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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Joined: 14-Jun-2008
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Il commento I bianconeri sono cambiati e sono guidati benissimo. L’importanza della classe di Del Piero

Più soluzioni e più magia per lottare col Milan

di MARIO SCONCERTI (CorSera 26-032012)

È stata la miglior partita dell'Inter da molte settimane a questa parte, però

anche la peggiore perché ha mostrato che l'Inter ha condizione finché può

pensare da grande squadra. Appena arriva la realtà, gli argini crollano e i

limiti si rimettono tutti ai loro posti. La Juve ha la buona sorte di segnare

su calcio da fermo. Sul colpo di Caceres si ferma definitivamente tutta la

difesa interista. Il resto è una partita a senso unico. Merita leggere

lentamente il nome dei marcatori. Uno è Caceres, acquistato a gennaio, già due

gol al Milan a San Siro in Coppa Italia. L'altro è Del Piero, che scivola

nella profondità come dentro un vecchio spartito e tira fuori un altro gol

alla sua età. Va ricordato che Conte aveva cambiato faccia alla Juve due

minuti prima del gol di Caceres, cioè quello da fermo. Ma nella scelta era

entrata la qualità di Del Piero, la sua capacità di pensare calcio. Non si è

mai troppo vecchi per giocare a calcio se si hanno le qualità di Del Piero. Il

problema è il tempo che vuoi giocare. Del Piero, Totti, come un tempo Baggio e

Mancini, possono andare anche oltre i 40 anni se si lasciano respiro. Con

l'uguaglianza che c'è, con la monotonia della corsa e della fatica, la loro

classe permette ancora di nascondere il pallone per molti anni, ma non per

molto tempo nella stessa partita. È questa la scelta. Quanto giocare, non se.

La Juve in sostanza sta bene e approfitta di un avversario vecchio negli anni

e nei pensieri. Il gol di Caceres riporta in un attimo sull'Inter tutta la

polvere che 50 minuti di calcio alla pari avevano tolto dai meccanismi. Non

era vero, tutto qui. La Juve è a volte anche troppo incendiaria, cerca un

ritmo che a stento riesce a controllare. La tecnica di Del Piero a questo

doveva servire, a cercare di gestire la fretta. Però è una squadra in salute,

pazza di se stessa e delle imprese che verranno. La sua continuità è irreale

per il nostro campionato. Ventinove (30) partite per molti anni sono state un

campionato intero. La Juve deve stare attenta adesso che la sua imbattibilità

non diventi una buona ragione da temere. Quasi una piccola mediocrità come fu

per il grande Perugia di Castagner, invincibile ma secondo. Conte sta però

facendo il di più che qualche settimana fa gli è stato chiesto. La Juve è

cambiata, ha più soluzioni, più magia, più coraggio. È guidata benissimo dal

misticismo di Conte, una specie di esercito di monaci in cerca dell'antica

Virtù. C'è esattamente qualcosa di religioso e medievale nell'insistenza con

cui la Juve sta inseguendo il Milan, vissuto come modernità e lungo potere

terreno. Calciopoli ha ottenuto di rinnovare completamente l'anima di questa

squadra, come se le avesse reso il privilegio dei giusti dopo anni e anni

passati a ottenere quello dei ricchi. Sullo scudetto la giustizia della causa

ha poco conto sull'esito finale, un po' come pretendere che la vita sia

giusta. Quindi è possibile che vinca il Milan. Ma è una Juve tornata di tutti.

Finalmente non più solo di Moggi e Giraudo.

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Mourinho si lamenta

Il Real Madrid si spacca

Spogliatoio diviso sulle critiche all'arbitro dopo il Villarreal

E i giocatori al tecnico: «Basta, sempre con la stessa storia...»

di FILIPPO MARIA RICCI (GaSport 26-03-2012)

«Meno trivote, mas tridente», chiede dalla sua prima pagina Marca al Madrid.

«Meno polemiche, più gioco», chiedono i giocatori del Real al loro allenatore

secondo quanto raccontato dal Pais, che nello spogliatoio della Casa Blanca ha

informatori di primordine. Ieri il Madrid è partito per Cipro (dove affronterà

l'Apoel nei quarti di Champions) contento per la manita rifilata alla Real

Sociedad ma non tranquillo. Nonostante la vittoria, Mou ha allungato il

silenzio stampa suo, di Karanka e dei giocatori. Zona mista deserta, cosa

inedita al Bernabeu, e colleghi spagnoli che scuotono il capo. Oggi il

silenzio verrà spezzato perché la Uefa obbligherà Mou (o Karanka) e un

giocatore a parlare.

Il virus Il «trivote», utilizzo in contemporanea di 3 centrocampisti di

rottura, è considerato da queste parti il Grande Virus che attacca il Bel

Calcio. Contro il Villarreal, squadra in enorme crisi di gioco e risultati,

Mou è partito con Diarra, Khedira e Xabi Alonso. Salvo correggersi dopo

mezz'ora. Ha preso un punto. Con la Real Sociedad al posto di Diarra c'era

Kakà, e per Özil, squalificato, è entrato Higuain. Schieramento a trazione

anteriore, spettacolo, occasioni, pioggia di gol, Bernabeu in visibilio. Da

qui l'esortazione di Marca.

Il no a Mou Che risponde anche al pensiero dei calciatori. Secondo quanto

raccontato con dovizia di particolari dal Pais, Mou mercoledì notte a

Vila-Real è entrato nello spogliatoio infuriato e ha ordinato ai suoi di dire

che il pareggio era colpa dell'arbitro. A parte Pepe e Cristiano, che già

avevano espresso la propria opinione davanti alle telecamere e con lo stesso

arbitro (il difensore gli ha dato del «figlio di pũttana» e si è preso due

turni di squalifica), gli altri non hanno aderito alla chiamata del

condottiero di Setubal. Non hanno accettato di divulgare il suo pensiero da

sindrome dell'accerchiamento e hanno anzi palesemente criticato l'idea:

«Ancora con la stessa storia. Ciò che dobbiamo fare è giocare a calcio!», ha

detto un giocatore a Mou con foga tra i fumi della doccia. José ci è rimasto

malissimo, e per timore che l'ammutinamento potesse palesarsi di fronte ai

microfoni, ha decretato il silenzio stampa.

La riunione Giovedì però i suoi ragazzi gli hanno riservato un'altra

sorpresa: Casillas e Ramos, che già nei mesi scorsi hanno avuto divergenze

profonde e accese con l'allenatore, hanno indetto una riunione d'emergenza

della rosa. Escludendo non solo Mou ma tutto il suo staff. Uno schiaffo secco

al tecnico che ha sempre fatto del cementato cameratismo coi suoi giocatori le

fondamenta su cui costruire le vittorie. Non è la prima volta che i giocatori

lo riprendono: già dopo la sconfitta col Levante e il pari a Santander la rosa

chiese a Mou di smetterla con le polemiche. Il portoghese abbassò i toni e

arrivarono 15 vittorie di fila. Ora ci risiamo: a Valdebebas c'è in atto un

altro scisma. Altra cosa: per Cipro non è partito Diarra, fermato da un dolore

muscolare. L'altro ieri il Pais aveva raccontato nei dettagli la rottura

totale tra Lass e Mou, col primo che ha accusato il secondo di essere un

«traditore». Magari le due cose non sono collegate, però la coincidenza resta.

Così come le richieste a José di stampa, tifosi e giocatori: «Più calcio, meno

urla». Oggi, forse, la risposta di Mou.

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Agnelli e il derby di Calciopoli

di STEFANO OLIVARI dal blog GUERIN SPORTIVO.it 25-03-2012

Juventus-Inter è stata la sintesi perfetta della stagione delle due squadre,

visto che una delle peggiori Juventus dell’anno ha battuto con merito quella

che senza dubbio è stata la migliore Inter della gestione Ranieri, che a un

certo punto ha pensato di togliere i due che stavano correndo di più. Una

squadra di operai con qualche ingegnere di talento contro un’altra di

architetti in pensione e stagisti precari. Una squadra con un futuro come la

Juventus, che è ad un difensore e ad un attaccante di distanza dall’essere da

corsa europea, contro un’altra che il futuro lo sta ingigantendo

(significativo il pompaggio del successo nel Next Gen Series, definito

pomposamente Champions dei giovani quando altro non è che un torneo ad inviti:

tanto è vero che i campioni d’Italia della Roma non c’erano…) per coprire una

austerity imposta da circostanze esterne. Inutile dire che i calciatori in

campo si sono dimostrati i più intelligenti nell’avvicinarsi ad una partita

che era caricata di aspettative soprattutto da chi sta fuori e da chi la

stagione di Calciopoli l’ha vissuta da protagonista (magari per interposta

persona). Forse fra qualche generazione si riuscirà a parlare di questa

partita come di qualcosa di diverso dal derby di Calciopoli, senza tirare in

ballo 12 anni (per stare bassi) di calcio marcio, ma Andrea Agnelli è giovane

e quindi ha ancora tanti anni per rivendicare gli ultimi due scudetti di

Moggi. C’è da capirlo, dal punto di vista affettivo, visto che Moggi alla Juve

lo portò suo padre (e solo i media italiani potevano evitare, dopo le varie

sentenze, l’accostamento fra Moggi e Agnelli), ma la vita va avanti lo stesso.

Anche con 27 scudetti è vita.

