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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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TEMPO SCADUTO di ALIGI PONTANI (Repubblica.it 27-03-2012)

Il calcio è "Cosa loro"

Presidenti, sono. Infatti fanno i capi, giusto. Comandano in casa loro: i club

di serie A, magnificamente accomodati sopra una montagna di debiti. Affari

loro, fin qui. Il problema diventa di tutti, invece, quando fanno i capi a

tutto campo, varcando i confini. Prendiamo Aurelio De Laurentiis, uno a caso:

la finale della Coppa Italia fissata a Roma, dice e ribadisce, non gli sta

bene, lo stadio è piccolo, magari pure brutto e comunque lui con quella

partita deve guadagnarci di più. Gli ricordano che la sede è stabilita da

tempo, che è già stato invitato il presidente della Repubblica Napolitano, che

l'Olimpico ha ospitato due anni fa una finale di Champions, che all'estero si

sganascerebbero dalle risate se un pazzo dicesse che va spostata una finale

due mesi prima della partita. Pensate, chessò, all'Inghilterra: un Abramovich

che si sveglia la mattina e dice che a lui Wembley come sede per la Coppa

d'Inghilterra non piace. Non fa ridere l'idea?.

Da noi no, non fa ridere. Diventa anzi una cosa talmente seria da spingere il

presidente del Coni, Gianni Petrucci, a violentare una natura per cultura e

abitudini prudente, dichiarando nei fatti una guerra senza precedenti al mondo

del calcio, a quei presidenti: lo stadio, che è nostro, a queste condizioni

non ve lo diamo più, dice Petrucci, perché siete voi a non meritarlo. Non

siete capaci, non siete degni, e soprattutto non avete nessuno che freni la

vostra intollerabile e quindi non più tollerata arroganza.

Perché De Laurentiis sia chiaro, ha fatto il bullo, straparlando di Parigi,

Milano o Timbouctou come scenari alternativi della finale, solo per ribadire

che il proprietario, il capo, è lui. Non del Napoli (e chi glielo nega) ma

proprio del pallone, o almeno della Coppa Italia. Dimenticando che il torneo

non è suo, né della Juventus rivale in finale. Teoricamente sarebbe di tutti

noi: un piccolo, centenario bene comune, occasionalmente organizzato e gestito

da quel palazzo delle meraviglie che è la Lega calcio.

Dice: la Lega è formata dai club della serie A, quindi è anche del Napoli e

della Juventus. Giusto. Altrettanto vero è che la splendida congrega avrebbe

un suo presidente, tal Beretta Maurizio, dimissionario da tempo immemorabile

ma saldamente appostato sulla sua sedia che gli garantisce uno stipendio di

300 mila e rotti euro l'anno, da sommare naturalmente a quello altrettanto

generoso del suo nuovo lavoro in Unicredit. Lui, Beretta, non ha trovato il

modo in questi giorni surreali di dire pubblicamente, magari con un sorriso,

meglio con un bel pugno sul tavolo, che il vecchio De Laurentiis scherzava,

che naturalmente Roma non si tocca e che la gestione dei biglietti per la

finale sarà rigorosamente controllata dalla Lega. Perché attenzione, questo

dei biglietti è un altro bell'esempio di come intendono il calcio i nostri

presidenti. Napoli e Juventus avevano già chiarito alcuni caposaldi: prezzo

minimo in curva non inferiore ai 30 euro (il doppio dell'anno scorso, per

Inter-Palermo), drastica riduzione dei settori dove vendere biglietti ridotti

per i bambini (alla faccia della politica dello stadio per famiglie), prezzi

esorbitanti per le tribune. Chi vuole esserci paghi e stia zitto, quanto lo

decidiamo noi, mica quel fantasma di Beretta.

Presidenti, appunto: quelli che fanno i capi anche in casa d'altri come De

Laurentiis e quelli che non fanno i capi neppure in casa propria come Beretta.

Quelli che straparlano e quelli che tacciono. Quelli che minacciano e quelli

che si fanno minacciare. Quelli che quest'anno hanno licenziato 16 allenatori

in serie A, stipendiandoli ancora per anni, e chissene frega dei bilanci.

Quelli che chissene frega pure di Prandelli e dei suoi stage, della Nazionale,

di Abete ( altro presidente silente, assente, inerte) di Petrucci (presidente

invece che parla e dunque trattato come un grillo), dei razzisti che ululano e

dei barbari che calpestano anche la memoria dei morti. Si pagano le multe e

non si dice una parola, non sia mai poi quei razzisti e quei barbari decidano

poi di non andarci più, allo stadio: sono clienti pure loro, perbacco.

Presidenti del calcio, nell'Italia del 2012: quella in cui volenti o nolenti

tutti si stanno dando una regolata. Tutti tranne loro.

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Juventus.com News

Coppa Italia, dichiarazione di Andrea Agnelli

27 marzo 2012

Riguardo la questione della finale di Coppa Italia, il Presidente Andrea

Agnelli ha espresso il proprio pensiero: «La Coppa Italia è definita da alcuni

anni Coppa del Presidente della Repubblica quindi è naturale che la sede della

finale sia a Roma. Appena tre anni fa si è disputata allo Stadio Olimpico la

finale Barcellona Manchester United, non si vede per quale motivo non si possa

giocare Juventus-Napoli».

___

Coppa Italia, chiusa la telenovela

sulla finale: si resta a Roma

di MARCO BELLINAZZO dal blog Calcio & business (Il Sole 24 ORE.com 27-03-2012)

"Ho parlato con Petrucci pochi minuti fa, ora siamo d'accordo: la finale di

Tim Cup si giocherà a Roma". Dopo una giornata di botta e risposta con i

vertici del Coni, il presidente della Lega di Serie A Maurizio Beretta ha

annunciato l'accordo: Napoli-Juventus andrà in scena all'Olimpico.

"Voglio chiudere la porta - ha chiarito Beretta - ad ogni tipo di equivoco o

dubbio. Stiamo lavorando e continueremo a farlo nei prossimi giorni, per

garantire al più alto numero possibile di tifosi di partecipare a questo

evento. Su questo - conclude - sono d'accordo con il presidente del Coni, che

ho appena sentito al telefono".

La notizia è arrivata dopo una serie di repliche e contro-repliche tra Lega e

Coni. Petrucci, in mattinata, aveva ventilato l'ipotesi di non mettere a

disposizione lo stadio Olimpico per la finale di Tim Cup, a seguito delle

polemiche innescate nei giorni scorsi dal presidente del Napoli Aurelio De

Laurentiis. La Lega, nella persona del presidente Maurizio Beretta, era poi

intervenuta rivendicando uno stadio in grado di accogliere il maggior numero

di tifosi. A quel punto Petrucci aveva chiuso l'argomento: "Trovatevi un altro

stadio". La querelle si è risolta grazie alla telefonata tra i due presidenti.

Farla prima?

"Io sono d'accordo con Andrea Agnelli quando dice che bisogna giocare a Roma.

Per noi l'importante è garantire la presenza dei nostri tifosi, quelli che

hanno la tessera del tifoso ma anche i tanti che non la hanno, che sono venuti

a sostenerci per tutta la stagione e che sono venuti con noi in giro per

l'Europa", ha detto il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis.

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Petrucci è un uomo di m***a, chiede di placare gli animi coi tavoli della pace e poi è il primo a mettere zizzania.

Dimettiti, pagliaccio!

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Radiazione Moggi, Alta Corte decide il 4 aprile

La Corte, presieduta da Roberto Chieppa, concluderà quindi entro la settimana prossima l'ultimo grado di giustizia sportiva passata attraverso le condanne, legate allo scandalo di Calciopoli, dell'ex direttore generale della Juventus, dell'ex amministratore delegato bianconero e dell'ex vicepresidente della Federcalcio sancite nei due precedenti gradi del giudizio sportivo

ROMA - Si conoscerà probabilmente il 4 aprile la decisione dell'Alta Corte di Giustizia presso il Coni sulla conferma o meno delle radiazioni di Luciano Moggi, Antonio Giraudo e Innocenzo Mazzini. La Corte, presieduta da Roberto Chieppa, concluderà quindi entro la settimana prossima l'ultimo grado di giustizia sportiva passata attraverso le condanne, legate allo scandalo di Calciopoli, dell'ex direttore generale della Juventus, dell'ex amministratore delegato bianconero e dell'ex vicepresidente della Federcalcio sancite nei due precedenti gradi del giudizio sportivo: Commissione disciplinare e Corte di Giustizia federale. "Cosa faremo in caso di esito negativo? Qualcosa troveremo". È stata la prima dichiarazione dell'avvocato Paolo Rodella, uno dei cinque legali di Moggi, oggi assente in aula.

L'ATTESA - All'udienza che si è conclusa in tarda sera, e durata complessivamente circa tre ore, ha partecipato infatti soltanto Mazzini, insieme ai legali Gaetano Viciconte e Flavia Tortorella. Assente anche Giraudo. Il ricorso dell'ex ad della Juve è stato affrontato per primo dalla Corte, ma all'uscita dall'aula, i legali Andrea Galasso e Massimo Krogh non si sono sbilanciati sulla sentenza: "Previsioni? Meglio non farne". Poi è toccato a Mazzini che, dopo un'ora, ha lasciato il palazzo H del Coni senza rilasciare dichiarazioni. È quindi entrato in aula il pool di legali di Moggi (Paco D'Onofrio, Maurilio Prioreschi, Paolo Rodella, Flavia Tortorella e Federico Tedeschini) che si è avvalso anche dell'utilizzo delle slides per difendere il proprio assistito. Gli avvocati della Figc Luigi Medugno, Letizia Mazzarelli e Matteo Annunziata non hanno rilasciato dichiarazioni, ma per conoscere il futuro sportivo di Moggi, Giraudo e Mazzini occorrerà attendere ancora pochi giorni. In caso negativo, comunque, i legali dei bianconeri sono pronti a ricorrere alla Corte di Giustizia di Strasburgo.

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Su Moggi, Giraudo e Mazzini

l’Alta Corte decide il 4 aprile

di ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 28-03-2012)

ROMA. Si dovrà attendere la Settimana Santa, probabilmente mercoledì 4, per

sapere se la più lunga sentenza della storia del calcio italiano, quella

relativa alle radiazioni di Moggi, Giraudo e Mazzini, sarà l’inizio del

Golgota infinito dei protagonisti di Calciopoli. Ieri l’Alta Corte ha

assistito alla sfida in diritto, soprattutto, tra i legali della Figc, Medugno

e Mazzarelli, e gli avvocati di Giraudo (Galasso e Krogh), prima, con quelli

di Mazzini (unico incolpato presente), Flavia Tortorella che assiste anche

Moggi e Viceconte, e quelli di Big Luciano (Prioreschi, Tedeschini, Rodella e

D’Onofrio).

La Figc ha interesse a che Moggi non si possa più tesserare («s’è sottratto

al deferimento dimettendosi: deve scontare ancora 20 mesi») e teorizza che

l’allucinante lunghezza dell’attesa della radiazione (4 anni e 11 mesi sui 5

anni della squalifica) siano a favore dell’imputato. Scuotono la testa i

legali, ma anche i giudici: ma è “legale” che una radiazione arrivi così tardi,

senza provocare l’annunciato ricorso alla Corte dei diritti dell’uomo di

Strasburgo. «Decidiamo entro il 4 aprile», dice il presidente dell’Alta Corte,

Chieppa, uscendo. Si parla di un forte dibattito nella corte, ieri, a

differenza dell’udienza di ottobre, in formazione completa: tornato anche

Luciani, oltre a Pardolesi, De Roberto, Lo Turco e Chieppa. Mostrate in

udienza le slide che sintetizzavano le discrepanze prodotte dalla motivazione

della sentenza su Calciopoli: nessuna partita taroccata, niente sorteggi

truccati etc. «Manca l’aggravante per la radiazione e Moggi è fuori da sei

anni dal calcio», dice Prioreschi.

___

GaSport 28-03-2012

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Per una volta, tifate italiano

Qualche buon motivo per tifare contro il Barcellona,

unica vincente nella storia a non essere odiata da (quasi) nessuno

di DAVIDE COPPO (Studio 28-03-2012)

C’è una pratica molto in voga tra i tifosi calcistici di questo paese, una

pratica millenaria che sfiora scienza, religione e tradizioni radicate nel più

profondo humus culturale mediterraneo. Si chiama “maniavantismo”, ed è

insieme la scintilla da cui prenderà forma questo articolo e l’asse inclinato

intorno a cui girerà. Perché darò qui per scontato che, alle ventitré di stasera,

il Barcellona avrà già in tasca la qualificazione alle semifinali di Champions

League. Sarò, da milanista, prontissimo ad ammettere la superiorità de facto

dei catalani, ma anche tenace nel recriminare umilmente (senza cadere in

quell’altro fenomeno, il “pianginismo”) le assenze di Thiago Silva, Pato (che

farebbe, in tutta sincerità, rimpiangere Dugarry, ma aggiungerò che il

giovanotto «in queste partite si esalta»), perfino di Gattuso e Cassano. Posto,

quindi, che il club che sostiene di essere més que un club vincerà a San Siro

come fece già qualche mese fa, cercherò delle ragioni per convincere gli

spettatori o i tifosi avversari a tifare l’ultima squadra italiana rimasta

nella competizione. Ragioni faziose, livorose e poco sincere, beninteso. Ma si

sta parlando del gioco calcio, non di un governo tecnico qualunque, e le

ragioni del cuore superano quelle del buonsenso. Almeno per ventiquattro ore.

Innanzitutto è giusto che davanti alle legge siano tutti uguali. La legge del

calcio vuole che chi vince troppo sia Il Nemico. Lo è stato l’Inter, prima di

tornare a essere il Bagaglino versione calcistica. Lo è ora il Milan, arrogante

come un Ibrahimovic e sorridente come un Berlusconi. Lo è sempre il Real

Madrid, che vincere non vince più da tempo, ma ha vinto forse troppo e sta

ancora pagando la lenta digestione. Addirittura la Juventus, dopo la Serie B, i

Ciro Ferrara, i Del Neri, è riuscita a tornare la squadra più odiata della

Penisola. In giro nei bar si sente rispolverare perfino “l’anatema infamante”:

l’appartenenza agli Agnelli. Eppure il Barcellona piace a tutti indifferentemente.

Sì, qualcosa ultimamente si muove, soprattutto là dove il calcio è stato creato, in

Inghilterra (in Italia è encomiabile l’opera di Jack O’Malley ogni martedì sul Foglio),

ma la sensazione è che i blaugrana si siano barricati in un Olimpo di intoccabilità

che neanche Gandhi o Madre Teresa di Calcutta, e senza nessun Christopher

Hitchens all’assedio.

L’essenza del calcio, in secondo luogo, è molto simile al sogno americano. Il

calcio è un mondo delle opportunità, dove anche uno come Fabio Grosso

può scrivere il suo nome, indelebile, nella storia, dove nulla è scontato, e non

sempre vince il più forte, anzi. Questa è la principale differenza con, per

esempio, la pallacanestro, ancor più che la scelta degli arti con i quali si

manovra la sfera. Nel calcio anche le più scontate tra le partite contengono

un quantitativo di entropia ad altissimo rischio di deflagrazione. Con

l’avvento del Barcellona tutto questo è stato annullato. La dittatura ha

sostituito la democrazia, la tirannia del risultato è asfissiante. Nessuno può

battere la squadra aliena, la squadra che impone al ritmo di gioco un ordine e

una cadenza tipica dei regimi totalitari. E la tirannia catalana si estende a

un altro ambito, forse più importante. Quello estetico. Il Barcellona ha

assolutizzato e insieme omologato il concetto di spettacolo. Prima, la

bellezza poteva stare in un ruvido intervento difensivo («Cccànnavaro!

CCCÀNNAVARO!»), in un’ala che macinava chilometri in velocità anche solo

per crossare, stremato, in tribuna, in un colpo di testa schiacciato e violento,

perfino in un eroico catenaccio come quello di Italia-Olanda del 2000. Oggi,

la democrazia è in pericolo.

C’è poi una ragione economica, per augurarsi che il Barcellona soccomba

a Mesbah e Bonera (sic). I catalani, nel prossimo mercato estivo, più di tanto

non potranno rinforzarsi, essendo già una macchina difficilmente affinabile.

Chi invece, nella sua cieca furia di eterno secondo, potrebbe devastare il

mercato europeo a suon di milioni togliendo pane alle nostre povere squadre,

è Florentino Pérez. Ci si metteranno già gli sceicchi di Manchester e Parigi,

cerchiamo di evitare la bile dell’immobiliarista spagnolo, e facciamogli

credere che la sua accozzaglia di stelle possa davvero vincere qualcosa. In

(pen)ultima analisi, c’è il rischio emulazione. Un’ipotesi che poteva sembrare

remota, invece si è concretizzata con la folle idea di Luis Enrique di

esportare la Catalogna nel Lazio. Risultato? Valgano come monito le parole di

O’Malley: «La Ġazzetta, notando con acribia che quelli della Roma una volta

perdono e si pigliano a pugni nello spogliatoio, un’altra perdono e rimangono

in otto in campo, sancisce che il modello Barcellona non è esportabile. Ben

arrivati». Di “velcro-touch midfield gnomes” (geniale definizione del Guardian)

ce ne sono pochi, ed è bene che restino confinati dove il clima è a loro

favorevole, o rischiano di fare la fine del povero Bojan.

Infine, la ragione forse più ragionevole di tutte: diamo ai giornalisti nuovi

argomenti. Liberiamo le centinaia di collaboratori dei quotidiani sportivi dal

giogo della citazione-di-Sandro-Modeo. Se l’egemonia catalana scomparirà,

se verrà affossato il “calcio da teatro” in cui anche chi perde applaude

l’avversario solo perché è sponsorizzato Unicef, potrebbe essere un mondo

migliore, per tutti.

Davide Coppo - Giornalista

Davide Coppo, classe 1986, milanista, è redattore di Studio.

A volte scrive anche altrove, sia web o carta

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GaSport 28-03-2012

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Il gol di Messi assegnato in diretta

Quando il referto diventa pubblico

Arbitri senza segreti

ma soltanto in Spagna

La svolta della Federazione nel 2003: tutte le decisioni on line

Negli altri Paesi privacy garantita. In Germania libertà di parola

In Italia i direttori di gara non possono parlare senza una autorizzazione

di FRANCESCO CENITI (GaSport 28-03-2012)

«Il gol è stato assegnato a Messi, a dirmelo è stato l'arbitro... ». Fine del

primo tempo tra Maiorca e Barcellona, la squadra di Guardiola è avanti grazie

alla rete realizzata da Sanchez. Almeno è quello che pensano giornalisti e

tifosi. Certo, il tocco dell'ex Udinese è stato davvero impercettibile, forse

neppure c'è stato. Il dubbio è degli stessi compagni della Pulce. E allora ci

pensa Andoni Zubizarreta, grande portiere del Barça dal 1986 al 1994 e attuale

dirigente blaugrana, a dirimere la questione. Come? Chiedendo al direttore di

gara Ayza Gámez: «Scusi, lei a chi ha dato il nostro gol?». La risposta la

conoscete già, quello che forse non tutti sanno è la particolarità di questo

fatto: non una «mattana» del fischietto in questione, ma una prassi che va

avanti dal 2003, anno nel quale la Federazione spagnola ha deciso di rendere

visibile a tutti il referto dell'arbitro per una questione di «trasparenza».

Non solo chi è l'autore del gol (una rarità: Uefa e Fifa non assegnano questo

compito ai loro uomini, strada seguita da quasi tutte le altre federazione,

Italia compresa), ma soprattutto chi è stato ammonito o espulso con le

relative motivazioni. E ancora: sono pubbliche tutte le altre annotazioni che

di solito restano un segreto tra arbitro e giudice sportivo.

Sfumature Così accade che dopo soli 15 o 20 minuti dalla fine di una partita,

chiunque può soddisfare la propria curiosità su ammoniti e marcatori andando a

controllare direttamente il sito della Federazione spagnola. A volte i referti

diventano fonte di notizia per i giornalisti: qualche settimana fa gli insulti

di Pepe (Real Madrid) all'arbitro sono stati riportati parola per parola e in

pochi minuti rilanciati da radio, tweet e siti on line. Senza contare un altro

vantaggio: sono eliminate le polemiche infinite legate ai tanti fantacalcio

attivi nel mondo: cartellini gialli e rossi, gol e autorete sono «punti»

importanti che possono fare la differenza. Non avendo una fonte ufficiale (il

referto) sono i giornali a dettare la linea, ma spesso con versioni diverse.

Cosa impossibile, invece, dalle parti di Madrid o Barcellona. Ma quello che

più interessa è la questione arbitrale: un referto pubblico nell'idea dei

dirigenti spagnoli elimina qualunque «cattivo pensiero» su possibili

manomissioni legate alle prove tv o ai giocatori diffidati. Attenzione: è

questa l'unica apertura concessa al mondo arbitrale. Per il resto i fischietti

restano in rigoroso silenzio, non concedono interviste (tranne i casi

autorizzati) e non danno spiegazioni. Le designazioni sono effettuate da una

commissione composta da tre ex arbitri: uno in rappresentanza della Liga, uno

della Federazione e l'ultimo slegato da entrambe e super partes. Così va in

Spagna. Gli altri Paesi sono più o meno allineati all'Italia.

In Italia Da noi il referto è compilato dall'arbitro negli spogliatoi e

subito spedito al giudice sportivo e alla Federazione. Resta segreto, mentre

alle squadre è consegnata una lista dove sono segnati i numeri di maglia degli

ammoniti o degli espulsi (ma senza motivazioni). Non è un compito del

direttore di gara, invece, indicare i marcatori: sono solo segnati i gol

complessivi del club. Gli arbitri, poi, non possono parlare. Interviste

possibili solo se autorizzate dal presidente della associazione. Da anni si

discute su questo punto: perché non permettere ai fischietti di dare

spiegazioni sulla concessione o non di un rigore? Una promessa in questo senso

era stata fatta da Marcello Nicchi (attuale numero uno dell'Aia), che però ha

innestato la retromarcia («i tempi non sono maturi») dopo le ultime polemiche

legate al gol non visto di Muntari in Milan-Juve.

