverbio scivoloso, che a pensare male evoca

l’immagine di pareggi alla carte. Ieri sera il pm di Cremona, Roberto Di

Martino, ha precisato: “Non è prevista la convocazione di Buffon”. Ma ieri

mattina il portiere era ancora appeso alle indiscrezioni. E ha alzato la voce:

“La vera vergogna è che se vado a fare un interrogatorio dal pm in Italia dopo

10 minuti tutti sanno quello che ho detto. Fuori da Coverciano c’erano le

telecamere dalle 6 del mattino. Queste cose lasciano interdetti”. Insomma,

mentre l’Italia apprende di giocatori comprati a tariffa, di incontri tra

atleti e vivaci slavi in ristoranti chiusi e trattative pure nei tunnel degli

stadi, Buffon s’indigna contro procure e giornalisti. Per carità, c’è anche la

premessa rassicurante: “Ho piena fiducia nei pm che possono fare piena

giustizia. Perché non c’è nulla di peggio che giocare o speculare sulla vita

delle persone”. Poi però sono bordate: “Sarò ascoltato dai pm? Quello me lo

dovete dire voi, i diretti interessati non sanno mai niente e lo sapete sempre

voi prima…”. Vabbè, i tempi: ma la frase sui feriti non era evitabile? Buffon

mostra il petto: “Il mondo non è né ipocrita né moralista, il mondo sta

andando abbastanza male. Ma io credo che la prima cosa da preservare sia

sempre la democrazia e la libertà di pensiero, per cui uno di conseguenza

accetta le critiche e quello che ne scaturisce, ma nella vita bisogna anche

prendersi delle responsabilità e io me le sono sempre prese”. Si macera, il

portiere: “Non posso dire quello che realmente il mio cuore e la mia mente

pensano. Ho avuto l’ennesima conferma sul fatto che alla fine le persone

perbene, che in merito a certe situazioni hanno la coscienza a posto e non

hanno scheletri nell’armadio, non possono dire il proprio pensiero”.

C’È TANTA malafede, in giro. E Buffon ne ha pure la prova: “Dopo l’errore in

Juventus-Lecce, mi arrivò un sms su cui c’e ra scritto: ‘Sul web dicono che

hai scommesso’. Me lo ha mandato un giornalista. Se sei così tarato da pensare

male, davvero non so cosa dire”. Dopodiché, calcia via lo stop al campionato

evocato da Monti (“Tanti rimarrebbero senza lavoro”), sposa la linea De Rossi

(“Ora è peggio del 2006”) e invoca il pugno duro: “Se non hai dentro l’onestà,

l’unica soluzione sono pene esemplari e severe ”. Questo è Buffon. Con lui, il

portavoce del Pdl Daniele Capezzone: “Buffon ha ricordato che esiste il

principio costituzionale della presunzione di innocenza, ha detto una cosa

garantista e cora ggiosa”. In serata, le parole di Di Martino: “Non è prevista

da parte mia la convocazione di Buffon, sarebbe superfluo. Se Buffon è a

conoscenza di fatti o, come dice lui, di morti o feriti, prenda l’iniziativa e

venga a dirmi quello che sa. Diversamente non vedo motivo per convocarlo”.

Quanto a Conte, “capisco il suo sfogo, ma non si poteva agire diversamente.

Non si può mandare un’informazione di garanzia e poi dar seguito ad una

perquisizione, lui queste cose non le sa e lo capisco”.

-------

IL PEGGIO DELLA DIRETTA

Silenzio, parla Berlusconte

di NANNI DELBECCHI (il Fatto Quotidiano 31-05-2012)

Non temo il Berlusconi in sé, temo il Berlusconi in me”. La profetica battuta

di Giorgio Gaber affiorava alla memoria nella riproposta da parte di Sky di

sette minuti televisivi che sembravano girati proprio per essere trasmessi

all'infinito; quelli utilizzati da Antonio Conte per rispondere alla sua

iscrizione nel registro degli indagati dell'inchiesta sulle scommesse nel

calcio. Alla notizia dell’avviso di garanzia l'allenatore della Juventus non è

rimasto con le mani in mano, ma ha subito convocato una conferenza stampa per

annunciare ai media “chi è veramente Antonio Conte”. Anche se parlare di

conferenza stampa è un po’ eccessivo, considerato che gli attoniti giornalisti

non hanno potuto interloquire in alcun modo nel suo monologo, ancora una volta

Conte ha mostrato la sua natura di guerriero indomito, che giammai si tira

indietro anche quando è costretto a maneggiare armi per cui non è granché

tagliato, come le parole.

Già qui si notavano diversi punti di contatto con le uscite televisive di

colui che fino a qualche mese fa era il nostro Presidente del Consiglio;

analogie che hanno sfiorato il plagio quando il tecnico juventino, senza

spendere una parola per rispondere alle circostanze contestategli, ha invece

accusato a sua volta il magistrato: “Mi sarei aspettato che mi avesse sentito

prima di adottare certi provvedimenti”. In effetti, conse - cutio temporum a

parte, il comportamento del giudice è stato poco carino. Non dico una

partecipazione su carta intestata, o un invito a cena; ma almeno un colpo di

telefono o un sms poteva mandarlo. Così, giusto per non prenderti del tutto

alla sprovvista, che poi ti arriva la perquisizione e ti fai trovare con tutta

la casa in disordine. Quel giudice avrebbe dovuto prendere esempio proprio da

Conte che, anche se ai giornalisti non ha fatto aprire bocca, li ha invitati

lo stesso alla conferenza stampa, evidentemente per un puro gesto di cortesia.

Insomma, ferma restando la presunzione d'innocenza e augurando a Conte un

proscioglimento in tempi brevi, questa conferenza stampa ripresa dalle

telecamere aveva un modello ben preciso: zero contraddittorio, zero risposte

nel merito; ma in compenso, attacco a testa bassa alla magistratura e

sperticato elogio di se stessi (“Antonio Conte è uno che vuole vincere

sempre... Abbiamo vinto il campionato con tre settimane d’anticipo.. . ”). Più

che da Conte, un’uscita da Berlusconte. E apertamente “berluscontiana” è stata

la seconda parte della conferenza stampa: un secondo monologo, questa volta

del presidente della Juventus Andrea Agnelli, in cui si ribadiva fiducia

nell'allenatore e certezza della sua estraneità ai fatti contestati. Più o

meno quel che per quindici anni abbiano sentito dire a proposito di B. , quasi

a cadenza quotidiana, ai Bonaiuti, ai Cicchitto, ai Capezzone e a chi altri

volete voi. La sola differenza è che stavolta non si può parlare di toghe

rosse, casomai di toghe giallorosse, o al massimo nerazzurre. Ma questi sono

dettagli cromatici del tutto secondari, mi dicevo mentre la conferenza stampa

ripassava in video per l'ennesima volta. E a mia volta mi ripetevo che

vent'anni di lavaggio del cervello mediatico non passano invano, e dunque non

dovevo temere tanto il Berlusconte in sé, ma il Berlusconte in me.

Gli associati a delinquere mediatico giudiziari sul piede di guerra.

Come al solito in maniera truffaldina e senza riportare i fatti per quello che sono.

Chi non si genuflette o reagisce alla cupola di questa mafia viene killerato a modo loro tra fango e bugie.

Viene killerato Conte. Viene killerato Agnelli. Viene killerato, manco a dirlo, Buffon.

Cosa bisogna fare per non esserlo? Nulla, vieni killerato lo stesso e allora hai da decidere se rivendicare la tua libertà o stare in silenzio.

Questa è mafia. Quello che leggete sui giornali è mafia.

E' una mafia nata negli ultimi 30 anni, moltiplicatasi con Internet ma grazie anche al quale c'è la possibilità per le persone libere di esprimersi.

E' una mafia, ovvero un sistema di potere, necrotica e che distrugge e stritola gli individui.

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Gli associati a delinquere mediatico giudiziari sul piede di guerra.

Come al solito in maniera truffaldina e senza riportare i fatti per quello che sono.

Chi non si genuflette o reagisce alla cupola di questa mafia viene killerato a modo loro tra fango e bugie.

Viene killerato Conte. Viene killerato Agnelli. Viene killerato, manco a dirlo, Buffon.

Cosa bisogna fare per non esserlo? Nulla, vieni killerato lo stesso e allora hai da decidere se rivendicare la tua libertà o stare in silenzio.

Questa è mafia. Quello che leggete sui giornali è mafia.

E' una mafia nata negli ultimi 30 anni, moltiplicatasi con Internet ma grazie anche al quale c'è la possibilità per le persone libere di esprimersi.

E' una mafia, ovvero un sistema di potere, necrotica e che distrugge e stritola gli individui.

Visto che tripletta di fatti?!?

E poi è incredibile come RCS (sia Gazza che Corsera) non riveli per niente il

nome di Pandev come facilitatore per l'incontro di malfattori-scommettitori a

San Siro (pur parlandone dettagliatamente) mentre per Repubblica forse è

Pandev quella persona. E poi sbattono mostri immaginari in prima pagina.

