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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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DINO ZOFF

NEI MIEI PRIMI 70 ANNI

HO PARATO TUTTO.

PERSINO BERLUSCONI

IL COMPLEANNO DEL PORTIERE-LEGGENDA CHE,

NELL’82, VINSE I MONDIALI. UNA STORIA DI SERIETÀ

«FRIULANA» ANCHE DA ALLENATORE AZZURRO,

SINO ALL’INCIDENTE COL CAVALIERE NEL 2000.

RIMPIANTI? NON ESSER RIUSCITO A PULIRE IL CALCIO

di MAURIZIO CROSETTI (IL VENERDI DI REPUBBLICA | 27 GENNAIO 2012)

Intervista letta stamattina.

Commosso.

Riletta nel pomeriggio.

Commosso.

Mi spiace per l'intervistatore.

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Notizia del 27 gennaio 2012 - 15:03

Alessandro Diamanti ha già provveduto a infiammare il clima che precede la sfida tra Roma e Bologna in programma domenica pomeriggio.

Infatti il trequartista ex Brescia e West Ham, ha dichiarato davanti ai microfoni a Casteldebole: "Totti è una bandiera della Roma? Le bandiere non esistono, bandiera è chi gioca gratis per la propria squadra. Anche io vorrei essere bandiera di una squadra e prendere dieci milioni all'anno".

E poi sulla partita: "Abbiamo imparato dagli errori di un mese fa. Abbiamo lavorato tutta la settimana per non commettere gli stessi errori che abbiamo compiuto nella sfida d'andata al Dall'Ara".

La sfida è già aperta e la sfida tra i due campioni è iniziata con un paio di giorni d'anticipo

Da libero.it

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L’intervista

“Ci fu accordo già nel 2000, nella gara con la Pistoiese di Allegri”

Doni: sì, ho truccato le partite

confessino anche gli altri corrotti

Parla l´ex capitano dell´Atalanta travolto dal calcioscommesse: "Era

truccata anche la partita con la Pistoiese di Allegri nel 2000, però

venimmo assolti. Ma oggi, se me lo chiedono, posso raccontare"

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 28-01-2012)

NOMINA l’Atalanta e si commuove. Tira la testa indietro di scatto, per

trattenere le lacrime. È l’orgoglio. Poi torna a sorridere, beve un sorso di

caffè, il secondo della mattina, alza la voce, e cerca di spiegarsi. È un uomo

a disagio, Cristiano Doni.

Perché ha capito che la sua nuova vita non prevede più un pallone tra i piedi

24 ore al giorno. E non c´è niente di peggio per un calciatore. La verità è

che ha buttato via tutto. «E la cosa peggiore - dice - è che ancora non ho

capito perché l´ho fatto, come è stato possibile. L´unica speranza è che

almeno la mia storia serva da lezione agli altri».

Partiamo da qui. Qual è la morale della storia di Cristiano Doni?

«Non so se ce ne è una. Magari ce ne sono molte. Io spero solo che gli altri

calciatori vedano quello che mi è successo e capiscano. Non siano tanto

imbecilli e facciano quello che in queste ore sta facendo Masiello. È stato

molto coraggioso e, diversamente da me, ha avuto l´intelligenza di denunciare

tutto per tempo. Spezzare quell´omertà che sta devastando il calcio».

Se lei allora si fosse comportato come Masiello fa oggi, cosa avrebbe

denunciato?

«Avrei denunciato le mie colpe che sono, ci tengo a dirlo, relative a due soli

episodi: Ascoli-Atalanta e Atalanta-Piacenza».

La partita del portiere Cassano che le dice dove tirare il rigore.

Come andò?

«La settimana prima giocavamo contro l´Ascoli e alla vigilia mi dissero che la

gara era truccata. Io dissi ok, bene, volevo andare in A, era perfetto. Poi

invece in campo mi accorsi che non era vero e infatti pareggiammo (ma mi rendo

conto che il risultato, non cambia le cose). La settimana dopo c´era il

Piacenza, e mi dissero nuovamente che la partita era truccata. Io non ci

credevo, poi invece in campo mi accorsi che era vero. Tanto che Cassano al

momento di calciare il rigore mi disse "tira centrale che io mi tuffo"».

Lui nega.

«Andò esattamente così. Tanto che io vissi anche alcuni momenti di panico,

perché non sapevo che anche lui era d´accordo e ogni tanto capita che i

portieri avversari cerchino di imbrogliarti… Così quando andai a battere ero

davvero incerto se dargli retta o no».

A proposito di omertà. Raccontiamo una volta per tutte la verità su

Atalanta-Pistoiese del 2000? Giacomo Randazzo, ex dirigente

dell´Atalanta, racconta che quella partita fu una combine: un accordo

nato per scherzo al ristorante durante una cena (oltre a Doni, erano

presenti tra gli altri l´attuale allenatore del Milan Allegri,

Siviglia e Zauri) e poi davvero attuato in campo. Lei cosa dice?

«Che sì, è così non posso continuare a dire diversamente. È un episodio

lontano nel tempo, ma se qualcuno mi vorrà chiedere spiegazioni gliene darò.

Ci indagarono poi ci assolsero, molti ancora oggi credono che la mia esultanza

"a testa alta" sia nata da quell´episodio. Invece no: era il frutto di uno

scherzo con Comandini, un gioco che si faceva da ragazzini quando uno alzava

la testa e diceva "ritiro" dopo aver insultato qualcun altro».

Le sue responsabilità finiscono qui? O ci sono altri episodi?

«Ho commesso due errori, gravi, ma solo questi due errori».

Circolano voci diverse, dicono persino che lei avrebbe fatto

retrocedere apposta l´Atalanta per favorire il suo "amico" Percassi

nell´acquisto della società.

«È una bestemmia. Io per la maglia dell´Atalanta ho dato il sangue. E anche

gli errori che ho commesso li ho commessi perché volevo riportare l´Atalanta

in A. Per me era un´ossessione. Avrei fatto qualsiasi cosa. Anzi, ho fatto

qualsiasi cosa. Ho tradito lo sport».

Quanti sono i calciatori che "tradiscono lo sport"?

«Molti, troppi. In B più che in A perché a parte 3 o 4 club, gli altri pagano

poco, anche 20mila euro l´anno. E così i calciatori sono più corruttibili.

Però in generale sono molti, sì, è un problema culturale».

Suona tanto come una scusa. Può spiegarlo questo "problema culturale"?

«Da noi c´è l´abitudine di non infierire sull´avversario, di non mandare in B

un collega in pericolo se non c´è un motivo di classifica, di mettersi

d´accordo. In Spagna ad esempio non è così. Da noi invece capita che in campo

ti chiedano il risultato, è capitato anche a me sia di chiedere sia di avere

avuto richieste. E su queste abitudini da quando hanno legalizzato le

scommesse "campano" tutti: gli ingenui, gli amici, i balordi, i mafiosi. E il

problema assume altre proporzioni. Ma il punto di partenza è un difetto

culturale che non riguarda solo i calciatori, ma anche gli altri protagonisti,

gli arbitri che vedono tutto e non fanno nulla, il quarto uomo, gli

osservatori della Figc, i giornalisti… Perché non è mai successo nulla tutte

le volte che un giocatore è stato inseguito negli spogliatoi dagli avversari

dopo un risultato "inatteso"?».

È un difetto culturale anche non capire che tradire lo sport e tradire

l´Atlanta è la stessa cosa.

«Lo so. Ma sarei un´ipocrita a dirle che non considero un´attenuante aver

sbagliato pensando di favorire la mia squadra».

Ecco, infatti, non è un´attenuante.

«E io sono pentito di quello che ho fatto. Anche perché sono finito in

carcere. E il carcere aiuta molto a capire i propri errori».

Un campione in carcere. Che effetto fa?

«Orrendo. Sono venuti a prendermi all´alba. A proposito non è vero che sono

scappato. Non è vero che pensavo fossero i ladri. Tutte minchiate. Pensavo

fosse una semplice perquisizione. Poi invece mi hanno detto che mi portavano

in questura a Bergamo in stato di fermo. E di lì sono andato in carcere, a

Cremona. Per strada continuavo a pensare a mia figlia a scuola, era sempre

stata orgogliosa di suo papà, il Capitano». Di nuovo, tira indietro la testa.

Poi riprende: «Quando si sono chiusi i cancelli alle mie spalle ho ripensato a

tutti i film che avevo visto sul carcere e ho detto tra me e me che "dal vero"

era molto peggio. Il carcere era davvero affollato, come dicono in tv, anche

se io ho avuto la fortuna di avere una cella singola. Ho preso alla biblioteca

Esco a fare due passi, il libro di Fabio Volo e ho cominciato a leggerlo. Ma

mi distraevo. Di notte faceva freddo. E io non dormivo. Non dormivo neanche di

giorno. Non dormivo mai. Pensavo alla cazzata che avevo fatto. A come era

potuto succedere, a mia figlia, a mia moglie, all´Atalanta e non vedevo l´ora

di andare dal giudice a raccontare tutto. E da questo punto di vista devo

ammettere che sono stati tutti bravi… Il poliziotto che mi ha arrestato, il

giudice Guido Salvini, il pm Roberto di Martino, il mio avvocato Salvatore

Pino, tutti mi sono stati vicini, sono stati comprensivi e mi hanno permesso

di cominciare un percorso che non so dove mi porterà. Ma che dovevo

cominciare. E che spero che comincino per tempo tutti i miei colleghi. Mi

piacerebbe davvero se finisse l´omertà nel calcio, se quello che è successo a

me fosse un punto di svolta per tutti».

Cosa farà Doni da oggi in poi?

«Non ne ho idea. Prima volevo fare il dirigente dell´Atalanta. Oggi mi

accontenterei di riuscire a vivere in pace nella mia città, Bergamo».

___

Doni un calcio all'omertà

«NON FATE COME ME, RACCONTATE TUTTO IL MARCIO CHE C'È»

«I miei errori sono iniziati nella partita con la Pistoiese di 12 anni fa»

L'ex capitano dell'Atalanta: «Anche quella gara fu combinata. Sono stato

stupido, pensavo di farla franca. . . Che schifo le partite di fine stagione»

di FRANCESCO CENITI (GaSport 28-01-2012)

«La cosa più difficile è stata preparare mia figlia, spiegarle quello che era

accaduto al papà...». Poi Cristiano Doni si ferma, scuote la testa e la porta

indietro mentre le lacrime scendono sul viso. In oltre due ore d'intervista è

l'unico momento in cui non riesce a gestire i ricordi e i pensieri di una vita

da idolo deragliata il 19 dicembre, quando il giocatore è stato arrestato

dalla Procura di Cremona per il calcioscommesse. A dire il vero, gli occhi si

inumidiscono anche quando parla dell'Atalanta. Per il resto è un giudice

impietoso: sa che non bastano le scuse per far dimenticare i suoi errori. E

allora gioca d'attacco, cosa che gli riusciva benissimo anche in campo. Ecco

un Doni inedito: che condanna l'omertà del calcio, che invita i colleghi

invischiati in brutte situazioni a prendere esempio da Andrea Masiello, che

parla di «mentalità italiana sbagliata» sulle partite farsa di fine stagione,

che non si nasconde dietro un dito, ammettendo di aver meritato il carcere non

tanto per le due partite taroccate («una e mezza, con l'Ascoli alla fine è

stata sfida vera»), ma soprattutto per il tradimento nei confronti dello sport

che gli ha regalato soldi e fama. Ecco perché quando allo scadere delle due

ore gli chiediamo a conferma di quello che aveva appena sostenuto in modo

accorato («Il calcio si può ancora salvare, le nuove generazioni non devono

prendere esempio da me. Bisogna sempre dire di no a proposte estranee alle

regole delle sport») di chiarire una storia vecchia di 12 anni, Doni non si

tira indietro. Parliamo di Atalanta-Pistoiese 1-1 di Coppa Italia. Ci fu un

processo sportivo per tanti giocatori, compreso lui, Allegri (attuale tecnico

del Milan), Zauri, Siviglia. Molti scommisero personalmente: non era ancora

vietato. In primo grado quasi tutti condannati per illecito, ma in appello

assoluzione generale. Mancava la pistola fumante di quel tarocco nonostante i

sospetti fossero quasi certezze.

Voi calciatori avete sempre negato la combine. Ora le domandiamo:

avevate concordato quel risultato? Magari solo per dare seguito a una

goliardata decisa a cena, come racconta in un libro Giacomo Randazzo,

ex segretario della società nerazzurra?

(Sorriso amaro e poi un sospiro profondo) «Sì, è così. Non posso continuare a

dire diversamente. E se qualcuno vorrà altre spiegazioni, sono pronto a darle».

Ma allora perché l'esultanza a testa alta? Non era il suo marchio per

ricordare che era uscito pulito da quella accusa.

«No, guardi, c'è un equivoco. Il gesto non era riferito ad Atalanta-Pistoiese,

altri hanno fatto questa equazione. A me stava bene perché in realtà mi

vergognavo della verità...».

Forse è arrivato il momento di farlo.

«Beh, ha ragione. Allora, tutto nasce con Comandini e altri compagni. Durante

gli allenamenti facevamo gli scemi, come tra bimbi. Sa, quando ci s'insulta e

uno dice una cosa troppo spinta. Allora l'altro lo blocca, gli mette la mano

sotto il mento e gli fa "Adesso ritira quello che hai detto. . . ".

Atalanta-Pistoiese non c'entrava, ma è vero che mi è rimasto addosso fino a

trasformarsi in un boomerang».

Senta, Doni. Lei è finito in carcere anche perché ha accettato di

giocare una gara fasulla come Atalanta-Piacenza. Quella del rigore

tirato centrale sul suggerimento del portiere Cassano. Come è andata?

«Sette giorni prima mi dissero che contro l'Ascoli avremmo vinto per un

accordo. Va bene, faccio io. Ma in campo mi accorsi che gli altri stavano

giocando sul serio, capisco ora che il risultato è solo un dettaglio. Mi

ripetono la stessa cosa per la gara con il Piacenza. Mentre giochiamo realizzo

quasi subito che la combine questa volta era reale. Tanto che Cassano mi dice

dove calciare il rigore. Lui nega? Problemi suoi. Andò proprio così».

Perché ha accettato tutto questo?

«Sono stato un imbecille e non esiste nessuna giustificazione. Sapesse quante

volte me lo sono chiesto in cella. La retrocessione mi aveva segnato, mi

sentivo il primo responsabile. Avrei fatto di tutto per ottenere la A. E

infatti ho detto sì quando mi è stato detto che il Piacenza veniva a

perdere... Ecco, non mi sono mai venduto una partita. C'è una differenza

almeno in questo? Tra chi lo fa per soldi e chi per amore della propria

squadra?».

No, Doni. Non c'è differenza: entrambi barate e calpestate la regola

più importante di ogni sport. Non le sembra?

«Ha ragione, c'è da cambiare una mentalità sbagliata. Se adesso c'è

un'organizzazione criminale, come leggo, che riesce a penetrare con facilità

nel nostro calcio, credo che il motivo parta da questa idea sbagliata di cosa

è giusto e cosa è sbagliato...».

Ci dica, dopo quello che le è accaduto, che cosa bisogna cambiare? Un

consiglio che darebbe a un ragazzo che vuol diventare un giocatore?

«Fuori tutto? Ok. In Italia molte cose sbagliate diventano la prassi. Anche

nel calcio. Tanto per iniziare solo ora, dopo aver provato l'esperienza del

carcere, mi vergogno di quando andavo e più spesso venivano a chiedermi di non

impegnarci troppo perché a noi il risultato non serviva. In Spagna, dove ho

giocato, non è così: la regolarità di una sfida è sacra. Da noi ti guardano

male se fai il contrario. E sono vergognosi gli inseguimenti negli spogliatoi

tra calciatori perché una squadra già retrocessa non ha perso in casa di una

pericolante. E mi domando: perché nessuno fa nulla? Perché gli arbitri non

sospendono una gara se si accorgono che un giocatore fa segnare l'avversario?

Perché i tanti ispettori della procura federale non capiscono quello che ogni

tifoso presente allo stadio intuisce? Guardi, sono la persona meno indicata

per fare la morale agli altri. Ho sbagliato, forse ho pagato anche oltre le

mie colpe. Ma è giusto così. Doni non era un angelo, ma nemmeno il diavolo

come ho letto. Però il calcio non può continuare in questo modo. Non è

credibile».

E dunque al ragazzo che cosa direbbe?

«Che deve giocare pulito. Sempre. E non dare retta a chi gli chiede di

barare. Anche fosse un compagno. Deve denunciarlo, far finta di nulla è grave

quasi come alterare una partita. E' una protezione indiretta. Non è facile, ma

questa è la strada. Aggiungo: non prendete esempio da me, fate come Andrea

Masiello: bisogna avere il coraggio di parlare e raccontare tutto il marcio

nel calcio. Si può sbagliare, ma è ancora peggio non alzare la mano e

ammetterlo».

Lei perché non l'ha fatto?

«Ehhh, difficile dare una risposta credibile. Speravo di farla franca? Forse,

ma più che altro pensavo che la mia era una cosa minima. Credevo che tutto

fosse ricondotto alle scommesse e a qualche accordo sotto banco. Mi sbagliavo.

C'è molto di più. Ecco perché non riesco a darmi pace: dovevo capire la

gravità delle mie azioni».

Lei fino all'arresto ha mentito a tutti. Come ha vissuto quei 6 mesi?

«Un inferno. Ripetevo a tutti la mia innocenza, ma dentro ero sconquassato.

Mia moglie ha capito qualcosa. La confessione è stata una liberazione».

Ci racconta il giorno dell'arresto.

«Non pensavo potesse accadere. Sono scappato? Ma no, non è andata così. La

polizia mi ha trattato benissimo. L'ispettore mi diceva "Stai tranquillo,

racconta quello che sai". All'inizio pensavo a un semplice interrogatorio.

Poi...».

Il carcere...

«Già... Stavo da solo e ripetevo "Ma come hai fatto? Quanto sei stato

stupido...". E poi il pensiero di mia figlia: devastante. Non ho dormito per

due notti. Anzi, credo mai. E c'era un freddo boia».

Che cosa faceva?

«Niente, continuavo a pensare all'enorme cazzata commessa. Ah, ho letto un

libro di Fabio Volo: "Esco a fare due passi". Sono stati tutti gentili con me.

A iniziare dal gip Salvini e il pm Di Martino, finendo al mio avvocato

Salvatore Pino».

Per i tifosi dell'Atalanta lei era molto più di un idolo.

«Lo so ed è la cosa che più mi ferisce in questa storia dopo il male fatto

alla mia famiglia. La Dea per me è tutto, era tutto. . . Capisco di averli

delusi, traditi. Non chiedo perdono, ma solo che non siano cancellate tutte le

cose buone che ho fatto in campo».

Pensa di vivere a Bergamo?

«Sì, è la mia città. Non sarà facile, ma voglio restare lì. La benemerenza

della città? Sono pronto a restituirla».

Cosa farà da «grande» dopo quello che è accaduto?

«Ehhhh. Volevo fare il dirigente dell'Atalanta, adesso so che è impossibile.

So che ho chiuso con il calcio. Non ho idea di quello che farò. La ferita è

troppo recente. Certo, il sogno di rimanere aggrappato al mio mondo c'è

ancora».

Il presidente Percassi ha detto che lei è oramai il passato?

«Non lo biasimo...».

Lei ha tenuto fuori dalle combine la società. Siamo sicuri che non

sapesse nulla? Che non ha provato ad alterare la gara con il Padova?

«No, lo escludo. Tuttavia, se la magistratura sta indagando, rispetto il suo

lavoro».

E se non c'entravano le scommesse? E se fosse stato un risultato che

andava bene a entrambe? Quella mentalità sbagliata che lei ora indica

come il male da perseguire?

«Non credo, almeno io non ne sono a conoscenza».

Antonio Conte è andato via da Bergamo usando parole dure, parlando di

strane manovre. Come è andata?

«Fin quando è stato il mio allenatore ha avuto problemi con tanti giocatori,

con me di meno. Poi mi hanno dato molto fastidio le cose che ha detto dopo che

è andato via. Accuse prive di fondamento, come quella che circola in giro che

avrei fatto retrocedere l'Atalanta per favorire l'avvento di Percassi. Una

bestemmia. Tornando a Conte, credo che lui sia un ottimo tecnico, ma deve

plasmare un gruppo a sua immagine fin dal ritiro. Cambiarlo in corsa è

impossibile».

Lei ha avuto come allenatore anche Hector Cuper. Ha letto che i

magistrati di Napoli lo accusano di aver preso soldi dalla camorra?

«Sì, è stato uno shock. Mi sembra impossibile. Ma è anche vero che se

qualcuno mi diceva che sarei finito in carcere...».

il
Commento
di FRANCO ARTURI (GaSport 28-01-2012)

FA MALE MA E' UN ALTRO PASSO AVANTI

Cristiano Doni ha cominciato a raccogliere pezzi di faccia. La sua.

Quella che aveva perso per i motivi che leggete qui di fianco.

Un'operazione che immaginiamo dolorosa, ma che rappresenta anche

l'
unica via
d'uscita dignitosa dal buco nero dove si era cacciato. Non

c'è, nelle sue parole, alcun tentativo di minimizzare le proprie colpe

e questo rende il tentativo di risalita più credibile.

Abbiamo sostenuto qualche giorno fa che il calcio ha bisogno di

pentiti
alla Masiello, ilgiocatore che Doni stesso indica come

esempio. Lo confermiamo con maggiore convinzione dopo aver meditato le

risposte dell'ex capitano dell'Atalanta. Non vi fidate della

definizione? Chiamateli collaboratori di giustizia, dissociati,

testimoni credibili: la sostanza non si sposta di un centimetro.