Germania libera Gli arbitri tedeschi hanno invece questa opportunità: nessun

divieto di parola, ma discrezione totale. In pratica possono fare come i

giocatori e decidere di presentarsi ai giornalisti (di solito la Ard o Zdf,

Rai 1 e Rai 2 di Germania) per rispondere alle domande. C'è da aggiungere che

raramente il clima è avvelenato come in Italia, anche in presenza di gravi

sviste. Sul referto i tedeschi sono per la privacy: nessuna pubblicazione e

tutto resta coperto da segreto. La stessa cosa accade in Inghilterra (è

scritto subito dopo la gara e inviato alla Federazione) e in Francia. Insomma,

Messi può considerarsi fortunato: fuori dalla Spagna quel gol sarebbe finito

sulle spalle di Sanchez.

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laProposta

Dopopartita non si vive di sole risse

La televisione indugia sugli aspetti peggiori del calcio e

manda gli spot quando ci sono gli abbracci: scelta sbagliata

di ENRICA SPERONI (GaSport 28-03-2012)

Juve-Inter, partita finita. I bianconeri contenti salutano i tifosi, ora

l'inquadratura è per Buffon che abbraccia Zanetti, ma dura un attimo perché il

telecronista di Sky ha già chiamato il superspot. Peccato.

Quando i dopogara finiscono in rissa le telecamere non perdono un colpo e

indugiano su facce stravolte e labiali, invece la serenità non fa notizia.

Peccato.

Basterebbe poco: qualche minuto in più di immagini dal campo con i giocatori

che si salutano e si abbracciano, non servirebbe nemmeno il commento, bastano

gli occhi per capire la differenza di significato tra avversario e nemico.

Vedere un civile dopopartita fa bene a tutti. Aiuta a stemperare le tensioni,

suggerisce toni meno esasperati a opinionisti, dirigenti, giornalisti,

telespettatori. E non provoca fraintendimenti.

Lo scambio di maglia tra Del Piero e Seedorf, martedì sera dopo la semifinale

di Coppa Italia, valeva più di un fondino sul fair play. Raccontava rispetto e

cordialità, azzerava le troppe parole con cui dirigenti e tecnici di Juventus

e Milan avevano innaffiato da settimane la sfida. Quando Del Piero è andato a

esultare verso i tifosi indossando la maglia di Seedorf nessun milanista l'ha

vissuto come sfottò. E nessun bianconero ha pensato a uno scalpo.

Quando i campioni si comportano da campioni non c'è bisogno d'altro. La tv

faccia la sua parte: li riprenda. Sono belle immagini, lo spot un pochino può

attendere. O no?

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Questa sera Milan-Barcellona. Stima Pwc: la rosa dei rossoneri vale 281 milioni di euro, quella blaugrana 541 milioni

A San Siro sfida da 800 milioni

Il club catalano è una vera holding con un fatturato che sfiora i 450 milioni

I BILANCI A differenza degli italiani, gli spagnoli hanno un mix

equilibrato di ricavi tra botteghino, sponsor e diritti tv «individuali»

di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24 Ore 28-03-2012)

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Luci a San Siro. Quella che andrà in scena stasera allo stadio Meazza (sold

out con 4,7 milioni di incasso, un record assoluto per l'Italia), tra Milan e

Barcellona, è una sfida stellare. Anzitutto per il palmarès delle due squadre:

in campo andranno, tra l'altro, una quarantina di titoli nazionali e 11 Coppe

dei campioni (sette vinte dai rossoneri e 4 dai Blaugrana). Ma anche per il

valore economico delle rispettive rose.

A contendersi l'accesso alle semifinali di Champions, saranno 22 calciatori

il cui valore di mercato – stimato nel report elaborato da Pwc – supera i 500

milioni. Il prezzo totale dei due organici è di oltre 800 milioni. Quello del

Milan "costerebbe" oggi 281 milioni. Quello del Barcellona 541. A far pendere

la bilancia dalla parte dei catalani è anche l'età media degli atleti che

sfiora i 27 anni, mentre i titolari rossoneri hanno quattro anni in più. Il

fattore anagrafico, in effetti, incide non poco sulle valutazioni. I

fuoriclasse schierati da Guardiola sono tanti e i costi dei cartellini di

alcuni, al momento, sono accessibili solo a sceicchi e oligarchi. Fuori

categoria, naturalmente, Lionel Messi, la cui quotazione "teorica" si aggira

sui 100 milioni di euro. Teorica perchè per ora non pare possibile vederlo

giocare con una maglia diversa da quella del Barca. Oltre 50 milioni

servirebbero inoltre per strappare al club catalano giocatori del calibro di

Iniesta e Fabregas. Per sovvertire il pronostico sfavorevole il Milan si

affiderà soprattutto al talento di Zlatan Ibrahimovic. Proprio Ibra due anni

fa è stato protagonista di un clamoroso passaggio dal Barcellona al club

rossonero. Un affare realizzato dall'ad milanista Adriano Galliani che è

riuscito ad accaparrarsi lo svedese (strappato all'Inter dai Blaugrana l'anno

prima per complessivi 70 milioni) per la "modica" cifra di 25 milioni (pagati

a rate).

Minusvalenza, in ogni caso, assorbita bene dal bilancio del Barcellona che ha

fatturato nell'ultima stagione 450 milioni. I ricavi degli spagnoli sono

distribuiti in modo equilibrato tra il botteghino (110 milioni), il settore

commerciale (dallo scorsa stagione anche il Barcellona ha un sponsor, la Qatar

Foundation) e diritti televisivi (183 milioni). I conti della squadra catalana

beneficiano dei contributi di oltre 170mila associati e dal sistema di vendita

dei diritti tv "individuale". A differenza degli altri paesi, in Spagna,

infatti Real e Barcellona possono contrattare da sole con le emittenti e

questo garantisce un surplus di introiti a discapito degli altri club.

Il Milan, invece, è ancorato alla vendita collettiva dei diritti tv stabilito

dalla legge Melandri (questa voce, come indicato nell'ultimo bilancio chiuso

al 31 dicembre 2010, ha assicurato 110 milioni) e alla mancanza di uno stadio

di proprietà (da biglietti e abbonamenti arrivano circa 35 milioni). Per

quanto il club rossonero sia all'avanguardia in Italia per sponsor e marketing

(con ricavi da oltre 90 milioni), sul fronte fatturati al momento perciò non

c'è partita. Una disparità che spetterà al campo confermare o sovvertire.

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Coppa Italia Il presidente del Coni contro la Lega. Poi il chiarimento: Juve-Napoli all’Olimpico. Abete (Federcalcio): che figuraccia

Intrigo all'italiana

Petrucci nega l'Olimpico per la finale. De Laurentiis

e Agnelli lo rassicurano Beretta media: si gioca a Roma

di FELICE NADDEO (Corriere del Mezzogiorno 28-03-2012)

NAPOLI — La finale di Coppa Italia diventa un caso diplomatico che scuote i

palazzi istituzionale dello sport. Ma, alla fine, l'intrigo all'italiana si

risolve in poche ore. Dopo aver accontentato un po' tutti, come di routine nel

Belpaese.

Si gioca a Roma, ma che importa se ieri si è parlato poco di calcio perchè il

tempo lo si è sprecato a spargere veleni. Ecco, quindi, che l'ultimo round

della coppa nazionale, quello tra Juventus e Napoli con gara secca, si

disputerà all'Olimpico. Come avviene oramai dalla stagione 2007-2008. Eppure

di parole, da ieri mattina, ne erano state utilizzate anche più del dovuto.

Quando l'orologio segna le undici, all'inaugurazione di un parco tematico

nella Capitale, parte di gran carriera Gianni Petrucci, presidente del Coni:

«Stiamo valutando la possibilità di non concedere lo stadio Olimpico per la

finale di Coppa Italia. Non abbiamo ancora avuto nessuna conferma dalla Lega.

E in questa situazione, non avendo ricevuto comunicazioni ufficiali, stiamo

pensando noi di non dare l'Olimpico per la sfida tra Juventus e Napoli del 20

maggio. Tutto questo scaturisce dalle troppe polemiche di questi giorni».

Il riferimento, evidente, è alle dichiarazioni di Aurelio De Laurentiis di

lunedì pomeriggio a Milano. Quando all'uscita dalla riunione del consiglio di

Lega, il presidente del Napoli aveva sollevato perplessità su Roma quale sede

della finale. Assestando anche qualche stoccata a Petrucci: «Pensino a

innovare il calcio». Intanto, sempre nella frenetica giornata di ieri, a ogni

ora c'è una nuova sortita. Alle 16 tocca a Maurizio Beretta, presidente della

Lega Calcio, difendere i suoi associati che avevano messo in dubbio

l'opportunità di giocare nella Capitale. «La finale di Coppa Italia è un

evento di straordinario richiamo e merita uno stadio che consenta al maggior

numero di tifosi di assistervi — ha evidenziato il capo della Confindustria

del pallone — considerato lo straordinario richiamo di una sfida tra Juve e

Napoli stiamo cercando di costruire tutte le condizioni perchè il massimo

numero di tifosi assista all'evento. Mi pare evidente che la definizione di

tutti questi aspetti è importante al fine della scelta». Parole pacate, queste,

che comunque fanno infuriare Petrucci. Il numero uno del Coni, quindi,

rilancia a distanza di appena quindici minuti dalle esternazioni di Beretta. E

siamo alle 16.15: «Pensavo che le lettere di richiesta per l'utilizzo dello

stadio e le riunioni svolte dalla Lega all'Olimpico fossero ufficiali, non

formali — dice il capo del Coni — Beretta dimentica che l'anno scorso

Inter-Palermo ha fatto registrare il tutto esaurito all'Olimpico. Ha voluto

mettere una toppa ma non s'è accorto che è rimasto il buco. A questo punto

pensassero ad un altro stadio. Per noi il discorso è chiuso».

La mediazione, in questo guazzabuglio italico, tocca a chi — negli ultimi

anni — è stato il meno diplomatico dei presidenti di serie A, Andrea Agnelli,

il patron della Juve. L'uomo che ha portanto il calcio italiano davanti al

Tribunale per vedersi riconiusciuti gli scudetti sottratti dopo Calciopoli e

qualche decina di milioni di euro. Siamo alle 16. 30. «La Coppa Italia è

definita da alcuni anni Coppa del Presidente della Repubblica — afferma il

dirigente bianconero — quindi è naturale che la sede della finale sia a Roma.

Appena tre anni fa si è disputata all'Olimpico la finale Champions

Barcellona-Manchester United, non si vede per quale motivo non si possa

giocare Juventus-Napoli». Altro quarto d'ora, l'orologio segna le 16. 45, è

arriva anche Aurelio De Laurentiis, via radio Marte. «Sono d'accordo con

Agnelli — sentenzia il patron azzurro — Roma è la sede ideale. Nessuno l'ha

mai messo in dubbio. Il problema è garantire ai tifosi di poter partecipare

all'evento, soprattutto a quelli che sono venuti tutto l'anno allo stadio. Ho

sentito dire che potevano entrare solo quelli con la tessera del tifoso: e

tutti quelli che ogni domenica vengono al San Paolo in maniera corretta che

fine fanno? Il misunderstanding nasce nell'aver detto che noi non vogliamo

subire dall'alto le decisioni, per questo ho bloccato la vendita dei tagliandi

del 2 aprile. E continuo a dire che se le autorità non garantiscono la

sicurezza di chi viene allo stadio, io non vengo a giocare a Roma. Ma il

questore di Roma è persona molto capace. Secondo me Petrucci ha male

interpretato le mie dichiarazioni». Alle 17 la lieta novella. Beretta chiude

vuol chiudere cerchio e polemica. «Ho parlato con Petrucci pochi minuti fa —

rivela il presidente della Lega Calcio — ora siamo d'accordo: la finale di

coppa Italia si giocherà a Roma». Invece c'è Giancarlo Abete, presidente

Federcalcio, a riaprire la partita: «Una brutta pagina scritta dalla Lega, che

per fortuna è stata superata con un rinsavimento finale». Leggendo l'ordine

del giorno dell'assemblea di lunedì prossimo, speriamo che non se ne aggiunga

un'altra».

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Il membro dell’Osservatorio sulle manifestazioni sportive

Longhi: biglietti senza limiti solo a tifosi calmi

di DINO MANGANIELLO (Corriere del Mezzogiorno 28-03-2012)

NAPOLI — Dunque gli obiettivi erano tre. Il primo: dare la possibilità di

assistere alla finale di Coppa Italia ai tifosi azzurri che non sono in

possesso della tessera del tifoso. Questa battaglia ingaggiata da De

Laurentiis ed apertamente dichiarata con le parole di ieri, era stata del

resto caldeggiata, incitata, dai gruppi del tifo organizzato che avevano

mandato messaggi inequivocabili al patron attraverso cori e striscioni anche

domenica scorsa in occasione del match contro il Catania al San Paolo.

Il secondo obiettivo: tentare di evitare gli enormi problemi di ordine

pubblico che si annunciano in occasione dell'evento causa l'incrocio tra

quattro tifoserie rivali tra loro. Il terzo obiettivo: provare a far cassa in

uno stadio più capiente, anche se a conti fatti si trattava di una questione

di lana caprina: l'Olimpico è capace di 73.261 posti a sedere, il Meazza di

82.995, la differenza è di meno di 10mila unità. Forse ce n'era anche un

quarto, di obiettivo, quello di punzecchiare un po' i vertici del calcio e

dello sport, ma è solo un'ipotesi.

Punto per punto, intanto, le cose adesso stanno così: si va verso una prima

fase di vendita dei biglietti destinata ai possessori della tessera del tifoso;

dagli ambienti del tifo arrivano segnali poco incoraggianti e Roma potrebbe

trasformarsi in un pericoloso, enorme campo di battaglia; la vendita dei

biglietti comincerà a maggio, ne saranno destinati 31. 000 ad ogni tifoseria,

mentre 11.000 tagliandi saranno divisi tra le società di A, sponsor, invitati

ed imbucati vari. Alcune cose però potrebbero cambiare domani sera, quando si

chiuderà una delicata riunione dell'Osservatorio Nazionale sulle

Manifestazioni Sportive.

«Potrebbero arrivare aperture verso chi non è in possesso della tessera del

tifoso, ma dipende anche da come si comporteranno i supporters di Juve e

Napoli da qui alla fine della stagione», annuncia Carlo Longhi, componente

supplente del Casms. Longhi poi aggiunge: «Roma è la sede naturale di questa

finale, la stessa Coppa è dedicata al presidente della Repubblica che a meno

di impedimenti consegnerà di persona il trofeo alla squadra vincitrice. Giusto

che si giochi lì, anche perché a livello di ordine pubblico non ci sarebbe

stata tutta questa differenza giocando a Milano».

Ecco, sarà questo il vero ago della bilancia. «Se le autorità non

garantiscono la sicurezza di chi viene allo stadio, io non vengo a giocare a

Roma», ha detto ieri a muso duro De Laurentiis. Ma per motivi di prestigio e

per non far registrare una debacle delle istituzioni in materia di ordine

pubblico, non si può non giocare nella Capitale. Si va verso una finale

superblindata. Sperando che basti davvero.

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La finale Nuova battaglia tra Coni, Federcalcio e Lega di serie A: la crisi istituzionale è grave

Petrucci riporta la Coppa Italia a Roma

di ALESSANDRO BOCCI (CorSera 28-03-2012)

MILANO — Ora che il teatrino sulla sede della finale di Coppa Italia è finito,

resta grave la crisi istituzionale che rischia di paralizzare il nostro

calcio. Juventus-Napoli, in programma il 20 maggio, si giocherà allo stadio

Olimpico. Ma sorprendono i toni dello scontro tra i padroni del vapore. Da una

parte Coni e Federcalcio, dall'altro la Lega di serie A. Ormai non vanno

d'accordo su niente. La finale di Coppa è sembrata quasi un pretesto. Però ha

acceso un vespaio. Gianni Petrucci, presidente dello sport italiano, ha vinto

una partita importante, ma non potrà sorridere perché continuando così di

battaglie, più o meno pretestuose, ce ne saranno altre.

Petrucci ieri mattina, in risposta ad Aurelio De Laurentiis, aveva lanciato

il sasso nello stagno delle acque torbide: «Pensiamo di non concedere la

disponibilità dell'Olimpico per la finale di Coppa Italia». La replica di

Maurizio Beretta, numero uno della Lega, non è servita a chiarire la questione,

anzi ha scaldato gli animi: «L'evento è di così straordinario richiamo che

merita uno stadio adeguato». Parole che hanno acceso la rabbia di Petrucci:

«Se è così, pensassero davvero a un altro stadio. L'Olimpico non è disponibile

e per noi l'argomento è chiuso».

Il lungo pomeriggio di veleno si è chiuso con la telefonata di pace tra lo

stesso Petrucci e Beretta e con la partita definitivamente sistemata nello

stadio della capitale. Pace favorita dall'intervento di Andrea Agnelli, che

aveva fornito un assist allo stesso Petrucci. «La Coppa Italia da alcuni anni

viene anche definita Coppa del presidente della Repubblica, quindi la sede

naturale è Roma». Il presidente della Juventus non aveva mai preso in

considerazione l'ipotesi del trasloco. Un'idea cara soprattutto ad Aurelio De

Laurentiis che, nel Consiglio di lunedì, aveva avanzato altre candidature:

Milano, Parigi, Londra, non tenendo conto che la capitale inglese è sede dei

Giochi e per questo fuori dai giochi. Ma anche il presidente del Napoli, dopo

l'intervento di Petrucci, ha scelto il basso profilo. «Sono d'accordo con

Andrea Agnelli quando dice che bisogna giocare a Roma. Io voglio solo

garantire la presenza dei nostri tifosi». Questione di capienza, dunque. Anche

se tra San Siro e l'Olimpico la differenza è di soli 6 mila posti, cioè

tremila biglietti per ciascuna tifoseria. Beretta ha ottenuto da Petrucci che

ogni posto disponibile sarà reso disponibile per la finale. E l'Osservatorio

del Viminale, pur non facendo salti di gioia, ha garantito l'ordine pubblico.

La storia è finita, ma è stata una faticaccia e ha scatenato la rabbia di uno

solitamente moderato come Giancarlo Abete. «La Lega di serie A ha scritto una

brutta pagina, che per fortuna è stata superata con un rinsavimento finale.

Leggendo l'ordine del giorno dell'assemblea di lunedì prossimo speriamo che di

brutte pagine non se ne aggiunga un'altra», ha dichiarato il presidente della

Federcalcio. La Lega, infatti, dovrà esaminare la richiesta avanzata da Lotito,

che ha chiesto ai suoi colleghi presidenti di sostenerlo nella battaglia

personale contro le istituzioni sportive, cioè nel ricorso d'urgenza (ex

articolo 700) presentato da presidente della Lazio al tribunale civile di Roma

e in discussione il 3 aprile, contro la Federazione che l'ha escluso dal

Consiglio Federale recependo le nuove norme etiche del Coni.

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QUESTA LEGA É CONTRO IL CALCIO

di STEFANO AGRESTI (CorSport 28-03-2012)

L'ultima, deprimente pantomima sulla sede della finale di Coppa Italia

conferma ciò che sappiamo, forse da sempre: la Lega Calcio - chiamata

pomposamente «confindustria del pallone», ma in realtà la scopriamo

costantemente nel pallone - è del tutto inadeguata a pilotare il bolide che ha

in mano. Un bolide che produce ricchezza e che smuove passioni: denaro e amore,

cosa si può chidere di più? Peccato che tutto questo bendidio sia affidato a

chi pensa solo ai propri interessi di bottega e per perseguirli non esita a

usare mezzi e mezzucci.

C’è un’immagine che fa capire meglio di qualsiasi altra l’attendibilità di

chi ha in mano il calcio italiano (che un tempo era leader in Europa e ora,

forse non a caso, non lo è più). L’immagine è quella di Maurizio Beretta,

presidente di questa sciagurata assemblea, che oltre dodici mesi fa - inizio

di marzo 2011 - annuncia di dover mestamente abbandonare la poltrona: ha

ricevuto un importante incarico da un autorevole istituto bancario e il nuovo

ruolo è incompatibile con la poltrona di numero uno della Lega Calcio.

Attenzione: incompatibile significa che è decisamente inopportuno che uno

stesso dirigente occupi in contemporanea quelle due posizioni. Ed è proprio

lui, Beretta medesimo, che avverte: «Non intendo avere il doppio incarico,

rimango finché non viene individuato un sostituto».

Tu pensi: un po’ di contatti e telefonate, qualche riunione, qualche litigio,

un’assemblea e si elegge il successore. Anche perché, se non si cambia,

l’istituzione perde la poca credibilità che le è rimasta. Macché. Sono passati

dodici mesi, quasi tredici, e Maurizio Beretta continua a veleggiare sul ponte

di comando. Per la verità, è spesso nella tempesta: chi lo tira per un braccio,

chi per un altro; chi lo critica, chi quasi lo insulta; chi ne chiede a gran

voce le dimissioni, chi lo accusa di essere al servizio di questo o quel

presidente (soprattutto di «quel» presidente, sì, proprio quello.. . ). E c’è

anche chi, inevitabilmente, gli rinfaccia il doppio incarico, sostenendo che

usa un ruolo per gestire l’altro: lo fa Zamparini, presidente del Palermo, e

non conta se i suoi sospetti siano fondati oppure no, perché è imbarazzante il

fatto stesso che si possano avanzare dubbi del genere. Ma lui, Beretta, non

s’imbarazza affatto: sorride e va avanti. E asseconda i disastri architettati

dai suoi presidenti. Come l’ultimo, quello della sede di Coppa Italia.

Spinto da pressioni interessate e inopportune - a cominciare dalle

dichiarazioni di De Laurentiis, colto per una volta in fuorigioco - Beretta

stavolta minaccia di spostare la finale di Coppa Italia: niente Roma, magari

Milano, per una manciata di posti allo stadio in più. Una contraddizione

indecorosa e inaccettabile, dopo che per anni si è dichiarato che la nostra

coppetta nazionale, per acquistare un po’ del prestigio della mitica Coppa

d’Inghilterra, doveva avere una tradizione, e che la sede fissa per la finale

(l’Olimpico appunto) era un modo per cominciare a creare questa tradizione,

questa storia. Inoltre, se si vuole, la scelta ventilata dalla Lega è

indelicata, quasi irrispettosa, nei confronti del Presidente della Repubblica,

che premia la squadra vittoriosa nella Capitale. Chissà se Napolitano avrebbe

potuto spostarsi a Milano il 20 maggio per fare un favore a Beretta e agli

interessi della Lega Calcio...