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Agnelli e il derby di Calciopoli

di STEFANO OLIVARI dal blog GUERIN SPORTIVO.it 25-03-2012

Juventus-Inter è stata la sintesi perfetta della stagione delle due squadre,

visto che una delle peggiori Juventus dell’anno ha battuto con merito quella

che senza dubbio è stata la migliore Inter della gestione Ranieri, che a un

certo punto ha pensato di togliere i due che stavano correndo di più. Una

squadra di operai con qualche ingegnere di talento contro un’altra di

architetti in pensione e stagisti precari. Una squadra con un futuro come la

Juventus, che è ad un difensore e ad un attaccante di distanza dall’essere da

corsa europea, contro un’altra che il futuro lo sta ingigantendo

(significativo il pompaggio del successo nel Next Gen Series, definito

pomposamente Champions dei giovani quando altro non è che un torneo ad inviti:

tanto è vero che i campioni d’Italia della Roma non c’erano…) per coprire una

austerity imposta da circostanze esterne. Inutile dire che i calciatori in

campo si sono dimostrati i più intelligenti nell’avvicinarsi ad una partita

che era caricata di aspettative soprattutto da chi sta fuori e da chi la

stagione di Calciopoli l’ha vissuta da protagonista (magari per interposta

persona). Forse fra qualche generazione si riuscirà a parlare di questa

partita come di qualcosa di diverso dal derby di Calciopoli, senza tirare in

ballo 12 anni (per stare bassi) di calcio marcio, ma Andrea Agnelli è giovane

e quindi ha ancora tanti anni per rivendicare gli ultimi due scudetti di

Moggi. C’è da capirlo, dal punto di vista affettivo, visto che Moggi alla Juve

lo portò suo padre (e solo i media italiani potevano evitare, dopo le varie

sentenze, l’accostamento fra Moggi e Agnelli), ma la vita va avanti lo stesso.

Anche con 27 scudetti è vita.

Lo sarà ancora più bella con 29 scudetti o 444 milioni in cassa.

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Lo sarà ancora più bella con 29 scudetti o 444 milioni in cassa.

Infatti.

E poi "senza tirare in ballo 12 anni (per stare bassi) di calcio marcio"

Olivari ha postato subito l'articolo: non ci ha dormito nemmeno la notte

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91°minuto di GIUSEPPE DE BELLIS (il Giornale 26-03-2012)

Del Piero, un gol che vale 29 scudetti

Del Piero. Ecco: il campione diventato gregario. Del Piero: quello che non

gioca mai. Gol. La Juve che vince con l’Inter e lui che segna è un cerchio che

si chiude. È l’ultima vendetta del post Calciopoli, polemica infinita che ci

trascineremo ancora a lungo. Lui c’era allora e c’è ora. Lui ha fatto la B,

mentre l’Inter vinceva tutto e i tifosi juventini morivano di rabbia. Il suo

gol di ieri cancella molto, non tutto. Uno­due. La Juve ha vinto a Milano e

adesso a Torino. Uno-due, allora. Vale quasi quanto uno scudetto, sì. Perché

c’è troppo in questa sfida, c’è così tanto da portare a perdere di vista il

complesso delle cose. Meglio essere primi o umiliare l’Inter? Non è più così

sicuro che sia una scelta obbligata. Il perché lo capisci all’inizio, quando

la coreografia dello stadio della Juve torna alle sentenze di Napoli e della

Figc: 28-29, scrive la curva bianconera, cioè i due scudetti tolti alla Juve a

tavolino e assegnati all’Inter. Poi sotto lo striscione: «Ciò che è nostro è

stato in campo sudato... ciò che è vostro è stato in aula assegnato». Ancora:

«In B non sei mai stato perché la prescrizione ti ha salvato». Si parla di

prescrizioni, di reati, di tribunali. Si parla di tutto ciò che non è calcio,

ma che lo è diventato di riflesso. È l’ultima rivalità che è rimasta. Può

normalizzarsi la politica, non più il calcio. Non ancora e soprattutto non

ora.

Ogni volta che si parla di Juventus-Inter o di Inter-Juventus, da cinque anni

viene tirata fuori questa storia: Moggi e il post Moggi, lo scudetto degli

onesti o lo scudetto di cartone. Il calcio è un dettaglio: dov’è? Cos’è?

Qualcuno si ricorda quant’è finita l’ultima sfida tra queste due squadre prima

di questa? La partita è il pretesto per parlare di questa grande storia molto

italiana: una commedia dell' arte che non fa ridere, semmai fa venire un senso

di noia da chiacchiera da bar. Tanto non se ne esce e non se ne uscirà: per i

tifosi della Juventus gli scudetti saranno sempre 29 e non 27. Lo striscione è

la prova. L’ultima.

I tifosi dell’Inter, invece, considerano roba loro i trofei vinti a fine

estate, con la penalizzazione di Juve e Milan. La Figc avrebbe dovuto pensarci

prima, invece di chiudere in fretta quella stagione convinta che così si

sarebbe risolto tutto. La velocità ha prodotto un mostro giuridico-burocratico

che ha distrutto molte più cose di quanto abbia fatto lo scandalo di

Calciopoli. Perché alimenta rivendicazioni di chiunque, perché banalizza a

dato statistico qualcosa che di statistico ha poco. Così come è ora,

Juventus-Inter non durerà mai più 90 minuti. I gol di Boninsegna, Rossi,

Platini, Ronaldo, Ibrahimovic, Milito o chiunque altro sono improvvisamente

diventati una questione da burocrati del pallone. Quello di Caceres che fa

l’uno a zero per la Juventus appartiene alla stessa categoria. Serve alla

classifica, sì. Serve a mantenere le distanze con gli avversari. Serve a far

godere per una sera gli juventini. Quello di Del Piero, invece, sta da

un’altra parte. Entra nella memoria dei tifosi non per la bellezza, né per

l’importanza. Per loro è un risarcimento: vale quelli che contano 29 scudetti.

Vale, soprattutto, per quelli che non hanno ancor­a scelto se sia meglio

vincere il campionato o vincere con l’Inter. Ce ne sono.

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CALCIOSCOMMESSE Gravissime le accuse: dall’associazione mafiosa al riciclaggio

Chiuse le inchieste, ora il pallone trema

Tre procure hanno in mano una lista di partite comprate. E dai pm di Bari attesi a giorni sviluppi clamorosi

di GIAN MARCO CHIOCCI & SIMONE DI MEO (il Giornale 26-03-2012)

Dal catenaccio alle manette: sono tre le Procure che a brevissimo

stravolgeranno il mondo del calcio sporco che più sporco non si può. C'è

l'indagine-madre di Cremona su Beppe Signori e Cristiano Doni che ha

«partorito» nuovi filoni devastanti che vedranno la luce al massimo dopo

Pasqua. Ma ci sono anche (e soprattutto) gli esplosivi fascicoli di Napoli e

Bari. Nei prossimi giorni, scaduti i tempi supplementari delle indagini,

proprio dal capoluogo pugliese potrebbero vedere la luce le ultimissime novità

collegate ai riscontri trovati incrociando interessi della Sacra Corona Unita,

«zingari», giocatori e società corrotti. I pm baresi hanno indagato, finora,

17 persone tra cui sei ex calciatori del Bari (Alessandro Parisi, Simone

Bentivoglio, Marco Rossi, Abdelkader Ghezzal, Marco Esposito e Andrea Masiello),

tre gangster e alcuni tifosi.

Il sospetto è che quasi il 50 per cento del campionato 2010/11 dei biancorossi

sia stato messo all' asta. Più dei nove match già sott'osservazione, come

Bari-Chievo (1-2), Parma-Bari (1-2), Bari-Sampdoria (0-1), Palermo-Bari (1-2),

Bologna-Bari (0-4), Udinese-Bari (3-3), Brescia-Bari (2-0), Bari-Roma (2-3) e

Bari-Lecce (0-2). In quest'ultimo incontro, che per ovvii motivi rischia di

incendiare le tifoserie rivali, non ci sarebbe lo «zampino» degli zingari, ma

addirittura un accordo ( da 300mila euro). Nelle carte processuali si fa

inoltre riferimento a Lecce-Lazio (2-4) e a match delle serie minori, tra cui

Taranto-Benevento. Nel filone barese, oltre al Bari, le posizioni più critiche

sembrano essere quelle di Samp e Lecce. Ma ci sono anche clamorose new entry.

I magistrati, che procedono per frode sportiva, associazione mafiosa e

riciclaggio, avrebbero esteso le indagini anche ai dirigenti di alcune squadre,

con cui i giocatori corrotti sarebbero entrati in contatto alla vigilia delle

partite sospette. Novantesimo scaduto anche a Cremona per il «terzo tempo»

dell’inchiesta sul calcioscommesse. Attualmente, gli indagati sono 120

(compresi i 41 giocatori tirati in ballo nel suo interrogatorio da Carlo

Gervasoni), mentre al centro dell'inchiesta c'è il tentativo, da parte degli

«zingari», di comprare squadre di B o di C1 ( il Como o il Grosseto) e di

influenzare anche i campionati europei, compresi i preliminari di Champions

League ed Europa League, oltre ad alcuni match tra nazionali come

Argentina­Bolivia, Estonia-Bulgaria e Lituania-Bolivia. I pm di Cremona sono

convinti che la gang degli asiatici abbia manipolato, o cercato di farlo,

almeno 200 incontri dei campionati minori di Germania, Ungheria, Bosnia,

Slovenia, Croazia, Svizzera, Francia e ­ovviamente- Italia. A Napoli le

inchieste esplosive sono due. La prima riguarda le partite pilotate dal clan

D'Alessandro di Castellammare di Stabia in Italia e all'estero e il

riciclaggio di denaro sporco nelle agenzie di scommesse gestite dalla camorra.

I pm antimafia, che indagano su 150 match «anomali », hanno messo

sott'inchiesta pure Hector Cuper, ex mister di Inter e Parma e attuale

allenatore del Racing Santander, accusato di aver passato ai boss 4 soffiate

(poi rivelatesi fasulle) sui campionati spagnoli e argentini in cambio di

200mila euro. Gli approfondimenti investigativi sulla serie A italiana

sarebbero una decina: in quest'ambito, i magistrati hanno ascoltato come

testimoni - tra gli altri - Alberto Malesani, Claudio Lotito e Aurelio De

Laurentiis. La seconda inchiesta è nelle mani del pool «Reati da stadio» e si

sta concentrando, in particolare, su tre partite giocate dal club azzurro:

Napoli-Parma (2-3), Sampdoria-Napoli (1-0) del 2010 e Lecce-Napoli (2-1) del

2011. In questo filone, in cui risulta indagato anche il giornalista sportivo

Gianluca Di Marzio, è confluito pure il fascicolo ad alto voltaggio sulla

presenza del boss Antonio Lo Russo a bordocampo durante alcune partite del

Napoli e sulle puntate blindate a cinque zeri del clan degli «scissionisti »

su cui i carabinieri di Castello di Cisterna, già nel 2010, avevano aperto

un'inchiesta.

