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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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SPY CALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 16-04-2012)

Si gioca troppo? Ma la A

non vuole ridurre le squadre

"Si gioca troppo": l'allarme arriva proprio dai calciatori. E' vero: un tempo,

ricorda il dottor Piero Volpi, consulente dell'assocalciatori, un giocatore

faceva al massimo 45-50 partite in una stagione. Ora può arrivare a 65-70. Un

esempio: Michel Platini 56 gare nel 1982-83; Samuel Eto'o 62 partite nel

2009-'10. Giovanni Petrucci ha detto che è un problema che va discusso con

serenità (che manca), senza farsi travolgere dall'emozione. Ma in realtà,

ridurre il numero delle partite è sempre più difficile. Ci sono le esigenze di

Fifa e Uefa, che allargano i loro tornei (con soddisfazione delle Federazioni

che prendono più soldi. . . ). Ci sono i campionati nazionali che, vedi

soprattutto l'Italia, devono rispondere alle tv che li tengono in vita a suon

di miliardi di euro.

Da noi, da anni si parla di riforma dei campionati: al massimo si può fare il

blocco dei ripescaggi per la serie B e la Lega Pro (e difatti se ne parlerà

nel prossimo consiglio federale del 27 aprile), ma di un progetto di riforma

vero, serio, approfondito e che coinvolga tutte le aree calcistiche non c'è

nulla. Ogni Lega va avanti per conto suo, e anche il sindacato calciatori ha

l'esigenza di tutelare i posti di lavoro. Nessuna nazione europea ha il nostro

parco professionistico. La Lega B vorrebbe partire il più presto possibile con

quello che il presidente Andrea Abodi ha fatto (già) votare ai suoi club: la

riduzione da 22 società (follia del passato...) a venti. Un primo passo avanti

ma significativo. La Lega Pro ha già stabilito di scendere a tre gironi con un

massimo di 60 club (trenta in meno rispetto ad anni fa, altra follia): scelta

obbligata perché molte, troppe società, non ce la fanno ad iscriversi, mentre

altre dopo essersi svenate per iscriversi falliscono a campionato in corso o

non pagano più gli stipendi (basta vedere le tante, troppe penalizzazioni).

Per questo giustamente Mario Macalli vuole "ripulire" la sua Lega: solo club

sani in futuro. Ma, ripeto, un piano organico non c'è. La Lega di A, ad

esempio, da decine d'anni ha in un cassetto un progetto di ristrutturazione

del campionato ma non ci pensa assolutamente a tirarlo fuori. I grossi club

(Milan, Juve, Inter, ecc.) sarebbero a favore di una riduzione da 20 a 18

squadre, avendo così più spazio per l'attività internazionale. Ma i

medio-piccoli non ne vogliono sapere. Temono, ma non è detto che sia vero, che

le pay tv, riducendo i club, possano pagare di meno. Di sicuro si

giocherebbero meno gare, il calendario non sarebbe così ingolfato (con turni

infrasettimanali in inverno che scatenano solo polemiche e disagi per i tifosi)

e il livello del gioco probabilmente ne avrebbe un beneficio. Ma tutto è

fermo. Non se ne discute nemmeno. Sino al 2015 la Lega di A ha venduto i

diritti tv con questo "format" del campionato, è vero: ma perché non studiare

un piano dal 2015 in avanti? Una volta c'erano 18 squadre e quattro

retrocessioni. Ora sono venti, e sole tre retrocessioni (con il "paracadute").

Pensate che possano (vogliano) tornare all'antico? Pia illusione. Anni fa,

molti anni fa, l'attuale presidente della Figc, Giancarlo Abete, aveva

studiato un piano dettagliato di riforma dei campionati. Fu bocciato dai veti

incrociati. Ora Abete, che è il n.1 del calcio, non può certo imporlo alle

Leghe: lo statuto glielo vieta. E così tutto resta fermo, si sprecano i tavoli

di lavoro (e le cene) che non portano a nulla. La tragedia di PierMario,

comunque, potrebbe portare ad una maggiore attenzione, e prevenzione, per

quanto riguarda la salute degli atleti. La Lega Pro presto firma un protocollo

con la Federazione medici sportivi. Ospite in studio durante la rubrica

"Mattino Sport", in onda dalle 7 di questa mattina su Rai Sport 1, il

presidente della Lega Serie B, Andrea Abodi, ha fatto il punto a poche ore

dalla tragica scomparsa di Morosini. "Cercare di migliorare la sicurezza? Si

può sempre fare di più, ma se vogliamo dare un senso a tutto quello che è

successo, dobbiamo alzare l'asticella dell'attenzione in tutti i sensi. In

tutti i campi di calcio ci sono i defibrillatori e questo va ricordato. Al di

la di quello che è accaduto, che ha davvero sconvolto tutti, nostro compito

adesso è trovare soluzioni per salvare la vita di tutti quelli che potranno

avere lo stesso problema in futuro. Cosa faremo per ricordare Morosini? Il

prossimo weekend tutti i giocatori che scenderanno in campo avranno la

maglietta numero 25 di Morosini". Giancarlo Abete insiste sulla preparazione

degli allenatori e su una diffusione più capillare dei defribillatori.

L'Italia comunque è all'avanguardia nei controlli: lo ha ricordato Giovanni

Petrucci al ministro Piero Gnudi (che in teoria dovrebbe essere il ministro

dello sport...).

RaiSport news, debutta il nuovo canale. Bene la F.1

Esordio oggi per il canale tematico sportivo della Rai (su Rai Sport 1) con

molti ospiti importanti e temi di stretta attualità (bravo Mazzocchi), mentre

le trasmissioni, senza campionati, ne hanno per forza risentito: Stadio Sprint

all'8,13% di share, Domenica Sportiva al 5,06%. Bene ha fatto la finale di

volley su Rai Sport 2 (1,08%, 237.000 spettatori) mentre il Gp di Cina di

Formula 1, nonostante la crisi Ferrari, ha toccato il 47, 29% di share (5

milioni 164.000).

-------

Tempo Scaduto di ALIGI PONTANI (Repubblica.it 16-04-2012)

Presidenti scandalo

Beretta al capolinea

Se qualcuno ancora non se n'era accorto, beh, ieri ha capito. Tutti hanno

capito com'è ridotto il calcio, e finalmente non sembra più normale, o almeno

non troppo, che chi lo organizza, gestisce, indirizza possa fare scempio

quotidiano anche delle più elementari regole civili. Il ridicolo di cui ieri

parlava Franco Baldini, a proposito delle oscene liti scoppiate sul recupero

della giornata saltata per lutto, è molto più che una nuova fermata nel

viaggio insensato che la Lega calcio ha intrapreso da mesi, da anni, da quando

ha tutto cancellato in nome dei soldi, peraltro una montagna di soldi spesi

talmente male da portare le squadre italiane nella periferia dell'Europa.

Quell'accapigliarsi scalmanato in nome di miserabili interessi, non si capisce

se sportivi (meglio giocare prima con questo che con quello) o economici

(meglio non infastidire la tv che vuole quel posticipo invece di quello) è il

capolinea di un gruppo che ha smarrito il senso della realtà, che non è più in

grado di aprire gli occhi, guardarsi in torno, capire che il mondo di cui si

credono e sentono padroni è ormai nauseato. Da loro.

E' un capolinea morale, certo: la zuffa sulle spoglie dell'eroe morto,

qualcosa che da millenni l'uomo ha messo al bando, codificandone l'inumanità.

Ma è anche il capolinea di un'organizzazione, la Lega calcio, non soltanto

delegittimata, come ha detto Baldini, ma ormai dissolta, inesistente,

grottesca. E soprattutto senza un capo, a meno di non voler continuare a

raccontare alla gente che Maurizio Beretta è davvero un capo: un signore che

in cambio dei 30 mila euro al mese che riceve accetta l'umiliazione di non

essere neppure consultato quando qualcun altro decide di sospendere il

campionato che teoricamente lui organizza, un signore incapace di prendere un

decisione che eviti la devastante figura fatta ieri, un signore che sta lì

esattamente far fare ciò che fa: niente. In modo che gli altri, i padroni dei

club, possano spartirsi soldi, spazi, potere a proprio piacimento, senza

regole, controllo, criterio altro che non sia l'arroganza.

Ci diranno che no, che è stato un equivoco, che figuriamoci, che tutti erano

disponibili a trovare un accordo su come recuperare la giornata, che è stata

solo una questione tecnica, che sarà onorata la memoria di Morosini e che il

calcio si unirà per ricordarlo al meglio e aiutare la famiglia. Non importa,

non serve, è troppo tardi. Basta quello che è successo domenica per rendere

l'idea dell'abisso, con l'Italia che piangeva, in tutta Europa si giocava con

lutto, e loro si telefonavano urlando per guadagnare qualcosina dalla

situazione: un infortunato recuperato, una squalifica da scontare contro un

avversario più debole, una manciata di punti di audience da garantire alla pay

tv, tre ore di riposo in più rispetto alla rivale. Piccole miserie da sbrigare,

prima di andare tutti ai funerali di Morosini, con i loro vestiti di buon

taglio e gli occhiali scuri. Ecco, l'abisso. Abete e Petrucci ci dicano se si

può sperare di cominciare a tirarcene fuori, magari evitando le solite frasi

di circostanza del genere: la Lega è una grande organizzazione che saprà

trovare un accordo collegiale. Perché l'unica cosa sensata da dire oggi

andrebbe detta a Beretta: grazie, è ora. Vattene.

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Stop al calcio giocato.

E' retorica, non lutto

di GIAMPIERO MUGHINI (tiscali: opinioni 16-04-2012)

Confesso che in morte del povero Piermario Morosini mi è piaciuto di più

quello che hanno fatto all'avvio di una partita della serie A spagnola,

osservare un minuto di silenzio in ricordo del giocatore del Livorno, che non

la decisione di dare uno stop a tutti i tornei italiani di calcio agonistico.

Perdonatemi se distinguo tra il lutto e la retorica, a me sembra una

distinzione necessaria. Mille volte di più Morosini sarebbe stato onorato e

ricordato da un minuto di silenzio su tutti i campi verdi, dal fatto che fosse

pronunciato da centinaia di migliaia di voci il suo nome che purtroppo fra un

mese nessuno ricorderà più, dall'invenzione dei tifosi che in questi casi

sanno essere originali e creativi, o magari dal trasmettere la canzone che lui

amava di più. Mi obietterete che tutto questo lo si potrà fare domenica

prossima o il 25 aprile, se sarà quello il giorno prescelto per recuperare il

calcio che non è stato giocato il 15 aprile. Me lo auguro vivamente. Questo

ragazzo sventurato che ha finito a 25 anni la sua vita, una vita che mai era

stata facile, lo stramerita.

Mi obietterete ancora: per una volta che è stata scelta la strada

del silenzio, noi che ci siamo abituati a una società talmente schiamazzante.

Ecco, non sono così sicuro che il silenzio sia stato il miglior modo di ricordare

Morosini. Non sono sicuro che tra le 15 e le 17 di questa maledetta domenica

il suo nome aleggiasse nel ricordo e nella commozione di molti italiani.

Meglio ancora. Qual è il significato esatto di questo silenzio? Forse che

giocare a calcio era un ledere la memoria di Morosini, una forma di sciatteria

e di menefreghismo? Io non lo penso affatto. A organizzare la cosa bene, ci

potevano essere modi di ricordarlo immensamente di più. Quando un grande

giocatore di pallavolo, il nazionale e campione del mondo Vigor Bovolenta, è

caduto giù ed è morto qualche settimana fa, abbiamo scelto la strada del

silenzio? Non mi pare. E se un giocatore di calcio muore in un incidente

stradale mentre sta andando con la sua auto a un allenamento, anche lì

interrompiano i tornei? Scusate se insisto, a me questa sembra retorica e non

lutto.