Per fortuna non tutti i dirigenti sono uguali e non tutti si piegano a

ricatti di basso livello. Per salvare la finale romana di Coppa Italia - e

dunque per salvare quel briciolo d’immagine che il trofeo si sta riguadagnando

- è dovuto intervenire Gianni Petrucci, presidente del Coni. Ha forzato la

mano, ha dichiarato che non avrebbe concesso lo stadio Olimpico per

Juventus-Napoli, e tutto si è risolto in meno di un’ora: la presa di posizione

di Petrucci è delle 15,57, l’annuncio di Beretta che tutto si era risolto e

che si sarebbe giocato a Roma è delle 16,48. Se la Lega non avesse in mano il

nostro calcio, presente e futuro, una situazione così grottesca e paradossale,

quasi comica, farebbe ridere.

Ci aspetteremmo, adesso, che i presidenti trovassero immediatamente un nuovo

numero uno per la Lega, lo eleggessero e programmassero qualcosa di

propositivo per rilanciare il nostro calcio, togliendo Beretta dall’imbarazzo

del doppio incarico. Ma temiamo che non lo faranno, perché nel caos ci

sguazzano. E allora, dal primo all’ultimo, ci facciano almeno la cortesia di

non lamentarsi più di Beretta, della sua incapacità di sopportare pressioni e

condizionamenti, dei suoi conflitti d’interesse. Loro lo hanno scelto e lo

hanno votato; loro hanno deciso di lasciarlo al suo posto anche quando lui

stesso si è chiamato fuori. Tenetevelo, Beretta, e fate assieme tutte le

figuracce che volete. In silenzio, però. Almeno questo.

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COPPA ITALIA Ma De Laurentiis vuole rivedere la distribuzione dei posti

Coni-lega, guerra e pace

sulla finale all’Olimpico

Petrucci non gradisce le polemiche e sbotta: «Si trovino altri stadi»

Intervento decisivo di Agnelli, Beretta ricuce. Abete: «Figuraccia»

di MARCELLO DI DIO (il Giornale 28-03-2012)

Cinque ore di polemica a distanza in cui volano gli stracci. Protagonisti gli

acerrimi avversari di questa fase storica del calcio: il Coni e la Lega di A.

Motivo: la sede della finale di coppa Italia tra Napoli e Juve, prima prevista,

poi spostata e infine riportata all’Olimpico di Roma. Dove l’atto conclusivo

della competizione si gioca dal 2008.

Una telefonata tra i presidenti Petrucci e Beretta (dopo un intervento

decisivo di Andrea Agnelli) ricuce lo strappo e chiude l’ennesima querelle che

rappresenta (parole di Abete) «un’altra brutta pagina scritta dalla Lega di A,

per fortuna superata con un rinsavimento finale». Dopo la provocazione del

patron del Napoli De Laurentiis («giochiamo la finale a Milano, oppure a

Parigi o Londra») il Coni attendeva lunedì una parola definitiva da parte

della Lega, come al solito non decisionista (almeno in sede istituzionale,

l’ultima assemblea aveva rinviato l’ufficializzazione del sito della finale al

3 aprile), anche se informalmente la scelta di Roma era già stata fatta (lo

prevede il regolamento: la sede va comunicata prima delle semifinali).

Il presidente Petrucci aveva già esternato lunedì il suo disappunto,

auspicando sulla vicenda un passo indietro «da parte di chi ha cervello». Ieri,

di fronte ai continui litigi dei presidenti di A, la minaccia: «Stiamo

pensando di non concedere l’Olimpico, non abbiamo ancora avuto la conferma».

Beretta non aveva gradito: «La finale di coppa Italia è un evento di

straordinario richiamo e merita uno stadio che consenta al maggior numero di

tifosi di assistervi». La controreplica di Petrucci sembrava chiudere il

discorso in maniera drastica: «Pensino a un altro stadio, credevo che le

lettere di richiesta per l’utilizzo dell’Olimpico e le riunioni svolte dalla

Lega nell’impianto fossero ufficiali, non formali». Poi il lieto fine con la

telefonata di pace tra i due: vittoria del Coni che ha messo alle strette la

Lega di A, la quale davanti a una figuraccia non poteva che confermare la sede

romana. Di fatto già approvata, come dimostra la lettera di invito spedita da

Beretta a Napolitano.

«La coppa Italia è definita da alcuni anni coppa del Presidente della

Repubblica, quindi è naturale che la sede della finale sia a Roma dove appena

tre anni fa si è giocato senza problemi l’atto conclusivo della Champions tra

Barcellona e Manchester United», ha precisato Andrea Agnelli, patron della

Juve. «Per noi l’importante è garantire la presenza dei nostri tifosi, quelli

che hanno la tessera ma anche i tanti che non la hanno, che sono venuti a

sostenerci per tutta la stagione e in giro per l’Europa», così il numero 1 del

Napoli, entrato in «collisione» con il Coni dopo essere stato ammesso al

fallimentare tavolo della pace. Svelati così i veri motivi della proposta di

una sede diversa avanzata del patron azzurro. Che raddrizza il tiro: «Credo

che Petrucci abbia male interpretato le mie dichiarazioni, pensava forse che

disdegnassimo l’Olimpico, ma noi ci teniamo a giocare nella città del

Presidente della Repubblica». Probabile però che venga accolta la richiesta di

De Laurentiis di rivedere la distribuzione dei settori dello stadio.

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Finalmente

Ora sono tutti d’accordo

«La Coppa Italia a Roma»

di PINO TAORMINA (IL MATTINO 28-03-2012)

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Una telefonata per cancellare due giorni di interminabili polemiche. E sancire

Roma come sede della finale di Coppa Italia tra Juventus e Napoli, prevista,

poi spostata, poi riportata allo stadio Olimpico il 20 maggio. Un passo alla

volta, perché la giornata va raccontata. Inizia di buon ora: probabilmente

dopo aver letto sui giornali che la telenovela era ben lontana da avviarsi

alla conclusione, il presidente del Coni ha sbottato: «Pensiamo di non dare lo

stadio Olimpico per la finale». Petrucci va su tutte le furie dopo aver preso

atto che la Lega, nell’assemblea di lunedì, non si è pronunciata sulla

questione. A gettare la benzina sul fuoco, poco dopo, Maurizio Beretta: «La

finale di Coppa Italia è un evento di straordinario richiamo e merita uno

stadio che consenta al maggior numero di tifosi di assistervi. Noi lavoriamo

perché questo si realizzi». In pratica, dunque, più o meno la tesi del Napoli.

Parole che lasciano intendere che la Lega pensa a uno spostamento.

E i tentennamenti non sono per nulla graditi (eufemismo) a Petrucci: «A

questo punto pensassero ad un altro stadio, il discorso è chiuso». Fine.

Almeno così sembra. Ma Petrucci va ancora all’attacco. Ed è chiaro che più che

contro De Laurentiis, ce l’ha con Beretta: «Pensavo che le lettere di

richiesta per l’utilizzo dello stadio e le riunioni svolte dalla Lega

all'Olimpico fossero ufficiali, non formali. Altrimenti non avrei nemmeno

risposto. Beretta dimentica che l’anno scorso Inter-Palermo ha fatto

registrare il tutto esaurito. Ha voluto mettere una toppa ma non s'è accorto

che è rimasto il buco».

Non si sa se quella di Petrucci sia stata una mossa strategica. Si sa solo

che basta che l’Ansa batta questa agenzia perché Beretta prende il telefono e

chiami il presidente del Coni. «C’è stato solo un malinteso. La partita la

giochiamo a Roma», dice al capo del Coni. Subito dopo è Beretta in persona a

sciogliere la riserva: «Ora siamo d’accordo: la finale si giocherà a Roma.

Voglio chiudere la porta a ogni tipo di equivoco o dubbio. Stiamo lavorando

per garantire al più alto numero possibile di tifosi».

A dare probabilmente il via libera alla pace, l’intervento del presidente

della Juventus, Andrea Agnelli che, di fatto, sconfessa Beretta e per la prima

volta esce allo scoperto e boccia nettamente l’idea del trasloco: «La Coppa

Italia è definita da alcuni anni Coppa del Presidente della Repubblica quindi

è naturale che la sede della finale sia a Roma. Appena tre anni fa si è

disputata allo stadio Olimpico la finale di Champions, non si vede per quale

motivo non si possa giocare Juventus-Napoli».

A quel punto è il momento di Aurelio De Laurentiis parlare e di uscire allo

scoperto. Il presidente del Napoli precisa di «condividere le parole di Andrea

Agnelli e non avere niente contro la sede di Roma» per la finale ma di volere

che alla finale abbiano accesso «anche i tanti, anche quelli sprovvisti della

tessera del tifoso ma che ci seguono per tutta la stagione». E qui De

Laurentiis non fa nessuna retromarcia: «Voglio un tavolo tecnico con i

rappresentanti del Viminale, con il questore di Roma Tagliente e con le due

società coinvolte perché le decisioni non possono passare sulle teste di

Napoli e Juve. Noi conosciamo i territori e dobbiamo lavorare anche per i

sostenitori che non hanno la tessera del tifoso ma che ci seguono sempre,

anche nelle trasferte in giro per l'Europa, comportandosi correttamente. Ho

deciso di dare la prelazione agli abbonati. I biglietti? Non li venderemo

nella prossima settimana, c’è ancora tempo», ha aggiunto il produttore

cinematografico.

«Una brutta pagina scritta dalla Lega di A, che per fortuna è stata superata

con un rinsavimento finale», è la chiosa serale del presidente della Figc,

Giancarlo Abete. Tanto rumore per nulla.

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La spedizione In fermento i sostenitori azzurri, si attende la decisione su eventuali agevolazioni per i possessori della Tessera

A Napoli trentamila biglietti,

ma richieste per 50mila

di DARIO SARNATARO (IL MATTINO 28-03-2012)

Soddisfatti i tifosi del Napoli dopo la decisione di confermare l’Olimpico

come sede della finale di coppa Italia: dal primo momento volevano che la

partita si giocasse a Roma. Domenica durante Napoli-Catania era stato esposto

in curva B questo striscione in riferimento ad eventuali agevolazioni per i

possessori della Tessera del tifoso: «Per ogni limitazione dura contestazione,

tutti a Roma». De Laurentiis vuole garantire pari diritti per tutti, i gruppi

ultrà sono in attesa di eventuali decisioni del Viminale.

Il presidente dell'Ainc (Associazione italiana Napoli Club) Saverio

Passaretti ha accolto con soddisfazione le dichiarazioni di De Laurentiis:

«Dal settembre 2004, ma anche prima, il Napoli ha avuto sempre al proprio

fianco uno zoccolo duro di tifosi, ovvero i ragazzi delle curve. È giusto che

De Laurentiis si sia esposto in loro favore, bisogna salvaguardare chi ha

sostenuto gli azzurri nella buona e nella cattiva sorte, in casa come in

trasferta. Opportuno, dunque, che il patron abbia intenzione di tutelare tutti

i tifosi: gli abbonati, i tesserati e quelli sprovvisti di Club Azzurro Card».

Passaretti espone anche la posizione della sua associazione: «Sono a favore

della tessera del tifoso, pur rispettando l'opposta scelta ideologica dei

ragazzi delle curve. Abbiamo già ricevuto molte richieste di tagliandi dai

nostri club, i cui iscritti, in verità, hanno quasi tutti la tessera del

tifoso. Invoco, ora, particolare attenzione nella gestione della vendita dei

biglietti e dell'organizzazione della partita».

Non sarà facile garantire la vendita a tutti i tifosi, ma Ciro Marchitelli,

presidente dell'Acan (Associazione Club Azzurri del Napoli), propone una

soluzione: «Il club dovrebbe chiedere ai tifosi storici di portare con sé un

documento per rilasciare un tagliando a testa». Ovviamente Marchitelli è

d'accordo nel tutelare tutti i tifosi. «De Laurentiis ha fatto bene a esporsi

in questo modo, è ovvio che bisognerebbe garantire un diritto di prelazione

agli abbonati, poi riservare una quota a chi ha la tessera ed infine premiare

i sostenitori delle due curve. Non si possono ignorare – aggiunge – coloro che

hanno sempre dato l'anima sugli spalti, sostenendo in tutti gli stadi, dalla C

alla A, il nostro amato Napoli. Speriamo che la vendita dei biglietti possa

essere organizzata in modo sereno».

Il punto nodale sarà proprio quest'ultimo: la domanda si può già quantificare

in 50mila biglietti, a fronte di circa 31mila tagliandi disponibili.

Distribuirli in modo razionale, provando a tutelare tutti i tifosi, sarà

impresa ardua.

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La svolta Il presidente del Coni abbandona la prudenza e alza i toni, retromarcia della Lega

Un pericoloso tormentone

poi Petrucci forza la mano

di PINO TAORMINA (IL MATTINO 28-03-2012)

Un fuoco incrociato di accuse velenose ha infiammato la lunga vigilia della

finale di Coppa Italia, trasformandola quasi in un inferno. Ogni giorno, una

bagarre. Una sorta di resa dei conti tra Lega Calcio e Coni (e nel mezzo la

Figc) scatenata dalla voglia del patron azzurro Aurelio De Laurentiis di

spostare altrove, magari a Milano, la sede della sfida del 20 maggio. Juventus

e Napoli si contenderanno il trofeo tricolore all’Olimpico. Così come previsto

la scorsa estate e così come succede ormai regolarmente dal maggio del 2008

per consentire la presenza del presidente della Repubblica, a cui la Coppa

Italia è dedicata. A tal proposito il Quirinale dalla vicenda è rimasto

ovviamente fuori: non si sa ancora chi consegnerà la Coppa del Presidente al

capitano della squadra vincitrice, perché il capo dello Stato, Giorgio

Napolitano, ha un impegno istituzionale e non potrà essere presente allo

stadio. Come lo scorso anno, quando toccò al presidente del Senato, Renato

Schifani consegnare la Coppa a quelli dell’Inter. Che, ironia della sorte,

avevano appena battuto il Palermo, la squadra del cuore della seconda carica

dello Stato.

La giornata di ieri è stata un interminabile sequenza di annunci,

ripensamenti, parole piccate, frasi risentite e persino turbolenti. In certi

momenti, la vicenda è sembrata scivolare sul grottesco quando è prima arrivato

l’annuncio che sembrava definitivo da parte di GiPetrucci («Trovatevi un’altra

sede», aveva sentenziato il numero uno dello sport italiano rivolgendosi a

Beretta) per poi giungere a una brusca inversione di marcia dopo aver

frettolosamente ricucito lo strappo con il presidente della Lega Calcio.

«Abbiamo trovato l’accordo, si gioca all’Olimpico», ha detto Beretta.

E l’accordo, ovvio, riguarderebbe i biglietti. Ma anche a chi tocca fornire

steward, raccattapalle, ambulanze, eccetera. Napoli e Juventus (che si

spartiranno con quote del 45 per cento l’incasso complessivo) avrebbero già

chiarito alcuni aspetti intoccabili: prezzo minimo in curva non inferiore ai

30 euro (il doppio dell'anno scorso per Inter-Palermo), riduzione dei settori

dove vendere biglietti ridotti, prezzi superiori ai 100-150 euro per le

tribune Monte Mario e Tevere.

È stata anche una giornata di tante, tantissime telefonate. Da parte delle

«colombe» del Coni che ricordavano all’eterno dimissionario Beretta e ai suoi

agguerriti «falchi», ovvero i grandi patron della serie A, che la sede è

stabilita da tempo e che è già stato invitato il presidente della Repubblica

con una lettera inviata dalla Lega al Quirinale tre mesi fa. Il Napoli,

ovviamente, ha insistito, ha provato a battere i pugni sul tavolo. De

Laurentiis ha tuonato con i suoi. «Nessuno prende decisioni per conto mio», ha

urlato ai fedelissimi. È una questione non solo di principio, ma soprattutto

di biglietti e di tessera del tifoso. Ad appoggiarlo nella battaglia contro il

Coni un inatteso alleato: Claudio Lotito. Il presidente della Lazio ha

ricordato che lo scorso anno lo stesso Petrucci aveva minacciato di non dare

l’Olimpico in caso di accesso alla finalissima della Lazio, con cui il Coni

aveva un contenzioso milionario. Il muro del «no» a fine giornata cade: la

Lega decide di mettersi da parte dopo che anche Andrea Agnelli si sfila. A

quel punto la scelta è fatta. E De Laurentiis si regala una serata al Sistina

dove è in scena lo spettacolo di Siani.

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LA POLEMICA

Coppa Italia all’Olimpico

Petrucci offeso: trovino un altro stadio. Poi Agnelli porta pace

di LUCA PASQUARETTA (Il Messaggero 28-03-2012)

ROMA - Come non detto: la finale di Coppa Italia in cartellone il prossimo 20

maggio si giocherà regolarmente allo stadio Olimpico di Roma. Ora è ufficiale.

La telenovela è finita. Quando la rottura sembrava insanabile con il

presidente della Lega, Maurizio Beretta, invitato dopo 5 ore di punzecchiature

dal numero uno del Coni, Gianni Petrucci, «a cercarsi un altro impianto», nel

pomeriggio una telefonata di Andrea Agnelli proprio a Petrucci ha riportato la

situazione sui binari della normalità. L'equivoco è stato risolto. L'annuncio

è arrivato poco dopo da parte dello stesso Beretta: «Ho parlato con il

presidente del Coni, ora siamo d'accordo».

Insomma tutti a Roma. Juventus e Napoli si contenderanno il trofeo nella

Capitale. Resta da dissipare il nodo della tessera del tifoso (solo i

possessori potranno acquistare il biglietto della finale?), il motivo che

aveva indotto il patron del Napoli De Laurentiis a tirare il freno a mano

sull'Olimpico e a scatenare l'ira di Petrucci («Per noi il discorso è chiuso»)

, placata poi da Andrea Agnelli. Fino al clamoroso dietrofront. «La Coppa

Italia è definita da alcuni anni Coppa del Presidente della Repubblica, quindi

è naturale che la sede della finale sia a Roma - ha dichiarato il presidente

bianconero - Appena tre anni fa si è disputata allo Stadio Olimpico la finale

di Champions Barcellona-Manchester United, non si vede per quale motivo non si

possa giocare Juventus-Napoli». Equivoco risolto.

«Secondo me Petrucci ha male interpretato le mie dichiarazioni, probabilmente

ha pensato che noi disdegnassimo l'Olimpico. Non è così, Roma è la capitale,

c'è il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Sono d'accordo con

Agnelli - ha concluso De Laurentiis - Io voglio che la partita sia sicura. Il

Questore di Roma Tagliente è valido, ci sono le persone giuste per rendere

l'evento godibile. Volevo solo dire: il problema è garantire ai tifosi

juventini e napoletani di poter partecipare all'evento. Cos'è questa storia

che serve la tessera per vedere la finale? E' una cosa inaudita. Devo

difendere i miei tifosi». Polemiche davvero finite?

___

Caos e pace finale

In campo Agnelli

La Coppa Italia

resta a Roma

Beretta e Petrucci allo scontro, poi il numero 1

della Juve ricorda l'invito fatto al capo dello Stato

Polemica tra Coni e Lega sulla sede, dalle minacce alla soluzione. Ora c'è il nodo biglietti

di MAURIZIO GALDI & MARCO IARIA (GaSport 28-03-2012)

Sembrava un match di tennis alla conquista del punto finale. Il presidente del

Coni Gianni Petrucci e quello della Lega di A Maurizio Beretta si sono

lanciati palle avvelenate dalla prima mattinata di ieri. Poi sono scese in

campo le diplomazie (leggi il presidente della Juve Andrea Agnelli) e i due si

sono sentiti al telefono. Risultato: la finale di Coppa Italia si giocherà

regolarmente all'Olimpico di Roma il 20 maggio. Ma che fatica!

Cortocircuito Dopo il silenzio di Beretta di lunedì, che strideva con

l'estenuante polemica di De Laurentiis sulla sede, Petrucci era andato giù

pesante: «Stiamo pensando di non dare più la disponibilità dell'Olimpico». La

replica di Beretta era tutt'altro che chiarificatrice: «Questo evento merita

uno stadio che consenta al maggior numero di tifosi di assistervi». Durissima

la controreplica di Petrucci: «Pensavo che la lettera di richiesta per

l'utilizzo dello stadio e le riunioni svolte dalla Lega all'Olimpico fossero

ufficiali. Beretta ha voluto mettere una toppa ma non s'è accorto che è

rimasto il buco. A questo punto pensassero a un altro stadio».

Figuraccia Il presidente della Lega, probabilmente, aveva dimenticato la

lettera d'invito a sua firma che era stata già inoltrata al capo dello Stato

Giorgio Napolitano con tanto di risposta (ancora secretata) per la finale

«all'Olimpico». Fortuna che ci ha pensato Agnelli a ricordarglielo (lunedì

aveva anche inviato un «simpatico» messaggio a Petrucci di auguri per le mille

giunte Coni a dimostrazione di una rinnovata sintonia): «La Coppa Italia è

definita da alcuni anni Coppa del Presidente della Repubblica, quindi è

naturale che la sede della finale sia a Roma», avrebbe scritto sul sito

ufficiale, a suggello della pace istituzionale stretta nel corso di una

telefonata fatta da Beretta a Petrucci. «Voglio chiudere la porta a ogni

equivoco. La finale si giocherà a Roma», le parole ultimative del n. 1 della

Serie A.