Chiudono il giro (giudiziario) d'Italia le indagini aperte da Reggio Calabria

a proposito di alcuni club controllati dalla 'Ndrangheta (Locri, Crotone e

Rosarno) e di una serie di partite pilotate, anche con club campani, in serie D.

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CALCIOSCOMMESSE Gravissime le accuse: dall’associazione mafiosa al riciclaggio

Chiuse le inchieste, ora il pallone trema

Tre procure hanno in mano una lista di partite comprate. E dai pm di Bari attesi a giorni sviluppi clamorosi

di GIAN MARCO CHIOCCI & SIMONE DI MEO (il Giornale 26-03-2012)

Dal catenaccio alle manette: sono tre le Procure che a brevissimo

stravolgeranno il mondo del calcio sporco che più sporco non si può. C'è

l'indagine-madre di Cremona su Beppe Signori e Cristiano Doni che ha

«partorito» nuovi filoni devastanti che vedranno la luce al massimo dopo

Pasqua. Ma ci sono anche (e soprattutto) gli esplosivi fascicoli di Napoli e

Bari. Nei prossimi giorni, scaduti i tempi supplementari delle indagini,

proprio dal capoluogo pugliese potrebbero vedere la luce le ultimissime novità

collegate ai riscontri trovati incrociando interessi della Sacra Corona Unita,

«zingari», giocatori e società corrotti. I pm baresi hanno indagato, finora,

17 persone tra cui sei ex calciatori del Bari (Alessandro Parisi, Simone

Bentivoglio, Marco Rossi, Abdelkader Ghezzal, Marco Esposito e Andrea Masiello),

tre gangster e alcuni tifosi.

Il sospetto è che quasi il 50 per cento del campionato 2010/11 dei biancorossi

sia stato messo all' asta. Più dei nove match già sott'osservazione, come

Bari-Chievo (1-2), Parma-Bari (1-2), Bari-Sampdoria (0-1), Palermo-Bari (1-2),

Bologna-Bari (0-4), Udinese-Bari (3-3), Brescia-Bari (2-0), Bari-Roma (2-3) e

Bari-Lecce (0-2). In quest'ultimo incontro, che per ovvii motivi rischia di

incendiare le tifoserie rivali, non ci sarebbe lo «zampino» degli zingari, ma

addirittura un accordo ( da 300mila euro). Nelle carte processuali si fa

inoltre riferimento a Lecce-Lazio (2-4) e a match delle serie minori, tra cui

Taranto-Benevento. Nel filone barese, oltre al Bari, le posizioni più critiche

sembrano essere quelle di Samp e Lecce. Ma ci sono anche clamorose new entry.

I magistrati, che procedono per frode sportiva, associazione mafiosa e

riciclaggio, avrebbero esteso le indagini anche ai dirigenti di alcune squadre,

con cui i giocatori corrotti sarebbero entrati in contatto alla vigilia delle

partite sospette. Novantesimo scaduto anche a Cremona per il «terzo tempo»

dell’inchiesta sul calcioscommesse. Attualmente, gli indagati sono 120

(compresi i 41 giocatori tirati in ballo nel suo interrogatorio da Carlo

Gervasoni), mentre al centro dell'inchiesta c'è il tentativo, da parte degli

«zingari», di comprare squadre di B o di C1 ( il Como o il Grosseto) e di

influenzare anche i campionati europei, compresi i preliminari di Champions

League ed Europa League, oltre ad alcuni match tra nazionali come

Argentina­Bolivia, Estonia-Bulgaria e Lituania-Bolivia. I pm di Cremona sono

convinti che la gang degli asiatici abbia manipolato, o cercato di farlo,

almeno 200 incontri dei campionati minori di Germania, Ungheria, Bosnia,

Slovenia, Croazia, Svizzera, Francia e ­ovviamente- Italia. A Napoli le

inchieste esplosive sono due. La prima riguarda le partite pilotate dal clan

D'Alessandro di Castellammare di Stabia in Italia e all'estero e il

riciclaggio di denaro sporco nelle agenzie di scommesse gestite dalla camorra.

I pm antimafia, che indagano su 150 match «anomali », hanno messo

sott'inchiesta pure Hector Cuper, ex mister di Inter e Parma e attuale

allenatore del Racing Santander, accusato di aver passato ai boss 4 soffiate

(poi rivelatesi fasulle) sui campionati spagnoli e argentini in cambio di

200mila euro. Gli approfondimenti investigativi sulla serie A italiana

sarebbero una decina: in quest'ambito, i magistrati hanno ascoltato come

testimoni - tra gli altri - Alberto Malesani, Claudio Lotito e Aurelio De

Laurentiis. La seconda inchiesta è nelle mani del pool «Reati da stadio» e si

sta concentrando, in particolare, su tre partite giocate dal club azzurro:

Napoli-Parma (2-3), Sampdoria-Napoli (1-0) del 2010 e Lecce-Napoli (2-1) del

2011. In questo filone, in cui risulta indagato anche il giornalista sportivo

Gianluca Di Marzio, è confluito pure il fascicolo ad alto voltaggio sulla

presenza del boss Antonio Lo Russo a bordocampo durante alcune partite del

Napoli e sulle puntate blindate a cinque zeri del clan degli «scissionisti »

su cui i carabinieri di Castello di Cisterna, già nel 2010, avevano aperto

un'inchiesta.

Chiudono il giro (giudiziario) d'Italia le indagini aperte da Reggio Calabria

a proposito di alcuni club controllati dalla 'Ndrangheta (Locri, Crotone e

Rosarno) e di una serie di partite pilotate, anche con club campani, in serie D.

Di una di queste partite posso essere testimone io. Sono di Eboli ma non mi interesso molto di calcio locale.

Si giocava a Eboli l'ultima giornata di campionato tra Ebolitana e Forza e Coraggio. Si giocavano la promozione.

Guardavo con mio nipote le partite di A e nell'intervallo vediamo sul televideo il risultato. Ebolitana-Forza e Coraggio 0-1.

Dico a mio nipote: "Che peccato l'Ebolitana si perde la promozione in C2 all'ultima gara dopo un campionato in testa!"

Mio nipote mi risponde: "La partita finisce 3-1 per l'Ebolitana. Lo sanno tutti." La partita è finita 3-1 per l'Ebolitana.

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Lo spunto

La (il) libertà di parola nel calcio e quello che possono dire i leader

ALESSANDRO DE CALO' - Gasport -26-03-2012

Anche nel calcio non tutti possono dire quello che pensano. Fa niente se certe volte la notazione di un giocatore ha la profondità di una didascalia o si tratta di una semplice constatazione: è negata e basta. Ogni ambiente coltiva i suoi codici e li lima su misura, quelli del pallone sono sempre più rigidi. Per questo diventa una notizia il comportamento orizzontale di Ibra, Cavani e Miccoli. Ciascuno, a modo suo, ha un peso decisivo negli spogliatoi di Milan, Napoli e Palermo. Si presume che – dentro a quelle mura – lo svedese, l’uruguagio e l’italiano abbiano fatto sentire la loro voce in diverse occasion..

Ma in questi ultimi giorni, più o meno in contemporanea, i tre hanno rotto un tabù, trasformando i problemi di spogliatoio in questioni pubbliche. Ibra è stato il primo. Dopo aver deciso la partita con la Roma, che ha giocato col mal di schiena, ha preso atto del kappaò di Thiago Silva con una certa amarezza. E ha infilato il dito nella piaga: nel Milan ci sono troppi infortuni, si deve cambiare qualcosa. Dopo che Silvio Berlusconi ha rotto il ghiaccio, Ibra si è lanciato nella scia per scavare una solco che somiglia a una resa dei conti e forse è un avviso agli altri naviganti. Il discorso vale anche per il capitano del Palermo, migliore in campo nel match con l’Udinese e arrabbiato per il pari bianconero. Ha invitato i compagni a cambiare atteggiamento, come Cavani col Napoli dopo la rimonta patita contro il Catania. Dire che agli azzurri è mancata la voglia di vincere non è roba innocua, né una cosa da poco. Bisogna essere dei leader per potersi permettere simili affermazioni, che tirano in ballo i compagni e creano qualche imbarazzo a club e tecnici. Sono spazi conquistati sul campo e proiettati fuori, con talento e fatica. Qualche volta neppure questo basta. E’ il caso del Real Madrid. Sembra che Casillas e Ramos, capitano e vice, abbiano convocato una riunione a porte chiuse tra i giocatori blancos per opporsi alla linea di Mourinho che tende ad identificare i problemi del Real con un complotto degli arbitri. Sono convinti che per vincere si debba giocare meglio. Semplice. E se non ci fosse la censura del silenzio stampa imposto dal portoghese lo direbbero pure. A piena voce, come ibra, Cavani, Miccoli. E’ il sostenibile peso di chi ha la vocazione del leader.

angeloribelleelupisoli.jpg

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Agnelli e il derby di Calciopoli

di STEFANO OLIVARI dal blog GUERIN SPORTIVO.it 25-03-2012

Juventus-Inter è stata la sintesi perfetta della stagione delle due squadre,

visto che una delle peggiori Juventus dell’anno ha battuto con merito quella

che senza dubbio è stata la migliore Inter della gestione Ranieri, che a un

certo punto ha pensato di togliere i due che stavano correndo di più. Una

squadra di operai con qualche ingegnere di talento contro un’altra di

architetti in pensione e stagisti precari. Una squadra con un futuro come la

Juventus, che è ad un difensore e ad un attaccante di distanza dall’essere da

corsa europea, contro un’altra che il futuro lo sta ingigantendo

(significativo il pompaggio del successo nel Next Gen Series, definito

pomposamente Champions dei giovani quando altro non è che un torneo ad inviti:

tanto è vero che i campioni d’Italia della Roma non c’erano…) per coprire una

austerity imposta da circostanze esterne. Inutile dire che i calciatori in

campo si sono dimostrati i più intelligenti nell’avvicinarsi ad una partita

che era caricata di aspettative soprattutto da chi sta fuori e da chi la

stagione di Calciopoli l’ha vissuta da protagonista (magari per interposta

persona). Forse fra qualche generazione si riuscirà a parlare di questa

partita come di qualcosa di diverso dal derby di Calciopoli, senza tirare in

ballo 12 anni (per stare bassi) di calcio marcio, ma Andrea Agnelli è giovane

e quindi ha ancora tanti anni per rivendicare gli ultimi due scudetti di

Moggi. C’è da capirlo, dal punto di vista affettivo, visto che Moggi alla Juve

lo portò suo padre (e solo i media italiani potevano evitare, dopo le varie

sentenze, l’accostamento fra Moggi e Agnelli), ma la vita va avanti lo stesso.