Con questo gesto di annullare per una domenica il calcio giocato,

si vuole drammatizzare il fatto che i giocatori odierni sono a rischio, nel

senso che il calcio è divenuto agonisticamente irto e stessante? Allora

bisogna dirlo chiaro e tondo, e fare analisi mirate del reparto medicinali di

cui si avvale una società di calcio professionistica. Dirlo chiaro e tondo

che il calcio estremo che si pratica oggi, il calcio a cento all'ora e in cui

ogni giocatore per 90 minuti va all'assalto di tutti gli altri, è divenuto uno

sport a rischio. Qualcuno sta dicendo questo? Non mi pare. E' la solita

abitudine all'italiana, la predilezione del gran gesto, del gran teatro. O il nulla

o il tutto. Laddove c'è una misura in tutte le cose della vita, e dunque

anche nelle sue tragedie. "L'ultimo calciatore che doveva morire" ha scritto

di Morosini un quotidiano italiano. Ecco, non sarebbe stato più toccante

ed efficace spiegare e scandire questo specifico lutto negli stadi aperti

anziché negli stadi chiusi? Me lo domando e ve lo domando.

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Lotito attacca Baldini: «Funzionario transeunte»

Il presidente della Lazio contro il dirigente giallorosso: «Mi sto battendo affinchè in Lega le società siano rappresentate solo dai presidenti, i soli che hanno titolo per parlare. Tutti gli altri sono funzionari transeunti che oggi stanno in una società e domani in un'altra»

ROMA - «Lotito ha detto che sulle questioni che riguardano la Lega devono parlare solo i presidenti e non 'funzionari transeunti'? Non credo proprio: tanto per cominciare Baldini ha pieno e totale mandato per rappresentare la Roma in qualsiasi circostanza e per qualsiasi problema che si possa porre. Quindi parla a pieno titolo, e qualsiasi cosa abbia detto deve essere recepita lealmente e correttamente perchè esprime il pensiero della Roma». A replicare alle parole del presidente della Lazio, Claudio Lotito, è il direttore sportivo della Roma, Walter Sabatini. Il ds giallorosso, in merito alle dichiarazioni fatte ieri del direttore generale Franco Baldini sulla pessima figura della Lega di Serie A sul tema del recupero della giornata di campionato saltata in seguito alla morte di Piermario Morosini, ha ribadito che si tratta di concetti «del tutto plausibili». «Baldini ha fatto riferimento alla litigiosità post-mortem - ha ricordato Sabatini -. Se abbiamo sospeso i campionati per rispetto della memoria di un ragazzo che ha perso la vita in un campo di calcio non dobbiamo stare a litigare per le date e gli orari delle partite», ha quindi concluso a margine di un evento organizzato nella sede della Provincia di Roma.

LE PAROLE DI LOTITO - «Le parole di Baldini? Sono un presidente e vorrei che questi concetti li esprimesse un presidente, altrimenti c'è confusione di ruoli». Il n.1 della Lazio Claudio Lotito entra con durezza sulle discussioni per lo slittamento della 33ª giornata di Serie A, dopo la morte di Morosini. «Queste polemiche mediatiche non servono - ha detto Lotito, a Palazzo Valentini per una cerimonia contro il razzismo -. Quando il consiglio di Lega deciderà quella sarà la decisione. Il resto sono chiacchiere da bar». «Mi sto battendo - ha aggiunto Lotito - affinchè in Lega le società siano rappresentate solo dai presidenti, i soli che hanno titolo per parlare. Tutti gli altri sono funzionari transeunti che oggi stanno in una società e domani in un'altra».

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Lotito attacca Baldini: «Funzionario transeunte»

Il presidente della Lazio contro il dirigente giallorosso: «Mi sto battendo affinchè in Lega le società siano rappresentate solo dai presidenti, i soli che hanno titolo per parlare. Tutti gli altri sono funzionari transeunti che oggi stanno in una società e domani in un'altra»

[...]

Lotito c'a fatt a' ualler' a' pizzaiuol

PANORAMA | 18 aprile 2012

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Modificato da Ghost Dog

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PRIMO PIANO

Il calcio gioca in rosso

in tre campionati

un miliardo di perdite

NELLA SOLA STAGIONE 2010-11 LE PERDITE SONO STATE DI 428

MILIONI E LE PROSPETTIVE SONO PER UN PEGGIORAMENTO:

NON AUMENTANO PIÙ I DIRITTI TELEVISIVI NÉ GLI INCASSI DEGLI

STADI E DIVENTANO INSOSTENIBILI GLI STIPENDI DEI CALCIATORI

di ETTORE LIVINI (la Repubblica - AFFARI & FINANZA 16-04-2012)

Debiti al livello di guardia. Conti in profondo rosso e sotto il faro delle

istituzioni internazionali. Performance sul campo che ci fanno rischiare la

maglia nera nel Vecchio continente. Il calcio è lo specchio della società. E

la Serie A, tanto per non smentire i dogmi della sociologia, è l’immagine in

fotocopia (governo tecnico a parte) dello stato di salute dell’Italia.

Desolante. Su 107 club rappresentati in Lega solo 19 lo scorso anno sono

riusciti a chiudere il bilancio in utile. Ci si riempie la bocca di buoni

propositi, obbligatori visto che dal 2015 chi non ha i conti a posto non potrà

partecipare alla Champions League. Alla fine però – come nel Gattopardo –

tutto cambia perché tutto resti come prima: Inter, Juve, Milan, Roma, Lazio e

gli altri team della massima divisione hanno perso nel 2010-2011 poco più di

1,13 euro per ogni euro che hanno incassato.

Le entrate sono state pari a 2,03 miliardi, in lieve frenata (1,2%) per la

prima volta dal 2006. E l’esercizio si è chiuso in rosso per 300 milioni.

L’intera galassia del pallone (Serie A, Serie B e Lega Pro comprese) ha perso

lo scorso anno 428 milioni, portando a 1,1 miliardi il passivo degli ultimi

tre anni. Numeri che in Borsa avrebbero già costretto da tempo

l’amministratore delegato della Calcio Spa a portare i libri in tribunale.

Mal comune mezzo gaudio, dicono i manager (o presunti tali) al timone di

questo Titanic. A tappare il buco - sostengono - sono i libretti d’assegni dei

presidenti e non i soldi dei contribuenti. E le casse dello Stato incassano

ogni anno che Dio manda in terra qualcosa come 680 milioni in contributi

previdenziali e tasse.

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Di più: l’Europa non sta molto meglio. Il business del soccer cresce a vista

d’occhio (i ricavi continentali sono arrivati a 12,7 miliardi con un rialzo

medio del 9,1% nell’ultimo lustro), le tv si strappano di mano i diritti in

aste miliardarie. Ma alla fine i conti non tornano per tutti: il 61% dei club

censiti dalla Uefa è in rosso e il sistema calcio - dal Portogallo a Mosca,

dalle Fær Øer all’Apoel Nicosia - macina ogni anno 1,6 miliardi di perdite

complessive. Se le regole sul Fair play volute da Michel Platini fossero

entrate in vigore quest’anno (chi ha i conti in rosso in modo significativo

non partecipa alle competizioni europee) il 55% delle squadre sarebbe stato

escluso da Champions e Europa League. Il dramma dell’Italia è che sul Titanic

del calcio il Belpaese viaggia in terza classe. Sul campo i risultati parlano

da soli: non abbiamo più una squadra nelle competizioni internazionali e siamo

scivolati dal nono al dodicesimo posto nel ranking della Uefa. Sul fronte

finanziario e strategico, se possibile, siamo messi ancora peggio. La nuova

legge per agevolare la costruzione degli stadi di proprietà (l’ancora di

salvezza dei big spagnoli, tedeschi e inglesi) è da anni al palo e solo la

Juventus è riuscita a mandare in porto il progetto. E senza i ricavi generati

dalla gestione di queste strutture è ben difficile far quadrare i conti.

Guardiamo i numeri. Le vendite di biglietti e i servizi allo stadio sono

ormai un business marginale per i club. Lo scorso anno sono state pari al 10%

circa delle entrate, una percentuale ridicola rispetto al 33% generato da

Manchester United & C., proprietari dei loro campi. Non solo. Tessera del

tifoso, tornelli e stadi vetusti tengono lontano i tifosi dagli spalti. Nel

2010-2011 gli spettatori paganti sono calati dell’8,2%, un segnale allarmante,

e il tasso di riempimento medio degli stadi della Serie A si è fermato a un

modesto 56%. Certo non è colpa dei prezzi visto che il costo medio di un

biglietto per la nostra massima divisione è di 20 euro circa contro i 50 della

Liga spagnola e i 48 della Premier League. Che possono permettersi di far

pagare queste cifre grazie alla qualità dei servizi offerti.

Sul fronte delle entrate, dopo la corsa degli ultimi anni, segnano il passo

anche i ricavi per diritti tv, che pure rappresentano ormai la metà del

fatturato della Serie A. A far lievitare gli introiti fino a oggi è stata la

sfida a colpi di rilanci tra Sky e Mediaset per aggiudicarsi l’onore di

trasmettere le dirette delle partite. Una concorrenza che aveva fatto bene

alle casse dei club. Oggi però le cose stanno iniziando a cambiare. La

redditività del Biscione perde colpi, l’esperimento della pay tv sul digitale

segna il passo, almeno sotto il profilo dei risultati economici. E il rischio

(per il nostro calcio) è che le aste del futuro possano essere al ribasso. Con

una sorta di monopolista - le tv satellitari di Rupert Murdoch - a dettare le

regole del gioco.

aanShtJ7.jpg

Un’azienda normale, davanti a una fotografia di questo tipo, sa cosa deve

fare per far quadrare i conti: se le entrate non salgono, l’unica soluzione è

tagliare i costi. Ridimensionando in particolare gli stipendi per i giocatori,

di gran lunga la spesa più importante per una squadra di serie A. Anche qui da

anni fioccano i buoni propositi. Ma risultati zero: lo scorso anno su ogni 100

euro incassati dai nostri club, ben 69 sono stati utilizzati per le buste paga

della rosa. Più o meno lo stesso livello degli ultimi cinque anni. In Europa

(dove il 10% dei team paga più stipendi del suo fatturato) non va molto meglio,

ma almeno siamo a quota 64. Non serve una laurea alla Bocconi per capire che

con questo sbilancio dei conti non si va troppo lontano. E infatti oltre a 300

milioni di perdite, il massimo campionato tricolore è riuscito nel bel

risultato di mettere assieme anche 2,6 miliardi di debiti. Una zavorra che

prima o poi rischia di mandarlo definitivamente a fondo.

I nodi, come vaticina da tempo Platini, verranno al pettine nella stagione

2013-2014. Tra due anni i numeri di bilancio non saranno più un’opinione ma il

biglietto da visita necessario per poter accedere all’Europa che conta. Quella

dei tornei continentali che, oltre che a tanto prestigio, portano pure molti

soldi. Allo stato l’Italia, al di là del declassamento subìto nel ranking,

rischia di rimanere fuori da ogni torneo. Ed è in buona compagnia. Barça e

Real Madrid dominano la scena continentale sul campo. Ma quanto a stato di

salute finanziario non sono poi messe molto meglio dei nostri club. I debiti

della Liga, secondo uno studio dell’Università di Barcellona, viaggiano alla

quota stratosferica di 3,5 miliardi. Troppi per sperare di riportare la barca

a livello di galleggiamento entro il 2014. Tanto che il Governo di Madrid,

impegnato in questi giorni nella terza manovra che chiederà sacrifici ai suoi

cittadini, sta studiando un condono fiscale da 680 milioni di euro in favore

delle squadre di calcio per non rompere uno dei pochi giocattoli rimasti agli

spagnoli.

Il calcio italiano invece potrà contare solo sulle sue forze. E il problema è

che anche i Paperoni di una volta, quei presidente pronti a spendere decine di

milioni per la passione del pallone, ormai non esistono più. Moratti deve fare

i conti con i guai della Saras, Silvio Berlusconi ha già le sue belle gatte da

pelare con Mediaset, la Juve - che pure con lo stadio di proprietà è anni luce

davanti agli altri - non può permettersi colpi di testa come Lazio, Napoli e

Roma. E il futuro prossimo venturo allora ha le carte segnate. O un percorso

di decrescita del calcio tricolore (magari finalmente farà emergere qualcuno

dai vivai) o l’arrivo nella penisola di quei nuovi ricchi, russi, cinesi e

arabi in testa, che già hanno cambiato il volto proprietario del soccer nel

resto del continente.