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ndr. Questo tipo per me è da denuncia (e non dico altro, perché anche una compilation di legnate non ci starebbe male)

*********************************************************

CHI È ANTONIO CONTE, DAL LECCE AL CALCIOSCOMMESSE

Enrico Turcato - GQ.com ,31 mag 2012

L'allenatore della Juventus ha vissuto una carriera di continui saliscendi. Ripercorriamola, dagli esordi nel Lecce all'ultima indagine sul calcioscommesse

Antonio Conte cammina sempre a testa alta. Nella sua lunga carriera, da giocatore prima e da allenatore poi, ha avuto grandi soddisfazioni, strepitose vittorie, ma anche alcune ombre, che non sembrano averne minato il carattere roccioso e lo sguardo da duro. Ripercorriamo, quindi, i momenti salienti della sua vita, dalle sue origini alle ultime notizie che lo vedono coinvolto nell'inchiesta della procura di Cremona sul caso calcioscommesse. Solo così possiamo capire chi è veramente Conte e perché nemmeno questo scandalo potrà abbatterlo.

UN SALENTINO MAI AMATO DAI LECCESI

Antonio Conte si sente salentino e ama la sua terra. I leccesi non la pensano così e sperano che resti il più distante possibile dalla loro terra. L'allenatore della Juve ha esordito nel calcio professionistico proprio nel Lecce, giocandoci sei stagioni tra il 1985 e il 1991. Negli anni successivi, però, secondo la tifoseria giallorossa si sarebbe reso colpevole di due gravissimi reati di lesa salentinità. Il primo da giocatore, nel 1997, quando la Juventus di Zidane superò a Torino il Lecce con un gol di Inzaghi e il raddoppio proprio di Conte, che non si limitò ad esultare, ma volle festeggiare l'evento con una lunghissima corsa a braccia alzate sotto la curva. Il secondo da allenatore, accettando la panchina del rivale storico, il Bari, allora in Serie B, e portandolo addirittura in Serie A nel 2009.

VITTORIE, DOPING E PERDITA DI CAPELLI

Nei 13 anni giocati in bianconero Conte ha vinto praticamente tutto, è riuscito a giocare con regolarità in Nazionale e, grazie al suo carisma, ha anche indossato più volte la fascia di capitano. Anche in questo caso, però, la gioia delle vittorie è stata parzialmente scalfita dall'ombra del doping, con il famoso caso riguardante il Dottor Agricola, nato peraltro dalle complicazioni di un infortunio subito proprio da Antonio. Alla fine nessuno di quella Juventus è risultato colpevole, ma i più maliziosi in quegli anni avevano notato una dubbia correlazione: più Conte correva, più la sua folta chioma si riduceva.

NdR La sentenza della Cassazione del 2007 ha stabilito in via definitiva che la Juventus, nelle persone di Antonio Giraudo, amministratore delegato, e Riccardo Agricola, responsabile staff medico, commise in modo continuato per 4 stagioni il reato di frode sportiva violando la legge 401 dell' 89. Colpevoli, dunque, tuttavia prescritti e quindi non condannabili.

Sul piano sportivo il procedimento disciplinare a suo tempo instaurato dalla Procura Antidoping nei confronti al dott. Agricola per la somministrazione di farmaci si concluse con l'assoluzione emessa in primo grado dalla Commissione Disciplinare l'11 novembre 2005. La decisione è stata poi confermata ulteriormente sia dalla Commissione di Appello Federale (CAF) il 5 ottobre 2006 che dal Giudice di Ultima Istanza in materia di doping (GUI) il 19 gennaio 2007.

DAL "PARRUCCHINO" AI PRIMI SHOW IN CONFERENZA STAMPA

A soli due anni dalla conclusione della sua carriera, per Conte iniziava già una nuova avventura. Il suo carattere forte e la sua personalità lo avevano portato a studiare da allenatore e così nel 2006 era arrivata la prima occasione nell'Arezzo (in cui militavano Floro Flores e un giovanissimo Ranocchia). Aveva raccolto la squadra toscana in fondo alla classifica e l'aveva quasi salvata dalla retrocessione. Era un Conte nuovo, quello in panchina. Non tanto per la grinta e il coraggio, ma per la folta chioma che era tornata, come in gioventù, quasi per magia. Ancora una volta gli sfottò erano riemersi puntuali a perseguitarlo: "Conte ha il parrucchino", gli cantavano. Lui, senza farsi intimidire, vinceva la Serie B due volte, con Bari e Siena, regalando anche show trapattoniani in conferenza stampa. Il suo urlo "Qua ci sono troppi gufi", nel febbraio 2011, tuona ancora per le vie di Siena, dove, nonostante gli ottimi risultati, Antonio era riuscito nell'ardua impresa di mettersi tutti contro. Colpa del carattere, a tratti irascibile. "Onesto e schietto", si è sempre giustificato lui.

DA EROE SCUDETTO A INDAGATO

Il resto è storia recentissima. Osannato al ritorno in bianconero, vincente al primo anno con il record d'imbattibilità, polemico, come sempre, nei confronti degli arbitri e degli altri allenatori (Allegri su tutti ndr). E mentre tutto sembrava scorrere come nel più incantevole dei sogni, ecco la nuova caduta. L'indagine sul calcioscommesse, grazie alle accuse di Carobbio, ha toccato anche l'aitante Antonio, che ha subito negato il possibile coinvolgimento nella vicenda. Gli è stato puntato subito il dito contro, ma Conte, come dice lui stesso, "ha la pelle dura" ed è pronto a reagire anche all'ennesimo episodio negativo. Lo dice la sua vita, la storia di un uomo abituato a camminare a testa alta, nonostante tutto, nonostante tutti.

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Io scommetto su Buffon

Roberto Beccantini - Eurosport - 31-05-2012

Sorrido: a 34 anni, Gigi Buffon ha scoperto quanto sia spettacolare la giustizia italiana quando vuole (o quando deve?). Fanno meno sorridere i pretesti che il calcio le ha offerto e continua a offrirle. Dicono che Buffon parli troppo: confermo. Dicono che esprima concetti brutali: contesto. Brutali, forse, per gli standard ipocriti del Paese in cui para. Quando disse che mai e poi mai avrebbe confessato a Tagliavento che il gol di Muntari era gol, molti ne censurarono lo sleale cinismo. Perfetto. Naturalmente, non uno che, dopo l'ultimo derby, abbia invitato Boateng a chiarire se era o non era rigore il suo tuffo «contro» Julio Cesar; e, vista la flagranza della simulazione, cose avrebbe detto se Rizzoli gli avesse chiesto lumi.

E poi l'altra frase, «meglio due feriti che un morto», indirizzata ai biscotti di fine stagione. La procura di Cremona non ha gradito. Gli armistizi ci sono sempre stati, e sempre ci saranno: basta che i «feriti» non ci scommettano su. Aver pensato che fosse sufficiente sbarazzarsi di Giraudo e Moggi per ripulire l'ambiente è stato un errore fatale. Da Abete in giù, la casta non è affatto casta; e anche per questo, il calcio italiano ha perso credibilità. Non sarà facile recuperare il terreno che ci separa dagli inglesi, né santi né eroi, ma capaci di reggere sul piano sportivo un finale «scandaloso» come quello tra Manchester City e Queens Park Rangers (da 1-2 a 3-2 in quattro minuti; e, soprattutto, a salvezza - degli ospiti - sancita).

Un solo distinguo. Capitan Buffon ce l'ha con le soffiate che consentono ai giornalisti di arrivare sempre primi sugli arresti e le perquisizioni. Vergogna. I giornalisti ce l'hanno con i metodi che consentono ai giocatori (non tutti, per fortuna) di arrivare sempre primi sui risultati (non pochi, per sfortuna). Vergogna. Uno a uno.

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Intrecci - Il campione di kick boxing e la Banda della Magliana

Un ex terrorista nel pericoloso mondo di Sculli

Francesco Ceniti e Luigi Perna - Gasport - 31-05-2012

Il genoano osservato speciale: un contatto porta al pregiudicato Carminati, "er cecato".

