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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Un altro scandalo

di GUIDO BOFFO (LA STAMPA.it 19-12-2011)

Mercoledì 21 dicembre, prima giornata di serie A. Stavolta le tv non c’entrano,

il calendario l’hanno manomesso i calciatori con il grottesco sciopero di

fine agosto. Ricordate? I presidenti non fecero molto per ricucire lo strappo

sul contratto collettivo. «Sfasciatutto», li definì Gianni Petrucci, gran capo

dello sport italiano. Quattro mesi dopo forse ne ha guadagnato lo spettacolo

in campo, visto che Udinese-Juve è sfida di vertice, ma quello fuori resta

desolante. Il contratto collettivo non è stato ancora firmato, per questioni

tecniche legate alla formazione dei collegi arbitrali. I giocatori fuori rosa

- casus belli - continuano a esistere e a essere lautamente pagati, per questo

la questione non finisce sul tavolo del sindacato, immaginiamo con il sollievo

del sindacato medesimo. E tra sei mesi si dovrà ripartire da capo, visto che

l’ultimo accordo ha valore transitorio. Tanto sciopero per nulla.

Ad agosto avevamo appena scollinato l’ennesima puntata del calcioscommesse,

tempesta senza vittime illustri, se non l’Atalanta penalizzata di 6 punti e

Cristiano Doni squalificato per tre anni e mezzo. Finita lì? Non illudetevi.

Oggi a Cremona è prevista una nuova infornata di custodie cautelari, la ferita

si riapre, i sussurri diventeranno grida se nella rete finirà qualche pesce

grosso. Così pare, ma in certi casi è meglio attenersi alle carte, anziché

farle. Si annuncia una settimana poco natalizia. Ed è decisamente una strana

coincidenza che Franco Carraro, eminenza grigia del Palazzo e dei suoi

anfratti, nei giorni scorsi abbia vaticinato nuovi bubboni, proponendo

addirittura un controllo a campione di dirigenti e atleti. Come per

l’antidoping. Ci avesse pensato lui, nei lunghi e distratti anni di presidenza

della Federcalcio, forse Calciopoli non sarebbe scoppiata.

Al Coni non nascondono la preoccupazione. I club italiani di vertice sono

gravati da sbilanci pesanti, i mecenati sono sempre gli stessi e sempre meno

disposti a svenarsi; fatta eccezione per la Juve, mancano stadi moderni e la

possibilità di autofinanziarsi. Restano le beghe, e gli scandali. Il tavolo

della pace era stato studiato per parlare anche di futuro, definire una

piattaforma, allargare gli inviti, affacciarsi nell’anticamera del governo

Monti con un’immagine presentabile. Se non ce l’hai, come puoi chiedere una

legge sugli impianti, la riforma del professionismo, la tutela del

merchandising, in definitiva un minimo di attenzione nell’agenda drammatica

del Paese? Il tavolo è saltato, pare non senza rimpianti. E se è vero che

qualcuno vorrebbe tornare a sedersi, lasciando che il passato segua la sua

strada, sarebbe il primo segnale confortante in questi mesi di kamikaze. Per

la crescita del movimento, per la sua stessa sopravvivenza, non bastano tre

squadre negli ottavi di Champions League. Servirebbe un po’ di fairplay e non

solo finanziario.

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19/12/2011

ALTA CORTE DI GIUSTIZIA: Inammissibile il ricorso del Brescia Calcio Spa contro la FIGC

L’Alta Corte di Giustizia Sportiva dichiara inammissibile il ricorso presentato il 15 luglio 2011 dalla società Brescia Calcio S.p.a. contro la Federazione Italiana Giuoco Calcio, avverso il provvedimento emesso dal Procuratore Federale della FIGC in data 1° luglio 2011, con il quale si è disposta "l'archiviazione degli atti del presente procedimento nei confronti dei soggetti appartenenti, all’epoca dei fatti, all’ordinamento federale. Dichiarato inammissibile anche l’intervento di Luciano Moggi.

Roma, 19 dicembre 201

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SPY CALCIO

di FULVIO BIANCHI

La Figc sta già indagando

E ora tremano club e calciatori

La Federcalcio non si è fatta trovare impreparata: in molti, in via Allegri, si aspettavano questa nuova ondata del Calcioscommesse. D'altronde, terminati i processi sportivi la scorsa estate, si sapeva benissimo che a Cremona stavano ancora indagando e che prima ci sarebbero state altri coinvolgimento. Ma non solo a Cremona indagano: sono interessate altre Procure, da quella di Napoli (pare abbiano in mano qualcosa di grosso), a quella di Bari. Lo stesso procuratore Palazzi aveva girato a Cremona la segnalazione-denuncia di un giocatore del Gubbio, Simone Farina, di un tentativo di combine in una gara di Coppa Italia col Cesena. La Figc oggi ha diramato subito un comunicato: ''Il Procuratore Federale Stefano Palazzi è già al lavoro sul nuovo capitolo del calcioscommesse. Quando chiuse l'inchiesta con i deferimenti relativi al primo filone dell'inchiesta di Cremona (processi sportivi già celebrati), Palazzi aprì contestualmente un fascicolo bis, proprio in vista di ulteriori sviluppi previsti dallo stesso Procuratore della Repubblica di Cremona Di Martino. E per questo, nelle settimane scorse ha chiesto alla Corte di Giustizia federale (e ottenuto) la proroga per le indagini sul calcio scommesse''.

''Palazzi - aggiunge la Figc - è in contatto con il Procuratore di Cremona, Di Martino al quale ha chiesto, appena la magistratura ordinaria lo riterrà possibile di poter avere copia degli atti utili ai fini dell'inchiesta sportiva''. Che significa? Significa che dopo Doni e c., già puniti dalla giustizia sportiva, adesso potrebbero tremare altre società (anche di serie A) e altri giocatori. Sinora, la linea di Palazzi, condivisa dal presidente Giancarlo Abete, è stata quella di stangare i calciatori che scommettono (o, peggio, falsano le partite) e attenuare la responsabilità dei club. Possibile qualche radiazione di tesserati e penalizzazioni in classifica (ma non pesanti) per i club. C'è grande preoccupazione comunque per questo fenomeno, ormai dilagante in tutto il mondo: la Fifa e l'Uefa hanno chiesto addirittura l'aiuto di Fbi e Interpol, in Italia c'è massima attenzione da parte della Figc e delle Leghe. La Lega Pro si è rivolta anche ad una società, la Sportradar, che segnala tutti i flussi anomali nelle scommesse: in maniera da tenere sotto tiro i calciatori. Sinora non ci sono state gare sospette e le inchieste delle varie procure, ad iniziare da Cremona, si riferiscono al passato.

(19 dicembre 2011)

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E se la camorra attaccasse il Napoli

perché De Laurentiis non paga il pizzo?

Introducendo la vendita dei biglietti on line, il presidente del Napoli

ha sottratto un mercato d’oro ai cosiddetti bagarini. E in un mese,

improvvisamente, i calciatori, le loro mogli e i loro entourage sono

diventati le vittime preferite delle rapine. Il questore continua a

parlare di terribile coincidenza, eppure in città il tam tam è partito.

di MASSIMILIANO GALLO (LINKIESTA 19-12-2011)

E se Aurelio De Laurentiis stesse combattendo una personale battaglia per non

pagare il pizzo alla camorra? La domanda, a Napoli, circola. Messe in fila, le

rapine a calciatori, mogli di calciatori, procuratori di calciatori, tracciano

una sequenza che colpirebbe persino il più razzista dei leghisti. E poi resta

la domanda, insoluta: come mai fino a un mese fa i calciatori del Napoli erano

praticamente intoccabili - tranne qualche caso sporadico, come il Rolex di

Hamsik - e adesso invece sembrano essere le vittime preferite della

criminalità?

Il questore Luigi Merolla smentisce: «Le rapine sono una terribile

coincidenza. Al momento non sembra che ci sia una strategia criminale alle

spalle. Naturalmente dobbiamo ancora approfondire le indagini, quando lo

faremo e se dovessimo riscontrare dei collegamenti allora potremmo esprimerci

in maniera diversa». Ma in un mese la criminalità ha colpito la fidanzata di

Lavezzi (rapinata del Rolex), la moglie di Hamsik (costretta ad abbandonare il

Suv sotto la minaccia di una pistola), la consorte del meno conosciuto

Fideleff (hanno provato a rubarle l’auto), il difensore Aronica (furto di una

Fiat 500) e infine il procuratore di Cavani (rapinato del Rolex in corso

Garibaldi, in zona Stazione).

È vero, episodi del genere accadono in altre città d’Italia e fanno meno

notizia. È il caso della recente rapina di Panucci a Roma, così come del Rolex

rapinato a Vucinic in centro a Torino, o dei furti nelle case di tanti

calciatori di Milano. L’elenco, insomma, è lungo.

Ma a Napoli il tam tam c’è, è innegabile. E racconta di una battaglia che

Aurelio De Laurentiis sta conducendo nel settore dei biglietti, per anni

territorio incontrastato dei bagarini. Il presidente del Napoli ha introdotto

una novità rivoluzionaria per la città, la vendita dei tagliandi on line, e ha

interrotto un sodalizio storico con un’agenzia deputata alla vendita dei

biglietti, stravolgendo le abitudini dei tifosi. E forse non solo.

Il giro d’affari dei bagarini sui biglietti del Napoli è sempre stato ricco.

Per decenni, dai tempi di Maradona, ma anche prima, non c’era servizio

televisivo o reportage dei grandi inviati sportivi che non partisse dai

bagarini, dominatori del mercato nero dei tagliandi d’ingresso. La storia che

a Napoli si racconta è che la camorra, che controlla questo mercato, non

avrebbe gradito le novità introdotte dal presidente. E che sarebbe così

cominciato un braccio di ferro: “attacchiamo i calciatori, anzi le loro mogli,

in modo che nessuno vorrà più venire a giocare qui. E tu hai finito di fare il

tuo business. Proprio come tu hai fatto con noi”.

Ovviamente è un tam tam. Il questore ha parlato chiaro. Il presidente del

Napoli non ha detto una parola su questi ripetuti episodi di criminalità. Così

come il sindaco Luigi de Magistris che non perde occasione per farsi

inquadrare vicino al presidente nella tribuna autorità del San Paolo. E

proprio domenica sera, in curva B, è stato esposto un striscione contro il

calciatore del Napoli Marco Donadel (“La nostra città hai denigrato, qui non

sei più desiderato. Donadel Vattene”), reo di aver rilasciato dichiarazioni

sul pericolo di vivere a Napoli a una radio fiorentina. Dichiarazioni di cui,

però, non si trova traccia.

Resta il fatto che fino alla introduzione della vendita dei biglietti on line

la vita dei calciatori a Napoli filava più o meno tranquilla. Certo, ci fu il

furto in casa Cavani. Ma da un mese le giornate dei giocatori e delle loro

consorti sono diventate meno serene.

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Il conflitto rimane

Calciopoli: fallito tavolo della pace per rabbonire Agnelli

Andrea Agnelli ha preso di petto la vicenda, sposandola completamente e porta Figc e Inter davanti al TAR

di Simona Aiuti (Italia chiama Italia 19-12-2011)

Per i più è stato alquanto velleitario cercare di chiudere l’affare Calciopoli

con un cosiddetto “tavolo della pace”, forse ingenuo o forse inutile, però

almeno abbiamo avuto delle conferme. E’ stato un incontro molto lungo,

cordiale secondo le testimonianze dirette, e alla fine lo spettro della

magistratura aleggiava sulle teste dei convitati, almeno su alcuni, spaventati

dalla fermezza di Andrea Agnelli, anche se hanno cercato di celarlo molto

bene. Forse non si è trattato di correttezza, ma di tattica e melina.