Oltre alla portata umana di questa «confessione» in pubblico,

colpiscono riferimenti alla cosiddetta
«mentalità sbagliata»
su cui

molti, a partire dai tifosi e dai dirigenti di club, devono fare

accurate riflessioni. E' vero: troppo spesso in Italia ci si fa beffe

delle leggi dello sport in nome di un cinismo machiavellico che lascia

dietro di sé soltanto la progressiva
disgregazione dei valori
su cui

si fonda l'agonismo.

E' un costume che deve cominciare a cambiare. Partite che non

contano? Non ne esistono, non possono esisterne. Questa è una delle

strade da imboccare per rivedere tutto il nostro approccio al calcio,

il passatempo preferito degli italiani. Ancora una volta, se le
regole

del business prevalgono su quelle del
fair play
e della
lealtà
, il

risultato è quello di un fallimento del business stesso.

La verità. Questo dobbiamo chiedere a noi stessi. Aprire quelle porte,

anche se dietro ci sono troppi
risultati accomodati
e altri cumuli di

spazzatura. Aprire quelle finestre, per far entrare aria pura. Aprire

il cuore: serve sempre. Doni stavolta sta dando una mano a se stesso e

a noi. Molto in ritardo, purtroppo, ma domani è un altro giorno.

Migliore, anche per lui.

DIFENSORE DEL CESENA

Bari, pure Marco Rossi dice tutto

di FRANCESCO CENITI & ROBERTO PELUCCHI (GaSport 28-01-2012)

Dopo Andrea Masiello c’è un altro ex giocatore del Bari che ha deciso di

parlare. E’ Marco Rossi, 24 anni, da questa stagione al Cesena. Il difensore,

assistito dall’avvocato Roberto Di Maio, ha confermato di essere stato

convocato dall’infermiere Iacovelli prima di Palermo-Bari del 7 maggio 2011

assieme a Masiello, Parisi e Bentivoglio. In cambio di 80 mila euro avrebbe

dovuto contribuire a taroccare la partita. Rossi ha detto di non avere

accettato i soldi, ma ha ammesso di aver visto cose strane attorno al Bari la

passata stagione. «Era un ambiente malato», ha detto, denunciando agli

inquirenti la presenza di troppi personaggi ambigui attorno alla squadra.

Avrebbe detto anche di sapere che alcuni compagni avevano il vizio delle

scommesse.

Il fattaccio Importanti le parole di Rossi in merito alla rissa avvenuta

negli spogliatoi dopo Parma-Bari 1-2 del 3 aprile 2011, che lo vide

protagonista insieme con il capitano degli emiliani Morrone. «Mi state

accusando di avere fatto il professionista», aveva urlato Rossi. Ieri l’ex

barese ha confermato l’episodio: «Soltanto alla fine, quando Morrone mi ha

gridato "non erano questi gli accordi", ho capito che probabilmente la partita

sarebbe dovuta andare in modo diverso, ma io non ne sapevo nulla». Rossi

adesso andrà da Palazzi. Il procuratore federale giovedì sarà in Procura a

Cremona per ritirare gli atti, poi andrà a Bari e infine comincerà le

audizioni in vista del processo sportivo.

___

L’inchiesta

Anche Marco Rossi ammette

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 28-01-2012)

UN ALTRO giocatore di serie A è stato ascoltato ieri dalla procura di Bari: è

Marco Rossi, ex difensore biancorosso quest’anno al Cesena. Il ragazzo —

difeso dall’avvocato Roberto De Maio — ha confermato le dichiarazioni di

Andrea Masiello ammettendo la tentata combine di Bari-Palermo («Ma io non ho

preso denaro», ha spiegato in sintesi), e raccontato della rissa negli

spogliatoi del Tardini a Parma con Morrone che gli urlava «non erano questi

gli accordi» («non sapevo di che accordo parlava»). Confermate anche la

presenza negli spogliatoi del Bari di «strani personaggi». Secondo gli

investigatori si tratta di uomini vicini al clan Parisi.

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ilRegolamento

CASO DIAS, UNA PICCOLA PROPOSTA

PER EVITARE INGIUSTIZIE E FURBATE

di ANDREA SCHIANCHI (GaSport 28-01-2012)

Il pugno a Van Bommel, «riprorevole gesto» come lo definisce il giudice

sportivo, costa al laziale Dias 3 giornate di squalifica. Ma da scontare in Coppa

Italia, manifestazione dalla quale la Lazio è eliminata e, se il difensore

brasiliano resterà in Italia, se ne parlerà nella prossima stagione. La

domanda è semplice: giusto, di fronte a comportamento violento e antisportivo,

che la sanzione sia differita di tanto tempo? Sia chiaro fin da subito che il

caso Dias vale come esempio di una situazione che, forse, andrebbe modificata:

non c’è alcun intento persecutorio nei confronti del laziale, anche perché il

Codice di Giustizia Sportiva è stato correttamente applicato. Si tratta di

capire perché una squalifica tanto pesante debba sottostare alla regola della

«separazione» delle competizioni e, soprattutto, perché in Italia esiste

questa separazione.

In Inghilterra, il recente caso di Balotelli ne è la prova, il sistema è

differente: se uno viene squalificato, le giornate di stop cominciano dal

momento in cui la punizione è ufficializzata dalla County Association e non

tiene conto della diversità dellemanifestazioni. Noi, invece, all’inizio degli

anni Novanta abbiamo cambiato rotta: separazione delle manifestazioni per le

squalifiche per evitare le solite italiche furbate. Che cosa succedeva?

Semplice, un giocatore si gestiva le ammonizioni. Esempio: io sono diffidato e

tra due giornate ho in programma un big-match. Per non saltarlo e per non

correre rischi, siccome devo giocare una gara di Coppa Italia, mi prendo un

«giallo» in quella partita, salto la successiva di campionato e sono pulito

per la supersfida.

Il problema è che, a volte, per evitare le furbate si incappa in qualche

altra piccola ingiustizia. Una proposta: basterebbe non ammettere la

separazione delle manifestazioni in caso di squalifica derivata da espulsione

per rosso diretto o da prova tv per condotta violenta.

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COMUNICATO SINDACALE

(pag.43, GaSport 28-01-2012)

Il comitato di redazione della Ġazzetta dello Sport, facendo seguito

a un’assemblea dei suoi giornalisti in cui si è espressa solidarietà al

collega Vincenzo Cito, comunica l’esito della consultazione sul

rinnovo della fiducia al direttore Andrea Monti.

Aventi diritto al voto: 161. Votanti: 133. Sì: 37. No: 91. Schede

bianche: 5

___________________________________________________

L’editore conferma la piena fiducia al Direttore Andrea Monti nella

convinzione che redazione e direzione sappiano ritrovare la

necessaria intesa alla vigilia delle importanti sfide che attendono la

Ġazzetta dello Sport nel 2012.

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COMUNICATO SINDACALE

(pag.43, GaSport 28-01-2012)

Il comitato di redazione della Ġazzetta dello Sport, facendo seguito

a un’assemblea dei suoi giornalisti in cui si è espressa solidarietà al

collega Vincenzo Cito, comunica l’esito della consultazione sul

rinnovo della fiducia al direttore Andrea Monti.

Aventi diritto al voto: 161. Votanti: 133. Sì: 37. No: 91. Schede

bianche: 5

___________________________________________________

L’editore conferma la piena fiducia al Direttore Andrea Monti nella

convinzione che redazione e direzione sappiano ritrovare la

necessaria intesa alla vigilia delle importanti sfide che attendono la

Ġazzetta dello Sport nel 2012.

NO

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Grande allenatore ma solo part-time

Storia di Mou, il magnifico bullo

MOURINHO

Allenatore part-time, bullo a tempo pieno

Josè è un incrocio fra un comico e una pin up. Ed è contento solo quando le spara grosse

di GIAMPIERO MUGHINI (Libero 28-01-2012)

Lui è un incrocio tra Walter Chiari, tra un attore comico geniale e una

pin-up. O forse, per stare di più ai nomi e ai miti dei tempi odierni,

incrocio tra Checco Zalone e la bellissima Melissa Satta. Ma lui non lo sa o

meglio finge di non saperlo. Lui pensa di essere Mourinho, uno che non si nega

e non si negherà mai nulla. Uno cui non basta essere uno dei più più coriacei

e rapaci allenatori al mondo, uno che ha vinto a tutte le latitudini

calcistiche, uno che ci proverebbe a vincere alla grande persino se avesse una

squadretta di boy-scouts o di mezze figure.

Lui è Mourinho, uno che più le spara grosse e meglio si sente. Uno che più fa

il bullo, più i giornali lo mettono in prima pagina. Uno che aspetta l’arbitro

di una bellissima partita in cui il suo Real non ha vinto ma ha fatto un

figurone contro la squadra più forte al mondo (il Barcellona), e non ci pensa

neppure per un attimo ad andare a stringere la mano ai vincitori, a dire

«arrivederci alla prossima sfida», a dire che quando si gioca contro Messi e

compagnia l’importante è che sia stata una bella partita. Non ci pensa

proprio. Perché il suo vero mestiere non è l’allenatore, quello lo fa a tempo

parziale. A tempo pieno lui è un bullo. E perciò, dopo la partita di mercoledì

sera (2-2 tra Barcellona e Real, un partita zeppa di mirabilie) è sceso nel

garage dove sono riunite le auto di coloro che avevano partecipato

professionalmente alla partita, s’è appoggiato a quella dell’arbitro alla

maniera di un mafioso siciliano o del Gary Cooper di “Mezzogiorno di fuoco”, e

appena lo ha visto arrivare gli ha detto parole che neppure il più grande

sceneggiatore cinematografico si sarebbe inventato. Il bulletto gli ha detto

così: «Ehi, artista. Ci prendi gusto a foţţere i professionisti». E tanto più

che io sono d’accordo con Mourinho, l’arbitro era stato un miŋchioŋe a buttar

fuori un giocatore del Real Madrid per doppia ammonizione.

PAROLE IN LIBERTÀ Solo che non è questo il punto. Non che l’arbitro avesse

sbagliato o meno. Il punto è che d’ora in poi non si parlerà più della partita,

delle magnificenze tecniche di giocatori come Özil o Xavi, si parlerà di lui.

Di Checco Zalone-Mourinho. Il fatto è che il bulletto non si lascia sfuggire

un’occasione per straparlare e stra-agitarsi. Per fingere di dar di matto. Ma

ve lo ricordate o no quello che ha fatto e detto in Italia, e a parte il

capolavoro del “triplete” innanzi al quale io ancora mi sto togliendo il

cappello? (A proposito aspetto ancora da Massimo Moratti quel che gli dissi

una volta dopo avere osannato una vittoria della sua squadra: «Caro presidente

quand’è che la sentirò osannare una delle tante vittorie della mia Juve?» .

Glielo chiesi da avversario cavalleresco ad avversario cavalleresco. Sto

ancora aspettando).

Ebbene ve lo ricordate quel che Mourinho diceva e raccontava a ogni fine

partita del torneo? Vi ricordate gli insulti a Claudio Ranieri cui aveva

sprezzantemente attribuito dieci anni in più di quelli che aveva? Non c’era

una volta che lui non accusasse l’arbitro e non so chi altri di avere tramato

ai danni della sua Inter. Anziché ringraziare il cielo di avere avuto in sorta

un paio di campionati in cui non aveva avversari - perché Calciopoli aveva

stravolto il paesaggio naturale del football italiano - non una volta che

Mourinho riconoscesse regali arbitrali che neppure a Natale: quella volta che

Adriano mise la palla dentro in una partita decisiva con un gran colpo da

giocatore di pallavolo, o la volta che l’Inter segnò un gol con cinque dei

suoi giocatori in fuorigioco. Mai. Mai. Mai. Solo parole in libertà a dire

male del suo prossimo calcistico.

Perché il grande allenatore ma anche genio dei bulletti conosce bene le

regole del circo massmediatico. Se tu ti levi il cappello innanzi al valore

degli avversari, è già tanto se ti dedicano una notizia di dieci righe. Se

straparli e inveisci e denunci il complotto giudeomassonico ai tuoi danni,

allora sì che le paginate che ti riguardano saranno grandi e risonanti. Oggi

una pin-up va in prima pagina per tutta una settimana perché ha interpretato

una pièce di William Shakespeare o perché ha dichiarato da qualche parte che

lei fa l’amore con il moroso otto-dieci volte a settimana? Secondo voi è di

maggior rilievo massmediatico che Mourinho ammetta che per buttar giù i

giocatori del Barcellona ci vogliono le katiusce che i russi usavano contro i

nazi nella Seconda guerra mondiale, o che dica che gli arbitri e gli dèi

complottano contro il Real? Lo sapete a puntino che la risposta valida è la

seconda che ho detto.

SIMPATICO Non fraintendetemi, a me lui sta molto simpatico. Quando mi

divertivo a chiacchierare di calcio alla domenica sera, era una fonte

inesauribile e irresistibile. Avremmo dovuto dargli una percentuale, come si

fa con gli agenti letterari. Purtroppo non l’ho mai avuto di fronte in carne e

ossa. Subito gli avrei detto quanto lo stimavo come allenatore e quanto lo

ritenevo un bulletto. Le due cose, una inestricabile dall’altra. Solo che non

credo lui sapesse chi è Walter Chiari. Sa solo e implacabilmente di essere

Mourinho.

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SIGNORE AL POTERE

Mi guardi le tette?

E io ti vendo

Giovani, belle e forti. Sono le donne al comando di club

importanti. La più tosta? Chiedetelo a quel giocatore del

Birmingham che si lasciò un po’ andare con Karren Brady…

di IACOPO IANDIORIO (Sport Week | 28 Gennaio 2012)

Passa il tempo e la situazione peggiora. nonostante le promesse di Platini,

che ad aprile scorso aveva annunciato: «Presto una donna entrerà nel Comitato

esecutivo dell’Uefa», in realtà il gentil sesso continua ad essere poco

rappresentato nei posti che contano del pianeta calcio. A iniziare proprio

dall’Uefa dove si attende ancora una nomina “rosa”. A livello internazionale,

anzi, ci sono state alcune pesanti defezioni negli ultimi 12 mesi. Per esempio

in Spagna, dopo 17 anni alla guida del Rayo Vallecano, terza squadra di Madrid,

la “presidenta” Teresa Rivero, 76 anni, nello scorso maggio ha mollato per le

contestazioni dei tifosi e la crisi economica del club. In Svizzera a metà

gennaio la n. 1 del Basilea, che ha appena fatto fuori il Manchester United in

Champions, ha ceduto la carica al vice e ha annunciato l’intenzione di vendere

il 90% della proprietà: bel problema visto che la signora è la moglie di

Andreas Oeri, azionista principale dal 1996 della casa farmaceutica Roche, 5°

gruppo svizzero per valore (profitti da una decina di miliardi di euro

all’anno), e ogni stagione immetteva 20 milioni di euro nelle casse del club

(6 scudetti e 5 coppe svizzere negli ultimi 10 anni).

E allora quali signore del calcio restano ancora in ballo? La Zarina di

Francia, Margarita Louis-Dreyfus, proprietaria del Marsiglia dall’agosto 2009,

dopo la morte del marito, già a capo di una multinazionale da 34 miliardi di

euro di fatturato. Con lei al comando sono arrivati trionfi che mancavano da

quasi 20 anni, come il titolo di Ligue 1 2009-10 e 2 supercoppe nazionali.

Margarita, forgiata da un’infanzia senza genitori, morti in un incidente di

treno quando aveva 7 anni, e allevata dal nonno, ingegnere comunista a

Leningrado, è avvocato d’affari con la passione dell’opera.

A Londra, al West Ham, in testa in serie B, comanda Karren Brady, già a. d.

del Birmingham City nel 1993. Altro tipino tosto. Quando a Birmingham le

presentarono i giocatori, uno di loro esclamò: «Hai la camicia trasparente, ti

sto vedendo le tette». E lei: «Non ti preoccupare, quando ti avrò venduto al

Crewe (4ª serie) non le vedrai più». Oggi a 42 anni è columnist del Sun,

consulente di enti e aziende, è stata giudice in tv nel reality L’apprendista.

Ha iniziato la carriera da venditrice pubblicitaria, poi assunta dal re

dell’editoria per soli uomini David Sullivan. Lo convinse a comprare il

Birmingham in crisi e da a.d. l’ha trasformato in un club di Premier, venduto

nel 2008 per 100 milioni di euro. Sullivan ha poi comprato il West Ham e

Karren, vicepresidente, l’ha seguito.

In Brasile la n.1 del Flamengo, campione carioca 2011, è Patricia Amorim, 42

anni: il 7 dicembre 2009 è stata la prima donna eletta a capo del club con più

tifosi in Brasile (35 milioni circa): era il giorno dopo l’ultimo scudetto

nazionale vinto dal club di Rio. Olimpica di nuoto nell’88 a Seul, campionessa

sudamericana, è stata eletta tre volte al consiglio comunale di Rio. È stata

insegnante di nuoto nel Flamengo, prima di diventare dirigente del club

rossonero. Lei ha riportato Ronaldinho in Brasile.

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L’intervista Il presidente Uefa difende la sua strategia politica

giudica il calcio europeo e prevede una finale Spagna-Germania

Platini

«Con me vincono il gioco e il calciatore

L'Italia faccia stadi nuovi, basta volerlo»

di ROBERTO PERRONE (CorSera 28-01-2012)

NYON — Dall'ampia vetrata si abbracciano la campagna svizzera e il lago. «Io

sto laggiù» indica Michel Platini che aveva fatto, della residenza vicino al

palazzo dell'Uefa (casa e bottega), uno dei punti qualificanti della sua

campagna elettorale del 2006-2007.

«Ho anche riunito tutti gli uffici, prima dispersi e preso per 50 anni una

struttura al di là della strada per convegni e corsi. Per gli arbitri, ad

esempio, anche di altri continenti».

Pur in versione presidenziale, le Roi d'Europa mantiene intatte le sue

passioni. Per strappargli un sorriso da fanciullino basta l'omaggio di un

salame.

Cinque anni di presidenza.

«Già?».

Facciamo un bilancio?

«I bilanci alla fine. Ho preparato un programma in dieci giorni. C'erano

tante cose da fare, poi ne abbiamo scoperte altre. E le stiamo facendo».

Riassuma le sue riforme più importanti.

«Innanzitutto ho sempre rispettato la mia filosofia: il campo, il gioco; ho

fatto venire più campioni e squadre alla Champions League; ho aggiunto più

squadre all'Euro; ho riportato le Federazioni nazionali a decidere nell'Uefa;

ho messo tutte insieme le grandi famiglie del calcio. Poi il fair play

finanziario che comincia a essere operativo. Ah, e i cinque arbitri sul campo.

E questa per me è la cosa più bella. Con i gol che ho fatto con la Juve».

Ha visto il nuovo lo stadio?

«No, non ancora».

Molto bello. Secondo lei un club deve ripartire da qua?

«Negli anni 50 e 60 gli incassi venivano tutti di lì: il Bernabeu, San Siro.

Più grandi erano, più guadagnavano. Poi hanno perso la centralità. Ma ora lo

stadio è tornato protagonista, non tanto in termini di posti, ma di

ospitalità. Dove gli stadi sono nuovi e accoglienti, come in Germania, i

tifosi sono ritornati. E quindi l'Italia ha sbagliato a non ottenere l'Euro

2012».

Com'è andata quella volta?

«C'era una volontà di tanti di andare verso l'Est. Io avevo votato Italia,

quindi ho perso».

La situazione in Polonia e Ucraina?

«Abbastanza buona. Quello che dovevano fare, l'hanno fatto. È stato difficile,

ma stadi, aeroporti e strade ci sono. Forse un pezzo di strada non sarà

finito, però gli stadi sono belli. Penso che sarà un bell'Euro per la gente. A

me basta che ci siano gioco e belle partite. Noi siamo una compagnia di

calcio. Abbiamo le prime tre del Mondiale, quindi lo spettacolo è assicurato».

Favorite?

«Spagna e Germania. Queste possono vincere, poi ci sono quelle difficili da

battere tra cui l'Italia».

Torniamo agli stadi. Che consiglio darebbe all'Italia?

«Negli stadi vecchi la gente non si sente sicura, né comoda. L'Italia è un

grande Paese, non ha bisogno di Europei o Mondiali per rifarli. Basta la

volontà politica».

Fair play finanziario. Come spiegarlo al popolo che vede lo sceicco

che stacca gli assegni?

«L'Italia aveva gli sceicchi Moratti e Berlusconi che non vogliono più

spendere queste cifre. Il Berlusca e il Moratt mi dicono: Michel, basta.

Bruxelles chiede sacrifici e conti in ordine agli Stati. E il calcio? Perdiamo

1 miliardo e 600 milioni di euro. Tocca a me fare qualcosa».

Ma gli sceicchi arabi e i petrolieri russi capiranno l'antifona?

«Capiscono, capiscono. C'è il consenso di tutti. Lo faremo. Se sono nelle

regole li accetteremo, altrimenti li puniremo. Noi non vogliamo uccidere i

club, ma aiutarli a non fallire. È una cosa irreversibile. Indietro non si

torna».

Caso scommesse, partite truccate. Le difficoltà economiche dei club

offrono terreno fertile ai corruttori.

«È vero, anche se ci sono altri elementi, ma per questo abbiamo cambiato il

sistema di controllo. Prima avevamo investigatori dilettanti. Ora abbiamo

creato una rete nelle varie federazioni in contatto con le Procure. Ci

vogliono professionisti. Io non sono un carabiniere di Agrate Conturbia».

Anche con il doppiopetto è sempre uomo di calcio.