Il pericoloso mondo di Sculli, abitato da strani personaggi: capi ultrà, trafficanti, pregiudicati, campioni di kick boxing e persino affiliati alla Banda della Magliana. Il giocatore del Genoa, nipote del boss della ‘ndrangheta Giuseppe Morabito «Tiradritto», è molto più di un semplice osservato. Da mesi gli investigatori ne seguono le tracce, da quando le sue hanno incrociato quelle di gente poco raccomandabile. «Posso essere anche amico di Bin Laden, ma non vuol dire che faccio le sue stesse cose». Ecco, gli inquirenti la pensano esattamente all’opposto. Tanto che la posizione del centrocampista è come quella di «coloro che son sospesi». Certo, il gip Salvini non ha accolto la richiesta di arresto avanzata dal pm di Cremona. Pur riconoscendo «le numerose prove a carico riguardo la combine di Lazio-Genoa, bisogna approfondire i fatti legati alla contestazione dell’associazione per delinquere». Come dire: quello potrebbe essere un singolo episodio. Non sufficiente a motivare il carcere. Pericolo scampato per il giocatore? Anche no…

Le indagini In realtà sembrerebbe che le indagini non si siano limitate a quel solo caso. Sarebbe molto più corposo il fascicolo dedicato a Sculli e le cose più compromettenti sarebbero state adeguatamente omesse dall’ordinanza. Comprese alcune intercettazioni ancora più compromettenti rispetto alle «visite» tra il genoano e il pregiudicato bosniaco Altic. Un filone nato dalle indagini della Procura di Alessandria, che aveva fotografato il «summit» di Genova prima della gara con la Lazio. Sculli poi sarebbe stato seguito, forse anche dopo lo scandalo di Genoa-Siena, quando il giocatore "convinse gli ultrà a desistere dalla richiesta assurda di far togliere le maglie ai compagni. "Sculli è unodi noi" spiegarono il giorno dopo e capi della Curva. Forse anche di più. Proprio gli intrecci tra tifoseria, gare combinate ed elementi della criminalità potrebbero portare a sviluppi clamorosi.

Er cecato Un’informativa della polizia, ad esempio, svela le amicizie di Sculli. Lo scorso 19 marzo è nella capitale per Roma-Genoa, anche se non è stato convocato. Parla al telefono con un uomo «dal chiaro accento romano» che chiama all’inizio «fratellino» e di seguito «Giò». Lo invita a raggiungerlo all’hotel degli Aranci dove alloggia il Genoa. Il «fratellino» è Romano Massimo Papola, massaggiatore della Lazio, che si presenta davanti all’albergo a bordo di una Smart. Con lui c’è un’altra persona «uomo, di circa 40-45 anni, capelli rasati a zero». I due seguono il giocatore dentro l’albergo. La cosa curiosa, annotano i poliziotti, è questa: «il precedente 27 gennaio 2012 la stessa vettura era stata controllata a Roma con a bordo il noto estremista di destra legato ai Nuclei Armati Rivoluzionari e vicino agli ambienti della malavita organizzata Massimo Carminati, soprannominato “er cecato” per via di una evidente menomazione all’occhio sinistro (causata da un scontro a fuoco con i carabinieri nel 1981). Carminati si ricorda essere stato affilitato alla Banda della Magliana (era il Nero della fiction tv, ndr). Con lui quel giorno viaggiava un campione di kick boxing: Carlo De Giovanni. Lo stesso che secondo l'informativa entra con Sculli e Papola nell'albergo del Genoa. Davvero un mondo variegato, quello del giocatore. Un mondo sotto osservazione.

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LA SORPRESA DI UN MONDO CHE SI CREDEVA IMPUNITO

di MARIO SCONCERTI (CorSera 31-05-2012)

Temo che Buffon abbia solo anticipato quello che succederà nelle prossime

settimane, via via che il timore della gente per la sorte delle proprie

squadre porterà a cercare un altro colpevole. E i media in questo senso sono

sempre i primi sospettati perché la colpa avviene tramite loro, sono loro che

la raccontano. È sempre successo così. Si parte da un'infinita voglia di

ripulire tutto e si arriva sempre al piacere di dare la colpa al mondo,

comunque a un altro. È successo con Moggi, succederà con le scommesse,

impossibile trovare un'evidenza che tenga. C'è però qualcosa di più profondo

nelle dichiarazioni di Buffon. Sono convinto siano sincere, solo poco logiche.

Il problema non è perché i giornalisti sappiano presto le cose, ma se le cose

sono vere. Il problema sarebbe se raccontassero cose sbagliate. Saperlo prima

degli altri è il loro mestiere. Buffon fa il mestiere che fa perché è il

migliore, nessuno gliene ha mai fatto una colpa. In sostanza, Buffon dovrebbe

seriamente capire che il peccato sta in chi lo commette, non in chi lo

racconta.

C'è nella sua reazione una gran parte di sdegno autentico, ma anche un angolo

di disabitudine all'accusa. Senza volerlo Buffon tocca la vera debolezza del

calcio: una profonda coscienza di impunità. Buffon accetta di essere uomo

pubblico, tutti i calciatori lo fanno volentieri, ma hanno difficoltà davanti

ai problemi dell'essere pubblico. Sono di solito protetti dalla religione che

rappresentano, dalla loro gioventù ricca e diversa. Accettano la luce del

grande calcio, ma non il peso. Pensano che raccontare un mondo significhi

automaticamente farne parte, spartirne i vantaggi. Questo è il vero punto. Le

scommesse, come Calciopoli, interrompono la complicità tra il calcio e i

media. E la realtà suscita stupore. «Voi sapete tutto prima» dice Buffon. È

chiaro che non è una accusa seria, ma la denuncia di un patto silenzioso che

il calcio vede improvvisamente interrotto. Forse non ha torto nemmeno Buffon,

forse spesso i media sono davvero complici. Sta di fatto che questo è il

momento sbagliato per avere dubbi. Tocca al calcio curare se stesso. È il suo

male il vero spettacolo, non quello che finisce in pagina.

Abbi dubbi

di LUCA SOFRI dal blog Wittgenstein 31-05-2012

Mi meraviglia che uno esperto e che ne ha viste tante come Mario Sconcerti

snobbi paternalisticamente le critiche di Buffon alle distorsioni del sistema

mediatico-giudiziario con il superficiale e diversivo argomento “il problema è

un altro”, “il male è il reato non chi lo racconta”. Come se Buffon o qualcun

altro di noi pensasse che raccontare un reato sia male: si chiama straw man

argument, ne abbiamo parlato altre volte perché è abusatissimo nella

dialettica ingannevole corrente.

Invece un conto è rimproverare eventualmente Buffon perché trascura – e ne

avrebbe la responsabilità – gli imbrogli del calcio, altro è ritenere che

questi rendano lecita ogni scorrettezza e irregolarità nell’affrontarli: ci

siamo già passati e ci passiamo ogni giorno, in un paese che ha fatto della

deregulation da una parte, e del fine che giustifica i mezzi dall’altra, le

sue speculari e complementari armi di distruzione delle regole.

La frase “il peccato sta in chi lo commette, non in chi lo racconta” – usata

da Sconcerti – è un inganno: perché può capitare che anche chi racconta

commetta peccato (non a caso esistono delle regole anche per il giornalismo, e

scommetto che quando a Sconcerti viene imposto un embargo su una notizia o

chiesto che un’informazione resti riservata, lui giustamente obbedisce), e

soprattutto perché l’obiettivo primo di Buffon non sono i giornalisti. E un

giornalista che piuttosto difende i giornalisti rivela un certo egocentrismo

corporativo: invece è soprattutto colpa di qualcun altro, che dovrebbe avere

attenzioni e cautele molto maggiori di quelle dei giornalisti, se qualunque

sillaba pronunciata da Buffon in contesti giudiziari ufficiali e riservati, se

qualunque microtappa di un’inchiesta, viene tempestivamente esibita al mondo.

La connivenza procure-cronisti che mette in piazza per ragioni strumentali

informazioni precarie, parziali, affrettate, rischiose,

infamanti-e-poi-vediamo, a volte false, non l’ha inventata Buffon né la

invento io. Perché la memoria è più fresca, cito solo la “moldava” di

Schettino, protagonista di un romanzo di gossip diffuso ad arte da chi

accusava Schettino e raccolto con eccitazione erotica da gran parte dei media,

con rare eccezioni che lo hanno meritoriamente sbugiardato. Ma la storia e

l’attualità giudiziaria italiana sono fatte tutte di cose così.

E l’altra cosa di cui è fatta la storia italiana è l’idea che se c’è un male

è giusto affrontarlo con le sue stesse armi, i metodi spicci, il chiudere un

occhio, il non sottilizzare, il ritenere ugualmente buoni tutti quelli che lo

combattono, il negare ogni errore o violazione: è stata un’idea devastante

finora (nella storia, poi, è alla base delle scelleratezze totalitarie o

comuniste), e i risultati si vedono. Ha reso molti buoni simili ai cattivi, ha

reso i tutori delle regole poco credibili, ha fatto perdere consensi ai

partiti che avevano scritto cose giuste nei loro principi. Ha reso tutto

uguale, e legittimato i qualunquismi.

C’è un modo di dire assai efficace e che possiede una certa astronomica

bellezz,a che però è stato a sua volta fatto proprio dagli ingannatori

dialettici: avrebbe potuto starci nel commento di Sconcerti. È “quando il dito

indica la luna, lo stolto guarda il dito”. Ed è vero che bisogna saper

distinguere la luna dal dito e capire cosa è più e cosa è meno importante. Ma

bisognerebbe cominciare a introdurre nei nostri linguaggi una variante:

“quando il dito sudicio indica la luna, il saggio guarda la luna ma tiene

d’occhio anche il dito”.