Gli strascichi di Calciopoli sono tanti, per non parlare dei veleni e il

senso soffocante d’ingiustizia di cui in troppi si sentono pervasi, come Della

Valle ad esempio che non la manda a dire e avrebbe anche deciso di querelare

Guido Rossi per l’operato del 2006, con un colpo di teatro che ha stupito i

più, è palpabile.

Dopo l’incontro dopo cui ognuno è rimasto nelle proprie posizioni, Petrucci è

apparso un po’ sconsolato, però ricordiamo che fu lui a dare mandato a Guido

Rossi cinque anni fa, e oggi quella decisione per molti è il “peccato

originale”.

Forse c'è stata la buona volontà di far avvicinare i presidenti, ma non si

sono ottenuti risultati, solo perché nessuno ha portato una confessione o un

dono, come avrebbe dovuto, almeno sotto Natale.

Il ricorso della Juve al Tar spaventa Petrucci, il quale cerca di alzare le

mani, dicendo che la FIGC farà la sua parte istituzionale e come federazione

contrasteranno il ricorso della Juve in modo sereno (ma che vuol dire in modo

sereno?).

Non si capisce come Petrucci possa sentirsi tranquillo davanti ad un

tribunale, ben sapendo che non ha fondi per un risarcimento, e se dovesse

pagarlo dovrebbe rivedere la posizione dell’Inter che ha usufruito di una

prescrizione e intercettazioni alla mano, in confronto Moggi era un mammola.

Il conflitto rimane, e lo ha dovuto ammettere anche Giancarlo Abete,

presidente della Federcalcio, parlando del ricorso con cui il club bianconero

ha chiesto alla Figc un risarcimento di 443 milioni di euro. Abete sa che non

ci sono fondi a disposizione della federazione per fare fronte a questo

ricorso perché significherebbe fermarsi per due-tre anni; e forse noi non lo

sapevamo? Lo sappiamo eccome e non abbiamo paura di questo, dopo tutto il

danno la Juve l’ha avuto, altri per reati sportivi più gravi sono stati

premiati, quindi il tutto è lapalissiano.

Considerato che la federazione ha introiti di circa 180 milioni di euro

l'anno, ci sarà da riflettere.

Andrea Agnelli ha preso di petto la vicenda, sposandola completamente e porta

Figc e Inter davanti al TAR, e non ha importanza se Abete ha bacchettato la

Juventus dopo il ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio. Il

capo della Figc criticò soprattutto la tempistica del club bianconero, caduta

nel giorno dell’anniversario della morte di Facchetti, per noi invece forse

non doveva partire la querela contro Moggi, per presunta diffamazione alla

memoria di Facchetti, visto che gli juventini non vogliono oltraggiare la

memoria di nessuno, ma ricordano delle intercettazioni per troppo tempo

seppellite, quelle necessarie per arrivare ad una prescrizione.

Ha spiegato il presidente di Corso Galileo Ferraris che l’Inter è un danno

collaterale della questione. Quella di Agnelli è una verifica sugli atti

amministrativi operati dalla Federazione. Questa è una delle sette azioni

programmate e forse il tavolo della pace è nato dal timore che ci sia un altro

scossone. A pensar male si fa peccato, però ci s’indovina a volte. Chissà se

Babbo Natale porterà a Petrucci sonni tranquilli e un po’ di soldini?

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IL TUTTO È FALSO…

IL FALSO È TUTTO FINO A QUANDO?

di CESARE POMPILIO dal blog "iosonopompilio.it" 19-12-2011

Chi pensava che il mondo del calcio fosse una isola felice,

nell’arcipelago dello scibile umano, deve ricredersi. Lo sport è

figlio della nostra società; perciò pieno di parolai, disonesti.

Certamente sono convintissimo di quello che dico, certamente vorrei

che lo sport fosse un arcipelago pulito, una palestra dove curato il

corpo anche la mente diventasse sana. Invece è esattamente il

contrario. Si esattamente il contrario, e non da ora. Le scommesse

clandestine esistevano già alla fine degli anni 70 e in molte zone di

Milano al sabato sera si giocavano i risultati delle partite. Lo

scandalo degli inizi degli anni 80 fece clamore. L’Italia di Bearzot

divenne Campione del Mondo. Di tutt’altra specie è stato Calciopoli.

Con Calciopoli si è voluto togliere di mezzo un grande competente di

calcio: Luciano Moggi. Le mosche cocchiere si sono allucentate e

allucinate, un maniscalco tenne bene il gioco, dei musicanti falliti

intonarono il Te Deum. Insomma l’orgia ha preso le godurie del sesso e

le gesta della preghiera vespertina un mix perfetto tale da generare

un mostro. Ci son voluti 5 anni prima che Luciano Moggi trovasse un

compagno di strada degno di poter fargli sponda. Della Valle è stato

muto per tantissimo tempo; ora, ha solo chiesto se nei giorni caldi

della mistolfa le cotenne erano tutti dello stesso maiale. Apriti

cielo, attacca massiccio, sferra dei colpi mortali il geloso don

Ciccio. Apriti cielo, chi batte i pugni, chi fa il cretino, chi

minimizza. Insomma potrebbe rinascere una nuova orgia ma cambiano i

protagonisti, perchè, quelli di allora hanno un solo interesse: non ne

parlare.Tutte le volte che sento puzza di stalinismo impazzisco. Ed

allora? Risolviamo Calciopoli, risolviamo Moggi, risolviamo Giraudo,

Bergamo…La Juve. Risolviamo all’italiana? Si dove sta il difetto?

Risolviamo subito. Tanto i turiferari sono già allineati, aspettano un

cenno, solo un cenno per dire: il tutto è falso. . il falso è…per tutti

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BISOGNA SAPER VINCERE

ARRIVANO I DONI DI NATALE

di MALCOM PAGANI (il Fatto Quotidiano 20-12-2011)

Perché il pallone è così/ un giorno sei una star/ e il giorno dopo il

buffone preso in giro al bar”. Così flautava profetico uno dei

migliori amici di Cristiano Doni, il Bepi, apprezzato cantautore local

in quel di Bergamo dove “A crapa olta” il simbolo di un decennio di

Atalanta era tornato a oltre 30 anni per sentirsi dedicare poemi ad

personam e fondersi denifitivamente con la città. Ora che la testa è

necessariamente bassa e l’isolamento di un carcere di massima

sicurezza, uno schermo utile a nascondere vergogna e illusioni perdute,

il cittadino onorario di Bergamo Doni Cristiano, forse, rifletterà.

Lo hanno arrestato all’alba di ieri, mentre, raccontano, tentava di

scivolare invisibile verso il garage. Fuggire, eclissarsi, sparire.

Lontano dai tormenti e dalle urla che in queste ore, sui siti ultras,

ne sbranano la sindone spandendo nell’aria bandiere, ricordi e dolori.

Per lui i tifosi dell’Atalanta avevano ceduto alla teoria del

complotto (lontanissima dal pragmatismo bergamasco), inscenato

manifestazioni di piazza, insultato chiunque in questi anni si fosse

mezzo tra loro e Cristiano. Perdonato già molti anni fa, quando l’eroe

si era macchiato in un palcoscenico minore (Atalanta-Pistoiese di

Coppa Italia) e prima di lavarsi con l’assoluzione, era stato accusato

di un delitto troppo simile a quello di oggi.

CRISTIANO era l’altare da onorare e la prova tangibile di una

diversità. L’Atalanta, il suo popolo, l’highlander con il numero 27 e

tutto il mondo fuori. Lontano dalle combine. Fiero, indomito, limpido.

Doni. Il figliol prodigo che superati i confini di Treviglio, falliva

sempre. Male alla Sampdoria, in Spagna, ovunque. Tranne che in

Nazionale con Trapattoni (gloria effimera) e allo stadio Azzurri

d’Italia, dove il romano Cristiano, senza dimenticare i natali,

recitava da fiera del Colosseo. Con la rabbia giovane e il (luminoso)

talento, nella maturità e nel crepuscolo. Da padrone e gestore di

stabilimenti balneari. Da vitellone e padre di famiglia. Da calciatore,

guru, presidente, scommettitore. Il vizio antico, la condanna

odierna. Decideva sempre Cristiano. Quello che sapeva toccare la

palla. Quello con le palle. Aveva litigato con Gigi Del Neri,

Novellino e Ulivieri, con gli arbitri (“È uno schifo” urlava a Brighi

nell’arena), con Antonio Conte in un lontano pomeriggio livornese: “È

un ometto ridicolo”, benedicendo poi l’addio dell’ex nemico e

continuando a provare per tutto ciò che sapeva di juventinità una

sincera avversione: “Non c’è squadra che mi sia più antipatica sulla

terra”. Ora che le chiavi d’oro trasmutano in acciaio e blindano una

cella, tra le sbarre, anche i dubbi estivi che sollevavano polvere

sull’innocenza: “A Bergamo certe cose non succedono. Sono 10 anni che

do l'anima per l’Atalanta. Uno così secondo voi può vendere delle

partite?” finiscono per essere inutili come le domande. Cristiano Doni

è rimasto solo. E un uomo solo è sempre in cattiva compagnia.

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CALCIOPOLI: PARLA IL PRESIDENTE FEDERALE

«Juve avanti al Tar? Noi sereni»

Abete: «Ci siamo sempre comportati con grande rispetto verso tutti gli interessati»

di ALVARO MORETTI (Tuttosport 20-12-2011)

ROMA. Tra il Palazzo ad H al Foro Italico e Desenzano del Garda fa ping pong

la relazione Palazzi e le conseguenze che ha portato nel calcio italiano.

Prima di tutto la notizia: nessun invio al macero del lavoro effettuato dal 1

aprile 2010 al 1 luglio 2011 (lunghetto, no?) dalla Procura federale, innocuo

per gli effetti sull’Inter e non solo delle innumerevoli incompetenze

dichiarate sulla prescrizione sopraggiunta grazie a chissà chi, ma che tiene

aperta la ferita della par condicio. L’Alta Corte presso il Coni, presieduta

da Roberto Chieppa ieri pomeriggio ha dichiarato - come qui previsto -

inammissimibile per carenza d’interesse il ricorso del Brescia, presentato il

15 luglio contro la relazione Palazzi, ritenuta indebita e inutile visto che

l’indagine è partita a prescrizione già scattata. La Figc s’era opposta, e

s’era associata nel fare barriera (per una volta accanto a via Allegri) la

difesa di Moggi (non ammissibile anche questo ricorso). L’avvocato Catalanotti

ci tiene a precisare che «le parti avverse hanno riconosciuto che Palazzi non

mette in connessione il comportamento di Governato e il Brescia» nella

relazione. «D’altro canto sarebbe stato poco logico che proprio il Brescia

invocasse il contrario», dice l’avvocato Prioreschi. Insomma la Relazione è

viva e lotta insieme a loro? Sì, perché proprio quelle 72 pagine - e in

particolare quelle dedicate a Moratti e Facchetti - fanno discutere.

IL CONSIGLIO Oggi in Figc, in sede di consiglio federale, non saranno

accantonate cifre per l’eventuale danno da pagara in sede Tar alla Juve,

convinti delle proprie ragioni e la conferma viene da un commento acidulo del

presidente Abete ieri alla festa di Natale della Lega. «La Juve va avanti al

Tar? La Figc contrasterà questa posizione ritenendo di aver fatto tutto quanto

era nella sua titolarità - dice Abete -. Riteniamo di aver operato con grande

rispetto nei confronti di tutti gli interessati, ma al momento mi sembra che

le pronunce intervenute da parte del Tnas, della Uefa, dalla stessa Prefettura

di Roma rispetto agli esposti Juve vanno tutte in una certa direzione. Le

pronunce sono state tutte di incompetenza? Se tutti i soggetti si ritengono

incompetenti bisogna chiedersi se sono tutti incompetenti quelli che

rispondono oppure se le domande sono poste a soggetti non titolati. La

situazione comunque è chiara, c’è una posizione legittima della società che

ritiene di portare avanti le sue richieste e noi che porteremo le nostre

posizioni senza nessuna logica aspra». Ohi, mica ce lo dice però quale è la

sede giusta per capirechi debba fare chiarezza sul difetto evidente di par

condicio calciopolara. La risposta Juve è affidata a Marotta. «Adesso

guardiamo avanti con serenità - ha detto - la Juve vuole solo cercare la

verità, cioè eliminare i torti subiti. In noi da una parte c’è una grande

disponibilità al dialogo, dall’altra una grande fermezza nel veder

riconosciuti i nostri diritti».