Protagonista Ieri, tuttavia, De Laurentiis non ha smesso di fomentare dubbi

dichiarando sì di aver sempre pensato all'Olimpico ma sollevando problemi

sull'obbligatorietà della tessera del tifoso («è una cosa inaudita, se le

autorità non garantiscono la sicurezza io non vengo a giocare a Roma») e sulla

capienza dell'Olimpico, che è di 72 mila posti contro gli 80 mila e passa del

Meazza. Nell'ultimo incontro all'Osservatorio, per ottimizzare gli spazi e

riservare alle finaliste 33 mila tagliandi a testa, si era deciso di dividere

a metà lo stadio ma in verticale: Nord e Tevere al Napoli, Monte Mario e Sud

alla Juve. Ora il Napoli non ci sta: mezza Tevere e mezza Monte Mario a testa.

Ciò però taglierebbe 2 mila posti dovendo allestire un «cuscinetto» tra le

tifoserie. Non è l'unica doglianza di De Laurentiis, che vorrebbe mettere in

vendita i biglietti solo a inizio maggio (e la gente che vuole organizzarsi

per tempo?) e, se non eliminarla, porre un limite alla prelazione a favore dei

possessori della tessera del tifoso. Perché? Pare che tema il boicottaggio

delle partite di campionato da parte degli ultrà.

Federcalcio La chiosa è del presidente Figc Giancarlo Abete: «Una brutta

pagina scritta dalla Lega che per fortuna è stata superata. Leggendo l'ordine

del giorno dell'assemblea di lunedì (il riferimento è al ricorso di Lotito,

ndr), speriamo che non se ne aggiunga un'altra». Post scriptum: tre anni fa

l'Olimpico ospitò la finale di Champions e l'Uefa mise a disposizione dei club

20 mila tagliandi a testa. Chi erano? Barcellona e Manchester United, le

squadre col maggior numero di tifosi nel mondo. Ma nessuna delle due si

lamentò.

-------

ilCaso

COPPA ITALIA: ECCO VINCITORI E VINTI

PETRUCCI E AGNELLI SU, BERETTA GIÙ

di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 28-03-2012)

Coppa Italia con lieto fine, e questo è già qualcosa. Che non cancella,

tuttavia, il film di un martedì dove la commedia degli equivoci e del vorrei

ma non posso si è consumata per intero, con tanto di vincitori e vinti. Da cui

una doverosa classifica: vince Gianni Petrucci, il presidente del Coni che in

un crescendo rossiniano prende cappello di brutto, sbattendo a un certo punto

la porta dell'Olimpico in faccia a Maurizio Beretta. Petrucci s'era mosso da

sabato, all'indomani dell'ennesimo summit sull'organizzazione e la sicurezza

svoltosi a Roma per il Napoli-Juventus di domenica 20 maggio: aveva annusato

l'aria, colto i pericoli insiti nella variabile De Laurentiis, e agito di

conseguenza, incassando sabato dal presidente della Lega quelle rassicurazioni

poi disattese due volte. Con il silenzio di lunedì, dopo l'imperversare di un

De Laurentiis lotiteggiante in Lega, e ancor più con la prima replica di ieri,

quando il burocratese di Beretta ha spazzato via, insieme al buon senso, ogni

possibilità di mediazione. Lì Petrucci, con le sue due righe di controreplica,

è stato definitivo. Quel che è successo dopo, dall'intervento di Andrea

Agnelli alla repentina, comica capitolazione di Beretta, sancisce il risultato

di k.o. tecnico.

Con Petrucci vince Agnelli. Il presidente della Juventus quando c'è da

entrare a gamba tesa non si fa problemi e lo ha già mostrato in altre

circostanze. Qui l'intervento, certo maturato alla luce degli abituali

contatti con il Coni, del quale è rimasto amico nonostante il relativo

insuccesso del tavolo della pace, è stato chiaro, forte, tranchant. La Coppa

Italia è la coppa del presidente della Repubblica, peraltro invitato toh, dal

presidente della Lega fin dal mese di febbraio. Roma la sua sede naturale.

Punto. Ecco parole autenticamente «politiche».

Perde Beretta. Rovinosamente. Una conferma, ce ne fosse stato bisogno, che

l'anno e passa di prorogatio dopo l'assunzione dell'incarico in Unicredit fa

male. Alla credibilità di una Lega allo sbando, dove chi urla di più finisce

con l'essere l'unico interlocutore degno di attenzione, e alla fine anche a se

stesso.

Perde anche De Laurentiis, ma relativamente, visto come tra un'esternazione e

l'altra riesce poi ad allinearsi in qualche modo all'Agnelli-pensiero.

E ora avanti, alla prossima. Lunedì, dove in Lega si gira la commedia «Lotito

alle crociate», Petrucci e Abete gli «infedeli» di turno. Chi, oltre a Beretta,

è pronto a star dietro al presidente della Lazio?

___

Coppa Italia, finale a Roma: ma che farsa

Petrucci, guerra alla Lega calcio: De Laurentiis cede. “Però niente tessera del tifoso”

di FULVIO BIANCHI (la Repubblica 28-03-2012)

«Si gioca a Roma». La farsa è finita: la finale di Coppa Italia fra Juventus e

Napoli era in programma all’Olimpico il 20 maggio, e lì si farà. Macché Parigi,

Londra o Milano come minacciava Aurelio De Laurentiis, patron del Napoli. Chi

l’avrebbe detto d’altronde che si cambiava sede a Giorgio Napolitano, già

invitato (a febbraio) dalla Lega di serie A per consegnare la Coppa del

Presidente? Si chiude qui, per fortuna, una delle pagine più ridicole del

nostro (imprevedibile) calcio, un misto fra arroganza e incapacità. Il

presidente del Coni, Gianni Petrucci, ha tenuto la barra dritta sino in fondo,

arrivando ad annunciare che sarebbe stato lui a non concedere lo stadio a

causa delle polemiche e incertezze della Lega. A quel punto si sono arresi

tutti e finalmente si sono spente le luci su una vicenda che lascerà comunque

una lunga scia di veleni.

Stanco dei silenzi e delle titubanze della Lega calcio, con cui ormai è in

guerra aperta, Petrucci in mattinata aveva già minacciato di non dare più

l’Olimpico. Sconcertante la risposta di Beretta (rimasto in silenzio lunedì):

«La Lega sta cercando un impianto con la capienza adatta». Apriti cielo,

riecco Petrucci, furibondo: «Trovatevi un altro stadio, per noi la storia è

chiusa». Arrangiatevi, insomma. Prima che la situazione diventasse

irrecuperabile, è arriva la telefonata di Beretta al n.1 dello sport italiano:

«Ho parlato con Petrucci, sono d’accordo con lui: si gioca a Roma». Intanto

anche Andrea Agnelli, vista la pessima piega che la vicenda stava prendendo,

si era sfilato da De Laurentiis, telefonando a Petrucci e garantendo che alla

sua Juve stava benissimo l’Olimpico: «Roma è la sede naturale, la Coppa Italia

d’altronde da anni è definita Coppa del Presidente della Repubblica».

De Laurentiis- che ora parla di “equivoci” (ma quali?) e spiega che “nessuno

ha mai messo in dubbio Roma”- ha dovuto arrendersi. Ma di certo il patron del

Napoli ha scatenato questo putiferio anche perché non vuole che la vendita dei

biglietti per la finale sia vincolata alla tessera del tifoso, che molti suoi

ultrà non hanno mai sottoscritto. «La gara deve essere aperta a tutti»,

sostiene il produttore cinematografico. Ma al Viminale non mollano: è una

partita ad alto rischio, meglio evitare biglietti cartacei (e bagarini al

seguito). De Laurentiis ora chiede più tessere omaggio e impone, qui in pieno

accordo con la Juve, prezzi altissimi (curve da 30 euro): altro che festa per

le famiglie. Voglia di business, e basta. E una tensione che cresce

pericolosamente: ci saranno oltre 1000 poliziotti il 20 maggio, ma a Roma

hanno già gestito (con successo) eventi così “caldi”. Giancarlo Abete,

presidente Figc, in serata chiude la farsa con parole che suonano durissime

per uno come lui, solitamente prudente: «Una brutta pagina scritta dalla Lega

e che per fortuna è stata superata con un rinsavimento finale. Leggendo

l’ordine del giorno dell’assemblea di lunedì prossimo, speriamo che non se ne

aggiunga un’altra». Il riferimento è a Lotito, che lunedì chiederà aiuto agli

altri 19 presidenti contro la Figc: il n. 1 della Lazio non accetta la

sospensione per motivi etici e si è rivolto ad un tribunale ordinario (e la

clausola compromissoria non conta più?). La guerra continua.

-------

Finale a Roma, vertice in Viminale

De Laurentiis, allarme ultrà: “Biglietti a tutti, non solo a chi ha la tessera del tifoso”

di MARCO AZZI (la Repubblica - Napoli 28-03-2012)

CHE si giochi a Roma, secondo il programma originale, è di fatto una non

notizia. Lo sapeva dall’inizio pure Aurelio De Laurentiis, finito ieri nel

mezzo di un polverone mediatico e sommerso dalle bacchettate del Coni

(Petrucci: «Sono io che nego la disponibilità dell’Olimpico») e della Figc

(Abete: «Brutta pagina, anche se con rinsavimento finale»). Tale è stato

considerato l’apparente dietrofront del presidente del Napoli, intervenuto a

radio Marte. «Sono d’accordo con le dichiarazioni di Andrea Agnelli che

giustamente definisce Roma come la sede ideale, per la finale di Coppa Italia.

Nessuno ha mai messo in dubbio Roma, visto che ha organizzato di recente una

finale di Champions», ha teso la mano il numero uno azzurro, ribadendo

peraltro tutte le sue perplessità dei giorni scorsi, all’origine del caso.

«Continuo a ripetere che se le autorità non assicurano la sicurezza di chi

andrà allo stadio, io non vengo a giocare a Roma. Devo difendere i nostri

tifosi e lavoro per loro».

Il vertice di ieri sera al Viminale, nella sede dell’Osservatorio, è servito

proprio a mettere concretamente sul tavolo — dopo tante chiacchiere — tutte le

obiezioni di De Laurentiis. Alcune soltanto formali, come la ripartizione

dello stadio Olimpico (curva nord e tribuna Monte Mario alla Juventus, curva

sud e tribuna Tevere al Napoli) ritenuta non equa. Altre sostanziali: in

particolare quelle relative alle modalità di vendita dei biglietti. «Occorre

garantire a tutti la possibilità di partecipare all'evento, specialmente a chi

ci ha seguito per un anno intero allo stadio. Noi abbiamo avuto più di 1

milione e 200 mila spettatori al San Paolo, che si comportano in maniera

corretta e lo hanno dimostrato anche a Londra. Cos'è questa storia che serve

la tessera del tifoso per vedere la finale? È una cosa inaudita. È giusto dare

la priorità agli abbonati e poi un altro spazio per i tesserati, però bisogna

assicurare l’entrata pure agli altri che con grande fede sono stati sempre al

nostro fianco».

Il vero problema sono dunque i gruppi organizzati delle curve, che non hanno

mai aderito alla tessera. La Lega li vorrebbe fuori. Ma De Laurentiis fa

presenti i rischi per l’ordine pubblico, data la vicinanza tra Napoli e Roma

(da qui la provocazione Milano). C’è il rischio che gli ultrà arrivino anche

senza biglietti all’Olimpico e il presidente non vuole che le colpe di

eventuali disordini cadano di nuovo sulle spalle del club azzurro, come già in

passato. Non è mai stata Roma il motivo del contendere, insomma. «Petrucci ha

male interpretato le mie parole, pensando che disdegnassimo lo stadio

Olimpico. Ovvio che non sia così, Roma è la capitale, c’è il presidente della

Repubblica Giorgio Napolitano, nostro tifoso...».

Ed è li che si giocherà, il 20 maggio: l’ha annunciato il numero uno della

Lega Beretta, dopo aver fatto da paciere al telefono con Petrucci. Tanto

rumore per nulla. Ma De Laurentiis ha fatto bene a lanciare l’allarme. Già

domenica scorsa, al San Paolo, gli ultrà si erano virtualmente messi in

viaggio verso l’Olimpico mostrando uno striscione. “Niente divieti, ci

saremo”. I duecento chilometri tra Napoli e Roma sono un argine troppo

fragile. Intanto, però, al club azzurro si stanno preparando a ogni evenienza,

accelerando la distribuzione delle tessere. Queste le direttive del sito

ufficiale. «La Ssc Napoli invita i tifosi che hanno fatto richiesta della

“Club Azzurro Card” da più di 90 giorni e non l'hanno ancora ricevuta a

inviare entro e non oltre il 14 aprile una segnalazione on line. A seguito di

verifiche con Poste Italiane provvederemo a inviare un riscontro all’indirizzo

e-mail segnalato». Il conto alla rovescia sta per cominciare: tessera o non

tessera, saranno almeno in 30 mila.

___

il caso

Coppa Italia, no all’Olimpico. Anzi sì

De Laurentiis: “Meglio altrove”. Petrucci si irrita e nega lo stadio, decisivo l’intervento di Agnelli

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 28-03-2012)

Ora che la finale di Coppa Italia all’Olimpico fra Juve e Napoli del prossimo

20 maggio è salva e blindata, c’è chi esulta e chi grida all’equivoco. Il

pallone evita di sgonfiarsi ancora una volta e lo fa ai tempi supplementari

quando, in campo, scendono il presidente del Coni Gianni Petrucci e il numero

uno bianconero Andrea Agnelli. Il primo annota e ascolta, si infastidisce e,

alla fine, tuona: «Se è così per noi la questione è chiusa. Trovatemi un altro

stadio che non sia quello di Roma... », le parole di Petrucci. Perché la

chiusura dell’Olimpico all’atto finale del trofeo tricolore? Perché il gran

capo dello sport italiano è irritato da tempo dall’atteggiamento litigioso e

mai costruttivo dei padroni dei club di serie A, ancor di più se l’oggetto del

contendere deve diventare anche la finale di una Coppa Italia che, ormai, dal

2007/08 si decide in 90 minuti nella Capitale e sotto gli occhi del Capo dello

Stato. Petrucci non lo dice, ma a mandarlo fuori giri sono le uscite del

presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis («Se non ci sono le migliori

condizioni per l’afflusso massimo di tifosi, si cambi sede. . . »), ma,

soprattutto, la posizione di attesa del numero uno della Lega Calcio Maurizio

Beretta, pronto a definire solamente «formale lo scambio di corrispondenza con

il Coni» e impegnato «a definire tutta una serie di aspetti al fine di

compiere la scelta» sullo stadio.

Il Coni gioca in contropiede, la Juve chiude la stucchevole partita. È primo

pomeriggio quando Agnelli alza il telefono e apre le sue personali

consultazioni. «Questa è diventata la Coppa del Presidente, non vedo come mai

non si possa disputare all’Olimpico come accade ormai dal 2008...», in sintesi

il ragionamento espresso dal presidente bianconero a Beretta prima di mettersi

in contatto con lo stesso Petrucci per chiarire come dalla Juve non sia mai

stata presa in considerazione l’idea di spostare la sfida in un’altra città.

Agnelli, dopo le due telefonate istituzionali, precisa ulteriormente il suo

pensiero in una nota sul web: «La sede naturale è Roma, stadio dove appena tre

anni fa si è disputata la finale di Champions League fra Barcellona e

Manchester United. Non si vede, quindi, per quale motivo non si possa giocare

Juve-Napoli...». Pochi minuti e sull’estenuante tira e molla cala il sipario

quando Beretta racconta di «aver sentito Petrucci» e che «la gara non si

sposta...».

Olimpico blindato e De Laurentiis sorpreso in fuorigioco. Il patron partenopeo

aveva da subito messo in dubbio lo stadio di Roma come quello più adatto ad

ospitare la finale. E lo aveva fatto non appena dal Viminale erano arrivati i

primi segnali sulle modalità di vendita ed acquisto dei biglietti:

all’Olimpico entreranno soltanto i possessori della tessera del tifoso, o

meglio, della fidelity card, così dall’Osservatorio sulle manifestazioni

sportive. A Napoli, soltanto 15 mila abbonati hanno in tasca la tessera, non,

ad esempio, tutti quei tifosi che occupano le due curve del San Paolo e che,

contro la card, hanno portato avanti durissime battaglie. Così, adesso, preso

atto della volontà di Coni, Lega e Juve di non cambiare la città della finale,

De Laurentiis si prepara ad aprire un nuovo terreno di scontro. «D’accordo, si

giochi a Roma. Ma per noi l’importante è garantire la presenza dei nostri

tifosi, quelli che hanno la tessera, ma anche i tanti che non la possiedono e

che sono venuti a sostenerci per tutta la stagione, a Napoli e in Europa. Per

questo ho detto che i biglietti non si possono mettere in vendita da martedì

prossimo. Credo - continua De Laurentiis - che Petrucci abbia male

interpretato le mie parole dei giorni scorsi: ora, però, mettiamoci intorno ad

un tavolo per organizzare la partita con il Viminale. Noi conosciamo il

territorio, noi abbiamo i rapporti con i tifosi e sappiamo quello che è giusto

o meno, non vogliamo decisioni prese sopra le nostre teste...».

-------

ORMAI È CINECALCIO

di MASSIMILIANO NEROZZI (LA STAMPA 28-03-2012)

Abituato a maneggiare pellicole, Aurelio De Laurentiis ha

un alibi di ferro: devono essere gli altri che lo prendono

troppo sul serio. In un paio di giorni, con alcuni

co-protagonisti, ha prodotto il meglio della commedia

italiana, riassumendo il peggio. Scena prima, lunedì: «La

finale di Coppa Italia potrebbe giocarsi a Milano, Parigi

o Londra». Scena seconda, ieri: «Nessuno ha mai messo in

dubbio Roma». Da Oscar. Il guaio è che in Italia si legge

poco, figurarsi norme e regolamenti, come quello della

Coppa Italia (articolo 3, comma 9): «La finale si svolge

in gara unica, in uno stadio individuato, a suo

insindacabile giudizio e prima dell’andata delle

semifinali, dall’Organizzatrice», cioè la Lega calcio. Già

fatto, da oltre un mese. Invece: dibattito, polemiche,

telefonate. E dire che questioni da affrontare ce ne

sarebbero: riforma dei campionati, rinnovamento degli

stadi, valorizzazione dei giovani e della Nazionale. Ma se

proprio non si vuole, meglio il cinema. «Non ha cose più

importanti da fare?», chiede Kevin Costner a Sean Connery.

«Certo. Ma in questo momento non le sto facendo». Gran

film, «Gli Intoccabili». Come quelli della realtà.

___

Coppa Italia, sull’Olimpico

si riaccende il duello Coni-Lega

La finale tra Juventus e Napoli si giocherà a Roma. Dopo le proteste del Napoli in serata

la decisione finale. Abete (Figc) duro contro Beretta: oggi scritta una brutta pagina

di SIMONE DI STEFANO (l'Unità 28-03-2012)

L'Olimpico diventa un caso nazionale che divide la politica pallonara, dopo

che De Laurentiis aveva messo in dubbio che la finale Napoli-Juve di Coppa

Italia del20 maggio si dovesse per forza giocare a Roma. Primo segnale di gelo

del Coni: «Stiamo valutando la possibilità di non concedere lo stadio

Olimpico». Secondo segnale di gelo del Coni: «A questo punto pensassero ad un

altro stadio. Per noi il discorso è chiuso». Poi la telefonata distensiva del

presidente di Lega Serie A, Maurizio Beretta, e i messaggi di Andrea Agnelli e

Aurelio De Laurentiis: «Roma è la sede ideale». Conclusione con lieto fine di

un balletto di rimandi, accuse, veleni, sospetti e ripicche, che ha rischiato

di far saltare la finale nella capitale.

Il Coni non ha digerito le ultime uscite dello “scontento” De Laurentiis: «Se

esistono tutte le condizioni affinché a Roma sia una bellissima festa – aveva

detto lunedì sera - gradirei giocare a Roma». I dubbi, tra false motivazioni

come quelle sulla massima capienza possibile si svelano ed emerge la verità a

tarda serata: «Nessuno ha mai messo in dubbio Roma - taglia corto il

presidente del Napoli - il problema è garantire ai tifosi juventini e

napoletani di poter partecipare all’evento. Ho sentito dire che potevano

entrare solo quelli con la tessera del tifoso...».

E infatti, questa resta la linea del capo della Polizia Manganelli, stabilita

la settimana scorsa nella prima riunione tra i due club all'Olimpico: gara

solo per i tesserati. Alla fine, nel mirino del patron partenopeo, non c'è

tanto il suscettibile Coni di Petrucci, ma piuttosto l'Osservatorio. La

giornata di ieri ha evidenziato ancor più la guerra fredda tra la massima

istituzione dello sport italiano e la Lega Serie A. Così ieri proprio Petrucci

stigmatizzava: «Ormai in Lega si litiga sempre, non si capisce perché si debba

discutere su tutto, anche su dove debba disputarsi la finale di Coppa Italia.

Mi auguro che ci sia un passo indietro da parte di chi ha cervello, tutte le

Leghe rispettano le regole, mentre alcuni presidenti della Lega di A non lo

fanno ». Ultimo di una lunghissima serie di mal di pancia quando si tratta di

affari di Lega.

Con la quale i rapporti sono sotto il minimo sindacale, dalla questione ancora

irrisolta del Contratto Collettivo dei calciatori, al tavolo della pace di

Calciopoli, fino alla questione del codice etico e della decadenza delle

cariche federali (con Lotito come vittima illustre). La questione della finale

di Coppa Italia, da lunedì è finita sul tavolo della Lega, che doveva dare una

risposta al Coni e che invece Petrucci sosteneva fino a ieri di non aver mai

ricevuto.

Eppure, proprio a detta del Coni, il capo della Lega Maurizio Beretta, avrebbe

già spedito una lettera di invito al capo dello Stato Giorgio Napolitano, che

come di consueto premierà le squadre. E lo farà all'Olimpico, anche perché –

De Laurentiis a parte – erano comunque tutti concordi e finora era sempre

stato così da quando la finale è a sola andata. Piuttosto, il “casus belli”

serve al Coni per un'altra moral suasion contro i presidenti “coltelli”. Ma

quel «mi auguro che ci sia un passo indietro da parte di chi ha cervello»

lanciato da Petrucci il giorno prima, ha avuto l'effetto di suscitare proprio

lo sdegno di De Laurentiis, uno dei suoi nuovi “protetti”: «Chi ha cervello

faccia in modo che il calcio si modernizzi, chi lo ha guidato finora non mi

sembra che abbia avuto così tanto cervello». Attacco dritto alla Figc e al suo

presidente Abete, che ieri non ha potuto fare a meno di costatare: «Una brutta

pagina scritta dalla Lega di A che per fortuna è stata superata».

