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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Lotito il risparmiatore

di STEFANO OLIVARI dal blog GUERIN SPORTIVO.it 12-03-2012

Invece di 2 anni, la condanna per aggiottaggio e ostacolo agli organi

di vigilanza a Claudio Lotito sarà di 18 mesi: questo ha deciso la Corte

di Appello di Milano e vedrete che qualcuno la presenterà, senza

vergognarsi, come una mezza vittoria del presidente della Lazio. Già,

la Lazio. Stiamo parlando di questa vicenda non perché appassionati di cronaca

giudiziaria, ma perché c’entra il calcio. E in particolare il mitico e mitizzato calcio

in Borsa, quello che alla fine degli anni Novanta avrebbe dovuto rendere più

serio tutto lo sport sulla spinta degli innovatori Cragnotti, Sensi e Agnelli.

Peccato che la Borsa, non solo in Italia e non solo per le società

calcistiche, sia un modo formalmente legale di togliere soldi a piccoli e

medi risparmiatori senza che i principali azionisti perdano il controllo o

debbano rendere conto a qualcuno per le proprie azioni. Il cosiddetto ‘parco buoi’,

a volte avido ma più spesso semplicemente disinformato, subisce le fluttuazioni

del mercato comprando al picco massimo di un’azione e vendendo in perdita:

non è sempre così, ma basta una piccola percentuale di persone che ragionino

in questa maniera per far prosperare i furbi in giacca e cravatta.

Ma torniamo a Lotito, (ri)condannato insieme a Roberto Mezzaroma

(un anno e due mesi) per fatti del 2005. Mezzaroma che fra l’altro è un

quasi parente, essendo zio della moglie di Lotito (e anche dell’attuale presidente

del Siena, Massimo, che però non è fratello di Cristina: sembra Dynasty…)

Secondo l’accusa, tra il presidente laziale, autodefinitosi qualche anno fa

‘moralizzatore’ e il costruttore Mezzaroma, ci sarebbe stato un presunto

accordo occulto per evitare il lancio dell’offerta pubblica d’acquisto sui

titoli della Lazio. Un accordo che secondo l’accusa portò l’imprenditore

Mezzaroma ad acquistare il 14,6% di azioni della Lazio, per conto di Lotito.

In tal modo il patron non sarebbe figurato come reale titolare del pacchetto

azionario, in base al quale avrebbe dovuto invece lanciare l’Opa obbligatoria

dopo il superamento del 30% delle quote. Opa sta per offerta pubblica di

acquisto: in pratica il parco buoi avrebbe beneficiato (essendo l’Opa lanciata

ad un prezzo superiore al valore borsistico) della valutazione data da Lotito

alla società, evitando di vivacchiare fra gli alti e i molti bassi della

Borsa. Un bel risparmio per Lotito, comunque la si voglia vedere, con il

risparmiatore-tifoso ancora una volta all’oscuro di tutto.

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Calcio: Agnelli, avanti verso nostri obiettivi contro tutto e tutti

ultimo aggiornamento: 12 marzo, ore 19:41

Torino, 12 mar. - (Adnkronos) - "Sapevamo che riportare la Juventus al successo avrebbe richiesto grandi sforzi. Lo stiamo facendo e ci siamo resi conto che dobbiamo essere in grado di lottare contro tutto e contro tutti, consapevoli del fatto che la nostra forza e' sufficiente per ottenere risultati". Lo ha detto il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, che questo pomeriggio, ha accompagnato il presidente dell'Uefa, Michel Platini, in visita allo Juventus Stadium.

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la Repubblica SERA 12-03-2012

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IL BLOG DI MISTER X

Il ruggito degli Agnelli: arbitri e Calciopoli, la Juve dichiara guerra totale alla Figc

Xavier Iacobelli - calciomercato.com - 12-03-2012

Il silenzio stampa della Juve è durato ventiquattro ore. Nel giorno in cui Michel Platini ha colmato di lodi la sua antica società visitandone lo stadio-gioiello, Andrea Agnelli si è tolto il cerotto dalla bocca per dichiarare guerra totale alla Federcalcio. Calciopoli e i torti arbitrali sono i due fattori scatenanti di uno scontro frontale che non sfocerà nè in una tregua nè, tantomeno, in una pace.

Ci sono parole che pesano come macigni e, quando il presidente bianconero le ha proferite, a Giancarlo Abete saranno sicuramente fischiate le orecchie.

Agnelli dixit: "Riportare la Juve al successo è un'operazione che vale un grande sforzo. Lo stiamo facendo. Ci siamo resi conto che dobbiamo essere in grado di lottare contro tutto e tutti, consapevoli che la nostra forza è sufficiente per ottenere dei risultati. La Juve non dà fastidio, diverte e ci rende orgogliosi. Facciamo il nostro mestiere: competere per vincere. Se stiamo pagando per le lamentele fatte nei confronti degli arbitri? Non penso. Se guardiamo è dalla prima giornata che notiamo alcune cose. Con il Milan c'è una sana rivalità sportiva, tra le due società c'è sempre stata una grande convergenza politica".

Traduzione: caro Abete, è dalla prima giornata che gli arbitri ci tartassano e adesso ci siamo rotti le scatole. Così, se tu e la Federazione vi illudevate che potessimo soprassedere alle nostre iniziative giudiziarie sul fronte Calciopoli, potete scordarvelo, oggi più di ieri. Andremo sino in fondo, contro tutto e contro tutti.

Caro Galliani, dopo l'ultimo Milan-Juve ce le siamo dette di tutti i colori , ma finiamola lì. In Lega abbiamo trovato l'accordo che ha consentito a Beretta di sfangarla fino a giugno. Il resto è vita.

Scivolata a quattro punti dai rossoneri, in attesa di reincontrarli fra nove giorni a Torino, nella semifinale di Coppa Italia partendo dal 2-1 dell'andata, la Juve conta i suoi 14 pareggi e l'unico rigore accordatole in 27 gare, ce l'ha a morte con gli arbitri e ne ha ben donde, ma non molla.

Sono gli uomini di Nicchi, adesso che non possono più sbagliare. Il messaggio di Agnelli è forte e chiaro.

Xavier Jacobelli

Direttore Editoriale www.calciomercato.com

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La tessera del tifoso cambia, Maroni si infuria

Si chiamerà fidelity card e sarà più soft. L´ex ministro contro la Cancellieri: "Vincono gli ultrà"

di FULVIO BIANCHI (la Repubblica 13-03-2012)

Già il nome non era mai piaciuto. Tessera del tifoso. Sì, perché in qualche

caso era stata vista come tessera di polizia, o si era trasformata in una

tessera-business, facendo gli interessi (solo) delle banche. Ora basta. Dal

prossimo anno si cambia. Addio, quindi, alla tessera del tifoso. Si chiamerà

fidelity card. Ma la decisione fa subito litigare il vecchio e il nuovo

governo. Con parole durissime di Roberto Maroni, ex Ministro degli Interni.

La novità è stata annunciata dal direttore generale della Figc, Antonello

Valentini: «La fidelity card sarà meno di controllo e più legata alla

responsabilità dei tifosi dei club, con procedure snellite e molti servizi per

chi se ne dota. Un´apertura di credito importante». E´ stata in vigore due

anni, la tessera del tifoso: oltre un milione di supporter (esattamente

1.014.371) l´hanno sottoscritta, molti a malincuore. Ma era (è) obbligatoria

per chi vuole abbonarsi o andare in trasferta. Adesso il neoministro

dell´Interno, Anna Maria Cancellieri e il capo della polizia, Antonio

Manganelli, hanno deciso che è arrivato il momento di dare fiducia ai tifosi e

non rendere loro la vita difficile, come è successo (troppe volte) in passato.

Importanti anche il parere del garante della privacy e del Consiglio di Stato

per bocciare alcuni aspetti della tessera. Ma l´ex ministro Roberto Maroni

attacca: «Hanno vinto le tifoserie ultras e violente. Hanno vinto quelle

società come la Roma (di cui è tifosissima la ministra Cancellieri) che non

avevano mai accettato le regole. La tessera aveva dato buoni risultati, lo ha

detto anche il Viminale, ma hanno vinto ancora una volta le lobby del calcio».

Manganelli assicura invece che la "tessera del tifoso si evolve, ma non cambia,

manterrà le sue caratteristiche e sarà sempre necessaria per le trasferte e

gli abbonamenti». Allora, cambia soltanto il nome? È un´operazione con

l´inganno? Non dovrebbe essere così, almeno nelle intenzioni: le procedure per

la futura ‘‘fidelity card´´ verranno di molto snellite, garantisce la Figc. Si

otterrà in un breve tempo (massimo un mese). Servirà, è vero, sempre un

documento d´identità ma non si passerà più dalle banche e si avrà in pratica

una card a punti che, come tante altre (supermercato, librerie, benzinaio,

eccetera), darà servizi e sconti. Spiega ancora Valentini: «Tra l´altro, così

si supera l´effetto ingiustamente negativo del messaggio passato all´avvio

dell´iniziativa: ovvero di un meccanismo di operazione di polizia. Nessuna

intenzione, ovviamente, da parte della Figc di dare il via libera ai violenti».

Prudente Lorenzo Contucci, avvocato degli ultrà: «Il segnale è positivo ma

adesso bisogna fare il passo avanti decisivo, cambiando l´articolo 9 che ne

vieta il rilascio a chi ha scontato il Daspo o una condanna. Altrimenti

rischia di rimanere solo un´operazione di facciata». Secondo i Radicali invece

resta «uno strumento di polizia, anche se dovesse chiamarsi fidelity card…».

Per la Federsupporter invece è "un grande successo". Ma i club di calcio

adesso non si potranno più nascondere.