===

L’ASSEMBLEA: SCINTILLE CON LA FIGC

La Lega approva il bilancio

A gennaio il futuro di Beretta

di STEFANO SCACCHI (Tuttosport 20-12-2011)

PRIMA che entrino in scena le ballerine del Teatro Alberti di Desenzano del

Garda - di proprietà di Enrico Preziosi che ha invitato i colleghi per la

tradizionale assemblea prenatalizia della Lega Calcio di Serie A seguita da

spettacolo di burlesque, cena e concerto della band di Massimo Cellino - c’è

spazio per nuove scintille tra i club e la Figc. Giancarlo Abete, presente

alla riunione, deve dare spiegazioni sulla riduzione di contributi federali

per circa 7 milioni rispetto all’anno precedente. E’ una partita di giro nella

quale viene a mancare una convenzione che garantiva 12 milioni alla Serie A

(ora stipulata con la Lnp). Questo minore introito in parte è stato compensato

da versamenti pari a circa 5 milioni per le spese arbitrali e le presenze dei

calciatori in Nazionale. E’ soprattutto Claudio Lotito a marcare stretto Abete

che cerca di placarlo: «Stai tranquillo e passa bene la nottata». I due

infatti si ritroveranno oggi a Roma per il Consiglio federale. Aleggia sempre

la questione delle modifiche richieste dai club all’articolo 22 delle Norme

organizzative interne della Figc che impone a Lotito di lasciare tutte le

cariche calcistiche in seguito alla condanna in primo grado a Napoli per

Calciopoli. «Sono qui in qualità di consigliere federale, perché noi ci

autoeliminiamo», è stata la battuta di Lotito durante l’assemblea proprio

riferendosi a questa prescrizione (la Figc ha deciso di attendere il parere

della Corte di Giustizia prima di far decadere il presidente della Lazio

dall’incarico federale). Abete abbozza: «Fino a quando ci si confronta sul

merito dei problemi va bene».

RICHIESTA DI CHIARIMENTI Il bilancio della massima divisione è stato

approvato all’unanimità, ma alcuni presidenti - Lotito, Preziosi e Cellino -

hanno chiesto spiegazioni su una voce: l’aumento delle spese di consulenza per

1.9 milioni. Sarà preparato un rendiconto per capire cos’ha provocato questo

incremento. Prossimo appuntamento a metà gennaio per l’assemblea nella quale

si affronterà il nodo della presidenza: rinnovare la fiducia a Maurizio

Beretta o trovare un successore. Probabile che si prosegua fino al 30 giugno

col doppio incarico del manager Unicredit al vertice anche di Via Rosellini.

Al momento il nome più gettonato è quello di Andrea Cardinaletti, ex

presidente e ora commissario straordinario del Credito Sportivo.

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Petrini e Zeman si, Ferruccio Mazzola no

Gianni Agnelli, uno dei migliori intellettuali che questo paese abbia prodotto nel secolo scorso (che fosse anche industriale è un dettaglio, anche Olivetti lo era, ed è stato una mente brillantissima) si emozionava quando, sfogliando un giornale, incontrava con lo sguardo la lettera J, associandola subito alla sua Juventus.

Noi, figli del declino intellettuale e industriale, quando vediamo la lettera J ci auguriamo invece che non sia abbinata al nome della nostra squadra del cuore, visti i tempi che corrono.

E anche quando sentiamo pronunciare questo dolce nome alla Tv (viste le Tv che corrono) ci si accappona la pelle, si drizzano le antenne, aguzziamo la vista e annusiamo di cosa si tratta.

L’altra sera al programma “Chi l’ha visto?” è tornata d’attualità la vicenda di Denis Bergamini, quel giocatore deceduto 22 anni fa in circostanze misteriose.

Sappiamo per esperienza diretta che le indagini e i processi in Italia viaggiano come treni (non delle ferrovie italiane) solo quando riguardano la Juventus, e i 22 anni di derubricazione del caso a suicidio non ci sorprendono, malgrado ci fossero elementi per indagare in direzione diversa.

Dalla ricostruzione giornalistica fatta emerge la responsabilità degli inquirenti per i quali un corpo trascinato per molti metri dalle ruote di un camion 4 assi era normale fosse intero, composto, pulito e pettinato, così come la ricostruzione degli spostamenti del giocatore (si dirigeva a Taranto ad imbarcarsi per il Sudamerica …) e della sua auto risultano poco plausibili.

La conduttrice del programma recava in mano il libro di Carlo Petrini “Il calciatore suicidato”: si presume che alcuni elementi per il servizio siano stati tratti da lì.

E allora, visto che la J di Juventus è già stata tirata in ballo con il nome di Padovano (compagno di camera di Bergamini e per il primo grado del processo dichiarato spacciatore), mettiamo subito le mani avanti.

Perché se parla Zeman o Petrini si muovono Procure e giornalisti alla ricerca dello scoop e se parla Ferruccio Mazzola, uno che non solo ha fatto l’allenatore ma ha anche giocato e ancora ci vede benissimo da tutti e due gli occhi, non si muove nessuno?

di Francesco (LuisitoMonti) Giulemanidallajuve

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Lo scandalo calcio

di VITTORIO ZUCCONI dal blog "Tempo reale" (Repubblica.it 22-12-2011)

bwin_rm_milan-300x225.jpg

Ecco un altro “scandalo del calcio”, questa volta in salsa scommesse e partite

manipolate su scala globale, tra la sorpresa dei polli, i pianti dei tifosi

che “no, lui no, è il nostro capitano e la nostra bandiera, giù le mani” e

degli ipocriti, come se oggi far girare i soldi fra Singapore, Napoli, Tahiti,

Bangkok, la Bahamas o dove vi pare fosse più complicato di un paio di click e

i soldi girassero a mano e in contanti nei sacchetti del supermercato. Sai che

novità. Dopo le farmacie, le sim, le telefonatine ad arbitri e disegnatori

giusto per buona educazione, i documenti di identità farlocchi, le truffe di

bilancio con i giocatori valutati cifre fasulle per far quadrare i bilanci

colabrodo e gli scambi del cane da un miliardo ceduto per due gatti da mezzo

miliardo, arriva Gubbio contro Cesena in Coppa Italia o Boschetto di Sopra

contro Sorgente di Sotto. Visti quanti sono, e con quanta regolarità scoppiano

i casi in quella fogna della Lega, non è che per caso lo scandalo non sia “del

calcio”, ma sia proprio “il calcio” in Italia? Dovunque ci siano un gioco

d’azzardo e la possibilità di scommettere, come ormai pubblicizzano anche i

grandi club con il nome perfettamente legittimo dello sponsor sulla maglia, ci

sarà sempre qualcuno che cercherà di barare. Scommettiamo?

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Atalanta, i tifosi scaricano Doni. Superteste: "In serie A barano tutti"

Giovedì, 22 dicembre 2011 - 11:59:21

A testa bassa. Cristiano Doni è stato abbandonato dai suoi tifosi. Troppo forte la delusione, troppo grande la ferita inferta dall'ex capitano dell'Atalanta ai tifosi bergamaschi. Loro, che lo avevano sempre sostenuto anche dopo il suo coinvolgimento nello scandalo calcioscommesse, hanno deciso di recidere il cordone ombelicale con colui che vedevano come un simbolo, un modello.

Dopo la bufera seguita all'arresto di Doni, i tifosi atalantini hanno deciso di aggrapparsi all'orgoglio per superare il momento più difficile della storia nerazzurra. Prima della partita con il Cesena hanno esposto uno striscione lungo 50 metri con la scritta: "Fieri sostenitori dei nostri colori". E sopra la curva lo slogan "Atalanta folle amore nostro" fa capire come la passione per la squadra vada al di là di ogni scandalo.

Questa scritta ha preso il posto dello striscione abituale che recitava "A testa alta verso la salvezza", chiaro richiamo al gesto di esultanza che il capitano era solito esibire e che in questi giorni ha assunto l'amarissimo sapore della beffa. A Doni non è stato dedicato nessun pensiero, nè nel bene nè nel male durante la partita. Ma sono tanti i pezzi grossi della curva atalantina che sospirano tra amarezza e rabbia: "Ci ha tradito".

E ora si teme che da Doni si arrivi anche alla società, già punita con una penalizzazione di 6 punti a inizio campionato. Una penalizzazione che, come anticipato da Affari qualche giorno fa, potrebbe aggravarsi ancor di più. Sì, perché gli investigatori hanno trovato una telefonata su un'utenza intestata alla società Mdf italia spa di Milano, il cui presidente è Isodoro Fratus, già amministratore delegato dell'Atalanta di cui oggi è consigliere di amministrazione. Senza contare le telefonate che sarebbero intercorse tra la società bergamasca e il gruppo degli "zingari".

Intanto c'è un superteste che fa tremare tutta la serie A. E' un poliziotto di Bologna, che ha riferito al gip Salvini informazioni ricevute da una fonte confidenziale ritenuta "di assoluta affidabilità, particolarmente addentrata nel mondo delle scommesse sportive lecite e del gioco d'azzardo".

Secondo il confidente, "il fenomeno delle partite truccate sarebbe ben più ampio di quelle emerso dalle indagini condotte dalla Procura di Cremona, e vedrebbe coinvolti giocatori, società e arbitri sia nella serie A che in quelle minori". Il meccanismo funzionerebbe, fino a tre quarti dello svolgimento dei diversi campionati, in base ad accordi tra singoli giocatori su singole partite da aggiustare, ma non c'è "la garanzia assoluta" sull'esito "poiché intervengono tutta una serie di altre variabili imponderabili".

Nella fase conclusiva dei tornei invece, "quando risultano più evidenti gli obiettivi delle varie squadre, entrano in gioco le società, i cui dirigenti a volte concordano gli esiti delle partite. In tal caso l'esito dell'incontro è praticamente sempre quello concordato, fatto questo che induce a ritenere che le società riescano in qualche modo a pilotare il comportamento dei propri giocatori e della terna arbitrale".

Il confidente riferisce che "nel mondo degli scommettitori vi sono soggetti che hanno stretti rapporti con le società o con singoli giocatori, i quali riescono a sapere con anticipo quando una partita risulta truccata, e sono pertanto in grado di effettuare scommesse, anche importanti in termini economici, su tali eventi". La fonte ha rivelato anche un meccanismo che sembra anticipare quanto sta emergendo dall'indagine della polizia: "Tra i più addentrati del settore è notoria l'esistenza di un'organizzazione criminale strutturata di slavi, molto potente, in grado di alterare competizioni anche i più alti livelli, compresa l'Europa League e la Champions League, particolarmente attiva in Francia e Germania".

[libero.it]

Modificato da totojuve

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Calciopoli senza fine, esposto di Dondarini per le intercettazioni inutilizzate

blitzquotidiano 21-12-2011

''Paolo Dondarini ha presentato oggi un esposto diretto alla Procura della Repubblica di Roma con il quale ha posto formalmente la questione in ordine alla genesi delle scelte investigative che hanno condotto a 'brogliacciare', trascrivere ed utilizzare soltanto una parte delle intercettazioni effettuate nel contesto delle indagini e non altre, pure presenti agli atti ed oggettivamente di decisiva rilevanza probatoria.