«Io sono un calciatore e dico che ora il calcio è più bello di prima, con

giocatori migliori rispetto al passato. Più bravi in un calcio più duro. Io mi

emoziono per loro, di chi vince o perde me ne frego. La Coppa la do sempre al

migliore».

E il migliore chi è?

«Messi è splendido, ma anche Ronaldo. Rooney è fantastico. La squadra ti può

aiutare più o meno. E questa, è la bellezza del calcio».

Un italiano?

«Devo vedere l'Euro. Sono rimasto indietro, a Gattuso, Pirlo, Buffon.

L'ultima partita dell'Italia è stata con la Slovacchia».

Stendiamo un velo pietoso.

«Eh sì, il Milan e Inter, ma gli italiani sono pochi. La Juve non fa le

Coppe».

Ah, la Juve. C'è ancora Del Piero ma Andrea Agnelli ha ribadito che

sarà il suo ultimo anno.

«Penso che si siano messi d'accordo, che c'è rispetto tra loro. Per me non

può trattare Del Piero come un altro, è la bandiera della Juve. Si saranno

parlati».

Giocatori simbolo. Da Platini a Baggio a Del Piero. Fine.

«Eh, Platini, Baggio, Del Piero lo sono diventati con le vittorie. Difficile

con il quarto posto».

Due protagonisti discussi del calcio: Mourinho e Balotelli?

«Adoro Mourinho. Ho una grande simpatia per questo ragazzo. Mi piace allo

stesso modo Guardiola, completamente diverso. Balotelli non lo conosco bene.

Però ogni volta che succede qualcosa ci va di mezzo. Ho visto il suo ultimo

caso in diretta: per me non l'ha fatto apposta, è caduto male».

La tv è più invasiva rispetto ai suoi tempi.

«Il problema non è la tv, ma la mentalità. Adesso siamo più cattivi, più

polemici, più negativi. Adesso viene esaltato sempre l'aspetto negativo. Io

non faccio più battute. Quando prendevo in giro uno della Roma, negli anni 80,

finiva tutto lì. Quando ho detto di Totti ‘‘peccato che non è andato in un

grande club'' è venuto giù il mondo. In Italia questo l'ho avvertito con

chiarezza».

Da grande farà il presidente della Fifa?

«Non è il tempo di pensarlo. Blatter c'è e fa un buon lavoro. Noi dobbiamo

aiutarlo. Ha detto che va via, ma deve farlo a testa alta. La Fifa aveva dei

personaggi discutibili. Ma Blatter no, lui non è un corrotto, un gangster. La

Fifa e il calcio sono sopra Blatter e Platini».

Trent'anni fa arrivava alla Juve.

«Ho fatto tutto mezzora prima del termine, il 30 aprile. Sono venuto da St.

Etienne alla Sisport, nell'ufficio di Boniperti che a un certo punto ci ha

lasciato lì, soli. Penso che sia andato a mangiare un piatto di pasta, perché

quando è tornato aveva una macchia qui. Poco dopo mi chiama l'Avvocato. E io

non sapevo chi era. Parliamo in inglese. Un gran bel momento, i miei cinque anni

alla Juve. Come direbbe Edith Piaf, ‘‘rien de rien, je ne regrette rien''».

Neanche un rimpianto?

«No, niente. Anche se ora per difendere il calcio, divento impopolare. Lo

accetto, ma è strano. È la vita, una storia infinita».

Lei, un grande calciatore, in fondo si batte perché i giocatori

guadagnino di meno.

«Guardiamo l'altro lato. Paghiamo i giocatori. Perché per quello che guadagna

tanto ci sono quelli che non vengono pagati. Ho fatto un contratto con i

sindacati per il minimo sindacale. A un campione lo stipendio dimezzato non

cambia molto. Al club sì, e tanto».

A parte il calcio, la sua vita?

«La famiglia. Sono nonno. Due nipoti, maschio e femmina».

Complimenti e grazie.

«Grazie a lei per il salame, me lo mangio quando torno da una breve vacanza.

Ah l'Italia. C'è un posto che devo sempre visitare e non ci sono mai riuscito».

Quale?

«Brescello. Il paese di Don Camillo e Peppone. Sono cresciuto guardando i

loro film con i miei genitori. E mi è rimasta questa voglia».

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L’intervista Il presidente Uefa difende la sua strategia politica

giudica il calcio europeo e prevede una finale Spagna-Germania

Platini

«Con me vincono il gioco e il calciatore

L'Italia faccia stadi nuovi, basta volerlo»

di ROBERTO PERRONE (CorSera 28-01-2012)

Complimenti a Perrone (esperto d'enogastronomia) per il cadeau.

Che salame avrà regalato al nostro Platini che mette su un piedistallo

l'incorruttibile Blatter?

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SPY CALCIO di Fulvio Bianchi (Repubblica.it 28-01-2012)

Dopo la confessione di Doni

ora Palazzi si mette al lavoro

(Palazzi in arretrato anche causa recente disputa tra Romolo e Remo, ndt)

Doni, Masiello, Marco Rossi: il fronte dell'omertà finalmente si sta rompendo

e i calciatori corrotti cominciano a parlare. Cristiano Doni, in un'intervista

a La Repubblica, ha confessato quello che non aveva mai detto in passato: "E'

vero, ho truccato le partite, parlino anche gli altri corrotti". Ha ricordato

che era truccata anche la partita della Pistoiese (dove giocava l'attuale

tecnico del Milan Allegri) del 2000 ma che furono assolti: l'Ufficio Indagini

di quei tempi, diretto dal generale Italo Pappa, aveva scoperto tutto ma forse

mancando le intercettazioni e una legislazione più attenta sulle scommesse

Doni, Allegri e c. si salvarono. La procura federale adesso è pronta a

premiare i pentiti, grazie al nuovo regolamento voluto da Abete dopo

Calciopoli: un solo anno di squalifica, nei casi più lievi (certo se uno ha

decine di illeciti, a calcio ha finito di giocare... . ). Il superprocuratore

Stefano Palazzi si metterà in movimento la prossima settimana, con un piccolo

ritardo sui tempi di marcia (ma non dovuto a lui): andrà a Bari da Laudati (di

cui è stato auditore) e giovedì a Cremona, dal procuratore Di Martino con il

quale da tempo è in ottimi rapporti di collaborazione. Il lavoro che aspetta

la procura della Figc è immane: solo Cremona ha circa 120 calciatori e

tesserati vari iscritti nel registro degli indagati, a Bari ci potrebbero

essere presto arresti di molti calciatori. Palazzi inizierà gli interrogatori

il più presto possibile, magari già verso metà febbraio. Non è detto che

interroghi tutti: potrebbe anche utilizzare il materiale probatorio che gli

arriverà dalle Procure. Il processo sportivo potrebbe tenersi verso fine

aprile, se verranno rispettati i tempi: difficile però prevedere adesso se le

condanne saranno scontate in questa o nella prossima stagione. Di sicuro i

calciatori, tranne i pentiti, saranno stangati. Ma moltissime società, dalla A

alla Lega Pro, rischiano grosso, forti penalizzazioni, in base alla

responsabilità oggettiva (che resta un caposaldo della giustizia sportiva). In

A dovranno essere ancora valutate le posizioni di molti club come l'Atalanta

(già penalizzata di sei punti), il Genoa, il Chievo, la Lazio, eccetera.

Bisogna vedere se sono le società sono state tradite dai loro calciatori

invischiati nel giro delle scommesse. In B inquietante quello che sta venendo

fuori intorno al Bari, con addirittura nove gare sospette fra illeciti

consumati e tentati. C'è da dire che il club pugliese negli ultimi anni è

andato a picco, dopo che la famiglia Matarrese si è defilata e ha tentato a

più riprese di vendere la società: possibile che nessuno si fosse accorto che

negli spogliatoi girava strana gente?

Triestina, Piacenza, Spal e c. La lotta per sopravvivere

"La riforma dei campionati? Se continua così, arriveremo a trenta club. . . ".

Parole di un (alto) dirigente della Lega Pro, l'ex serie C che cerca di darsi

un volto nuovo e uscire da una crisi terribile. Triestina, Piacenza, Spal e

Savona sono ad altissimo rischio, coi libri in tribunale e la speranza che

arrivi qualche salvatore. Mario Macalli, n. 1 della Lega Pro, vuole un

campionato unico (non più Prima e seconda divisione) con al massimo 60 club,

divisi in tre gironi. Trenta in meno del format originario della Lega Pro. Non

si può andare avanti a forza di fallimenti, soprattutto di club che scendono

dalla B, e di penalizzazioni (che quest'anno, per fortuna, sono meno dello

scorso anno). Bisogna trovare un accordo con la Lega di B e quella Dilettanti,

per una riforma vera, seria, dei campionati. Ci provò tanti anni fa l'attuale

presidente della Figc, Giancarlo Abete, ma fu stoppato dai cosidetti poteri

forti. Ora bisogna ritentare. Altrimenti, si fa in fretta a fare la selezione:

basta aumentare i criteri di iscrizione ai campionati e in Lega Pro (ma anche

la B non sta benissimo) non si iscrive più nessuno, o quasi. Ma è questa la

soluzione? Intanto, e non è una novità, si litiga ancora per i soldi da

spartirsi dei diritti tv, fra nascita della Fondazione, il Parlamento e il

Tnas. Nel frattempo i club sono con l'acqua alla gola, se non peggio. . .

Roberto Stracca, gli ultrà e la tessera del tifoso...

Due (ottime) iniziative della Lega Pro: la continua valorizzazione dei giovani

e il primo trofeo Roberto Stracca che è andato a Giovanni Scampini, classe

1991, del Pisa. Stracca è mancato lo scorso anno, giovanissimo. Un bravo,

serio, scrupoloso giornalista del Corriere della Sera, appassionato del suo

lavoro. Roberto era anche un tifoso di calcio, esattamente della Roma: andava

in curva, in mezzo agli ultrà perché si sentiva uno di loro. Qualcuno ogni

tanto, sbagliando, associa gli ultrà ai violenti: non è così. Ci sono violenti

in curva come in tribuna vip, o in tribuna stampa. E' un errore (forse voluto)

generalizzare e prendersela solo coi tifosi. Un errore che magari a qualche

ministro, in passato, ha fatto molto comodo. Roberto era a favore di un calcio

vissuto col cuore, dal di dentro. E, ovviamente, era contro la tessera del

tifoso che ora speriamo davvero possano mandare in soffitta. . .

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MORATTI IN VENDITA

da 'L'Espresso' del 2 febbraio 2012 pagg. 102-3-4-5

Mezzo miliardo di perdite grazie all'Inter di Massimo e alle iniziative tecnologiche di Gian Marco. Ecco cosa c'è dietro l'ipotesi di cedere una quota della Saras.

di Luca Piana

Non c'è solo la rimonta dell'Inter nel campionato di calcio. In queste settimane una questione più delicata per gli affari di famiglia costringe i Moratti a trattenere il fiato.

A Milano, nel grattacielo della Saras, la principale delle loro aziende, vengono seguite passo dopo passo le conseguenze dell'embargo deciso dall'Unione europea sulle importazioni di petrolio dall'Iran. Tra i barili di greggio utilizzati per produrre carburante nella loro raffineria di Sarroch, in Sardegna, quasi uno su dieci arriva dal Paese degli ayatollah. E la perdita degli approvvigionamenti rischia di essere un duro colpo perché la Saras e tutte le raffinerie europee già oggi soffrono terribilmente l'aumento dei prezzi, al punto che la lobby dei petrolieri ha pubblicamente chiesto al governo di Mario Monti lo stato di crisi.

Al di là delle pressioni sul governo, i Moratti hanno però fatto un passo che rivela una possibile svolta nella loro storia familiare. Già dalla scorsa primavera stanno sondando il mercato per vedere se c'è qualcuno interessato a comprare almeno una quota dell'impianto di Sarroch, inaugurato dal capostipite Angelo nel 1965 e da quel momento fonte di tutte le loro ricchezze.

Cedere anche la metà di un bene così cruciale in un momento tanto negativo di mercato, sarebbe un cambiamento epocale, che mostra forse come Gian Marco e Massimo, i due figli ai quali Angelo aveva lasciato la guida dell'azienda in una famiglia dove le donne erano escluse dai posti di vertice, nutrano qualche timore per il futuro industriale del loro gruppo. E magari sentano, restando nel campo delle ipotesi, il colpo delle perdite accusate in alcuni business personali, dall'Inter di Massimo alle iniziative tecnologiche di Gian Marco e della moglie Letizia, ex sindaco di Milano. Perdite stimabili, negli ultimi tre anni, in circa 500 milioni di euro.

A dire il vero, la ricerca di un alleato disposto a contribuire agli investimenti necessari per superare il momento buio della raffinazione sembra che si stia rivelando complicata. A quasi un anno dalle prime ammissioni del management con gli analisti, a quanto è dato sapere non si sarebbe ancora arrivati a un nome certo. Rispetto all'ultima dichiarazione di dicembre ("continuano i rapporti, anche informativi, con controparti industriali, che possono riguardare operazioni sia commerciali che strategico-industriali", aveva detto la Saras), fonti vicine alla famiglia ribadiscono a "l'Espresso" che non ci sono novità imminenti sull'arrivo di un partner: "Ammesso che accada, ci vorrà ancora tempo".

Per i non addetti ai lavori, immaginare i Moratti in crisi o alle prese con la necessità di ricercare capitali esterni appare quanto meno sorprendente. Il loro è, infatti, uno dei nomi più noti del capitalismo italiano, anche se l'effettiva consistenza del loro patrimonio resta segreta. Gian Marco, 75 anni, è noto in città per essere stato lo sponsor delle milionarie campagne elettorali della moglie. Mentre Massimo, 66 anni, si calcola che in 17 anni di Inter abbia speso per sostenere la squadra circa un miliardo (vedi articolo nella pagina a fianco).

Nessuno mette in dubbio la solidità del patrimonio familiare. È vero che Massimo si è fatto più attento e che nemmeno i suoi tifosi lo definirebbero oggi "lo sceicco del pallone italiano", come disse Fedele Confalonieri, grande amico del rivale milanista Silvio Berlusconi. Ed è anche vero che, durante le indagini della magistratura - poi archiviate - sul collocamento in Borsa di Saras nel 2006, un fiasco per gli investitori, spuntarono alcune mail dove un banchiere sussurrava che "uno dei fratelli" fosse indebitato per oltre 500 milioni.

Furono però Gian Marco e Massimo, interrogati come persone informate dei fatti, a smentire difficoltà di questo genere. E fra chi li conosce c'è chi dice che i quasi 1.800 milioni di euro incassati sui loro conti personali con il collocamento siano ancora tutti lì, intatti. C'è poi un ulteriore fatto che rende lecito supporre che la famiglia possa contare su risorse più ampie delle partecipazioni rintracciabili negli atti delle loro società e delle loro proprietà immobiliari, disseminate dalla centralissima via Laghetto a Milano alla zona chic di Cortina d'Ampezzo, dall'isola di Saint-Louis sulla Senna parigina al magnifico Central Park di New York.

Nella struttura proprietaria della Saras (vedi figura a pagina 106) sono infatti presenti solo i figli maschi di Gian Marco e Massimo. Si dice che Angelo Moratti fosse contrario per principio alla presenza delle figlie nei ruoli aziendali perché temeva che si sarebbe aperta la strada a un'incontrollabile frammentazione della proprietà. Gian Marco e Massimo, chissà se per scelta o se per vocazione delle loro cinque figlie femmine, quanto meno nella Saras hanno continuato a seguire le direttive paterne.

E così la nuda proprietà dell'accomandita che ne custodisce la maggioranza fa capo da diversi anni ai quattro figli maschi (la gestione è ancora in mano ai genitori, con Gian Marco presidente e Massimo amministratore delegato). È però immaginabile che, nella suddivisione dei beni accumulati dal nonno e dai genitori, anche le ragazze Moratti abbiano avuto la loro parte, senza darne troppa pubblicità.

Perché dunque cercano un socio forte per la Saras? E perché la raffineria è in difficoltà? Dare una risposta plausibile alla prima domanda è difficile, perché riguarda in parte gli affari di famiglia. Affari che, a dispetto del patrimonio finanziario che è possibile attribuire loro, se si guardano le aziende personali negli ultimi anni non sono andati granché bene. Fornire un dato complessivo potrebbe essere fuorviante, perché nessuno dei due rami familiari ha una vera capogruppo che pubblichi un bilancio consolidato.

A spanne si può però dire che, sommando le perdite accumulate dal 2008 al 2010 dalla Securfin (lato Gian Marco) e dalle sue partecipate sparse fra Lussemburgo, Stati Uniti, Olanda e Germania, nonché dall'Inter (lato Massimo) e dalle società raccolte sotto il cappello della Cmc, il rosso complessivo sfiora il mezzo miliardo di euro. E se è vero che la passione ultrà del patron nerazzurro è certamente dispendiosa, i dati sembrano smentire la vulgata che attribuisce a Gian Marco un bernoccolo degli affari più aguzzo: la controllata tedesca Syntek Capital, nata per investire nelle nuove tecnologie, ha perso negli ultimi anni 202 milioni, ai quali vanno aggiunti quelli riferibili alla controllante olandese Golden.e, ora annunciata come prossima alla chiusura.

La Saras, dunque. In questi anni di tensione sul prezzo del petrolio ma anche di crisi economica in Europa, i raffinatori stanno vivendo un momento buio. Semplificando al massimo, si può dire che comprano il greggio a caro prezzo dai Paesi produttori ma vendono i carburanti a fatica in casa, dove i consumi sono diminuiti. Una volta la benzina prodotta a Sarroch trovava la via degli Stati Uniti. Ora invece sono le raffinerie americane che possono vendere in Europa i loro carburanti, perché per la prima volta il mercato Usa non assorbe tutta la produzione. E pure i cinesi stanno mietendo successi, con grandi recriminazioni da parte degli operatori europei che li accusano di godere di normative ambientali meno severe.

Se il presente è duro, il futuro rischia di non essere migliore. Dice Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia: "Nemmeno quest'anno lo scenario è destinato a cambiare. Negli Stati Uniti e in Europa i consumi di benzina e gasolio sono previsti in calo e in Italia, se la recessione sarà dell'entità che si teme, andrà anche peggio che altrove. Per i raffinatori si tratta di un contesto molto complicato: anche gli impianti particolarmente sofisticati come quello di Sarroch non riescono a ottenere margini sufficienti per coprire il costo del greggio e gli oneri per lavorarlo".

Le cose si vanno complicando, fra l'altro, per alcune raffinerie italiane che hanno impianti fatti per lavorare i greggi dell'Iran, ora sotto embargo. Ma non tutti i mali vengono per nuocere: la Saras, non sapendo dove mandare la benzina, è l'origine di gran parte dei volumi che attualmente vanno alle cosiddette "pompe bianche", quelle al di fuori dei circuiti delle grandi compagnie che le ultime liberalizzazioni vorrebbero più diffuse.

In tutta Europa, però, diverse raffinerie stanno chiudendo, mentre i produttori dell'Est hanno messo nel mirino gli impianti migliori. Spiega Tabarelli: "I russi sono interessati a comprare e hanno potenzialità enormi: basti pensare che, per loro, il costo di estrazione del petrolio è di 3-4 dollari al barile, rispetto ai 105 dollari a cui vendono attualmente quello di qualità Ural. Il problema è che sanno quanto sia difficile la situazione delle raffinerie europee. E aspettano il momento giusto per comprare". Un'attesa opportunistica che, però, potrebbe indurre i Moratti a resistere fino a quando il peggio sarà passato.

I più svelti a vendere, in Italia, sono stati i Garrone, che nel 2008 hanno ceduto il controllo dell'impianto siciliano di Priolo alla russa Lukoil, che aveva interpellato pure la Saras. In tempi più recenti, invece, contatti ci sono stati certamente con il colosso moscovita Gazprom, ma sono circolati anche i nomi della kazaka KazMunaiGaz e dell'azera Socar. In teoria, per sfruttare il boom dei consumi di carburante previsto nei prossimi anni non solo in Russia ma anche in Asia, America Latina e Medio Oriente, la crisi potrebbe offrire un'occasione d'oro agli imprenditori che avessero le risorse e la capacità di compiere il salto di qualità. I Moratti, forse, i quattrini per provarci li avrebbero anche. Ma trovare il coraggio di farlo davvero è un'altra cosa.

Modificato da huskylover

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Scommesse

Masiello interrogato

inguaia Almiron

di CLAUDIO DEL FRATE (CorSera 26-01-2012)

Un memoriale di dieci pagine, nel quale il difensore Andrea Masiello racconta

di aver saputo che alcuni giocatori del Bari, sua squadra della passata

stagione, sarebbero stati coinvolti in un giro di scommesse. Il giocatore, ora

in forza all'Atalanta, ha consegnato il dossier ieri pomeriggio ai pm di Bari

che l'hanno interrogato nell'ambito di un'inchiesta su infiltrazioni

malavitose nell'ambiente calcistico locale; il verbale di interrogatorio è

stato segretato e l'incontro si è tenuto in una caserma dei carabinieri per

evitare intemperanze da parte degli ultrà. Il calciatore avrebbe raccontato di

aver notato che suoi ex compagni avrebbero avuto contatti con un giro di

scommettitori specie nella parte finale del passato campionato. Masiello

avrebbe scagionato se stesso ma avrebbe fatto il nome del suo ex compagno

Almiron, che si sarebbe speso per truccare Bari-Lecce, ultima partita dello

scorso campionato finita 0-2 con un'autorete dello stesso Masiello. Identica

linea era stata tenuta dal giocatore davanti al pm di Cremona dal quale si era

presentato una settimana fa. Forse già oggi Masiello si farà interrogare anche

dal procuratore della Federcalcio Stefano Palazzi.