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-------

[ L’INTERVISTA ]

Uckmar: "Gravi le scommesse

ma il vero scandalo è nei bilanci"

L'EX PRESIDENTE DEL COVISOC ACCUSA: AL DI LÀ DELLE VICENDE

PENALI, IL GUAIO È CHE FRA EVASIONI FISCALI E CONTI ARTEFATTI IL

SETTORE RESTA PRIVO DI REGOLE PRECISE. "NEANCHE LE QUOTAZIONI

IN BORSA HANNO PORTATO UN PO' DI CORRETTEZZA E DI ETICA"

di EUGENIO OCCORSIO (la Repubblica - AFFARI & FINANZA 16-04-2012)

«Il mondo del calcio ha tantissimi problemi. Quelli giudiziari, ma soprattutto

quelli finanziari. Questi ultimi, ora che c’è la crisi, stanno ulteriormente

peggiorando: vengono meno tante sponsorizzazioni e, parliamoci con franchezza,

anche l’utilizzo della false fatture. Era diffusissimo e nessun invito

all’etica e al rispetto delle regole era riuscito finora ad arginarlo: ma

finalmente, ora che Befera e la finanza non scherzano più, sta crollando.

Senza contare che i due discorsi, sponsor e fatture false, spesso e volentieri

s’incrociavano». Victor Uckmar, classe 1925, emerito di diritto tributario

dell’università di Genova e attualmente docente alla Luiss e a Macerata, è

tagliente nei suoi giudizi come sempre. Dal suo studio legaletributario di

Genova, uno dei più prestigiosi d’Italia, risponde con amara ironia ricordando

quanto ha cercato di instillare moralità e regole nel mondo del calcio: da

presidente del Covisoc, l’agenzia della Figc per il controllo sui bilanci, ha

combattuto per tutti gli anni ‘90 epiche battaglie in nome dell’etica, «quasi

tutte perse». Però con una soddisfazione: «I membri della commissione che

presiedevo erano cinque, e abbiamo preso tutte le decisioni e le pronunce

all’unanimità».

Professore, perché diceva che i due discorsi, fatture false e

sponsorizzazioni, finiscono spesso con il sovrapporsi?

«Le faccio un esempio molto semplice e altrettanto diffuso. Un’azienda

sponsorizza una squadra, e questa subito dopo restituisce alla stessa azienda

parte di quanto aveva ricevuto per la sponsorizzazione. Così l’azienda si crea

un pool di denaro in nero. Poi ci sono gli infiniti imbrogli connessi con i

compensi ai giocatori, l’omesso versamento delle ritenute non effettuate, i

giochi intorno all’abitudine per la società sportiva di pagare essa stessa le

imposte al posto del giocatore: se devo dare un milione al calciatore su

questo gravano duecentomila di ritenuta. Le tasse se si agisse con onestà

andrebbero calcolate su un milione e duecentomila, invece a volte vengono

calcolate su un milione».

Sono accuse pesanti...

«Mi sto facendo degli altri nemici nell’ambiente, come se non ne avessi

abbastanza. Ma, mi creda, la contabilità delle società di calcio è una cosa da

mettersi le mani nei capelli. Va pur detto che, al di là degli aspetti etici,

guadagnare con il calcio è praticamente impossibile. Ci sono emolumenti

incredibili in tutte le serie maggiori, non solo A e B ma anche nella Pro Lega

(la ex serie C, ndr). Non a caso le società stanno diminuendo: nella Pro Lega

da 90 nel 2010/11 sono scese a 77 nel campionato in corso. Ho proposto di

mettere un tetto ai salari ma è una misura vana, facilmente aggirabile. Avevo

proposto anche di limitare la rosa dei giocatori e questo avrebbe ridotto le

spese e incrementato il mercato dell’offerta. Ma non c’è stato niente da fare.

C’è un problema di fondo: il progressivo calo dei biglietti e degli

abbonamenti, che ormai non coprono più del 2030% dei bilanci».

Ma i diritti televisivi non compensano questo gap?

«Non del tutto, e anche essi stanno scendendo. Le società si salvano per quel

misto di follia popolare e capacità di arrangiarsi che inevitabilmente ruota

intorno al calcio. Mi ricordo che un anno si dovevano soddisfare certi

requisiti contabili entro il 31 dicembre. La scadenza stava avvicinandosi e

addirittura l’Inter, in una gestione precedente a quella attuale, non ce la

faceva. All’ultimo come d’incanto, malgrado io sostenessi la necessità di non

modificare i regolamenti nel corso della stagione, la deadline fu spostata al

31 marzo. Ha visto cosa si può fare con qualche biglietto di tribuna d’onore?»

Quanto conta la politica nel calcio?

«Moltissimo, e non c’è distinzione fra governi di sinistra e di destra. Io ne

ho visti di tutti i tipi: i primi per esempio limitarono i poteri del Covisoc,

ai secondi si deve quel capolavoro di machiavellismo che furono i decreti

salvacalcio con la diluizione venticinquennale dei debiti in deroga alle leggi

commerciali e fiscali, roba che non si è vista neanche nel salvataggio della

Grecia. E infatti l’Europa ce l’ha censurato».

La Borsa non potrebbe essere una soluzione?

«Potrebbe esserlo perché le società sono finalmente costrette a redigere un

prospetto corretto. Ma ci sono troppe incognite e troppi rischi per i

risparmiatori. Oltre all’andamento finanziario bisogna anche stare attenti ai

risultati sportivi. Mi ricordo quando con Carraro fui convocato dalla Consob

per esporre la nostra opinione sulla quotazione delle società. Lui era

entusiasta, io ammonivo: "purché sul prospetto, a lettere cubitali sia

scritto: non sono adatti a vedove e orfani". Ne venne fuori un putiferio».

Debiti, perdite, grane: ma perché i capitani d’industria continuano a

investire nel calcio?

«Diciamo che qualcuno lo fa per genuino spirito campanilistico. Ma chi ha un

gruppo diversificato lo fa spesso per avere una società che perde, e nel

calcio come abbiamo visto si perde sicuro, per scaricarsi le perdite nella

holding. È una vecchia storia, e non c’è modo di scardinarla, così come tante

altre cattive abitudini come la factorizzazione dei proventi televisivi

solitamente triennali: una televisione firma un contratto e l’amministratore

della società si precipita in banca a scontare l’intero importo di tutti e tre

gli anni. Ci sono infine dei presidenti che lo fanno per il prestigio

personale che dà l’essere il patron di una società. Una volta un industriale

di medio livello mi disse: per me sarebbe stato impossibile diversamente

sedermi a tavola con Agnelli. Costi quel che costi».

aarp5gai.jpg

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Serie A - Triste verità: ecco la guerra dei recuperi

lun, 16 apr 17:12:00 2012

Roma e Parma si oppongono al clima creatosi in Lega Calcio: i dirigenti crociati non prenderanno parte al Consiglio che deciderà come recuperare la 33esima giornata di Serie A dopo il rinvio deciso per la morte di Piermario Morosini

Tutto avremmo potuto immaginare, ma non che si potesse arrivare a discutere di un argomento così futile a poche ore dalla morte di Piermario Morosini. Invece no, ancora una volta il nostro calcio si dimostra - per dirla con un eufemismo - "non all'altezza" della situazione. E, così, capita che il Consiglio di Lega di questa sera nasca nel peggiore degli stati d'animo possibili, quello del conflitto.

LA DISPUTA - Tutto nasce con le due ipotesi sorte subito dopo la notizia del rinvio della 33esima giornata di campionato. La prima vorrebbe che le gare fossero recuperate il 25 aprile prossimo, mentre la seconda opzione sarebbe il semplice "slittamento" dei match al prossimo weekend, con l'infrasettimanale che dovrebbe prevedere il programma della 34esima giornata. Dal punto di vista sportivo sarebbe meglio la seconda opzione (verrebbero mantenuti intatte le squalifiche che erano in atto per il weekend scorso, per fare un esempio), mentre nell'ottica dei tifosi sarebbe preferibile la prima opzione (che porterebbe a un solo rimborso e non a due). Un problema non drammatico in entrambi i casi. E, invece, la situazione devastante nella quale si trova a vivere la Lega Calcio di un presidente dimissionario da più di un anno è deflagrata. Inter, Genoa e Chievo si sono contrapposte all'idea dello slittamento, rendendo impossibile alcun accordo "telefonico", senza la convocazione del Consiglio di Lega. Un fatto che fa storcere il naso non a pochi, in questi giorni di dolore.

LA DENUNCIA DI BALDINI - Il dg della Roma, da sempre una mosca bianca nel nostro calcio, è uscito allo scoperto. "Dopo più di un giorno e mezzo passato in frenetiche consultazioni con le proprie società affiliate - ha detto Franco Baldini - una Lega delegittimata in quelle che dovrebbero essere le sue funzioni non è ancora in grado di prendere una decisione. La Roma accetterà qualsiasi decisione la Lega sia in grado di prendere. Ma alla fine riusciamo ogni volta a dimostrare quello che siamo: persone che anche nelle situazioni più tragiche come quella a cui è dovuta la sospensione del campionato, non riescono a non cadere nel ridicolo".

GHIRARDI BOICOTTA - Il presidente del Parma non ne ha nemmeno voluto sapere di presentarsi a Milano per discutere di un tema così stucchevole: "Sono a disposizione di Figc e Lega per giocare quando verrà deciso, ho detto ai miei colleghi che il Parma è a disposizione di qualsiasi decisione verrà presa, per noi non cambia nulla, mi facciano giocare dove vogliono. Non voglio far polemica. Ritengo che sia stato giusto fermare il calcio perché + una disgrazia che ha colpito tutti noi e tanti giocatori con cui Morosini era amico. Era doveroso fermare il campionato e ho sentito tante sciocchezze di chi diceva che invece bisognava giocare. Era giusto rispettare i sentimenti di ragazzi che hanno condiviso con tutti lui tanti anni di carriera. Ognuno ha le sue idee, per questo non le esprimo, lo trovo inutile. Non voglio neanche pensare che qualcuno voglia speculare su una tale disgrazia".

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Il calcio chiude per lutto

di OLIVIERO BEHA dalla rubrica Partite&partiti (tv.ilFattoQuotidiano.it 16-04-2012)

Giornata di lutto nel calcio per la morte a soli 25 (anni) del giocatore del

Livorno Piermario Morosini. Bene ha fatto la Federcalcio ad abbassare la

saracinesca del campionato: non disputare le partite ha ricordato ai tifosi

e agli italiani che non viene prima il campionato e poi la vita, ma casomai il

contrario. Lo ha detto anche il fuoriclasse dell’Udinese, Antonio Di Natale:

“Si gioca troppo, così non ce la facciamo”. Questo è il nocciolo: i giocatori

non sono statuine di un presepe. Deve succedere un dramma del genere

per far capire che non si può andare avanti così? Anche per il calcio, come

per l’economia, varrebbe la pena di applicare la teoria della decrescita

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L'APPUNTO di LUIGI SALOMONE (IL TEMPO 14-04-2012)

Processi giusti e non veloci

per evitare un'altra Calciopoli

art.scoperto grazie a P.CICCONOFRI

I tifosi laziali hanno trascorso la giornata degli interrogatori di Mauri e

Brocchi tra speranze e paure, ma con con una certezza: non vogliono più

sentire dalle autorità sportive il riferimento a processi veloci proprio come

accadde sei anni fa durante Calciopoli. Le scoperte successive, con il

coinvolgimento di altre società, le intercettazioni postume scartate da

qualcuno sensibile a qualche club potente piuttosto che ad altri, sono un

brutto film già visto. E nessuno vuole rivivere quelle udienze che «Ruperto

Speedy Gonzales» volle portare a termine, senza salvaguardare in alcun modo i

sacrosanti diritti delle difese di poter esporre le proprie tesi.

Stavolta sia giustizia giusta e non parziale e soprattutto non divisa in tre

filoni successivi. Per ridare credibilità al calcio minato dall'autorete

volontaria del capitano del Bari in un derby contro il Lecce, bisogna puntare

su un mega-processo che dia verdetti completi. Per tutti. Bisogna attendere i

risultati delle inchieste delle Procure di Cremona, Bari e Napoli prima di

istruire il processo sportivo. Sarebbe impossibile accettare che una squadra

possa perdere risultati sportivi importanti a vantaggio di un'altra che poi un

mese dopo si scopre colpevole come la prima.