Lo rende noto l'avvocato bolognese Gabriele Bordoni che assiste l'ex arbitro Dondarini nel processo 'Calciopoli'.

Ricordando che nella logica dell'attuale processo penale sussiste obbligo del Pubblico Ministero rispetto allo svolgimento d'indagini anche in favore dell'indagato e che l'articolo 111 Costituzione consacra il diritto alla prova per l'indagato-imputato (che significa garantire al soggetto le condizioni per poter conoscere appieno il materiale d'indagine e per provare i fatti utili e favorevoli alla propria difesa), si deve registrare che nel procedimento noto alle cronache con il nome di 'Calciopoli' ci si è discostati da tali principi, dal momento che l'approfondita rilettura degli atti processuali (resa possibile soltanto dallo sforzo immane compiuto dai consulenti di altre difese che hanno impiegato un tempo enorme, di cui Dondarini non disponeva, visti i ritmi del Giudizio abbreviato che aveva prescelto come era suo diritto) ha rivelato numerose intercettazioni telefoniche effettuate nel corso delle indagini preliminari – dalle quali emergono circostanze decisive al fine di dimostrare la sua estraneità ai fatti – che non erano state in alcun modo evidenziate ed, anzi, erano state catalogate in maniera tale da non consentirne in concreto il rinvenimento né l'impiego processuale (da parte delle difese e dello stesso Giudice). La rilevante quantità di comunicazioni intercettate certamente avrà creato qualche difficoltà di analisi e cernita, ma è singolare come tutte le captazioni ora rinvenute e trascritte presentino note oggettivamente favorevoli alle tesi difensive mentre erano state tutte relegate nel limbo dell'introvabile; difficile pensare che siano sfuggite casualmente proprio tutte le intercettazioni nelle quali era direttamente coinvolto Dondarini e che ne rilevavano palesemente un atteggiamento inconciliabile con le accuse''.

Modificato da huskylover

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CALCIO SPORCO

Caccia al tesoro di Moggi

I club danneggiati da Calciopoli ora vantano crediti. Ma i soldi non

si trovano più. L'ex dg è nullatenente. E Giraudo non ha beni in Italia

di GIANFRANCESCO TURANO (l'Espresso n.52 | 28 dicembre 2011)

In tempi di concordia politica forzata c'è il calcio a tenere alto il livello

della rissa. Oltre cinque anni dopo l'inizio di Calciopoli, i presidenti di

serie A insistono nel tutti contro tutti. Il processo di primo grado a Napoli,

conclusosi con 16 condanne, ha esacerbato le tensioni. Diego Della Valle, che

ha incassato una condanna a quindici mesi per frode sportiva, ha presentato

una denuncia per abuso di ufficio e occultamento di prove contro Guido Rossi,

commissario straordinario della Federcalcio nel maggio del 2006, quando è

scoppiato lo scandalo. Poco prima, la Juventus ha chiesto 444 milioni di euro

di danni alla stessa Federcalcio benché nel club degli Agnelli ci fosse la

cabina di regia del sistema di Calciopoli, tanto che la società bianconera è

stata retrocessa d'ufficio in B dalla giustizia sportiva e i suoi principali

dirigenti dell'epoca, l'amministratore delegato Antonio Giraudo e il direttore

generale Luciano Moggi, sono stati condannati rispettivamente a 5 anni e 4

mesi e a 3 anni di reclusione.

In questo polverone si è perso di vista il fatto che la sentenza dei giudici

napoletani ridà forza soprattutto alle parti civili. Sono i club che hanno

subito un danno accertato dal sistema di Calciopoli (Brescia e Bologna in

primis) e che possono sfruttare il verdetto penale come base per le loro

richieste economiche. Ma la caccia al tesoro dei burattinai del pallone si

annuncia magra.

Moggi, che ha subito la condanna più pesante al processo di Napoli, risulta

nullatenente con il problema aggiuntivo che la Juve lo ha scaricato da un

pezzo. La situazione è diversa per quanto riguarda Giraudo. L'inventore della

stazione sciistica di Sestriere è stato per anni l'amministratore del

patrimonio immobiliare di Umberto Agnelli e, in seguito, di suo figlio Andrea,

attuale presidente della Juve.

Oggi Giraudo risulta residente a Londra, dove continua a fare

l'immobiliarista. Poco dopo l'inizio di Calciopoli si è sbarazzato di ogni

proprietà italiana. A giugno del 2006 ha ceduto la sua quota in un'immobiliare

(Erba e steppa) che ha il controllo di un palazzo prestigioso in via

Principessa Felicita di Savoia, alle pendici della collina torinese. La

proprietà dell'edificio, stimato diversi milioni di euro di valore, è stata

trasferita a Maria Elena Rayneri, moglie di Giraudo.

L'altro cespite consistente era un pacchetto di azioni della Juventus (oltre

il 2 per cento) che l'amministratore delegato del club aveva accumulato dai

tempi della quotazione nel dicembre del 2001 al maggio del 2006. Il

controvalore di mercato era stimato fino a 10 milioni di euro. Ma anche in

questo caso non è stato possibile trovare nulla. "I titoli dovevano essere in

deposito presso Banca Sella", racconta Bruno Catalanotti, avvocato del

Brescia. "Invece non c'erano e abbiamo agito con un pignoramento contro terzi,

cioè contro la banca".

Il fronte arbitrale riserva poche soddisfazioni. Nell'intervallo tra l'inizio

del processo e oggi, i due designatori hanno gradualmente ridotto le loro

attività imprenditoriali. Paolo Bergamo (3 anni e 8 mesi di condanna) ha

chiuso la sua agenzia Ina-Assitalia a Livorno e ha lasciato le attività

assicurative alla figlia Barbara che controlla anche circa metà

dell'immobiliare di famiglia (La Castellaccia).

Pairetto, condannato a un anno e 11 mesi, ha mantenuto una quota minima (1, 5

per cento) in una società del gruppo Seri, arrivato al massimo del suo

splendore imprenditoriale al tempo delle Olimpiadi invernali di Torino del

2006, quando aveva firmato licenze commerciali su vari prodotti legati ai

Giochi.

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“Quello che non sapete su Calciopoli”:

la verità dell’investigatore pentito

Pronto a svelare le zone d’ombra dell’inchiesta

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 23-12-2011)

Ora che le sentenze di primo grado su Calciopoli sono in campo - 16 i

condannati, 5 anni e 4 mesi la pena per Luciano Moggi, di un anno e 3 mesi

quelle per Diego ed Andrea Della Valle e Claudio Lotito fuori dal processo, e

in attesa dell’appello, c’è un mondo in movimento. Il calcio è impegnato a

trovare una pace, oggi impossibile, fra chi è coinvolto nei fatti di cinque

anni fa e chi, quei fatti, li vuole tenere distanti. E, una pace con se stesso,

adesso, la vuole trovare anche chi quello scandalo l’ha vissuto dall’altra

parte, ovvero con le cuffie in testa e un computer davanti agli occhi dove

ascoltare le intercettazioni di Calciopoli.

C’è un investigatore che parla, racconta, descrive i contorni più discussi

del Grande Scandalo. Un investigatore dei dodici che si dividevano fra le

migliaia di colloqui intercettati nelle stanze di via in Selci a Roma.

«Eravamo dodici, ufficiali e agenti di polizia giudiziaria. Ma non pensate

alle bobine di una volta: ci sono computer, entri con la password. . . e ognuno

seguiva una singola utenza...Poi, alla fine, ogni sera, si faceva la riunione,

io ho seguito questo, io quell’altro e alla fine ecco il resoconto.. . », così

Roberto, nome di fantasia. La carta d’identità è sul tavolo: l’investigatore

la fa vedere ad alcuni giornalisti e chiede che il suo nome non venga svelato

sul giornale. Parla per voglia di verità e lo fa perché spera che qualche

magistrato, magari quello dell’appello, lo chiami come teste. Per Roberto

«alcune cose prima c’erano e sono sparite, altre non c’erano e sono

comparse...». L’investigatore sente che è arrivato il momento (il suo) per

fare chiarezza su alcuni passaggi dell’inchiesta, da lui svolta sotto gli

ordini dei suoi superiori. Così, Roberto, si sofferma sulle sim svizzere

(«Quando vai ad intercettare una scheda straniera, in questo caso Svizzera,

devi chiedere l’autorizzazione. E loro cosa hanno fatto? L’hanno chiesta, ma,

nel frattempo, hanno già attaccato il telefono, ma, a quel telefono, non

parlavano. In quindici giorni, questa scheda, non ha fatto niente. . . ),

ripercorre il giorno del pranzo che, secondo l’accusa di Calciopoli,

rappresenta l’architrave del patto per salvare la Fiorentina quando Diego ed

Andrea Della Valle incontrano l’allora designatore Paolo Bergamo e l’allora

vice presidente della Figc Innocenzo Mazzini in un ristorante sopra Firenze

(«...io so che non hanno parlato di niente, sono sicuro che l’audio c’è.. . ) e

precisa come, fra i suoi stessi superiori, ci fosse chi avrebbe voluto che

l’indagine si fermasse non portando a nulla di rilevante («Arcangioli disse

basta, Auricchio voleva andare avanti...»). Attorno a Calciopoli c’è un mondo

in movimento: ieri l’ex arbitro Paolo Dondarini, condannato con il rito

abbreviato, ha presentato un esposto alla procura di Roma sulle

intercettazioni inutilizzate.

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CALCIOPOLI

Telefonate scomparse

Esposto di Dondarini

di ALVARO MORETTI (Tuttosport 23-12-2011)

ROMA. Della Valle l’ha annunciato, l’ex arbitro Paolo Dondarini l’ha scritto,

firmato e presentato alla Procura della Repubblica di Roma. Tiziano Pieri lo

farà oggi. Un esposto ai pm di Roma perché verifichino le circostanze con le

quali vennero selezionate le telefonate di Calciopoli. Un esposto di 16 pagine

nelle quali l’ex arbitro emiliano, condannato a due anni nel rito abbreviato

(appello il 21 marzo), include significativi passi di quattro telefonate che

avrebbero portato ad una diversa considerazione della sua colpevolezza.

L’esposto è stato presentato a Roma perché è a via In Selci che operavano il

tenente colonnello Auricchio e i suoi marescialli che ascoltavano,

brogliacciavano, baffano le telefonate e scrivevano poi le informative. Con

l’avvocato Bordoni, Dondarini chiede perché non si siano, come previsto dalla

legge e dalla Costituzione, inserite le telefonate a discarico: «Perché si è

arrivati - chiede l’ex arbitro - a scelte investigative che hanno condotto a

“brogliacciare”, trascrivere ed utilizzare soltanto una parte delle

intercettazioni effettuate nel contesto delle indagini e non altre, pure

presenti agli atti ed oggettivamente di decisiva rilevanza probatoria?». Tra

le telefonate scomparse «emergono circostanze decisive al fine di dimostrare

l’estraneità ai fatti che non erano state in alcun modo evidenziate ed, anzi,

erano state catalogate in maniera tale da non consentirne in concreto il

rinvenimento né l’impiego processuale. Tutte scelte casuali?». Un atto

d’accusa cui potrebbero unirsi altri imputati di Calciopoli.