Anche con 27 scudetti è vita.

ma vaffffffanculo si può dire??

più articolato il commento non mi viene al momento

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Niente calcio a Ferragosto.

Tommasi (AIC): “Presidenti

incapaci di pensare oltre l’emergenza”

di GIOVANNI CAPUANO (panorama.it 26-03-2012)

Niente campionato a Ferragosto, come avevano proposto i calciatori. La

stagione 2012-2013 della serie A inizierà come da tradizione nel week end del

25 e 26 agosto come anticipato da Panorama. it nei giorni scorsi. In Lega

Calcio ha prevalso la linea dei presidenti. Troppi accordi commerciali già

firmati per l’estate per pensare di cancellare tutto per fare posto al

campionato. “Ne prendiamo atto” risponde ora attraverso Panorama.it

Damiano Tommasi, presidente dell’AIC: “E’ una scelta in linea con il modo

di agire degli ultimi anni. Si pensa a fare le cose senza guardare più in là

dei sei mesi o dell’emergenza”

Presidente Tommasi, è stata sconfitta la vostra linea: niente

campionato a Ferragosto per evitare le notturne al gelo in inverno…

“Nessuna sconfitta visto che non c’era nessuna proposta ufficiale.

L’associazione calciatori purtroppo non è coinvolta nella stesura dei

calendari e quindi poco possiamo fare. Le nostre erano solo riflessioni ma

prendiamo atto che hanno scelto di fare diversamente”.

Si è persa un’occasione per cambiare?

“E’ una scelta in linea con il modo di agire degli ultimi anni. Si pensa a

fare le cose senza guardare più in là dei sei mesi o dell’emergenza e quindi

dei campi ghiacciati, delle temperature o dei calendari quando si presenterà

il problema. E’ in linea con quanto riguarda l’organizzazione e gestione del

nostro calcio”.

Manca capacità di programmazione?

“Si reagisce solo alle ma vale anche per il modo in cui si fa mercato e si

costruiscono le squadre. Chi cerca di costruire un progetto sportivo resta in

minoranza e sono pochissimi quelli che sanno prendersi responsabilità quando

le cose non vanno bene”.

Non sembra stupito di come è finita?

“Non è che non sono stupito. Ogni giorno può essere buono per cominciare

a fare le cose in modo diverso e che dia l’idea di avere lo sguardo un po’ più

lungo”.

Rassegnato?

“Quest’estate ci sono anche le Olimpiadi che finiscono tardi e questo ha

certamente influito però la nostra idea era riuscire ad aiutare in modo

costruttivo il nostro mondo per gestire meglio queste situazioni. Non si

trattava di far vedere chi comanda di più”.

A che punto è la trattativa per la firma dell’accordo collettivo ponte

che scade il prossimo 30 giugno?

“Settimana scorsa abbiamo firmato il regolamento sui collegi arbitrali ed

entro un mese andrà firmato l’accordo collettivo di settembre. Questi sono i

tempi ma la verità è che al momento oltre la data del 1° luglio non esiste un

accordo collettivo e ci dovrà essere. Il presidente della Lega Beretta ha

detto che è un contratto innovativo e quindi siamo ottimisti che i contenuti

siano condivisi. Lo siamo meno sulla reale volontà della Lega lo voglia

firmare con una durata che sia quella che ci attendiamo”.

C’è il rischio che dopo il 1° luglio si torni indietro alle vertenze

della scorsa estate?

“Il presidente federale Abete ha detto chiaramente che non accetta che si

arrivi alla data del 1° luglio senza un nuovo contratto e noi condividiamo”.

Ha l’impressione che i presidenti siano d’accordo o il rischio è che

siano distratti da altro?

“Il fatto che esiste un Consiglio di Lega con una parvenza di ordine

decisionale sembra offrire garanzie”.

Quindi vi aspettate di essere chiamati a chiudere entro fine aprile?

“Certamente. Dobbiamo capire se va bene questo testo o si deve apportare

qualche modifica”.

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La Settimana Sportiva 26-03-2012

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Calciopoli e il mistero del faldone segreto

Al processo di Napoli a Moggi l’hanno definito il 'fascicolo del Calcio Graal',

perché chi potrebbe parlarcene o non lo fa o è passato a miglior vita.

di SIMONA AIUTI (ITALIA chiama ITALIA 25-03-2012)

Da anni c’è un mistero in Calciopoli ed è un faldone d’indagine che il pm

milanese Ilda Boccassini custodisce o conserverebbe in archivio. Al processo

di Napoli a Moggi l’hanno definito il “fascicolo del Calcio Graal”, perché chi

potrebbe parlarcene o non lo fa o è passato a miglior vita.

Questo fascicolo dovrebbe contenere la confessione al vetriolo del fischietto

gola profonda Nucini, ma essendo stato archiviato a “modello 45”, ovvero

notizie manifestamente infondate, nessuno può consultarlo, se non con

l’autorizzazione della Boccassini. Sarebbe utile dare almeno una sbirciatina a

questo documento, per capire se ciò che si è palesato, o si sospettava o si

sapeva anni fa, è del tutto vero, insomma una sorta di prova del nove.

Il faldone avrebbe potuto interessare Francesco Saverio Borrelli, per le

indagini sugli illeciti sportivi, chissà? Ricordiamo il capo security Giuliano

Tavaroli nell’interrogatorio del 29 settembre 2006, il quale riferisce che sul

finire del 2002 incontrò Moratti e Giacinto Facchetti, e quest’ultimo disse di

essere stato avvicinato da un arbitro di Bergamo che gli riferì del

condizionamento delle partite attraverso un sistema che da Moggi portava

all’arbitro De Santis.

Tavaroli propose a Facchetti o di parlare con un maggiore dei carabinieri di

Milano o di rivolgersi ai pm con un atto formale. Secondo Tronchetti Provera,

Moratti aveva chiesto un aiuto alla procura nella persona della dottoressa

Boccassini che gli suggerì di far venire quest’arbitro a denunciare la cosa.

Invece ascoltato poi dall’Ufficio Indagini della Figc, il 3 ottobre 2006,

Moratti ha detto che quando Facchetti gli disse che voleva denunciare in

procura i fatti raccontati da Nucini, si oppose e aggiunse che semmai “doveva

essere Nucini a segnalare il fatto” ai magistrati. Chi mente?

Nel frattempo, proprio per tutelarsi, Facchetti si era registrato di nascosto

le confessioni di Nucini che aveva spedito a infiltrarsi nelle linee nemiche,

che avvicina l’arbitro De Santis, ficca il naso sul ds del Messina Fabiani

(vicino a Moggi), fa da talpa a Coverciano, ma quel cd non si è mai trovato e

per noi mai si troverà.

Al processo di Napoli l’arbitro Nucini viene definito “inconsistente teste

d'accusa”, non è stato capace di ricordare il giorno della sua visita in

procura che a fatica colloca verso la fine del 2003.

Sul resto è alquanto confuso, eppure non parliamo di vent’anni fa.

Nell’udienza del 26 maggio 2009 fa presente che “qualcuno vicino alla società

(Inter, ndr) ha consigliato che andasse davanti al pm Boccassini. Nucini

confessa che non se l’è sentita di tradire Facchetti. Così alla Boccassini

decide di non dire più niente: “Non ce l’ho fatta, ho trovato nella dottoressa

Boccassini una delle donne più intelligenti, probabilmente aveva capito tutto.

Non ha insistito, sono uscito dalla procura e la cosa è finita lì”.

Incredibile, quando Prioreschi, uno dei legali in aula gli chiede spiegazioni

a Nucini riguardo a cosa sarebbe stato detto alla Boccassini, lui replica: “Io

a lei non glielo dico!.... Abbiamo parlato di calcio, dell’andamento del

calcio”.

Richiamato a deporre al processo napoletano il 15 marzo 2011 Nucini continua

con dichiarazioni bizzarre. “Non firmai il verbale” (dalla Boccassini).

Se questo fascicolo saltasse finalmente fuori si capirebbero tante cose. A

cominciare dal famoso cd con la voce di Nucini, registrata di nascosto da

Facchetti (circostanza riportata da Repubblica a maggio 2006 e mai smentita

dai diretti interessati). Consentirebbe di dimostrare, o smentire, ciò che le

difese degli imputati hanno sostenuto nel processo di Calciopoli, e cioè che

qualora l’Inter si fosse rivolta con un esposto alla procura di Milano,

avrebbe violato “la clausola compromissoria”, che blinda e lega le società a

rivolgersi solo alla giustizia sportiva; che si attenda un’altra prescrizione

anche nella giustizia ordinaria?

Non dimentichiamo che è stata chiesta a Telecom una verifica sull’esistenza

di determinati contatti telefonici monitorati proprio da Telecom stessa. Si

tratta di utenze fisse e cellulari che potrebbero essere le stesse che Nucini

avrebbe rivelato a Facchetti, che a sua volta avrebbe girato a Tavaroli il

quale le avrebbe passate ad Adamo Bove (morto suicida nel luglio 2006) che le

avrebbe fatte sviluppare alla segretaria Caterina Plateo. La signora Plateo

ammetterà poi come tra i numeri controllati da Tavaroli & co c’erano quelli

della Juventus, del guardalinee Cenniccola che usava De Santis, della Gea

World, della Figc, e dulcis in fundo di Moggi. Se nessuno parla, ci

mostreranno il faldone?