Insomma non si crei ulteriore caos, si trovino riscontri chiari perché è vero

che la giustizia sportiva ha altri principi rispetto a quella ordinaria, però

non si può condannare sulla base di confessioni a rate di un pentito che si

era venduto svariate partite. Peraltro riferendo verità dette da un'altra

persona, uno della banda degli «Zingari», non proprio un uomo di provata

moralità. Quindi, occhi aperti perché stavolta il pubblico laziale pretende

certezze e non sentenze fumose prive di quelle prove necessarie per non far

diventare i processi sportivi il regno di figli e figliastri.

di P.CICCONOFRI (
GIÚ
le
MANI
dalla
JUVE
16-04-2012)

Il tempo.it ha pubblicato sabato 14 aprile un articolo dal titolo:

Vi riporto qualche passaggio:
"I tifosi laziali hanno trascorso

la giornata degli interrogatori di Mauri e Brocchi tra speranze

e paure, ma con con una certezza:
non vogliono più sentire

dalle autorità sportive il riferimento a processi veloci proprio

come accadde sei anni fa durante Calciopoli
. Le scoperte

successive, con il coinvolgimento di altre società, le intercettazioni

postume scartate da qualcuno sensibile a qualche club potente

piuttosto che ad altri, sono un brutto film già visto. E nessuno

vuole rivivere quelle udienze che «Ruperto Speedy Gonzales»

volle portare a termine,
senza salvaguardare in alcun modo

i sacrosanti diritti delle difese di poter esporre le proprie

tesi
". Ed ancora: "perché stavolta il pubblico laziale
pretende

certezze e non sentenze fumose prive di quelle prove

necessarie per non far diventare i processi sportivi il regno di

figli e figliastri
".

C'è piena
consapevolezza
della farsa di calciopoli, della

mancanza di certezze a supporto delle sentenze e dell’abuso

della giustizia sportiva.

Consapevolezza che indirettamente possiamo trovare anche

nella strategia mediatica che oggi non vuole più approfondire

le tematiche legate al recente passato di calciopoli, ma che

preferisce indirizzare la nuova indagine sul calcioscommesse

con il solito giochino di puntare i riflettori verso la direzione che

porta ad una soluzione di comodo.

Giochi vecchi e subdole polemiche fanno da sfondo ad un

ambiente che oramai ha imparato a
riconoscere chi bleffa
.

E mentre intere trasmissioni sportive parlano del rinnovo di

Del Piero, ripropongono le lamentele di Zeman contro l'arbitro

di turno e le recriminazioni con il solito ritornello di Allegri, i

tifosi si preoccupano di non essere le prossime vittime del

sistema gestito a piene mani (i "figliastri") dalla giustizia

sportiva; non vogliono essere condannati da processi veloci

e senza potersi difendere.

Leggere che qualcuno mette le mani avanti per non essere

giudicati nell'assurdo modo con cui hanno avallato calciopoli,

è la dimostrazione che anni di contro informazione sono serviti

per far comprendere un certo modo di agire della giustizia

sportiva anche ai tifosi, nonostante il muro eretto a sua difesa

da un politica senza argomenti ma ancora con molto potere.

Anni di scandali presunti (calciopoli), usati per coprire

i veri scandali
, quelli che hanno portato al collasso attuale

di tutte le strutture del mondo sportivo, con politicanti più

preoccupati a difendere la poltrona che a cogliere tutti quei

segnali che potevano evitare una nuova vergogna al nostro

calcio.

Ci sono le solite parole di circostanza, quelle di Abete e

Petrucci e c’è la consapevolezza nei tifosi dei limiti di questo

sistema, che non si può combattere adeguatamente quando

devi confrontarti con un modo che si muove solo quando

viene colpito direttamente.

E' questo il punto debole su cui forza l'intero sistema per

continuare questa politica di imposizione.
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IL BUONO E IL CATTIVO DEL CALCIO: LA STORIA MALEDETTA DI CARLO PETRINI

Fabrizio Bocca - Bloooog! - repubblica.it -16-04-2012

Un giorno Piermario Morosini e due giorni dopo Carlo Petrini. E’ inutile chiedersi come e perché accadano le cose, accadono e basta. E anche in maniera assurda, impossibile, in una sequenza che nessuno può immaginare. Non esiste un senso nella maniera in cui le cose accadono, o forse esiste e siamo noi a non capirlo. Un giorno parliamo dela dolcezza di un ragazzo che tutti noi abbiamo abbracciato mentre moriva in maniera fulminante, tragica e inaccettabile e subito dopo siamo qui a parlare del suo esatto contrario, del male del calcio. Nessuno si commuoverà probabilmente per la morte di Carlo Petrini, perché è l’esatta antitesi dell’uomo per cui abbiamo pianto sabato e domenica, il diavolo (se esiste), un calciatore che non solo è finito nel baratro ma ci si è buttato, e la sua vita l’ha trasformata più o meno consapevolmente in un inferno. Il doping, le scommesse, gli scandali, le partite truccate, un fango fuoriuscito dai suoi racconti e dai suoi libri talmente nero e violento da chiedersi se fosse mai possibile. Il mito degli anni 70 e 80 spezzato, calpestato, addirittura violentato. Era un buon attaccante Petrini, che ha oscillato tra serie A e B, passando anche per squadre importanti dal Milan al Toro, dalla Fiorentina alla Roma, ma quello che ha confessato ha ovviamente macchiato gran parte della sua carriera, per non dire tutta.

Ho letto molto dei suoi libri, il più famoso è il primo “Nel fango del dio pallone”, dove ricostruiva le pratiche del doping forse all’origine del glaucoma che lo ha reso cieco e del tumore che alla fine lo ha ucciso a 64 anni; le scommesse e le partite truccate – con tanto di racconto del famoso Bologna-Juventus del 13 gennaio 1980 – che ne determinarono la squalifica e il susseguente disastro professionale come calciatore; una vita maledetta finita in pezzi e culminata con una fuga all’estero senza nemmeno avere il coraggio di rientrare in Italia per andare al capezzale del figlio Diego morto a 19anni anche lui di tumore. Credo che non possa esistere quasi niente di peggio.

Non mi sono mai fidato fino in fondo dei suoi libri, non ho mai capito quanto fossero sinceri i suoi racconti, non ho mai capito se non cavalcasse ad arte le nefandezze di se stesso e del calcio che raccontava, appunto per propria stessa convenienza. Non lo so, forse era un pentito realmente affidabile e noi preferivamo chiudere almeno in parte gli occhi. Però credo anche che ultimamente, cieco e ormai malato senza quasi speranza, fosse effettivamente diventato più sincero. Ci sono molti documenti su di lui, interviste, pièce teatrali e anche film, come “Centravanti Nato” del regista Claudio Guiducci, prodotto da Barbara Balzaretti. E sempre su YouTube potete trovare una bella intervista del giornalista Hervé Bricca in cui Petrini, fisicamente segnato dalla malattia, ripercorre la sua vita con qualche lettura dai suoi libri, in particolare “Nel Fango del dio pallone”. Una vita maledetta e in larga parte disprezzata, conclusa con rassegnazione dopo aver ritrovato un filo di speranza e di luce. Non solo il fango almeno, per sua buona pace: “Io oggi vivo sereno, qualunque cosa mi succederà non ha più importanza”.

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CALCIOSCOMMESSE

Gianello choc

«Tentata una combine

per Sampdoria-Napoli

No da Cannavaro e Grava»

L'ex portiere incalzato dai pm inguaia club e alcuni compagni

Nel mirino pure Brescia-Catania e Bologna-Parma. E Mascara...

di MAURIZIO GALDI (GaSport 17-04-2012)

Ha retto quasi un anno il segreto della Procura di Napoli, del pool «reati da

stadio» coordinato dall'aggiunto Giovanni Melillo, ma come tutti i segreti

alla fine eccolo svelato: per Sampdoria-Napoli (1-0) del 16 maggio 2010 ci fu

un tentativo di combine. A raccontarlo è Matteo Gianello, ex portiere del

Napoli, indagato dalla Procura insieme ai fratelli Michele e Federico Cossato

e a Silvio Giusti, tutti ex calciatori. Gianello lo racconta ai pm napoletani

(oltre a Melillo, i sostituti Antonello Ardituro, Danilo De Simone e Vincenzo

Ranieri). In verità per farlo ci mette oltre cinque «sofferte» ore perché

all'inizio dell'interrogatorio — tratto anche in errore dal nome del pool che

lo aveva convocato — riferisce di una serie di biglietti regalati a una

persona di Afragola che ne avrebbe fatto commercio. «Questo per noi è

irrilevante. Non è questo il motivo della convocazione», così i pm gelano

Gianello al quale spiegano poi che è indagato perché con altre persone ha

tentato di combinare della partite per poterci scommettere.

Lecce-Napoli I magistrati iniziano le contestazioni dalla partita della

stagione 2010-2011 Lecce-Napoli (2-1), disputatasi domenica 8 maggio 2011.

Interrogato sulle richieste di informazioni fattegli da Giusti e Michele

Cossato, Gianello riferisce di aver sempre detto che l'impegno del Napoli

sarebbe stato massimo. Ma poi, dopo che gli vengono fatte ascoltare le prime

telefonate, deve ammettere: «Prendo atto che il significato delle

conversazioni intercettate appare del tutto contrario a quello da me

riferito». Il Napoli perse e De Laurentiis si arrabbiò.

Le altre partite Si va avanti così, tra contestazioni, affermazioni

categoriche («Sono a conoscenza che l'ordinamento sportivo vieta ai tesserati

di effettuare scommesse su eventi sportivi, ma voglio precisare che non ho mai

nemmeno partecipato ai giochi noti a tutti come "gratta e vinci"») e

successivi marcia indietro appena le contestazioni dei magistrati vengono

accompagnate dall'ascolto delle intercettazioni telefoniche. Si arriva alla

richiesta di informazioni su Brescia-Catania fatta da Silvio Giusti che vuole

notizie attraverso «dentino», l'ex compagno di squadra di Gianello, Giuseppe

Mascara, ma anche su Bologna-Parma. Altra salve di intercettazioni e si parla

di «9 e 11 fighe». Gianello spiega: «Per mia personale valutazione ritenevo

che a nove giocatori su undici delle due squadre potesse andare bene il

pareggio». Ma fino a questo punto, e sono passate già tre ore, nessuna

ammissione di scommesse.

Sampdoria-Napoli E qui si arriva alla sagra del «prendo atto» e del

«riflettendo». I pm incalzano Gianello sulla partita. Si parte dall'ammissione

che Giusti chiese informazioni sulla gara, si arriva altrove, quando

finalmente la memoria e le intercettazioni corrono in aiuto di Gianello:

«Ricordo che Giusti mi prospettò la possibilità di ricompensare i compagni che

avessero aderito alla richiesta (di rendere maggiormente sicuro il risultato

della partita a favore della Sampdoria) con somme di denaro». Poi parla di

quattro o cinque compagni presenti nello spogliatoio, ma non ricorda i nomi,

ma poi riflettendo...

Cannavaro e Grava «Mi rivolsi a Paolo Cannavaro e a Grava e a nessun altro».

Esclude infatti la presenza di Santacroce, De Sanctis o di averne parlato con

Quagliarella, ma specifica: «Cannavaro e Grava diedero immediatamente e con

estrema decisione una risposta negativa». Ed erano pure contrariati, secondo

Gianello. Ma a nessuno di loro è venuto in mente di avvisare la Procura

federale: per questo rischiano almeno l'omessa denuncia, e il Napoli la

responsabilità oggettiva per diverse partite anche se al momento solo in

quella con la Sampdoria sarebbe provata la tentata combine. E Gianello? Forse

a lui converrà rispondere senza esitazioni o dimenticanze almeno alla Procura

federale.

Le scommesse Si deve arrivare a fine verbale per avere qualche ulteriore

ammissione: «Preciso che quei discorsi su scommesse, quote, puntate on line in

Inghilterra o Austria cominciarono ad essermi fatti con l'inizio dello scorso

campionato di calcio (2009-2010, ndr)». Poi una curiosità: «I riferimenti alla

camera a 5 stelle e a 10 stelle erano relative a somme di denaro di 5. 000 e

10.000 euro da scommettere».

Il punto
di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 17-04-2012)

Le verità che nessuno racconta

Le otto pagine del verbale Gianello venute alla luce, meglio

tardi che mai, con quasi un anno di ritardo, rappresentano un

piccolo esemplare spaccato di come funzionano le cose in

scommessopoli. Negare, negare, negare sempre. Fino a quando

è possibile. E solo nel momento in cui ti sventolano sotto il naso

l'intercettazione che ti inchioda, cominciare con le ammissioni.