Partite truccate, anche Rossi confessa

Interrogato, il difensore conferma le parole di Masiello: "Picchiato da Morrone"

di GIULIANO FOSCHINI (la Repubblica - Bari 28-01-2012)

Un altro giocatore è stato ascoltato, nella veste di indagato, ieri mattina a

Bari: si tratta di Marco Rossi, ex difensore biancorosso quest´anno al Cesena.

Rossi è stato senti per più di due ore, accompagnato dal suo legale Roberto De

Maio (lo stesso che ha seguito Nicola Ventola anni fa in uno scandalo sul

calcio scommesse che è finito archiviato sia penalmente che da un punto di

vista sportivo).

Verbale secretato anche in questo caso, ma ritenuto «assai interessante»

dagli investigatori. Da Rossi sono arrivate nuove conferme all´impostazione

accusatoria. Avrebbe sostanzialmente raccontato la stessa storia di Andrea

Masiello sulla partita con il Palermo: la riunione con Iacovelli e lo zingaro

prima della gara, l´offerta di denaro per truccare l´1-3 (ma la gara finì poi

1-2). Rossi ha giurato di non aver mai preso gli 80mila euro promessi e di

essersi rifiutato di entrare nella combine. «Io queste cose non le faccio» ha

detto. Per poi però ammettere che effettivamente qualcosa di strano lo scorso

anno a Bari è accaduto. A partire dalla gara contro il Parma quando fu

picchiato negli spogliatoi da Morrone. «Mi diceva - ha detto in sintesi a

verbale il giocatore - Non erano questi gli accordi ma io non sapevo di cosa

stesse parlando». Poi magari un´idea se l´è fatta. Anche perché nelle famose

nove partite di campionato sulle quali sta indagando la procura di Bari lo

spogliatoio ha cominciato a chiacchierare. Rossi ha confermato che Iacovelli

era un frequentatore assiduo della squadra. E che spesso si vedevano in giro

anche "brutte facce", che lui non sarebbe individuare ma che per gli

investigatori altri non erano che uomini vicini al clan Parisi.

Anche per questo motivo la dichiarazione di Rossi è ritenuta molto

interessante dalla procura di Bari. Che in questo momento sta agendo a

scaglioni ma che presto potrebbe unificare tutti i fascicoli: da una parte c´è

il fascicolo dell´antimafia sul riciclaggio di denaro tramite le agenzie di

scommesse, legate al clan Parisi. Fascicolo che sta seguendo direttamente il

procuratore Antonio Laudati. Una decina gli indagati. Dall´altro c´è quello

sull´associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva sul tavolo del

pm Ciro Angelillis e dei carabinieri del reparto operativo di Bari: iscritti

sono Andrea Masiello, Marco Rossi, Alessandro Parisi, Simone Bentivoglio e

Angelo Iacovelli. Da valutare le posizioni di Nicola Belmonte e Simone

Padelli. La procura ha la certezza della combine sulla gara di Palermo ma

sospetta su altre otto gare (sono le ultime nove dello scorso campionato).

Masiello ha raccontato di aver subito pressioni per la gara contro il Chievo,

la Roma, la Sampdoria e di non aver mai accettato. E di aver preso "per paura"

la mazzetta della gara contro il Palermo dagli Zingari per poi però

restituirla immediatamente visto che la combine non era andato in porto. La

Procura ha elementi concreti per sospettare che siano state truccate anche la

gara contro il Brescia (0-2) e quella di fine campionato vinta contro il

Bologna (4-0). E proprio quella contro gli emiliani sarebbe l´unica a far

pensare a un coinvolgimento della squadra avversaria. Infine: dagli atti a

disposizione, secretati e non, non emerge mai il nome di Almiron. Almeno per

il momento. È tutt´altro da escludere che vengano ascoltati come persone

informate dei fatti dirigenti del Bari, a partire dal direttore sportivo Guido

Angelozzi.

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Agenzia delle entrate

Il fisco "entra" nel mondo del calcio: verifica su tassazione per cessione giocatori

avvenire.it 28 gennaio 2012

Faro del fisco sul mondo del Calcio, con l'obiettivo di verificare preventivamente le modalità di tassazione Iva sulle vendite dei calciatori. Un tavolo - secondo quanto ha appreso l'Ansa - si è aperto tra il direttore delle Entrate, Attilio Befera e i presidenti della Lega Maurizio Beretta e della Federcalcio, Giancarlo Abete. Incontri tecnici - ai quali avrebbe partecipato anche il presidente della Lazio, Claudio Lotito, che in passato ha ottenuto per la sua società una rateizzazione da

primato di un debito con il fisco - si sono tenuti nelle ultime settimane nella sede dell'Agenzia delle Entrate in particolare per affrontare il nodo della tassazione Iva per le compartecipazioni dei calciatori. Il tema è certamente "tecnico" ma, tradotto in pratica, risulta di grande rilevanza economica, visti gli importi milionari delle cessioni sui quali si applica un'Iva che è ora del 21% (e presto salirà al 23%).

Le modalità di applicazione della normativa fiscale per l'acquisto dei giocatori sono da sempre un capitolo complicato. Molte sono le "voci" che compongono il costo finale (o il prezzo che si paga, a seconda del punto di vista). Talvolta, poi, entrano in campo i complessi meccanismi delle normative tributarie internazionali, diverse da Paese a Paese. A complicare il quadro è poi il meccanismo di "cessione in

compartecipazione". È proprio su questo aspetto che il fisco avrebbe acceso il proprio faro. Il nodo tecnico è più complesso di quello che potrebbe apparire dalla semplificazione giornalistica: nella realtà quella che viene raccontata come la cessione a metà di un calciatore è la sintesi di una vendita al 100% con il diritto di partecipare per il 50% del valore della cessione agli ulteriori effetti patrimoniali dovuti alla titolarità del contratto (in pratica al valore della vendita successiva).

Sul tema - secondo indiscrezioni - c'è da parte dell'Agenzia delle Entrate una lettura diversa rispetto alle regole finora seguite in base alle regole della Federcalcio che sarebbero state predisposte anche in base alle indicazioni arrivate dalla Commissione di Vigilanza della Società di Calcio (Covisoc) guidata nel recente passato da un tributarista internazionale di calibro, Victor Uckmar.

La filosofia del confronto, secondo quanto si è appreso, è quello di fare una verifica preventiva che consenta di guidare i club ad applicare la normativa Iva seguendo criteri condivisi. Ma certo per le società di calcio è probabile che in futuro le nuove modalità non siano indolori, a "costo zero", ma comportare un aggravio d'imposizione, anche se ovviamente ogni cessione è un caso a sè.

È già da alcuni anni che il fisco e il mondo del calcio sono impegnati a garantire e rafforzare l'attività di controllo fiscale delle società e la regolarità dei campionati calcistici. Un protocollo, che prevede un fitto scambio di informazioni, è stato firmato tra Agenzia delle Entrate e Figc lo scorso dicembre e prevede tra l'altro che la federazione comunichi subito alle Entrate l'elenco delle società sportive professionistiche, completo di denominazione societaria e codice fiscale. A sua volta l'Agenzia delle Entrate è impegnata a

fornire alla Federcalcio, entro il prossimo 31 maggio, i risultati dei controlli fatti sulle dichiarazioni dei redditi e

su alcuni adempimenti (compreso il pagamento di cartelle esattoriali) relativi ai pagamenti Ires, Irap, Iva e Irpef per i periodi d'imposta 2009 e 2010.

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Il tecnico replica all’atalantino

«Doni risponderà per quello che dice»

di ALBERTO COSTA (CorSera 29-01-2012)

MILANO— In un’intervista Cristiano Doni, finito agli arresti per la combine

di Atalanta-Piacenza e per la stessa partita squalificato per tre anni e

mezzo, ha rispolverato quanto accadde in Atalanta-Pistoiese, gara di Coppa

Italia giocata il 20 agosto 2000 («L’illecito c’è stato, ma non da parte mia

che fui processato e assolto») per cui la giustizia sportiva punì in primo

grado con un anno di squalifica alcuni giocatori, tra cui l’attuale tecnico

del Milan Massimiliano Allegri (all’epoca alla Pistoiese), poi prosciolti

dalla Corte d’Appello della Figc. «È un fatto archiviato 12 anni fa—ha

commentato ieri l’allenatore rossonero—. Io ho passato un processo e sono

stato assolto, andatevi a riguardare le carte. Non ho niente da dire, queste

sono cose che non mi riguardano. Doni si assumerà le sue responsabilità per

quello che dice. Mi tira in ballo perché sono allenatore del Milan».

___

Allegri contro Doni

«Le sue accuse non mi toccano»

L'allenatore del Milan: «Atalanta-Pistoiese

combinata? Sono stato assolto tanti anni fa»

di GIUSEPPE CALVI & ROBERTO PELUCCHI (GaSport 29-01-2012)

«Sì, Atalanta-Pistoiese era combinata, non posso continuare a dire

diversamente», ha detto Cristiano Doni alla giornalaccio rosa. Che quella

(insignificante) partita di Coppa Italia di 12 anni fa nascondesse verità

non dette lo si sapeva da tempo. L'assoluzione generale in secondo grado non

aveva convinto, perfino un ex dirigente atalantino, Giacomo Randazzo, nel

2009 scrisse in un libro: «Ho il grandissimo dubbio che l'illecito sia stato

commesso e, aggiungo, che sia stato commesso con il coinvolgimento di altri

giocatori e, forse, degli stessi allenatori delle due squadre. E' un dubbio

che nessuna sentenza, rispettabilissima ed enunciata da grandi giuristi,

riuscirà a rimuovere». Sia Randazzo, sia Doni hanno parlato sapendo che

nulla sarebbe cambiato. Gli eventuali illeciti sono prescritti per la

giustizia sportiva, le nuove rivelazioni possono avere un peso soltanto

«morale». Forse con i nuovi strumenti investigativi e le nuove regole (le

scommesse non erano vietate ai tesserati) le cose sarebbero andate in modo

diverso, chissà...

Non mi riguarda Per quei fatti furono prima squalificati e poi assolti sei

calciatori: Gallo, Siviglia, Zauri, Banchelli, Aglietti e Allegri. Soltanto

quest'ultimo, all'epoca alla Pistoiese e adesso allenatore del Milan, ha

accettato di parlare, ma senza troppa voglia: «Si tratta di un fatto

archiviato 12 anni fa, io non ho niente da dire perché la cosa non mi

riguarda. È stato fatto un processo e sono stato assolto. Forse sono stato

tirato in ballo perché sono l'allenatore del Milan. Doni si assuma la

responsabilità di ciò che ha detto». Marco Stagliano, nel 2000 ex vice capo

dell'Ufficio indagini della Figc, ha detto invece a Sky Sport: «Avevamo

visto giusto, le ricostruzioni erano state approfondite nonostante i pochi

mezzi a disposizione, purtroppo non è bastato per ottenere prove. Però gli

insulti che abbiamo ricevuto per anni adesso andrebbero restituiti ai

mittenti».

Questione morale Doni nell'intervista ha aperto un altro fronte, invitando

a denunciare il marcio nel calcio. Parole di pentimento a cui non credono i

suoi ex tifosi, scatenati nei blog, e anche gli investigatori sono convinti

che l'ex atalantino abbia detto soltanto il dieci per cento di quello che ha

fatto e di quello che sa. Però, ha aperto il dibattito. Per Reja, tecnico

della Lazio, «se c'è qualcuno che sa qualcosa, denunci. All'estero c'è una

lealtà sportiva superiore a quella che c'è in Italia». E Cosmi (Lecce) sulla

presenza della malavita nel mondo del pallone: «Alla mia età, non vorrei

trovarmi in certe situazioni. E, comunque, sarebbe più giusto aspettare

eventuali sentenze prima di etichettare una persona come corrotta. Dinanzi a

pressioni di quel genere, è dura per tutti decidere come comportarsi.

Giudicare dall'esterno è molto più semplice».

Interrogatori Intanto, dopo Masiello e Marco Rossi, tra domani e venerdì

saranno convocati dalla Procura di Bari per essere interrogati gli ex

biancorossi Parisi, Belmonte, Padelli e Bentivoglio. Ma presto toccherà ad

altri giocatori, non solo ex Bari.

___

Pentimenti e assoluzioni

Allegri: Partite truccate? Chiedete a Doni

di GIANCARLO PADOVAN (il Fatto Quotidiano 29-01-2012)

Se il giornalismo sportivo avesse ancora buona memoria, e magari anche

qualche dose di coraggio in più nei confronti di quella sorta di Minculpop

che sono diventati gli uffici stampa delle società di calcio, ieri non

avrebbe perso l'occasione per mettere alle strette Massimiliano Allegri,

attuale allenatore del Milan ed ex giocatore talentuoso, seppur con qualche

macchia che gli provoca sempre un certo fastidio. Insomma, in una situazione

più conflittuale, Allegri non avrebbe replicato con: “Io sono stato assolto,

è una cosa che si riferisce a dodici anni fa, Doni si assumerà la

responsabilità di quanto detto”. Perché tutto questo è ovvio, anche se non è

del tutto vero. E, soprattutto, perché non smentisce quanto affermato da

Doni: quell'Atalanta- Pistoiese, gara di Coppa Italia del 2000, naturalmente

finita 1-1 come indicavano i flussi anomali alla Snai, era una combine. Nata,

pare, da una goliardata dopo una cena un po' troppo corposa. All'epoca

lavoravo per il Corriere della Sera e fui destinato al servizio del processo

sportivo che si teneva nei saloni della Lega Calcio di Milano con circuito

televisivo aperto. Ricordo bene tutto, dal terreo pallore degli imputati

alle loro imbarazzanti spiegazioni.

C'ERA UN atalantino che sostenne di aver lasciato la propria abitazione

alle due del pomeriggio di un agosto feroce per andare agli allenamenti a

Zingonia che sarebbero cominciati almeno tre ore più tardi (in realtà passò

alla Snai dove lo riconobbero). Vidi Allegri, un ragazzo di 33 anni,

irrigidirsi di fronte a una domanda: “Non voglio mica finire nei casini io”.

Strano come non capisse di esserci già dentro. E non certo per

quell'inveterata abitudine di scommettere sui cavalli. Anche allora in aula

si parlò di telefonate. Troppe e a tutte le ore. La differenza, non

accessoria, è che non eravamo ancora di fronte a intercettazioni – cioè ai

brogliacci dei colloqui – ma a una quantità smisurata di chiamate tra utenze

dei calciatori delle due squadre, alcuni loro familiari, qualche fidanzata.

L'epicentro era la Toscana e il Pistoiese. Ora non è propriamente vero che

Allegri venne assolto. Non in primo grado, per lo meno. Visto che la

Commissione disciplinare inflisse un anno di squalifica sia a lui, sia ad

Aglietti, compagno di squadra nella Pistoiese. Stessa pena a Gallo, Zauri e

Siviglia (Atalanta), sei mesi per Banchelli, anch'egli dell'Atalanta. Solo

in seconda istanza, a prosciogliere tutti, ci pensò la Corte d'appello

federale. Cosa può accadere adesso? Dal punto di vista sportivo, purtroppo,

nulla. La revisione del processo è ammessa solo se si verificano due ipotesi

contemporanee. La prima: l'accertamento dei fatti nuovi raccontati da Doni

che, peraltro, ammette “se qualcuno vorrà altre spiegazioni sono pronto a

darle”. La seconda: la condanna di almeno un imputato. Ma essendo stati

tutti prosciolti, la possibilità della revisione decade. Più interessante

capire se il procuratore federale Palazzi voglia risentire Doni sul

contenuto delle sue recenti dichiarazioni. Nel frattempo, il pentitismo

dilaga tra gli ex del Bari: dopo Andrea Masiello, anche Marco Rossi ha

iniziato a dire tutto.

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SETTE GIORNI

DI CATTIVI PENSIERI

di GIANNI MURA (la Repubblica 29-01-2012)

BASTA COMPLESSO SPAGNA

LA BATTIAMO NELLA PROVA TV

Smettiamola di piangerci addosso e di considerarci le ultime ruote del carro

in Europa. Siamo meglio della Spagna per la prova tivù, almeno per quella.

Dias dà un pugno a Van Bommel? Tre turni di squalifica. Pochi, perché colpire

alle spalle dovrebbe essere un´aggravante, ma già qualcosa. Pepe calpesta una

mano di Messi steso a terra? Non succede niente, a livello di sanzioni.

Succede che Pepe si copre di ridicolo affermando di non averlo fatto apposta,

mentre i filmati dimostrano che prima guarda in basso, poi calpesta. E da

questo particolare che si può decidere di arruolare Pepe tra quelli che

picchiano per piacere, come Passarella, e non per necessità. Mourinho, c´era

da scommetterci, crede al suo giocatore, credibile come la storiella di Ruby

nipote di Mubarak. Quando potevamo godere più spesso delle esibizioni di

Mourinho lo avevo definito una via di mezzo tra Berlusconi e Vanna Marchi. Sui

quotidiani di ieri trovo altre definizioni. Una, su "Libero", di Giampiero

Mughini, titolo: «Allenatore part- time, bullo a tempo pieno». Sì, specie in

tivù (il bullo della diretta) ma a volte è compitissimo e geniale (un bullo in

maschera) e molto spesso vince (un bullo compressore). Sommario: «José è un

incrocio fra un comico e una pin up». Di ben altro avviso Michel Platini,

intervistato dal "Corsera": «Lo adoro». Forse sbalestrato dal dono di un

salame (7,5 sulla fiducia) che l´intervistatore ha portato a Nyon dall´Italia,

Platini esprime un altro concetto discutibile: «Aiutiamo Blatter a uscire di

scena a testa alta». Discutibile nel senso di 3: Blatter non ha bisogno di

aiuti, se Platini vuole lo aiuti pure lui ma il coinvolgimento no, grazie. Il

giorno in cui Blatter uscirà dal calcio dovrò aiutare a stappare molte

bottiglie

Restiamo in Svizzera e da un bullo passiamo a un Bulat, cognome Chagaev,

pseudomiliardario ceceno che nel maggio dell´anno scorso ha rilevato il

Neuchatel. Da allora ha cambiato quattro allenatori e accumulato debiti. Si è

scoperto che la garanzia finanziaria firmata da Bank of America era un falso.

Vero il rosso in bilancio: 6 milioni di franchi. La prossima settimana

ripartirà in Svizzera un campionato col Sion penalizzato di 36 punti e il

Neuchatel spedito in quinta divisione. Del presidente Chagaev si ricorderanno

le guardie armate con pistoloni alla cintura mentre lui minaccia i giocatori.

Che poi una banca svizzera si faccia fregare da un ceceno con una falsa

garanzia bancaria statunitense è un fatto che può ispirare riflessione agli

esperti di economia, quindi non a me.

A me, semmai, non sembra il caso di replicare a Der Spiegel" che ha definito

il comandante Schettino "un italiano tipo" chiedendo se il tedesco tipo sia

Eichmann o Goethe, o Beethoven, o Rummenigge. Caratterizzare un popolo è

ingeneroso e spregevole, conclude una delle lettere inviate a Corrado Augias.

Concordo. L´affermazione sull´italiano tipo appartiene in toto a chi l´ha

formulata, un coglionazzo nato in Germania che si chiama Jan Fleischhauer.

Tipi così prosperano anche nei nostri giornali, con altre generalità.

Diciamolo serenamente, anche perché non dirlo ci metterebbe ai livelli di

Fleischhauer.

Smettiamola (e due) di piangerci addosso, ma continuiamo a guardare a quel

che accade all´estero. In Inghilterra a fine febbraio c´è la finale di Carling

Cup e vedrà in campo a Wembley, contro il Liverpool, la squadra di Cardiff,

serie B. In Spagna è arrivato alle semifinali di Coppa del Re il Mirandes,

serie C. Nelle ultime tre sfide ha eliminato tre squadre di A: il Real, Racing

Santander ed Espanyol. In semifinale giocherà con l´Athletic Bilbao. Miranda

de Ebro ha 39mila abitanti, uno stadio da seimila posti e un budget annuale di

1,2 milioni di euro. Da noi cose così non possono succedere perché i Golia non

hanno una gran voglia di misurarsi con David, le grandi squadre non amano

iniziare l´avventura a Monza o a Benevento perché un Mirandes può nascondersi

ovunque ci sia un budget molto basso. Tant´è che si sta celebrando l´impresa

del Siena, che arriva in semifinale con tre grandi ma è pur sempre una squadra

di A.

Alla fine del girone di andata nella classifica delle multe inflitte alle

tifoserie le tre più buone sono Milan e Bologna (zero euro) e Udinese (2. 000).

Le tre più cattive Atalanta (79,500), Inter (71) e Roma (67). Sull´Atalanta

pesano i 35mila della partita con la Juve: oltre al lancio di fumogeni e

petardi, una monetina che colpiva l´arbitro a una spalla. Dal settore

juventino, in compenso, venti bengala lanciati in mezzo al pubblico (cinque

feriti): multe di 20mila euro, la stessa cifra pagata dall´Inter per due

striscioni ingiuriosi. Doveroso sanzionarli, ma i razzetti sparati nel mucchio

sono più pericolosi. Chiusura sempre sull´Inter. La lapide per Weisz è stata

scoperta venerdì pomeriggio, presenti Ranieri, il capitano Zanetti e Milly

Moratti. Quanto a un trofeo, a una partita annuale per ricordare l´allenatore

morto ad Auschwitz, il Bologna s´è già dichiarato disponibile. L´Inter ci

penserà.