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CLAMOROSO

Le rivelazioni di un investigatore che ascoltava le intercettazioni

«Calciopoli:

tutto quello che

non sapete»

di EDMONDO PINNA (CorSport 23-12-2011)

Parla uno degli uomini di Calciopoli. Parla, racconta, descrive pagine

di un libro inedito, svelandoci le “sue” verità. L'idea è che le sue

rivelazioni non siano solo un sasso nello stagno ma uno stimolo al

dibattito. E su queste colonne chi vuole e vorrà rispondere troverà

uguale ospitalità. Intanto, il nostro interlocutore parla (ci dice)

per liberarsi da un peso, per sperare che la “sua” verità possa

diventare verità storica. Un appuntamento mancato nei dintorni di

Firenze, l’attesa attorno all’ora di pranzo, un hotel a fare da

coreografia. Viene o non viene? No, non verrà, un contrattempo,

all’ultimo momento, perché succede così anche nei film che fanno

botteghino. Ma è una parentesi, che si chiude qualche giorno dopo, nel

cuore di Roma, un ufficio con vista fra la cupola di San Pietro e il

Tevere, mentre intorno brillano le luci di Natale. Si comincia che il

sereno del cielo sta per farsi azzurro, si finisce che è notte ed il

freddo è tornato pungente. Parla, uno degli uomini di Calciopoli. Non

uno qualsiasi, però. Ma uno che, in quell’inchiesta, stava dall’altra

parte, dalla parte di chi, quelle indagini, le ha fatte. Un

investigatore. Ci qualifichiamo, i documenti sul tavolo, non per

mancanza di fiducia, ma per garanzia reciproca. Chiede che il suo nome

non venga svelato sul giornale. E poi racconta. . . .

Calciopoli, definito il più grande scandalo del calcio mondiale, nasce

da quale inchiesta?

«La cosa degli arbitri, l’inchiesta che stava a Napoli. Da lì poi parte un

supplemento di indagini, perchè a Torino avevano archiviato e mandato gli

atti. . . Da questo hanno preso spunto e da lì sono partite varie

intercettazioni, all'inizio erano due telefoni controllati, telefonino e

telefono di casa...»

Da due telefoni a oltre centosettantamila intercettazioni?

«Si allarga il giro con le telefonate: questo conosceva quello, quello

conosceva quell'altro e si iniziano a mettere tutti i telefoni sotto

controllo. In un momento uscivano venti numeri di telefono nuovi. Parlavano,

parlavano... Parlavano di stupidaggini alla fine, niente di che. . . Fino a

quando si è arrivati a Moggi. Anche se, quando senti il sonoro, quello scherza,

quell'altro fa il fenomeno...».

Lei ascoltava le telefonate?

«Si, sentivo le intercettazioni»

Quanti eravate?

«Dodici, ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, in via in Selci. Ma non

pensate alle bobine di una volta. Ci sono computer, entri con la password... e

ognuno seguiva una singola utenza.. Poi alla fine si faceva una riunione, io

ho seguito questo, ho seguito quell'altro e si faceva resoconto».

Ci spieghi una cosa: come mai le telefonate che riguardavano l’Inter

non sono entrate nell’inchiesta? Eppure il loro tenore non era diverso

da quelle che abbiamo letto, dal 2006 ad oggi. . .

«Noi facevamo i baffetti: dopo ogni telefonata usavamo il verde se le

conversazioni erano ininfluenti, l’arancione se c'era qualche cosettina. Col

rosso parlavano di calcio (nel senso, cose che potevano interessare

all’inchiesta, ndr). Noi facevamo un rapido riassunto, un brogliaccio. Ogni

telefonata aveva il suo brogliaccio, nome cognome e di cosa parlavano, se era

interessante.. C'era una cartellina con il nome».

Ha mai intercettato una telefonata dell’Inter? Le ha mai sentite?

Sapeva che c’erano?

«Che ci stavano sì, ma io personalmente no. Io facevo altro. . . »

Ma lei ha mai sentito Bergamo, ad esempio, che parlava con Facchetti.

O con Moratti.

«Tu non è che fai sempre gli stessi... Se capita che non ci sei, c'è un altro

che ascolta».

Una giornata a sentire le intercettazioni, a mettere i baffetti e

scrivere i brogliacci. E poi?

«Tutte le sere si facevano le riunioni a fine servizio. Attorno ad un

tavolo».

Ha mai avuto la sensazione di “tagli”?

«No. Che poi c'erano Auricchio (il tenente colonnello del Nucleo

Investigativo dei Carabinieri, ndr) e Di Laroni (maresciallo capo dei

Carabinieri) che decidevano cosa mettere o non mettere nell'informativa è un

altro discorso. Ma durante le riunioni no»

Però alcune intercettazioni non sono finite nell’inchiesta, nelle

indagini. Un’anomalia?

«C’erano perché ci sono le registrazioni. La cosa un po’ anomala è il server

delle intercettazioni. E’ in Procura, a Roma, a Piazzale Clodio. Quando c’era

qualche problema, e capitava spesso, telefonavamo a chi era in Procura:

“Guarda, la postazione 15 qui non funziona, che è successo?” “Vabbé adesso

controllo....”. Dopo un po’ richiamavano da Piazzale Clodio: “Ti ho ridato la

linea, vedi un po’”. Andavi a controllare, magari avevi finito alla telefonata

250 e ti ritrovavi alla telefonata 280. E le altre 30? “Me le so perse. . . ”».

Chi contattava il responsabile del server a Piazzale Clodio?

«Non ci parlavamo solo noi, c’era anche il responsabile della sala. Ci

parlava Auricchio, ci parlava Di Laroni...».

E’ tecnicamente possibile non intercettare un’utenza sotto controllo

per un determinato periodo di tempo?

«Tranquillamente. Tu stacchi il server e la cosa si perde».

Torniamo alle telefonate alle quali avevate messo i baffetti rossi:

non sono finite nell’inchiesta.

«Evidentemente non ci dovevano andare, che devo dire.... Non lo so questo. So

soltanto che quello che veniva fatto, veniva fatto per costruire. Poi io ti

porto il materiale, t’ho portato il mattone ma se tu non ce lo metti, sto

mattone..».

Vi hanno detto che l’indagine doveva essere fatta su Moggi, Bergamo,

Pairetto, eccetera?

«No, no. Noi eravamo liberi».

Quindi il lavoro di scrematura veniva fatto dopo?

«Sì, nella seconda fase».

Avete mai intercettato le sim estere? Quelle del gestore svizzero, per

capirci.

«Quando vai ad intercettare una scheda straniera, in questo caso Svizzera,

devi chiedere l’autorizzazione. E loro che cosa hanno fatto? L’hanno chiesta

ma, nello stesso tempo, hanno già attaccato il telefono. Ma a quel telefono

non parlavano. In quindici giorni, questa scheda, non ha fatto niente».

Di chi era la scheda?

«Di Luciano Moggi»

Non la usava?

«Non faceva niente, telefono muto. E’ come se tu metti sotto (controllo, ndr)

questo telefono (e indica il suo, ndr) e poi questo è spento per un mese.

Zero. E quindi questa cosa delle schede è stata un po’ accantonata perché poi

l’autorizzazione non te la dava nessuno».

Si parlava di anomalie.

«Nel corso di questa indagine sono nate delle cose che inizialmente non

c’erano, mentre cose che inizialmente c’erano, non ci stanno più».

Cioè?

«Un esempio di quello che non c’era e si è materializzato nel giro di poco

tempo: Martino Manfredi (ex segretario della Can A-B, ndr). Quando l’abbiamo

portato in ufficio era morto, era un cadavere, tremava, aveva paura... Diceva:

“io non so niente, non ‘è successo niente, ma quando mai... “. E piangeva sul

fatto del posto di lavoro... “come faccio... non posso lavorare più, mi devo

sposare...”. Dopo un po’ di tempo, sto Martino un giorno è andato a lavorare

in Federcalcio.... quando lui ha cominciato ad essere interrogato. . . .

improvvisamente è uscita la storia delle palline. Quella è la cosa che io

dico: è lecito e capibile da parte sua, un po’ meno da. . . . »

Si può definire un pentito?

«Non lo so. Prima non sapeva niente, poi sapeva tutto, sapeva di questo, di

quell’altro, di Pairetto, della Fazi...».

Lei ha detto: cose che inizialmente c’erano, non ci stanno più. Cioè?

«La storia dell’intercettazione ambientale a Villa La Massa, vicino Firenze»

E’ il pranzo che secondo l’accusa rappresenta l’architrave del patto

per salvare la Fiorentina. Andrea e Diego Della Valle da una parte,

Mazzini e Bergamo dall’altra. Bene, e cosa non c’è più?

«Di questo incontro si è saputo nell’arco di 4, 5 giorni, attraverso le

intercettazioni. Il servizio era organizzato con telecamera e microfono

direzionale. Se la cosa fosse stata fatta in un locale dove c’era gente e

avendolo saputo un po’ prima, si potevano mettere microspie dappertutto.

Invece così, in pochissimo tempo, e non a Roma ma a Firenze, era difficoltoso.

Con il microfono direzionale, a cinquanta, cento metri, senti quello che uno

dice. E lo filmi con la telecamera. Però sta voce non s’è mai sentita.. . . Io

so che l’hanno sentita... Questa cosa è importante perché là io so che non

hanno parlato di niente. Questi qui hanno parlato ma non hanno detto niente

di.... Magari pensi che Della Valle abbia detto a Mazzini: “Dai, famme vince,

mandami quest’arbitro”, che sarebbe stata una cosa penalmente rilevante.

Invece, non hanno detto niente. Ci sono le immagini, Diego e Andrea che

scendono dal furgoncino, che si sono incontrati con Bergamo. Hanno dato più

rilevanza a questo che non facendo sentire l’audio».

Secondo lei, quindi, l’audio c’è?

«Non secondo me. L’audio c’è».

Sicuro?

«Sicuro»

La difesa della Fiorentina, durante il processo, ha puntato proprio

sulla presunta esistenza di quest’audio....

«La Fiorentina evidentemente qualcosa ha saputo. . . E’ come il fatto del

“Libro nero” (dell’Espresso, ndr), cioè, sto libro nero da là è uscito, non è

un foglio, è tutta l’informativa e qualcuno l’ha data all’Espresso. Quindi i

buchi ci stanno. Della Valle qualcosa sa».

Come funziona un’intercettazione ambientale con il microfono

direzionale?

«E’ una valigetta, c’è un microfono che somiglia ad una specie di pistola con

una parabola. La punti verso il soggetto....Ma da quel giorno non s’è saputo

più nulla di questa cosa qua...».

Ricorda altre situazioni poco chiare?

«No, a queste ho sempre pensato. E mi dico: perché uno deve passare i guai,

per che cosa? E quell’altro, perché deve andare dentro? Moralmente ti pesa,

dopo un po’ ti dici: mamma mia».

Tra quelli che sono stati condannati in primo grado, quali sono quelli

che pagano troppo o ingiustamente?

«Io dico la verità, la maggior parte. Cioè, è una cosa fatta, forzata un po’,

ci stava la telefonata, però se vai a vedere effettivamente le partite,

partite veramente truccate, dove l’arbitro è stato veramente coinvolto. Non ci

sono. Non c’è la partita dove si dice: adesso li abbiamo beccati. Si era

parlato di questo è Lecce-Parma, di De Santis, quella di “mi sono messo in

mezzo”. E’ una spacconeria, quello voleva fare il fenomeno».

Sì, ma sono state condannate tante persone. Lei, invece, parla di

spacconate: qualcosa non torna....

«Secondo me, di veramente importante, che uno deve prendere cinque anni, sei

anni, non ci sta niente. Poi magari pensi all’eccessivo modo spavaldo di Moggi

che può dare anche fastidio, questo ci può stare, quello è il periodo in cui

era prepotente, arrogante. Ma da lì ad arrivare a.... Bisognava dimostrare che

c’era un’associazione. Lui, solo lui (Moggi, ndr) fa l’associazione? Così è

un’altra cosa. . . E’ una questione di prestigio, di carriera».

Ma l’hanno fatta tutti, la carriera?

«Mica tanto: Auricchio e Arcangioli stanno alle scuole.... non è che so stati

proprio premiati....Uno alla scuola Ufficiali, uno alla scuola Allievi. . . »

Non ricorda niente altro di particolare. Non necessariamente di

anomalo. Magari anche solo di curioso.