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Inviato (modificato)

CALCIOPOLI L'ARBITRO CONTRO IL CLUB

L’Inter e lo scudo Facchetti

Scatta il processo di De Santis che chiede il risarcimento per essere stato spiato

Nel memoriale difensivo la società di Moratti sottolinea che l’operazione di intelligence era seguita “solo“ dal vice presidente

di ALVARO MORETTI (Tuttosport 13-03-2012)

ROMA. L’appuntamento se l’erano dati in autunno: alle 9.45 puntuali davanti

alla giudice unico Loretta Dorigo , prima sezione del tribunale civile di

Milano. Massimo De Santis , spiato dall’intelligence Telecom di Tavaroli

grazie alla Polis d’Istinto di Cipriani - stando ai due - su input dell’Inter

di Moratti e Facchetti chiede oggi un risarcimento monstre da parametrare con

quello chiesto da Vieri per i pedinamenti ai suoi danni, roba da 21 milioni di

euro, per quel dossieraggio chiamato “Operazione Ladroni”. L’ex arbitro,

condannato a Napoli al processo Calciopoli, messo al centro delle attenzioni

di Giacinto Facchetti, allora vicepresidente nerazzurro, e dell’autoproclamato

cavallo di tr**a, Danilo Nucini , come terminale arbitrale di Moggi non ha

mollato la presa. E oggi, assistito dagli avvocati Paolo Gallinelli e Federico

Lucarelli , si presenterà a Palazzo di Giustizia a Milano e si troverà di

fronte le avvocatesse nerazzurre Luisa Beretta e Silvia Trupiano . Ma anche un

rappresentante legale del club: Moratti, Paolillo , Ghelfi . Il rito prevede

anche il tentativo di conciliazione con l’ascolto della parti: cosa dirà

l’Inter? Dei motivi che stanno alla base della richiesta risarcitoria di De

Santis abbiamo a lungo parlato, coi legali ha ricostruito la fitta rete di

elementi che vanno dalle ammissioni di Tavaroli, Plateo , Cipriani e Trochetti

Provera sul caso Telecom (tra gli spiati anche la Juve), al lavoro

sull’archiviazione sportiva precipitosa di Borrelli e Palazzi , ma solo per

prescrizione e improcedibilità, vista la prematura morte di Giacinto

Facchetti.

Rileva, invece, in queste ore leggere le 35 pagine più allegati (su

Calciopoli e Scandalo Telecom si affidano alle sintesi di Wikipedia) prodotte

dalle due legali interiste. Le sorprese non sono poche, alcune anche piuttosto

sconcertanti.

PRESCRIZIONE Si parte con un refrain interista: il primo motivo di

opposizione alla richiesta di risarcimento è la prescrizione. I pedinamenti,

il lavoro di intelligence sui patrimoni, sui telefoni di De Santis risale al

2002 e 2003; peccato che la conoscenza di cosa avessero messo in piedi per

spiare questo arbitro presuntamente al soldo di Moggi (neanche in Calciopoli

si riesce a provare nulla a riguardo) sia stata successiva agli atti

processuali del caso Telecom. L’Inter non vuole ascoltare testi, definendo

Tavaroli, Plateo, Tronchetti e Cipriani non attendibili, anche se si riserva

di ascoltare il suo direttore amministrativo Pessina .

NON POTEVA L’aspetto però che più colpisce non è il merito della questione

della commissione alla Polis d’Istinto di Cipriani del lavoro di spionaggio ai

danni dell’allora arbitro internazionale: si punta forte sul fatto che - con

produzione dei verbali d’assemblea del 2002 e 2003 - Giacinto Facchetti, che

intratteneva i rapporti col cavallo di tr**a, Nucini , era “solo”

vicepresidente interista, che aveva deleghe legate ai rapporti con le

istituzioni sportive (anche la Fifa, nella quale c’era il tedesco Walter Gagg,

di cui parla al telefono proprio con De Santis nel 2005), ma non il potere di

commissionare dossier (qualcuno aveva forse questa delega?). Insomma non

contava: e perché, allora, come ricordava anche il figlio Gianfelice, teneva

in piedi il rapporto con Nucini, a che titolo? E perché doveva parlare con

Tavaroli e riunirsi con lo stesso Moratti per parlare proprio delle

informazioni avute sulla questione arbitrale? Certo singolare appare,

ricordando l’importanza della figura carismatica di Facchetti, definire un

vicepresidente e membro del comitato esecutivo come un soggetto che per una

questione tanto delicata afferente proprio i rapporti con una delle

istituzioni, quella arbitral-federale, non avesse possibilità d’azione. Quello

dei dirigenti che esondano dalle loro deleghe, d’altronde, è una ridondanza

nelle vicende attorno a Calciopoli.

IRRILEVANTE Per l’Inter - ovviamente - nulla contano le notazioni di Palazzi

nella sua relazione proprio sulla questione Nucini: la Casoria l’aveva

trattato malino nella sua sentenza, l’arbitro bergamasco al centro della

oscura vicenda del passaggio dalla Bocassini e di una archiviazione a modello

45 del suo report da cavallo di tr**a nella Can; ebbene anche le legali

nerazzurre definiscono «totalmente irrilevanti» gli asseriti comportamenti

dell’ex arbitro che si incontrava con Facchetti.

PARZIALMENTE Curiosa la citazione parziale, come elemento a discarico,

dell’archiviazione partorita dalla frettolosa e monca indagine dell’allora

Ufficio Indagini di Borrelli e della Procura di Palazzi. Nel 2007 si arrivò

all’archiviazione figlia di atti preliminari per «prescrizione» per i

pedinamenti a Vieri e «improcedibilità» per la prematura morte proprio di

Facchetti. L’Inter sostiene, poi, che i danni - semmai - De Santis dovrebbe

chiederli a Pirelli e Telecom (cui erano state intestate le fatture per le

indagini su De Santis): ma l’ex arbitro non era concorrente nella produzione

di pneumatici o nella telefonia.

AUTOGOL E’ un autogol, forse, quello che si legge alle pagine 28 e 29:

sostanzialmente una legittimazione ad eventuali indagini private, visto che De

Santis (10 anni dopo) è stato condannato per frode sportiva. Ma se loro

sapevano, avevano indagato? E se sapevano perché non hanno denunciato alla

Figc? Una bella sfida quella in programma da stamane, aspettando nelle

prossime settimane la decisione sulla causa civile intentata da Vieri: proprio

i suoi 21 milioni di risarcimento sono stati presi a parametro da De Santis

per la sua battaglia legale.

Modificato da Ghost Dog

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il Sole 24 ORE 13-03-2012

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Tempo Scaduto di ALIGI PONTANI (Repubblica.it 13-03-2012)

Salvate il soldato Palazzi

Bisogna dirlo: Stefano Palazzi, capo della Procura federale della Figc, ce la

sta mettendo tutta, snaturando un metodo di lavoro che di solito prevede

l'invecchiamento di fascicoli e imputati ben prima di qualsiasi verdetto. E

invece: audizioni serrate, calendario senza soste, grappoli di testimoni,

indagati, sospettati, dirigenti, calciatori. Una marcia a tappe forzate verso

i processi che dovrebbero liberare il calcio italiano dalla fogna del caso

scommesse e soprattutto offrire certezze sulla classifica di due campionati:

quello che deve finire e quello che comincerà l'anno prossimo. Per ora siamo

al caos: non si ha idea di come, quanto e soprattutto quando saranno punite le

squadre coinvolte, più o meno consapevolmente, dai loro tesserati. Due le

ipotesi: saranno afflitte (la regola dice proprio così) in questa stagione,

togliendo punti in misura sufficiente a creare un danno concreto. Oppure si

imbastiranno per la prossima campionati di A e B ad handicap, con i colpevoli

penalizzati in partenza.

Perfino sorvolando su precedenti che non inducono all'ottimismo, vengono

spontanee alcune domande: davvero il calcio guidato da Abete ha i mezzi, da

solo, di trovare una soluzione rapida a questo gigantesco casino? Davvero

Palazzi è in grado di indagare, deferire e poi sostenere i processi sportivi

arrivando a verdetti che chiuderanno definitivamente la partita? O saremo

tormentati per mesi da nuovi filoni, rivelazioni e impicci destinati ad

assorbire la residua credibilità di uno sport dissanguato dagli scandali?

Un'idea di cosa potrebbe accadere è arrivata dal procuratore Di Martino, che

ha gettato nello stagno il tremebondo termine amnistia, causando un'indignata

(e condivisibile) sollevazione. Se un magistrato si spinge a suggerire una

soluzione tanto estrema, è proprio perché le risposte a quelle domande per lui

(che molto sa) sono scontate: no, il calcio non riuscirà a sbrogliare in tempi

stretti questo gigantesco casino. No, non risolverà in modo netto e definito

il problema. No, non chiarirà tutto in modo da garantirsi pulizia e serenità

nella prossima stagione.

E quindi? Quindi, lasciando stare l'amnistia, è ora che il calcio e il Coni,

che su di esso vigila, pensino alla questione scommesse come a un'emergenza di

sistema e che come tale la affrontino. Cioè come fu affrontata - e parliamo

solo di metodo - l'emergenza Calciopoli: salvando il soldato Palazzi, creando

un pool inquirente e giudicante che lo affianchi, fissando e rendendo

pubbliche le linee guida di indagine e del processo sportivo, decidendo fin

d'ora su quale dei due campionati far ricadere le eventuali sanzioni. E

disilludendo allo stesso tempo i club coinvolti: la responsabilità oggettiva

non si tocca, non a incendio divampato. Semmai, se sarà il caso, se ne parlerà

dopo, quando qualcuno che non sia Abete o Beretta capirà davvero che è ora di

fare qualcosa per restituire agli italiani il diritto ad appassionarsi al

calcio. Senza più turarsi il naso.

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Tribunale civile

OGGI L'UDIENZA DE SANTIS CONTRO L'INTER

trafiletto non firmato - Gasport pag. 5 - 13-03-2012

Questa mattina al tribunale civile di Milano si tiene l'udienza del processo intentato dall'ex arbitro Massimo De Santis (assistito dallìavvocato Paolo Gallinelli) all'Inter per i pedinamenti e le informazioni raccolte dalla società di investigazioni di Cipriani su incarico di Tavaroli. De Santis fu seguito, fotografato, sarebbero state fatte indagini anche sui suoi conti correnti. Per questo il suo avvocato ha avviato la richiesta risarcitoria nei confronti dell'Inrter che sarebbe stata ritenuta "mandante" dell'inchiesta svolta da Cipriani. Anche il calciatore Vieri ha avviato una richiesta risarcitoria nei confronti dell'Inter e proprio legandosi a quella richiesta che dovrà essere parametrata la richiesta di De Santis. "Abbiamo rimessso al giudice la quantificazione del danno subito da De Santis - spiega Gallinelli - ma abbiamo anche chiesto che sia papametrato a quello di Vieri". In poche parole se Vieri vincerà la sua causa contro l'Inter (la sua richiesta è di circa 20 milioni di euro) a quel punto De Santis riceverà (in proprorzione del danno subito) la liquidazione del suo danno. Per l'Inter gli avvocati Luisa Beretta e Silvia Trupiano in via preliminare eccepiscono l'inammissibilità della richiesta perché tardiva, ma eccepiscono anche il fatto che nel procedimento penale De Santis abbia rinunciato ad essere parte civile.