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Anti evasione Il nuovo fronte

I conti dei club di calcio

sotto la lente delle Entrate

Faro sull'Iva per le cessioni, vertice con la Federcalcio

di STEFANIA TAMBURELLO (CorSera 29-01-2012)

ROMA — Facile dire che il Fisco voglia veder chiaro nel mondo del calcio. E'

una ricerca complessa, in cui si intrecciano procedure contabili e sofisticati

strumenti finanziari, meccanismi che danno valore all'abilità specifica e

temporanea dell'atleta, regole incerte e tanti tanti soldi. Questa volta

sembra però che l' Agenzia dell'Entrate, col suo direttore Attilio Befera,

voglia arrivare fino in fondo. Tanto da allargare il confronto, nato su come e

se le squadre di calcio debbano versare l'Iva sulle vendite e sugli acquisti

in compartecipazione dei giocatori, a tutti i nodi fiscali dello showbusiness

del pallone.

Befera, il presidente della Lega Calcio serie A, Maurizio Beretta, e il

presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete si sono incontrati venerdì

scorso. E dopo il primo confronto hanno deciso di aprire un tavolo permanente

sul fisco per mettere a punto, una volta per tutte, le regole tributarie

valide per l'intero sistema. Con l'obiettivo di affidare a Federcalcio e

quindi a cascata alle diverse Leghe, il tutoraggio fiscale. Che poi è il

compito di monitorare l'osservanza delle norme da parte di tutti i

protagonisti di partite e campionati per evitare che qualcuno ne approfitti

danneggiando gli altri. Una sorta di tutela della concorrenza, perché pagare o

non pagare nella maniera corretta il dovuto all'erario quando si tratta di

milioni di euro, fa una bella differenza non solo per le casse dello Stato ma

anche per quelle delle singole società di calcio.

L'incontro è nato sull'esigenza di trovare una soluzione all'ondata di

accertamenti partiti a sorpresa alla volta di quasi tutte le società di calcio

negli ultimi giorni di dicembre sulla scia del caso sollevato dalla uffici

tributari della Liguria in merito alla fatturazione dell'Iva, pari attualmente

al 21% ma destinata a salire in ottobre al 23%, nel caso della cessione di un

giocatore in comproprietà della Sampdoria risalente al 2006. Il primo problema

sul tavolo pone l'interrogativo se l'imposta sul valore aggiunto vada o meno

versata sul plusvalore eventualmente realizzato nei contratti di

compartecipazione. O meglio su quel plusvalore che si registra quando, nella

seconda fase dell'accordo, l'acquisto o la cessione frazionata tra più squadre

si conclude. A rigore potrebbe essere una questione neutrale per il fisco

visto che, trattandosi di un rapporto tra imprese, una verserà l'imposta e

l'altra la dedurrà. Al netto ovviamente dei furbi e degli evasori. In ogni

caso le Entrate ritengono che la comproprietà sia un'attività accessoria,

soggetta all'Iva, la Federcalcio che si tratti di un'attività finanziaria,

esente da Iva, che utilizza peraltro un contratto derivato, uno swap, che in

grande sostanza scommette sul valore futuro del giocatore.

Il nodo fiscale più grosso riguarda però il pagamento dell'Irap sulle

plusvalenze dei giocatori. Qui le regole sono incerte, tanto che le società

quotate e comunque le maggiori versano l'imposta per non incorrere nel rischio

dell'accertamento anche se in molti casi ne chiedono subito dopo la

restituzione al Fisco, affidando al contenzioso la soluzione della vicenda. Si

tratta di un problema che si trascina da anni: il ministero insiste nel dire

che l'Irap è dovuta perché si tratta di operazioni ordinarie per una squadra;

il mondo del calcio resiste affermando, con un po' di difficoltà, che si

tratta di operazioni straordinarie non soggette quindi all'imposta

sull'attività produttiva. Anche la terza questione è da tempo sul tappeto e

attiene ai procuratori, ai cacciatori di teste del mondo del calcio: il fisco

vorrebbe porre i loro costi a carico al 50% su giocatori e società; queste

ultime ribattono invece che occorre verificare caso per caso come avviene

nelle aziende. Infine al tavolo governo-calcio saranno riesaminati i criteri

contabili per l'ammortamento dei diritti di sfruttamento delle prestazioni

degli atleti.

L'intervista
Maurizio Zamparini, presidente del Palermo

«Una bolla di sapone solo cavilli per far cassa»

di ALESSANDRO PASINI (CorSera 29-01-2012)

Calcio e fisco sono i campi di battaglia preferiti di Maurizio

Zamparini. Da presidente del Palermo ama combattere in egual

misura i potenti club del Nord e i propri allenatori (compresa

l'avventura al Venezia, dal 1987 ne ha esonerati 35 e ne va

fiero). Da imprenditore (ramo grande distribuzione) e da

italiano arrabbiato ha appena fondato il «Movimento per la

gente», il cui programma manifesto è difendere i diritti delle

persone verso tasse e burocrazia. Di solito lo Stato italiano lo

irrita quanto il Palazzo del football, ma stavolta stravince lo

Stato e lui, con la solita non-diplomazia, non lo nasconde.

Presidente, ha sentito? Il Fisco si sta interessando di

calcio. . .

«Bé, lo Stato si sta interessando a tutti i vasi da notte degli

italiani per vedere cosa c'è dentro».

Che bella immagine.

«Comunque fondata. Da tempo parlo di Stato canaglia e questa è

l'ennesima dimostrazione».

In che senso?

«Intanto bisogna dire una cosa: il sistema di tassazione nel

calcio così com'è non procura allo Stato alcun danno. Tutto il

meccanismo è stabilito da tabulati che la Federcalcio ha

concordato con la Covisoc. Dunque, è tutto legale. Le faccio un

esempio».

Prego.

«Viviano è in comproprietà fra il Palermo e l'Inter.

Tecnicamente, la cosa è andata così: io l'ho comprato dall'Inter

a 10 milioni, più 2 di Iva. Successivamente, come prevede la

formula all'italiana, ho ceduto la metà all'Inter per 5, ma su

quella cifra l'Iva non c'è. Se ci fosse, tuttavia, le cose non

cambierebbero, perché anziché versare noi i 2 milioni della

prima operazione, ne verseremmo uno a testa noi e l'Inter. Mi

spiega cosa cambia per lo Stato?»

Secondo lei?

«Nulla appunto. Poi, se vuole un altro mio parere, la regola

così com'è è stupida. Però l'hanno fatta loro e ce la dobbiamo

tenere. Il punto comunque è più generale».

E cioè?

«Cioè che questi sono tutti escamotage per cercare di raccattare

soldi dalle tasche degli italiani non agendo sull'evasione

fiscale, ma sui cavilli, sulle interpretazioni delle leggi e

sull'eventualità che la gente non faccia ricorso davanti alle

cartelle più piccole».

Un'altra della sue tesi forti.

«E anche questa è fondatissima. Lo so bene io che ho ricevuto

cartelle fasulle per 30 milioni. Proprio di recente ne ho

ricevute cinque piccole, sui 1500/2000 euro: erano tutte fasulle,

proprio di quelle che se ti metti a far ricorso finisci per

spendere di più...».

Come si dovrebbe reagire?

«Indagando caso per caso: vedere singolarmente quali di queste

cartelle sono vere e quali fasulle».

Lo ha detto anche in televisione parlando del suo

Movimento per la gente.

«Infatti, vogliamo dire basta a tutto questo».

Se la accusano di demagogia che dice?

«Che solo da noi bisogna dimostrare al Fisco di essere

innocenti. Ma perché invece non provvedono loro a dimostrare

l'eventuale colpevolezza del cittadino? Noi vogliamo coinvolgere

la magistratura e chiamarla a indagare per tutelare i diritti

degli italiani. Le prime rivolte le vedete in giro, no? Ecco,

tra un po' si ribellerà tutta l'Italia».

Tornando al pallone, siamo proprio sicuri che tutto sia

limpido e perfetto? Il nostro calcio non è un luogo di

comportamenti virtuosi. . .

«Vero, ma dal punto di vista amministrativo io dico che il

calcio italiano è il migliore di tutti».

Addirittura?

«Sì, e per due motivi: anzitutto per le garanzie date dalle

fideiussioni bancarie, poi per il controllo periodico della

Covisoc. Ormai non è più come in passato: se uno le tasse non le

paga, non può iscriversi. Anche se magari a gente come Lotito è

andata diversamente».

Accusa il suo collega della Lazio?

«Bé è lui l'amico di Befera (direttore delle Entrate, ndr).. . ».

Secondo lei questa storia come andrà a finire?

«In niente, sono sicuro».

Dunque, calcio sano?

«Amministrativamente sì. Non sarà qui che lo Stato potrà cercare

di ridurre un debito creato solo da chi stampa la carta».

___

Il fisco ai club: “Nuove regole

Altrimenti stop alle iscrizioni”

Nel mirino le tasse sulle comproprietà: rilevati vizi nel sistema

di SIMONE DI SEGNI (LA STAMPA 29-01-2012)

Discuterne oggi, per non trovarsi di fronte a brutte sorprese domani.

L'obiettivo è quello di arrivare ad un insieme di norme condivise, al centro

c'è il meccanismo tributario a cui devono attenersi le società di calcio, per

questo Fisco e Pallone siedono da giorni allo stesso tavolo: sarà pur vero che

il problema è più tecnico che reale, come garantiscono i protagonisti degli

incontri avvenuti, ma, una volta riscritte le regole, i club che verranno

colti in difetto non potranno iscriversi al campionato.

Piani di ammortamento, commissioni, riconoscimenti ai procuratori, diritti

per lo sfruttamento dell'immagine e (soprattutto) plusvalenze derivanti da

comproprietà: l'Agenzia delle Entrate ha notato una certa asimmetria nei

comportamenti delle società, quando si tratta di pagare le tasse sulle varie

attività che svolgono. Le istruzioni della Federazione, risalenti al 1992,

peraltro non sono perfettamente in linea con gli intendimenti del Fisco. Per

il momento, lo Stato ha adottato una linea soft: non si tratta, ovvero, di

punire degli illeciti, ma di correggere il vizio a monte: quello di sistema.

In molti casi si parla di trattamento neutro: tasse a costo zero, perché se

c'è uno che le paga, ce ne è un altro che le recupera. Il tema delle

compartecipazioni, tra l'altro il più dibattuto, può valere da esempio. Vendo

il 100% di un cartellino, lo riacquisto al 50% in chiave futura (in realtà

funziona così): se l'anno successivo si verificasse una plusvalenza, bisognerà

calcolare (e pagare) anche l'Irap (imposta regionale sulle attività produttive)

? Due risposte: trattasi di operazione finanziaria, come dicono le istruzioni

della Figc, pertanto non è tassabile; viceversa, non lo è, secondo la tesi

dell'Agenzia, quindi va pagato il 3,75%, che in ogni caso sarà deducibile. Il

punto è proprio questo: il Fisco e il mondo del calcio (ai primi incontri con

il direttore delle Entrate Attilio Befera hanno partecipato il presidente

della Federcalcio, Giancarlo Abete, quello della Lega di serie a, Maurizio

Beretta, oltre al patron della Lazio Claudio Lotito) vogliono evitare

incomprensioni e asimmetrie.

Sensibilità, tutoraggio, regole condivise: le linee guida. Spetterebbe alla

Covisoc (la commissione di vigilanza delle società di calcio) accertare

eventuali illeciti e porre il veto sulle iscrizioni ai campionati. «Ci stiamo

confrontando con l'Agenzia proprio per evitare contenziosi in futuro",

spiega Ezio Simonelli, presidente del collegio sindacale della Lega,

incaricato di affrontare in prima linea la questione. «Dal canto suo, la Figc

stessa ha interesse ad arrivare ad una serie di regole condivise, così da

scongiurare il rischio di interpretazioni asimmetriche da parte dei club. Più

che il faro o la lente d'ingrandimento del Fisco, c'è la volontà di conoscere

meglio e regolamentare un sistema».

Tra le Entrate e la Figc è già in atto un protocollo di intesa per la

cooperazione e la vigilanza sui conti delle società professionistiche. Il 12

dicembre scorso venne ratificato l'accordo, che si basa sullo scambio di

informazioni. Sarà sempre meglio dialogare (o discuterne) oggi, piuttosto che

trovarsi di fronte a brutte sorprese, domani.

___

TASSE DOPO LE MULTE RELATIVE AL 2006, APERTO UN TAVOLO TRA AGENZIA DELLE ENTRATE, FIGC E LEGA

Fisco, comproprietà nel mirino:

sulle plusvalenze si paghi l'Iva

Beretta: «Sarà fatta chiarezza, ma non c'è stato danno per l'Erario»

di MARCO IARIA (GaSport 29-01-2012)

L'Agenzia delle Entrate torna a occuparsi del calcio. In realtà, tra le

provvigioni agli agenti e l'Irap, non aveva mai smesso di farlo. Stavolta nel

mirino del Fisco sono finite le operazioni di comproprietà, sempre più in voga

nel calciomercato (se ne contano circa 200 in A). L'Agenzia ha sollevato dubbi

su un meccanismo comune a tutti i club perché disciplinato dalla Federazione

dal lontano 1992: secondo le Noif, le normative interne, le compartecipazioni

sono operazioni di natura finanziaria e quindi, all'atto della liquidazione,

l'Iva non si paga. Il problema si pone nel caso in cui il riscatto di un

giocatore diviso a metà tra due club generi una plusvalenza. Facciamo un

esempio: la società X compra un calciatore dalla società Y per 10 milioni più

il 21% di Iva per un totale di 12, 1 milioni, contestualmente la società Y

rileva la metà del cartellino versando 5 milioni alla società X; se l'anno

dopo la società X decide di riscattare il calciatore a un valore superiore

(poniamo 11 milioni) ne versa altri 6 alla società Y, ma quel milione di

plusvalenza non è soggetto all'Iva. La contestazione dell'Agenzia è proprio su

quest'ultimo anello della catena.

Tavolo Da qui l'apertura di un tavolo di confronto, a cui hanno partecipato

il direttore delle Entrate Attilio Befera e i presidenti della Figc Giancarlo

Abete e della Lega di A Maurizio Beretta, e che poi si è allargato ai tecnici

Betunio (Agenzia), Maugeri (Covisoc) e Simonelli (Lega) e al patron della

Lazio Lotito. Una presenza non casuale la sua: i difetti di comunicazione

istituzionale tra gli enti sono stati da lui sollevati nell'ultima assemblea.

Il mondo del calcio ha spiegato che le comproprietà sono equiparate a

operazioni finanziarie, come i derivati, la controparte ha ribattuto che nella

sostanza si tratta invece di operazioni di compravendita dei calciatori.

«Tutti quanti siamo d'accordo — spiega Beretta — sul fatto che non c'è stato

un danno erariale perché, trattandosi di società, l'Iva che si versa poi si

recupera: il saldo è zero. L'importante è fare chiarezza». Il tavolo si

concluderà nel giro di qualche mese, in tempo per la prossima stagione, quando

dovrebbero essere recepite a livello normativo le indicazioni dell'Agenzia

delle Entrate: in futuro, anche i riscatti delle comproprietà saranno

assoggettati a Iva, ma cambieranno a quel punto i principi contabili.

Passato C'è però un pregresso da sanare. Per il 2006 il Fisco aveva già fatto

partire una montagna di avvisi di accertamento, scattati da una verifica

effettuata sulla Sampdoria. Multe per diversi club, generalmente dell'ordine

di qualche decina di migliaia di euro il Palermo, a esempio, 16 mila. Finora,

l'unica società che ha chiuso la pratica è stata la Juventus,

ma l'ha fatto nell'ambito di un accordo transattivo molto più vasto, per un

totale di 7,4 milioni. Se il tavolo si chiuderà positivamente, i conti con il passato

si limiteranno a quell'annualità. «Abbiamo anche discusso — dice Ezio Maria

Simonelli, presidente del collegio dei revisori della Lega — della possibilità

di attivare un tutoraggio da parte di Figc e Leghe affinché vengano rispettate

le regole sugli adempimenti fiscali, come fa la Covisoc con i bilanci. La

libera concorrenza nel calcio si realizza se tutti i club pagano le tasse

dovute».

___

Tavolo Agenzia-Lega-Figc. In discussione l'Iva sui «diritti di compartecipazione»

Anche il calciomercato finisce

sotto la lente degli uffici

di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24 Ore 29-01-2012)

Calciomercato sotto la lente del Fisco. Il direttore dell'agenzia delle

Entrate, Attilio Befera, e i presidenti della Lega, Maurizio Beretta, e della

Federcalcio, Giancarlo Abete, hanno deciso di avviare un tavolo tecnico allo

scopo di appurare le modalità di tassazione dei cosiddetti "diritti di

compartecipazione".

L'impressione, però, è che la partita tra Fisco e Figc sia appena cominciata

e che le questioni aperte siano molte di più. Si tratta spesso, peraltro, di

prassi consolidate anche in virtù dei suggerimenti contabili forniti dalla

Covisoc (Commissione di vigilanza della società di calcio), come per l'Irap

non versata dai club sulle plusvalenze e pretesa dalle Entrate.

Agenzia e Figc ormai da alcuni anni hanno stipulato accordi per garantire la

regolarità dei campionati attraverso lo scambio di informazioni utili a

rafforzare l'attività di controllo fiscale sulle società sportive

professionistiche. Un'alleanza confermata fino al 28 febbraio 2013. Questa

moral suasion del Fisco, tuttavia, non comporta una copertura dalle verifiche

tributarie come è accaduto anche di recente per il trattamento fiscale degli

emolumenti a manager e procuratori. Molti club, infatti, stipendiano

stabilmente gli intermediari, anche dopo la conclusione degli affari, per una

serie di servizi prestati dagli stessi ai giocatori che assistono, come ad

esempio l'attività "personalizzata" di ufficio stampa o di tutela legale. Per

il Fisco, però, in questo "costo" supplementare sostenuto dalla società si

anniderebbe una quota dell'ingaggio pattuito con gli atleti, equivalente a un

fringe benefit. Versarlo al procuratore anzichè direttamente al giocatore

permetterebbe alle società di risparmiare la quota di Irpef che, per

consuetudine, si accollano elargendo ai calciatori compensi "netti".

Tra le prassi del calciomercato su cui il Fisco vuole vederci chiaro c'è ora

quella di assicurare al club che vende – specie quando si tratta di giovani di

prospettiva – un diritto di compartecipazione sulla rivalutazione dell'atleta.

Si stabilisce, in altri termini, che la società che cede l'atleta avrà diritto

a percepire una certa percentuale dal maggior "valore" raggiunto dal giocatore

dopo un anno o un periodo più lungo. Questo indipendentemente da situazioni di

formale comproprietà e di eventuali plusvalenze realizzate rivendendo il

cartellino a un prezzo maggiorato.

Il diritto di compartecipazione riguarda, dunque, l'apprezzamento, anche

potenziale, del giocatore che nel frattempo, magari, ha esordito in serie A o

ha maturato un certo numero di presenze nella massima serie.

Questo maggior valore è considerato dalla Figc esente da Iva. E trattandosi

di importi, talvolta milionari, tassabili teoricamente al 21%, non è un

risparmio da poco. Ma per l'agenzia delle Entrate, che non intende accanirsi

sui già fragili equilibri economici del calcio tricolore, questa soluzione non

è così pacifica.

Prima di arrivare ad accertamenti veri e propri nei confronti delle società

con cui sono in atto "schermaglie" su questo tema – sembra sia stata la Lazio

di Claudio Lotito a sollevare per prima il caso – si cercherà di trovare un

compromesso. Prima di tutto, andrà chiarita qual è la natura giuridica del

diritto di compartecipazione. Se si trattasse di un'associazione in

partecipazione allora si sarebbe fuori dal campo dell'Iva. Se invece venisse

considerato come un'"obbligo di fare" l'Iva sarebbe applicabile, mentre

qualora fosse configurabile come una sorta di contratto derivato, l'incremento

di valore andrebbe sì fatturato ma l'Iva non si pagherebbe, essendo i rapporti

finanziari, come questo, in regime di esenzione.

IL PROBLEMA

01
| LA QUESTIONE

Nell'ambito delle operazioni di calciomercato, specie quando si

tratta di giovani di prospettiva, viene assicurato al club

cedente un diritto di compartecipazione sulla rivalutazione del

calciatore. In pratica, la società che cede l'atleta avrà

diritto a percepire una percentuale dal maggior "valore"

raggiunto dal giocatore dopo un anno o un periodo più lungo.

Tutto ciò per la Figc è esente da Iva

___________________________________________________

02
| LE SOLUZIONI

Per l'agenzia delle Entrate questa soluzione non è pacifica. Nel

tavolo aperto con Lega e Figc si cercherà di trovare un

compromesso. Prima di tutto andrà definita la natura giuridica

del diritto di compartecipazione. Varie le ipotesi allo studio:

contratto di associazione in partecipazione (fuori dal campo

dell'Iva); patto equivalente a un'opzione/derivato di natura

finanzaria (esente dall'Iva); ovvero obbligazione di fare (alla

quale l'Iva sarebbe applicabile in pieno)

___

Esattori scatenati

Gli 007 delle tasse

all’attacco del calcio

di UGO BERTONE (Libero 29-01-2012)

Dopo il blitz tra i gioiellieri di Cortina, l’Agenzia delle Entrate ha scelto

un altro bersaglio: il mondo del calcio. Cambiano i modi, però. Non c’è stata

l’incursione delle Fiamme Gialle negli spogliatoi o, più semplicemente, negli

uffici della Lega ove vengono depositati i contratti di compravendita dei

calciatori. Stavolta il direttore dell’Agenzia Attilio Befera, formidabile

cannoniere che di questi tempi non sbaglia un calcio di rigore, ha scelto la

formula del “tavolo tecnico” con Maurizio Beretta, presidente dimissionario

della Lega Calcio e Giancarlo Abete, presidente della Federazione, per dettare

le regole di una materia complicata ed opinabile: la tassazione Iva sulle

compartecipazioni dei calciatori.