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Dito medio a tifosi razzisti

Mosca, calciatore nei guai

della redazione sportiva de l'Unità.it 26-03-2012

Il razzismo negli stadi continua a essere al centro del dibattito pubblico in

Russia, Paese che ospiterà i campionati mondiali di calcio del 2018. Dopo le

banane lanciate dagli spalti a giocatori di colore, come il brasiliano Roberto

Carlos, l'ultimo episodio vede i tifosi come «vittime» dei calciatori. Ieri

l'attaccante dello Spartak di Mosca, il nigeriano Emmanuel Emenike, ha

mostrato in diretta nazionale il dito medio alla tifoseria dell'avversaria

Dinamo, che aveva intonato ripetuti insulti a sfondo razziale. Come riporta il

quotidiano online Gazeta.ru, il gesto del giocatore verrà giudicato dalla

commissione etica della Federcalcio russa, organismo nato di recente proprio

per affrontare i problemi di razzismo, estremismo e xenofobia, in crescita nel

Paese.

Stando alla Federazione calcio, Emenike avrebbe violato il codice etico in

cui si stabilisce che «i giocatori respingono ogni manifestazione di rozzezza

e maleducazione dentro e fuori il campo da calcio». Pur ammettendo di aver

sbagliato, l'attaccante nigeriano ha dichiarato di non aver mai avuto a che

fare con un razzismo «così animalesco».

«Ora capisco perfettamente cosa hanno provato Roberto Carlos e Christopher

Samba», ha dichiarato Emenike. Il brasiliano e il congolese, entrambi

giocatori dell'Anzhi Makhachkala, sono stati vittima di episodi di razzismo

con il lancio di banane dalle tribune. Al primo è successo l'anno scorso, a

San Pietroburgo e a Samara, mentre il secondo ha visto cadere ai suoi piedi

una banana, lo scorso 18 marzo, mentre rientrava negli spogliatoi al termine

dell'incontro del campionato russo contro il Lokomotiv Mosca. Secondo quanto

riportato dai giornali locali, il congolese avrebbe raccolto il frutto per poi

rilanciarlo verso gli spalti.

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Inter Ranieri esonerato: i discoli alunni nerazzurri fanno festa, arriva il supplente Stramaccioni

MASSIMILIANO BORDIGNON - blogosfere.it - 27-03-2012

Nuovo cambio della guardia in casa Inter. Si scioglie il rapporto con Claudio Ranieri. Nuovo tecnico dei nerazzurri è il giovanissimo Andrea Stramaccioni. Scelta logica o ennesimo volo d'angelo verso la follia di patron Massimo Moratti?

Alunni dell'Inter, tutti in piedi: arriva il supplente Stramaccioni. Il riempitivo dell''ora buca' del campionato, quello con cui studiare al parco le ultime giornate di torneo, prive di senso e di siginificato, anche perché tanto gli esami quest'anno non si fanno. I professori, infatti, da Gian Piero Gasperini a Claudio Ranieri, li hanno tutti bocciati.

Il suo nome è una via di mezzo fra Trapattoni e Ramaccioni, vecchie volpi del mondo del calcio, ma anche si avvicina a 'scapaccioni', quello di cui forse avrebbero bisogno alcuni 'senatori' (e non), ormai abituati a immolare secondo esigenza il tecnico nerazzurro di turno. L'Inter cambia 'conducator', ma già sappiamo che il nuovo allenatore al massimo sarà uno 'yes man' nelle mani dello spogliatoio e, almeno nei primi tempi, di patron Massimo Moratti.

L'unico senso da dare a questa mossa è quello della classica 'bocciata' nel mucchio dei birilli impazziti. Chiunque venisse chiamato e qualsiasi cosa venisse fatta, non sarebbe peggio dell'attuale situazione del Biscione. Il disastro interista ora dovrà essere plasmato dal giovane virgulto che con la squadra giovanile ha vinto quella che pomposamente (ma erroneamente) è stata definita la 'Champions League' di categoria. Peccato che quella squadra, per lo meno, fosse farina del suo sacco. Qui, invece, si troverà a gestire gli avanzi di uno tra i campionati più disastrosi della storia nerazzurra.

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Urla e nervi tesi in Lega

La battaglia di Lotito

per il ritorno in Figc

Il presidente della Lazio chiede ai club di sostenerlo nel ricorso civile.

Cellino e Zamparini obiettano e in Consiglio scoppia il caso

di MARCO IARIA (GaSport 27-03-2012)

Altro che riforme, altro che governance. La Lega continua ad accartocciarsi su

se stessa e a complicarsi la vita: sulla finale di Coppa Italia potete leggere

[più sotto], in realtà il piatto forte della giornata ha avuto un protagonista

indiscusso, Claudio Lotito. Il patron della Lazio avrebbe dovuto recitare da

comparsa nella riunione di ieri del Consiglio di Lega, a cui era stato

convocato solo in qualità di uditore perché sospeso dalla carica di

consigliere federale dopo la condanna in primo grado per Calciopoli. E invece

è stato uno show.

In Tribunale I consiglieri di Lega si sono ritrovati sul tavolo il ricorso

d'urgenza (ex articolo 700) presentato da Lotito al Tribunale civile di Roma e

in discussione il 3 aprile, contro la Federazione che l'ha escluso dal governo

del calcio italiano recependo le nuove norme etiche del Coni. La Lega, in

quella sede, è stata citata da Lotito come «convenuta». Insomma, spettatrice

passiva, ma poi mica tanto. Perché la Serie A è chiamata a dire la sua sul

nuovo articolo 8 bis delle Noif, quello che le dà la facoltà di nominare un

supplente di Lotito in Federcalcio. In ballo, al di là dei tecnicismi, ci sono

equilibri politici delicatissimi. In sostanza Lotito, in ragione dei suoi

convincimenti, si aspetta che la Lega lo sostenga nella sua battaglia

personale contro le istituzioni sportive. Per la verità lo ha già fatto nei

mesi scorsi quando ha chiesto la modifica dell'articolo 22 bis delle norme

federali per consentirgli (come poi è accaduto) di tornare a fare il

presidente della Lazio. Ma adesso è diverso.

Salto di qualità L'Alta corte di giustizia presso il Coni ha bocciato il

ricorso di Lotito definendolo «in parte inammissibile e in parte infondato».

Nelle motivazioni, tra l'altro, si osserva che la Corte costituzionale «ha

ripetutamente riconosciuto la legittimità di leggi che disponevano la

sospensione o la decadenza dei titolari di cariche pubbliche elettive o di

pubblici impieghi, ove questi fossero stati raggiunti da un rinvio a giudizio

per talune fattispecie di reato o, più ancora, condannati, ancorché con

sentenza non passata in giudicato». Ora Lotito si è rivolto alla magistratura

ordinaria con tutti i rischi legati alla violazione della clausola

compromissoria. Ieri gli animi si sono accesi proprio nel momento in cui

Lotito ha chiesto ai colleghi un appoggio davanti ai giudici (tecnicamente «ad

adiuvandum») che andasse oltre la solidarietà di facciata. Cellino,

soprattutto, e Zamparini hanno battibeccato con lui. Paolillo, un altro

notoriamente su posizioni divergenti, era già andato via. Lotito è arrivato a

urlare frasi del tipo «devi vergognarti»: si sono udite dal quarto piano fin

giù al pian terreno.

Quesito legale Alcuni club hanno chiesto il parere dell'avvocato della Lega,

Ruggero Stincardini, il quale ha spiegato che effettivamente esiste il

pericolo-trascinamento della violazione della clausola compromissoria: anche

lui è stato pesantemente attaccato da Lotito. Una cosa — è il ragionamento di

diverse società — è rivendicare l'autonomia della Lega, un'altra andare alla

guerra con Figc e Coni magari rischiando il commissariamento. Lotito se l'è

presa pure contro chi gli ha fatto notare che non era il Consiglio la sede

adatta per assumere decisioni di rilevanza politica. Così se ne parlerà alla

vigilia dell'udienza, nell'assemblea del 2 aprile convocata pure per decidere

il da farsi sui diritti tv in chiaro.

-------

LA CONFERMA

Coppa Italia, resta

a Roma la finale

Posti da rivedere

Olimpico: tribune divise a metà

Ma De Laurentiis punge ancora

«Se avremo dubbi si va altrove»

di MATTEO BREGA & MARCO IARIA (GaSport 27-03-2012)

Diciamolo forte e chiaro per evitare fraintendimenti: la finale di Coppa

Italia tra Juventus e Napoli del 20 maggio si giocherà all'Olimpico di Roma.

Certo, i tifosi si sarebbero aspettati una parola di (definitiva) verità da

parte dell'organizzatrice dell'evento, la Lega di A, dopo la provocazione di

De Laurentiis («giochiamo la finale a Milano, oppure a Parigi o Londra»). E

invece ieri, al termine dell'incontro ad hoc con Juventus, Napoli e

Lottomatica, il presidente Maurizio Beretta è rimasto zitto, mentre a pochi

metri di distanza il patron azzurro continuava ad alimentare dubbi: «Se

esistono tutte le condizioni perché sia una bellissima festa gradirei giocarla

a Roma ma, se avremo dubbi, vireremo da un'altra parte. Mancano quasi

due mesi, abbiamo tutto il tempo. Chi ha l'impianto ha determinate esigenze,

come chi gestisce la sicurezza, come la Juve e Napoli: quando tutte le

esigenze troveranno un comune denominatore sull'idoneità a disputare la

partita si deciderà lo stadio in maniera irrevocabile. Petrucci ha criticato

l'ipotesi di uno spostamento? Chi ha cervello faccia in modo che il calcio

si modernizzi, chi lo ha guidato finora non mi sembra che ne abbia

avuto così tanto».