Il minimo indispensabile, o meglio il minimo che non puoi fare

proprio a meno di confermare, perché tanto lo racconta già la

tua voce intercettata. La strada di Gianello è stata percorsa da

altri suoi più illustri compagni di merende, da Doni a Gervasoni

a Masiello, più o meno mal consigliati. Strategie che non

aiutano la ricerca della verità. Per quella ci vorrebbero dei

pentiti «veri».
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LA PRESENTAZIONE CON CAPELLO TESTIMONIAL

Eventi e business

Dubai tra Platini

e il via a Gea World

Globe Soccer a fine anno avrà il presidente Uefa.

Moggi jr apre gli uffici negli Emirati

di MATTEO BREGA (GaSport 17-04-2012)

Globe Soccer non si ferma, ma addirittura triplica. E si associa con la rinata

Gea World Middle East di Alessandro Moggi. Si è infatti tenuta ieri presso la

sede del Dubai Sports Council la conferenza per celebrare la firma del rinnovo

triennale dell'abbinamento tra l'International Sports Conference e Globe

Soccer. L'evento è stato fissato per il 29 e 30 dicembre. Ospite d'onore sarà

Michel Platini, il presidente dell'Uefa. Ed è stata anche l'occasione per

presentare il nuovo consorzio che unisce l'anima del Globe Soccer, la Bendoni

Communication, con la Gea World Middle East di Moggi in società con Riccardo

Calleri e Tommaso Bendoni.

Ospiti Testimonial del Globe Soccer saranno Fabio Capello già presente nelle

edizioni precedenti e Fabio Cannavaro. L'ex c.t. della nazionale inglese ha

espresso ammirazione per l'evento, uno dei migliori per location e qualità

degli interventi. L'appuntamento definisce le strategie per consolidare la

nuova immagine degli Emirati Arabi Uniti agli occhi degli addetti ai lavori.

Quando mancano dieci anni al primo Mondiale in Medio Oriente, il

posizionamento studiato per promuovere questa città nel ruolo di anticamera

della rassegna iridata sembra perfetto.

La Gea riparte Nella presentazione di ieri è intervenuto anche Alessandro

Moggi ringraziando per l'ospitalità e ufficializzando l'apertura della nuova

sede in loco. Un chiaro segnale di quanto la scelta rappresenti un vero e

proprio investimento. Il Gala degli Awards del Globe Soccer ai piedi del Burj

Khalifa è previsto per la sera del 28 dicembre.

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IL PM ARCHIVIÒ

Ex dirigente accusa Abete

per presunta omissione

di ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 17-04-2012)

ROMA. Un giorno in Tribunale, ma lasciando il campo al legale storico della

Federcalcio, Tito Lucrezio Milella, per Giancarlo Abete. Il presidente

federale doveva rispondere di fronte al gip Roberto Saolino dell’accusa

formulata in un esposto presentato dall’ex viceprocuratore Figc, Gino

Tapinassi. Da ex membro della Commissione antidoping della federazione,

quest’ultimo aveva citato Abete per omissione di atti d’ufficio per non aver

proceduto a inviare gli atti sull’indebita nomina di un paio di commissari

antidoping: soggetti che, al momento dell’incarico, non avevano i titoli

(anche nel match Reggina-Juve del 2004, divenuto famoso per l’episodio

Paparesta) per assistere alle operazioni negli spogliatoi. Il pm Fasanelli

aveva proposto l’archiviazione per Abete, mentre Tapinassi e il suo legale Di

Gioia si sono opposti. «I controlli vennero fatti da incaricati con le carte a

posto secondo la legge e le procedure Wada - ci dice l’avvocato Milella -.

Abete non ha violato nessuna norma di legge, presupposto dell’articolo 323 del

codice». Tapinassi sostiene, invece, che l’accusa abbia chiesto a suo tempo

l’archiviazione per l’inconsapevolezza di Abete. Il gip Saolino s’è riservato

la decisione se disporre o meno il giudizio in tre giorni.

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CALCIOSCOMMESSE

Gianello choc

«Tentata una combine

per Sampdoria-Napoli

No da Cannavaro e Grava»

L'ex portiere incalzato dai pm inguaia club e alcuni compagni

Nel mirino pure Brescia-Catania e Bologna-Parma. E Mascara...

di MAURIZIO GALDI (GaSport 17-04-2012)

[...]

Procura di Napoli - Gazza : affinità elettive

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Mazzola: dico rossoneri, ma a bassa voce. Ferri: meglio a Torino

Chi vincerà lo scudetto?

Gli interisti e il «male minore»

di FRANCO FIOCCHINI (CorSera - Milano 17-04-2012)

Massimo Moratti è stato chiaro al riguardo: «Mi piacerebbe che lo scudetto lo

vincesse il Napoli». Impossibile, almeno quest'anno. Gli interisti si devono

rassegnare: o lo scudetto resta sulle maglie del Milan o torna su quelle della

Juve. Rimane solo da stabilire quale sia il male minore: non solo per i tifosi,

ma anche per chi ha indossato per anni la maglia nerazzurra. «Seguo solo la

volata per il terzo posto, il resto non mi interessa.. . In ogni caso più si

festeggia lontano da Milano e meglio è - sottolinea Evaristo Beccalossi -.

Questi del Milan mi hanno davvero scocciato: quando l'Inter vinceva uno

scudetto dopo l'altro ripetevano in continuazione che contava solo conquistare

la Champions. Dall'anno scorso, invece, sostengono che arrivare primi in

campionato è un traguardo molto importante. Allora dico: se non vincono lo

scudetto fanno un bel triplete. Ma al contrario».

Beppe Bergomi si sforza di essere meno tifoso del Becca, però pure lui,

costretto a scegliere, dice Juve. «Milan e Juve hanno sempre fatto la guerra

all'Inter in questi anni mentre il club di Moratti conquistava scudetti e la

Champions. Sono stato spesso nel nuovo stadio dei bianconeri e mi ha colpito

il senso di appartenenza che si percepisce. Vincesse la Juve sarebbe il premio

meritato per un club che ha deciso di avere uno stadio di proprietà».

«Io non ci sono mai stato in quello nuovo - sottolinea Gianluca Pagliuca - ma

ho giocato tante partite negli altri due e non riesco a dimenticare tutti i

torti che ho subito non solo con l'Inter ma anche col Bologna. A cominciare

dal clamoroso fallo di Iuliano su Ronaldo che Ceccarini fece finta di non

vedere, ma credetemi la serie è molto lunga. Milan e Juve mi stanno proprio

antipatiche, dovendo scegliere, però, dico Milan in ricordo dei tanti errori

arbitrali subiti. Sempre a favore dei bianconeri».

Sandro Mazzola ostenta totale indifferenza. «Non me ne importa niente di chi

vincerà lo scudetto, a me interessa solo che l'Inter riesca ad andare in

Champions. Come Moratti mi piacerebbe che fosse il Napoli a vincere e se

proprio mi dovessero mettere una pistola alla tempia direi a bassa voce:

Milan. Ma solo perché costretto con la violenza».

«Non essendoci l'Inter di mezzo dovunque vada lo scudetto per me è uguale -

argomenta Lele Oriali -. A sei giornate dalla fine la squadra di Conte è

padrona del proprio destino e non è poco anche se al Milan manca il gol di

Muntari che il centrocampista aveva realizzato proprio contro la Juve».

Riccardo Ferri è convinto sia ora di mettere la parola fine alle

interminabili polemiche tra Milan e Juve. «Entrambe hanno disputato una grande

stagione e visto che solo una vince dico Juve perché Antonio Conte sta proprio

realizzando una grande impresa a portare subito in alto una squadra reduce da

alcune stagioni negative. Ecco perché meriterebbe di conquistare lo scudetto

al primo tentativo».

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È MORTO PETRINI

RACCONTÒ L’ANIMA

NERA DEL CALCIO

Ex centravanti, coinvolto nel calcioscommesse, denunciò il doping

degli anni Settanta. Tra i suoi libri uno anche sul “caso Bergamini”

di FRANCESCO CAREMANI (l'Unità 17-04-2012)

Cuoio e fango, e cicatrici, volute, cercate, con ostinazione e disperazione,

con quello sguardodisincantato e disgustato di chi nonha più niente da perdere,

maancora molto da raccontare e voglia di scoprire. Carlo Petrini è morto ieri

mattina, alle 5, nell’ospedale di Lucca, sconfitto dalla malattia che da tempo

lo marcava stretto, senza impedirgli di continuare a lottare contro

l’ipocrisia e lo schifo di un mondo, quello del calcio, di cui è stato prima

scellerato protagonista, poi emarginato, infine grande accusatore.

«Nel fango del dio pallone», come ha scritto il direttore del Guerin Sportivo

Matteo Marani nel suo blog, è il nostro piccolo Romanzo criminale, un libro

che, superato l’iniziale e fin troppo vasto scetticismo, è diventato uno

spartiacque della narrativa sportiva d’inchiesta. Un libro che ci ha riportato

indietro di vent’anni costringendoci a fare i conti con il grande scandalo del

calcioscommesse e gli anfratti più reconditi e inconfessabili di uno sport che

viveva tre metri sopra il cielo dei comuni mortali e della legge.

Nato a Monticiano (Siena), lo stesso paese natale di Luciano Moggi, il 29

marzo del 1948, calcisticamente è cresciuto nelle giovanili del Genoa, per poi

consacrarsi con il Milan di Nereo Rocco. Nella sua bacheca la Coppa dei

Campioni e la Coppa Italia, vinta col Torino nel ’71. Poi Catanzaro, Ternana,

Roma, Verona, Cesena, Bologna, l’inizio della fine. Difficile, oggi, ricordare

il discreto attaccante di calcio che ha vestito anche la maglia azzurra delle

rappresentative minori, più facile ricordare lo scrittore, onesto, asciutto,

violento che ha trovato nella penna il modo di rimettere un po’ d’ordine in

una vita segnata da eccessi, cinismo, fragilità e vigliaccherie. Il

coinvolgimento nel calcioscommesse, la condanna esemplare di tre anni e sei

mesi, poi ridotta grazie all’amnistia per la vittoria dell’Italia ai Mondiali

dell’82. Il tentativo di ritorno nel calcio, infine l’oblio di un ambiente che

l’aveva usato e gettato via quando non serviva più.

ABISSI

Petrini iniziò a gestire una finanziaria. Come nella sua carriera da

calciatore partì bene per poi sprofondare, tra usurai e cattive conoscenze,

che lo costrinsero a scappare in Francia. Nel 1995 il figlio Diego

(promettente calciatore) morente per un tumore al cervello lancia un appello:

vuol rivedere suo padre prima di morire, rimanendo senza risposta. È stato lì,

in quell’inferno di dolore, disperazione e rimorso che Carlo Petrini ha

ritrovato qualche spicciolo di dignità da spendere al mercato della vita.

Per molti (troppi) questo passato inficerebbe la veridicità dei suoi libri,

invece la forza di Petrini è stata quella di trasformare il fango in cuoio e

tornare a calciare fendenti perfetti che hanno colpito l’anima e la

sensibilità degli appassionati, insieme a qualche giornalista illuminato.

Nella ricerca di una pace interiore ha raccontato tutto quello che aveva

vissuto senza sconti per il proprio lato oscuro, sempre al centro della scena,

insieme con molti altri.

Quando decise di scrivere «Il calciatore suicidato» (la vicenda ancora

irrisolta di Denis Bergamini) il primo viaggio in Calabria lo fece nel giorno

del compleanno di suo figlio Diego, con uno sguardo pieno di angoscia e paure,

al tempo stesso inquietante: «Io escluderei al 100% il suicidio. Nessuna delle

persone con cui ho parlato crede a quella versione », disse a l’Unità. La

riapertura dell’inchiesta è anche una sua vittoria. Da «Scudetti dopati» a «Le

corna del diavolo» non ha risparmiato nessuno, fino alla causa di tre milioni

di euro con Luciano Moggi, che perde il nemico più forte. Oggi a Lucca, alle

14.30, il funerale.

Il glaucoma, forse per via del doping, poi il tumore non hanno mai

affievolito la sua combattività. I suoi libri restano come macigni sulle

coscienze dei mercanti, asserragliati nel tempio del calcio.

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Chi vincerà lo scudetto?

Gli interisti e il «male minore»

di FRANCO FIOCCHINI (CorSera - Milano 17-04-2012)

..........................................