“Questo è il momento sbagliato per avere dubbi”, scrive Sconcerti.

No. Non è mai momento sbagliato per avere dubbi. E una volta, erano i

giornalisti quelli che se li facevano venire e li esprimevano: non i portieri.

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Le opinioni

Il calcio italiano

travolto dagli scandali

Si può dire che il mondo del pallone è lo specchio della società

italiana. Nel Belpaese ogni giorno scoppia uno scandalo di

corruzione, quindi perché sorprendersi se accade nel calcio?

di JOHN FOOT (Internazionale 951 | 1 giugno 2012)

La mattina del 28 maggio gli agenti di polizia si sono presentati ai campi

d’allenamento di Coverciano per eseguire alcune perquisizioni e consegnare un

avviso di garanzia. Mentre un nuovo scandalo legato alle scommesse incombe

sulla nazionale italiana di calcio, forse vale la pena di ricordare cosa

successe nel 1980.

All’epoca, il calcio italiano fu sconvolto da un caso di partite truccate di

proporzioni ancora più grandi. In tutto il paese furono arrestati diversi

calciatori, alcuni addirittura negli spogliatoi. Tra i giocatori coinvolti

c’erano stelle di prima grandezza come l’attaccante Paolo Rossi. I colpevoli

furono banditi dal mondo del calcio per molti anni anche se, in mancanza di

leggi specifiche sulla frode sportiva, i processi della giustizia ordinaria si

conclusero nella maggior parte dei casi con l’assoluzione degli imputati. I

giornalisti e i tifosi rimasero sbigottiti e scandalizzati. Poi arrivò il

1982. Ai Mondiali di Spagna l’Italia conquistò la sua terza coppa del mondo e

Paolo Rossi, capocannoniere del torneo, diventò un eroe nazionale. Il 1980 fu

dimenticato in fretta.

Durante i vent’anni successivi sul calcio italiano si è riversato un fiume di

denaro. La serie A è diventata il campionato più ricco del mondo, in grado di

attirare i migliori talenti del pianeta come Maradona, Platini, Van Basten e

Gascoigne. Le squadre italiane hanno cominciato a vincere regolarmente la

Coppa dei campioni, poi diventata Champion’s League. Ma sotto la montagna di

soldi è restato il marcio.

L’amministrazione finanziaria lasciava spesso a desiderare (alcune squadre

come Napoli, Bologna e Fiorentina sono finite in bancarotta) e le manovre

sospette erano all’ordine del giorno. Gli stadi erano presi in ostaggio dalle

frange più violente del tifo, spesso collegate al crimine organizzato.

Nel frattempo, nei centri nevralgici del calcio italiano prendeva forma un

sistema di potere che avrebbe presto condizionato il calciomercato e gli

arbitri (e anche chi li sceglieva), e di conseguenza i risultati. Questo

sistema è crollato nell’estate del 2006 grazie al lavoro dei magistrati di

Napoli, le cui indagini hanno portato alla retrocessione del club più titolato

e con più tifosi d’Italia, la Juventus.

In seguito a questo scandalo, chiamato Calciopoli, il calcio italiano ha

provato a darsi una ripulita. Quasi tutti gli uomini di vertice sono stati

allontanati o si sono dimessi. (??? - ndt) Ma evidentemente non è bastato.

Oggi appare chiaro che il sistema-calcio non ha imparato nulla da quello che è

successo appena cinque anni fa. I magistrati di Cremona, Bari e Napoli (ancora)

hanno scoperto un giro di partite truccate di proporzioni enormi. Alcuni

giocatori hanno già confessato, e il numero di club coinvolti ha ormai

superato la ventina (tutto lascia pensare che aumenterà ancora). A quanto pare

ai giocatori sono state offerte forti somme di denaro per combinare il

risultato delle partite, e molti hanno accettato. Sotto inchiesta è finito

anche l’attuale allenatore della Juventus campione d’Italia, Antonio Conte,

per il periodo trascorso sulla panchina del Siena. Lo scandalo sta avendo un

pericoloso effetto destabilizzante sulla nazionale italiana che in questi

giorni si prepara per i campionati europei in Polonia e Ucraina. Il

destinatario dell’avviso di garanzia consegnato il 28 maggio, il difensore

Mimmo Criscito, è già stato eliminato dalla lista dei convocati della

nazionale.

Perché il calcio italiano finisce così spesso nei guai? Qualcuno potrebbe

dire che il mondo del pallone è semplicemente lo specchio di quello che

succede nella società italiana. In Italia non passa giorno senza che uno

scandalo di corruzione travolga la scena politica, quindi perché sorprendersi

se succede anche nel calcio? In un certo senso è un ragionamento corretto.

Basta pensare all’influenza funesta che hanno avuto sul calcio italiano uomini

senza scrupoli come Silvio Berlusconi, Luciano Moggi e Luciano Gaucci.

Tuttavia bisogna tenere presente un altro fattore decisivo: il potere e

l’indipendenza della magistratura italiana. Ai magistrati italiani in questi

casi è permesso effettuare intercettazioni telefoniche e avviare lunghe

indagini. Inoltre possono cercare autonomamente eventuali illeciti, ordinare

arresti e offrire sconti di pena a chi decide di confessare e collaborare con

la giustizia.

La polizia britannica, invece, ha un ruolo molto più marginale, ed è poco

interessata agli scandali di corruzione legati al calcio. Nel mondo

globalizzato in cui viviamo, le scommesse illegali sono un problema che

riguarda ogni disciplina sportiva, ed è così da anni (soprattutto nel cricket

ma anche in altri sport, tra cui il calcio).

L’Italia è un caso particolare, certo, ma sarebbe sbagliato pensare che il

calcio britannico è completamente pulito. E se l’unica differenza tra il

calcio italiano e quello britannico fosse che nel Regno Unito si può

imbrogliare senza paura di essere scoperti?

JOHN FOOT insegna storia contemporanea al dipartimento di

italiano dell’University college di Londra. Il suo ultimo libro uscito

in Italia è Pedalare! (Rizzoli 2011). Sul calcio ha pubblicato Calcio.

1898-2010. Storia dello sport che ha fatto l’Italia (Rizzoli 2010).

Ha scritto questo articolo per il Guardian di Londra.

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CALCIO

31/05/2012 - IL CASO

Il capo ultrà al telefono con Sculli:

"Nel 2006 ho mentito per Preziosi"

la stampa.it 31-05-2012

Genova - Sono incredibili le conversazioni registrate tra Sculli e un paio di capi ultras - fra cui Massimo Leopizzi, con diversi precedenti penali e legami nella destra estrema - il giorno dopo la partita Genoa-Siena del campionato appena concluso. Lo rivelaL'Espresso nel numero in edicola domani. Quel 22 aprile i giocatori vengono obbligati dai tifosi a interrompere il match e togliere le maglie. Fu graziato solo Sculli, a cui dalla curva dedicarono il coro «Sei uno di noi». E lui parlando con Leopizzi ringrazia per avergli «risparmiato questo affronto».

Ma le frequentazioni tra il leader degli spalti e l'attaccante calabrese sono antiche. Nel 2006 il capo ultrà venne fermato con due pistole mentre andava ad ammazzare la moglie. Quando uscì dai domiciliari, ci fu una grande festa alla quale parteciparono anche due titolari rossoblu: Milanetto e Sculli. Tanta confidenza lo spinge a sfogarsi nella telefonata del 23 aprile. Il bersaglio è il presidente Preziosi, che aveva chiesto l'arresto dei tifosi violenti dopo i fattacci di Marassi. «Ma come gli viene in mente di dire queste cose?», dice Leopizzi a Sculli: «Per lui in passato ho fatto anche falsa testimonianza quando sono stato sentito per la partita con il Venezia». Il discorso riguarda un'altra indagine sempre per accordi sottobanco. è possibile che Leopizzi millanti, ma Sculli non lo contesta. Adesso le conversazioni sono state acquisite dai pm di Genova.

Leopizzi ha avuto un ruolo importante nello scandalo di Genoa-Venezia del giugno 2005, quando il proprietario del Genoa comprò la partita per assicurarsi la promozione in serie A con 250 mila euro in contanti. Lo ricorda uno dei pubblici ministeri del processo penale per frode sportiva concluso dall'indulto. «Tra Preziosi e i capi ultras c'erano rapporti per lo meno strani», dice il magistrato Alberto Lari. «Nei loro incontri in un ristorante genovese, il presidente era invitato a staccare il telefonino per non essere intercettato e, a sua volta, veniva registrato dai tifosi che, poi, nei colloqui telefonici fra loro dicevano di avere avuto dritte sulle partite aggiustate. Abbiamo passato tutte queste informazioni alla giustizia sportiva che, però, non ha ritenuto di dare seguito».