___

LA JUVE CI CREDE LA FINALE DI COPPA ITALIA

«Si gioca a Roma»

Prima Petrucci nega l’Olimpico, poi l’asse con Agnelli...

di ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 28-03-2012)

ROMA. E’ stato davvero bravo Gianni Petrucci , ieri mattina, ipotizzando di

non concedere l’Olimpico per Juve-Napoli il 20 maggio a stanare i veri motivi

per cui si è messa in dubbio la sede della finale di Coppa Italia: era e sarà

Roma e lo stadio Olimpico, come previsto e concordato non più tardi di venerdì

scorso in un summit organizzativo proprio nel cuore dello stadio romano dai

dirigenti di Juventus e Napoli, del Coni, della Lega, della Lottomatica. Ma

l’asse di ferro Petrucci- Agnelli disinnesca la bomba di un ipotizzato

spostamento a Milano, stadio con maggiore capienza. Il problema vero lo fa

emergere chi ce l’ha: il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis , non sa

come spiegare agli sprovvisti di tessera del tifoso tra i suoi numerosi tifosi

che il questore Tagliente (e il prefetto campano di Roma, Pecoraro ), il capo

della Polizia, Manganelli , e il Viminale tutto vogliono premiare i possessori

di tessera - appunto - con una prelazione ampia per i 32 mila tagliandi da

mettere a disposizione del tifo azzurro (analogamente a quanto farà la Juve,

senza se e senza ma). In trasferta i napoletani viaggiano tranquilli, sicuri e

senza problemi da quando c’è la tessera... Ma l’attenzione ai non tesserati

delle curve A e B è tanta.

EQUIVOCO? NO La giornata, dopo battute e ammiccamenti e l’ennesimo nulla di

fatto in Lega anche per la questione Juve-Napoli, s’era aperta con la battuta

di Petrucci che serio serio dice: «Pensassero ad un altro stadio, a questo

punto - dice il presidente del Coni ad un convegno -. Tra l’altro a me

l’Olimpico la Lega non me l’ha ancora chiesto. . . ». La replica di Beretta

finisce per accentuare il solco: «Serve uno stadio che assicuri il maggior

numero possibile di biglietti». Beh, San Siro contiene 83 mila spettatori

contro i 73 mila dell’Olimpico... Peccato che la lettera inviata a febbraio al

Presidente Napolitano , che dovrebbe tornare a premiare con la “sua” coppa del

Presidente dopo due anni riguardasse la sede istituzionale romana.

ASSE JUVE-CONI Si sentono al telefono Agnelli e Petrucci: la partita si deve

giocare a Roma. E il presidente juventino a metà pomeriggio interviene: «La

Coppa Italia è definita da alcuni anni Coppa del Presidente della Repubblica

quindi è naturale che la sede della finale sia a Roma. Appena tre anni fa si è

disputata allo Stadio Olimpico la finale Barcellona Manchester United, non si

vede per quale motivo non si possa giocare Juventus-Napoli». Infatti il

modello per la vendita dei biglietti e la sicurezza sarà proprio quello

sperimentato nel 2009 per la Champions.

BERETTA AGAIN Ecco allora Beretta precisare: «Ho parlato al telefono con

Petrucci: siamo d’accordo si gioca a Roma. Basta equivoci, anche sui biglietti

che non sono stati ancora emessi». E ti credo, visto che fino a ieri alle 16

non era certa neanche la sede... A mettere - per ora - la pietra tombale sul

misunderstanding De Laurentiis a Radio Marte . «Io sono d’accordo con Andrea

Agnelli quando dice che bisogna giocare a Roma. Per noi l’importante è

garantire la presenza dei nostri tifosi, quelli che hanno la tessera del

tifoso ma anche i tanti che non la hanno, che sono venuti a sostenerci anche

in Europa». Ecco il problema: all’estero le cose non sono andate tutte così

lisce. Parlare con Alitalia e Viminale quanto alla trasferta di Chelsea per

credere. E in ogni caso sul territorio nazionale - dicono al Viminale - le

regole ci sono e valgono per tutti. «Ho già parlato con l’ad delle Ferrovie,

Moretti , per organizzare al meglio la trasferta. E conto sulla validità del

questore Tagliente». A proposito della tessera del tifoso, il presidente

azzurro ha detto: «Cos’è questa storia che serve la tessera per vedere la

finale? E’ una cosa inaudita», sottolinea De Laurentiis. Ora, però, viene il

duro per il presidente del Napoli: glielo spieghi al Viminale cosa è inaudito

o cosa no. A giochi fatti, ecco Abete : «La Lega di A ha scritto una brutta

pagina, speriamo che ora rinsaviscano».

Modificato da Ghost Dog

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laProposta

Dopopartita non si vive di sole risse

La televisione indugia sugli aspetti peggiori del calcio e

manda gli spot quando ci sono gli abbracci: scelta sbagliata

di ENRICA SPERONI (GaSport 28-03-2012)

Juve-Inter, partita finita. I bianconeri contenti salutano i tifosi, ora

l'inquadratura è per Buffon che abbraccia Zanetti, ma dura un attimo perché il

telecronista di Sky ha già chiamato il superspot. Peccato.

Quando i dopogara finiscono in rissa le telecamere non perdono un colpo e

indugiano su facce stravolte e labiali, invece la serenità non fa notizia.

Peccato.

Basterebbe poco: qualche minuto in più di immagini dal campo con i giocatori

che si salutano e si abbracciano, non servirebbe nemmeno il commento, bastano

gli occhi per capire la differenza di significato tra avversario e nemico.

Vedere un civile dopopartita fa bene a tutti. Aiuta a stemperare le tensioni,

suggerisce toni meno esasperati a opinionisti, dirigenti, giornalisti,

telespettatori. E non provoca fraintendimenti.

Lo scambio di maglia tra Del Piero e Seedorf, martedì sera dopo la semifinale

di Coppa Italia, valeva più di un fondino sul fair play. Raccontava rispetto e

cordialità, azzerava le troppe parole con cui dirigenti e tecnici di Juventus

e Milan avevano innaffiato da settimane la sfida. Quando Del Piero è andato a

esultare verso i tifosi indossando la maglia di Seedorf nessun milanista l'ha

vissuto come sfottò. E nessun bianconero ha pensato a uno scalpo.

Quando i campioni si comportano da campioni non c'è bisogno d'altro. La tv

faccia la sua parte: li riprenda. Sono belle immagini, lo spot un pochino può

attendere. O no?

Quoto l'articolo!

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''Non accetto altri rinvii

il contratto va firmato''

Il presidente federale Abete lancia l'allarme in vista della prossima stagione. "Il trauma che è stato vissuto quest'anno, non può ripetersi". Sulle polemiche per la finale di coppa Italia. "C'è stato un evidente errore di metodo nel discutere la scelta di Roma"

ROMA - Evitare che si ripeta la telenovela della passata stagione con lo sciopero dei giocatori e il rinvio della prima giornata di serie A. Il presidente della Figc Giancarlo Abete, a margine della conferenza stampa della 2/a edizione del Premio 'Enzo Bearzot', ha posto dei paletti sull'inizio del prossimo campionato e sulla firma del contratto collettivo dei calciatori di Serie A. "Non ci possiamo permettere rinvii. Bisogna rinnovare il contratto collettivo. Il trauma che è stato vissuto dallo slittamento del campionato passato, non può ripetersi - avverte -. L'ultimo contratto è stato firmato al termine di un percorso molto faticoso, tanto che solo venerdì scorso ho firmato il regolamento del collegio arbitrale. Adesso bisognerà mettersi subito al lavoro per definire il nuovo contratto ed evitare che si ripeta quanto accaduto lo scorso anno. Nel calendario c'è stata grande attenzione da parte del consiglio federale sulla decisione dei periodi per far giocare i turni infrasettimanali, tenendo conto anche di quello che è avvenuto in questo campionato".

COPPA ITALIA A ROMA - Capitolo Coppa Italia. Abete è stato duro con la Lega dopo che Petrucci aveva minacciato di non dare la disponibilità dello stadio Olimpico per la finale del 20 maggio tra Napoli e Juventus. "Non è questione di essere duri con la Lega di A, ma è un fatto di responsabilità. Di certo, non è stata una bella pagina e c'è stato un evidente errore di metodo nel discutere la scelta di Roma, peraltro stabilita dalla stessa Lega per dare visibilità ad una finale di Coppa Italia giocata nella capitale e davanti al presidente della Repubblica. Non può essere qualche migliaio di spettatori in più ad incidere sulla decisione della sede - ha concluso Abete -. Detto questo, per fortuna un'attenta riflessione da parte della Lega di A ha portato alla soluzione auspicata".

(Repubblica, 28.03.2012)

Modificato da totojuve

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CAMPIONATI VIRTUALI

Che cosa giocate a fare?

Una retata vi seppellirà

Due degli “zingari”che gestivano le scommesse nel

calcio si costituiscono, l’inchiesta è alla svolta finale.

E i risultati in campo sul punto di essere rasi al suolo

di ANTONIO MASSARI & MALCOM PAGANI (il Fatto Quotidiano 29-03-2012)

Zingari felici non se ne vedono più. Quelli con le mani sul pallone e un

mandato di cattura sulla testa si costituiscono. È successo ieri ad Ancona,

dove all’alba, appena sbarcati da un traghetto, due dei componenti della

presunta banda che secondo il giudice Guido Salvini ha alterato campionati e

permesso agli scommettitori laute vincite, Vinko Saka e Alija Ribic, sono

stati arrestati e condotti a Cremona in attesa di interrogatorio. I loro

avvocati tentano di minimizzare: “La rete per combinare le gare era creata da

Gervasoni e Caro bbio” ma è un artificio. In realtà ci siamo. E la fine sembra

nota. Il calendario scorre rapido verso il termine del torneo dopo il quale,

giurano gli investigatori: “Nulla sarà come prima”.

LE VOCI sugli arresti si fanno sempre più insistenti. Arresti di nomi noti e

moltissime squadre coinvolte tra Serie A e Serie B. Tutti negano e nessuno si

pente. Così va il campionato parallelo, quello giocato nelle procure, e mentre

i previsti interrogatori dei laziali Mauri e Brocchi (gli ultimi a essere

sentiti, dopo decine di colleghi, il 13 aprile) c’è sempre spazio per un

esorcismo. Quello dell’attaccante senese Mattia Destro interpreta il comune

sentire: “Noi pensiamo solo a conquistare la salvezza sul campo, non

c'interessa questa vicenda”. La salvezza sul campo. Zitti e pedalare. Le

parole di sempre. A inquietare è la lista dei convocati e delle audizioni

davanti alla giustizia sportiva. Da qui a due settimane sfileranno Benassi del

Lecce, Luciano, Dainelli e Pellissier del Chievo, Marco Rossi del Cesena,

Padelli dell’Udinese. Attendersi il terremoto è meno di una precauzione. Mai

come quest’anno “salvezza e promozione” rischiano di restare un puro dato

statistico. Si ballerà. E penalizzazioni e classifiche stravolte saranno il

corollario di un’inchiesta lunga e complessa in cui tre distinte procure

(Cremona, Napoli e Bari) sono giunte – in crescendo – a scambiarsi

informazioni decisive per le indagini. Vista l’aria, il palcoscenico in cui si

muovono da dominatrici Milan e Juventus somiglia a un teatro di guerra. Un

proscenio virtuale perché non tutti gli indagati sono stati saggiamente

consigliati a farsi da parte (Masiello dell’Atalanta, ex del Bari, fatto fuori

in silenzio, è il caso più evidente). E in campo ogni domenica vanno

formazioni e calciatori che, alla fine della curva giudiziaria, potrebbero

veder affondare le proprie ambizioni.

ANCHE PER questa ragione, la sensazione di straniamento è fortissima. Uno

scollamento tra la realtà sportiva e le carte giudiziarie che (corsi e ricorsi)

come nel 2006 con Calciopoli rischia di lanciare all’Europeo l’Italia di

Prandelli con la maglietta strappata e lo scandalo in pagina. E se in

federazione lo sanno è perché i magistrati hanno in mano prove difficili da

smontare. Il Procuratore capo di Cremona, Di Martino, consapevole

dell’enormità della partita in corso, ha suggerito timidamente un’amnistia

senza la quale la geografia prossima ventura potrebbe disegnare una Serie A

mai vista. Coinvolte Genoa, Chievo, Lecce, Novara, Siena, Cesena, Atalanta,

forse il Napoli. Mezza compagnia di giro, per non parlare della categoria in

cui combatte il Pescara di Zeman, la Serie B, aggredita dalle rivelazioni. Non

si parla delle società però: questa è una storia di scommesse che facevano il

giro del mondo in pochi minuti, dall’Italia a Singapore. Puntata e ritorno

(milionario, in caso di over). Questa è una storia di calciatori corrotti di

cui sono pieni ormai i faldoni giudiziari. Gente che si vendeva campionati

ormai persi. Se le accuse della Procura di Bari si rivelassero centrate,

sarebbe il caos. Nel mirino del pm Ciro Angelillis sono finite una decina di

gare giocate dalla squadra dei Matarrese, in Serie A l’anno scorso. I

biancorossi erano già retrocessi e 4 o 5 atleti, ormai, giocavano solo per se

stessi. “Mercenari”, li chiamò un compagno di squadra, Almiron, durante una

cena in un noto ristorante barese. E questo è il punto: il calcio marcio del

2012 è una vicenda fitta di omissioni. Che i ragazzi del Bari fossero

mercenari, venduti al clan degli zingari con base a Singapore, lo sospettavano

in tanti, ma nessuno denunciava. E nessuno denuncia, ancora oggi. Fingendo che

si giochi per una classifica che, invece, è destinata a essere travolta.

NON CI SONO più “zingari” felici, ma ricchi come Ilievsky, in giro, ne trovi

pochi. Con il Bari – e non solo – pare abbia guadagnato una fortuna. Dice di

aver trattato con Masiello – lo “zingaro” ancora ricercato dalla Procura di

Cremona. Ne ha parlato in una bella intervista concessa a Foschini e Mensurati

di Repubblica – e di aver “comprato” informazioni dai calciatori del Bari e di

sapere che in loco operavano “mafia locale” e “albanesi”. Gli inquirenti

indagano sulle partite con il Palermo, il Bologna, l’Udinese, persino sul

derby con il Lecce. A Cremona il pm Di Martino ha raccolto nei faldoni così

tanto materiale che, per quanto sembri assurdo, trova conveniente, sotto il

profilo sportivo, invocare un’amnistia. Ma per ora, tra Bari e Cremona, a

parte il “pentito” Carlo Gervasoni – un passato tra Cremonese e Piacenza –

nessuno collabora. Continua a regnare l’omertà.

___

Scandalo scommesse Si alza il tiro

La Serie A nel mirino della procura federale

Saranno sentiti Mauri e Brocchi per Lazio-Genoa 2-4. Presto novità dai pm di Bari

di GIAN MARCO CHIOCCI & MASSIMO MALPICA (il Giornale 29-03-2012)

Nel mirino della procura federale arriva la serie A. Ieri il carosello delle

audizioni ha visto arrivare dal procuratore Stefano Palazzi il portiere del

Lecce Massimiliano Benassi, un nome che richiama subito alla mente Lecce-Lazio

2-4, uno dei match «attenzionati» dagli 007 della Figc e dalla procura di

Bari. Per la stessa partita (l’unica giocata dal portiere, che venne peraltro

espulso, la scorsa stagione, e che per quella performance è stato additato dal

pentito Carlo Gervasoni) verrano ascoltati il 13 aprile i laziali Mauri e

Brocchi, entrambi titolari in quel pomeriggio del 22 maggio allo stadio «Via

del Mare». Se Brocchi è una sorpresa, perché il suo nome viene citato,

storpiato, solo a pagina 11 del verbale dell’ex calciatore Alessandro

Zamperini, già arrestato dalla procura di Cremona, l’audizione di Mauri era

scontata, anche se lo stesso Zamperini ha negato il suo coinvolgimento nella

combine di Lecce-Lazio, combine che per i magistrati è indiscutibilmente

provata. Sia Brocchi che Mauri, peraltro, oltre alla maglia biancoceleste

condividono anche la vicinanza con Zamperini, con il quale spesso sono in

vacanza a Formentera, insieme ad altri «piedi noti» come Inzaghi e Vieri.

Tornando a Mauri, del centrocampista laziale­ parla anche l’ex difensore della

Cremonese Gervasoni. A suo dire, Mauri era coinvolto anche nella presunta

combine di Lazio-Genoa (finita 2-4) perché gli era stato riferito da Almir

Gegic, il referente degli «zingari», che per questo match si sarebbe messo in

moto proprio Zamperini. Stessa partita al centro dell’audizione del 12 aprile

degli ex genoani Dario Dainelli (ora al Chievo) e Omar Milanetto (Padova),

quest’ultimo atteso da Palazzi per replicare a Gervasoni che lo indica con

«altri genoani» come riferimento degli «zingari» per aggiustare quel

risultato. Ancora intorno a Lazio-Genoa gli inquirenti hanno riscontrato la

presenza a Formello (dove la Lazio si allena) di due scommettitori, lo sloveno

Viktor Kondic e il thailandese Thamrog Prachum. Non è ancora in calendario,

invece, l’audizione di Giuseppe Sculli, l’anno scorso alla Lazio dove era

arrivato proprio dal Grifone. Il «latitante del calciosporco» Ilievski,

intervistato da Rep­ubblica (salvo poi smentirsi alle telecamere di Agorà), lo

tira in ballo per la combine: «Lazio­-Genoa l’ha fatta Sculli, non Mauri,

Sculli con gli amici suoi di Genova, al cento per cento ». Prima di queste

audizioni, il 3 aprile, la procura federale si occuperà di Bari e Chievo,

coinvolte sia per lo scontro diretto (1-2 per i veneti) che per altre gare.

Ma proprio da Bari (a brevissimo) e da Cremona (dopo Pasqua) sono attese

clamorose novità. La procura del capoluogo pugliese ha anche stoppato

l’intenzione dei «federali» di ascoltare l’ex biancorosso Andrea Masiello, che

si era proposto come «pentito» e vittima del sistema, ma la cui posizione è

stata aggravata dalle dichiarazioni di altri protagonisti dello scandalo.

Sorprende anche per questo l’improvvisa accelerazione della procura federale,

che annuncia deferimenti in due tranche, tra la fine di aprile e l’estate. Con

le indagini ordinarie ancora in piena evoluzione, gli 007 Figc rischiano di

bissare l’infelice esperienza della prima «calciopoli», quella che dal punto

di vista sportivo colpì solo alcune squadre - Juve, Lazio e Fiorentina su

tutte ­ - quando gli esiti delle indagini penali avrebbero dimostrato un sistema

molto più ampio. Dove tutti, o quasi, chiacchieravano con arbitri e

designatori. Intanto si sono costituiti ieri i croati Vinko Saka e Alija

Ribic. Per i due «zingari», latitanti da giugno, sabato è in programma

l’interrogatorio di garanzia con il gip di Cremona.

Modificato da Ghost Dog

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IL CASO

Serie A in rosso per 2,6 miliardi

Gnudi: "Situazione da fallimento"

La fotografia del "Report Calcio 2012": le perdite sono cresciute del 23% a 428 milioni.

Un miliardo di euro l'apporto complessivo alle casse dello Stato. In calo il valore della produzione

di GIULIANO BALESTRERI (Repubblica.it ECONOMIA & Finanza 29-03-2012)

MILANO - Si allarga il rosso del pallone tricolore. Aumentano i debiti, le

perdite e cala soprattutto il valore della produzione. Colpa dei trofei che

non arrivano, ma anche - e soprattutto - di un modello di business non più

sostenibile perché basato quasi esclusivamente sugli introiti dei diritti

televisivi. La fotografia del calcio è stata scattata dal "Report Calcio 2012"

presentato all'Abi da Figc, Arel e PricewaterhouseCoopers ed è impietosa:

l'indebitamento complessivo della Serie A nel 2010-2011 è salito del 14% 2, 6

miliardi di euro contro i 2, 3 miliardi della stagione precedente.

Secco il commen del ministro dello Sport e del Turismo, Piero Gnudi: "Il

calcio è una grande realtà, ma io faccio il ragioniere e leggo bilanci molto

preoccupanti. In altri ambiti, con quei numeri si parlerebbe di società

prossime al fallimento". Un'uscita che ha suscitato qualche malumore negli

ambienti sportivi dove si sperava piuttosto in un conforto da parte dello

Stato. La crisi economica, però, non lo permette e Gnudi spiega: "Il Paese è

in crisi, una crisi che sarà ancora lunga. Così sarà difficile trovare dei

mecenati che investano nel calcio. Si rischia di non trovare società in grado

di iscriversi ai campionati".

Soprattutto senza una rapida inversione di tendenza. Lo scorso anno le

perdite cresciute del 23% a 428 milioni di euro, un risultato che coinvolge

tutte le leghe: tra i 107 club analizzati solo 19 hanno chiuso i bilanci in

utile. E non poteva essere diversamente con un valore della produzione calato

ancora a 2,5 miliardi (-1,2%): un miliardo arriva dai diritti tv della sola

Serie A che genera l'82% dei ricavi. La serie B pesa per il 14% (era l'11 %

nella stagione precedente) e la Lega Pro il 4% (era il 5% nel 2009-2010). Il

costo della produzione è pari, invece, a 2, 9 miliardi di euro, in aumento

dell'1,5% rispetto alla stagione precedente. La crisi globale però colpisce

anche i presidente delle squadre di calcio che - per la prima volta da anni -

hanno dato una stretta, timida, ai costi. Nel 2010-2011, infatti, il trend di

crescita è rallentato molto se confrontato con il +6, 8% registrato nel

2009-2010 il +6,4% del 2008-2009. Come dire che il tempo delle follie, degli

acquisti miliardari è solo un ricordo.