«Io non ci sono mai stato in quello nuovo - sottolinea Gianluca Pagliuca - ma

ho giocato tante partite negli altri due e non riesco a dimenticare tutti i

torti che ho subito non solo con l'Inter ma anche col Bologna. A cominciare

dal clamoroso fallo di Iuliano su Ronaldo che Ceccarini fece finta di non

vedere, ma credetemi la serie è molto lunga. Milan e Juve mi stanno proprio

antipatiche, dovendo scegliere, però, dico Milan in ricordo dei tanti errori

arbitrali subiti. Sempre a favore dei bianconeri».

..............................................

Questo è proprio interista dentro

poveraccio

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Questo è proprio interista dentro

poveraccio

no, è proprio una *****

gli auguro il peggio possibile

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Inviato (modificato)

UN CALCIO ALLA CACCIA

DEGLI ALBINI D'AFRICA

In Tanzania sono uccisi e mutilati per superstizione. La salvezza è un club tutto per loro

di VINCENZO GOTTARDO (EXTRATIME 17-04-2012)

Un braccio costa oltre duemila dollari. E c'è pure chi si venderebbe la prole

viva, per 250mila dollari a figlio. L'importante è che sia albino. Perché il

commercio di questo tipo di reliquie in Tanzania (ma anche in Kenya e in

Uganda) è fiorente. La ong Under the Same Sun ha calcolato che dal 2007 almeno

60 albini sono stati uccisi nella sola Tanzania per il loro valore esoterico.

Assassinii ai quali vanno aggiunte mutilazioni a colpi di machete, aggressioni,

profanazioni di tombe. Un pezzo del corpo di un albino infatti allontanerebbe

malocchio e disgrazie, garantendo ricchezza, salute e fortuna. Almeno così

credono gli stregoni dei villaggi più remoti di questo pezzo d'Africa dove c'è

chi ha deciso di prendere l'atroce fenomeno a pallonate, fondando l'Albino

United Team.

Discriminati in 8 mila

Inizialmente la squadra di neri bianchi, creata nel 2008 dall'uomo d'affari

Oscar Daniel Haule, si chiamava Albino Magic Team. Ma il rischio di

confonderne il messaggio di uguaglianza con i problemi di stregoneria ha

indotto al cambio di denominazione. Oggi comunque la squadra è diventata un

simbolo contro la discriminazione nei confronti di circa 8 mila albini in

Tanzania, di cui 1.500 solo nella capitale Dar Es Salaam. Perché, come spiega

Said Ndongee, uno dei responsabili al mensile francese So Foot che per primo

ha raccontato questa incredibile storia, «il calcio è universale così come il

nostro messaggio di uguaglianza e vogliamo far capire alla gente che gli

albini sono persone come tutte le altre, non da uccidere o mutilare».

Segregati e ripudiati

È una battaglia difficile, però. La superstizione, nata non più di una

cinquantina di anni fa, vuole che la carne di albino gettata tra le reti renda

la pesca rigogliosa, e che un osso faciliti la ricerca di oro e diamanti, o

che i genitali usati nelle pozioni esaltino la vita sessuale. E i tariffari

spingono alla caccia all'uomo in un Paese dove si vive con nemmeno due dollari

al giorno, alimentando un florido commercio anche oltre i confini della

Tanzania, vicino al lago Vittoria. Il calcio quindi diventa una via d'uscita

per ragazzi ripudiati dai genitori, segregati in casa da famiglie oppresse dal

sentimento di vergogna suscitato dalla società che li rifiuta. L'Albino United

Team invece li accoglie proprio per renderli visibili e quindi normali agli

occhi degli altri

Il coraggio di uscire

«La cosa più difficile - spiega il capitano Jacobo a So Foot - è stata di

convincerli a uscire». In un paio d'anni di esistenza la squadra albina si è

fatta un nome anche a livello internazionale, se non altro per la curiosità

che suscita, nonostante qualche problema come l'allontanamento del fondatore

Haule, accusato di usare i fondi di donazioni a fini personali o

dell'esproprio del campo da calcio per fare spazio a un palazzo. Così ormai

gli allenamenti si fanno in spiaggia nel tardo pomeriggio per proteggersi dai

raggi del sole. Visto anche che le creme protettive costano circa 17 euro a

tubetto e servirebbe uno per ogni giocatore: una spesa insostenibile da quelle

parti. Motivo per cui a volte gli albini sono stati costretti a rifiutare

inviti per match diurni, sotto il sole.

L'eccezione in porta

Finora, l'Albino United non ha giocato partite ufficiali, solo qualche

amichevole: una vinta 3-1 contro una squadra di funzionari dell'Onu, un'altra

pareggiata 1-1 contro la squadra della polizia di Mwanza, nel nord del Paese,

proprio dove è più attiva la caccia agli albini, punita dalla legge. In porta

c'era come sempre un giocatore di colore. Scelta obbligata: «Gli albini hanno

un difetto di vista e non vedono bene quando il pallone arriva». Fossero solo

quelli i loro problemi...

-------

LA FAVOLA DEGLI INDIOS

RIMANE SENZA LIETO FINE

Sparito per debiti e con un presidente sospettato di collusione col mondo

della droga il miracoloso club di Ciudad Juárez che aveva sfidato i narcos

di ANDREA LUCHETTA (EXTRATIME 17-04-2012)

Nemmeno le fiabe hanno un lieto fine a Ciudad Juárez. Sono passati 4 anni dal

maggio '08, quando fiumi di persone sfidarono le minacce dei narcos per

festeggiare gli eroi più improbabili nella storia della città: gli Indios

avevano appena conquistato un posto in Primera División, contro ogni logica e

pronostico. Nei giorni precedenti una catena di e-mail aveva annunciato un

weekend di massacri, esortando i cittadini a rimanere in casa. Il venerdì si

contarono 11 cadaveri. Sabato 12, e per domenica tutto lasciava presagire il

peggio. Poi, inspiegabile, un pari in trasferta fece saltare gli argini.

Decine di migliaia di persone si riversarono per le strade, alla faccia dei

signori della droga e dei loro sicari. «Dopo 7 ore di tequila e birra la festa

si trasferì all'aeroporto», dice Robert Andrew Powell in This Love Is Not For

Cowards («Non è un amore per vigliacchi»), libro-reportage dedicato agli

Indios. «La gente dimostrò di essere più forte dei cartelli». Fu un'esplosione

incontenibile, dopo i primi mesi di una narco-guerra costata la vita a 10. 400

persone dal '08 a oggi. La città - snodo cruciale sulla rotta del

narcotraffico per gli Usa - è contesa dai cartelli di Sinaloa e Juárez.

Nel mirino della Dea

Di quest'amore coraggioso restano solo i cocci (e il ricordo della semifinale

scudetto nel '09). Debiti, fallimenti e accuse di collusione col mondo della

droga. Il tramonto degli Indios ha lasciato molti interrogativi in sospeso.

L'anno scorso il presidente Francisco Ibarra ha annunciato la cessione della

Tribù, ma i presunti acquirenti non sono mai usciti allo scoperto. «Il nome di

Ibarra è rimasto sui contratti firmati dai giocatori», spiega Powell a ET. La

federcalcio ha revocato la licenza del club a dicembre, dopo che la proprietà

non si è presentata a discutere un piano di risanamento ormai impossibile. I

sospetti più forti risalgono al giugno 2009, quando la squadra è finita nel

mirino della Dea, l'agenzia anti-droga Usa. «La famiglia del presidente si è

arricchita con gli appalti concessi da un sindaco legato al Cartello Juárez -

racconta Robert Andrew Powell -. Tuttavia, durante il periodo che ho trascorso

in città gli Indios avevano grandi problemi finanziari. È difficile davvero

sostenere che i narcodollari alimentassero il club».

Tre omicidi al giorno

Il club esplose di pari passo col numero degli omicidi, passati dai 320 del

'07 agli oltre 3.600 del 2010. Ed è sparito (a fine 2011) nell'anno in cui gli

assassinii si sono ridotti del 45%. I primi mesi del 2012 sembrano ancora più

incoraggianti. Difficile però rallegrarsene, in media continuano a venir

uccise più di 3 persone al giorno. Sindaco e presidente si affannano a

festeggiare il ritorno alla normalità. Ma per gli analisti di Stratfor la

diminuzione delle vittime sarebbe piuttosto legata all'avanzata del cartello

Sinaloa. «Sì, le cose vanno meglio - conclude Powell -. Ma ci sono ancora più

di 10mila omicidi irrisolti. L'assassinio a Ciudad Juárez rimane di fatto

legale. E finché resterà così, la città non sarà mai un posto equilibrato».

Modificato da Ghost Dog

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no, è proprio una *****

gli auguro il peggio possibile

I due aggettivi sono sinonimi

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Calcio

16/04/2012 - dopo la tragedia di morosini

Tommasi: "Riflettere sul calendario"

Dopo la tragedia di Morosini

il presidente dell'Aic punta il dito

contro gli impegni ravvicinati:

«Troppi rischi per i calciatori»

roma

«Bisogna fare un ragionamento sul numero delle partite e degli impegni. Quando si parla di sosta invernale, però, noi veniamo indicati come quelli che vogliono fare più vacanze». Damiano Tommasi, presidente dell'Associazione italiana calciatori (Aic), punta ancora una volta il dito contro il calendario troppo fitto. Un tema su cui si è tornato a discutere dopo la tragica scomparsa di Piermario Morosini, il centrocampista del Livorno scomparso sabato nel corso della partita di serie B Pescara-Livorno. «La tutela della salute del calciatore si può migliorare - è il parere espresso da Tommasi ai microfoni della trasmissione "Radio Anch'Io Lo Sport", in onda su Radio1 -. Con un calendario così fitto, i rischi di infortuni aumentano».

Il numero uno dell'Aic precisa poi che «in Italia il calcio d'elite è sicuramente un passo avanti rispetto a molti paesi d'Europa. Nella seconda lega inglese, dove ho giocato nel 2008, non c'era l'obbligo del medico per le squadre in trasferta. Da noi, invece, ogni sei mesi sono previste visite obbligatorie. Siamo all'avanguardia, i controlli antidoping vengono eseguiti in maniera assidua. Sicuramente - aggiunge Tommasi - bisogna lavorare molto per quanto riguarda il calcio di base. Nelle serie inferiori ci sono molti giovani che ogni domenica rischiano la vita. è lì che bisogna intensificare i controlli e puntare sulla prevenzione».

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Lotito sbaglia giudice

e sfida la Figc al Tar

Agnelli è in pressing

Nuovo ricorso contro la sospensione da consigliere

La Juve vuole la supplenza. La Lega aspetterà ancora?

di MAURIZIO GALDI & MARCO IARIA (GaSport 18-04-2012)

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«Difetto di giurisdizione». A sorpresa il giudice monocratico della terza

sezione civile, Clelia Buonocore, ieri ha anticipato la sua decisione sul

ricorso del presidente della Lazio, Claudio Lotito. Ha anche ritenuto inutile,

«melius re perpensa» (meglio rivalutata la situazione), disporre

l'allargamento del contraddittorio al pubblico ministero. Insomma, basta così.

Lotito si era rivolto al Tribunale di Roma in dissenso con la norma etica

emanata dal Coni e applicata dalla Federcalcio che prevede la «sospensione» da

cariche federali anche dopo la sola sentenza di primo grado per alcuni reati

(tra i quali la frode sportiva e i reati societari) nei quali Lotito è incorso

per Calciopoli (frode sportiva in primo grado) e per aggiotaggio (secondo

grado a Milano).

Contro la Lega Lotito aveva anche chiamato in giudizio la Lega di A per

imporle la sospensione del punto all'ordine del giorno dell'assemblea di

venerdì relativo alla nomina di uno «supplente» in consiglio federale. E su

questo la giudice è stata chiarissima: non c'è «periculum in mora» (danno

causato dal ritardo). In parole povere, visto che si tratta di un

provvedimento provvisorio, Lotito non ne avrebbe alcun danno. Quindi, il

Tribunale civile ha respinto la richiesta di sospendere l'elezione: la Lega

può procedere alla sostituzione del patron laziale, poi se quest'ultimo avrà

battaglia vinta verrà tranquillamente reintegrato.