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Contropotere di FABIO LICARI (EXTRATIME 13-03-2012)

QUEL BOARD DA PROTEGGERE

E RIFORMARE: UNA PROPOSTA

Non è più possibile che solo le britanniche e la Fifa possano decidere le regole

Ha ancora senso un International Board che se ne frega del parere di una

commissione Fifa di ex campioni e respinge proposte tutto sommato logiche? Ha

senso un International Board fatto al 50% di federazioni britanniche (una

della quali, il Galles, non ha una serie A) ma senza Brasile, Argentina,

Italia, Germania? Ha senso che il calcio, nella gestione delle sue regole, sia

fermo al 1886 o quasi?

Un po' ce l'ha. Non ce vogliano gli iconoclasti di oggi: la protezione della

tradizione — come dice Blatter in una delle sue più sensate interpretazioni —

è stata fondamentale per la sopravvivenza del pallone. Quando il Board nacque

fu per evitare cambi vertiginosi e modernismi modaioli, garantendo unicità. Il

calcio è rimasto quello delle origini, facile e chiaro — fuorigioco escluso —

per un bambino come per un professionista. Guai a inventarsi time-out, rigori

in movimento e «tre angoli un gol», viene da dire.

Però il mondo va avanti. Dai cronometri manuali si è passati al 3D e

all'ipad. Magari un cambiamento non offende: aiuta. E di una mano hanno

bisogno urgente gli arbitri, oggi letteralmente calpestati da un flusso di

informazioni in tempo reale (leggi: replay in diretta tv) contro il quale non

possono combattere. Un avversario schierato a «catenaccio» come, spesso, i

legislatori britannici. Ma per rinnovare le regole occorre cambiare il Board:

non cancellarlo o stravolgerlo, solo renderlo più rappresentativo.

Detto che la partecipazione totale (203 federazioni) non avrebbe senso,

oppure si trasformerebbe in un carrozzone scandaloso (vedi le ultime elezioni),

potrebbe non essere male un Board «mondiale». Magari sempre con 8 voti. Uno

alla Fifa non più dominante; uno alle 6 confederazioni (Uefa, Nordamerica,

Sudamerica, Africa, Asia, Oceania) rappresentate dai presidenti e pronte a

discutere le richieste delle federazioni; uno a rotazione alle 4 britanniche.

Sempre con maggioranza qualificata e tutte le garanzie possibili. Di sicuro ci

sono idee migliori, ma è l'ora di parlarne.

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Cosa Nostra, tentata strage all’Olimpico

di MAURIZIO MARTUCCI dal blog il Fatto Quotidiano.it 09-03-2012

Stagione stragista 1993/1994, intoppo nell’atto finale, ai calci di rigore.

“Il telecomando all’Olimpico non funzionò”. Strage mancata dopo i colpi in

casa a Capaci (Falcone) e Via D’Amelio (Borsellino) e le trasferte corsare a

Via Fauro (Roma), Via dei Georgofili (Firenze), Via Palestro (Milano). Prima

delle bombe in Chiesa a San Giorgio al Velabro e fuori la Basilica di San

Giovanni in Laterano.

L’ultima svolta nelle indagini della Procura di Caltanissetta, rimanda alle

deposizioni di Gaspare Spatuzza, pentito di Cosa Nostra: la summa teologia

nella trattativa tra Stato e mafia era una strage allo stadio, un botto alla

talebana per una carneficina di carabinieri e tifosi, orrore esplosivo di

cinquanta chili di tondini di ferro dal diametro di un centimetro, letali tra

divise, blindati, sciarpe e bandiere laziali. Contro tutto e tutti per

rivendicare l’abolizione dell’articolo 41-bis, rigorosamente in pay per view,

fuori onda come diretta di un calcio da ferire al cuore su Tele + (all’epoca,

unica piattaforma prima di Stream e Sky).

Era il 31 Ottobre 1993, all’Olimpico c’è Lazio-Udinese. Biancocelesti con

Dino Zoff in panchina, friulani sconfitti dalle reti di Winter e Signori, è la

decima del girone d’andata di Serie A, stagione scudetto numero 14 del Milan

di Berlusconi, poi penta campione d’Europa. “Era già tutto pronto per

l’attentato, ma il telecomando all’Olimpico non funzionò” – racconta Spatuzza

ai magistrati di Torino nel processo contro il Senatore Dell’Utri“Ci

trovavamo sulla collinetta di Monte Mario. Benigno provò a dare impulso con il

telecomando ma non successe nulla. Intanto i carabinieri si stavano

allontanando. A quel punto dissero di lasciar stare e l’attentato era fallito.

Lasciammo stare l’auto e ritornammo a Palermo.

Luca Tescaroli, già Pubblico Ministero nel processo per la strage di Capaci,

ora Sostituto Procuratore a Roma e autore di un libro sul delitto ‘annunciato’

di Giovanni Falcone con cui ha vinto il Premio Paolo Borsellino, sostiene che

“l’obiettivo in quel caso era di colpire soprattutto i carabinieri e di

uccidere il più possibile. L’attentato non va a buon fine solo per il

malfunzionamento del telecomando. Sarebbe stata la strage più tremenda:

l’autobomba doveva esplodere di domenica, al termine della partita di calcio.

Venne piazzata nel punto di concentramento degli appartenenti dell’Arma di

servizio allo stadio, in occasione dell’incontro di calcio Lazio-Udinese”.

L’ordigno era stato piazzato all’interno del complesso del Foro Italico,

lungo Viale dei Gladiatori che conduce ai cancelli di Tribuna Monte Mario e

Curva Sud, a pochi passi dall’ex Aula Bunker dei processi alla Banda della

Magliana, per l’attentato al Papa e contro la colonna romana delle Brigate

Rosse per rapimento e uccisione di Aldo Moro.

“Un amico mi ha tradito”, sfogandosi in lacrime rivelò Borsellino, poco prima

di saltare in aria. L’identikit del traditore porta ad un “esperto e anziano

carabiniere”, sostengono oggi gli inquirenti nisseni, parlando di un pezzo

grosso della stessa famiglia di quei militari che 19 anni fa erano in

pattuglia allo Stadio Olimpico. Cavie con i tifosi.

Misteri d’Italia, enigmi all’italiana tra Cosa Nostra e pezzi delle

istituzioni, col calcio sullo sfondo, a far da cornice. Tra una bomba e il

boato di un goal. Un po’ di pallone non guasta mai.

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Bancomat Football Club

di MATTEO MARANI dal blog IL CORSIVO (GUERIN SPORTIVO.it 13-03-2012)

Luciano Bianciardi, autentico genio purtroppo poco compreso in vita, aveva già

anticipato tutto, ormai più di quarant’anni fa. Ai ragazzi che nel 1968

contestavano davanti alle Università milanesi, rivolgeva un semplice invito:

occupate le banche.

Quanta lungimiranza, quante geniale visione in quell’appello. Perché mezzo

secolo dopo il Paese, il mondo, e ovviamente il nostro piccolo calcio, sono

comandati dalle banche. Che esprimono presidenti del consiglio, carriere,

lobby, che decidono della vita o della morte di un’azienda, che buttano nel

lastrico esistenze intere.

Dicevo: il calcio non fa ahimè eccezione. Anzi eccelle. Il presidente della

Lega calcio, Maurizio Beretta, è un importante dirigente di Unicredit.

Malgrado ciò, anzi grazie a questo mi viene da pensare, guida la Lega calcio.

Secondario che alcuni club siano appesi al suo istituto e che lui non possa

essere super-partes. Carraro, che lo precedette di qualche anno, fece analoga

cosa con il Mediocredito centrale. Perché stupirsi, allora?

Le banche possiedono da anni club. Addirittura più club insieme,

contemporaneamente. Ci sarebbe una norma federale che impedisce la

multiproprietà. Ma cosa volete che importi di fronte ai boss della finanza?

Non ultimo: le banche sono arrivate persino alla Tessera del tifoso, ora

simpaticamente ribattezzata Fidelity card. Non ho mai capito, insieme agli

archivi donati alle Questure (saremmo ancora uno Stato di diritto, saremmo),

il perché di questo colossale marchettone?

Mi si dirà che se uno evita di utilizzare la carta non avrà commissioni da

pagare. E va bene. Ma perché regalare comunque nuovi potenziali clienti alle

banche, senza nemmeno la scomodità di sollevare il ċulo dalla sedia? Marginale

anche qui che il fratello di Giancarlo Abete, presidente della Federcalcio, si

chiami Luigi e sia uno dei principali banchieri italiani.

Povero Bianciardi, avevi intuito tutto.

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LA STORIA

Batistuta racconta il suo calvario

«Non corro più, ma cammino»

«C'è stato un momento in cui stavo malissimo. Ora va meglio»: lo confida Gabriel Batistuta, ex nazionale argentino, bandiera della Fiorentina a France Football

«Non posso più correre», dice Gabriel Batistuta, e già fa molta impressione a chi lo ricorda esultare con la «mitraglia» sotto la curva Fiesole o idolatrato come Re Leone dalla Curva Sud alla quale regalò lo scudetto. Ma a France Football, Batigol confida di essere stato davvero «malissimo»: «Non potevo quasi più camminare». La foto che correda l'articolo tranquillizza, c'è l'ex centravanti argentino capocannoniere di tutti i tempi della sua nazionale (56 gol) e della Fiorentina (152 in serie A) in gran forma, capelli corti e abbronzato. Ma la storia fa venire i brividi: «Non posso più giocare perché non posso più correre - spiega semplicemente - ma cammino abbastanza bene. Devo ammettere che c'è stato un momento in cui sono stato malissimo. Non potevo quasi più camminare». Troppe infiltrazioni? chiede il giornalista di France Football. «Si, ma non più di tanto - minimizza l'ex bomber - giocavo sempre. Su una stagione da 70 partite ne facevo 65. E davo sempre tutto fino in fondo. Non riuscivo ad accettare di restare fuori per un infortunio. Se tornassi indietro, forse starei più attento a me stesso, ma certamente poi nemmeno troppo... Mi piaceva fare gol, sentire il pubblico».