Proviamo a capirci qualcosa. Come attestano le cronache sportive, è sempre

più comune il caso di calciatori posseduti a metà, con le formule più diverse.

Tanto per stare sul concreto, prendiamo il caso di Sebastian Giovinco, oggi

del Parma ma su cui la Juventus, società d’origine, vanta la possibilità di

riscatto del 50%. In termini giuridici, l’accordo, così come previsto dalla

Federazione, è così configurato: il Parma ha comprato il 100% del cartellino

di Giovico (e ha pagato l’Iva per intero, oggi del 21% presto al 23%): La

Juventus, invece, ha acquistato un diritto di credito da esercitare, se crede,

ad una data prefissata. Se Giovinco tornerà bianconero, toccherà al club

presieduto da Andrea Agnelli versare l’Iva prevista. Fino ad allora, dal punto

di vista del bilancio, Giovinco sarà patrimonio del Parma. Alla Juve spetterà

solo un credito.

Fin qui è tutto facile. E, diciamolo pure, di scarso valore economico. Le

società di calcio, infatti, l’Iva la possono scaricare: l’evasione dell’Iva

tra due club di serie A o tra società di Paesi dell’Unione Europea sembra a

prima vista, un gioco a somma zero.

Ma la partita in realtà è molto più complicata ed interessante, almeno dal

punto di vista di Befera. Tanto per cominciare, si deve vigilare sul prezzo di

quel che impropriamente possiamo definire il riscatto del giocatore o sulla

plusvalenza realizzata dai due club nel caso il giocatore finisca ad un terzo.

Non è un caso teorico sotto i cieli del business del calcio che non conosce

frontiere, nemmeno quelle fiscali. Basti, a mo’ di esempio, ricordare il

contenzioso tra il presidente del Palermo Zamparini e i precedenti proprietari

del cartellino di Pastore al momento della cessione del gioiellino argentino

al Paris Saint Germain. Questi ultimi rivendicavano un diritto di

compartecipazione sul calciatore negato dal dirigente rosanero.

Intendiamoci, l’esempio Pastore non tocca il problema dell’Iva. Ma serve a

sottolineare come sempre più spesso (in Sud America soprattutto) il cartellino

dei giocatori più promettenti non è nelle mani di un club bensì di

associazioni di investitori privati che scommettono sulla carriera dei ragazzi

come un tempo si faceva sui puledri dei campioni. Club di investitori che non

hanno alcuna possibilità di farsi rimborsare l’Iva, cosa che ha senz’altro

attratto l’attenzione degli 007 del fisco.

Fin qui gli aspetti tecnici. Ma al di là del tema, moralmente noioso ed

indigesto della compartecipazione dei calciatori, la novità vera è che

l’Agenzia delle Entrate fa sapere che intende giocare in prima persona il

girone di ritorno del Campionato, un po’ per rastrellar quattrini, molto per

riscuotere il tifo degli italiani spremuti come limoni. Si comincia dall’Iva

ma con il forte sospetto che le irregolarità del mondo del pallone siano ben

più gravi. E la squadra delle Fiamme Gialle, si sa, è maestra nel praticare il

pressing a tutto campo per cogliere in fallo evasori, elusori o anche solo

campioni dal conto milionario e che, per questo motivo, qualcosa avranno pur

da nascondere. O no? Statene sicuri: dal tavolo tecnico verrà fuori qualcosa

di più dell’Iva.

Commento

Con un fisco bestiale il pallone

italiano retrocede in serie B

di IVAN ZAZZARONI (Libero 29-01-2012)

Sta per nascere il Campionato Equitaliano di calcio. Dalla

vecchia Serie A, quella che ieri sera ci ha regalato

Juve-Udinese. Partendo dagli esiti di una serie di accertamenti

e delazioni, il governo Monti ha deciso di colpire (anche) il

pallone aumentando l’Iva sulle compravendite dei calciatori -

dal 21 al 23 per cento, e così sarà per tutti - e soprattutto

introducendola nelle compartecipazioni. «L’obiettivo è

ridisegnare l’imposizione Iva sulle operazioni dei club e non

certo a costo zero, ma con un più che probabile aggravio per le

casse della società». Una simpatica trovata, per certi versi

simile alla liberalizzazione delle licenze dei taxi. Per il

sistema Italia un’altra bella botta (subita) di demagogia e

l’urgenza di trovare in fretta nuovi sistemi di sopravvivenza -

mentre scrivo queste cose mi viene in mente Zamparini che mesi

fa lanciò il «Movimento per la gente» proprio per ribellarsi

alle truppe di «Artiglio» Befera che secondo il presidente del

Palermo «blocca la crescita del Paese lasciando in mutande le

imprese, l’imprenditoria». Il nostro calcio e non solo il nostro,

si sa, si è retto per almeno trent’anni sull’evasione di campo,

sul nero, ma negli ultimi tempi si è dato una notevole ripulita

finendo peraltro col perdere un sacco di posizioni a livello

europeo. Soltanto di recente il premier spagnolo Mariano Rajoy

ha cancellato la legge Beckham che indiscutibilmente favoriva la

Liga attraverso una sensibilissima riduzione della pressione

fiscale. L’input di Monti che - ricordo - anni fa da presidente

Ue si schierò giustamente contro il decreto spalmadebiti, è

chiaro: per rimettere a posto i conti ci vuole un Fisco bestiale.

PS. Leggo: «La modifica del sistema Iva applicato al

calciomercato rientra in un più vasto piano di collaborazione

tra Figc e Agenzia delle Entrate, a partire dal protocollo

firmato a dicembre che prevede per la federcalcio l’obbligo di

comunicare subito al Fisco l’elenco delle società sportive

professionistiche completo di denominazione societaria e codice

fiscale. A sua volta l’Agenzia delle Entrate è impegnata a

fornire alla Federcalcio, entro il prossimo 31 maggio, i

risultati dei controlli fatti sulle dichiarazioni dei redditi e

su alcuni adempimenti (compreso il pagamento di cartelle

esattoriali) relativi ai pagamenti Ires, Irap, Iva e Irpef per i

periodi d’imposta 2009 e 2010».

Cresce il consenso dei club nei confronti di Abete.

___

La normativa

Scambi, riscatti e buste:

un attaccante vale anche mille euro

di FRANCESCO DE LUCA (Il Mattino 29-01-2012)

Le comproprietà, definite tecnicamente «compartecipazioni», erano state

abolite dopo l’introduzione della legge 91 all’inizio degli anni ’80. Sono

state successivamente reintrodotte perché la Federazione e la Lega Calcio non

volevano che vi fossero scritture private tra i club per il passaggio della

metà dei cartellini dei giocatori. Quattro anni fa l’ex presidente

dell’Assocalciatori, Sergio Campana, si è battuto affinché le comproprietà

venissero cancellate, ma non è riuscito a spuntarla. Peraltro, per motivi di

bilancio, nell’estate 2010 le società hanno cominciato ad effettuare un nuovo

tipo di operazione: prestito con obbligo di riscatto dei calciatori (non

contemplato nei regolamenti, ma ispirato da di gentlemen agreement).

Il meccanismo della comproprietà non è diretto. La società A, dopo aver

venduto alla società B l’intero cartellino di un giocatore (e la società B

paga l’Iva al 21 per cento), acquista dalla società B la metà del cartellino

(e la società A non paga l’Iva su questa seconda operazione). Il riscatto

della comproprietà può essere predeterminato dalle due società (abitualmente è

la stessa cifra della valutazione di metà cartellino) oppure essere libero e

in questo caso si va «alle buste»: prima della scadenza della stagione (30

giugno), se i due club non si accordano, scrivono una cifra per il 50 per

cento del cartellino del calciatore. A volte, la cifra può essere molto bassa.

Ad esempio, nella scorsa estate il Napoli ha riscattato dalla Sampdoria la

metà del cartellino di Mannini per 1.000 euro, girandolo poi al Siena. Il

Fisco è intenzionato ad imporre il pagamento dell’Iva sulla cessione del 50

per cento del cartellino, al momento «esente». I club hanno seguito le

indicazioni della Federcalcio in materia e in particolare della Covisoc, la

commissione che controlla i bilanci. Le norme in materia fiscale sono

diventate più rigide: nel corso della stagione vi sono frequenti controlli,

con possibili penalizzazioni in classifica per le squadre inadempienti, e c’è

perfino il rischio di esclusione dai tornei.

Nel corso di questa fase del calciomercato c’è stato uno scambio di

comproprietà tra Roma e Parma: Borini nella capitale e Okaka in Emilia. Diviso

tra due club è Giovinco, uno dei talenti della Nazionale di Prandelli: il suo

cartellino è diviso tra il Parma e la Juve. Il caso più recente e singolare

riguarda l’attaccante Sculli. Nella scorsa estate Lotito ha acquistato dal

Genoa la metà del cartellino del calabrese e due settimane fa l’ha restituita

alla società ligure.

-------

La storia Nuovo round nella telenovela delle tasse non pagate dall’ex pibe de oro durante al sua esperienza in azzurro

Maradona, no alla sospensiva

sul maxi debito da 38 milioni

La commissione tributaria non accetta la richiesta

La difesa: è inspiegabile

di GINO GIACULLI (Il Mattino 29-01-2012)

Tasse non pagate. Una maledetta storia che va avanti dagli anni ’80. Dagli

anni in cui Diego Armando Maradona era il «pibe de oro», l’incantatore, il

pifferaio magico delle folle pallonare napoletane. Oggi Diego, il signor

Maradona allenatore a Dubai, è sempre il debitore di oltre 38, sì 38 milioni

di euro allo Stato italiano. Tasse non pagate. E il contenzioso ha un nuovo

capitolo: è stata infatti rigettata la «sospensiva» del debito di oltre 38

milioni di euro. La sezione 17 della commissione tributaria provinciale di

Napoli, presidente il magistrato Gaetano Annunziata, non ha accettato le

richieste del nuovo collegio difensivo dell’ex pibe. Diego, insomma, al

momento resta un debitore: l'udienza per discutere il merito è stata fissata

per il prossimo 5 aprile. Nell'ordinanza si indica esplicitamente «il rigetto

dell'istanza di sospensione degli atti impugnati» e si «fissa per la

trattazione del merito l'udienza del 5/4/2012».

Una storia tormentata. Che ha visto lo Stato italiano, tramite Finanza,

sequestrare a Diego dagli orecchini ai Rolex ai preziosi, l’ultima volta al

complesso di Chenot circa un anno e mezzo fa. Da ricordare poi che Diego non

mette piede a Napoli dal 2005 per l’addio al calcio di Ciro Ferrara. E che nel

2010 la partita della festa per i suoi 50 anni che voleva organizzare

Salvatore Bagni non si tenne proprio a causa dei «debiti» di Diego che, in

pratica, lo tengono lontano da un normale transito in Italia.

Angelo Pisani, docente di Processo tributario all'università Parthenope di

Napoli, e difensore di Diego Armando Maradona ritiene «incredibile e

inspiegabile la provvisoria decisione della sezione della commissione

tributaria di impedire ancora a Maradona di poter tornare liberamente a Napoli

fino all'esito del processo. Il 5 aprile noi legali di Maradona dimostreremo

davanti a nuovi giudici l'inesistenza del titolo che lo perseguita».

Pisani rileva «l’illegittimità e la prescrizione della scandalosa pretesa di

Equitalia, con l'infondatezza del rigetto della sospensiva da un collegio che

dall'inizio non ha assicurato alla difesa un giusto processo. Faremo ricorso

alla corte europea di Strasburgo per la violazione della convenzione dei

diritti dell'uomo - prosegue quindi il legale - La commissione tributaria

negando a Maradona di poter di fatto esercitare il proprio diritto di

circolazione in Italia, prima ancora di una sentenza definitiva, non accerta

l'inesistenza della presunta cartella e dei titoli del fisco mai esibiti in

giudizio».

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11014 messaggi

I pentiti scuotono il calcio

Petrucci: "Chi sa ora parli"

Altri quattro pronti a deporre. Allegri risponde a Doni: "Io assolto"

di GIULIANO FOSCHINI & STEFANO SCACCHI (la Repubblica 29-01-2012)

Qualcosa si è mosso. E si è mosso così forte che presto potrebbe far crollare

il gigante. Tra l´incredibile silenzio della Federcalcio e di tutto il mondo

del pallone, la Procure che in Italia stanno indagando sul calcioscommesse

cominciano ad avere i primi risultati al lavoro che stanno conducendo da mesi:

il muro dell´omertà sembra essersi rotto, i calciatori hanno voglia o bisogno

di raccontare cosa è accaduto negli ultimi due anni sui campi dei campionati

italiani. Dopo le lunghe dichiarazioni di Andrea Masiello e Marco Rossi

davanti ai pm, e prima ancora di Micolucci o Gervasoni, dopo l´intervista di

Cristiano Doni ieri a Repubblica e Ġazzetta dello Sport, sul taccuino della

procura di Bari sono finiti i nomi di alcuni calciatori di serie A pronti a

raccontare cosa hanno visto lo scorso anno. E che non hanno denunciato. Sono

almeno quattro e potrebbero essere ascoltati (fermo restando il turno di serie

A infrasettimanale) dal procuratore capo Antonio Laudati e dagli uomini del

reparto operativo dei carabinieri già la prossima settimana.

Le storie sono sempre le stesse: scommettitori che provano a corrompere,

migliaia di euro offerti ai calciatori, malavitosi italiani e stranieri che

girano nei ritiri delle squadre. Storie taciute ma che ormai sono esplose.

«Chi sa parli» tuona il numero uno dello sport italiano, il presidente del

Coni Gianni Petrucci. Silenzio invece, assai poco comprensibile, dalla Figc:

ieri il presidente Abete è tornato ad applaudire Farina e Pisacane senza fare

alcun accenno ai pentiti.

La scelta di collaborare con la Giustizia è anche propedeutica per uno sconto

in chiave di giustizia sportiva: lo ha ottenuto il difensore dell´Ascoli,

Vittorio Micolucci, il primo a parlare nella storia del calcioscommesse di

Cremona. Spera di avere uno sconto anche Masiello, fermo restando che chi non

ha responsabilità ha diritti e mezzi per provare la propria innocenza. E´ il

caso di Thomas Manfredini, il capitano dell´Atalanta difeso anche lui

dall´avvocato Salvatore Pino (lo stesso di Doni e Masiello): coinvolto nella

prima tranche di Cremona, è stato assolto e ora gioca regolarmente a Bergamo.

Proprio per valutare la situazione sportiva il procuratore federale, Stefano

Palazzi, la prossima settimana farà un giro di procure: giovedì incontrerà il

numero uno degli investigatori di Cremona, Roberto di Martino. Poi si vedrà

con il capo dell´ufficio di Bari, Antonio Laudati (che Palazzi conosce bene,

visto che è stato il suo uditore).

Se c´è chi vuole raccontare tutto sul calcioscommesse, c´è chi invece

continua ad accennare solo timide risposte. È il caso dell´allenatore del

Milan, Massimiliano Allegri, citato da Doni in merito alla presunta combine

tra Atalanta-Pistoiese di Coppa Italia dell´agosto 2000. Una gara attorno alla

quale si registrarono flussi anomali di scommesse sulla combinazione 1-X

(vantaggio bergamasco al 45´, pareggio al 90´), poi effettivamente realizzata

sul campo. «Il processo mi ha assolto e la questione è archiviata - ha detto

Allegri - che altro devo dire? Andate a rivedere gli atti del processo. Sono

passati dodici anni. Forse sono stato tirato in ballo perché sono l´allenatore

del Milan. Per il resto chiedete a Doni: si assumerà la responsabilità di

quello che ha detto».

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L´incontro

Indignados

Eduardo Galeano

Bigliettaio, dattilografo, operaio, fattorino, solo poi

giornalista e infine scrittore. Sempre e comunque grande

appassionato di calcio e di giustizia: "Più che a scuola,

è nei caffé di Montevideo che ho appreso le lezioni della

vita. La prima: l´arte è una menzogna che dice la verità

La seconda: le parole che meritano di esistere

sono soltanto quelle migliori del silenzio"

di SEBASTIANO TRIULZI (la Repubblica 29-01-2012)

«Da bambino sarei voluto diventare un pittore. Cercavo di comprendere il mondo

attraverso le immagini. Crescendo sentii che c´era una distanza troppo grande

tra ciò che potevo e ciò che volevo fare. Ancora oggi però la mia memoria

funziona per immagini». Effettivamente nei libri di Eduardo Galeano, costruiti

attorno alla riscrittura di storie private, di cronache e miti collettivi, di

episodi dimenticati e dolorosi, segreti e cicatrici del continente

latinoamericano, l´atto dello sguardo, inteso come conoscere e riconoscere, è

quasi sempre un presupposto. Talvolta lui stesso disegna le figure che

accompagnano i suoi testi e nelle dediche agli amici tratteggia, a mo´ di

autoritratto, un maialino con un fiore in bocca: «È un omaggio a un animale

antieroico condannato a un triste destino di salame, sanguinaccio o salsiccia».

I primi passi nel giornalismo Galeano li compie pubblicando a soli

quattordici anni caricature politiche su un settimanale socialista, El Sol,

che siglava col nomignolo "Gius", versione in castigliano del cognome del

padre (Hughes). Quando cominciò a scrivere optò invece per quello della madre,

Licia Esther Galeano. La famiglia apparteneva alla borghesia urbana su cui

l´Uruguay aveva basato il suo sviluppo economico nei primi decenni del

Novecento. Nato a Montevideo il 3 settembre del 1940, discendente della

migrazione europea - con geni «italiani, gallesi, castigliani, tedeschi, un

miscuglio incredibile» - dopo sei anni di scuola primaria e un solo anno di

scuola secondaria abbandona gli studi, «in parte per una ragione economica e

in parte», rivendica con orgoglio, «per il desiderio di libertà». Bigliettaio,

dattilografo, operaio in una fabbrica di insetticidi, al seguito di un

fotografo, e altro ancora, sempre spinto da quell´ansia di cercarsi e trovarsi

che l´ha reso da adulto un camminatore instancabile. «I miei libri - spiega -

nascono da questo girovagare senza sosta», come se non si finisse mai di

vedere. L´ultimo impiego prima di vivere di solo giornalismo fu il fattorino

in una banca: «Dopo quattro anni capii che non faceva per me. Lì appresi che i

principali rapinatori di banche sono i banchieri stessi ma nessun allarme

suona mai per loro». Definisce il cattolicesimo l´influenza più profonda

dell´infanzia: «Fino a tredici anni ho creduto nel messaggio divino. Per sua

fortuna la Chiesa si è salvata e io ho intrapreso altri percorsi. Però c´è

sempre qualcosa che lavora sul fondo della botte di vino e questa volontà di

trascendenza si è trasformata in altro. Oggi mi sento vicino alle religioni

indigene, le più disprezzate eppure più umane di quelle che mi hanno formato».

La lettura del Capitale - «per intero» sottolinea - avvenne a casa di amici,

in gruppo e fu fondamentale per la sua formazione. «Ci faceva lezione Enrique

Broquen, un professore argentino che tutte le settimane per tre anni ha preso

l´aereo da Buenos Aires per venire a spiegarci il marxismo», in una versione

non leninista, vicina all´insegnamento di Rosa Luxemburg. «Penso che la grande

tragedia del secolo scorso sia stata il divorzio tra libertà e giustizia. Una

parte del mondo ha sacrificato la libertà in nome della giustizia, e l´altra

parte ha fatto l´opposto. La migliore eredità di Rosa sta nell´idea che

libertà e giustizia siano due fratelli siamesi. Ricucire quel legame

rappresenta la grande sfida di questo nuovo secolo». I caffè di Montevideo,

frequentati da adolescente, sono stati la sua università: «I miei primi

maestri furono i narratori anonimi seduti ai tavolini. Un giorno un uomo

cominciò a descrivere una battaglia durante la guerra civile. A scuola la

storia mi sembrava un mondo di statue, senza carne né sangue. Ma lui

raccontava con tanta intensità che sentivo lo scalpiccìo degli zoccoli dei

cavalli e il clangore delle armi. Era trascorso più di un secolo, non poteva

averla vista con i suoi occhi. Così appresi la mia prima lezione: l´arte è una

menzogna che dice la verità. Nel campo erano tutti morti, proseguì l´uomo, e a

un certo punto si imbatté in un ragazzo che pareva un angelo tanto era bello.

Aveva le braccia in croce e una bandana a sorreggere i capelli. Sopra c´era

scritto "Per la patria e per lei", cioè la sua donna; la pallottola che

l´aveva ammazzato era entrata nella parola "lei". Seconda lezione: quello che

è successo una volta attraverso la magìa del racconto accade nuovamente».

A ventotto anni diventa direttore di un quotidiano, Época. «È stata una delle

mie tante pazzie. Di mattina curavo le pubblicazioni dell´università e il

pomeriggio andavo al giornale dove oltre agli editoriali mi divertivo a

scrivere l´oroscopo. Consigliavo sempre di peccare». Scriveva anche di calcio,

la sua grande passione: «In quegli anni era malvisto dagli intellettuali di

destra e di sinistra: per i primi era la prova che il popolo pensava con i

piedi, per i secondi era colpevole di non far pensare il popolo». Una delle

partite per lui più significative fu giocata alle Olimpiadi del ´36, dal Perù

contro l´Austria, paese d´origine di Hitler che assisteva dal palco d´onore.