Sul fronte fiscale, nel 2009, il calcio italiano ha contribuito alle casse

dello Stato per un miliardo di euro: l'85% del totale (875 milioni) deriva dal

contributo fiscale e previdenziale delle società professionistiche italiane,

mentre i rimanenti 155 milioni di euro sono relativi al gettito erariale

derivante dalle scommesse sul calcio.

Con lo strapotere delle televisioni il numero complessivo dei tifosi allo

stadio è calato del 4% a quota 13, 3 milioni, un'emorragia che rischia di

continuare lo spezzatino delle partite, su orari e turni infrasettimanali che

servono a raggiungere i mercati internazionali, ma certo non rendono felici

gli spettatori. E così lo scorso anno gli stadi della serie A sono stati

riempiti solo al 56%. E' andata meglio per le squadre impegnate in Champions

League che sono riuscite a vendere il 67% dei biglietti, ma non è bastato a

frenare il calo dei ricavi da stadio scesi di 22, 4 milioni di euro: 253

milioni contro 275,4 della stagione precedente. E così la biglietteria pesa

solo il 10% del totale del valore della produzione delle società

professionistiche, contro una quota ideale che si dovrebbe attestare a poco

meno del 30%.

Anche per questo le società stanno spingendo per una nuova normativa in tema

di stadi, ma il governo non ha fretta: "Che la legge sugli stadi di proprietà

sia una priorità per il mondo del calcio è indiscutibile - ha detto il

ministro Gnudi -. Sono convinto che l'iter di questa legge vada portato avanti,

anche per innescare nuovi investimenti da parte dei privati. Parliamo di 800

milioni di euro, utili alla crescita del paese. Ma si farà solo al termine di

un percorso virtuoso, che per realizzarsi, però, ha anche bisogno che finisca

queste crisi. Altrimenti anche con la nuova legge, sarà difficile trovare

degli investitori".

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Di Fede bianconero

di PAOLO OJETTI (il Fatto Quotidiano.it 29-03-2012)

Caro Emilio, ti dedico questo post con autentica malinconia.

Dopo la scomparsa dalle scene (in senso tele politico) di Berlusconi, anche

tu lasci la ribalta. Lasci a malincuore, si sa, perché uscire con gli

scatoloni formato Lehman dal Tg4, la tua creatura, passandola nelle inesperte

mani del giovane Toti (che non sa nemmeno cos’è un carré), molce e molcerà il

tuo animo. I perfidi dell’ultima ora (che poi sono sempre gli stessi, quelli

che prima ancora di salire sul carro del vincitore si precipitano giù da

quello dei perdenti) sostengono che sia stata una resa dei conti, intendendo

per conti quelli veri, in euro sonanti.

Dicono, i perfidi, che Berlusconi non abbia sopportato la “cresta” di 400. 000

euro che tu avresti fatto come “mediatore” di un suo prestito al povero Lele

Mora (quello che è finito in galera e hanno buttato anche la chiave, ricordi?)

E che adesso abbia perso la testa alla notizia di quei 2 milioni e mezzo di

euro (presunti, si intende) che tu avresti messo in una valigia (presunta) e

portati in Svizzera (presunta anch’essa). Pare (si presume) abbia detto: “Uno

che non riesce a piazzare una miseria simile in una banca svizzera, non può

più ricoprire posizioni di responsabilità”. I predetti perfidi avanzano anche

l’ipotesi (presunta: è tautologico) che tu possa “vuotare il sacco” sulle

serate di Arcore. Non sono d’accordo, non c’è niente da vuotare, i sacchi

– casomai – si reggono.

Ma c’è un peso che potresti levarti dallo stomaco e dire finalmente la

verità. Nulla ti lega più alla combriccola di Mediaset, e dovresti gridare fra

lacrime e singhiozzi che per anni e anni hai dovuto praticare una sofferta

apostasia: “Non sono mai stato milanista, odio il Milan e non è vero che

Ibrahimovic e Pato valgono bene una messa! Ero, sono e sarò per sempre

juventino! Liberté, égalité, juventiné”. Gridalo Emilio, gridalo forte. Ti

restituirà un virile coraggio.

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Crollo testate on-line.

Colpa della crisi, della Juve o di Berlusconi?

Più utenti su internet, ma meno davanti ai siti dei giornali. Lo

mette in luce il rapporto di Audiweb sul mese di febbraio. C'è

chi perde più del 50 per cento di pagine viste rispetto a un anno

fa (Messaggero e Resto del Carlino), e chi come Il Fatto

Quotidiano cala quasi di un terzo. Sarà la recessione, ma insieme

a superblog e testate all digital, cresce solo Il Sole 24 Ore.

di EMMANUELE MICHELA (TEMPI.it 29-03-2012)

Calano tutte le grandi testate, e cala il tempo che la gente trascorre

su una pagina web, nonostante aumentino gli italiani connessi a internet.

Questo è il quadro delineato dal rapporto di Audiweb, che ha paragonato

i dati dell'editoria italiana on-line dello scorso febbraio con quelli dello

stesso mese del 2011.

I dati sono molto interessanti, e dicono dello stato di salute

allarmante di tanti siti d'informazione: spicca per esempio la perdita di più

del 30 per cento di utenti unici del sito del Fatto Quotidiano. Perdono molto

anche Il Gazzettino (-47,53% di pagine viste), Il Messaggero (-63,82%) e Il

Resto del Carlino (-50%). Più limitati, ma comunque sensibili, i cali di Corriere

della Sera, la Repubblica, La Stampa. Tutto questo succede mentre aumenta

di 7,3 punti il numero di utenti on-line ogni giorno, che però trascorre l'11,5

percento di tempo in meno su internet.

Viene da chiedersi cosa sia successo nel corso del mese di febbraio

per arrivare a delle perdite così pesanti rispetto allo scorso anno. Che sia forse

la sempre più definitiva fine dell'anti-berlusconismo a demolire l'interesse

della gente su internet, specie per alcune testate che s'erano fatte portavoce

d'eccellenza della lotta al Cavaliere? O forse la moda vintage ha contagiato

anche il web, e si potrebbe registrare un clamoroso ritorno al cartaceo?

Chi invece può sorridere è Il Sole 24 Ore, che ha visto i suoi utenti

unici crescere di quasi 40 punti percentuali, e lievitare di più di un quarto

le pagine visitate. Sarà forse la paura della crisi che porta gli italiani,

costretti a fare i conti con recessione, bund e spread, a tenersi sempre

più informati sul mondo dell'economia? Bene anche Libero, Il Secolo XIX,

e, tra gli sportivi, Tuttosport. La ricrescita lampo di Conte, il buon momento

della Juve, le ultime, graffiantissime e pepatissime dichiarazioni di Andrea

Agnelli su Calciopoli: pare che siano tornate di grande moda le bombe di

mercato in salsa bianconera di cui tante volte il giornale torinese si è

reso protagonista.

A crescere infine sono poi i cosiddetti superblog e le testate all digital.

C'è Il Post, ad esempio, che ha guadagnato quasi il 20 per cento di pagine

visitate, Lettera 43 che invece ha quasi raddoppiato i suoi utenti unici.

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IL CASO

Le «Iene» e il dossier

«massone» contro Baldini

di MASSIMO CECCHINI (GaSport 30-03-2012)

Storie di calcio, dossier, massoneria e «Iene». Il servizio mandato in onda

ieri dal programma di Italia Uno, a cura di Paolo Calabresi, è uno spaccato

del modo che ruota intorno al pallone romano. Gli esiti sono già noti: dopo

l’esposto presentato dal d. g. Baldini e dal consigliere Baldissoni, il

procuratore Capaldo indaga per ricettazione (e forse non solo) sul conto di

Roberto Renga, firma storica, suo figlio Francesco, il conduttore radiofonico

(e pregiudicato) Mario Corsi e del suo collaboratore Giuseppe Lomonaco.

Calabresi, il cui figlio gioca nelle giovanili della Roma, grazie a una

telecamera nascosta ha registrato colloqui con tre degli indagati, in cui si

capisce come Renga — in possesso di presunti sms tra Baldini e Baldissoni

(«presumo vengano dalla Digos») —, propone a Calabresi un servizio sulla

massoneria nel calcio («uno scoop»). Nei fogli si legge di «triplice fraterno

abbraccio» e «maestri venerabili». Nessuno dei 4 vuole esporsi e Calabresi è

scettico sul materiale. Lomonaco invece dice: «È tutto assolutamente vero».

Gli sms arriverebbero non dalla Digos, ma da persone «che lavorano in

compagnie telefoniche». Tutti si rendono conto dei presupposti illegali, ma

Corsi, per Lomonaco, ha «beghe con Baldini». Ad un certo punto, però, Lomonaco

si accorge della telecamera, prende le distanze e nel successivo incontro fra

Calabresi e Corsi, questi conclude che tutto «era ’na cazzata». Chissà che ne

penserà il giudice. Ps. Pare ci siano altri filmati pronti ad uscire. I veleni

sono serviti.

___

La storia

Roma, in onda la stangata fallita

"Sono massoni, è una cosa atroce"

di CARLO BONINI (la Repubblica 30-03-2012)

Ricordate la storia raccontata da "Repubblica" il 17 marzo? La stangata alla

vaccinara ai danni della Roma calcio che voleva far passare il suo direttore

generale Franco Baldini e il consigliere di amministrazione Mauro Baldissoni,

come due loschi massoni? Ma sì, quella su cui ora indaga la Procura di Roma e

che mette insieme un giornalista in pensione, Roberto Renga, suo figlio

Francesco, una voce delle radio "libere", Giuseppe Lomonaco, e il suo

principale, Mario Corsi, detto "Marione", un tipo passato dalla militanza

neofascista alla predicazione alla curva, di cui si è fatto industria. I

quattro, indagati e risentiti, avevano smentito, minacciando querele e

invitando ad attendere, perché il tempo sarebbe stato galantuomo. Bene, ieri,

le "Iene" hanno mandato in onda le immagini e le voci della "bufala" che loro

hanno scoperto, filmato e registrato di nascosto, e da cui questa storia è

cominciata. Una magnifica piece neorealista.

L´avventuroso manipolo di "sola" (così a Roma viene definito chi prova a

rivogare la fuffa) appare eccitato dalla carta straccia che ha in mano (finte

intercettazioni di sms che accreditano la "fratellanza" di Baldini e

Baldissoni) e vuole rifilare alla iena Paolo Calabresi. «La cosa è atroce -

dice con enfasi grottesca Renga - perché si evincono due cose. Uno: c´è la

massoneria ed ecco perché non capivamo la Roma agli americani. Due: hanno cose

terrificanti da nascondere». Peccato non sia vero e Calabresi non sia un

fesso. «Ma tu sei certo della fonte che ti ha dato queste carte?», chiede. «Sì

- fa lui - lo sono perché sennò...». Poi suggerisce anche come confezionare il

pacco: «Io sai come l´avrei pubblicato? Fotografato, facendo vedere con il

bianchetto cancellato. Questi sono i dirigenti del calcio italiano. Che è uno

scoop, comunque». Non è uno scoop, ma una pizza di fango, sulla cui bontà si

spertica però anche Lomonaco. Dice a Calabresi: «La storia secondo me è

assolutamente vera. E´ una cosa grossissima». E poi, per non guastare, spiega

che il materiale a Renga lo ha passato Mario Corsi. «Qua è come se ci fosse un

unico gruppo di lavoro, diciamo».

Potrebbe finire qui. Ma Roma e il calcio sono pieni di sorprese. E in questa

storia, per una singolare coincidenza, fa ora "capoccella" il nome di Luciano

Moggi. Ascoltato in Procura dal pm Paola Filippi, Paolo Calabresi racconta

infatti un curioso episodio. Pochi giorni prima che la velenosa patacca

diventi di pubblico dominio, la iena riceve una telefonata dall´ex dg della

Juventus. I due non si sentono da più di due anni, ma Moggi ha urgenza di

incontrarlo. Gli dà appuntamento nello studio di uno dei suoi avvocati, a

Roma. Che avrà mai da dirgli? Al pm, Calabresi racconta che Moggi gli chiede

notizie di suo figlio, un ragazzo che gioca nelle giovanili della Roma («Mi

dicono che è forte. Ma sei tu il padre?»), quasi a lasciar intendere che

potrebbe anche farlo seguire da qualche procuratore, salvo poi condurre la

conversazione su inutili facezie. Si dirà: che c´entra? Forse nulla. Se non

fosse che Procura e Digos, il 17 mattina quando "Repubblica" è in edicola,

restano colpiti dalle parole con cui Renga reagisce alla vergogna che lo ha

travolto. «Non ho nulla di cui preoccuparmi. Forse dovrebbe esserlo chi ha un

figlio che gioca nella Roma». Povero ragazzo. E povero Moggi. Che sfortuna

parlare del figlio della Iena proprio in quei giorni.

___

Il caso

Truffa alla Roma

Il filmato delle «Iene»

di LUCA VALDISERRI (CorSera 30-03-2012)

ROMA — «Le Iene» la definiscono una bufala, la Procura di Roma ci sta

indagando e l'etere romano sarà di nuovo sconvolto da quella che è

stata chiamata «la tentata truffa alla Roma». È la seconda puntata,

dopo quella del 18 marzo quando filtrò la notizia del tentativo di

infangare Franco Baldini e Mauro Baldissoni, d. s. e membro del Cda

della nuova Roma «americana», tentando (senza riuscirci) di far

pubblicare notizie da due quotidiani e di ottenere un servizio tv

sulla presunta affiliazione di Baldini e Baldissoni alla Massoneria.

Mentre la Procura di Roma sta procedendo, il programma tv di Italia 1

ha mandato in onda i filmati, girati di nascosto da Paolo Calabresi,

nei quali viene contattato dal giornalista Roberto Renga e da Giuseppe

Lomonaco, voce del programma «Te la do io Tokyo», condotto da Mario

«Marione» Corsi. Renga e Lomonaco cercano di convincere Calabresi

della fondatezza dell'informazione: secondo la ricostruzione, solo

quando Lomonaco capisce di essere registrato ipotizza dei dubbi sulle

registrazioni, che secondo Renga proverrebbero dalla Digos, secondo

Lomonaco da soggetti che hanno accesso alle utenze telefoniche. Una

triste storia che ha le radici in una divisione tra «tifosi» della

nuova proprietà e nostalgici della gestione Sensi.

___

Inchiesta La guerra degli eterni nemici

Complotto anti-Baldini.

Spunta Moggi

Un servizio delle «Iene» rivela il dossieraggio con documenti falsi

L’ex dg della Juve nel mirino dei pm: «Un abbaglio, sono estraneo»

di GIAN MARCO CHIOCCI & MASSIMO MALPICA (il Giornale 30-03-2012)

Rieccolo. Spunta il nome di Luciano Moggi (l’ex dg della Juve) nell’inchiesta

su un presunto complotto in danno del dg della Roma, Franco Baldini. Gli

eterni nemici ai tempi di Calciopoli si ritrovano su barricate opposte per un

servizio delle Iene trasmesso ieri sera in merito a un presunto tentativo di

screditare Baldini - stando all’ipotesi dei pm romani Filippi e Capaldo ordito

da tre indagati: il giornalista ex Messaggero , Roberto Renga; la voce

radiofonica del tifo giallorosso Mario Corsi, alias «Marione»; il

collaboratore di quest’ultimo, Giuseppe Lomonaco. Le indagini puntano a fare

luce anche sull’esistenza di un eventuale «mandante » dei dossieraggi rivelati

dalla «iena» Paolo Calabresi, contattato dai tre, e infine anche da Luciano

Moggi in circostanze definite «anomale» dagli inquirenti. Per capirne di più,

oltre a rivedere il servizio andato in onda ieri, occorre rifarsi agli

sviluppi delle indagini. Che prendono forma nella prima decade di marzo quando

Renga riferisce a Calabresi di documenti che comproverebbero l’ingerenza di

logge segrete nella cordata americana subentrata alla famiglia Sensi. Un fatto

di per sé grave, spiega Renga, perché i «cappuccioni» sarebbero, giust’appunto,

Baldini e il consigliere di amministrazione Mauro Baldissoni.

Lo dimostrerebbero alcuni sms riportati su foglio A4 dove, però, manca

qualsiasi intestazione. Calabresi si insospettisce, ma Renga lo rassicura

sull’attendibilità della notizia e soprattutto della fonte, che da bravo

cronista non rivela. Nei messaggini tra i due «massoni» si fa riferimento a

logge e grembiulini. Il gergo utilizzato è da navigati liberi muratori: «Un

triplo fraterno abbraccio». Calabresi si mostra scettico, Renga a quel punto

taglia corto: «Puoi fare comunque un servizio sulla massoneria nel calcio

oscurando i nomi». Ma le carte sono buone? «Certo, arrivano dalla Digos».

Nella carte si fa riferimento a un personaggio che sarebbe stato nel mirino

dei dirigenti giallorossi, proprietario di una Smart nera, e del quale si

annotano i movimenti. Renga, mostrando l’auto parcheggiata, non fa mistero di

essere lui quel «personaggio ».

L’indomani Calabresi è contattato telefonicamente da Lomonaco che gli

preannuncia «una cosa grossissima». Dal collaboratore di Marione, la «iena» si

sente raccontare la medesima storia solo che l’interlocutore si lascia

sfuggire come il suo «capo» (proprietario pure lui di una smart nera) avrebbe

messo le mani su quelle carte grazie ad alcuni «amici che lavorano nelle

compagnie telefoniche». Aggiunge che «Mario» è intenzionato a fare uscire la

storia, senza comparire, e che le carte le hanno da tempo e ce la ha pure

Renga, di cui «Marione» si fiderebbe molto. A un certo punto il giornalista si

accorge della telecamera nascosta. Cambia atteggiamento mostrandosi perplesso

rispetto a ciò che prima definiva autentico. La chiacchierata finisce là.

Tempo due giorni e Corsi si fa vivo con Calabresi, spiegando che

effettivamente adesso si sono accorti che quella roba «era una cazzata». Passa

una settimana e spunta Luciano Moggi. Telefona a Calabresi e lo riceve

nell’ufficio del suo avvocato, racconta la «iena» a verbale. «Una

chiacchierata surreale ». Nell’incontro si sarebbe parlato di tutto e di

niente, tranne un riferimento fatto al figlio di Calabresi, autentico

campioncino delle giovanili della Roma. Per i pm quest’incontro «anomalo»

merita più di un approfondimento. Per Moggi, contattato dal Giornale , è un

abbaglio: «Non so di cosa si stia parlando, figuriamoci se so di questi

dossier. Quanto a Paolo Calabresi è lui che da tempo insiste per fare

un’intervista dopo che una volta ci provò travestendosi da cardinale. Siccome

l’ho trovato davanti all’ufficio del mio avvocato, l’ho chiamato, e ci ho

parlato presente il legale. Non so nulla, assolutamente nulla». Nel frattempo

la Roma era venuta­ a sapere di queste voci e aveva sporto denuncia.

La Digos aveva perquisito gli indagati trovando le carte incriminate. Renga,

Marione e Lomonaco si sono autosospesi, scegliendo il silenzio dopo aver

giurato sulla loro assoluta buona fede.

Calabresi è poi finito sei ore sotto torchio in procura dopo che i controlli

sui tabulati (veri) dei cellulari di Baldini e Baldissone avevano rivelato una

gigantesca discrasia rispetto agli sms riportati nell’anonimo. Tra video e

registrazioni l’inchiesta si è allargata ad altri giornalisti che avrebbero

visionato il dossier. Complotto o non complotto, questo è lo stato dell’arte.

Modificato da Ghost Dog

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LA BOTTEGA di SERGIO NERI (CorSport 30-03-2012)

Prandelli cercava un gol

con un assist di Petrucci

Si vede che Gianni Petrucci, prossimo alla scadenza del suo mandato, ha deciso

di tirar fuori il meglio di sé, come l'atto felice d'un gran finale. E infatti

lo ha dimostrato con un puntuale (ma inutile, ahimè) intervento sulla disputa,

francamente triste, tra Prandelli e la Lega che gli ha negato la propria

disponibilità per gli stages cui l'allenatore degli azzurri tiene moltissimo.

E non è detto che non riesca a mettere insieme qualcosa.

Però Petrucci è intervenuto con un tempismo che sollecita una stretta di

mano. E' raro, di questi tempi, che un responsabile ad alto livello delle cose

dello sport, avverta il bisogno di operare per sostenere i valori morali del

proprio movimento. Petrucci questa volta lo ha fatto.

Petrucci è intervenuto dopo il primo "no" della Lega alla legittima richiesta

di Prandelli il quale chiedeva di poter organizzare un paio di raduni per

lavorare al meglio sulla costruzione del gruppo che dovrà affrontare gli

europei. Prandelli è stato respinto in un lampo ma in suo soccorso è

intervenuto il Coni per bocca del suo presidente il quale ha sostenuto la

richiesta dell'allenatore azzurro non solo per il valore tecnico ch'essa

racchiude ma anche per lo spirito che rappresenta.

La nazionale azzurra è un valore che va oltre il contenuto tecnico che il

campo le riconosce. Si tratta di un valore del quale i ragazzi hanno disperato

bisogno.

In un luogo non lontano da Roma si è scoperto che il gioco preferito dei

bambini era quello di battersi come a guardie e ladri d'una volta ma

scimmiottando, ahimè, i turpi protagonisti della famigerata banda della

Magliana, rievocati da una rappresentazione televisiva e in qualche modo

riproposti come orrendi modelli capaci, però, di stuzzicare la fantasia dei

più piccoli. Uno era un criminale, uno era quell'altro, si chiamavano per nome

con i nomi veri degli spietati delinquenti e fingevano di spararsi addosso

come se in mano stringessero delle pistole.

Prandelli avrebbe organizzato non solo incontri di lavoro ma anche di

aggregazione tra i ragazzi per la creazione del gruppo la qual cosa avrebbe

giovato a tutti, ai giocatori, naturalmente, alla squadra azzurra e ai

giornalisti i quali avrebbero avuto occasione d'occuparsi e di raccontare

storie finalmente più ideali, robuste ed attraenti delle solite aridissime

polemiche tra allenatori e presidenti o di intrecci di mercato il più delle

volte anche privi di consistenza e di verità.