«Mi hanno raccontato di alcune cenette: Auricchio, Arcangioli, Narducci,

anche altri personaggi che hanno segnato quel periodo di Calciopoli. In

qualche caso, mi sono chiesto che importanza poteva avere andare a mangiare

con Narducci. Sono andati a cena a Napoli, di fronte al Vesuvio, a Castel

dell’Ovo. . . da Zi’ Teresa. E non c’erano solo gli investigatori».

Ha detto che non c’era nulla di penalmente rilevante: c’è stato

qualcuno che, ad un certo punto, ha avuto dubbi sul peso dell’indagine,

sulla necessità di continuare ad andare avanti?

«Sì, Arcangioli. Disse: basta. E lì è nato lo scontro con Auricchio,

arrivarono ai ferri corti».

Quindi voleva stoppare l’indagine perché debole?

«Sì, Arcangioli sì. Erano impegnate quindici, venti persone per questa cosa

qua. E l’autista; e quello che deve andare di continuo a Napoli. Non era

cosa... In una sezione di sessanta persone, ne levi quindici, le altre fanno

tutto il lavoro».

Qualche pentito c’è stato?

«No».

In via in Selci (è la sede del Nucleo Investigativo dei Carabinieri),

dove si sono svolti gli interrogatori, sarebbero successe due cose:

una che Moggi si mise a piangere e l’altra che l’ex arbitro Paparesta

accusò un malore: verità o leggenda?

«Non è vero».

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CLAMOROSO

Le rivelazioni di un investigatore che ascoltava le intercettazioni

«Calciopoli:

tutto quello che

non sapete»

di EDMONDO PINNA (CorSport 23-12-2011)

Parla uno degli uomini di Calciopoli. Parla, racconta, descrive pagine

di un libro inedito, svelandoci le “sue” verità. L'idea è che le sue

rivelazioni non siano solo un sasso nello stagno ma uno stimolo al

dibattito. E su queste colonne chi vuole e vorrà rispondere troverà

uguale ospitalità. Intanto, il nostro interlocutore parla (ci dice)

per liberarsi da un peso, per sperare che la “sua” verità possa

diventare verità storica. Un appuntamento mancato nei dintorni di

Firenze, l’attesa attorno all’ora di pranzo, un hotel a fare da

coreografia. Viene o non viene? No, non verrà, un contrattempo,

all’ultimo momento, perché succede così anche nei film che fanno

botteghino. Ma è una parentesi, che si chiude qualche giorno dopo, nel

cuore di Roma, un ufficio con vista fra la cupola di San Pietro e il

Tevere, mentre intorno brillano le luci di Natale. Si comincia che il

sereno del cielo sta per farsi azzurro, si finisce che è notte ed il

freddo è tornato pungente. Parla, uno degli uomini di Calciopoli. Non

uno qualsiasi, però. Ma uno che, in quell’inchiesta, stava dall’altra

parte, dalla parte di chi, quelle indagini, le ha fatte. Un

investigatore. Ci qualifichiamo, i documenti sul tavolo, non per

mancanza di fiducia, ma per garanzia reciproca. Chiede che il suo nome

non venga svelato sul giornale. E poi racconta. . . .

Calciopoli, definito il più grande scandalo del calcio mondiale, nasce

da quale inchiesta?

«La cosa degli arbitri, l’inchiesta che stava a Napoli. Da lì poi parte un

supplemento di indagini, perchè a Torino avevano archiviato e mandato gli

atti. . . Da questo hanno preso spunto e da lì sono partite varie

intercettazioni, all'inizio erano due telefoni controllati, telefonino e

telefono di casa...»

Da due telefoni a oltre centosettantamila intercettazioni?

«Si allarga il giro con le telefonate: questo conosceva quello, quello

conosceva quell'altro e si iniziano a mettere tutti i telefoni sotto

controllo. In un momento uscivano venti numeri di telefono nuovi. Parlavano,

parlavano... Parlavano di stupidaggini alla fine, niente di che. . . Fino a

quando si è arrivati a Moggi. Anche se, quando senti il sonoro, quello scherza,

quell'altro fa il fenomeno...».

Lei ascoltava le telefonate?

«Si, sentivo le intercettazioni»

Quanti eravate?

«Dodici, ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, in via in Selci. Ma non

pensate alle bobine di una volta. Ci sono computer, entri con la password... e

ognuno seguiva una singola utenza.. Poi alla fine si faceva una riunione, io

ho seguito questo, ho seguito quell'altro e si faceva resoconto».

Ci spieghi una cosa: come mai le telefonate che riguardavano l’Inter

non sono entrate nell’inchiesta? Eppure il loro tenore non era diverso

da quelle che abbiamo letto, dal 2006 ad oggi. . .

«Noi facevamo i baffetti: dopo ogni telefonata usavamo il verde se le

conversazioni erano ininfluenti, l’arancione se c'era qualche cosettina. Col

rosso parlavano di calcio (nel senso, cose che potevano interessare

all’inchiesta, ndr). Noi facevamo un rapido riassunto, un brogliaccio. Ogni

telefonata aveva il suo brogliaccio, nome cognome e di cosa parlavano, se era

interessante.. C'era una cartellina con il nome».

Ha mai intercettato una telefonata dell’Inter? Le ha mai sentite?

Sapeva che c’erano?

«Che ci stavano sì, ma io personalmente no. Io facevo altro. . . »

Ma lei ha mai sentito Bergamo, ad esempio, che parlava con Facchetti.

O con Moratti.

«Tu non è che fai sempre gli stessi... Se capita che non ci sei, c'è un altro

che ascolta».

Una giornata a sentire le intercettazioni, a mettere i baffetti e

scrivere i brogliacci. E poi?

«Tutte le sere si facevano le riunioni a fine servizio. Attorno ad un

tavolo».

Ha mai avuto la sensazione di “tagli”?

«No. Che poi c'erano Auricchio (il tenente colonnello del Nucleo

Investigativo dei Carabinieri, ndr) e Di Laroni (maresciallo capo dei

Carabinieri) che decidevano cosa mettere o non mettere nell'informativa è un

altro discorso. Ma durante le riunioni no»

Però alcune intercettazioni non sono finite nell’inchiesta, nelle

indagini. Un’anomalia?

«C’erano perché ci sono le registrazioni. La cosa un po’ anomala è il server

delle intercettazioni. E’ in Procura, a Roma, a Piazzale Clodio. Quando c’era

qualche problema, e capitava spesso, telefonavamo a chi era in Procura:

“Guarda, la postazione 15 qui non funziona, che è successo?” “Vabbé adesso

controllo....”. Dopo un po’ richiamavano da Piazzale Clodio: “Ti ho ridato la

linea, vedi un po’”. Andavi a controllare, magari avevi finito alla telefonata

250 e ti ritrovavi alla telefonata 280. E le altre 30? “Me le so perse. . . ”».

Chi contattava il responsabile del server a Piazzale Clodio?

«Non ci parlavamo solo noi, c’era anche il responsabile della sala. Ci

parlava Auricchio, ci parlava Di Laroni...».

E’ tecnicamente possibile non intercettare un’utenza sotto controllo

per un determinato periodo di tempo?

«Tranquillamente. Tu stacchi il server e la cosa si perde».

Torniamo alle telefonate alle quali avevate messo i baffetti rossi:

non sono finite nell’inchiesta.

«Evidentemente non ci dovevano andare, che devo dire.... Non lo so questo. So

soltanto che quello che veniva fatto, veniva fatto per costruire. Poi io ti

porto il materiale, t’ho portato il mattone ma se tu non ce lo metti, sto

mattone..».

Vi hanno detto che l’indagine doveva essere fatta su Moggi, Bergamo,

Pairetto, eccetera?

«No, no. Noi eravamo liberi».

Quindi il lavoro di scrematura veniva fatto dopo?

«Sì, nella seconda fase».

Avete mai intercettato le sim estere? Quelle del gestore svizzero, per

capirci.

«Quando vai ad intercettare una scheda straniera, in questo caso Svizzera,

devi chiedere l’autorizzazione. E loro che cosa hanno fatto? L’hanno chiesta

ma, nello stesso tempo, hanno già attaccato il telefono. Ma a quel telefono

non parlavano. In quindici giorni, questa scheda, non ha fatto niente».

Di chi era la scheda?

«Di Luciano Moggi»

Non la usava?

«Non faceva niente, telefono muto. E’ come se tu metti sotto (controllo, ndr)

questo telefono (e indica il suo, ndr) e poi questo è spento per un mese.

Zero. E quindi questa cosa delle schede è stata un po’ accantonata perché poi

l’autorizzazione non te la dava nessuno».

Si parlava di anomalie.

«Nel corso di questa indagine sono nate delle cose che inizialmente non

c’erano, mentre cose che inizialmente c’erano, non ci stanno più».

Cioè?

«Un esempio di quello che non c’era e si è materializzato nel giro di poco

tempo: Martino Manfredi (ex segretario della Can A-B, ndr). Quando l’abbiamo

portato in ufficio era morto, era un cadavere, tremava, aveva paura... Diceva:

“io non so niente, non ‘è successo niente, ma quando mai... “. E piangeva sul

fatto del posto di lavoro... “come faccio... non posso lavorare più, mi devo

sposare...”. Dopo un po’ di tempo, sto Martino un giorno è andato a lavorare

in Federcalcio.... quando lui ha cominciato ad essere interrogato. . . .

improvvisamente è uscita la storia delle palline. Quella è la cosa che io

dico: è lecito e capibile da parte sua, un po’ meno da. . . . »

Si può definire un pentito?

«Non lo so. Prima non sapeva niente, poi sapeva tutto, sapeva di questo, di

quell’altro, di Pairetto, della Fazi...».

Lei ha detto: cose che inizialmente c’erano, non ci stanno più. Cioè?

«La storia dell’intercettazione ambientale a Villa La Massa, vicino Firenze»

E’ il pranzo che secondo l’accusa rappresenta l’architrave del patto

per salvare la Fiorentina. Andrea e Diego Della Valle da una parte,

Mazzini e Bergamo dall’altra. Bene, e cosa non c’è più?

«Di questo incontro si è saputo nell’arco di 4, 5 giorni, attraverso le

intercettazioni. Il servizio era organizzato con telecamera e microfono

direzionale. Se la cosa fosse stata fatta in un locale dove c’era gente e

avendolo saputo un po’ prima, si potevano mettere microspie dappertutto.

Invece così, in pochissimo tempo, e non a Roma ma a Firenze, era difficoltoso.

Con il microfono direzionale, a cinquanta, cento metri, senti quello che uno

dice. E lo filmi con la telecamera. Però sta voce non s’è mai sentita.. . . Io

so che l’hanno sentita... Questa cosa è importante perché là io so che non

hanno parlato di niente. Questi qui hanno parlato ma non hanno detto niente

di.... Magari pensi che Della Valle abbia detto a Mazzini: “Dai, famme vince,

mandami quest’arbitro”, che sarebbe stata una cosa penalmente rilevante.

Invece, non hanno detto niente. Ci sono le immagini, Diego e Andrea che

scendono dal furgoncino, che si sono incontrati con Bergamo. Hanno dato più

rilevanza a questo che non facendo sentire l’audio».

Secondo lei, quindi, l’audio c’è?

«Non secondo me. L’audio c’è».

Sicuro?

«Sicuro»

La difesa della Fiorentina, durante il processo, ha puntato proprio

sulla presunta esistenza di quest’audio....

«La Fiorentina evidentemente qualcosa ha saputo. . . E’ come il fatto del

“Libro nero” (dell’Espresso, ndr), cioè, sto libro nero da là è uscito, non è

un foglio, è tutta l’informativa e qualcuno l’ha data all’Espresso. Quindi i

buchi ci stanno. Della Valle qualcosa sa».