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CALCIO

31/05/2012 - IL CASO

Il capo ultrà al telefono con Sculli:

"Nel 2006 ho mentito per Preziosi"

la stampa.it 31-05-2012

Genova - Sono incredibili le conversazioni registrate tra Sculli e un paio di capi ultras - fra cui Massimo Leopizzi, con diversi precedenti penali e legami nella destra estrema - il giorno dopo la partita Genoa-Siena del campionato appena concluso. Lo rivelaL'Espresso nel numero in edicola domani. Quel 22 aprile i giocatori vengono obbligati dai tifosi a interrompere il match e togliere le maglie. Fu graziato solo Sculli, a cui dalla curva dedicarono il coro «Sei uno di noi». E lui parlando con Leopizzi ringrazia per avergli «risparmiato questo affronto».

Ma le frequentazioni tra il leader degli spalti e l'attaccante calabrese sono antiche. Nel 2006 il capo ultrà venne fermato con due pistole mentre andava ad ammazzare la moglie. Quando uscì dai domiciliari, ci fu una grande festa alla quale parteciparono anche due titolari rossoblu: Milanetto e Sculli. Tanta confidenza lo spinge a sfogarsi nella telefonata del 23 aprile. Il bersaglio è il presidente Preziosi, che aveva chiesto l'arresto dei tifosi violenti dopo i fattacci di Marassi. «Ma come gli viene in mente di dire queste cose?», dice Leopizzi a Sculli: «Per lui in passato ho fatto anche falsa testimonianza quando sono stato sentito per la partita con il Venezia». Il discorso riguarda un'altra indagine sempre per accordi sottobanco. è possibile che Leopizzi millanti, ma Sculli non lo contesta. Adesso le conversazioni sono state acquisite dai pm di Genova.

Leopizzi ha avuto un ruolo importante nello scandalo di Genoa-Venezia del giugno 2005, quando il proprietario del Genoa comprò la partita per assicurarsi la promozione in serie A con 250 mila euro in contanti. Lo ricorda uno dei pubblici ministeri del processo penale per frode sportiva concluso dall'indulto. «Tra Preziosi e i capi ultras c'erano rapporti per lo meno strani», dice il magistrato Alberto Lari. «Nei loro incontri in un ristorante genovese, il presidente era invitato a staccare il telefonino per non essere intercettato e, a sua volta, veniva registrato dai tifosi che, poi, nei colloqui telefonici fra loro dicevano di avere avuto dritte sulle partite aggiustate. Abbiamo passato tutte queste informazioni alla giustizia sportiva che, però, non ha ritenuto di dare seguito».

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Certo non c'era la Juve, perchè la cosidetta giustizia sportiva avrebbe dovuto muoversi?

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ndr. Questo tipo per me è da denuncia (e non dico altro, perché anche una compilation di legnate non ci starebbe male)

*********************************************************

CHI È ANTONIO CONTE, DAL LECCE AL CALCIOSCOMMESSE

Enrico Turcato - GQ.com ,31 mag 2012

Rettifico.

Si sono accorti dell'enormità. L'articolo è sparito dal web.

E.T. telefona avvocato?

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Buffon, poche idee ma confuse

Paolo Ziliani - sportmediaset.it -31-05-2012

Dunque, l’abbiamo capito: se domani il vicino di casa di Buffon venisse arrestato perché sospettato, poniamo, di essere il responsabile della strage di Brindisi, e l’arresto avvenisse all’alba, con le telecamere sottocasa a riprendere l’avvenimento, lui, Gigi Buffon, convocherebbe una conferenza-stampa per stigmatizzare la spettacolarizzazione dell’operazione di polizia, definendola una vergogna. E se i giornali, nei giorni seguenti, pubblicassero stralci dell’interrogatorio del “mostro”, “vi spiego perché mi trovavo lì e perché avevo quel telecomando in mano”, lui, Gigi Buffon, convocherebbe una seconda conferenza-stampa per stigmatizzare il mancato rispetto del segreto istruttorio, definendo la fuga di notizie una vergogna.

Parafrasando un famoso proverbio: la vergogna è nell’occhio di chi guarda. E l’occhio di Buffon, che vede le pagliuzze ma mai la trave, è un occhio particolare, non c’è che dire. Possibile che a casa Italia non ci sia nessuno che senta il dovere di prendere da parte il portiere juventino per dirgli: “Forse è meglio se per un po’ non parli”? Magari fino a fine Europeo, a scanso di equivoci? In pochi giorni, Buffon è riuscito ad arrecare al movimento calcistico italiano, già a pezzi, danni d’immagine incalcolabili. Come vice-presidente del sindacato calciatori, in modo a dir poco bizzarro, se ne è uscito con l’editto del “meglio due feriti che un morto” proprio all’indomani del video messo in rete dalla stessa Associazione Calciatori, il video del calciatore taroccatore pentito che racconta l’abisso di immoralità nel quale è caduto, e la vergogna in cui vive. Un filmato che nelle intenzioni avrebbe dovuto indurre i calciatori a stare lontano da ogni tentazione di combine o di accomodamento di risultato. Dopodichè, mosso dai soliti, bassi interessi di bottega (leggi: coinvolgimento di Conte, Bonucci e Criscito, compagni alla Juve e/o in azzurro, nell’inchiesta di Cremona), se n’è uscito in una seconda filippica, inaudita per contenuti e drammatica per la labilità di pensiero che lascia intravedere.

Buffon dice che non è possibile mettere sullo stesso piano chi attua comportamenti magari poco sportivi e chi mette in piedi vere e proprie organizzazioni criminali. Peccato che a Gigi sfugga che senza i primi (quelli che accomodano) non ci potrebbero essere i secondi (quelli che scommettono).

Buffon dice che il “meglio due feriti che un morto” esiste da sempre ed è nella natura delle cose. Peccato che in realtà il morto ci sia sempre: in genere un terzo interessato che, ad esempio, retrocede in serie C se il Siena (già promosso) fa vincere deliberatamente l’Albinoleffe (che deve salvarsi), come da confessione di Carobbio (Siena) confermata da 5 giocatori dell’Albinoleffe.

Buffon dice: “Se Real Madrid e Bayern Monaco, in semifinale di Champions League, smettono di giocare nei supplementari e preferiscono andare ai rigori, che cosa facciamo: chiamiamo la magistratura?”. No, non la chiamiamo. Perché questa, caro Gigi, è la classica partita in cui non ci possono essere feriti, ma solo un vincitore ed un morto. Due contendenti con il 50 % di probabilità di vivere o di morire, che scelgono la tattica migliore per vincere, sapendo che uno dei due sicuramente morirà (nel caso: il Real Madrid battuto ai rigori) e senza che nessun altro possa essere danneggiato.

Buffon dice infine che non gli interessa sapere cosa viene contestato a Conte, perché a lui stanno a cuore i discorsi in generale. E invece no, gli addebiti mossi a Conte dovrebbero interessargli! Perché siccome sono gravi, visto che a Conte viene contestato, ad esempio, di aver detto ai giocatori del Siena che con il Novara c’era l’accordo per pareggiare, o ancora di non aver denunciato il presidente Mezzaroma che chiedeva di perdere contro il Varese per motivi di scommessa, Buffon dovrebbe dire: “Voglio sapere se quel che viene imputato a Conte è vero o è falso. Perché se è falso, Conte va riabilitato e i suoi accusatori duramente condannati; se è vero, Conte deve smettere di fare l’allenatore”.

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IL PEGGIO DELLA DIRETTA

Silenzio, parla Berlusconte

di NANNI DELBECCHI (il Fatto Quotidiano 31-05-2012) @@

Si, ma in uno stato di diritto(vabbè...si fa per dire)quella è una domanda più che lecita........

Checchè ne dica.. il "buon" nanni...........

Modificato da MadJ1897

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Μerda nel ventilatore, in gergo tecnico

di CLAUDIO CERASA dal blog CERAZADE (IL FOGLIO.it 31-05-2012)

Dal Corriere.it

"Dall’indagine sul calcio scommesse della Procura di Cremona si scopre che

sono in corso accertamenti sul portiere, nonché capitano della Nazionale

Gianluigi Buffon, sollecitati da un rapporto della Guardia di Finanza inviato

alla Procura di Torino. E l’ufficio giudiziario del capoluogo piemontese ha

chiesto a Cremona la trasmissione di alcuni atti dell’inchiesta. Gli

investigatori delle Fiamme Gialle hanno infatti segnalato ingenti movimenti di

denaro effettuati da Buffon che si ipotizza possano essere serviti a giocate

sportive, attività espressamente proibita per ogni tesserato della

Federcalcio. Sul versante penale, invece, il calciatore non risulta indagato".

___

Che vergogna, che paura

di FRANCESCO COSTA (ilPOST.it 31-05-2012)

Su questo blog per qualche tempo avevo tenuto conto dei casi più grossi e

patologici del fenomeno che viene comunemente chiamato con la brutta

espressione “corto circuito mediatico giudiziario”: quel fenomeno per cui i

giornali italiani sono pieni di verbali, intercettazioni, note riservate, atti

coperti da segreto, notizie su arresti prima che vengano effettuati gli

arresti, notizie su indagini prima che vengano notificate le indagini. Con

frequenza quasi quotidiana e con fonti quasi sempre giudiziarie. Ne è appena

successa una piuttosto marchiana.