«Fu una vera umiliazione. Il Perù si impose 4 a 2, l´arbitro annullò tre gol

ma non riuscì a evitare la sconfitta. La notte stessa le autorità olimpiche

annullarono la partita. Non è solo la disfatta di un potente a renderla

bellissima, mi sembra anche pedagogica: se la realtà non piace si decreta che

non esiste, che è la specialità di molti dirigenti dello sport internazionale.

E poi è una storia di dignità, di cui oggi c´è un gran bisogno. L´unica

frontiera in cui ho sempre creduto è quella che separa gli indegni dagli

indignati».

Nel giugno del 1973 ci fu un colpo di stato in Uruguay. Galeano viene

imprigionato e dopo una decina di giorni rilasciato perché, precisa sornione,

«non avevano alcuna prova». Se ne andò a Buenos Aires dove fondò Crisis, una

rivista che ebbe successo e per questo fu poi stroncata dalla dittatura. «La

cultura veniva intesa come comunione collettiva, non solo quella professionale

ma anche le mille e una espressioni della cultura anonima, che la gente fa,

senza saperlo, scrivendo sui muri o parlando intorno a un falò. Alcuni ci

rimisero la pelle». Avevano formato una squadra di calcio e ogni mercoledì

mattina se ne andavano al campo del Palermo «i cui cancelli erano allora

sempre aperti». Il suo ruolo era mezzala destra, più avanti che dietro: «Ero

il peggiore di tutti ma a nessuno importava perché giocavamo per il piacere di

farlo e non per il dovere di vincere».

I militari arrivarono poi anche in Argentina, nel ´76, secondo il disegno

pianificato dagli Stati Uniti per i quali la presenza di governi democratici

in quella parte del mondo era una cattiva notizia. Inserito nella lista degli

uruguagi da eliminare non gli restò che l´esilio, dapprima in Brasile e poi in

Spagna, un periodo, ricorda, di penitenza: «Convertire questo tempo lontano

dalla mia terra e dalla mia gente in qualcosa di creativo fu la mia sfida. Mi

venne l´idea di raccontare la storia delle Americhe attraverso brevi

narrazioni, il che implicava assidue ricerche in biblioteca. Ci misi undici

anni a finire Memoria del fuoco», grandioso affresco che parte dai miti

precolombiani della creazione e in cui compaiono campesinos e dittatori,

furfanti e figure storiche, eroi e visionari. Solo nel 1985, una volta caduta

la dittatura, Galeano poté fare ritorno in patria.

Riscattare e recuperare la memoria collettiva è ancora oggi il suo

imperativo: «La convinzione di essere la voce di quelli che non l´hanno è però

un grave errore poiché tutti abbiamo una voce. Il problema è che non sempre

viene ascoltata. Dobbiamo sentire cosa hanno da dire gli invisibili, le donne,

i poveri, perché sono le voci che contrastano con la voce del potere, questa

sì eco di echi, ripetizione all´infinito di una versione bugiarda della

realtà». Nelle ultime opere (Il libro degli abbracci, Specchi), s´è accentuata

la sinteticità delle sue narrazioni e la vocazione alla nitidezza: «Tendo ad

assomigliare a Juan Carlos Onetti», spiega, che fu insieme a Juan Rulfo uno

dei suoi maestri. «Due uomini dal carattere difficile. Due figure imponenti

della letteratura eppure così timidi. Quando lo andavo a trovare, Onetti mi

offriva un vino che causava una cirrosi istantanea e mi impastava la bocca,

sicché mi chetavo subito. Fumava come un turco e per dare lustro alle sue

parole mentiva attribuendole a un proverbio cinese o a un detto etrusco. Una

volta mi disse: le uniche parole che meritano di esistere sono quelle migliori

del silenzio. Non solo gli scrittori ma anche i politici dovrebbero

imprimerselo nella mente. Il silenzio è un linguaggio perfetto ed è dura per

la parola competere. Per questo riscrivo più volte un testo finché non sento

che è migliore del silenzio». I suoi libri sono il frutto di un ossessivo

lavoro di lima, «perché sono nato nel segno della Vergine, tutti

maniaci-perfezionisti». Rulfo invece dopo La pianura in fiamme e Pedro Paramo

«non pubblicò praticamente più nulla. Scrisse quello che doveva e si ammutolì

come uno che ha fatto l´amore nella migliore maniera e poi si addormenta nella

camera da letto. Un giorno, nella sua casa in Messico, prese una lavagna a due

facce che aveva da un lato una penna e dall´altra un cancellino: si scrive con

questa, mi disse indicando la penna, ma soprattutto con quest´altra, con il

cancellino. Penso di essere stato un buon allievo».

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L’episodio a fine partita in «zona mista» tra i giornalisti: il difensore del Bologna, infortunato, sbotta

Raggi, parolaccia per Totti: è caos

di ROBERTO MAIDA (CorSport 30-01-2012)

ROMA - Si sono toccati in campo, si sono sfiorati fuori. Fin qui tutto ok.

Totti con il figlio Cristian si allontanava dallo stadio con un bel sorriso,

Raggi lo seguiva di un paio di minuti raccontando la partita al padre via

telefonino. Sarebbe stata un’uscita normale di due avversari che hanno

pareggiato una partita normale. Ma nella zona mista, sotto al tunnel che porta

dagli spogliatoi al pullman della squadra in visita, Raggi ha perso le staffe

davanti a una cronista bolognese che gli chiedeva lumi sul suo infortunio: «Mi

fa male la caviglia. Chiedete a quella męrda di Totti» . E’ calato il silenzio,

con trenta giornalisti sorpresi da una frase così forte. Poi il gelo si è

sciolto in rabbia, perché qualcuno dalla mischia dei cronisti ha urlato: «Cosa

hai detto?» . E Raggi ha ripetuto: «Sì, quella m. . . Avete problemi?» .

TENSIONE - A quel punto si è rischiato il contatto fisico tra il giocatore e

alcuni giornalisti, sistemati al di là delle transenne che dividono le squadre

dalla stampa. Ma l’allarme è rientrato subito perché Raggi è stato portato via

in tutta fretta da uno degli addetti stampa del Bologna. Meglio così.

PRIVACY - Lo scambio di battute non è stato registrato o filmato. Tanto che

da Bologna raccontano una verità differente. La società smentisce che Raggi si

sia rivolto ai giornalisti insultando Totti. E Raggi giura che si è trattato

di un equivoco grossolano: nel mezzo di una conversazione con il padre, è

uscita fuori qualche parola poco gentile. Ma niente di ufficiale e niente di

pubblico. Non solo. Il Bologna assicura che Raggi si sia sentito «aggredito

verbalmente» dai giornalisti romani, uno dei quali (secondo la versione

bolognese) si era rivolto al giocatore con un tono minaccioso. E così si

spiegherebbe il successivo scatto di nervi.

I FATTI - Comunque sia, è stata una coda antipatica. Ma cosa era successo tra

Totti e Raggi? A partita quasi finita, con la palla lontana, i due si sono

scontrati fuori dall’area di rigore del Bologna. L’arbitro Guida e gli

assistenti non hanno visto nulla, lasciando correre il gioco, e le immagini

televisive non chiariscono la gravità dell’episodio. Si vede solo che Totti

taglia la strada a Raggi, poi sostituito da Pioli durante il recupero per

l’infortunio. Potrebbe quindi essere stato un contatto involontario. Totti ha

preferito non rispondere a caldo agli insulti. Si riserva di farlo

eventualmente oggi, dopo l’analisi dei giornali.

___

LA POLEMICA

Nel finale fallo di Totti su Raggi

E il bolognese: «È una mer...»

di ALESSANDRO CATAPANO (GaSport 30-01-2012)

Fischi sulla Roma, insulti al suo capitano. La domenica giallorossa può

sintetizzarsi così. L’Olimpico non apprezza la prestazione contro il Bologna,

Andrea Raggi non gradisce un fallo subito nel finale di partita. E quando

lascia zoppicante lo stadio si sfoga con i cronisti bolognesi. «La botta?

Colpa di quella męrda di Totti». Lo ripete due volte, e il suo sfogo viene

intercettato anche da un gruppetto di giornalisti romani: ne nasce un

battibecco che non fa onore alla categoria. Totti non replica, fa trapelare

solo il suo rammarico per il pareggio: «Peccato, era la giornata giusta per

scalare la classifica». Anche Luis Enrique ha la sensazione di aver perso

un’occasione d’oro. «Potevamo fare un colpo», ammette. E invece il pareggio

lascia più o meno immutata la distanza dalle zone nobili. «Spero che il nostro

campionato non diventi anonimo», prosegue l’allenatore. Il rischio c’è, se la

vera Roma è quella vista ieri. Colpa della cena dello scandalo? Luis smentisce

(«Fisicamente stavamo benissimo»), ma precisa: «Manovra lenta in effetti. Il

Bologna ha meritato il pareggio». Infine, tiratina d’orecchie a Lamela. «Gli

avevo pronosticato due gol, non sono stato buon profeta. Deve imparare a

gestire le pressioni». Onore al Bologna. Stefano Pioli è soddisfatto. «Ai miei

giocatori ho chiesto di fare il contrario rispetto alla gara d’andata.

Potevamo anche vincerla». Gli fa eco Di Vaio, conquistato da Pioli. «Molto

bravo, sta andando oltre le mie aspettative. Il pareggio? Una grande

prestazione».

___

Raggi, che insulti a Totti

Il difensore lancia accuse al capitano per l’infortunio

di FEDERICO VESPA (Il Messaggero 30-01-2012)

ROMA - Va giù pesante Andrea Raggi, difensore centrale del Bologna. Se la

prende con il capitano della Roma per l’infortunio che l’ha costretto ad

uscire dal campo, qualche secondo prima che la partita finisse. Il calciatore

rossoblù mette sotto accusa Totti per un colpo (apparso involontario) al

tallone. «Cosa mi sono fatto? Perché sono uscito? Per colpa di quel pezzo di

m... di Francesco Totti», la bruttissima frase pronunciata in mix zone. Un

attacco pesante, che segue il parapiglia scaturito negli spogliatoi con urla e

qualche spintone fra giocatori.

Da parte di Totti non c’è stata nessuna replica alle pesanti accuse del

difensore avversario. Che fanno il paio con le parole pronunciate alla vigilia

da Alessandro Diamanti, e riferite alla facilità del capitano nell'essere una

bandiera della Roma a dieci milioni di euro l'anno.

L’allenatore del Bologna, Stefano Pioli, preferisce sorvolare sul fatto,

godendosi la soddisfazione sia per il risultato che per il gioco espresso. La

sua squadra ha fermato un'altra grande dopo il Milan, facendo un figurone:

«Ovvio che la prestazione dei ragazzi mi soddisfa, in particolar modo dopo una

partita del genere giocata contro una delle squadre che, a mio avviso, è

inferiore a poche dal punto di vista del gioco». Un ringraziamento particolare

Pioli lo rivolge a Marco Di Vaio, che da alcune domeniche è tornato più che

mai uomo decisivo nella corsa alla salvezza del Bologna: «Credo ci sia molto

di Marco in questo pareggio, non solo per il gol realizzato ma per le

occasioni che ha avuto e il sacrificio che costantemente mette al servizio

della squadra. Fisicamente è in una condizione straordinaria». C’è tempo anche

per un elogio a Tadier. «Il ragazzo è giovane ma di grandi prospettive e

adatto al calcio moderno. Mi spiace invece per il goal subito su punizione;

non dovevamo commettere fallo perché la Roma sui calci piazzati sa essere

letale».

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retroscena

Nodo comproprietà: spunta l’Irap

di CARLO LAUDISA (GaSport 30-01-2012)

Compare l’Irap nella trattativa con l’Agenzia delle Entrate per le

compartecipazioni. Se ne parlerà al tavolo che la prossima settimana vaglierà

le soluzioni per uscire dal tunnel delle contestazioni poste dal Fisco ai club

calcistici dal 2006 in poi. Sono circa 200 i casi solo nella massima serie ed

è interesse di tutti sciogliere al più presto questo nodo.

Summit A rappresentare la Lega di Serie A c’è Ezio Maria Simonelli,

presidente del collegio dei revisori di via Rosellini: ha a suo conforto le

consulenze del professor e dell’avvocato Guglielmo Maisto, legale della Samp.

L’Agenzia delle Entrate chiede il pagamento dell’Iva, che attualmente è del

21%, considerando gli utili derivanti da queste operazioni. Sinora, però, le

società di calcio hanno pagato le tasse su queste compravendite, considerando

che per le norme federali l’istituto della compartecipazione è formalmente di

natura finanziaria. Così ora la tesi dei club è che tali plusvalenze debbano

essere intese come dei veri e propri derivati. E il Fisco regola questi casi

proprio con l’Irap . Il risparmio per le società sarebbe consistente, visto

che la quota meno dell’Irap è del 2,75%. Essendo però un’imposta regionale ci

sono anche delle addizionali. Per la sponda Lega questa soluzione potrebbe

essere adottata per il pregresso, in attesa che la Figc faccia ordine in

materia. Non è da escludere, però, una via mediana. Cioé che si applichi l’Iva

per le plusvalenze, regolando con l’Irap le situazioni neutre.

Il presidente Vanno lette in questa direzione le parole di ieri del

presidente della (Lega) di A Maurizio Beretta a TGCom: «Il confronto è su come

qualificare le operazioni che possono diventare soggette o meno a Iva. Nelle

compartecipazioni, finora si trattava di un’operazione finanziaria, se

condividiamo con l’Agenzia delle entrate che è qualcosa di diverso e da

assoggettare all’Iva non c’è alcun problema ».

___

A COVERCIANO

Quale futuro per il calcio

Figc e Ussi a convegno

trafiletto non firmato (GaSport 30-01-2012)

«Il calcio e chi lo racconta» è il titolo del quinto seminario di

aggiornamento voluto dalla Federcalcio e dall’Unione stampa sportiva che

comincia oggi a Coverciano per chiudersi domani con l’intervento del

presidente del Coni Gianni Petrucci. Molti i relatori che si alterneranno

nella due giorni, ma l’attenzione è tutta riservata all’intervento del

presidente federale Giancarlo Abete che a chiusura di questa prima giornata

farà il punto sul calcio con la relazione dal titolo «Riforme per il futuro

del calcio italiano». Il seminario sarà chiuso domani dall’ex sottosegretario

alla presidenza del Consiglio Gianni Letta che parlerà di «Autonomia

dell’ordinamento sportivo, una garanzia per il sistema». Tra i relatori i c. t.

Prandelli (calcio) e Pianigiani (basket), Sacchi e Viscidi per le nazionali

giovanili, Braschi, gli arbitri Banti e De Marco, Bogarelli di Infront,

Marchetti e Traverso dell’Uefa. Apriranno i lavori Valentini, Figc, e

Ferraiolo, Ussi. Previsto un saluto di Petrucci.

Previsto un cazziatone di Petrucci, ndt

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L'inchiesta

I TALENTI

Lameglio

gioventù

Tutto il mondo cerca di emulare il metodo Barcellona per creare in

casa i campioni di domani. Viaggio nelle "cantere" d´Italia: mezza

serie A schiera un giocatore cresciuto nella Roma, una ventina

sono targati Bergamo, l´Inter inizia ad allevarli da 8 anni, Monza

sforna portieri e Udine ora vuole rilanciare i friulani

di ANGELO CAROTENUTO & FRANCESCO FASIOLO (la Repubblica 30-01-2012)

È come per la formula della Coca Cola. Tutti a cercare l´ingrediente segreto

di quella parola magica, la cantera; tutti dietro il made in Barcellona, che

un giorno gioca la Champions con 9 ragazzi del suo vivaio e spinge il mondo

sulla via dell´emulazione. C´è chi ne copia la struttura, chi corre a

soffiargli i tecnici delle giovanili: da Hong Kong (Josep Gombau) alla Polonia

(Bakero), da Tblisi (Garcia) a Dubai, dove la squadra allenata da Maradona ha

affidato i ragazzini allo scopritore di Iniesta, Albert Benaiges. Fino a

Liverpool (l´Accademia a Rodolf Borrell) e alla Roma. Dove da tempo ha sede

una delle fabbriche italiane di talenti, uno dei vertici del triangolo

Roma-Milano-Bergamo.

MODELLO TRIGORIA

Mezza serie A ha mandato in campo almeno un giocatore formato a Trigoria. Luis

Enrique ne ha utilizzati sette, altri arriveranno: «Il mercato? Se prendiamo

qualcuno, bene: altrimenti c´è la Primavera che ha giocatori di qualità.

Preferisco lavorare così, penso che la squadra possa migliorare in questo

modo». È il trapianto più diretto, più consistente e più recente del dna

barcellonese nel nostro calcio.

LA FABBRICA ATALANTA

Ben 20 giocatori dell´attuale serie A vengono da qui. Hanno avuto a che fare

con Mino Favini, che da vent´anni gestisce il più prolifico settore giovanile

d´Italia. «Spendiamo 2 milioni l´anno, che per noi non sono pochi. Ma possiamo

permetterci di far esordire molti più giovani rispetto a Milan, Inter o Juve:

lì se non offri garanzie, non rischiano. Da noi invece i ragazzi conquistano

visibilità e interesse, il rientro c´è sempre, a volte è strepitoso». Dopo

Scirea e Donadoni sono venuti Pazzini e Montolivo. I prossimi sono Gabbiadini

e Bonaventura. L´ingranaggio funziona, dietro c´è un´organizzazione che pesca

talenti a Bergamo e nelle province confinanti.

INTER DA CHAMPIONS

L´Inter investe 5 milioni l´anno, cifra analoga a quella di Milan e Juve. Una

ventina di osservatori, una rete di società affiliate cui appoggiarsi, due

persone all´estero (così sono stati scoperti Martins e Pandev). Nella neonata

Champions per squadre Primavera - la Next Generation Series - l´Inter è in

semifinale: la giocherà a marzo contro il Marsiglia. Roberto Samaden,

responsabile del settore, racconta: «La metà dei ragazzi della rosa sono con

noi da quando avevano 8 anni. È la nostra filosofia. Dai 14 ai 17 anni vivono

tutti insieme in una villa gestita da una famiglia di nostra fiducia: così

ricreiamo l´ambiente di casa. Non credo che i nostri vivai siano così poveri

come si dice, anche se il Barça è lontano: spende il triplo di noi». ritorno

al made in italy I più esterofili di tutti stanno facendo marcia indietro. Per

anni gli osservatori dell´Udinese hanno importato talenti: Felipe è arrivato a

15 anni dal Brasile, Sanchez dal Cile a 17. Ora l´obiettivo è un vivaio made

in Friuli, d´altronde patron Pozzo lavora a Barcellona e conosce bene il

modello originale. Andrea Trevisan, che cura il settore, spiega: «Ogni anno

lasciavano il Friuli tra i 10 e i 15 calciatori di 14 anni, età in cui per

regolamento ci si può trasferire fuori regione. Andavano all´Inter, alla Juve,

al Milan. Ma quanti di questi sono arrivati in A? Nessuno. Ci siamo detti:

invece di girare il mondo, cominciamo a trattenere qui i più forti. Ora

vogliamo portare ragazzi friulani in serie A».

LA RINCORSA DEL CHIEVO

Ambizione simile in casa Chievo, da anni "favola" italiana, ma ancora senza

giovani suoi nel grande calcio. Maurizio Costanzi, responsabile del settore,

spiega: «Il nostro è un progetto recente, appena partito con ragazzi del ‘90.

Dobbiamo affrontare la concorrenza delle grandi anticipandole sulle scelte,

convincendo calciatori e famiglie che anche un piccolo club come il nostro può

garantire un percorso formativo, magari meno esasperato e più tranquillo». Ed

è già al secondo posto nel suo girone Primavera dietro il Milan.

I PORTIERI

Ne cercate uno? Fate un giro a Monza. Hanno dato alla attuale serie A Abbiati,

Antonioli e Castellazzi. Qui è cresciuto anche Castellini, oggi preparatore

portieri dell´Under 21. Sull´onda di questa tradizione, da ottobre è partita

una scuola dedicata esclusivamente alla formazione di giovani numeri uno.

«Abbiamo 11 preparatori che si dedicano a 100 ragazzi tra gli 8 e i 16 anni

iscritti al corso» spiega Gianluca Andrissi, dt del settore giovanile. Il

Monza spende 200 mila euro annui per i costi di gestione (dai pullman agli

stipendi dello staff) e poche migliaia di euro per gli acquisti.

IL FATTORE PROVINCIA

L´ambiente familiare spiega gli exploit di provincia. Il Piacenza ha prodotto

negli anni gli Inzaghi, Gilardino e Lucarelli; altri 3 giocatori di A

provengono da una realtà come il Cittadella. Un vero e proprio caso è la

Renato Curi di Pescara (oggi fusa con l´Angolana): la prima squadra mai più su

della serie D, ma ben 6 scudetti fra gli Allievi dilettanti e due campioni del

mondo, Oddo e Grosso. Niente male per un club che gioca nello stadio da 2000

posti di Città Sant´Angelo.

L´EMERGENTE VARESE

Il Varese ha costruito quasi da zero lo scorso anno. Ed è stata subito finale

scudetto. In panchina Devis Mangia, poi in A con il Palermo. Racconta:

«L´errore è ritenere il settore giovanile un obbligo. Se lo vivi così, lo fai

male e con fastidio. A Varese abbiamo puntato sul talento, su quei ragazzi

ostacolati nella loro crescita dal carattere, magari scartati dai grossi club.

A Palermo avevo iniziato il lavoro con lo stesso criterio».

LA MODA DEL PRECOCISMO

Su 511 calciatori Primavera in Italia, ben 349 sono nati nei primi sei mesi

dell´anno: il 68%. E si sale all´80% comprendendo le altre categorie.