L'AMORE VIOLA - Qualche rimpianto ce l'ha, il vecchio goleador. Un amore viscerale per la Fiorentina, poi lo scudetto vinto dalla Roma con i suoi gol: per queste due maglie ha rinunciato ad offerte che avrebbero potuto garantirgli un posto nella storia ancora più in alto. «Sono fiero che delle grandi squadre mi abbiano cercato - dice - vincere un titolo con il Manchester, all'epoca, era abbastanza facile. Vincere un campionato con 15 punti di distacco, però, non mi attirava granché. Volevo segnare contro i più grandi difensori italiani, i migliori del mondo all'epoca. Se me ne fossi andato, avrei segnato di più, avrei potuto vincere la Liga o la Premier League». Insomma, Batigol che fatica a camminare a soli 43 anni, sogna: «avrei vinto il Pallone d'Oro se avessi giocato nel Barcellona o nel Manchester... ma io volevo vincere con la Fiorentina».

LA LEGGENDA - Batistuta, un mito che è stato costruito anche attraverso tante leggende, come quella che non avrebbe amato il calcio: «E' vero che da ragazzino non ho mai pensato di diventare un calciatore - racconta - ha sempre circolato questa storia secondo cui a me il calcio non piace. Ma ho sempre amato moltissimo giocare, allenarmi, scendere in campo. E poi, è sempre stato naturale per me. Tutte le polemiche intorno, invece, non mi piacciono». Infine, il mito argentino di oggi, Leo Messi: «E' un fenomeno che gioca in una squadra che vanta diversi fenomeni. Fa parte di un gruppo che si appoggia su una vera filosofia».

13 marzo 2012

http://corrierefiore...664300161.shtml

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Inter eliminata Champions League: la giostra ha chiuso, sentitamente ringraziamo...

L'Olympique Marsiglia ha eliminato l'Inter dalla Champions League. Fine di un ciclo e fine della giostra by Massimo Moratti. Ecco la lista dei ringraziamenti...

Riccardo Martica - blogosfere.it - 14-03-2012

La giostra ha chiuso. Eh sì. Fine del divertimento. Era da un po' che lo attendevo. L'Inter saluta i fasti di una parentesi felice quanto costruita da un perfetto "Truman show" della famiglia Moratti e il calcio italiano si libera finalmente dell'irritante giocatollino di patron Massimo.

Chi dobbiamo ringraziare per aver riportato tutto alla normalità facendo crollare tutti i pezzi del castello di sabbia che il signor Guido Rossi aveva costrutito con abile manovra nel 2006?

Chi dobbiamo santificare per averci liberato di una società che ha riso per 5 anni godendo pure di un triplete e di una Champions League per cui anche un noto vulcano ha partecipato alla gloria che mancava da 45 anni?

Chi dobbiamo venerare per aver indirettamente dato giustizia ad un calcio che non sopportava più la farsa di un ciclo iniziato sulle macerie di una vicenda in cui l'unica a non pagare è stata solo l'Inter?

Inizierei indubbiamente da Zlatan Ibrahimovic. Grazie Zlatan per aver abbandonato la società nerazzurra dopo avergli regalato con la tua classe 3 scudetti, quelli che non avrebbero mai vinto se la Juventus non veniva spedita in serie B e tu non venivi ceduto all'Inter.

Grazie al Milan che nell'anno di un tricolore che all'Inter mancava da 18 anni è riuscito a vincere in faccia ai cugini la Champions League rendendoci un po' più dolce una parentesi da incubo.

Grazie a Mario Balotelli e ad Adriano per essere sempre riusciti a far parlare più delle loro gossippate che dei "successi" dell'Inter.

Grazie a Milito, Maicon, Sneijder, mercenari di livello.

Grazie allo special one, Josè Mourinho, per aver abbandonato da mercenario una squadra di mercenari.

Grazie a Samuel Eto'o che ha preferito la tundra russa alla maglia nerazzurra.

Ed infine grazie a questo Brandao dell'Olympique Marsiglia per aver dato il requiem definitivo...

Dimentico qualcuno... scusate. Aiutatemi voi. L'orario è tardo. Vado a riposare. Dopotutto domani... è un altro giorno...

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Juve, cosa fare per vincere lo scudetto…in 10 tweet

panorama.it - 13-03-2012

Alla Juventus sanno come si vincono gli scudetti. E nessuno, dall’allenatore al magazziniere, ha bisogno delle nostre raccomandazioni. Da juventini, però, vorremmo condividere con tutti voi un vademecum sulle cose da fare (e da non fare) da qui alla fine del campionato. Li abbiamo radunati in 10 tweet, liberi di aggiungere i vostri nei commenti. Stampatevelo, tenetelo nel portafoglio, appendetelo in ufficio o condividetelo con gli amici sui social network: che la catena di Sant’Antonio (Cabrini) bianconera abbia inizio.

Non facciamoci prendere dallo sconforto, non è il momento di pensare al secondo posto #ranierièsolounbruttoricordo

A questo punto cerchiamo di guardare la classifica il meno possibile. La storia degli ultimi campionati ci dice che gli scudetti si vincono spesso al fotofinish. Sapete come si dice a Milano? I mort se porten via quand in frec (i morti si portano via quando sono freddi).

Non è vero che ce l’hanno tutti con noi #nonsiamomicagliinteristi

E’ solo che siamo tornati a essere antipatici. Il che non significa farci dare lezioni di stile né tantomeno far sentire la nostra voce se serve. Insomma: sì alla Juve “cazzuta” di Andrea Agnelli (parole di Flavio Briatore), no alla Juve piangina.

Smettere di pensare all’imbattibilità #nonècheportasfiga?

I tre punti contano più di qualsiasi cosa. Lippi vinse il suo primo scudetto - nella stagione 1993-1994 - con 7 sconfitte al passivo. Il che dice tutto.

Basta scrivere lettere agli arbitri #UltimeletterediCobolliGigli

Va molto bene il silenzio stampa se serve a concentrarsi e a non parlare a caldo. Meno se è un modo per farsi compatire. Altrimenti sarebbe stato meglio scrivere una lettera a Nicchi e Braschi, con Abete in copia.

Fare goal #buttiamoladentro

D’accordo, la porta la vedi o non la vedi, che l’istinto del killer di un attaccante non è qualcosa su cui si può lavorare. Ma Antonio Conte può e deve fare molto sugli schemi offensivi: l’impressione è che certi attaccanti (vedi Vucinic) facciano un gran lavoro e arrivino sotto porta un po’ appannati. Ricordiamoci di quello che fece Lippi con Gianluca Vialli, un centravanti che sembrava finito (dopo due anni di trappattonismo e di gioco spalle alla porta) e (ri)messo nelle condizioni di essere micidiale in zona gol.

Accendere un cero a Trezeguet, santo protettore dei centravanti #magariportabene

Ah, quanto servirebbe uno come il francese… Ma in questo momento ci accontenteremmo pure di un Fabrizio Ravanelli o di un Michele Padovano.

Puntare sugli uomini con personalità ed esperienza #servonolepalle

Come Del Piero, ad esempio, ma non vorremmo essere ripetitivi.

Considerare Borriello solo l’ex fidanzato di Belen #piùbellodiCorona

La Juve ha il problema del gol? L’abbiamo capito, ma Boriello non è la cura ma una causa (fra le altre). Lo dice il campo: sei presenze zero goal con la maglia bianconera. E non è che altrove brillasse per prolificità: negli ultimi 4 anni ha totalizzato 71 presenze e 26 reti con Milan e Roma, una media di 1 gol ogni 3 partite, troppo poco per la punta (ma anche la seconda punta) di una squadra che ambisce a diventare campione d’Italia.

Non cambiare modulo #nonèilmomentodegliesperimenti

È vero, gli avversari cominciano a capire come gioca la juve e quali sono le contromisure da adottare. Ma il 4-3-3, con Vidal e Marchisio a protezione di Pirlo sulla mediana, con la variante dei due esterni jolly in grado di curare sia la parte difensiva che offensiva (3-5-2), ha dimostrato di funzionare. Infortuni e squalifiche permettendo.

Ricordarsi che abbiamo vinto uno scudetto partendo da -6 a cinque giornate dalla fine #5maggiofestanazionale

D’accordo questo Milan non è scellerato come quell’Inter, ma a volte chi sta davanti ha tutto da perdere…

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LA STORIA

Batistuta racconta il suo calvario

«Non corro più, ma cammino»

Notizia già alla ribalta in agosto 2011, poi casualmente smentita.

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GaSport

14-03-2012

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___

CALCIOPOLI

Il giudice gela i legali nerazzurri

e non prescrive il caso De Santis

di ALVARO MORETTI ft.STEFANO SCACCHI (Tuttosport 14-03-2012)

«MA LEI ha fatto qualche torto all’Inter, per venire pedinato? E lei si era

accorto che qualcuno lo faceva, che controllavano la sua vita, le sue case, i

suoi telefoni?» Anche l’ignara giudice Loretta Dorigo, della prima sezione del

Tribunale Civile di Milano, ieri è entrata - con atteggiamento asettico,

neutro - nella selva oscura di Calciopoli. La domanda l’ha posta a Massimo De

Santis che chiede a lei una sentenza che ordini un risarcimento per il

dossieraggio illecito ai suoi danni confezionati dagli uomini della security

Telecom attraverso i servigi dello 007 Cipriani. «Beh, veramente no. Anzi:

nell’anno di Calciopoli - ha risposto ieri in udienza davanti al tribunale

civile l’ex arbitro - con me l’Inter vinceva, ha battuto la Juve e ha vinto

contro i bianconeri anche la Supercoppa italiana con un gol irregolare, dato

dal mio assistente. Eppoi i miei rapporti con Facchetti erano buoni: le

telefonate scoperte durante il processo di Napoli, che vi produco, lo

dimostrano. Sono rimasto molto stupito per quel che ho scoperto col caso

Telecom».