Gianluigi Buffon, portiere e capitano della nazionale di calcio, durante una

conferenza stampa ieri ha commentato le inchieste in corso su calcio e

scommesse. Ha detto che lo scenario è «peggio di calciopoli», perché

«coinvolge un movimento intero» mentre «allora invece era coinvolta, per il

90-95 per cento, una società». E poi si è lamentato, con molte ragioni, del

torbido e scandaloso filo diretto tra procure e giornali. Il “corto circuito

mediatico giudiziario” di cui sopra.

La cosa grave è che voi sapete tutto in anticipo, se io vado

a parlare con un pm, dopo 5 minuti si viene a sapere, questa

è la vergogna. (…) E poi, alle 6 del mattino a Coverciano

c’erano anche le telecamere: sono cose che lasciano

interdetti, sempre per non voler spettacolarizzare…

Passano meno di 24 ore e sui giornali arriva una “nota riservata” della

procura di Cremona, riguardo “accertamenti” in corso su Buffon – che non è

indagato – riguardo “ingenti movimenti di denaro” che “si ipotizza possano

essere serviti a giocate sportive”.

Questo è il paese in cui viviamo. Poi ognuno decida se preoccuparsi o

indignarsi di più per le eventuali partite di calcio truccate.

___

Buffon, se tocchi i pm muori

di PIERO VIETTI dal blog Cambi di stagione (IL FOGLIO.it 31-05-2012)

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Se tocchi i pm, muori. Ieri Gigi Buffon si è permesso di dire che certi

sistemi del circuito mediatico giudiziario sono malati almeno quanto chi

scommette contro la propria squadra. Il portiere della Nazionale ha

sottolineato quanto sia strano che nel giro di pochi minuti i media siano al

corrente di quello che un interrogato dice ai magistrati e di quanto fosse

curioso il fatto che i giornalisti fossero già presenti quando la polizia ha

fatto irruzione nel ritiro dgli Azzurri lunedì per perquisire Criscito.

"Vergogna", aveva detto Gigi. Mai parola fu scelta meglio, pare: il circuito

mediatico giudiziario ci ha messo poco a rispondergli, sputtanandolo con

un'informativa ("privata") della Guardia di Finanza di Torino che segnala

alcuni movimenti "sospetti" di denaro da Buffon a una ricevitoria di Parma.

Una vicenda vecchia e già chiusa, al massimo "un'ipotesi", ma che è tornata

utile a chi vuole lanciare certi avvertimenti: chi tocca i pm e certi giornali,

muore. Naturalmente, i giornali che stanno dando la notizia in questo momento,

sono stati costretti a scrivere, molto in piccolo, che il portiere non è

affatto indagato. Ma a quello ci faranno caso in pochi, purtroppo.

P.S. Ovviamente i movimenti di denaro sospetti su certi giornali sono già

diventati "puntate". La cosa si commenta da sé, direi.

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___

Repubblica SERA 31-05-2012

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___

Non dirmi, Buffon, che sei uno 'sfigatello' anche tu

di ALESSANDRO OLIVA dal blog VIVA LA FIFA (LINKIESTA 31-05-2012)

Insomma, di questa Nazionale che si appresta a giocare gli Europei non si

riesce a parlare se non del presunto coinvolgimento di alcuni suoi componenti

nel calcioscommesse.

Meglio due feriti che un morto, aveva detto Buffon. Alla fine, il 'morto' è

stato uno solo: Domencio Criscito, che se n'è dovuto andare a casa, mentre

Leonardo Bonucci è rimasto sul treno azzurro, salvo scoprire proprio oggi che

il difensore della Juve era indagato, assieme a Criscito stesso e Conte, dalla

Procura di Cremona già dal 3 maggio scorso.

Tra ieri e oggi, le due conferenze stampa dal quartier generale degli Azzurri

a Coverciano hanno fatto discutere. Ieri un Buffon nervoso aveva attaccato a

testa bassa: "i giocatori sono gli ultimi a sapere delle indagini" (vero) e

"non accetto paternali dai giornalisti" (uhm) le frasi che sono rimbombate

dalla periferia di Firenze. Poi è toccato oggi a Prandelli, che ha chiamato

'sfigatelli' tutti quei calciatori coinvolti nel calcioscommesse.

Oggi pomeriggio, la bomba del sito del Corriere (seguito da Repubblica):

Buffon avrebbe girato assegni per oltre 1 milione di euro a una tabaccheria di

Parma abilitata alle scommesse calcistiche. Buffon non è indagato, ma la

Guardia di Finanza di Torino ha voluto vederci chiaro, dopo le dichiarazioni

di Nicola Santoni, ex giocatore coinvolto nel recente scandalo, rese a

Cremona: il portiere aveva spiegato che Buffon, Gattuso e Cannavaro erano

accaniti scommettitori. Il giocatorte aveva poi ritrattato bollando come

semplice millanteria la rivelazione, ma le Fiamme Gialle hanno voluto andare a

fondo.

Ognuno spende i soldi come meglio crede, peccato che nessun tesserato

Figc possa farlo con le scommesse. Ora, chiariamo un concetto: i giornalisti

(o gli aspiranti tali come il sottoscritto) non hanno nessun diritto di sostituirsi

alla giustizia. Ma hanno il dovere di capire. Esattamente lo stesso diritto

che hanno i tifosi. E allora, fateci capire. Cosa sta accadendo al calcio

italiano? Davvero siamo tornati al 1980, se non peggio? E soprattutto,

all'interno della Nazionale, esistono giocatori intoccabili (o più adatti al

disegno di Prandelli) che possono restare in azzurro a differenza di altri?

Non voglio chiedere nessuna esclusione di Buffon. Voglio solo capire.

E sperare che almeno lui non sia uno sfigatello.

___

IL GRAFFIO di EMILIO MARRESE (Repubblica.it 31-05-2012)

Coincidenze

La prossima volta che Buffon criticherà i magistrati,

salteranno fuori anche le sue pagelle delle elementari...

___

il Giornale 01-06-2012

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___

LA STAMPA 01-06-2012

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Modificato da Ghost Dog

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«Il caso di Criscito è l’emblema

del giustizialismo italiano»

Parla Federico Sarica, direttore di “Studio”, che quale giorno

fa dimostrò la precoce condanna mediatica del difensore

azzurro. «Su di lui solo coincidenze. Ma è un tic comune: dove

si trova qualcosa di illegale è automaticamente tutto sporco»

di EMMANUELE MICHELA (TEMPI.it 31-05-2012)

Qualche giorno fa sul sito della rivista “Studio” la sua voce si è levata

fuori dal coro. “Le balle su Criscito” titolava un articolo. La firma era

quella di Federico Sarica, direttore della rivista: «Ho scritto quel pezzo da

grande appassionato di calcio, ma ancor più da garantista», dice a tempi.it. E

mentre su gran parte della stampa ci si rincorreva a puntare il dito contro il

mondo del calcio, sporco e corrotto, lui dimostrava come le prime accuse

mosse da alcuni giornali contro il terzino dello Zenit, fossero totalmente

infondate. «La foto di Criscito con Sculli e altri uomini sospetti fuori da un

ristoranre in effetti incuriosisce. Ma inquadra poco, perché in quello

scattano mancano le persone che invece sono citate nelle ordinanze, che,

se c’entrano, c’entrano più di Criscito». Una condanna quindi fin troppo

rapida per il giocatore che ha dovuto lasciare in fretta e furia la Nazionale,

«e una vicenda che è emblematica».

Di che cosa?

È l’emblema di una serie di tic e meccanismi italiani in cui il calcio è

marginale. Il pallone è una cosa molto popolare, e di conseguenza ci mette

un attimo a diventare populista: facile che erediti tanti tic tipici del nostro

paese. In primis, il pensiero comune che dove si trova qualcosa di illegale è

automaticamente tutto sporco, e più si riesce a sporcare l’immagine di un

mondo ricco di appeal, meglio è. Il secondo è poi questo costante

giustizialismo, tale per cui un indagato è automaticamente dichiarato

colpevole. E qui la responsabilità grave è anche di noi giornalisti.

E così Criscito deve saltare gli Europei, forse solo per essere stato

fotografato con degli amici poco raccomandabili.

Già. Su di lui c’è solo una coincidenza: quella di essersi trovato a pranzo

con persone che in quella settimana erano sotto osservazione della polizia

per altri motivi. Eppure non è stato risparmiato: se frequenti persone che

stanno facendo qualcosa di illegale, sei un delinquente.

Come pensa che i giornali stiano trattando la vicenda?

M’ha fatto quasi ridere leggere la Ġazzetta di ieri, dove si è fatto marcia

indietro su Criscito. «Pare che su di lui ci sia solo una foto», scrivevano.