Significa che fra ragazzi dello stesso anno, si reclutano quelli con maggiori

doti fisiche. Un setaccio alla base. È la filosofia del "precocismo". Forse

perché Messi, Iniesta, Xavi, Piquè, Fabregas, Puyol e Thiago sono tutti nati

fra gennaio e giugno. E pazienza se Maradona e Pelé erano di ottobre.

---------

La storia

Quando le nuove stelle

si scoprivano a Viareggio

A lungo l’unica vetrina, lunedì il via

di MAURIZIO CROSETTI (la Repubblica 30-01-2012)

Un po´ oasi protetta e un po´ riserva di caccia, il Torneo di Viareggio è lo

storico marchio del calcio giovanile, una specie di garanzia di qualità che

attraversa le tormentate epoche del nostro pallone. Anche in tempi di WyScout,

il database che archivia 70 mila calciatori da scoprire con un semplice tocco

del mouse, andare, cercare, annusare, stanare ed eventualmente opzionare (a

Viareggio, in diretta e con un computer, consumando suole e pupille), restano

infiniti da usare quasi all´infinito. Perché lo sport è materiale umano, non

elettronico.

Chi vince la Coppa Carnevale - anche se il nome completo contiene ormai un

inevitabile "Viareggio Cup", siamo o non siamo globali? - si porta a casa il

trofeo con la statua di Burlamacco. Si comincia lunedì 6 febbraio per la

sessantaquattresima volta, le squadre al via sono 48 dalla A dell´Arzanese

alla V della Virtus Entella, e ovviamente non mancano Juventus, Milan, Roma e

le altre grandi. L´ultima edizione se l´è presa l´Inter, le due precedenti la

Juve. Come da tradizione, finale allo stadio Dei Pini, un lunedì, il 20

febbraio, perché è quello il giorno in cui Burlamacco si diverte di più.

Seicento ragazzi, seicento potenziali affari, materiale da maneggiare con la

massima cura. Come quando arrivò a Viareggio un certo Edinson Cabani, era il

2006, il nome era scritto con un refuso nella distinta consegnata dal suo club,

il Danubio, ma lui non impiegò molto tempo a rimettere a posto consonanti e

portieri. Due anni dopo, la Coppa Carnevale se la prese Balotelli, uno che con

gli scherzi ha pure troppa confidenza, e ovviamente non si contano le

generazioni di fenomeni passate sotto aghi e pigne di questo tetto naturale,

bellissimo, sopra lo stadio che odora di mare: Trap e Bulgarelli, Mazzola e

Facchetti, Zoff e Scirea, Paolo Rossi e Corso, poi Vialli e i due Baresi,

Maldini e Baggio, Del Piero e Buffon, Cassano e Totti, fino a Marchisio e

Balotelli, gli azzurri di oggi e domani, viareggini l´altro ieri. Anche tra

gli stranieri, l´elenco è un Almanacco Panini che comprende tra gli altri Uwe

Seeler e Sepp Maier, Batistuta e Pandev, Schweinsteiger e Cavani (con la "v"),

fino ai più recenti Zapata e Kjaer. Per capire la classe di alcuni di loro,

per non dire di quasi tutti, forse non occorreva una mostruosa e visionaria

fantasia, però un conto è vederli in azione dal vivo, un altro andarli a

pescare negli sperduti angoli del mondo. Perché oggi è così che funziona, si

setaccia il pianeta con le reti dei "segnalatori", qualcosa di diverso

rispetto ai più classici osservatori, questi sono professionisti che possono

lavorare anche per più club diversi, e chi si muove per primo e con più

scaltrezza vince, e magari si porta a casa la pepita d´oro senza svenarsi.

Poi, resterebbe da risolvere la contraddizione tra vivai sempre più

trascurati e necessità anche economiche del "fai da te", montando i propri

talentini come librerie dell´Ikea. La Federcalcio ha capito che è lì che

bisogna puntare, e da qualche tempo ha rivoluzionato il settore tecnico,

quello giovanile e quello scolastico, affidato al ballerino Rivera. La notizia

è che si sta smettendo di allevare i calciatori un tanto al chilo, come

vitelli, e si torna ad accudire la classe come principale virtù. In fondo è

l´eredità più cospicua del Barcellona, che stravince per sé ma indica la

strada a tutti, amando ogni piantina della propria serra come l´unica e già

vedendo, in quei piccoli semi, la quercia che verrà.

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Beha: “Scudetto alla Juve? Avrebbe una funzione salvifica”

di OLIVIERO BEHA da Partite&Partiti su "il Fatto Quotidiano.it" 30-01-2012

“Il Milan ha gli assi, ma occhio alla stanchezza”. Oliviero Beha nel suo

editoriale di oggi spiega quali sono le variabili che potranno influenzare

le prossime partite: la stanchezza, sopratutto dei giocatori rossoneri per

la concomitanza della Coppa Italia con la Champions League; il gioco di

squadra e le abilità dei singoli calciatori. Il Milan sembra avere tutte le

carte in regola, ma secondo Beha la vittoria della Juventus avrebbe una

funzione salvifica per l’Italia, dopo gli scandali di Calciopoli del passato

e del Calcio scommesse. Nel frattempo si gioca un’altra partita, nelle

Procure. Cristiano Doni ha confessato e ha tirato in ballo altre squadre.

“Farà prima la Procura a ripulire il calcio o il calcio a riscattarsi?”.

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PUGNI e Caresse

Amnesty liberi Di Marzio

di ANDREA SCANZI (il Fatto Quotidiano 31-01-2012)

C’È UN DRAMMA umano che si sta compiendo, davanti agli occhi insensibili del

mondo. Riguarda Gianluca Di Marzio. Figlio dell’ex allenatore Gianni.

Trentotto anni. Telecronista, conduttore e soprattutto esperto di

calciomercato. Questo è il suo primo dramma: essere specializzato sul nulla

(cosa c’è di meno importante del calciomercato, a parte l’alchermes? Nulla).

Il secondo dramma è estetico. Costretto a rimanere appollaiato – all’angolo

dell’inquadratura a destra, in perenne castigo – per tutto l’arco di Sky

Calcio Show, vederlo accanto a Ilaria D’Amico è come osservare una vignetta di

Forattini a fianco di un Rembrandt. Il terzo dramma è il ruolo mediatico. Ogni

volta che Di Marzio appare sul piccolo schermo, con quel profilo sbarazzino da

pensionato che sbaglia la mano decisiva a tressette, gli altri – fingendo

savoir faire – lo trattano da mezzo reietto: Bonan, Costacurta, Mauro,

Marchegiani (sì, persino “Stanis La Rochelle” Marchegiani). Tutti lo

sovrastano e nessuno gli dà mai la parola. Lui, timidamente e con voce

metallica, qua e là interviene, ponendo domande di spiccata irrilevanza: “Ce

lo ufficializza Roger Carvalho?”, “Avete preso anche la metà di Immobile?”,

“Pazienza tornerà al Napoli?”, “Può confermarci che Thiago Motta rimarrà

all’Inter?”, “Prenderete anche Cerci?”. Di Marzio vive nel disperato tentativo

di attirare l’attenzione, ma nessuno lo considera. Chi lo sminuisce, chi lo

zimbella. Un martirio. Anche due giorni fa. Senza neanche la soddisfazione di

essere inquadrato, ha timidamente chiesto a Reja: “Ma arriva Honda?”. Reja:

“Seeeh, ondaaa su ondaaaa”. Costacurta: “Seeeh, e Kawasaki?”. E giù, tutti a

ridere. Verosimilmente, dietro la telecamera, anche la D’Amico lo ha irriso:

così per umiliarlo ulteriormente. Gianluca Di Marzio sta subendo, da anni, una

vera e propria gogna mediatica. Non c’è più tempo da perdere: Amnesty

International si mobiliti.

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Il boom dei fondi

PER NON ANDARE

a fondo

In tempi di crisi economica, i club cedono una parte del cartellino

dei loro giocatori a società di investimento: un meccanismo di

auto-finanziamento di moda in Brasile, Spagna, Turchia e Portogallo.

Con problemi etici e di regolarità: il calcio è a rischio?

di ANDREA LUCHETTA (GaSport - ET 31-01-2012)

Nell'autunno 2007 la marcia della Spagna sembrava inarrestabile. Poche volte i

nodi sono venuti al pettine in modo così veloce e doloroso. La disoccupazione

giovanile oggi sfiora il 50%, l'economia è in recessione. Il calcio, in questo

deserto, si è trovato di fronte a due scelte: stringere la cinghia o cercare

nuovi finanziatori. L'ultimo elisir del pallone spagnolo ha assunto le

sembianze dei fondi d'investimento. Il meccanismo è semplice. Succede, per

esempio, che il Benfica Stars Fund spende poco più di 1 milione di euro per il

10% di Garay. Gli investitori avranno diritto al 10% dei profitti sulla

prossima vendita, mentre il Benfica incassa 1 milione per un difensore di cui

continua a disporre. Oro colato, con la crisi di liquidità che attanaglia

l'Europa. Il modello dei fondi ha conquistato per prima l'America Latina, dove

giganti come Traffic e Dis (che controlla il 55% di Ganso e il 40% di Neymar) si

sono specializzati nella ricerca di talenti. Poi li mettono sotto contratto e

ne finanziano la formazione. Molti fondi ricorrono a delle «squadre ponte»,

vetrina e piattaforma per le cessioni.

Oltre Atlantico

Dal Brasile al Portogallo il passo è breve. Dietro ai Dragoni di Mourinho si

celava un'operazione di risanamento delle finanze del Porto. Il First

Portuguese Football Players Fund acquistò a man bassa i diritti dei biancoblù,

realizzando profitti da record dopo la vittoria della Champions '04. In prima

linea oggi troviamo il Benfica Stars Fund, lo Sporting Portugal Fund e il

Soccer Invest Fund: i 3 grandi club - per il Diario do Noticias - detengono al

100% solo 28 giocatori su 88. Presto il modello ha varcato la frontiera

spagnola. Quality Footbal Ireland - di cui il procuratore di Mourinho, Jorge

Mendes, è consulente - e Doyen Capital Partners sono fra i più attivi: è di

ieri il passaggio di Baba Diawara dal Maritimo al Siviglia per 3 milioni

pagati in parte dal fondo Dcp, che si è così assicurato il 20% del cartellino

lasciandone il 10% al club portoghese. Con Falcao, invece, non ci sono

certezze: l'opinione comune, secondo cui il colombiano sarebbe stato

acquistato dall'Atletico con l'aiuto di Quality Football Ireland, è stata

smentita sia dal club sia da Mendes. Promette scintille anche il Royal

Football Fund, da poco allestito dalla United Investment Bank di Dubai.

Atletico Madrid e Saragozza finora le squadre più sensibili alle lusinghe,

complice il peso di un debito che ammonta a 456 e 134 milioni di euro. Servono

soldi per arrancare dietro a Barça e Real, e i vivai fanno gola. Niente di

strano, alla luce di un rosso per Liga e Segunda che supera i 4 miliardi. Il

fondo per cui collabora Mendes è attivo anche a Istanbul, sponda Besiktas:

Hugo Almeida veste bianconero, mentre tre giovani - fra cui il talento Demirci

- sono entrati nell'orbita Qfi. Scelta contestata dai fan, che accusano il

club di aver ipotecato il futuro.

Questioni serie

L'ingresso dei fondi solleva questioni serie. La prima riguarda l'autonomia

delle società: è chiaro che se un gruppo di investitori punta su un giocatore

- così come potrebbe fare per un barile di petrolio - esigerà un profitto. Ma

se il club fosse contrario alla vendita? La Fifa all'articolo 18bis vieta

qualsiasi contratto capace di incidere sull'«indipendenza, la politica o le

performance» di una squadra. Una formula che lascia un certo margine di

manovra. E in tempi di crisi non è difficile intuire chi ha il coltello dalla

parte del manico. Il secondo problema riguarda un conflitto d'interesse

d'altro tipo. Può accadere che il proprietario di un club detenga una quota

del cartellino di un giocatore avversario: difficile allontanare i sospetti in

un «derby» del genere. Come spiega l'avvocato Daniel Geey alla ET «la

manipolazione è improbabile, ma il solo dubbio basterebbe a intossicare

l'ambiente». Un rischio ancora più forte in tempi di calcioscommesse. La

«third party ownership» può spalancare praterie alla criminalità organizzata.

È successo in Finlandia ad aprile. La Exclusive Sport di Singapore avrebbe

promesso 300 mila euro al Tampere United, ponendo come condizione l'impiego

dei giocatori di sua proprietà, per indirizzare le partite. Il Tampere, per

l'articolo 18bis, è stato espulso dal campionato.

Il caso Timão

Con l'ingresso di strumenti così «permeabili», aumentano le possibilità che il

calcio diventi una piattaforma per il riciclaggio. Un sospetto che ci porta

all'avventura più controversa, la collaborazione fra Corinthians e Media

Sports Investment (2004-07), valsa al Timao uno scudetto con giocatori del

calibro di Tevez e Mascherano. Nel 2006, la giustizia brasiliana avanzò il

sospetto che gli investimenti della Msi servissero a ripulire denaro sporco.

La cavalcata del Corinthians si concluse con la rottura dell'accordo e la

retrocessione nel '07. Per il Guardian, la Msi sarebbe appartenuta

all'oligarca georgiano Badri Patarkatsishvili, mentre resterebbe da chiarire

la partecipazione del miliardario russo Boris Berezovsky. Sul quotidiano pende

però una querela del procuratore Kia Joraabchian - allora coinvolto nel fondo

- che ne contesta la ricostruzione. La saga di Tevez - prestato al West Ham,

poi allo United e infine ceduto al City - ha spinto la Premier a proibire ogni

forma di «third party ownership». Il calcio inglese è partito all'offensiva,

chiedendo all'Uefa di valutare se i fondi siano compatibili col fair play

finanziario. «È una questione che affronteremo a breve — ci spiega un

portavoce Uefa — Siamo consapevoli che alcuni club sfruttano la third party

ownership per alleviare i problemi di liquidità». Ma il fair play, prosegue, è

concepito per tenere conto dei cicli del mercato, ragion per cui un club che

non possiede il 100% dei suoi giocatori rischia un danno economico. Se

all'Uefa non dovesse prevalere la linea dura, i club inglesi rischierebbero di

patire uno svantaggio. Un timore già esemplificato dall'eliminazione in

Champions dello United, nello stesso gruppo del Benfica. «I fondi sono una

formula per non perdere competitività in mezzo alla crisi», sintetizza Miguel

Ángel Gil Marín, ad dell'Atletico Madrid. «Tre anni fa — sembra rispondergli

John Sinnott della Bbc — l'economia mondiale è finita in guai seri per l'uso

di strumenti finanziari che poche persone comprendono. Accadrà lo stesso per

il calcio?».

Deca
trends

di ALESSANDRO DE CALÒ (GaSport - ET 31-01-2012)

SE LO SPACCIO DI TALENTI DIVENTA SCIENTIFICO

I vecchi squali del mercato cedono il passo. Ma serve una legge uguale

per tutti Quando c'è crisi ci si arrangia. Si vende l'argenteria di

casa e, per quanto si può, si aggiustano le cose, autentiche e

posticce. Una dozzina di anni fa, lo scandalo dei falsi passaporti di

brasiliani, argentini e uruguagi ingaggiati in Italia, ci aveva aperto

gli occhi su un mondo poco conosciuto. La zona grigia era la proprietà

del cartellino dei calciatori, spesso spartita tra club e società

parallele che continuavano a detenere i diritti e li cedevano in

affitto.

La punta dell'iceberg di questo fenomeno copriva un labirinto di

movimenti di denaro poco chiari e vagamente leggibili dalle

istituzioni che governano il calcio. Una commissione d'inchiesta,

voluta dal parlamento brasiliano, si era messa a scavare con pazienza,

per portare a galla alcune verità, anche imbarazzanti, sui rapporti

tra futebol e sponsor, compresi alcuni della gloriosa Seleção. Se

tanti guadagnavano così molti soldi sul trasferimento di un giocatore,

perché non investire pochi denari in un falso passaporto? Tutto torna.

E basta modificare pochi articoli di regolamento per liberare i filoni

d'oro. Già allora i grandi squali del mercato tenevano in pugno intere

squadre e controllavano il territorio nelle capitali del calcio

sudamericano.

Adesso il meccanismo è diventato più scientifico. I fondi

d'investimento seguono logiche finanziarie: cacciano soldi su giovani

da valorizzare e rivendere; ogni tanto puntano a qualche cavallo di

ritorno, grandi nomi da spremere in pubblicità e marketing. Negli anni

scorsi club come Palmeiras, Corinthians e Santos hanno dimostrato

interesse nei fondi. Siccome non si può investire direttamente in

giocatori, le mani di chi mette i soldi si allungano sui club. Nella

Premier, la partecipazione di terzi ai diritti economici del

calciatori è vietata dal 2008. Si coprono i problemi con qualche

toppa. Ma bisognerebbe alzare lo sguardo e prendere una decisione che

vale per tutto il calcio. Non conviene a nessuno regalarlo agli

speculatori.

3
domande a

JOSÉ M.GAY
professore di economia

MA COSÌ IL CALCIO DIVENTA FINANZA

1
Come valuta l’apparizione nella Liga dei fondi?

Con l’ingresso in scena dei fondi il calcio, non solo quello spagnolo,

rischia di diventare un’economia finanziaria, di semplice

speculazione. E il ruolo dei fondi sul mercato potrebbe generare

conflitto d’interessi.

2
In Spagna si è parlato molto di Jorge Mendes, procuratore di

Mourinho e altri giocatori del Real, che pare legato a movimenti

di giocatori controllati dai fondi.

Potrebbe trovarsi coinvolto in un conflitto d’interessi, col fondo

che cerca di trasferire i propri giocatori per trarne beneficio,

andando contro gli interessi del club.

3
I fondi sono legati alla crisi del calcio?

Sì, investono in giocatori giovani e spesso di categorie sociali non

protette, e sfruttano la situazione dei ragazzi come dei club in crisi.

3
domande a

DANIEL GEEY
avvocato dello sport

INGLESI CONTRO PER IL FAIR PLAY

1
Perché i club inglesi temono di subire uno svantaggio

competitivo dai fondi?

La «third party ownership» è vietata in Inghilterra. Se Arsenal e

Porto vogliono un giocatore da 20 milioni, l’Arsenal dovrà pagarli

tutti, ma al Porto potrebbe bastare molto meno, se riuscisse a

coinvolgere un fondo d’investimento.

2
Per la Premier l’intervento dei fondi non rispetta il fair

play finanziario.

Il fair play mira a ridurre le spese per stipendi e trasferimenti.

Difficilmente la Premier riuscirà a convincere l’Uefa a rimuovere i

vantaggi di cui godono i club di altri Paesi nel ricorrere alla «third

party ownership».

3
E il rischio di conflitto d'interessi?

C’è almeno un problema di percezione. Molti potrebbero chiedere di

rendere noti tutti gli accordi per assicurare che nessun proprietario

di club abbia interessi economici su altri giocatori.

3
domande a

JEAN-LOUIS DUPONT
avvocato

PERÒ LA PREMIER UCCIDE IL MALATO

Jean-Louis Dupont è stato l’avvocato di Bosman.

In un’intervista alla Bbc non ha nascosto le sue

perplessità sul divieto della Premier ai fondi.

1
Come giudica l’interdizione della «third party ownership» in

Inghilterra?

È il tipico caso in cui, per combattere la malattia, si uccide il

paziente. Se uccidi il paziente non c’è più la malattia, ma neppure il

paziente.

2
Crede che un ricorso contro il divieto potrebbe vincere?

Avrebbe ottime possibilità. Il principio guida della legge europea è

la libertà d’impresa, dove la restrizione rappresenta l’eccezione.

3
Giudica il provvedimento eccessivo?

La regola non è proporzionata. L’obiettivo è proteggere il gioco, la

sua etica. Per raggiungerlo, però, non puoi semplicemente dire no fino

a cancellare la libertà di qualcuno.

IL CASO

SARAGOZZA E ROBERTO

SE I CAPITALI ESTERNI SONO DEL PRESIDENTE

di ANDREA LUCHETTA (GaSport - ET 31-01-2012)

Il trasferimento di Roberto Jiménez al Saragozza, in estate, ha spinto

alcuni osservatori a parlare di nuovo caso Bosman. L’acquisto del

portiere madrileno ben rappresenta il modo in cui i fondi

d’investimento - dirottando sul pallone dei capitali esterni -

permettono al calcio di diluire l’austerity imposta a tutti. Roberto

ha lasciato il Benfica per 8,6 milioni di euro. Ad accoglierlo un club

oppresso da 134 milioni di debiti, costretto ad aprire la più grande

istanza di fallimento nella storia della Liga. Com’è possibile che si

sia potuto permettere il 3° portiere più costoso dell’ultimo mercato?

Il Saragozza in realtà si limiterà a pagare lo stipendio. Il resto

verrà versato da un fondo d’investimento. Quale? Mistero, all’inizio.

Poi, visto che l’authority della Borsa portoghese ha sospeso i titoli

del Benfica, che essendo quotato è costretto a spiegare la provenienza

del denaro, il presidente del club spagnolo, Iglesias, ha confessato:

il fondo è diretto da lui stesso. L’affaire Roberto, benché legale,

non è piaciuto a chi vi ha visto un tentativo di aggirare l’impasse

finanziaria. Critica la Liga, giunta a minacciare di dissociarsi dalle

trattative per la riduzione del debito. Ma Iglesias ha già annunciato

di voler replicare il modello.

Modificato da Ghost Dog

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