«LO DICONO I GIORNALI» Ieri mattina la prima udienza con le legali Silvia

Trupiano e Luissa Beretta e l’ad Ronaldo Ghelfi per l’Inter, gli avvocati

Lucarelli e Gallinelli con l’ex arbitro di Tivoli è stata l’apertura di un

vaso di Pandora. Per carità la questione - secondo le tesi dell’Inter - doveva

immediatamente chiudersi: prescrizione del diritto al risarcimento (dal 2002

al 2003) e totale negazione dell’input interista al dossieraggio nei confronti

di De Santis stando a quanto ha affermato Rinaldo Ghelfi ieri. «Noi abbiamo

saputo dai giornali nel 2006 di queste storie. La richiesta di 21 milioni è

strabiliante», dicevano ieri gli interisti. «Non è una questione di cifre: lo

decida lei - ha risposto De Santis alla giudice durante la fallita

conciliazione con Ghelfi -, Lei mi chiede di Calciopoli e della mia condanna,

che però è in primo grado in un processo dove non emerge nessuna frode

specifica. E le ricordo che non esiste in tutta Calciopoli una partita

incriminata che riguardi proprio l’Inter». Beh, la giudice Dorigo però non ha

chiuso lì la storia, come chiedeva l’Inter: vuole capire, leggere

approfondire. Vuole sapere che fine abbia fatto il famoso fascicolo archiviato

a modello 45 dalla Bocassini, dopo la visita di “cortesia” di Danilo Nucini

nel palazzo della Procura milanese, ad esempio. Ai legali di De Santis ha

chiesto: «Perché non lo avete prodotto in atti?». «Perché ce lo hanno sempre

negato», hanno risposto in coro. La Dorigo ha fissato i termini del 29 aprile

per la produzione di ulteriori memorie da parte di De Santis, il 15 giugno

controdeduzioni interiste. Il 24 ottobre la prima vera udienza. Se con i testi

richiesti da De Santis, altra udienza.

Modificato da Ghost Dog

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Bosman tenta il suicidio

Cambiò il calcio

e il calcio ha cambiato lui

Il belga fece riscrivere le regole sulla compravendita

dei giocatori a parametro zero. Poi l’alcol, e la depressione

di FRANCESCO CAREMANI (l'Unità 14-03-2012)

L’inferno quotidiano fatto di alcool e depressione non è più un mistero per

lui. Per questo e per tanto altro ancora Jean-Marc Bosman, l’uomo che ha

rivoluzionato il calcio europeo, avrebbe tentato di spegnere per sempre quella

luce fioca che in questi ultimi anni è diventata la sua vita.

La notizia arriva dal quotidiano belga De Standaard, secondo il quale Bosman

avrebbe tentato il suicidio, dopo essere stato dimenticato da tutto e da tutti,

soprattutto da uno sport, il calcio, che non ama affatto essere sfidato e che

ha dimostrato, ancora una volta, la propria forza distruttrice verso chi osa

opporsi.

Jean-Marc era un discreto centrocampista, prima dello Standard Liegi, con cui

nell’83 ha vinto la Supercoppa del Belgio, e poi del Liegi Rfc, aveva una

moglie, una figlia, due case e due auto di lusso. Nel 1990 giocava ancora

nella Jupiler League (la loro serie A) quando, con il contratto scaduto,

decise di trasferirsi alla squadra francese dell’Usl Dunkerque, che però non

offrì una contropartita adeguata. A quel punto il Liegi bloccò tutto,

riducendo l’ingaggio a Bosman e mettendolo fuori rosa.

È stato in quel momento che in Jean-Marc è scattato qualcosa che ha poco a che

fare con il patinato mondo del football e con le sue quotidiane ipocrisie,

qualcosa che solo alcuni uomini provano almeno una volta in tutto l’arco della

vita, il senso d’ingiustizia profondo che ti costringe a ribellarti: «Il mio

avvocato sapeva che mi avrebbero fatto sputare sangue e mi disse che potevo

fermarmi quando volevo, ma era una faccenda importante e sono andato avanti»,

ha dichiarato Bosman.

Il suo caso approda alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee in

Lussemburgo, denunciando una restrizione al commercio e la dura battaglia

legale si concluderà il 15 dicembre 1995 con la sentenza che porta il suo nome,

stabilendo che quello che gli era accaduto costituiva una restrizione della

libera circolazione dei lavoratori, contro l’articolo 39 del Trattato di Roma,

definendo così quella dei calciatori svincolati nell’area euro. Inoltre, un

giocatore può firmare un precontratto con un altro club a titolo gratuito se

quello in essere ha una durata residua, uguale o inferiore, a sei mesi.

Il metronomo del Milan Mark van Bommel fu stato uno dei primi a poter

usufruire della sentenza, lasciando il PSV Eindhoven per il Barcellona ed è

uno dei pochi che si preoccupa della salute di Bosman, grazie anche al padre,

costantemente in contatto con l’agente di Jean-Marc. L’ultima idea è quella di

organizzare una partita di beneficienza con calciatori di Milan, Bayern Monaco,

PSV, Barça e Olanda: «I soldi presi dalla Fif Pro (200.000 sterline, ndr) e

il risarcimento stabilito dalla corte (circa un milione di sterline, ndr) sono

stati inghiottiti dagli avvocati e dalle spese processuali, mentre la partita

celebrazione non s’è mai giocata e mi sono accontentato di un match con il

Lille davanti a 2.000 persone», ha raccontato Bosman.

Dopo qualche campionato nelle serie minori francesi e anche nell’isola di

Reunion, tornò in Belgio allo Charleroi per 650 sterline il mese, fino al

sussidio di 750 euro che per legge gli impedisce di convivere con l’attuale

compagna, Carine, e i due figli Martin e Samuel: nello status familiare,

perderebbe questo diritto. Il resto è fatto di alcool e depressione

(nell’ordine che preferite), di corsa verso il fondo, fino al gesto estremo,

non riuscito.

I calciatori non sono mai stati così ricchi, grazie anche alla sentenza

Bosman, peccato che nessuno abbia insegnato a Jean-Marc che nel Risiko dei

principi e dei valori il mondo del calcio recita, a memoria, il ruolo della

Restaurazione e della Controriforma.

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È tornata la (vecchia) Juve

DOPO LA SFIDA COL GENOA, AGNELLI IN PRESSING SUGLI ARBITRI

di CLAUDIO PAGLIERI (Il Secolo XIX 13-03-2012)

LE SQUADRE che vincono sono antipatiche. Partendo da questa premessa, il

presidente della Juventus Andrea Agnelli deve aver pensato di proseguire così

il suo sillogismo: se io rendo la Juventus antipatica, la Juventus vincerà. I

sillogismi però sono infìdi quanto e più degli arbitri post Moggi, e possono

portare fuori strada, in cerca di scorciatoie senza uscita.

Il nipote dell’Avvocato anche ieri è tornato a lamentarsi di presunti torti

arbitrali: «Dobbiamo essere in grado di lottare contro tutto e contro tutti».

Francamente, a Marassi contro il Genoa, la Juve avrebbe meritato di vincere

per il gioco mostrato, e aggrapparsi a un fuorigioco millimetrico è davvero

vedere la pagliuzza nell’occhio del guardalinee e non la trave con cui

Marchisio ha abbattuto Palacio in area. O, per restare al recente passato, al

baobab che impedì alla terna arbitrale di vedere il gol di Muntari parato un

metro dentro la porta da Buffon. La Juve di Ibra vinceva, l’Inter di Ibra

vinceva, il Milan di Ibra vince. Il resto è fuffa. Fra l’altro, la premessa di

quel sillogismo è sbagliata. Eccone altre su cui riflettere: il Barcellona

vince. Il Barcellona è simpatico. Il Barcellona gioca bene e non si lamenta mai.

(anche il Barcellona, per dire proprio recentissimamente, si è lamentato degli arbitraggi a favore del Real, ndt)

___

il commento di GIUSEPPE DE BELLIS (il Giornale.it 14-03-2012)

Riecco la Juventus o

solo la voglia di odiarla?

Sono giorni che nel condominio del pallone tutti bisbigliano mezze

frasi sui vertici della Juventus: la Fiat, Agnelli, Conte. "È

tornata la Juve o è tornata la proiezione della Juve sugli altri?"

La domanda è da pseudointellettuali più che da bar Sport: «È tornata la Juve o

è tornata la proiezione della Juve sugli altri?». Sono giorni che nel

condominio del pallone tutti bisbigliano mezze frasi sui vertici della

Juventus: la Fiat, Agnelli, Conte. Le lamentele dell'allenatore, poi il gol

non visto da Tagliavento a San Siro, il rigore negato al Genoa e il dossier

sugli errori arbitrali contro la Juventus: la sequenza, per i complottisti,

direbbe che la potenza mediatico-politica smarrita dai bianconeri dopo il 2006

è tornata. Ad alimentare il sospetto, ieri è stato il Secolo XIX, che in prima

pagina ha addirittura titolato: «È tornata la (vecchia) Juve». Ora, non si

ricorda una grande rivalità Genoa-Juventus, se non forse per un vecchio

gemellaggio tra i genoani e torinisti che potrebbe suggerire un ipotetico

fastidio di riflesso dei grifoni per la Juve. Ma non è mai stata una cosa

seria. Eppure il principale quotidiano della città sente l'esigenza di

attaccare Agnelli e il suo club perché s'è lamentato dell'arbitraggio di

domenica a Marassi e perché al Genoa non sarebbe stato dato un evidente rigore.

Siamo tornati all'Italia, insomma. Tutti hanno bisogno di un nemico: la Juve

ha svolto questo ruolo alla grande. Odiata da tutti per decenni, negli ultimi

anni aveva perso questa prerogativa: non solo aveva smesso di vincere, ma

faceva anche particolarmente pena. Sempre un po' improvvisata e sempre un po'

maltrattata dai suoi stessi tifosi. Agnelli e Conte l'hanno riportata su e zac,

adesso hanno ricominciato a detestarla. L'ipotesi che le questioni arbitrali

che la riguardano siano determinate dal caso è già stata sepolta: ogni

episodio favorevole che le capita diventa un indizio del ritrovato potere

bianconero. Ogni lamentela per un torto subito è la dimostrazione evidente dei

tentativi di condizionare in futuro le decisioni degli arbitri.