Gli incontri di Prandelli sarebbero diventati anche eccellenti racconti di

lavoro capaci di attrarre l'attenzione dei ragazzi, sempre pronti, nonostante

tutto, a cavalcare un sogno, e ad accendere altre luci sull'evento europeo che

ci aspetta. Anch'esso naturalmente degno d'essere raccontato ai più giovani

come una favola priva di violenza e di volgarità.

Petrucci lo ha capito e per questo si è speso a sostegno di Prandelli. E

proprio per questo il suo intervento ha un valore ancora più grande. Petrucci

consegna al suo erede un messaggio che dovrà rappresentare la luce sempre più

forte del futuro dirigente. Si annidano nello sport valori semplici e molto

grandi: non calpestiamoli pensando che il fine sia sempre e solo quello

d'andare nei Paesi che il petrolio ha reso ricchissimi a reclutare investitori

pronti ad intervenire con flussi di miliardi che passano sulla gentilezza d'un

bosco come le fiamme d'un incendio e bruciano tutto.

Alla fine ci restano i ragazzini che giocano a fare i criminali della banda

della Magliana.

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Studio sui conti del pallone

Seguire Agnelli

per salvare il calcio

Aumentano i debiti dei club: la A in rosso di oltre 2,6 miliardi

L'unica salvezza sono gli stadi di proprietà sul modello-Juventus

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 30-03-2012)

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ROMA - Il calcio italiano è in mezzo al guado. Fa parte sempre del club dei

Grandi (2 miliardi e mezzo complessivi di fatturato, poco più di due generati

dalla serie A calcolando anche le plusvalenze, oltre 1, 6 escludendole) ma ha

bisogno di un colpo di coda per colmare le distanze (anche competitive)

rispetto ai tornei più ricchi (quasi 2, 7 miliardi la Premier, 1, 643 la

Bundesliga, 1, 640 la Liga). Quel colpo può venire solo ispirandosi al

modello-Juventus, cioè puntando sulla costruzione dello stadio di proprietà

che, come ha sottolineato il presidente del Coni, può essere realizzato anche

a prescindere dalla famosa legge impantanata in Parlamento. Enrico Letta,

presidente dell’Arel, l’agenzia di ricerche che insieme all’ufficio studi

della Figc diretto da Michele Uva e alla società di revisione

PricewaterhouseCoopers ha realizzato il secondo “report sul calcio”, in

qualità di parlamentare ha chiesto ai colleghi di utilizzare quest’ultimo

pezzo di legislatura per approvare un provvedimento che, a parere del Ministro

per il turismo e lo sport, Piero Gnudi, potrebbe mettere in moto 800 milioni

di investimenti. “Per ora ho visto solo splendidi plastici ma nei plastici non

si gioca” , ha sottolineato con una stoccata polemica, il presidente del Coni,

Gianni Petrucci. Con orgoglio quei riferimenti sono stati colti da Andrea

Agnelli, presidente del club bianconero, che ha partecipato alla presentazione

dello studio nella sede dell’Associazione Bancaria Italiana, insieme al suo

amministratore delegato, Beppe Marotta, e a quello dell’Inter, Ernesto

Paolillo.

CALO - I dati, d’altro canto, sono chiari: il calcio dipende per il 47, 8 per

cento dai diritti tv (per la A l’incidenza è del 55, 6, un po’ meno dello

scorso anno, 58,3). Lo stadio si è perso per strada altri 22,4 milioni di euro

e sulle fortune economiche dei club incide per un minimo 10 per cento.

Complessivamente, alle partite dei campionati professionistici hanno assistito

13.375.257 spettatori, con un calo globale del 4,4 per cento (2,4 per la A, 3,

2 per la B, 11 per la Prima Divisione e 19,9 per la Seconda). Il tasso di

occupazione degli stadi in media non va oltre il 56 per cento (59 per cento in

A, dato che sale al 67 per la Champions). Mediamente assistono alle partite di

serie A 23. 541 spettatori, contro i 42. 665 della Germania, i 35. 294

dell’Inghilterra e i 28. 221 della Spagna. Per la massima serie un dato

positivo arriva dalle sponsorizzazioni e dalle attività commerciali: i ricavi

sono cresciuti da 310,3 milioni a 318,4.

A GALLA - Nonostante tutto, il calcio italiano si tiene a galla, in A e B

(l’unico campionato che cresce dal punto di vista dei ricavi) regge l’urto

della crisi, in Lega Pro la soffre. Rispetto all’anno precedente il fatturato

complessivo è diminuito dell’1,2 per cento. In A la contrazione è stata del 3,

2 (da 2,097 miliardi a 2,031); la B, al contrario, ha fatto registrare una

crescita del 17 per cento (da 286,8 a 335,4); la Lega Pro, infine, si è persa

per strada 12 milioni passando da 122 a 110. I costi del calcio

professionistico sono ampiamente superiori ai ricavi (2, 9 miliardi con un

incremento del 7 per cento) mentre il costo del lavoro appare molto vicino al

limite del fair play Uefa: 71 per cento contro il 70 richiesto da Nyon.

Aumentano gli investimenti sui giovani (da settanta a ottanta milioni) ma

restano alte le perdite di esercizio (428,2 milioni con un incremento del 23, 2

per cento sull’anno precedente: in sostanza un quarto del deficit europeo: 1, 7

miliardi a fronte di un fatturato di 17,9 miliardi, 10, 6 miliardi dei quali

prodotti dalle prime dieci Leghe europee). Come ha sottolineato il presidente

della Figc, Giancarlo Abete, gran parte di quel dato è riferibile alle tre

Grandi (poco oltre duecento milioni accumulati da Juventus, Inter e

Milan).Cresce del 14 per cento anche l’indebitamento (2,6 miliardi). Una cosa

è certa: il pallone è un ottimo contribuente visto che verse nelle casse

dell’Agenzia delle Entrate e degli Enti Previdenziali un miliardo (688

arrivano dalla A). Ai ragazzini il pallone piace tanto: uno su quattro tra gli

otto e i dodici anni è tesserato. Ma dal punto di vista aziendale siamo

ancorati alla logica dei mecenati visto che il 95 per cento dei club ha un

unico socio di maggioranza. Un segnale della crisi è la riduzione delle

plusvalenze (in A sono scesi a 357 milioni, -6, 9). E delle squadre: 470

professionistiche (contro 484), 17. 020 dilettantistiche (contro 17. 400).

Conforta, però, la crescita di quelle del settore giovanile e scolastico

(54.199 contro 50.475). Luci e ombre anche per questo ieri è stato usato

soprattutto un sostantivo: transizione.

___

L’ALLARME

SPROFONDO ITALIA

La A in rosso: «Altrove sarebbe fallita»

Il ministro Gnudi sui 2,6 miliardi di debiti:

«Faccio il ragioniere, leggo bilanci molto preoccupanti»

di MAURIZIO GALDI (GaSport 30-03-2012)

«Il calcio è una grande realtà, ma io faccio il ragioniere e leggo bilanci

molto preoccupanti. In altri ambiti, con quei numeri si parlerebbe di società

prossime al fallimento». È questa la doccia fredda e l'allarme che viene dal

ministro allo sport Piero Gnudi ieri alla presentazione del Report Calcio 2012

presentato nella sede dell'Abi a cura del Centro studi della Federcalcio,

guidato da Michele Uva, di Arel e di PriceWaterhouseCoopers. Un report che

traccia l'immagine del calcio italiano. In apertura poteva quasi sembrare una

festa, invece Enrico Letta (segretario dell'Arel) ed Emanuele Grasso (partner

Pwc) tracciano un bilancio di numeri importanti. Si parte dal fatto che solo

il mondo professionistico dà allo Stato in tasse un miliardo di euro e che il

costo del lavoro è diminuito. Poi però i nodi vengono al pettine: 2, 6 miliardi

di debiti, la perdita netta prodotta dal calcio è di 428 milioni di euro, in

crescita dal 23 per cento rispetto alla stagione precedente. Solo 19 società

su 107 chiudono il bilancio in positivo e di queste solo sei di Serie A.

Legge sugli stadi Per Letta e Grasso un salto di qualità potrebbe venire

dalla legge sugli stadi, ma anche su questo Gnudi getta acqua sul fuoco: «Che

la legge sugli stadi di proprietà sia una priorità per il mondo del calcio è

indiscutibile. È evidente il costante calo degli spettatori negli impianti

esistenti. Sono convinto che l'iter di questa legge vada portato avanti, anche

per innescare nuovi investimenti da parte dei privati. Parliamo di 800 milioni

di euro, utili alla crescita del Paese», ha ammesso il ministro. Ma poi ha

aggiunto: «Detto questo, non è una cosa che si farà domani, ma solo al termine

di un percorso virtuoso che per realizzarsi, però, ha anche bisogno che

finisca questa crisi. Altrimenti anche con la nuova legge, sarà difficile

trovare degli investitori». Insomma aspettate la legge, ma senza soldi non si

va da nessuna parte.

Solo plastici E anche il presidente del Coni Gianni Petrucci è stato

d'accordo col ministro. Elogiando la Juventus (era presente Andrea Agnelli)

per lo stadio realizzato anche grazie al contributo del Credito sportivo, ha

poi sottolineato: «Ad eccezione della Juve, oggi vedo soltanto tanti splendidi

progetti. Se si potesse giocare nei plastici sarebbe fantastico, meglio del

campo del Barcellona o del Real Madrid. Ma è così difficile accelerare

l'approvazione della legge? E poi le società cosa fanno? Se una cosa si vuole

davvero, si porta avanti». Il presidente della Federcalcio Giancarlo Abete ha

aggiunto: «La legge sugli stadi è ferma nonostante l'impegno del ministro

Gnudi. Speriamo ci sia attenzione da parte delle istituzioni, anche perché la

Uefa ha riaperto le dichiarazioni d'interesse per l'Europeo del 2020: ma se

stiamo messi così, non possiamo neppure giocare la partita».

Regole Infine gli affondi di Petrucci e Abete sulle regole. «I dati forniti

dal Report sono per un verso preoccupanti e per l'altro esaltanti — ha detto

Petrucci —, ma possono essere guardati in positivo solo se si rispettano le

regole. In questo il Coni sarà sempre al fianco della Figc. Dico alle Leghe,

che agiscono su delega, di fare in modo di darsi delle regole e di far sì che

vengano rispettate». E Abete ha spiegato come «sia necessario rivedere i

criteri di iscrizione ai campionati» e per questo verranno rivisti al rialzo i

parametri della Covisoc. Un avviso ai naviganti visto che oltre il 50 per

cento del deficit è rappresentato da pochi club. Infine ha ribadito «il ruolo

centrale della Federcalcio». In chiusura un plauso ai club che hanno aumentato

il loro investimento sui giovani.

___

TUTTOSPORT 30-03-2012

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___

I bilanci del calcio. I dati del Report di Figc, Arel e PwC: un quinto delle imposte arriva dall'Iva - Dalle scommesse 155 milioni

Il fisco trova un miliardo nel pallone

La Serie A dà all'erario 875 milioni - Sono contribuenti 11.245 atleti professionisti

di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24 ORE 30-03-2012)

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Un miliardo di euro. È questo il contributo che il "comparto" del calcio

professionistico italiano paga ogni anno al Fisco. I dati sulle tasse e i

versamenti previdenziali delle società professionistiche sono la principale

novità del "ReportCalcio 2012" presentato da Figc, Arel e

PricewaterhouseCoopers, ieri mattina nella sede dell'Abi a Roma.

Il focus sull'anno d'imposta 2009 (l'ultimo disponibile) evidenzia sia

l'impatto del costo del lavoro sui bilanci dei club, sia le imposte versate in

"proprio" dalle aziende calcistiche (Iva e Ires). Naturalmente è la serie A a

fare la parte del leone "accollandosi" quasi l'80% degli 875 milioni pagati al

Fisco, mentre la serie B spende in tributi "solo" 120 milioni (il 14%) e la

Lega Pro 67 milioni (il 6 per cento). In particolare, il valore delle ritenute

(le imposte dovute dai calciatori-dipendenti e trattenute dalle società quali

datori di lavoro) ammontano a 524 milioni di euro in rapporto all'entità degli

stipendi pagati al personale sportivo e non (pari a 1, 3 miliardi di euro).

Rispetto all'anno d'imposta 2008, il carico fiscale sugli ingaggi corrisposti

agli atleti è aumentato di quasi 20 milioni. Queste cifre sono al netto delle

detrazioni e dei crediti d'imposta eventualmente riconosciuti per le imposte

pagate all'estero a titolo definitivo. Anche se questo scarto dovrebbe

incidere poco, essendo gli atleti stranieri residenti fiscalmente in Italia.

Tra le ritenute vanno poi citate quelle effettuate sui compensi dati a

lavoratori autonomi e sulle provvigioni. Si arriva nel 2009 a 9, 3 milioni di

euro per una spesa delle squadre che sfiora i 47 milioni di euro.

Altra imposta indice dell'altro costo del lavoro che caratterizza il sistema

calcio italiano – che in media assorbe il 71% del fatturato – è l'Irap che

vale circa 43 milioni.

Il ReportCalcio 2012 fornisce, inoltre, news sui redditi dei calciatori.

Sempre nell'anno d'imposta 2009 risultano come contribuenti 11. 245 atleti

professionisti. La maggior parte (8. 346), arruolati nelle serie minori o

giovani contrattualizzati al minimo, dichiara meno di 35mila euro. Un altro

gruppo consistente (1.929) se la passa meglio portando a casa "stipendi" fra i

35mila e i 200mila euro annui. Mentre denunciano redditi superiori alla fascia

dei 200mila euro in 970. Generalmente si tratta degli atleti che militano in

serie A (701), che mettono insieme un ammontare di reddito di poco inferiore

al miliardo di euro (per una media di 1,3 milioni a testa). In serie B, sono

in 230 a dichiarare oltre 200mila euro (con un ingaggio medio di 400mila euro)

e in Lega Pro, Prima Divisione, 39 (con compensi che mediamente si aggirano

sui 300mila euro). Nella vecchia serie C, in effetti, il 90% dei tesserati ha

contratti con ingaggi sotto i 60mila euro all'anno.

La previdenza dei calciatori, invece, è costata ai team 95 milioni nel 2010

(erano 90 l'anno prima), in virtù di contributi tutto sommato bassi in

rapporto agli stipendi.

Passando alle altre imposte a carico delle aziende calcistiche, un quinto del

totale è imputabile all'Iva (208 milioni). L'Ires, data la situazione

economica-finanziaria dei club, con appena il 18% del totale della platea in

utile, e una perdita netta aggregata di 428 milioni (più diffusamente sul

punto si veda l'articolo a fianco), rende all'Erario solo 8, 4 milioni. Il

Report di Figc, Pwc e Arel, sottolinea, peraltro, come tra le società che

liquidano ordinariamente l'imposta solo il 4% ha un reddito imponibile,

proprio per l'utilizzo (cosiddetto "a riporto") delle perdite generate negli

esercizi precedenti.

Vale, infine, 155 milioni di euro il gettito derivante dalle scommesse sul

calcio che hanno raggiunto una raccolta complessiva nel 2011 di 3, 4 miliardi.

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Il ministro

Gnudi: legge sugli stadi per mobilitare 800 milioni

di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24 ORE 30-03-2012)

Lo stadio di proprietà, sull'esempio della Juve, è il sogno di molti

presidenti. Ma per ora, come ha sottolineato ieri, intervenendo a Roma alla

presentazione del ReportCalcio 2012, il presidente del Coni, Gianni Petrucci

si vedono solo «splendidi plastici». Nella scorsa stagione solo il 10% del

fatturato dei club è arrivato dal botteghino con un tasso di riempimento degli

impianti del 56% e un calo di spettatori del 4, 4. Più in dettaglio, la

riduzione dei ricavi da stadio nel 2010-2011 è stata di 22 milioni di euro

(253 milioni contro i 275 della stagione precedente). Per il ministro dello

Sport, Piero Gnudi, la legge sugli stadi (che giace alla Camera, dopo aver

ottenuto due anni fa l'ok del Senato) va approvata quanto prima: «Ha ragione

il mondo dello sport quando dice che la legge sugli stadi è una priorità,

anche perchè è evidente il costante calo degli spettatori negli impianti

italiani. Sono convinto che l'iter per l'approvazione vada portato avanti

anche per innescare nuovi investimenti da parte dei privati, parliamo di 800

milioni».

«Dobbiamo restare lucidi – ha aggiunto il presidente della Figc, Giancarlo

Abete, anche perchè l'Uefa ha riaperto le dichiarazioni di interesse per Euro

2020, e, se restiamo così, noi non giocheremo nemmeno la partita».

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Produzione. Il valore cala dell'1,2%

Le plusvalenze

non salvano i conti

di GIANNI DRAGONI (Il Sole 24 ORE 30-03-2012)

Meno ricavi, più perdite e più debiti. Sei parole che spiegano in sintesi il

flop del calcio, come descritto nel rapporto curato dalla PriceWaterhouse e

dall'Arel, insieme alla Federcalcio.

Il «Report Calcio 2012» dice che il buco prodotto dal calcio professionistico

italiano si sta allargando. Nell'ultima stagione sportiva, secondo i bilanci

al 30 giugno 2011, la perdita netta aggregata delle squadre di serie A, serie

B e della Pro di prima e seconda divisione è stata di 428 milioni di euro, in

aumento di quasi 81 milioni (+23,2%) rispetto alla stagione precedente. Sono

censite 107 squadre, ne mancano 20 delle due leghe minori.

«Il calcio è una grande realtà, ma io faccio il ragioniere e leggo bilanci

molto preoccupanti. In altri ambiti, con questi numeri, si parlerebbe di

società prossime al fallimento», è il commento di Piero Gnudi, commercialista

detto «il Cuccia di Bologna», ministro del Turismo e Sport.

Il totale del valore della produzione del calcio professionistico è pari a

2.477 milioni, il giro d'affari è in calo dell'1, 2 per cento. La serie A

rappresenta l'82% dei ricavi e il 70% delle perdite, ha un risultato netto in

rosso per 300 milioni su un valore della produzione complessivo di 2. 031

milioni, diminuito del 3, 2% rispetto all'anno precedente.

E in questi ricavi ci sono anche le plusvalenze da cessione calciatori, pari

a 357 milioni (26 milioni meno dell'anno precedente), mentre i «ricavi di

vendita» della serie A sono pari a 1.674 milioni (40 milioni meno del 2010).

Sarebbe più corretto, per rappresentare l'andamento della gestione dei club,

scorporare le plusvalenze dai ricavi, come fa Deloitte nella rassegna sul

Football europeo, e indicarle tra i proventi straordinari.

La serie B incide per il 14% sui ricavi totali e per il 17% sulle perdite, il

bilancio aggregato dei suoi 22 club indica una perdita netta di 73 milioni e

un valore della produzione di 336 milioni. In rosso anche le due leghe Pro, la

prima divisione per 44 milioni, la seconda divisione di 12 milioni.

L'altro elemento evidenziato è l'aumento del 14% dell'indebitamento della

serie A, a 2.659 milioni di euro. Ma i debiti finanziari, verso le banche o

altri finanziatori, per esempio per leasing o cessione di crediti, si sono

impennati del 50%, da 619 a 928 milioni. Secondo lo studio «il valore

patrimoniale della serie A al termine dell'ultima stagione sportiva è pari a

3. 088 milioni, in aumento dell'1, 7% rispetto alla stagione sportiva

precedente». In questo importo è incluso il cartellino dei giocatori, a volte

iscritto a valori gonfiati o irrealistici, perché frutto di scambi o

comproprietà a prezzi "dopati". Il patrimonio netto delle venti squadre di

serie A è molto più basso, è crollato ad appena 150 milioni al 30 giugno

scorso, dai 354 milioni del 2010 e 385 milioni del 2009.

Questo significa che, con la crisi, gli azionisti che sperperano il denaro

comprando calciatori e strapagandoli (il costo del lavoro in serie A è stato

di 1.159 milioni, lo 0,6% in meno dell'anno precedente), mettono sempre meno

capitale nei loro club e corrono a chiedere soldi in prestito alle banche. In

tutto ci sono 19 squadre con i conti in attivo, di cui nove in serie A.

___

Sistema Calcio a Rischio Default

Stipendi alti e Disaffezione dei Tifosi

di STEFANO AGNOLI (CorSera 30-03-2012)

Il ministro dello Sport, Piero Gnudi, ha parlato «da ragioniere» (parole sue)

quando ha evocato lo spettro «fallimento» sul calcio italiano. Gnudi, forse,

ha voluto dare una scossa al sistema, ma sa quello che dice visto che è stato

presidente dell'Enel e ha frequentato i consigli di amministrazione di tanti

grandi gruppi, qualcuno profittevole, qualcuno un po' meno. E allora bisognerà

ascoltarlo e magari ripartire proprio da lì, dalla ragioneria. Cioè dai

(troppi) costi e (pochi) ricavi del pallone nazionale.

Malgrado la crisi economica generale, nell'ultima stagione gli stipendi dei

calciatori hanno superato il miliardo di euro (!) e la perdita del sistema

professionistico (un rosso di 428 milioni) si deve per più di un terzo proprio

a quell'incremento. Il che conduce a un'altra considerazione: non pare per

nulla un caso che il rapporto personale/fatturato del calcio italiano resti il

più alto (con la Francia) nella top ten dei campionati europei, a quota 74%.

Che arriva addirittura al 90% al netto delle plusvalenze legate alle cessioni

di calciatori più o meno famosi.

Se si passa invece al setaccio la voce ricavi, a colpire è un altro numero da

ragionieri, quello delle entrate da gare. Cioè degli spettatori che vanno allo

stadio. E anche qui il paragone europeo la dice lunga: in serie A solo il 12%

del fatturato viene da lì. In Premier League e in Bundesliga è il doppio,

nella Liga quasi tre volte tanto. Certo, è verosimile che la recessione possa

giocare contro, visto che le prime ad essere tagliate dalle famiglie possono

essere spese «non necessarie» come queste.