Ricorso al Tar Ma Lotito non si ferma qui e, dopo le bocciature della

giustizia sportiva e l'autogol del ricorso a un Tribunale dichiaratosi

incompetente, è pronto a rivolgersi al Tar del Lazio. È stata la stessa

Buonocore a sottolineare nell'ordinanza di ieri che il giudice naturale per i

ricorsi contro le decisioni della giustizia sportiva è quello amministrativo,

e quindi il Tar, alla luce della Legge 280 del 2003. Questa mattina i legali

biancocelesti depositeranno il ricorso: probabile che venga chiesto

urgentemente un decreto cautelare che blocchi la prevista elezione di venerdì

in Lega. Un decreto «inaudita altera parte», senza contraddittorio. Ma anche

questa strada non è priva di difficoltà. Una recente sentenza della Corte

Costituzionale ha affermato che il Tar può intervenire sugli aspetti economici

e non sulle sentenze sportive. La norma etica e le sentenze sportive in

materia sui ricorsi di Lotito come devono essere considerati? Il Tar sarà o

meno competente? E soprattutto dopo che è stata già intentata causa al

Tribunale civile, si potrà tornare indietro?

Spaccatura Proprio questi dilemmi contribuiscono a rendere quantomeno incerto

l'esito dell'assemblea di Lega. I club di A avevano deciso di aspettare la

conclusione della battaglia lotitiana rinviando già una volta il pacchetto di

nomine, che comprende la vicepresidenza di Lega (De Laurentiis in pole, con un

posto che si libera per Zarbano del Genoa) e una poltrona di consigliere

(destinata a Fenucci della Roma). Nel frattempo, in via Rosellini, l'aria è

tornata molto pesante, le gelosie si sono riaccese, le divergenze sono venute

fuori persino sul recupero della giornata rinviata per la morte di Morosini.

C'è, tuttavia, una candidatura autorevole per la supplenza di Lotito: Andrea

Agnelli ha chiesto al designato Campoccia dell'Udinese di fare un passo

indietro, con l'obiettivo di aumentare il peso specifico della Juventus nelle

stanze del potere. Il club bianconero è in pressing, gli stessi vertici dello

sport italiano vedrebbero di buon occhio l'avvicendamento con Lotito. Agnelli

(già consigliere della Federgolf) è pure membro dell'esecutivo della Lega e

per prassi il doppio incarico si tende a evitarlo. Ma l'ostacolo maggiore è

rappresentato proprio dal carisma esercitato da Lotito sull'assemblea.

-------

IL MONITO DI PETRUCCI

«Responsabilità oggettiva

Non se ne parli in assemblea»

di MARCO IARIA (GaSport 18-04-2012)

Nello sterminato ordine del giorno dell'assemblea di Lega di venerdì undici

punti!, c'è anche una richiesta che suscita un po' di vergogna persino

all'interno della stessa «Confindustria» del pallone. E recita così: «Porre in

discussione una nuova definizione del principio della responsabilità oggettiva

delle società sportive». L'hanno presentata otto società — Atalanta, Bologna,

Cesena, Genoa, Lecce, Novara, Parma e Siena —, le stesse che si sono unite per

chiedere un aumento del paracadute in caso di retrocessione in B. Diversi club

ritengono inopportuna e inelegante una simile mossa, tanto più che diversi tra

quei richiedenti sono coinvolti, chi più chi meno, nelle inchieste sul

calcioscommesse. Certo, c'è chi come Claudio Lotito ha più volte contestato

pubblicamente quel principio «una norma obsoleta», ma difficilmente la

richiesta delle otto troverà il supporto della maggioranza.

Monito A ogni modo, Gianni Petrucci mette le mani avanti e lancia un appello

alla Lega: «Mi auguro che nell'assemblea di venerdì un presidente si alzi

subito in piedi e chieda di togliere dall'ordine del giorno il punto che

riguarda la modifica della responsabilità oggettiva. Lo dico perché in primo

luogo non sarà rivista, è uno dei capisaldi dello sport, non solo italiano, e

infine serve l'approvazione del Coni: il decisionismo serve in momenti come

questi». Il presidente del Coni aggiunge: «Abbiamo uno scandalo delle

scommesse sotto gli occhi di tutti, non possiamo pensare di alleggerire le

responsabilità. Complimenti ai magistrati delle tre Procure che stanno

lavorando seriamente, alla Figc e al procuratore federale Palazzi».

-------

aaua7QG8.jpg

-------

«Caso» Gianello

Napoli parte lesa

ma è a rischio

Responsabilità oggettiva: gli azzurri possono prendere una piccola penalizzazione

di MAURIZIO GALDI (GaSport 18-04-2012)

Napoli trema. Dopo la pubblicazione delle ammissioni dell'ex portiere di

riserva del Napoli Matteo Gianello, la principale preoccupazione è su quanto

possa rischiare il club. Il legale del calciatore, Vincenzo Siniscalchi, sulle

radio locali interviene per minimizzare e parlare di «notizia vecchia che non

preoccupa».

Giustizia sportiva Siniscalchi è un ottimo penalista, ma forse dimentica che

il diritto sportivo è altra cosa. Innanzitutto la prescrizione: quattro anni

per le società e otto per i tesserati rende non troppo «vecchia» la notizia.

Una notizia che del resto lui conosceva ma non il pubblico. C'è poi il

problema della responsabilità oggettiva: l'illecito sportivo è un reato di

«pericolo» e per la giustizia sportiva è sufficiente il tentativo. Per sua

ammissione (alla firma per approvazione del verbale reso davanti ai pm di

Napoli da Gianello Siniscalchi era presente) il portiere di riserva del Napoli

(almeno all'epoca dei fatti) avrebbe proposto a Grava e Cannavaro un illecito

per Sampdoria-Napoli. Sempre per sua ammissione lo ha fatto spinto da Silvio

Giusti che voleva la certezza della vittoria dei liguri per scommetterci e,

sempre Giusti, gli avrebbe offerto soldi da dare ai compagni di squadra.

Purtroppo questo è sufficiente per la giustizia sportiva almeno per deferire

per illecito sportivo Gianello. E tanto è sufficiente, visto che Gianello era

tesserato del Napoli, per deferire la società per responsabilità oggettiva.

Quanto rischia Il Napoli alla lettura delle sole ammissioni di Gianello è

parte lesa e questo dovrebbe ridurre al minimo eventuali penalizzazioni,

purtroppo il solo coinvolgimento in indagini su illeciti sportivi preclude la

partecipazioni a competizioni europee come spiega il pezzo sopra. Ora bisogna

aspettare solo che il pool «reati da stadio» guidato da Giovanni Melillo

chiuda ufficialmente le indagini per capire anche a livello penale quali

saranno le accuse per gli indagati per «concorso in frode sportiva» che,

ricordiamo, oltre a Gianello sono Silvio Giusti e i fratelli Federico e

Michele Cossato, l'esame tecnico sui computer di questi ultimi tre non avrebbe

dato ulteriori novità investigative.

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L´inchiesta punta alle società

sotto accusa il Siena di Conte

Scommesse, interrogato Carobbio: presto altri indagati

Verbale secretato, domande sul ruolo di Mezzaroma e sulle rivelazioni di Gervasoni

A Napoli sotto la lente dei pm anche il match contro l´Inter. Il rischio è l´omessa denuncia

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 18-04-2012)

C´è il Siena di Conte e Mezzaroma al centro esatto degli ultimi sviluppi

dell´inchiesta di Cremona. Ieri se n´è avuta la conferma con l´interrogatorio

di Filippo Carobbio, ex centrocampista di qualche talento che rischia di

passare alla storia del calcio come l´uomo che inguaiò mezza serie A invece

che come un regista dalle geometrie impeccabili. Il suo interrogatorio ha

avuto un prologo importante. Un paio di settimane fa quando davanti al

procuratore federale Stefano Palazzi Carobbio raccontò, opportunamente

incalzato, numerosi e "inediti" dettagli su alcune partite taroccate al tempo

in cui militava nel Siena e prima ancora nel Grosseto. Di cosa si tratti non è

dato sapersi, quello che è certo è che il calciatore "ha allargato di molto",

per dirla con un inquirente, il campo delle responsabilità.

Carobbio, venuto fuori dalle giovanili dell´Atalanta, passato attraverso

Albinoleffe e Reggina, nel 2009 arriva al Bari portato trionfalmente in A da

Antonio Conte. A Bari, diventa molto amico di Iacovelli, il factotum della

squadra pugliese già arrestato da Cremona nell´inchiesta per il

calcioscommesse. Insieme a Iacovelli, e agli altri del clan barese (Masiello,

Parisi, Bellavista ecc) nella stagione successiva, passato al Grosseto,

organizza molte partite. Nel 2010 poi, il suo vecchio allenatore, Antonio

Conte lo vuole con sé nella nuova avventura al Siena di Mezzaroma (conclusa

con un´altra trionfale promozione). Lì il suo vizio trova nuove sponde, prende

i contatti con gli Zingari e tramite Iacovelli manda Ilievsky - il capo - a

Bari, da Masiello. Nel frattempo però si esercita anche su qualche partita del

Siena. Ed è proprio su alcune di queste partite che si è incentrato

l´interrogatorio di ieri. Tre ore durante le quali il procuratore Roberto Di

Martino ha voluto sapere quanta altra gente del Siena sapesse delle combine.

Il sospetto del magistrato è che almeno una di queste partite sia stata

organizzata dalla società. Come del resto raccontato da Carlo Gervasoni che

nel verbale del 12 marzo raccontò che il presidente del Siena Mezzaroma pagò

due giocatori del Modena per vincere la partita. «Gecic - dice Gervasoni quel

giorno - mi riferì di aver appreso da un suo amico del Kazakistan che il

presidente del Siena diede dei soldi ai giocatori del Modena Tamburini e Perna

per vincere l´incontro». Circostanza, va detto, prontamente smentita "con

sdegno" dal diretto interessato.

Il verbale di Carobbio (che è stato secretato dalla procura) nei prossimi

giorni sarà incrociato con altre risultanze investigative. Per effettuare le

quali la procura procederà all´iscrizione nel registro degli indagati di tutte

quante le persone accusate da Gervasoni. Procedura, del resto, che era già

stata seguita a dicembre, quando venne indagato tra gli altri il giocatore

della Lazio, Mauri. E che a quanto pare verrà seguita anche per altri verbali,

come ad esempio quelli resi, tra Cremona e Bari, da Masiello (che tirava in

ballo, tra gli altri, Pepe e, più pesantemente, Bonucci). Insomma nei prossimi

giorni il calcio italiano verrà inondato da una serie di novità giudiziarie

rilevanti, alle quali andranno sommate quelle in arrivo dai pm di Napoli, dove

oltre a Napoli-Parma, Lecce-Napoli e Napoli - Sampdoria, i magistrati hanno

"attenzionato" anche Napoli-Inter, ultima dello scorso campionato. Anche lì

tra responsabilità diretta e omessa denuncia sono in molti a tremare.

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Siamo alla svolta per un caso

avvolto nel mistero da oltre 20 anni

Omicidio Bergamini

La droga non c’entra

Il movente per ragioni personali: si indaga sulle ultime ore

del giocatore. Rischia l’ex fidanzata con la sua testimonianza

di FRANCESCO CENITI (GaSport 18-04-2012)

Uno dopo l'altro sembrano sgretolarsi i misteri e le leggende che per 22 anni

hanno reso «impossibile» l'accertamento della verità sulla morte di Donato

Bergamini, ex centrocampista del Cosenza, avvenuta il 18 novembre 1989.

A febbraio i Ris con una accurata perizia, eseguita sugli oggetti indossati dal

giocatore al momento del decesso e sui reperti istologici perfettamente

conservati dopo l'autopsia chiesta e ottenuta dalla famiglia visto

l'immobilismo degli inquirenti dell'epoca, hanno spazzato via la tesi del

suicidio.

La droga non c'entra Le carte arrivate nelle mani di Franco Giacomantonio,

il procuratore capo di Castrovillari che a luglio ha riaperto il caso, non hanno

margini d'interpretazione: è stato un omicidio e la ferita sul bacino per 22

anni indicata come la «prova» del suicidio: nel racconto della testimone

oculare, l'ex ragazza Isabella Internò, Bergamini si era tuffato sotto un

camion, poi trascinato sotto le ruote per circa 60 metri senza però finire

maciullato e con vestiti e orologio praticamente intatti inferta quando il

calciatore era già cadavere. Ma il Ris ha escluso anche un altro aspetto

importante, specie per gli sviluppi delle indagini entrate in una fase

cruciale: la Maserati di Bergamini, sequestrata ed esaminata da cima a fondo,

non aveva nessun doppio fondo o manomissione. La novità dovrebbe portare

gli inquirenti ad abbandonare una della piste più calde sul movente

dell'assassinio, quello legato al traffico di droga con Bergamini in qualche

modo corriere inconsapevole? della 'ndrangheta. La macchina non aveva le

caratteristiche. Cade una teoria diventata realtà anche per i media che davano

per acclarato l'esistenza del doppio fondo. Non è la prima volta, in questa

assurda storia, che la «verità» è ribaltata in modo clamoroso: solo nei mesi

scorsi, ad esempio, si era «scoperto» vivo e vegeto l'autista del camion

coinvolto nell'incidente, dato morto per anni.