La breve stagione dell'Inter antipatica perché vincente è già finita. È

tornata la Juve, sì. Però resta quella domanda da pseudointellettuali: non è

che è tornata la proiezione che si ha del club bianconero? Il desiderio di

odiare qualcuno è sempre irresistibile. Così come è irresistibile la tensione

emotiva che porta a ritirare fuori i vecchi nemici: come in politica sono già

tutti pronti a tirare fuori il berlusconismo, in assenza del quale non si è

più in grado di individuare un capro espiatorio, così nel pallone riemerge la

Juventus. Nemica a prescidere e immediato richiamo a un teorico e detestabile

superpotere in grado di condizionare risultati e campionati. Basta esserne

consapevoli, poi può valere tutto: la rivalità, nel calcio, è l'unico vero

superpotere. È anche uno dei motivi per cui vale la pena essere tifosi.

Modificato da Ghost Dog

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Eccone altre su cui riflettere: il Barcellona

vince. Il Barcellona è simpatico. Il Barcellona gioca bene e non si lamenta mai.

Mi pare, invece che proprio il Barcellona abbia intrapreso un'azione giudiziaria nei confronti del Real.

O sbaglio?

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Notizia che fa a cazzotti con il meta-lupo in firma, ma stavolta meritano davvero

___

L'OIPA: «NON SI FA ABBASTANZA CONTRO LA STRAGE». ABETE ALL'ENPA: «SEGUIAMO IL PROBLEMA»

Basta massacri di cani in Ucraina

La protesta della curva Nord dell’Inter

Un grande striscione esorta la Uefa a prendere posizione

contro i rastrellamenti attuati in vista di Euro 2012

della redazione online Corriere.it 14-03-2012

MILANO - Alla fine le cose sono andate come sono andate e per quanto riguarda

la Champions, l'Inter si è giocata la sua occasione. Ed è andata male: la

vittoria per 2-1 sull'Olympique Marsiglia non è bastata alla squadra di

Ranieri per passare il turno. I nerazzurri e i loro tifosi per questa stagione

non avranno più a disposizione il palcoscenico europeo, ma in occasione

dell'ultima performance lo hanno utilizzato nel migliore dei modi per mandare

un messaggio chiaro alla Uefa: fermare subito il massacro di cani randagi in

Ucraina, da dove continuano ad arrivare notizie di rastrellamenti e successive

soppressioni con l'obiettivo di ripulire le strade e fare bella figura con i

tifosi che arriveranno nel Paese per l'Europeo 2012.

MESSAGGIO A PLATINI - Un grande striscione esposto in curva Nord ha chiesto

di fermare la carneficina. E ha avuto, tra gli altri, un destinatario molto

speciale: Michel Platini, presidente della Uefa, presente sugli spalti. La

protesta è seguita da vicino dall'Oipa, l'Organizzazione internazionale

protezione animali, che ha un proprio delegato in Ucraina, Andrea Cisternino,

impegnato sia sul fronte della denuncia degli abbattimenti sia su quello più

«diplomatico» del dialogo con le autorità locali. Proprio Cisternino aveva

lanciato l'idea di utilizzare gli stadi come megafono per la protesta contro

lo sterminio di cani.

«UCCISIONI SISTEMATICHE» - «Dopo decenni di gestione inesistente del

randagismo - fa notare l'Oipa -, le istituzioni hanno deciso di affrontare il

problema del sovrannumero di cani randagi pianificando uccisioni sistematiche

con avvelenamenti, colpi di arma da fuoco e forni crematori mobili.

L’incremento di tale barbarie ha coinciso con la decisione della Uefa di

designare il Paese come sede, insieme alla Polonia, di Euro 2012. Ecco perché,

oltre ad appellarci e a fare pressione sulle istituzioni locali, chiediamo

alla Uefa di prendere una posizione forte, non limitandosi a dissociarsi da

quanto sta accadendo».

ANCHE LA FIGC IN CAMPO - Non è solo l'Oipa, tra le associazioni animaliste,

ad essersi fatta carico della questione. Nei giorni scorsi la presidente

nazionale dell'Enpa, Carla Rocchi, aveva scritto una lettera a Giancarlo Abete,

presidente della Figc. E Abete ha risposto spiegando che «il problema

evidenziato è seguito con grande attenzione da parte della Federazione

Italiana Giuoco Calcio che opera in stretta sintonia con la Uefa» e che la

stessa Uefa, in qualità di organizzatore del torneo, «sta attivando ogni utile

intervento al riguardo in tutti gli ambiti sportivi e istituzionali

possibili». «Purtroppo - commenta però Carla Rocchi, che ha comunque

apprezzato la replica di Abete -, nonostante la pressione internazionale sulle

autorità ucraine e nonostante alcune rassicurazioni fornite al riguardo da

esponenti del governo ucraino, non sembrano esserci ancora sviluppi favorevoli

per i randagi. Tifosi, calciatori, squadre di club e rappresentative nazionali

possono dare un contributo fondamentale a questa lotta di civiltà, per evitare

che un momento di gioia, di spensieratezza, di festa collettiva continui ad

essere macchiato con il sangue di animali.

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Eccone altre su cui riflettere: il Barcellona

vince. Il Barcellona è simpatico. Il Barcellona gioca bene e non si lamenta mai.

Mi pare, invece che proprio il Barcellona abbia intrapreso un'azione giudiziaria nei confronti del Real.

O sbaglio?

si sono denunciati a vicenda a vicenda in primavera e per condotta antisportiva e per la faccenda del doping (controlli a sorpresa al Barça su insinuazioni dei madridisti, c'era di mezzo anche l'emittente Cadena Cope, radio cattolica di Madrid vicinissima al Real)

comunque adesso il Barça è sul piede di guerra per i torti subiti e ha fatto pure un dossier: quando s' è accorto che lo stan fregando, altro che smile...

l'ho scritto nelle news

Anche il Barça ha il suo dossier - L'ultimo turno ha portato i veleni arbitrali ad intossicare anche la Liga: il Real infatti è passato per 3-2 sul campo del Betis Siviglia, ma buona parte del merito, dicono i catalani, è stata dell'arbitro che ha ignorato due evidenti falli di mano rispettivamente di Xabi Alonso e di Sergio Ramos. E i due falli sono finiti dritti filati nel dossier 'La mano bianca' che contiene altri due 'episodi': una 'parata' di Higuain in quel di Valencia (che ha consentito ai madridisti di portare a casa il 3-2) e un mani di Pepe a Getafe (che ha salvato lo 0-1). Senza questi errori il divario tra la capolista Real e il Barça non sarebbe di dieci punti, ma al massimo di tre. Senza contare gli errori contro i blaugrana, come un goal annullato a Messi a Getafe; senza contare i rigori non concessi al Barça; senza contare le espulsioni tra gli avversari del Real; senza contare le aggressioni impunite di Pepe e Sergio Ramos... Il Mundo Deportivo arriva ad affermareche "la quantità di aiuti arbitrali al Real Madrid non ha precedenti, per lo meno da quando esistono le immagini delle partite per intero"; e continua prospettando l'esistenza di una regia televisiva e mediatica che censura i favori fatti al Real, per favorirne la corsa; fa addirittura l'elenco delle emittenti che sarebbero al servizio del Real: TVE, La Sexta, Canal Plus.

angeloribelleelupisoli.jpg

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La Roma, calciopoli e le domande che nessuno fa