Retroscena La Lega, informalmente, spiega che non serviva confermare

alcunché perché la sede è stata scelta anzitempo: insomma, resta Roma.

Corretto, ma in casi del genere — quando la confusione regna sovrana e

i tifosi reclamano certezze — una parola in più non guasta mai. De Laurentiis,

dietro la cui minaccia si cela la voglia di essere protagonista dell'organizzazione

e non di subirla, ha comunque ottenuto di rivedere la distribuzione dei

settori dell'Olimpico, che era stata stabilita dalla Lega con l'Osservatorio e

che assegnava tribuna Monte Mario e curva Sud alla Juve, Tevere e Nord al

Napoli: sarà chiesto di dividere a metà le due tribune, a costo di perdere

2-5 mila posti e di scendere dall'attuale quota di 33 mila biglietti a società.

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Radiazioni: oggi appello

per Moggi e Giraudo

Giudicherà l’Alta Corte del Coni, sentenza a giorni. Le difese

puntano sul “precedente Preziosi”, annunciano raffronti visivi

ed. . . effetti speciali. Se va male Tar o Corte europea

di ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 27-03-2012)

ROMA. Il rigore più lungo della storia è una pagina indimenticabile della

letteratura calcistica: Osvaldo Soriano con ironia lo introduceva ricordando

un penalty durato una settimana. Quella che neanche oggi avremo dall’Alta

Corte di Giustizia presso il Coni, con l’eccellenza di Roberto Chieppa a

dirigere le danze, dovrebbe essere la sentenza più lunga della storia del

calcio: oggi pomeriggio udienza, nei prossimi giorni verdetto per sapere se

Luciano Moggi , Antonio Giraudo e Innocenzo Mazzini devono pagare - dopo aver

scontato quasi sei anni di stop - anche con la radiazione come stabilito dalla

Corte Figc il 9 luglio 2011 i fatti di Calciopoli per come vennero proposti

nel giudizio sportivo del 14 luglio 2006. Oggi al Coni si combatte una

battaglia, l’ultima in sede sportiva, che affonda le radici più recenti nel

comunicato federale 143/A del 3 marzo 2011 (dopo due pareri della Corte Figc)

che disponeva un giudizio (accusano i legali di Moggi, Giraudo e Mazzini «ad

hoc»). Poi il passaggio del ricorso contro la norma che d’ora in avanti

chiameremo il Moggiarellum: era l’aprile 2011. E la prima pronuncia della

suprema corte dello sport: l’Alta Corte chiede alla Figc un processo che

“attualizzi” le sentenze rese nel 2006, era il 24 maggio 2011. E la Figc come

attualizza: Palazzi davanti alla Disciplinare il 15 giugno 2011 e poi alla

Corte di Giustizia sostiene che si deve attualizzare solo l’interesse a

radiare Moggi & C. La norma transitoria manca, la squalifica a tempo sta per

scadere, ma la radiazione arriva il 9 luglio 2011: 4 anni 11 mesi e 25 giorni

dopo la prima condanna? Da ottobre, poi, ricorsi all’Alta Corte che impose il

27 la produzione di una serie di documenti alla Figc (quali altre condanne

analoghe sono state irrogate, e quando). Acquisita, nel frattempo, la sentenza

di Napoli e le motivazioni, lo scorso 6 febbraio: oggi si torna in aula. Con i

legali che annunciano effetti speciali e un raffronto visivo tra le ragioni

della sentenza sportiva 2006 (quella non attualizzata da Palazzi) coi sorteggi

pilotati e un campionato 2004-2005 atteso come taroccato, con Paparesta rapito,

le griglie esclusive (maddeché), la Juve favorita, le ammonizioni mirate.

Tutto quello che la giudice Casoria ha fatto scomparire dalla sentenza di

condanna dell’8 novembre. Tra i patti in deroga con Preziosi e altri vizi si

combatte l’ultima battaglia. Prima del Tar o della Corte europea dei diritti

dell’uomo. Perché come si è visto allo Juventus Stadium, Calciopoli senza

giustizia non finisce.

___

GaSport 27-03-2012

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Il tormentone dal caschetto biondo

SALVATE IL BAMBINO FILIPPO

All’inizio era il baby tifoso disperato per la sua Inter

Ora spopola in tv da opinionista. Ma a 9 anni è troppo

di ALESSANDRO DELL’ORTO (Libero 27-03-2012)

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E adesso qualcuno, per favore, liberi il piccolo Filippo e gli permetta di

tornare ad essere un bambino. Semplicemente un bimbo di 9 anni che fa la vita

da bimbo di 9 anni e che ragioni da bimbo di 9 anni e che si diverta da bimbo

di 9 anni e che pianga da bimbo di 9 anni. Che tifi pure Inter (a proposito,

in bocca al lupo che di questi tempi non deve essere molto facile... ), ma da

bimbo di 9 anni e a quel paese i grandi, le polemiche, gli striscioni, le

televisioni e noi giornalisti.

Già, Filippo. Non se ne può più di vederlo - con il suo simpatico caschetto

biondo da birbante - su ogni canale, in tutti i siti web, negli stadi e negli

studi come fosse un esperto di tattica, un ricco presidente, un attore di

Hollywood o un genio della matematica. No, avremmo fatto volentieri a meno

dell’ennesimo personaggio stile reality show, preso e sbattuto nel mondo della

notorietà per continuare a raccontare una storia che invece è già

abbondantemente terminata. Game over.

SORRISI E NOSTALGIA

E dire che Filippo - ovvio che in tutto questo non c’entra nulla - all’inizio

era davvero la dimostrazione di come esiste un modo differente di vivere il

nevrotico football italiano: ironia, semplicità, spensieratezza. E quando,

sulle tribune di San Siro durante Inter-Bologna, il bambino ha esposto un

cartello con scritto “Potete vincere? Altrimenti a scuola mi prendono in giro!

Grazie. Filippo”, ognuno di noi è tornato nostalgicamente indietro nel tempo,

ha riscoperto piccoli valori in disuso e ha ritrovato un innocente sorriso

guardando una partita di pallone, cosa non da poco. I giornali si sono

giustamente interessati a Filippo, le tv l’hanno ripreso, i fotografi si sono

scatenati con i flash e così - quasi senza volerlo - è nata una piccola e

simpatica star. Tanto che l’Inter ha invitato il piccolo tifoso alla Pinetina

(ha incontrato la squadra, ha assistito all’allenamento e ha avuto in dono la

maglia di Javier Zanetti con l’autografo) e i giornali hanno pubblicato le sue

interviste («Io non cambio squadra, resto tifoso dell’Inter. Quando abbiamo

vinto il triplete ero io a prendere in giro i miei amici, ora posso girare a

testa alta... Spero che questo cartello esposto con il Bologna sia l’ultimo

che mostrerò». E dopo aver conosciuto meglio Filippo, tutti - anche i più

diffidenti - si sono convinti che lo striscione era davvero opera sua: «L’idea

mi è venuta in mente perchè vedevo l’Inter perdere da qualche partita, mio

papà mi ha proposto di andare a vedere Inter-Bologna e io gli ho detto che, se

perdevamo, a scuola mi avrebbero preso in giro. Da lì è nata l’idea di

scriverlo. I prossimi risultati? Spero che l’Inter ritorni presto a vincere,

anche perché io non cambio la mia squadra. Piuttosto cambio la scuola. . . »,

aveva aggiunto brillantemente il piccolo in risposta ai tifosi juventini che,

per ironizzare, la settimana dopo avevano esposto un cartello con scritto:

«Filippo, o cambi squadra o cambi scuola».

ECCESSI ALL’ITALIANA

Fin qui tutto bene. Simpatico. Genuino. Poi, però, i soliti eccessi

all’italiana. Filippo (o chi per lui) si è sentito in obbligo di continuare a

far parlare di sè e si è presentato allo stadio con altri striscioni, tipo

quello con scritto «Nella vita bisogna saper perdere. Io la lezione l’ho

imparata... Voi dimenticatela!», oppure quello con i disegni di oggetti porta

fortuna come peperoncino, quadrifoglio, aglio e ferro di cavallo. Poi, sono

arrivate le tv e i programmi in diretta, le ospitate (Telelombardia) e il

ruolo di opinionista fisso.

Ne avremmo fatto volentieri a meno e che nostalgia di quel cartellone esposto

in occasione di Inter-Bologna. Che nostalgia di quel modo differente di vivere

il nevrotico football italiano, con ironia, semplicità e spensieratezza.

Qualcuno, ora, liberi il piccolo Filippo. E gli permetta di tornare ad essere

- semplicemente - un bambino tifoso dell’Inter.

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Il coraggio del buon senso

È l'ora di dire basta

a violenza e insulti

di GIANFELICE FACCHETTI (CorSera 27-03-2012)

C'è un campionato che vede tutte le squadre partecipanti a fondo

classifica, un torneo senza soste che ogni domenica sugli spalti degli

stadi italiani falcidia lo spirito stesso del gioco del calcio.

Protagoniste indisturbate sono frange organizzate di imbecilli che

deturpano la visione di quello che dovrebbe essere spettacolo e

finisce per assomigliare sempre più a una squallida caricatura in cui

la fa da padrone un linguaggio di insulti scritti e urlati. È in

questa cornice oscena che possiamo collocare senza fatica l'ennesimo

incontro tra Juventus e Inter, una bella partita sul piano agonistico

condita come accade da anni a questa parte da cori macabri che non

risparmiano nessuno, al di là della bandiera. Auguri di morte ai

reciproci presidenti, Andrea Agnelli e Massimo Moratti, scambiati e

ricambiati tra curve, per tragedie come quella dell'Heysel e di

Pessotto cantate come canzoni da gita all'inferno, rievocazioni

disgustose di chi non c'è più come Prisco e mio papà Giacinto. Serve

altro per dire ad alta voce che il vaso è colmo e che ci vorrebbe un

atto di forza per dare una svolta radicale a questa piaga?