Infine ci sono i debiti. Sono saliti, è vero, ma solo per colpa dei cinque

maggiori club. E uno di questi, la Juventus, si è indebitata per farsi lo

stadio nuovo. Debito «virtuoso», in questo caso. Può dirsi lo stesso degli

altri?

Costi, ricavi e stadi di proprietà che non ci sono. Il futuro non si presenta

entusiasmante. Però una nota positiva c'è: salgono gli investimenti nei

settori giovanili. Forse nel calcio siamo meno miopi di quanto si pensi.

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Il Sole 24 ORE 30-03-2012

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San Siro vs Barcellona

Due opere d’arte a confronto, una tattica e l’altra architettonica. Racconto di una notte non solo calcistica

di FRANCESCO PACIFICO (Studio 30-03-2012)

La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca.

Sono venuto a Milano su invito di Tim Small per vedere in tribuna l’andata dei

quarti di finale di Champions League Milan – Barcellona. Non ero mai stato a

San Siro; sono romano, sono condannato a vedere le partite all’Olimpico,

lontanissimo dal campo non solo per via della pista d’atletica obbligatoria

quando il tuo stadio vuole avere un nome così inappuntabile ma anche perché le

tribune, costruite su un livello solo, sono ripide come un cd appoggiato su

una penna e quindi più sali sugli spalti più si allontana il tuo sogno di

vedere una partita dal vero. Venivo quindi a sperimentare la gioia di vedere

una partita da vicino nel mio paese, dopo aver conosciuto, in un noioso

pareggio West Ham – Middlesbrough di vari anni fa, l’emozione di poter capire,

come a teatro, che Mendieta, ex fenomeno del Valencia e centrocampista degli

ospiti, quel giorno era depresso. Volevo tornare a provare l’emozione di

sentire l’umore dei calciatori senza protezione, senza la patina di normalità

che la distanza dona a ogni errore e a ogni gran gesto.

L’altra opera d’arte che ero venuto a Milano apposta per vedere dal vivo non

era Marina Abramovic ma La Squadra Più Forte di Tutti i Tempi, il Barcellona

di Guardiola e dei suoi pacioccosi goons – Messi, Iniesta, Xavi, Piqué, Dani

Alves, Puyol eccetera: piccoli tirapiedi di una mente ossessiva che stanno al

loro allenatore – lo dico dopo aver visto la partita, prima non avrei osato

pensarlo – come i piccoli tirapiedi gialli di Despicable Me stanno al loro

capo malvagio.

Voglio confrontare le due opere d’arte accantonando il Milan, che ho già

avuto occasione di vedere dal vivo all’Olimpico e del cui fascino, accresciuto

dal fatto che ieri (mercoledì) ha giocato con l’epica maglia bianca (con cui

ha vinto diverse finali di coppa) per risparmiarci la visione dell’orrenda

seconda maglia verde-villaggio-vacanze del Barcellona, presentatosi per

l’occasione nel più significativo classico azulgrana. Del Milan dico solo una

cosa: visto da così vicino, Seedorf è Achab, un giocatore con la missione e

l’ossessione della vittoria anche in una partita che pare quasi impossibile

vincere; un leader disposto a giocare praticamente da difensore con il numero

10, praticamente a marcare il numero 10 avversario, Messi; circondato peraltro

dai suoi Starbuck, Flask e Stubb: Nesta, Ibra e Ambrosini, tre figure

diversissime tutte vissute e sbattute ma disposte ad ascoltare in mezzo al

frastuono dello stadio gli ordini di Achab allenatore in campo.

San Siro:

Il miracolo di San Siro è sembrare enorme e minuscolo allo stesso tempo.

Avvicinandomi allo stadio ho tremato nell’avvistare in lontananza l’astronave

di cemento: i bagliori e i cori ambient che provenivano dall’interno

accendevano appena una spaventosa struttura che minaccia lo sguardo con delle

sovrumane sbarre rosse che, esaurita la funzione di reggere il terzo anello,

si estendono in eccesso e terminano nel vuoto dell’aria. Alzo lo sguardo per

provare a capacitarmi della presenza, nel vuoto, di una massa così enorme

sopra la mia testa, e sento disarticolarsi la mia percezione della realtà. Un

oggetto costruito per ospitare confortevolmente, al coperto, molte persone, si

presenta all’esterno come uno spauracchio da cartone animato giapponese. Se si

fosse sgranchito e trasformato in un robot il mio stupore complessivo non

avrebbe cambiato natura ma solo intensità.

All’interno si sta stretti. La curva è molto vicina, l’altra curva pure, la

tribuna di fronte pure. Essendo pieno, rimango stupito dalla promiscuità della

situazione, da quelle settanta-ottantamila persone e più, e finché Tim non me

lo fa notare, ignoro i giocatori che si riscaldano in campo. Dopo, scatto una

foto a Ibra che si riscalda demolendo una traversa con un tiro. È molto alto.

[brevi note di colore. Il nostro settore è pieno di “fighe mediaset”, camicie

celesti, tacchi fuori norma, degli strani tipi agitati al confine fra hipster

e tronisti con porkpie hat e giubbotti. Si avvistano mielose pettinature da

Jane Fonda, sia bionde che rosse, su coprispalle in pelliccia. Gli scalini,

che a Roma rimangono sempre occupati da chi non è soddisfatto del proprio

posto, vengono qui sgomberati di continuo da una stewardess sulla quarantina

che se potesse percorrerebbe la tribuna con le pattine per tenerla più pulita.

Giovani bennati seduti sugli scalini la ignorano a lungo, la prendono in giro,

e alla fine, misteriosamente, scompaiono dalle vie d'uscita (con mio enorme

piacere, visto che soffro di attacchi di panico e ansia e per me vie d'uscita

significa in realtà vie di fuga). Dietro Tim, un idiota critica con fortissimo

accento milanese ogni azione del Milan. Ecco alcuni appunti: “Che scarpe di

ɱerda c'hai?” “Allarga!” “Torna, ċazzo!” “Ma no!” “Ma stai su Messi!” Non sta

zitto un attimo. A un certo punto urla un consiglio, il giocatore per caso fa

esattamente quel che gli dice di fare, allora gli urla il consiglio contrario.

Ecco come: “Sali! Sali! Ah no, che ċazzo sali! Stai giù!” Tim mi chiede se è

il caso di fargli una parte, gli accordo il permesso, e al settantatreesimo si

gira e lo azzittisce dicendogli che è tutta la partita che urla. Dopo alcune

strampalate proteste (“Potevi guardartela a casa!”) si azzittisce quasi del

tutto, cioè diventa un tifoso normale e sostiene la squadra. Altro personaggio

notevole intravisto: Berlusconi vestito di scuro che esce dal passaggio in

cima alla tribuna a fine partita. Dietro di lui, sulle scale, quindici metri

di stuolo umano, diamantato di fighe.]

Barcellona:

Da romanista, dopo aver visto dal vivo il Barcellona, che sarebbe a medio o

lungo termine il modello da imitare per la squadra a cui tengo, la AS Roma

catalano-americana di Luis Enrique, sono costretto ad affermare che il tiki

taka è una cagata pazzesca.

Ho sul telefono un filmino lungo 49 secondi in cui riprendo la parte finale

di una estenuante azione d’attacco del Barcellona. Nei 49 secondi ho contato

13 passaggi, quasi tutti in orizzontale. Io e Tim eravamo seduti proprio là

davanti, sulla trequarti d’attacco degli ospiti, ho potuto così farmi l’idea

più realistica possibile di cosa sta portando in giro per il mondo il club che

sta radendo al suolo il calcio europeo e internazionale vincendo tutto. Le

azioni del Barça sono noiose. Le occasionali accelerazioni verticali di Messi,

le efficaci aperture laterali di Xavi e Iniesta per la salita a destra di Dani

Alves, mi hanno affascinato per qualche anno finché una sera di due mesi fa

non ho visto in tv la partita di andata degli ottavi in casa del Bayer

Leverkusen e non ho cominciato a sospettare che mi stavo stufando di quel

ritmo soporifero e di quel controllo corpuscolare del gioco di cui parla

Sandro Modeo ne Il Barça. Ieri, a San Siro, ho avuto la prova definitiva,

quella emotiva, affettiva, che il Barcellona non mi interessa. Seduto fra

milanisti, ero mimeticamente sensibile alla loro paura, e la decina circa di

palle gol degli avversari giustificavano l’orrore dei tifosi e la tensione

costante. Ma non tifando, nel profondo, visceralmente, per nessuna delle due

squadre, trovavo molto più perspicuo e attinente all’esperienza partita di

calcio un tentato stop di Telespalla Ibra con i suoi piedi lunghi da

pagliaccio, in equilibrio impossibile fra Piqué e Busquets, nel deserto della

metà campo avversaria, disperato e volenteroso, pionieristico, speranzoso di

veder salire il resto della squadra al primo segno di avvenuto controllo della

palla. E invece il gioco del Barcellona di Guardiola, che fin dalla prima

finale di Champions vinta tre anni fa è stato tutelato dall’Uefa ed esibito

come segno di salute del calcio europeo, ammorba il campo con un controllo

anale, autistico, che visto finalmente alla giusta distanza mi ha dato l’idea

di trasformare il campo di calcio in qualcosa che non dovrebbe essere. Il

Barcellona gioca a calcetto. Gioca praticamente da fermo.

Chi si è formato con Holly e Benji sa per certo che il calcio ha due facce:

una è quella in cui il campo è un rullo verde che scorre sotto i piedi dei

giocatori lanciati in contropiede; l’altra è quella in cui tutto è fermo, il

tempo e lo spazio, in un Mexican standoff che può durare anche una puntata

intera, e che è bello per noi spettatori soltanto nella misura in cui abbiamo

accesso ai pensieri di Holly sul suo allenatore brasiliano o sulla cardiopatia

di Julian Ross.

Ibra era la prima faccia di Holly e Benji: il campo sotto i suoi piedi è un

dragone srotolato e pazzo su cui un uomo enorme dai piedi enormi e dal volto

eternamente concentrato cerca di mantenere un equilibrio commovente che

produce in me sentimenti romantici e riflessioni sulla morte. Appena gli

riesce un assist di esterno per lanciare El Shaarawy sulla fascia, assist

eseguito nello stesso istante in cui si produce lo stop su un punto qualunque

dell’enorme scarpino mentre con le spalle e i gomiti tiene lontani due

difensori senza mai perdere la sua aria perennemente concentrata, il cuore mi

balza in petto e capisco perché il calcio ha deciso di darci come scenario

questo assurdo campo lungo cento metri: il campo è il mare aperto, e anche se

la cosa presenta problemi logistici (specialmente per chi lo deve percorrere),

questo mare aperto, e il destino degli sfortunati che devono attraversarne, su

zattere con tacchetti, l’instabile superficie, è tutta la sostanza emotiva dei

novanta minuti della partita.

Il Barça che ho visto ieri è una compagnia di persone incapaci di stare sole,

che si tengono strette ogni momento, accompagnandosi per il campo anzi

accampandosi di continuo nelle zone che contano. Il Barça si accampa sulla

trequarti e comincia a nasconderti la palla. Ti tiene lì con un ostinato

preliminare dell’atto sessuale di tirare in porta. Ti bacia, ti stuzzica, ti

tocca, ti accarezza, e a un certo punto ti stufa.

Francesco Pacifico - Scrittore

Francesco Pacifico è nato nel 1977 a Roma, dove vive. Scrive su

Repubblica, IL e Rolling Stone. Ha pubblicato i romanzi Il Caso

Vittorio (Minimum Fax, 2003) e Storia della mia purezza (Mondadori,

2010). Traduce anche romanzi e graphic novel dall’inglese (tra cui

Chris Ware e Will Eisner, Dave Eggers, Rick Moody, Kurt Vonnegut, F.

Scott Fitzgerald, Henry Miller).

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Il caso

L´assessore chiede la revisione della convenzione tra il Comune e la società

Narducci: "Il Calcio Napoli

paghi i vigili per le sue partite"

di ANNA LAURA DE ROSA (la Repubblica - Napoli 30-03-2012)

«Penso che la società Calcio Napoli debba pagare la polizia municipale

impegnata nel servizio d´ordine e di traffico per le partite. La convenzione

stipulata sette anni fa realizza uno squilibrio intollerabile a danno

dell´interesse pubblico». L´assessore alla Sicurezza Giuseppe Narducci è

deciso a includere la società azzurra tra i privati che d´ora in avanti

dovranno pagare nelle proprie manifestazioni il servizio reso dai caschi

bianchi. La delibera approvata ieri in consiglio comunale, con una ventina di

emendamenti e dopo sei ore di accesa discussione, libera i cittadini da questa

spesa.

In via Verdi il clima si scalda appena si tocca l´argomento "partite". La

maggioranza si divide quando i consiglieri Fucito e Nonno presentano un

emendamento che specifica per esteso che «anche il Calcio Napoli deve pagare».

Narducci condivide «pur dovendo esprimere formalmente un parere contrario

dell´amministrazione, che però deve farsi carico di questa sollecitazione del

consiglio di rivedere la convenzione».

Una spaccatura interna al fronte arancione? Quello alla società azzurra,

tuttavia, è quantomeno un attacco congiunto. L´assessore allo Sport Pina

Tommasielli avverte che «è stato già avviato un tavolo tra società e Comune

sull´argomento vigili, e per ora si è raggiunta un´intesa sull´entità del

debito».

Con la delibera, «viva Dio - si sfoga l´ex pubblico ministero - finisce

un´epoca in cui i privati hanno organizzato eventi sulle spalle della

collettività».

La tariffa dei vigili è calcolata avendo come parametro un´ora di lavoro

straordinario maggiorata del 50 per cento, prevedendo un euro in più per ogni

chilometro percorso dai veicoli del Corpo e un buono pasto nel caso si

superino le sei ore. Se disponibili, gli agenti presteranno servizio in

occasione di attività cinetelevisive, spettacoli e manifestazioni sportive. I

soldi «finiranno nelle casse comunali», conclude Narducci. Esentate invece le

manifestazioni politiche, sindacali, patrocinate o stabilite dal Comune.

___

Manifestazioni Passa la delibera sugli oneri da versare al Comune se mette a disposizione la polizia municipale

Stadio, solo il Napoli non paga i vigili

Narducci a De Laurentiis: rifare i patti

L'assessore: convenzione sbilanciata in danno dell'interesse pubblico

di PAOLO CUOZZO (CORRIERE DEL MEZZOGIORNO 30-03-2012)

NAPOLI — A Napoli chi organizzerà manifestazioni che presuppongono il

coinvolgimento dei vigili urbani, d'ora in avanti, dovrà contribuire al

pagamento degli straordinari della polizia municipale perché il Comune, «visti

i tanti eventi che ci sono in città», non può più farsi carico di oneri così

eccessivi. La delibera, dopo molte discussioni e rotture all'interno della

maggioranza, passa dunque così. Sancendo un principio anche giusto. Ma quando

in aula prende la parola Giuseppe Narducci, assessore alla Polizia municipale,

l'argomento diventa un altro; diventa la convenzione col Calcio Napoli che

prevede, comunque fino alla scadenza — il 2014 —, che il Comune metta a

disposizione per ogni gara un notevole numero di vigili urbani per gestire il

traffico prima e dopo la partita al San Paolo. Ecco perché Narducci avverte

tutti, giunta, consiglieri e, senza nominarlo, ovviamente De Laurentiis che

«la convenzione col Napoli è da rivedere». «Nell'accordo tra Comune e società

sportiva — dice — c'è uno sbilanciamento a danno dell'interesse pubblico».

Poche parole, ma chiarissime come nel suo stile, arrivate dopo la

sollecitazione fatta dal gruppo della Federazione di Sinistra che chiedeva,

appunto, anche l'inclusione del calcio Napoli tra i «privati» che dovrebbero

pagare il servizio di polizia locale in occasione di manifestazioni a scopo di

lucro. Il nodo, a quanto pare, sarà sciolto però solo dopo un confronto tra De

Laurentiis e il Comune di Napoli, con l'intento di rivedere la convenzione

stipulata 7 anni fa. Trattativa che comunque sta già a buon punto e che non

presenta, al momento, criticità, visto che Napoli e Comune dovranno peraltro

decidere insieme dove sarà e come sarà il futuro stadio cittadino. come ha

annunciato direttamente il sindaco de Magistris. «Abbiamo — chiarisce

l'assessore allo Sport Pina Tommasielli — anche raggiunto un'intesa con la

società Calcio Napoli sull'entità del debito che ha nei confronti del Comune,

stabilendo chi deve cosa e il tavolo di confronto sulla modifica della

convenzione è aperto». Insomma, il Napoli, per il momento, sarebbe escluso dal

pagamento di oneri aggiuntivi per avere i vigili allo stadio. Per ora, però.

Perché sulla questione, a delibera approvata, arriva il pensiero di Vittorio

Vasquez, capogruppo di Napoli è Tua la lista civica di de Magistris, che

rivela: «Per fortuna, nella inconsapevole disattenzione di alcuni gruppi, è

stato votato un articolo del regolamento che impone, tra l'altro, a tutte le

manifestazioni sportive, quindi anche il calcio, di farsi carico del pagamento

previsto con la nuova delibera approvata». Quindi anche il Napoli. Vasquez,

inoltre, si schiera apertamente con Narducci che «nell'occasione del voto

sull'emendamento che chiedeva di impegnare il calcio Napoli ad adeguarsi al

principio costituzionale per il quale la legge è uguale per tutti, ha

responsabilmente dichiarato che l'amministrazione si sta riservando un proprio

spazio d'iniziativa per ridiscutere l'intera convenzione col Calcio Napoli,

che registra da anni enormi debiti verso il Comune di Napoli». Per Vasquez,

però, «proprio per questo avrebbe assunto un forte significato politico e

sarebbe stato di sostegno alla linea della giunta votare l'emendamento con il

quale l'assemblea comunale avrebbe dato un chiaro indirizzo politico votando

per impegnare la Società a contribuire, come tutti gli altri privati che

traggono profitto dallo svolgimento della propria attività, al pagamento del

lavoro straordinario svolto dalla polizia Municipale. Viceversa, come

denunciato anche dal consigliere Palmieri di Liberi per il Sud, il gruppo del

Pdl si è aggiunto ai voti dell'Idv per rimandare alle calende greche il

ripristino di questo universale e legittimo criterio di uguaglianza».

Occorrerà capire però cosa intenderà fare ora de Magistris che, nei rapporti

tra Comune e De Laurentiis ha commissariato tutti, gestendo ogni cosa in prima

persona.

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SCANDALO SCOMMESSE Salta il blitz annunciato

Mentana e la corsa

ad arrivare primo:

il campionato è salvo

Il tg di La7 anticipa la notizia sugli arresti in Serie A

Ma lo scoop su quello di cui tutti parlano non si realizza

di TONY DAMASCELLI (il Giornale 30-03-2012)

Oggi, forse. Probabilmente domani. Ma ci sono anche possibilità per il giorno

appresso. Enrico Mentana ha suonato la tromba, strumento preferito del suo

repertorio, le manette sono pronte, il calcio trema, scendono in campo gli

arresti, mezza serie A finisce al gabbio, i club rischiano la serie B e il

fallimento, è lo tsunami.

La notizia fa il giro delle redazioni, dei bar, degli spogliatoi ma,

soprattutto, delle procure alle quali gli ascolti di La7, tiggì e annessi, non

interessano affatto, preferiscono l’ascolto dei testi chiamati a deporre e a

spiegare l'accaduto. Ma è ormai la prassi, l'importante è arrivare per primi,

annunciare il Natale con un mese di anticipo, celebrare un anniversario,

compleanno e affini, precedendo di una settimana i concorrenti.

Mentana Enrico ha battuto se stesso, già aveva annunciato, controllare

archivi e registrazioni, la svolta epocale delle indagini sulle scommesse, già

aveva suonato la tromba sugli arresti senza che lo scoop si realizzasse nelle

ore successive. Il campionato può essere falsato (o salvato, pensando alle

conseguenze che avrebbe provocato il terremoto preconizzato dal Tg serale di

La7) da un annuncio taroccato, precoce, interruptus? Gli indagati, appresa la

notizia davanti ai teleschermi, sono già in fuga?

L’aneddotica giornalistica è piena di casi analoghi, per sdrammatizzare

segnalo un titolo a nove colonne di Sport Sud , anni sessanta, che strillava:

«Sivori al Napoli». Il passaggio dell'argentino dalla Juventus al club

partenopeo non si realizzò in quell’estate. L’anno dopo, stesso giornale,

stesso titolo, proprio identico, uguale epilogo, Enrique Omar cabezon restò a

Torino. Al terzo tentativo l’audace titolista aggiunse finalmente il trionfo:

«Sivori al Napoli, stavolta è vero» Non so se Enrico Mentana e la sua

orchestra capiranno la battuta e la provocazione, sta di fatto che ormai la

corsa allo scoop crea guai e allergie ai giudici che della stessa vicenda si

occupano. Per esempio la facilità con la quale si strillano certe notizie del

mondo sportivo, calcistico in particolare, non ha uguali quando si tratti

della politica, laddove gli equilibri e le amicizie, si fa per dire, vengono

osservati e tutelati. Quando c’è di mezzo il football saltano le marcature,

anche nelle procedure e nei procedimenti.

Calciopoli non è servita a nulla, la procura federale prima dorme e poi parte

all’attacco, chiede le carte a quella ordinaria, interroga, prepara la

sentenza, condanna, si lava la coscienza per poi venire smentita o

ridimensionata dall’esito delle indagini del processo penale. La prescrizione

salva personaggi e interpreti di pari censo a quelli che invece subiscono la

pena, i giudici che a Bari e a Cremona stanno seguendo le sto­rie di scommesse

e partite addomesticate scoprono che, contemporaneamente al loro lavoro, gli

indagati vengono convocati dai giudici federali, la confusione regna sovrana,

l'accavallamento di inchieste provoca irritazione, anche in procura si corre a

chi arriva primo.

È il delirio di potenza, è la voglia volgare di esibizione, la giustizia

viene calpestata nei suoi principi basilari.

Oggi ne sapremo di più. Forse. Oppure domani. Comunque quando arriveranno gli

arresti sarò curioso di vedere se qualcuno ricorderà il titolo di Sport Sud e

urlerà: «Stavolta è vero».

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