Come funziona un’intercettazione ambientale con il microfono

direzionale?

«E’ una valigetta, c’è un microfono che somiglia ad una specie di pistola con

una parabola. La punti verso il soggetto....Ma da quel giorno non s’è saputo

più nulla di questa cosa qua...».

Ricorda altre situazioni poco chiare?

«No, a queste ho sempre pensato. E mi dico: perché uno deve passare i guai,

per che cosa? E quell’altro, perché deve andare dentro? Moralmente ti pesa,

dopo un po’ ti dici: mamma mia».

Tra quelli che sono stati condannati in primo grado, quali sono quelli

che pagano troppo o ingiustamente?

«Io dico la verità, la maggior parte. Cioè, è una cosa fatta, forzata un po’,

ci stava la telefonata, però se vai a vedere effettivamente le partite,

partite veramente truccate, dove l’arbitro è stato veramente coinvolto. Non ci

sono. Non c’è la partita dove si dice: adesso li abbiamo beccati. Si era

parlato di questo è Lecce-Parma, di De Santis, quella di “mi sono messo in

mezzo”. E’ una spacconeria, quello voleva fare il fenomeno».

Sì, ma sono state condannate tante persone. Lei, invece, parla di

spacconate: qualcosa non torna....

«Secondo me, di veramente importante, che uno deve prendere cinque anni, sei

anni, non ci sta niente. Poi magari pensi all’eccessivo modo spavaldo di Moggi

che può dare anche fastidio, questo ci può stare, quello è il periodo in cui

era prepotente, arrogante. Ma da lì ad arrivare a.... Bisognava dimostrare che

c’era un’associazione. Lui, solo lui (Moggi, ndr) fa l’associazione? Così è

un’altra cosa. . . E’ una questione di prestigio, di carriera».

Ma l’hanno fatta tutti, la carriera?

«Mica tanto: Auricchio e Arcangioli stanno alle scuole.... non è che so stati

proprio premiati....Uno alla scuola Ufficiali, uno alla scuola Allievi. . . »

Non ricorda niente altro di particolare. Non necessariamente di

anomalo. Magari anche solo di curioso.

«Mi hanno raccontato di alcune cenette: Auricchio, Arcangioli, Narducci,

anche altri personaggi che hanno segnato quel periodo di Calciopoli. In

qualche caso, mi sono chiesto che importanza poteva avere andare a mangiare

con Narducci. Sono andati a cena a Napoli, di fronte al Vesuvio, a Castel

dell’Ovo. . . da Zi’ Teresa. E non c’erano solo gli investigatori».

Ha detto che non c’era nulla di penalmente rilevante: c’è stato

qualcuno che, ad un certo punto, ha avuto dubbi sul peso dell’indagine,

sulla necessità di continuare ad andare avanti?

«Sì, Arcangioli. Disse: basta. E lì è nato lo scontro con Auricchio,

arrivarono ai ferri corti».

Quindi voleva stoppare l’indagine perché debole?

«Sì, Arcangioli sì. Erano impegnate quindici, venti persone per questa cosa

qua. E l’autista; e quello che deve andare di continuo a Napoli. Non era

cosa... In una sezione di sessanta persone, ne levi quindici, le altre fanno

tutto il lavoro».

Qualche pentito c’è stato?

«No».

In via in Selci (è la sede del Nucleo Investigativo dei Carabinieri),

dove si sono svolti gli interrogatori, sarebbero successe due cose:

una che Moggi si mise a piangere e l’altra che l’ex arbitro Paparesta

accusò un malore: verità o leggenda?

«Non è vero».

'azz!

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Joined: 07-May-2009
2742 messaggi

Intanto mi pare che l'intervista sia datata. La gola profonda che tanto attendavamo dice che Auricchio ed Arcangioli stanno alle scuole invece Auricchio sta al comune di Napoli da 7 mesi. Quindi Della Valle sapeva, ne aveva preannunciato la comunicazione. Perchè viene fuori solo ora? Forse perchè il tavolo è fallito o cos'altro?

Sarebbe inoltre interessante sapere chi altri andava a cena da zi teresa a Napoli oltre a Narducci, già perchè il punto della situazione sulle indagini non si fa in un ristorante ove persino i muri hanno le orecchie, e se è vero che furono Auricchio e Di Laroni a selezionare le telefonate, dimenticando quelle a tre baffi rossi dell'Inter. come può Narducci affermare che ha ascoltato tutto e Lepore dire che quelle erano ininfluenti? Troppe bugie e le bugie si sa hanno le gambe corte.

Modificato da terzino

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Joined: 30-Aug-2006
776 messaggi

Beck a CM: 'Calciopoli tagliò teste e risparmiò facce, come Carraro...'

Roberto Beccantini è una garanzia: garanzia di chiarezza e di schiettezza. La sua penna, e le sue parole, non dicono mai mezze verità e non nascondono niente. Con il gusto della battuta, anche sagace, che lo contraddistingue, il grande giornalista (ex capo dello sport, inviato ed editorialista della Stampa, ex giurato italiano per il Pallone d'Oro, ora blogger su Beck is Back) parla della Juventus in esclusiva per Calciomercato.com. In questa prima parte dell'intervista il tema è Calciopoli, settimana prossima l'argomento sarà il 2011 dei bianconeri.

Di recente lei ha scritto: 'Più che nel cuore di una organizzazione che teneva sotto scacco i campionati, mi sembrava di essere capitato nel bel mezzo di una guerra per bande'. Cinque anni dopo, le bande ci sono ancora?

"Il 'bandismo' resiste e persiste, mentre senza intercettazioni non si può fissare il tasso di 'banditismo'. Gli errori arbitrali, da soli, non bastano".

Cinque anni dopo la dirigenza della Juventus è completamente cambiata, mentre in altre società ci sono ancora dirigenti condannati, sia dalla giustizia sportiva che da quella ordinaria...

"Ho sempre scritto che Calciopoli fece rotolare poche teste e risparmiò troppe facce. Penso all'impunità di Carraro: uno scandalo".

E' fallito il cosiddetto tavolo della pace. Ma davvero Petrucci pensava di poter risolvere cinque anni di battaglie in questo modo?

"Abete, l'incompetente del giorno prima. Petrucci, il competente del giorno dopo. Per concepire un calcio diverso, servirebbe la pillola del giorno stesso".

Cosa farà ora la Juventus di Andrea Agnelli? Porterà davvero avanti, di fronte al Tar, la richiesta di risarcimento danni per 440 milioni di euro?

"Personalmente, avrei atteso l'appello ed eventualmente la Cassazione prima di muovermi. La cifra è abnorme e poi non è detto che il Tar del Lazio gli dia ragione. Aspetto con curiosità le motivazioni di Napoli. Il capoverso del 'Moggi colpevole e la Juventus no' mi intriga molto. La condanna per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva, se passerà in giudicato, allontanerebbe Giraudo e Moggi dal resto d'Italia. Ciò doverosamente premesso, la relazione di Palazzi che, senza prescrizione, avrebbe inchiodato l'Inter di Moratti e Facchetti con l'accusa di illecito sportivo, pesa come un macigno. Fa bene, Agnelli, a pretendere chiarezza, anche se temo che ormai questa chiarezza - sportivamente parlando - interessi a pochi spiriti liberi. Lo stesso Guido Rossi, in una lettera ad Abete, specificò che, ai tempi del processo sportivo, le telefonate di Calciopoli 2 non erano arrivate agli organi giudicanti. Per colpa di chi? Il dottor Narducci e il tenente colonnello Auricchio non spiegano, sfuggono. Non sono in discussione le responsabilità, gravi, di Moggi e c. Il problema, almeno per me, non è "tutti colpevoli o tutti innocenti". Il problema è capire come mai, cinque anni fa, furono esaminate soltanto determinate bobine e non quelle che, parola tardiva di Narducci, ma sempre di Narducci, 'avrebbero avuto (se non altro, l'inciso è mio) rilevanza sportiva'. Mi sa tanto che, sempre detto Inter nos, all'appello manchi qualcuno".

Dopo il fallimento del tavolo della pace, l'ex presidente della Figc Carraro ha ribadito: 'Gli scudetti della Juve sono 27. Se no l'Inter potrebbe chiedere anche lo scudetto del rigore su Ronaldo e la Roma quello del fuorigioco di Turone'. Ragionando così, però, anche i bianconeri potrebbero chiedere sia lo scudetto del 2001 (quello vinto dalla Roma con il cambiamento in corsa della regola sugli extracomunitari) che quello del 2000 (perso dalla Juve nel pantano di Perugia). Un conto è chiedere, come fa ora la Juventus, la revisione di una decisione (l'assegnazione del titolo 2006 all'Inter) in base a nuovi elementi oggettivi (le intercettazioni che smontano la tesi dell'illibatezza nerazzurra, alla base della decisione di Guido Rossi), un'altra cosa è chiedere titoli in base a presunti rigori negati o presunti gol in fuorigioco, tesi da bar dello sport insomma. Dove vuole arrivare Carraro?

"Ignoro dove voglia arrivare Carraro. Nel merito: gli scudetti sono 27 e, dunque, qui ha ragione lui. Dove ha torto, secondo me, è quando evoca il bar sport. No, è stata la Federazione stessa, dichiarandosi incompetente, a garantire quel tipo di ragionamento. Lo scudetto all'Inter non figurava né nella sentenza di Ruperto né nel verdetto di San Dulli. Fu il professor Guido Rossi, sentiti tre saggi (ripeto: tre saggi, non tre giudici) a regalarlo. Quindi, al prossimo giro, se un nuovo Abete o un nuovo Rossi decidesse di riesumare e riassegnare il titolo del 1927, quello che fu confiscato al Toro e non dato al Bologna, proprio questo precedente gli consentirebbe di farlo. Tornando al tavolino, si trattava di un atto amministrativo, burocratico, non di una sentenza: dunque, Abete e il consiglio federale avrebbero dovuto, e sottolineo dovuto, rispondere nel merito all'esposto della Juventus: 1) revoca dello scudetto all'Inter e non assegnazione definitiva; 2) conferma dello scudetto all'Inter. Ci volevano attributi, non aggettivi".

E chiudiamo l'argomento Calciopoli proprio con Guido Rossi. Parlando di chi pensa che anche le intercettazioni a carico dell'Inter avrebbero meritato di essere oggetto del processo sportivo del 2006, di recente ha dichiarato: 'Quelli che dicono le s********e vanno fatti tacere'. Cosa intendeva dire secondo lei?

"Si potrebbe pensare a un'autocitazione".

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Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

Dopo le rivelazioni al nostro giornale di un investigatore che ascoltava le intercettazioni, l’indagine torna al centro delle polemiche

Calciopoli, un’altra bufera

Le “anomalie” dell’inchiesta potrebbero aprire nuovi scenari: difese pronte a dare battaglia

di EDMONDO PINNA (CorSport 24-12-2011)

ROMA - Nell’occhio del ciclone. Dove tutto è calmo, dopo e prima, però, della

bufera. Calciopoli, ennesimo atto, che è arrivato, e arriverà. L’investigatore

che partecipò alle indagini dell’operazione Off side e che ha parlato ieri al

Corriere dello Sport-Stadio ha riacceso il fuoco sotto la cenere. Era in

servizio nei giorni delle intercettazioni, sia telefoniche che ambientali. Ha

raccontato la sua “verità” in un rigurgito di coscienza, ricordando e parlando

di quello che non funzionava, le «anomalie» dell’inchiesta che ha portato alla

condanna in primo grado per Luciano Moggi a 5 anni e 4 mesi, per Paolo Bergamo

a 3 anni e 8 mesi, a 2 anni e 2 mesi per Mazzini, 1 anno ed 11 mesi per

Pierluigi Pairetto e per Massimo De Santis, 1 anno ed 8 mesi per Salvatore

Racalbuto, 1 anno e 6 mesi per Pasquale Foti, 1 anno e 5 mesi per Bertini e

Dattilo, 1 anno e 3 mesi per Claudio Lotito, Andrea e Diego Della Valle e

Sandro Mencucci.