Caccia ai colpevoli Ma torniamo al movente dell'omicidio perché è su

questo che si sono concentrate le indagini del nucleo investigativo dei

Carabinieri, iniziate a fine dicembre. Molti passi in avanti sono stati fatti e i

tasselli del complicato puzzle sembrano ora ricomporsi. Cerchiamo di capire i

possibili sbocchi. Con la messa in soffitta del delitto maturato in ambienti

criminali niente coinvolgimento della 'ndrangheta nella gestione dell'omicidio,

il cerchio si stringe intorno alle persone che frequentavano il giocatore: il

movente sarebbe allora da ricercare in ambito personale, magari a seguito di

un litigio dopo un chiarimento per una vicenda privata non andato nella

direzione sperata. Non ci sono conferme dirette, ma proprio su questa pista si

sarebbero rivolte le attenzioni delle investigatori che avrebbero cercato di

ricostruire le ultime ore di vita del calciatore, soprattutto su un passaggio:

chi e quante erano le persone che lo avrebbero atteso fuori dal cinema dove

si trovava in ritiro con il resto della squadra. Quelle persone sono la chiave

del mistero: sono loro che lo hanno condotto verso una morte violenta. C'è un

altro aspetto fondamentale: è da capire come sarà inquadrata la posizione

dell'ex ragazza che ha sempre ripetuto la tesi del suicidio, anche a dicembre

quando è stata riascoltata come persona informata sui fatti. Quella

testimonianza, però, è in netto contrasto rispetto a quanto sostenuto dai Ris.

Toccherà al procuratore fare a breve una «sintesi», prendendo decisioni

importanti e ineludibili. Decisioni attese 22 anni e con l'opinione pubblica

oramai «parte civile» in una vicenda che per troppo tempo ha calpestato i

diritti della famiglia Bergamini: per ristabilire la completa verità manca

davvero poco.

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Il caos Club sempre più litigiosi e Lega ingovernabile

Ora in otto vogliono sfuggire alla responsabilità oggettiva

Pallone

sgonfiato

Scandali e fuori dall'Europa

Petrucci stoppa l'ultima follia

di FABIO MONTI (CorSera 18-04-2012)

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Per la quarta volta nelle ultime 5 edizioni di Champions League, le squadre

italiane hanno assistito alle semifinali da soggetti passivi. In Europa League

la situazione è peggiore: è dal 2008 (Fiorentina eliminata ai rigori dai

Rangers Glasgow) che non c'è traccia di un club italiano in semifinale e

l'ultima vittoria risale al '99 (Parma), quando ancora si chiamava Coppa Uefa.

L'Italia resiste al quarto posto del ranking europeo, ma è molto più vicino al

quinto (Portogallo, che ha guadagnato cinque posizioni in tre anni) che non al

terzo (Germania). Dopo il disastro sudafricano, il lavoro di riorganizzazione

del club Italia, promosso dal presidente della Figc, Abete (con delega ad

Albertini) ha dato nuova spinta alle nazionali, quella di Prandelli, ma anche

l'Under 21 di Ferrara e le altre selezioni giovanili, con la supervisione di

Sacchi.

I club di serie A sembrano del tutto disinteressati alle questioni tecniche e

ogni giorno si impegnano per trovare un argomento sul quale dividersi

all'interno della Lega e nei rapporti con le istituzioni, Coni in primis.

Dilaga il calcioscommesse, senza che dalla Lega sia arrivato un segnale

concreto di mobilitazione, a parte le vaghe parole dell'ultima assemblea.

Meglio cercare una scorciatoia: nell'assemblea di venerdì, verrà discussa la

proposta di Atalanta, Bologna, Cesena, Genoa, Lecce, Novara, Parma e Siena di

arrivare a «una nuova definizione del principio della responsabilità oggettiva

delle società sportive». In sintesi: un tesserato può commettere qualsiasi

tipo di illecito, senza che venga coinvolto in forma diretta o indiretta il

club. A stoppare l'iniziativa, in sede preventiva, ha provveduto già ieri il

presidente del Coni: «Insisto per il buonsenso; mi auguro che venerdì quando

si aprirà l'assemblea, un presidente prenda la parola e chieda di togliere

dall'ordine del giorno il punto sulla responsabilità oggettiva. Lo dico perché

non sarà rivista, perché è uno dei capisaldi dello sport, non solo italiano, e

perché serve l'approvazione del Coni: il decisionismo serve in momenti come

questi. Abbiamo uno scandalo scommesse sotto gli occhi di tutti; non possiamo

pensare di alleggerire le responsabilità: in questo momento, complimenti ai

magistrati delle tre Procure; alla Figc, che sta facendo rispettare le regole;

a Palazzi, che sta lavorando seriamente».

La Lega si preoccupa soltanto della difesa di Lotito, presidente della Lazio,

che non può più partecipare al Consiglio federale, dopo la condanna (primo

grado) per frode sportiva a Napoli (Calciopoli). Lo stesso Lotito ieri ha

perso il ricorso presentato alla terza sezione civile del Tribunale di Roma,

con l'obiettivo di bloccare l'assemblea di venerdì, che deve nominare un nuovo

consigliere federale. Quello che appare grave è quanto scritto dal giudice,

Clelia Buonocore: «La stessa Lega non ha inteso "seriamente" contrastare le

richieste» presentate da Lotito. Come dire che: 1. la Lega non ha tutelato se

stessa, ma si è schierata a fianco di Lotito; 2. la linea difensiva è

risultata poco seria per giudizio dello stesso tribunale. Un record mondiale.

In una Lega ingovernabile, con un presidente che si è dimesso dalle

dimissioni e un Direttivo senza due consiglieri da luglio 2011, il problema

più urgente sarebbe la riforma della serie A. I fatti continuano a dimostrare

che 20 squadre sono troppe (Cesena e Novara sono quasi retrocesse); allungano

la stagione; tolgono spazio alla nazionale e strangolano le coppe; aumentano

il numero delle partite inutili (e a rischio di illecito). Nel frattempo gli

stadi di proprietà restano un'opinione (Juve a parte), mentre quelli esistenti,

vecchi e obsoleti, sono sempre più vuoti. Conta soltanto la tv, perché

interessano soltanto i soldi. Da spendere male. Oggettivamente irresponsabili.

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Joined: 14-Jun-2008
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TUTTO IL CALCIO È PAESE

GLI EUROPEI ALLA MAFIA

Per l’Ucraina doveva essere l’occasione d’oro,

ma si è arricchito solo il crimine organizzato

Appalti sospetti con la complicità dello Stato, costi saliti

a dismisura, prenotazioni turistiche disdette a raffica

di BENJAMIN BIDDER & ANDRÉ EICHHOFER (Der Spiegel 2012 - il Fatto Quotidiano 18-04-2012)

Traduzione di CARLO ANTONIO BISCOTTO

L’Ucraina, che insieme alla Polonia, ospiterà i prossimi Campionati Europei di

calcio, continua ad essere assillata dai problemi. Una banda di criminali ha

assaltato e occupato militarmente un albergo, in alcune località, i prezzi

degli alberghi sono triplicati mentre diversi operatori del settore hanno

cancellato i contratti con i tour operator che porteranno in Ucraina decine di

migliaia di tifosi. La mafia ucraina ha messo le mani sugli europei di calcio.

L’albergo Slavutich è una struttura fatiscente, un prefabbricato dell’era

comunista sulle rive del Dnieper, il fiume taglia in due Kiev. Qualche

settimana fa uomini a volto coperto e armati di mazze e scudi hanno fatto

irruzione nella lobby dell’albergo e ne hanno assunto il controllo. I

criminali facevano parte della banda “Lushniki”, una organizzazione mafiosa

resasi colpevole di numerosi omicidi e di cui fa parte anche l’uomo che ha

assassinato la giornalista russa Anna Politkovskaya nel 2006. I criminali

hanno percosso il personale e sparato ad un cliente. A farne le spese sono

stati diversi tour operatori tra cui la Tui, la principale agenzia turistica

tedesca, che ha prenotato oltre 14.000 stanze d’albergo in Ucraina in vista

degli Europei di calcio che si svolgeranno dall’8 giugno al 1° luglio. I nuovi

proprietari dell’albergo hanno rescisso il contratto con la Tui e raddoppiato

il prezzo delle stanze.

QUESTA SORTA di occupazione militare dell’albergo ha fatto emergere una

guerra in atto da settimane dietro le quinte e che la Tui, l’Uefa e il governo

ucraino hanno fatto di tutto per non far finire sulle pagine dei giornali. Ma

la realtà sta venendo a galla: corruzione e malaffare hanno fatto lievitare in

maniera spropositata il costo degli impianti sportivi in Ucraina. Autostrade,

linee ferroviarie ad alta velocità e alberghi progettati da anni non saranno

completati. La ragione è semplice: gli appalti sono stati monopolizzati da

aziende controllate dalla mafia, i costi sono cresciuti in misura notevole e

lo Stato ha finito i soldi. Alla fine degli europei in Ucraina si potranno

ammirare un bel po’ di cattedrali nel deserto, di infrastrutture abbandonate,

di strade mai finite di costruire. Uno spreco di denaro pubblico che sta

arricchendo la mafia e i politici corrotti. La Tui e l’Uefa, nel tentativo di

rassicurare coloro che intendono recarsi in Ucraina, cercano di minimizzare la

portata del problema del caro-alberghi. In realtà nella sola Karkov, una città

di 1 milione e mezzo di abitanti 500 km. a est di Kiev nella quale si

svolgeranno alcuni incontri, tra cui una partita che vedrà impegnata la

nazionale tedesca, ben 11 hotel hanno disdettato i contratti con la Tui. È una

iniziativa che, a conti fatti, riguarda oltre un terzo (1.139 su 3.204) delle

stanze già prenotate dall’agenzia turistica tedesca. Quanto al rincaro dei

prezzi, basti qualche esempio: l’Hotel Baden-Baden sta chiedendo per una

stanza 160 euro a notte quando fino a poco tempo fa il prezzo era 65 euro. Il

Victoria, un albergo a tre stelle, è passato da 94 a 300 euro per notte.

I dipendenti della Tui a Kiev sostengono che l’agenzia tedesca non ha citato

in giudizio gli operatori inadempienti perché scarsissime sono le probabilità

di ottenere giustizia in un Paese nel quale il sistema giudiziario è

notoriamente corrotto. Il governo sperava che gli appassionati attesi in

Ucraina avrebbero rilanciato il turismo e rappresentato una boccata di

ossigeno per l’economia in difficoltà.

MARKIYAN Lubkivskiy, responsabile del comitato organizzatore in Ucraina, ha

invitato gli albergatori a non esagerare. Ma questi appelli alla moderazione

sono rimasti lettera morta. In realtà quando si tratta di fare soldi alla

svelta, il governo ucraino si comporta in maniera non troppo diversa e appare

altrettanto privo di scrupoli. Sebbene lo slogan dell’europeo sia “fare la

storia insieme”, a moltissimi studenti non sarà consentito di assistere alle

partite. Nina Kutusovskaya, diciannovenne studentessa di biologia

all’universitaà Taras Shevchenko di Kiev, parla perfettamente l’inglese e le

sarebbe piaciuto lavorare come volontaria. Invece ben presto sarà costretta a

fare i bagagli. Alla fine di maggio, Nina dovrà togliere poster e decorazioni

dalle pareti della sua stanza e sperare che “nessun ubriaco mi rovini la carta

da parati”. La direzione dell’università sta costringendo gli studenti ad

abbandonare il campus per tutta la durata del campionato europeo. La stanza di

10 metri quadrati che Nina divide con una collega e per la quale paga un

affitto di 16 euro al mese verrà affittata ai turisti per 80 euro.

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