di Gianluca La Penna - Radiosei -12-03-2012

C’era una volta un re che disse alla sua serva raccontami una favola e la serva incominciò…Chissà se l’allora maggiore dei carabinieri, Attilio Auricchio, e il direttore sportivo della Roma, Franco Baldini, nei loro incontri, collocabili tra fine 2004 e prima metà del 2005 pensavano all’incipit della canzone di Daniele Silvestri, L’Uomo col megafono. Proprio il legame tra l’investigatore e l’alto dirigente giallorosso occupa pagine importanti nelle motivazioni depositate il 6 febbraio dal Collegio presieduto da Maria Teresa Casoria al termine del processo di I grado che ha portato alla condanna di Moggi per associazione a delinquere, senza dimenticare le pene inflitte, reato di frode sportiva, al presidente della Lazio, Claudio Lotito, e al patron della Fiorentina, Diego Della Valle. I rilievi della Casoria sono chiari, univoci e poco interpretabili, frasi che possono solo alimentare i dubbi di chi non ha condiviso appieno il modus operandi degli inquirenti, partendo dalla prima, banale quanto logica domanda: “Ma quale inquirente per indagare sul mondo del calcio chiede aiuto ad un dirigente, come Baldini, il cui coinvolgimento potenziale nello sviluppo del processo, a priori, non poteva essere escluso da nessuno, Auricchio in primis?”. Già a pagina 101, quando il tribunale spiega, correttamente, come “il dibattimento sia il luogo nel quale si forma la prova”, riferendosi a Baldini, scrive letteralmente di un pm costretto a “incassare l’esternazione a freddo del teste (d’accusa), indicativo del suo malanimo con il quale ha dato l’avvio alla collaborazione con l’investigatore ufficiale Auricchio”. Le parole in questo caso sono importanti, come i dettagli fanno la differenza: quindi non era il fuoco sacro di Olympia (quella lasciatela ai laziali, almeno quella, ndr) a indurre Baldini a collaborare con Auricchio, c’era dell’altro? E se sì, cosa? Se a pagina 101 si parla di “collaborazione”, a pagina 56, come già evidenziato dalla profonda analisi di Chiocci sul Giornale, la giudice Casoria usa un’espressione più indicativa del tipo di rapporto tra l’ufficiale e il dirigente: “Il primo ottobre 2010…veniva esaminato il teste Baldini Franco, in atto general manager della nazionale inglese, grande suggeritore d’accusa, per collaborazione con l’investigatore Auricchio, dichiarata da entrambi”. La terza domanda sorge spontanea: cosa voleva suggerire Baldini, c’era un ritorno personale suo, o indirettamente, della squadra, la Roma, per la quale aveva prestato servizio fino al marzo 2005? Ovviamente nessuno conosce le risposte, ma certo se le domande neanche vengono fatte…In realtà, Baldini viene ascoltato da Auricchio, il 15 aprile 2005, un incontro a due cui presiede solo Auricchio, in assenza di altri testimoni. Torniamo alla Casoria. Il presidente del collegio, dai modi a volte sgarbati ma decisamente competente quanto coraggiosa (tre richieste di ricusazione, tra cui quella del pm Narducci e delle sue due colleghe giudici respinte con pieno successo, altro anomalo record di questo processo, ndr) a pagina 429 torna sulla bontà delle intenzioni di Baldini. Riferendosi a Moggi, ribadendo la sua capacità di muoversi nelle istituzioni, “alla sua ampia possibilità di manovra”, Casoria rispetto alla telefonata 8222 del 4 aprile 2005 tra Baldini e il vicepresidente Figc, Innocenzo Mazzini, verga decisa: “La conversazione svilisce la genuinità del discorso intavolato tra Baldini e Auricchio agli albori dell’indagine”. Ci risiamo, allora ci chiediamo, e quattro: perché questa conversazione non è stata portata all’attenzione dell’accusa da Auricchio ma dalla difesa di Moggi che l’ha depositata in tribunale? Che questa domanda sia lecita ce lo dice, indirettamente, proprio la Casoria, basta proseguire con la lettura. Arriviamo a pagina 437: «La conversazione è significativa anche perché presenta la comunanza di fiume di parole e discorsi di ampia portata, da cui il pm ha tratto elementi per dimostrare l’esistenza dell’associazione avente il capo in Moggi». Ovvero, si domanda la giudice, perché questa telefonata che contiene spunti interessanti, anche per sostenere le tesi degli investigatori, non è stata utilizzata? Il sospetto è ancora più giustificato se pensiamo ad una frase contenuta nel colloquio, una previsione che avrebbe meritato, visto anche il metro utilizzato verso altri imputati, un diverso approfondimento. Baldini, rivolgendosi a Mazzini afferma: «Forse, se tu ti comporti bene, quando farò il ribaltone e tanto lo farò perché io vivo per quello, fare il ribaltone e butterò tutti di sotto dalla poltrona (…) io ti salverò, forse». Ormai siamo alla question number six: cosa intende Baldini per ribaltone, chi deve entrare al posto di chi? Ovviamente nessun intende fare un processo mediatico, non c’è alcuna prova di illecito in quelle frasi, ma una convocazione da Palazzi sarebbe stata doverosa, se pensiamo che il capo della Procura Federale pochi mesi fa ha aperto un fascicolo per una litigata fra Lotito e un giornalista viene da ridere, anche se qui abbondano le lacrime, non certo i sorrisi. Qualche risata in realtà l’abbiamo ascoltata, nella telefonata del 21 maggio 2005, quando Mazzini chiama Pradè, siamo alla vigilia di Atalanta-Roma, partita chiave per la salvezza di entrambe poi vinta dalla Roma con gol di Cassano, arbitro Bertini, condannato a Napoli, possessore di scheda svizzera. Questo il contenuto integrale:

M. “Sono Innocenzo Mazzini, sono il tuo presidente…”

P. “Mamma mia, ma come è possibile che non rispondo a te, ma scherzi. Con

quello che stai facendo per noi. Non lo avevo sentito Innocenzo…Ce l’ho… Avevo

il vibra….”

M. “Dimmi un po’ come tu vai”

P. “Eh, che ci devi da’… Lo sai che punto molto su di te eh?”

M. “Oh, che devo fare di più?”

P. “Niente, devo passare domani e poi c’è un grande futuro. E anzi, se passate

domani mi piacerebbe tanto incontrarti e parlarti. Anche la dottoressa Sensi.

Incontrarci”

M. “Comunque troverai un ambientino… Meno male che tu sei tutelato molto…

Perché c’è un grande arbitro”

P. “Quanto grande?”

M. “Grandissimo…”

P. “Vabbò…”

M. “Per cui… Mi raccomando a te. Determinazione, voglia, corsa…. tutte cose

dovresti avere però non lo so se tu ce l’hai”

P. “Non ce l’ho”

M. “Però tielli insieme dai, forza”

P. “D’accordo. Grazie Innocenzo”

M. “Ci sentiamo settimana prossima a salvezza tocchiamoci le palle, va bene?”.

Riassumendo, Mazzini tranquillizza Pradè, “sei tutelato…hai un arbitro grandissimo”, e, se questo non bastasse, Pradè invita Mazzini a passare, “c’è un grande futuro. E anzi, se passate

domani mi piacerebbe tanto incontrarti e parlarti. Anche la dottoressa Sensi.

Incontrarci”. Quindi, passateci la battuta, er proggetto della Roma parte dal 2005, Baldini parla di ribaltone, Pradè di “Grande futuro”. Che anche questo non sia stato oggetto di approfondimento da parte della giustizia sportiva appare anomalo, decisamente iniquo se si pensa alla Fiorentina, e al peso che il famoso pranzo di Della Valle con i designatori ha avuto nella condanna dei gigliati. Ma, come canterebbe Mia Martini, “non finisce mica il cielo”. Prima di questa telefonata, grazie al lavoro di Penta ne è sbucata un’altra, registrata prima del derby del 15 maggio 2005 mestamente finito 0-0, quello del labiale Cassano-Liverani. Anche qui il testo è decisamente imbarazzante.

Dirigente Roma: Ci vuole una persona di spessore

Dirigente FGCI: chi hanno in mente loro?

DR: hanno in mente lui…come fai se non ti salvi?”

DF: Non c’è dubbio”

DR: Che poi sta poraccia (la Sensi) stà cosi. Ha bisogno di qualche segnale dall’alto… se qualcuno gli dà un segnale di tranquillità… lei prende una boccata di ossigeno…secondo me un segnale bisogna darglielo”

DF: Fai cosi’..quando si organizza il pranzo con * a Roma… magari poi lui va a prendere un caffè da Rosella Sensi…

DR: Anche per tranquillizzarla capito?

DF: Va bene te lo prometto… o mercoledi o giovedi.

Detto che le colazioni in casa Roma vanno di moda, leggi il caffè in Campidoglio voluto da Veltroni tra Giraudo e Rosella Sensi, convivio che portò all’addio di Baldini, in questa telefonata emergono due fatti gravi: la richiesta di un segnale dall’alto da parte di un dirigente della Roma; ancora un pranzo da celebrare tra Sensi e Mazzini. Tornando al lavoro di Auricchio, e al “grande suggeritore” Baldini come scrive Casoria nelle motivazioni, ci domandiamo come sia possibile che, esclusa la stampa che spesso davanti alla Roma canta “Zitti zitti il silenzio è d’oro”, nessun giudice, nessun inquirente, si chieda come siano giustificabili certe lacune investigative e, soprattutto, perché queste telefonate siano state nascoste alla pubblica opinione perché non rilevanti. C’è un’ultima domanda, lasciata inevasa da Auricchio e il suo gruppo dio lavoro. La telefonata è la 32727, parlano Bergamo e Carraro dopo il pessimo arbitraggio di Racalbuto che in campo danneggia la Roma. L’allora presidente Figc è alterato perché aveva chiesto attenzione. Il passaggio chiave è il seguente:

C: “State attenti, perché io sono stufo, il sintomo che non conta un c…è che si dia un rigore che comunque è al limite dell’area, è al limite dell’area!. Allora, quando un arbitro dà un rigore al mite dell’area, vuol dire che gli scappa che la Juventus voglia, debba vincere la partita.

B: Be’, questo…Racalbuto era preparato a fare il contrario…

Quindi, Racalbuto era preparato, dice il designatore Bergamo, a favorire la Roma? Anche questo non lo sapremo mai, con buona pace della giustizi sportiva e di Auricchio, nel frattempo spostatosi insieme con il pm Narducci, a lavorare al fianco del sindaco De Magistris. Scurdammoce ‘o passato,. simmo ‘e Napule, paisá.

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LA STORIA

Batistuta racconta il suo calvario

«Non corro più, ma cammino»

«C'è stato un momento in cui stavo malissimo. Ora va meglio»: lo confida Gabriel Batistuta, ex nazionale argentino, bandiera della Fiorentina a France Football

13 marzo 2012

http://corrierefiore...664300161.shtml

BATISTUTA

« Au Barça ou à Manchester,

j'aurais été Ballon d'Or »

DE RETOUR DANS LE MILIEU comme directeur sportif du Colon de Santa

Fe, celui qu'on surnommait « Batigol », meilleur buteur de la sélection

argentine (56 buts en 78 sélections), n'éprouve pas de regrets.

Quoique ...

di FLORENT TORCHUT (FRANCE football | MARDI 13 MARS 2012)

SIPT ANS QUE BATISTUTA A RACCROCHÉ.

Mais, en décembre, il est sorti de sa retraite pour revenir dans le milieu et

devenir directeur sportif du Colon de Santa Fe, un club de l'élite qui aspire

à terme à remporter son premier titre. «On a fait venir Gabriel Batistuta afin

qu'il nous apporte son expérience et son image », explique German Lerche,

l'ambitieux président du club depuis 2006, proche du président de la

Fédération argentine, Julio Grondona, et dont on dit qu'il pourrait lui

succéder dans quatre ans. Colon bénéficie déjà d'installations de pointe: huit

terrains, un gymnase, un centre de formation flambant neuf. L'influence

Batistuta se fait déjà sentir: il y a deux semaines, son ami Roberto Sensini

(59 capes) est devenu l'entraîneur d'une équipe où évoluent entre autres

Chevanton, l'ancien Monégasque, l'ex-Lensois Fuentes ou Federico Higuain, le

frère aîné du Madrilène. C'est dans les jardins de l'hôtel quatre étoiles

appartenant au club que Batigol s'est ouvert à FF.

« Vous aviez quasiment disparu de la circulation depuis 2005 et votre

retraite à Al-Arabi (Qatar). Qu'avez-vous fait depuis?