Però, guardando quanto hanno scritto, mi venivano due critiche: la prima è che

questa notizia si trovava solo a pagina 9, mentre quando il giorno prima il

giocatore veniva dipinto come un mostro lo si faceva in prima pagina.

D’altronde è chiaro: la smentita del mostro non vende quanto il mostro stesso.

In secondo luogo, quella retromarcia sul giocatore dello Zenit preparava in

realtà il terreno a una critica a Bonucci: quello innocente deve rimanere a

casa, mentre l’altro che è colpevole va agli Europei. Forse alla Ġazzetta

hanno carte di cui io non sono in possesso… Fatto sta che fino ad ora si è

alzato un grande polverone, dove fa comodo buttare dentro nomi illustri. Però

nessuno ha il coraggio di fare una importante distinzione: da una parte ci

sono dei criminali, che hanno contatti con alcuni calciatori. E su questo si

deve fare chiarezza. Dall’altra parte, però, ci sono una serie di abitudini

del calcio – basta aver giocato a pallone una volta nella vita per conoscerle

– su cui è facile tessere trame di delinquenza. Ma le due cose non sono la

stessa cosa.

È il motivo per cui non sono state capite le parole di Buffon. Ieri il

capitano della Nazionale si è fatto sentire in conferenza stampa:

«Come mai le telecamere quel giorno erano lì davanti ai cancelli?

Sempre per spettacolarizzare la cosa. La gravità e che tutti voi

sapevate in anticipo. Se io vado a un interrogatorio da un pm, dopo 5

minuti si viene a sapere la notizia. Questa è la vergogna». Che cosa

pensa di queste dichiarazioni?

Buffon ha ragione. Le sue sono parole che, al di là del calcio, sono una vera

lezione di garantismo, quasi di stato di diritto. Per due motivi: fino a prova

contraria ognuno può dire quello che vuole, e non capisco chi ha additato il

portiere della Juve di scarso opportunismo, dicendo che essendo lui capitano

della Nazionale poteva risparmiarsi quelle parole. Perché non doveva dirle? Se

uno è sincero, a maggior ragione dice quel che pensa. In secondo luogo, Buffon

ha messo in chiaro la vera questione: perché spettacolarizzate questo fatto e

giocate con la vita della gente per fare i vostri interessi con vicende che

poi si sgonfiano?

Sulle parole di Buffon si è espresso oggi Sconcerti: il calcio sarebbe

sporco, poco importa se di questo i giornalisti raccontano con qualche

abuso. «Il male è il reato, non chi lo racconta», scriveva oggi sul

Corriere. A Sconcerti, ha risposto Luca Sofri, su “Il Post”: di fronte

a simili comportamenti di stampa e magistratura, è lecito avere

qualche dubbio. Che giudizio dà di queste due dichiarazioni?

La posizione di Sconcerti è molto populista e anche pericolosa. Non si può

applicare il discorso del fine che giustifica i mezzi, proprio perché il

problema è il reato, non tutto il resto. Non è l’opportunità, non sono le

persone che frequenta. È una questione di reati e di pene. Non si può adottare

il discorso del saggio che indica la luna e dello stolto che guarda il dito.

Davanti a queste vicende bisogna guardare sia il dito sia la luna, anche

perché – al momento – non sappiamo con precisione cos’è la luna. A meno che

Sconcerti non sappia già chi è colpevole e qual è il reato, e allora ce lo

potrebbe anche dire… Altrimenti questo è giustamente il momento del dubbio.

Cosa si aspetta da tutta questa vicenda? C’è il rischio di

un’epurazione fin troppo sommaria, sull’onda dell’emotività? Per tanti

è facile sparare contro lo stereotipo facile del giocatore carogna e

rammollito, senza alcun tipo di valori…

Mi auguro che la giustizia ordinaria riesca a fare il suo corso, senza essere

inficiata da queste spettacolarizzazioni. Chi ha sbagliato deve pagare, non

dimentichiamoci che essere garantisti non vuol dire essere innocentisti. A

livello, invece, di giustizia sportiva mi aspetto poco, dato che i precedenti

sono quel che sono. Con questa campagna mediatica la gente si è fatta

l’acquolina in bocca, bisogna dargli in pasto qualche nome illustre: vuole un

colpevole, e bisognerà trovarlo, magari anche di peso. Di per sé, comunque,

tutta la vicenda mette in luce il grande moralismo con cui si guarda il mondo

del calcio. È l’idea malsana che esistono i giusti ma ora governano i non

giusti, e quindi ci sarebbe un sistema contro cui ribellarsi. In realtà non

combacia con la storia degli uomini: gli esseri umani in quanto tali

sbagliano. Questi sono modelli costanti in cui spesso cadiamo: la società

civile è giusta, mentre la politica no; il ricco sbaglia e il povero no; il

calciatore è immorale, mentre chi guarda il calcio si dovrebbe svegliare e

smetterla di dare i soldi ai questi miliardari.

Comunque non mi fido di questo E.Michela, che qualche giorno fa prima ha

postato un articolo (blog Colpo di reni) con numerose foto e piccati commenti

sul calcioscommesse contro Conte e la Juventus e poi ha azzerato la pagina.

F.Sarica si conferma e qualifica come commentatore serio.

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Ecco le puntate di Buffon

Assegni per 1,5 milioni di euro

CREMONA , 31 maggio 2012

Il portiere della Nazionale non è indagato, ma l’informativa della procura di Torino a quella di Cremona potrebbe aprire un nuovo fronte nell’inchiesta sul calcio scommesse

Un conto corrente in pieno movimento. Tra il gennaio 2010 e il settembre 2010 Gianluigi Buffon ha “staccato” 14 assegni bancari di importi compresi tra i 50.000 e i 200.000 euro. In totale 1.585.000 euro. Uno solo il destinatario: Massimo Alfieri (titolare di una tabaccheria di Parma abilitata anche alle scommesse calcistiche di Lottomatica). E’ quanto emerge da un’informativa della procura di Torino a quella di Cremona che potrebbe aprire un nuovo fronte nell’inchiesta sul calcio scommesse. Nell’informativa si legge che l’avvocato Marco Valerio Corini, legale del portiere della Juventus e della Nazionale, non ha voluto dettagliare la ragione della segnalazione. Lo stesso avvocato - si legge nell'informativa - si è limitato a descrivere il beneficiario degli assegni come persona di assoluta fiducia, spiegando che i trasferimenti di liquidità sono volti a tutelare parte del patrimonio personale di Buffon. L'avvocato ha, inoltre, accennato ad una società fiduciaria ed all'acquisto di immobili a Parma, senza specificare l'esistenza o meno di scritture private o atti di compravendita donazione. L'istituto di credito segnalante ipotizza che le liquidità possano essere oggetto di scommesse vietate".

Davide Romani

qui il link all'informativa

http://media2.giornalaccio rosa.it/giornalaccio rosa/pdf/2012/Document310512.pdf

pardon il link cosi non lo prende (basta sostituire il nome di quella m***a di giornale al posto giusto e il gioco è fatto

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Modificato da huskylover

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Così Sculli ricattava Luca Toni

"Collaborerà, ho certe sue foto"

Milano, 31 maggio 2012

In un'intercettazione col pregiudicato bosniaco Altic, l'attaccante del Genoa svela come forzare la mano all'ex compagno di squadra

Giuseppe Sculli e Safet Altic, il pregiudicato bosniaco al centro dell'inchiesta sul calcioscommesse, avevano un modo sicuro per convincere Luca Toni a collaborare al loro tentativo di aggiustare le partite: il ricatto.

L'INTERCETTAZIONE — In una telefonata del 3 maggio 2011 l'attaccante del Genoa e Altic, secondo quanto riportato nelle carte dell'inchiesta "Last New Bet", parlano di affari da "monetizzare" facendo riferimento a Luca "Peperone" Toni, che è stato compagno di Sculli al Genoa. L'attaccante nato a Locri dice di "essere in possesso di foto compromettenti del collega che lo ritraggono in atteggiamenti intimi con ragazze, utilizzabili per forzare la volontà del giocatore nel caso non si fosse dimostrato accondiscendente in alcune richieste". Sculli e Altic parlano di come utilizzare quelle foto e citano espressamente la possibilità di inviarle a Marta Cecchetto, compagna di Toni.

Ecco il testo della conversazione tra Altic e Sculli su Toni:

Safet Altic: E che dice Peperone (Luca Toni, n.d.r.) ieri?

Giuseppe Sculli: Peperone è qua ancora... Ti giuro qua stasera lo vedo è rimasto qui, il co*****e è qui. Mamma che co*****e. Ha detto Carabinierovic ho detto se ti piglia Carabinierovic... Si incazza ehh? Ho detto guarda che le foto le ha ancora lui Sergio. No? Ti prego...

SA: No non gli dire che non le abbiamo...

GS: No ma io ce le ho davvero le foto

SA: Giuri?