Occorrerebbe non liquidare ogni cosa come folklore come troppo spesso

le istituzioni hanno fatto in questi anni; sarebbe necessario che le

società stesse non spalleggiassero questa guerriglia fatta di parole

che altro non è se non la logica conclusione di un atteggiamento

ostinato e votato allo scontro. Quando tutto è consumato sembrano

ridicole le multe come deterrente così come le scuse a cui non si può

credere davvero se il buon senso è andato a farsi friggere fino al

fischio finale. Manchiamo di coraggio, quello che servirebbe a zittire

l'ignoranza che ci rimbomba attorno e a cancellare ogni striscione.

Potremmo cominciare da un minuto di silenzio. Vero. Senza applausi. Ne

siamo ancora capaci?

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AGLI ULTRÀ NON FAR SAPERE

QUANT'È BUONA UNA FETTA DI POTERE

Dall'Iran a Israele, dall'Europa dell'Est all'Argentina

fino ai recenti scontri in Egitto, le curve sono spesso

funzionali ai regimi. Che poi finiscono per temerle

di ANDREA LUCHETTA (EXTRATIME 27-03-2012)

Nel novembre 2009 lo spareggio per i Mondiali fece piombare Egitto e Algeria

in piena crisi diplomatica. I tifosi cairoti accolsero il pullman degli ospiti

con una sassaiola. Seguì una settimana di agguati, vendette e verità

manipolate. Perfino Gheddafi s'offrì come mediatore. Sic transit gloria mundi.

Di quelle notti è rimasta solo la tensione. Mubarak oggi è prigioniero, e se

si trova dietro le sbarre lo deve anche agli ultrà. Solo 2 giorni fa i tifosi

dell'Al Ahly hanno circondato il parlamento, chiedendo giustizia per il

massacro di Port Said, di cui sospettano i gattopardi del vecchio regime.

Il Beitar e il Likud

Giovani, organizzati e rotti alla guerriglia. L'esempio egiziano spiega come

gli ultrà siano parte integrante - e talvolta decisiva - del panorama

politico. Si possono corteggiare o combattere, ma guai a ignorarli. Anche

perché, spesso e volentieri, le curve si rivelano un sismografo prezioso.

Secondo Tobias Buck, corrispondente del Financial Times, in Israele «le

lamentele vengono di rado esposte in pubblico, ma il calcio è un'eccezione».

L'ultima conferma è arrivata lunedì scorso, quando 300 ultrà del Beitar

Gerusalemme hanno assaltato un centro commerciale. Cercavano i dipendenti di

origine araba, picchiati, mentre le donne sono state prese a sputi. Ma per

«uno dei più grandi scontri etnici nella storia di Gerusalemme» (ha scritto

Haaretz) è stata aperta un'inchiesta solo dopo 6 giorni. I club israeliani

nascono come emanazione dei partiti. Il Beitar da sempre è vicino alla destra

e fra i suoi fan più illustri figurano alcuni primi ministri del Likud. La

Familia, il nucleo duro della curva, va ben oltre: è un gruppo fascista che

riesce a imporre la propria linea al club. Mai un giocatore arabo con la

maglia giallonera, meglio uno scarpone «puro». In curva inneggiano a Ygal Amir,

il colono ebreo che nel '95 uccise il primo ministro Rabin. Sfidarli non

conviene.

Teheran tra azeri e basij

Il puzzle mediorientale si compone anche negli stadi. Come quello del Traktor

Sazi, orgoglio di Tabriz, in Iran. Vicino alla frontiera con la Turchia vive

una minoranza azera tanto folta quanto combattiva, che guarda oltreconfine. A

novembre i tifosi del Traktor hanno indossato delle maglie con le bandiere di

Azerbaigian e Turchia, storico alleato di Baku. La guerra civile in Siria -

dove Ankara e Teheran si trovano su fronti opposti - ha fatto crescere la

tensione anche qui. In Iran conoscono bene il valore politico del calcio. A

maggio, durante un doppio incontro con i sauditi, sulle gradinate è andato in

scena lo scontro silenzioso che oppone l'ayatollah Khamenei al presidente

Ahmadinejad. Alcune centinaia di basij - una milizia vicina alla Guida suprema

- hanno scandito slogan contro l'Arabia, storico nemico sunnita di Teheran,

malgrado Ahmadinejad avesse imposto di abbassare i toni. La polizia, per la

prima volta, ha reagito prendendo a bastonate i miliziani. Non ha osato

ripetersi la settimana successiva. Allora è stato il pubblico dell'Esteghlal a

sommergere i basji di insulti.

Il pogrom contro i rom

L'estremismo della Familia è comune a molte tifoserie dell'est europeo. Uno

dei pogrom più recenti si è consumato a settembre in Bulgaria, dopo che alcuni

malavitosi legati a un boss zingaro hanno investito un ragazzo. Immediata è

partita la campagna anti-rom, culminata nell'intervento degli ultrà di

Lokomotiv e Botev Plovdiv. Centinaia di tifosi hanno invaso Katunitsa, dove

hanno incendiato le proprietà dello zar Tiro. L'ondata di austerity che scuote

l'Europa ha mobilitato pure le curve, come in Grecia. Ma è in Romania che gli

ultrà hanno raccolto un successo significativo. A gennaio la protesta contro

la privatizzazione dell'assistenza sanitaria è degenerata negli scontri più

violenti dalla caduta di Ceausescu, complice l'intervento delle tifoserie di

Steaua e Dinamo. Dopo giorni tesi i manifestanti hanno ottenuto le dimissioni

del primo ministro Emil Boc.

Barras bravas al voto

Come le curve contribuiscono a distruggere le carriere politiche, così possono

aiutare a crearle. Ne sa qualcosa Mauricio Macri, ex n. 1 del Boca Juniors.

Nel 2007 ha lasciato la Bombonera per il municipio di Baires, dopo una

campagna in cui gli ultrà gialloblù hanno manifestato la loro preferenza. Per

tacere di Luis Barrionuevo, già presidente del Chacarita Juniors. La sua

candidatura alla provincia della Catamarca fu annullata per ragioni

burocratiche. Ma il giorno delle elezioni non votò nessuno. Squadre di

energumeni - fra cui vari ultrà del Chacarita - attaccarono i seggi, causando

il rinvio della consultazione. «Le barras bravas sono funzionali al potere»,

sintetizza la Nacion. Partiti, sindacati, club. Non c'è settore pubblico in

Argentina che non abbia sviluppato un rapporto clientelare con le curve. Un

modello replicato in molti altri Paesi, dalla Serbia alla Russia. Fino alla

Libia di Gheddafi, dove i tifosi dell'Al Ahly e dell'Al Ettihad Tripoli

dimenticarono le rivalità per sostenere il Colonnello. Prima di venire

sconfitti in battaglia dai nemici dell'Al Ahly Bengasi.

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Radiazioni: oggi appello

per Moggi e Giraudo

Giudicherà l’Alta Corte del Coni, sentenza a giorni. Le difese

puntano sul “precedente Preziosi”, annunciano raffronti visivi

ed. . . effetti speciali. Se va male Tar o Corte europea

di ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 27-03-2012)

ROMA. Il rigore più lungo della storia è una pagina indimenticabile della

letteratura calcistica: Osvaldo Soriano con ironia lo introduceva ricordando

un penalty durato una settimana. Quella che neanche oggi avremo dall’Alta

Corte di Giustizia presso il Coni, con l’eccellenza di Roberto Chieppa a

dirigere le danze, dovrebbe essere la sentenza più lunga della storia del

calcio: oggi pomeriggio udienza, nei prossimi giorni verdetto per sapere se

Luciano Moggi , Antonio Giraudo e Innocenzo Mazzini devono pagare - dopo aver

scontato quasi sei anni di stop - anche con la radiazione come stabilito dalla

Corte Figc il 9 luglio 2011 i fatti di Calciopoli per come vennero proposti

nel giudizio sportivo del 14 luglio 2006. Oggi al Coni si combatte una

battaglia, l’ultima in sede sportiva, che affonda le radici più recenti nel

comunicato federale 143/A del 3 marzo 2011 (dopo due pareri della Corte Figc)

che disponeva un giudizio (accusano i legali di Moggi, Giraudo e Mazzini «ad

hoc»). Poi il passaggio del ricorso contro la norma che d’ora in avanti

chiameremo il Moggiarellum: era l’aprile 2011. E la prima pronuncia della

suprema corte dello sport: l’Alta Corte chiede alla Figc un processo che

“attualizzi” le sentenze rese nel 2006, era il 24 maggio 2011. E la Figc come

attualizza: Palazzi davanti alla Disciplinare il 15 giugno 2011 e poi alla

Corte di Giustizia sostiene che si deve attualizzare solo l’interesse a

radiare Moggi & C. La norma transitoria manca, la squalifica a tempo sta per

scadere, ma la radiazione arriva il 9 luglio 2011: 4 anni 11 mesi e 25 giorni

dopo la prima condanna? Da ottobre, poi, ricorsi all’Alta Corte che impose il

27 la produzione di una serie di documenti alla Figc (quali altre condanne

analoghe sono state irrogate, e quando). Acquisita, nel frattempo, la sentenza

di Napoli e le motivazioni, lo scorso 6 febbraio: oggi si torna in aula. Con i

legali che annunciano effetti speciali e un raffronto visivo tra le ragioni

della sentenza sportiva 2006 (quella non attualizzata da Palazzi) coi sorteggi

pilotati e un campionato 2004-2005 atteso come taroccato, con Paparesta rapito,

le griglie esclusive (maddeché), la Juve favorita, le ammonizioni mirate.

Tutto quello che la giudice Casoria ha fatto scomparire dalla sentenza di

condanna dell’8 novembre. Tra i patti in deroga con Preziosi e altri vizi si

combatte l’ultima battaglia. Prima del Tar o della Corte europea dei diritti

dell’uomo. Perché come si è visto allo Juventus Stadium, Calciopoli senza

giustizia non finisce.