Rien (silence). Je n'ai rien fait d'important. Je me suis reposé. J'ai joué au

polo, au golf...

Vous ne voullez plus entendre parler de football?

J'étais vraiment fatigué, stressé. J'avais pas mal de pression par rapport à

ce que j'avais réalisé dans ma carrière. Je devais me montrer à la hauteur. À

trente-trois ans, cela devenait de plus en plus difficile. J'ai toujours été

professionnel, je voulais maintenir le rythme et je n'y arrivais plus vraiment,

c'est pourquoi j'ai décidé d'arrèter.

On a souvent dit que vous n'étiez pas un passionné, que vous n'aviez

jamais rêvé d'être professionnel...

Je n'ai jamais pensé devenir footballeur. Il a toujours existé ce mythe comme

quoi je n'aime pas le football. Mais j'ai toujours adoré jouer, m'entrainer,

etre sur le terrain. En plus, cela a toujours été naturel pour moi. Par contre,

je n'aime pas toutes les polémiques autour.

Il paraît que vous aurlez voulu être médecin...

Mais il y a beaucoup de médecins qui jouent au foot! Je me suis seulement

rendu compte que le football pouvait me permettre de gagner de quoi manger. . .

Joueur, vous déclariez ne pas regarder de matches...

Désormais, j'en regarde davantage. Avant, je jouais, c'était mon métier. Je

cherchais à prendre mes distances une fois ma journée terminée. C'était ma

philosophie de vie, il n'empêche que le football m'a toujours plu.

Pourquoi revenir maintenant dans ce monde?

Cela fait sept ans que je me suis retiré. J'en ai profité pour me détendre,

mais j'attendais une opportunité (NDLR: de revenir).

Le football, c'est mon truc. C'est ce que je sais faire. Le président de

Colon est venu me voir et je lui ai dit oui, car nous partageons la même

vision du football.

Qu'est-ce qui vous a séduit dans ce projet?

Tout d'abord son sérieux, ensuite le fait que le club s'appuie beaucoup sur la

formation de joueurs, leur enseigne que le football va au-delà d'un simple

ballon. Je n'aime pas seulement participer, j'aime aussi gagner. Colon

progresse, mais n'a jamais été un club d'élite. Il est temps de faire le grand

saut C'est cette idée qui m'a enthousiasmée.

Quelles sont vos fonctions au sein du club?

Je collabore avec le président pour toutes les questions liées au football. Je

suis de près l'équipe première et les jeunes du centre de formation, je donne

mon avis sur ce que j'estime qu'il faut améliorer. Je supervise également les

transferts.

Comment expliquez-vous que la sélection - malgré ses grands noms,

malgré Messi! - ne parvient plus à gagner sur la scène internationale?

Messi est un phénomène qui évolue dans une équipe comptant plusieurs

phénomènes. Il appartient à un groupe qui s'appuie sur une vraie philosophie.

Un garçon de treize ans de la Masia (le centre de formation de Barcelone)

pense déjà de la mème façon qu'un joueur de l'équipe première. C'est un

exemple à suivre. Il faut cnostruire une identité de jeu qui perdure. Chaque

formation a son identité. On ne va pas demander aux Italiens de jouer bien, de

briller: on sait qu'ils préfèrent le jeu défensif, la contre-attaque. Le

Brésil a toujours eu des latéraux qui débordent et qui centrent. Ils ont su

conserver leur identité. C'est ce que nous devons rechercher.

Vous avez disputé trois Coupes du monde. Laquelle vous laisse plus de

regrets?

Toutes. Les trois fois, nous y sommes allés pour gagner. En 1994, nous aurìons

pu la gagner tranquìllement avec Maradona. Sans lui, cela restait faisable.

Mais face à la Roumanie (défaite de l'Argentine 3-2 en huitièmes de finale),

on a dû tirer trente fois au but, eux trois fois et ils nous ont mis trois

buts ... En 1998, nous avions une équipe jeune. Contre les Pays-Bas (défaite

2-1 en quarts), je tire sur le poteau et, sur l'action suivante, ils marquent

sur contre-attaque. Si j'avais réussi moo tir, nous ne serions peut-être pas

là à parler de tout ça... Enfin, en 2002, tout le monde disait que nous

allions gagner la Coupe et au final nous n'avons même pas passé le premier

tour!

Vous avez joué neuf ans à la Fiorentina, avant de partir à la Roma

pour enfin décrocher le Scudetto, en 2001. Regrettez-vous de ne pas

être parti avant?

Non, je suìs resté parce que je volùais rester. Je voulais gagner le

Championnat avec un petite équipe, pour marquer l'histoire. Je suis fier que

de grandes formations soient venues me chercher. Gagner un titre avec

Manchester à cette époque, c'était assez facile. Gagner un Championnat avec

quinze poìnts d'avance, ça ne m'attirait pas vraiment. Je voulais marquer des

buts contre les plus grands défenseurs d'Italie, les meilleurs de la planète à

l'époque. Si j'étais parti, j'aurais inscrit plus de buts, j'aurais pu

remporter la Liga ou la Premier League. Je me rappellerai toujours ce pourquoi

je me suis battu. J'aurais gagné le Ballon d'Or si j'avais joué au Barça ou à

Manchester. . . Mais je voulais gagner avec la Fiorentina.

Il n'existe plus de renards des surfaces de votre trempe...

Aujourd'hui les numéros 9 courent partout, ne vivent plus exclusivement du

but. Nous occupions la surface, c'était notre travail. Mais le jeu a évolué,

les avants-centres participent davantage au jeu collectif. À mon époque, on

nous demandait avant tout de marquer des buts.

L'an dernier, des rumeurs ont circulé sur votre santé. On a dit que

vous aviez des problèmes pour marcher. Est-ce la vérité?

Je ne peux plus jouer au football parce que je ne peux plus courir, mais je

marche assez bien. Je dois reconnaître qu'il y a eu un moment où je me suis

senti très mal. Je ne pouvais presque plus marcher.

À cause des multiples infiltrations subies au cours de votre carrière?

Oui, mais je n'en ai pas non plus reçu autant que ça. Je jouais tout le temps.

Sur une saison à soixante-dix matches, j'en disputais soixante-cinq. Je me

donnais toujours à food. J'avais du mal à accepter de ne pas jouer à cause

d'une blessure. Si je devais le refaire, je ferais peut-être plus attention à

moi, mais sans doute pas trop non plus. J'aimais marquer, sentir le public.»

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Modificato da Ghost Dog

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la Rovesciata di ROBERTO BECCANTINI (GaSport 15-03-2012)

Quella strana moda

del «ritornismo»

Roba da Gattopardi

Allenatori esonerati e poi richiamati:

tutto cambia per restare come prima...

Siamo riusciti a trasformare una malattia in una passione. Spacciato

per la pastiglia che sopprime il mal di testa, il «ritornismo» è

l'emicrania che cura la pillola. In principio fu Franco Carraro, nato

in una culla a forma di poltrona, e di lì non più sceso. Antonio

Matarrese cominciò dalla Lega per poi ritornarvi, prigioniero di quel

senso del dovere che in Italia, spesso, diventa colla. Naturalmente,

la riserva di caccia più vasta e variopinta coinvolge gli allenatori.

Marcello Lippi fu ct due volte, e due volte mister della Juventus, con

la quale vinse e rivinse, mentre in Nazionale fu primo in Germania e

ultimo in Sud Africa. Neppure Silvio Berlusconi si negò il vezzo di

ricondurre all'ovile le pecorelle smarrite: prima Arrigo Sacchi, poi

Fabio Capello. Non fu la stessa cosa, ma questo è un altro discorso.

Andò meglio al Real, con Capello: scudetto e ri-scudetto a distanza di

dieci anni.

I casi più recenti riguardano il Novara, da Tesser a Mondonico a

Tesser, e il Cagliari, da Ficcadenti a Ballardini a Ficcadenti. Si

tende a giustificare il ritornismo con l'idea del risparmio: in

fin dei conti, ci si riappropria di un tecnico già a libro paga. Massimo

Cellino a Cagliari e Maurizio Zamparini a Palermo sono acrobati

spericolati e specialisti efferati. Con Zamparini, ci cascò addirittura

Francesco Guidolin: coccolato, esonerato, reintegrato. E pure Delio

Rossi non seppe resistergli: sostituito da Cosmi, ritornò a furor di popolo

e fece in tempo a guadagnare la finale di Coppa Italia, persa contro l'Inter

di Leonardo.

Il ritornismo significa idee confuse e polso infermo. Lo praticano

anche all'estero, non però con la voracità degli italiani. D'accordo,

il futuro è un posto diverso, e non necessariamente migliore, ma se

torniamo sempre indietro, sarà difficile uscire dal labirinto. L'alibi del

risultato è la foglia di fico che non si nega a nessuno, tanto

meno a un presidente isterico. Nel frattempo, la perversione

di riattaccare i cocci della classifica con «quello che c'era prima» ha

toccato picchi grotteschi. Hanno ceduto perfino a Novara, l'isola che,

nell'immaginario popolare, aveva preso il posto del Chievo, la fiaba

del quartiere e dei «mussi» volanti fino a Bettarini testimonial e

agli schizzi di Scommessopoli.

In alcuni casi funziona, in altri no. Resta il dilemma di chi giri

attorno a chi: se il presidente al tecnico, o il tecnico al

presidente. Penso, ogni tanto, a cosa sarebbe diventato il Palermo se

Zamparini avesse tenuto Guidolin per una decina d'anni, come fece il

Verona con Osvaldo Bagnoli. Altri tempi, d'accordo: ma non è che il

metodo dell'usa, getta e riusa abbia portato lontano.

Siamo, a pieno titolo, gli eredi del «Gattopardo»: qualcosa

doveva cambiare perché tutto restasse come prima. Qualcosa o

qualcuno. Nella speranza che una botta di fortuna faccia passare il ritorno

come una scossa e non già come una mossa: la solita. Ci piace vivere

sospesi fra trasformismo e trasformazione, felici che i clienti dei bar sport

non colgano la differenza. Gira il calcio gira nello spazio senza fine,

tanto per scimmiottare il Mondo che Jimmy Fontana cantava negli anni

Sessanta. Senza fine o senza inizio?

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