GS: Te le giuro che le ho fratello

SA (ride): m***a... Tienile comunque... Se non siamo più amici con questo peperone.

GS (ride)

SA: Gli recapitiamo alla signora Marta... come si chiama

GS: Marta Cecchetto... Allora gli dico Se che domani pomeriggio passi tu da lei. Gli dico di aspettare dai...

LA MENTE — Il ruolo di Altic emerge chiaramente dalle carte dell'inchiesta. Il bosniaco aveva contatti quotidiani con Sculli, di cui era amico e da cui ha ricevuto senza problemi in prestito la sua Audi A6, e diversi anche con altri giocatori del Genoa, in particolare Omar Milanetto, Domenico Criscito e Kakha Kaladze, con cui i contatti telefonici erano molto frequenti. Altic risulta anche "ben inserito nella realtà calcistica del Genoa", con "legami significativi" con Gabriele e Guido Morso, pregiudicati siciliani "ben conosciuti dagli appartenenti del gruppo ultras del Genoa nonché da diversi calciatori di tale società". In altre intercettazioni Altic organizza attraverso un intermediario la consegna di 1.500 euro a Sculli, che il calciatore riceve al casello autostradale di Serravalle Scrivia (Al) il 23 aprile 2011.

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TEMPO SCADUTO di ALIGI PONTANI (Repubblica.it 31-05-2012)

Un processo farsa

rinviamo campionato

"Tolleranza zero". "Via le mele marce". "Saremo inflessibili". "Mai più nel

calcio chi avvelena il calcio". "Massimo rigore". "Useremo il pugno di ferro".

"Faremo pulizia senza guardare in faccia nessuno". Chi si ricorda altre

espressioni sul tema è pregato di segnalarle. Può inviarle direttamente alla

Federazione Italiana Giuoco Calcio, dai cui uffici provengono i proclami sopra

registrati, tutti riferiti alla giustizia sportiva impegnata a fronteggiare il

caso scommesse.

E' bastato un giorno, il primo del secondo processo relativo alla prima

tranche del secondo, terzo e quarto filone d'inchiesta, aspettando sempre il

terzo processo basato sul secondo filone che si occuperà della terza tranche

relativa ella quinta e sesta inchiesta, per capire a cosa servissero quelle

dichiarazioni fiere e puntute. Servivano a nascondere il nulla, il caos, la

grottesca risposta di un sistema colpito al cuore dallo scandalo e incapace di

reagire in modo ordinato, limpido, sensato.

La tolleranza zero, per dire, l'abbiamo vista contando la folla di imputati

precipitarsi da Palazzi per mercanteggiare pene ridicole - pochi mesi di

squalifica per partite vendute, due punticini di penalizzazione per

responsabilità oggettiva, grazie al patteggiamento e al pentitismo dell'ultima

ora. La coerenza l'abbiamo toccata con mano leggendo dei 6 punti di

penalizzazione concordati col Grosseto, il giorno dopo la chiamata in causa

del club per responsabilità diretta durante gli interrogatori di Cremona: se

confermata nel processo ter, o quater o decimoquinto, porterebbe alla

retrocessione.

Che senso ha, dunque, questo processo ai pentiti e ai disgraziati, mentre a

Cremona stanno in galera i calciatori, le nuove carte invadono i tavoli degli

avvocati e delle procure, le indagini in corso riservano ogni giorno un colpo

di scena? Che senso ha condannare qualcuno che tra un mese dovrai processare

ancora e per lo stesso reato per cui hai applicato le tariffe più basse?

Certo, bisognava fare presto. Lo chiedeva il Coni, lo prometteva la

federcalcio, lo assicurava Palazzi. Bravi, avete fatto presto. A mettere in

scena il penoso spettacolo di una giustizia ingiusta, la peggiore che c'è.

Quella che farà partire i campionati con tanti segni meno nelle classifiche e

tanti punti interrogativi su quando e quanto aumenteranno quei segni in corsa,

a tornei iniziati. Allora, carissimi frettolosi, forse vale la pena porne un

altro, grande interrogativo: davvero i campionati possono partire a fine

agosto?

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Inviato (modificato)

Perché il calcio italiano non si può fermare

Qualche numero per capire che l'idea di Monti non potrebbe mai essere applicata

di FRANCESCO CAREMANI (IL FOGLIO.it 30-05-2012)

Il calcio italiano non si può fermare. Non è un capriccio, non stiamo

sbattendo i piedi come quel bambino cui qualcuno, per dispetto, ha voluto

togliere il pallone. Semplicemente non si può chiudere da oggi a domani un

settore economico del Paese: “Parliamo di un’industria da 2,5 miliardi di euro,

tra serie A, B e Lega Pro, con pesi e misure diverse, più l’indotto” ha detto

al Foglio.it Marcel Vulpis, direttore dell’agenzia sporteconomy.it. Il premier

Mario Monti dovrà farsene una ragione, perché se da una parte il suo

intervento voleva sottolineare lo sdegno per il calcioscommesse e le

infiltrazioni criminali che stanno emergendo, dall’altra ha fatto la figura di

tutti quelli che in Italia parlano di calcio pensando che sia solo un gioco,

un passatempo per adulti poco cresciuti. “Senza dimenticare le penali che

i club sarebbero costretti a pagare verso tutti i fornitori per i contratti già

stipulati: dai giocatori agli sponsor. E' impossibile fermare il football

tricolore sia dal punto di vista pratico che giuridico”, aggiunge Vulpis.

Anche l’affondo sui soldi pubblici è parso distratto o distraente,

fate voi, fatto sta che lo sport più popolare, finché dura, non prende un

euro dallo stato, versando 1.100 milioni l’anno all’erario e contribuendo con

altri 64 al settore arbitrale, dilettanti, settore giovanile e scolastico,

giustizia sportiva (in questo caso resta il dubbio sull’efficacia dell’investimento).

Forse, però, l’industria calcio dovrebbe prendere in esame alcuni dati

significativi e poco incoraggianti, segno di un disamore o di un incipit dello

stesso. La stagione appena finita, infatti, ha registrato in serie A un calo

di spettatori del 6,8 per cento rispetto a quella precedente, a un anno esatto

dall’inizio dell’inchiesta Last Bet. Peggio di noi hanno fatto solo Austria

(-10,3 per cento) e Grecia (-23,5), dove la crisi economica non scherza.

Disaffezione o pecunia? Chissà, però in Portogallo sono aumentati dell’8,6

per cento, in Germania del 5,7, mentre Inghilterra e Francia segnano il passo:

-1,9 e -4,4 per cento.

Secondo Marcel Vulpis il calcio in Italia rappresenta un ammortizzatore

sociale, non si possono chiudere i rubinetti per due, tre, anni: “Sarebbe

l’unica cosa per cui gli italiani farebbero la rivoluzione. Premesso che se

saranno provate le accuse io sono per la radiazione, bisogna pensare, però,

che solo in A ci sono circa 800/900 giocatori, fra tutte le rose, e al momento

ne risulta indagato un 2, 3, per cento. Si dovrebbe essere capaci di fare

pulizia senza danneggiare l’intero movimento. Anche perché dal 2000 a oggi

gli episodi di calcioscommesse non sono stati rari e quasi sempre si è arrivati

allo sport partendo dalla criminalità, ergo la magistratura ordinaria cosa ha

fatto in tutto questo tempo?”.

Ma il direttore di sporteconomy. it punta soprattutto il dito contro

le società: “Sta venendo fuori che gli incontri tra calciatori e personaggi

equivoci avvenivano spesso negli alberghi dei ritiri. Chi doveva vigilare?

Perché non l’ha fatto? La qualità manageriale del nostro calcio è bassa, non

si devono lamentare della responsabilità oggettiva se nemmeno s’interrogano

del perché i loro giocatori parlano con persone che non dovrebbero stare lì”.

Difficile poi recuperare credibilità se ciclicamente ci ritroviamo tra

scommesse (altra voce importante per l’erario), criminalità organizzata,

calciatori, arresti, spettacolarizzazione degli stessi, in un gioco al

massacro da dare in pasto al popolo straccione per fargli dimenticare tutto

il resto. Difficile se poi vieni spinto a scommettere ovunque ti giri, su

internet, sui giornali, grazie al parere di esperti famosi, fino a diventare

malattia e anche costo sociale, altro che Scommessopoli.

In fondo c’è il calcio, troppo permeabile a certi ambienti, troppo in vista

per farla franca, soprattutto quando alcuni tesserati fanno gli affari propri

con i soldi altrui (non pubblici). Non resta che la Nazionale, simulacro

capace anche in tempi recenti di ridare dignità al football italiano. Ma anche

lei divide, tra chi vorrebbe ritirare gli juventini perché offeso, chi tiferà

Irlanda perché così non si fa e chi ancora non ha capito perché Criscito sì

e Bonucci no. Poi capita di comprare un magazine e leggere in copertina:

Cesare Prandelli “Sono il Monti del calcio”.

Modificato da Ghost Dog

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