___

GaSport 27-03-2012

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Che bravi quelli del giornale rosa! Un trafiletto

Hai fatto bene a metterli a confronto

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Il coraggio del buon senso

È l'ora di dire basta

a violenza e insulti

di GIANFELICE FACCHETTI (CorSera 27-03-2012)

C'è un campionato che vede tutte le squadre partecipanti a fondo

classifica, un torneo senza soste che ogni domenica sugli spalti degli

stadi italiani falcidia lo spirito stesso del gioco del calcio.

Protagoniste indisturbate sono frange organizzate di imbecilli che

deturpano la visione di quello che dovrebbe essere spettacolo e

finisce per assomigliare sempre più a una squallida caricatura in cui

la fa da padrone un linguaggio di insulti scritti e urlati. È in

questa cornice oscena che possiamo collocare senza fatica l'ennesimo

incontro tra Juventus e Inter, una bella partita sul piano agonistico

condita come accade da anni a questa parte da cori macabri che non

risparmiano nessuno, al di là della bandiera. Auguri di morte ai

reciproci presidenti, Andrea Agnelli e Massimo Moratti, scambiati e

ricambiati tra curve, per tragedie come quella dell'Heysel e di

Pessotto cantate come canzoni da gita all'inferno, rievocazioni

disgustose di chi non c'è più come Prisco e mio papà Giacinto. Serve

altro per dire ad alta voce che il vaso è colmo e che ci vorrebbe un

atto di forza per dare una svolta radicale a questa piaga?

Occorrerebbe non liquidare ogni cosa come folklore come troppo spesso

le istituzioni hanno fatto in questi anni; sarebbe necessario che le

società stesse non spalleggiassero questa guerriglia fatta di parole

che altro non è se non la logica conclusione di un atteggiamento

ostinato e votato allo scontro. Quando tutto è consumato sembrano

ridicole le multe come deterrente così come le scuse a cui non si può

credere davvero se il buon senso è andato a farsi friggere fino al

fischio finale. Manchiamo di coraggio, quello che servirebbe a zittire

l'ignoranza che ci rimbomba attorno e a cancellare ogni striscione.

Potremmo cominciare da un minuto di silenzio. Vero. Senza applausi. Ne

siamo ancora capaci?

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Pensavo avesse deciso di scrivere sul corriere per fare le scuse a De Santis

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Pensavo avesse deciso di scrivere sul corriere per fare le scuse a De Santis

Magari! A me puzza di ultimatum: occhio che lo

stadio ve lo facciamo chiudere di questo passo

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SPY CALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 27-03-2012)

Stages, Coppa Italia e c.

La Lega di A contro tutti...

Uno scontro a tutto campo: da una parte Coni e Figc, dall'altra la Lega di

serie A. L'ultimo (per ora...) schiaffio è arrivato dal consiglio di Lega di

ieri: niente da fare per gli stages azzurri, se ne parlerà il prossimo anno,

con il ct che rischia di non essere più Cesare Prandelli (vedi Spy Calcio del

17 marzo). Adriano Galliani aveva perorato la causa azzurra, ma c'è stato un

no chiaro che sarà ribadito quasi sicuramente il 2 aprile nell'assemblea dove

si dovrà decidere, tra l'altro, che fare coi diritti tv in chiaro che non sono

stati ancora venduti. Petrucci si era speso molto a favore della Nazionale di

calcio e aveva parlato sia con Galliani che con Andrea Agnelli. Lo stesso

Giancarlo Abete aveva chiesto buon senso e un piccolissimo sacrificio, "siamo

nell'anno degli Europei...". Ma il "muro" del no è compatto. Sembra quasi una

sfida. La voglia di alzare il livello dello scontro. La Lega di A ha deciso di

mettersi da parte, la collaborazione con le altre componenti del calcio è ad

intermittenza, e a volte inesistente. Una situazione che non porterà lontano.

Tra l'altro, la Lega sembra quasi ostaggio di Claudio Lotito. Il rischio che

l'assemblea del 2 aprile venga ancora monopolizzata dal n. 1 della Lazio c'è,

così come successo in occasione del consiglio di ieri. Il patron laziale,

pluricondannato (frode sportiva in primo grado e aggiottaggio in secondo), non

ci sta ad essere stato sospeso dalla Figc in base alla nuove norme etiche del

Coni (che valgono non solo per Lotito, ovviamente) e per questo ha fatto

ricorso al tribunale che deciderà il prossimo 3 aprile. Una volta nel calcio

esisteva la clausola compromissoria, ora pare che non valga più nulla, o

almeno non vale più nulla per qualcuno: comunque, la Figc, ricevuta la

notifica, ha correttamente passato le carte al superprocuratore Stefano

Palazzi: deciderà lui che fare (con calma, magari fra un annetto). Di sicuro

Lotito strillerà ancora nell'assemblea del 2 aprile: vuole la solidarietà e

l'appoggio della Lega ma ci sono delle società (Inter, Cagliari, Palermo) che

non ci pensano nemmeno mentre altre sono dalla sua parte (vedi Genoa, Parma,

Catania) e altre ancora hanno ben altri problemi e non se ne interessano

assolutamente. Il guaio della Lega è proprio questo: quando dirigenti di lungo

corso, e sicure capacità, come Adriano Galliani si fanno da parte e curano gli

interessi solo dei loro club, ecco che manca una guida forte, carismatica. Non

c'è nessuno che riesca a tenere insieme i presidenti, tantomeno Maurizio

Beretta, in "uscita" dal marzo scorso. Ma questo vuole dire che la Lega va

commissariata? Per ora funziona, male ma funziona. Prende le decisioni che

deve prendere anche se magari con grosso ritardo. Non ha ancora ricostituito

gli organi interni (vicepresidente e membri del Consiglio) per nemmeno deciso

chi deve prendere il posto di Lotito in consiglio federale, ma basta questo

per commissariare? Il rischio c'è indubbiamente se la situazione dovesse

continuare con questo stallo "politico", più che funzionale. Soprattutto, con

queste premesse, come faranno a trovare l'erede di Beretta? Quando si

metteranno d'accordo fra veti incrociati, liti, eccetera? Gianni Petrucci

sostiene con vigore, e da tempo, che una parte dei presidenti, non tutti,

pensa solo a spartirsi i soldi, e non parla mai di etica. Ha ragione (ma non

si arrende:"vado avanti come un carrarmato" , ci ha detto l'altro giorno).

Basta pensare all'ultima uscita di De Laurentiis sulla finale di Coppa Italia:

una figuraggia che si doveva e poteva tranquillamente evitare. Petrucci stima

il patron del Napoli ma stavolta fra i due ci sono state forti frizioni. Anche

se ovvio che si giocherà a Roma: è stato mandato già l'invito al presidente

della Repubblica...

Modificato da Ghost Dog

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Coppa Italia

Petrucci, guerra al calcio

"Non vi diamo l'Olimpico"

Il presidente del Coni annuncia una possibile svolta per la finale del 20 maggio tra Juventus e Napoli: "Non abbiamo ancora avuto comunicazioni ufficiali e in questa situazione stiamo valutando di non concederò lo stadio romano"

di GABRIELE BONINCONTRO - repubblica.it - 27-03-2012

ROMA - Petrucci dichiara guerra al mondo del calcio. "Stiamo valutando la possibilità di non concedere lo stadio Olimpico per la finale di Coppa Italia". Il presidente del Coni annuncia la svolta sull'ultimo caso che sta scuotendo il mondo del pallone. "Non abbiamo ancora avuto - spiega - nessuna conferma dalla Lega. E in questa situazione non avendo ricevuto comunicazioni ufficiali, stiamo pensando noi di non dare l'Olimpico per la sfida tra Juventus e Napoli del 20 maggio". "Tutto questo - conclude il presidente del Coni - scaturisce dalle troppe polemiche di questi giorni".

La vicenda relativa alla finale di Coppa Italia è da giorni al centro delle polemiche. Il presidente del Napoli De Laurentiis aveva 'minacciato' di spostarla altrove: tra i motivi del contendere l'obbligo di avere la tessera del tifoso per acquistare il biglietto e i non facili rapporti tra i tifosi napoletani e quelli di Roma e Lazio. Perplessità non gradite da Petrucci. I toni ieri si sono alzati: il numero uno del Coni ha reagito con durezza ("Chi ha cervello faccia un passo indietro") e la replica del presidente del Napoli non si è fatta attendere: "Quella di Petrucci è una battuta di dubbio gusto". Poi De Laurentiis aveva spiegato: "Se esistono tutte le condizioni perché sia una bellissima festa gradirei giocare la finale di Coppa Italia a Roma ma, se avremo dei dubbi, vireremo da un'altra parte".

La finale di Coppa Italia è però solo l'ultima

scintilla: quello di Petrucci è un attacco deciso e più generale contro la gestione del calcio italiano. Il presidente del Coni contesta l'assenza del presidente della Lega, Beretta - in uscita ormai da un anno ma sempre in sella - e del presidente della Federcalcio Abete quando si tratta di prendere decisioni su questioni importanti (dal calcioscommesse al problema degli stadi, Petrucci si sente di fatto un 'supplente') e il fatto che siano i presidenti delle società ad annunciare decisioni o 'minacciare' spostamenti di sedi di una manifestazione importante come la Coppa Italia per un capriccio, come possono essere le possibili frizioni tra tifoserie. Facendo un paragone, è come se in Inghilterra fosse Alex Ferguson, manager del Manchester United, a decidere che la finale di FA Cup non si debba giocare a Wembley ma, ad esempio, all'Old Trafford o a Birmigham perché i tifosi londinesi sarebbero ostili alla sua squadra: impensabile. E non manca, per quanto riguarda la finale del 20 maggio, un imbarazzo istituzionale che Petrucci vuole a tutti i costi evitare: il Coni ha infatti già inviato al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano l'invito formale per presenziare alla partita dell'Olimpico e per consegnare il trofeo alla squadra vincitrice. Il massimo organismo sportivo vorrebbe risparmiarsi a tutti costi la figuraccia di dover comunicare al Capo dello Stato lo spostamento della sede.

angeloribelleelupisoli.jpg

Modificato da huskylover

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