I baffetti rossi alle telefonate che, poi, non sano state inserite

nell’inchiesta («Evidentemente non ci dovevano andare, che devo dire.... » ci

ha detto l’investigatore pentito), le stranezze del server che serviva i

computer utilizzati per le intercettazioni («Andavi a controllare, magari

avevi finito alla telefonata 250 e ti ritrovavi alla telefonata 280. E le

altre 30? “Me le so perse...”»), il mutismo delle sim svizzere («Ma a quel

telefono non parlavano. In quindici giorni, non ha fatto niente»). Soprattutto,

quell’ambientale a Villa La Massa, al pranzo che per l’accusa sancì il piano

di salvataggio della Fiorentina tra i fratelli Della Valle, Mazzini e Bergamo:

(«Hanno parlato ma non hanno detto niente di... L’audio c’è, sono sicuro»). Un

punto che portò l’avvocato l’avvocato Furgiele, legale di Della Valle, a

tuonare durante il processo: «Ma che strano: non c’è intercettazione

ambientale. O intercettazione ci fu, ma non era interessante? E’ singolare: si

intercetta tutto, ogni sciocchezza e laddove si stringe il patto no! E’ una

stranezza davvero singolare». Una stranezza che, riletta oggi, potrebbe

assumere altri contorni. Di sicuro, le difese sono pronte a dare battaglia. Da

quella di Moggi (con l’avvocato Prioreschi che chiede finalmente «giustizia»)

a quella degli altri imputati.

===

L’AVVOCATO DI MOGGI

Prioreschi: «Adesso però è necessario

che qualche Procura faccia chiarezza»

di EDMONDO PINNA (CorSport 24-12-2011)

ROMA - Antivigilia di Natale, ancora lavoro, nel suo studio romano, prima di

un break per le vacanze sulla neve. Maurilio Prioreschi è uno degli avvocati

che ha difeso Luciano Moggi durante il lungo processo di Calciopoli al

Tribunale di Napoli, da gennaio 2009 allo scorso 8 novembre. Con lui, hanno

lavorato l’avvocato Trofino e l’avvocato Rodella, con l’esperto informatico

Nicola Penta (l’umo delle intercettazioni “sparite”). L’avvocato Prioreschi ha

letto le parole che l’investigatore pentito ci ha detto. Colpito, forse, da

quelle rivelazioni. Sorpreso no, però, perché «dopo 25 anni di professione, ho

imparato a leggere anche attraverso le carte. E le carte di questo processo

hanno detto che c’erano delle cose che non potevano essere così come sono

state» . Adesso si apre una nuova fase che porterà al processo d’appello. Si

aspettano le motivazioni del collegio giudicante del Tribunale di Napoli,

presieduto da Teresa Casoria.

Avvocato Prioreschi, letto?

«Letto. E posso dire: io l’avevo detto...»

Neanche un po’ sorpreso?

«Nessuna sorpresa, perché studiando a fondo gli atti del processo qualcosa si

capiva».

Moggi condannato a 5 anni e quattro mesi: e adesso?

«Mi auguro che questa persona, quest’investigatore come ha detto di essere, si

presenti alla magistratura e ripeta quello che vi ha detto».

Ha detto che non si è stupito: spieghiamo?

«Durante la fase dibattimentale, abbiamo assistito ad una serie incredibile di

coincidenze. Adesso, però, queste coincidenze continuano e mi sembra siano

davvero troppo».

Cosa vi aspettate?

«Credo che sia giusto e doveroso, a questo punto, fare chiarezza, in un senso

o nell’altro».

Quali saranno le prossime tappe?

«Paolo Dondarini, l’ex arbitro, ha già fatto un esposto alla Procura di Roma.

Si è mosso anche Della Valle, ci sono altri personaggi di questa vicenda che

stanno studiando la possibilità di un esposto o una denuncia. Spero che o a

Roma o in qualche altra Procura qualcuno abbia voglia di fare chiarezza».

L’investigatore pentito, una “carta” da giocarsi in appello?

«Deve prima presentarsi davanti ad un magistrato. . . . ».

E voi, che strategia state studiando?

«Dobbiamo aspettare le motivazioni della sentenza di primo grado, poi

raccogliere una serie di elementi, quindi faremo le nostre valutazioni. E’ ora

di fare giustizia».

===

LE ALTRE REAZIONI

La replica di Auricchio

«Sono tutte parole prive di fondamento»

di ANTONIO GIORDANO (CorSport 24-12-2011)

NAPOLI - Calciopoli atto... E boh, chi può dirlo dove siamo arrivati e dove

andremo a finire! Calciopoli è un universo sconfinato, un magma, tesi e

antitesi, teorie e ora pure un mistero. Calciopoli è un viaggio in decine,

centinaia, migliaia di bobine svelate ed altre rimaste inevase per colpa d’un

server. Calciopoli è un’indagine, detective ingabbiati dietro computer, le

orecchie tappate da cuffie come in Rischiatutto, la uno, la due, le tre,

chissà! Calciopoli è grandi accusatori e investigatori, un lavoro nell’ombra,

prima di ritrovarsi gli amplificatori accessi per sentire cosa c’era nascosto

nel pallone. Calciopoli comincia otto anni fa, esplode sei anni fa, emette la

sentenza un mese mezzo fa: ma poi, perché nulla muore definitivamente, men che

meno l’anima di un’inchiesta di così ampia portata, le rivelazioni del

Corriere dello Sport-Stadio di ieri, che allungano un’ombra dalla quale il

tenente colonnello Auricchio - all’epoca impegnato al Nucleo Operativo dei

Carabinieri - emerge con una frase secca: « Ho chiaramente letto le

dichiarazioni apparse sul vostro giornale e mi sembra riguardino vicende che

sono già emerse in fase dibattimentale e sulle quale ovviamente non ho

nient’altro da aggiungere. Se no che vadano ritenute prive di fondamento».

Calciopoli, da via in Selci a Napoli, e poi via via lungo lo stivale, in un

concerto di voci racchiuse in quei nastri messi in discussione adesso, in

certe anomalie emerse poi, in annotazioni di carattere tecnico che lasciano

scricchiolare considerazioni d’un passato recentissimo. Calciopoli cominciò

grazie all’irruzione del tenente colonello Auricchio e di intercettazioni

(anche ambientali) utili per svelare un mondo diverso. Ma ora, fine 2011,

cinque anni e mezzo dopo, l’ennesima puntata: « Sulla quale, mi permetta,

niente da aggiungere. Cose già sentite in aula, in fase dibattimentale».

===

Ma intanto anche Pieri e De Santis pensano ad un esposto/denuncia

di EDMONDO PINNA (CorSport 24-12-2011)

ROMA - Giovedì è stato Paolo Dondarini. Non sarà l’ultimo. E’ una strada,

quella dell’esposto/denuncia, che, soprattutto gli ex arbitro ed ex

guardalinee, stanno studiando. Lo sta facendo Tiziano Pieri, condannato a due

anni e quattro mesi col rito abbreviato. Metodi d’indagine e scelta delle

intercettazioni. Lo sta studiando, con il suo legale, Paolo Gallinelli, l’ex

arbitro Massimo De Santis (un anno e un mese): «La gravità di quanto riferito

dal “pentito istituzionale”, le cui affermazioni sembrerebbero confermare le

gravissime anomalie già emerse nel corso del dibattimento, rendono ancor più

doverosa una mia iniziativa giudiziaria». Se dalle motivazioni «dovesse

emergere che l’omessa indicazione di alcune intercettazioni telefoniche tra De

Santis e i designatori arbitrali, abbia assunto rilievo ai fini del giudizio

di colpevolezza, formalizzerò una dettagliata denuncia per falsa testimonianza

nei confronti del colonnello Attilio Auricchio».

Modificato da Ghost Dog

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AGNELLI

Il presidente della Juventus si svela

Chiede parità di trattamento e sogna

nuovi successi. Dentro e fuori dal campo

La Juve per me è...

«Juve, giustizia e vittorie!»

«Nell’intervista all’investigatore che avete pubblicato, la conferma che in Calciopoli

ci sono troppe domande senza risposta. Ma questa squadra ci farà tornare grandi»

di ALESSANDRO VOCALELLI & ANTONIO BARILLÀ (CorSport 24-12-2011)

Trentasei anni da tifoso, diciotto mesi da presidente: una fusione di

management e passione, i sogni accarezzati che diventano strategie.

Andrea Agnelli non spaccia illusioni, conosce la fragilità dei

traguardi d'inverno, però in questa Juve ha fiducia, ritrova la

qualità e il carattere d'un tempo. Ha azzerato, spianato, ricostruito.

E ha sopportato una stagione d'assestamento e di amarezze. Adesso,

però, la base è solida: un paio di innesti all'anno per perfezionarsi

e trasformare i successi in abitudine. Agnelli vuole vincere perché lo

esige il dna bianconero e per chiudere il cerchio dopo Calciopoli:

chiede giustizia e parità di trattamento, però sa guardare oltre e

pensare in grande.

Vuole una Juve migliore e un calcio migliore, vittorie rotonde e

riforme decisive, regole nuove che rispondano alle esigenze

inascoltate di un calcio che è amore ma anche business. Combattivo,

tenace e bianconero: forse per questo è felicissimo di Conte. Il

lavoro del vecchio capitano non lo stupisce e la classifica non vale

però è ricca di promesse: non spaccia illusioni, Agnelli, però si

scopre a sognare. Come tutti i tifosi: lui, in più, è presidente.

Presidente Andrea Agnelli, che effetto fanno le rivelazioni su

Calciopoli confidate al nostro giornale da un investigatore?

«Faccio un piccolo passo indietro e torno al tavolo voluto da Petrucci. E'

stata una giornata importante perché ha riunito persone direttamente coinvolte

nel 2006, il capo dello sport e il presidente della Figc: ognuno è rimasto

sulle proprie posizioni, ma il documento finale che era stato preparato

riconosce - anche se non è stato sottoscritto da tutti - che ci fu giustizia

sommaria. La vostra intervista conferma quanto emerso negli ultimi anni e

rafforza la necessità di avere un quadro completo, capire cosa accadde ed

entrare nel merito. L'inquirente racconta di telefonate che non c'erano, di

altre tolte e di un diverbio: elementi che devono essere valutati da un

giudice, non è plausibile che in un piccolo sistema di venti squadre ci sia

tanta disparità di trattamento»

Quando scoppiò Calciopoli, lei non era ancora presidente della Juve:

ebbe comunque, da tifoso, la sensazione che ci fosse qualcosa di

scivoloso e di imperfetto?

«Il quadro di allora era diverso da oggi. Quando vennero fuori le prime

intercettazioni, pensai a una strana coincidenza: ogni volta che stavamo per

vincere un titolo, balzava fuori qualcosa, l'anno prima c'era stato il video

della flebo di Cannavaro. Poi, improvviso, è arrivato lo tsunami, e parlare di

sensazioni, in quei momenti, è difficile. La Juve ha pagato in maniera dura:

se la società non avesse varato l'aumento di capitale e lavorato per tornare

ai vertici, avrebbe potuto precipitare davvero in categorie minori. Adesso

esigiamo parità di trattamento».

Al tavolo s'è parlato della relazione di Palazzi? E' anomalo che non

se ne tenga conto...

«L'istituto prescrizione non l'ho istituito io. La Juve è stata condannata

per una serie di violazioni dell'articolo 1, la cui somma ha configurato

violazione dell'articolo 6. Per l'Inter, invece, l'articolo 6 è stato tirato

in ballo direttamente da Palazzi. Ricordo anche che l'annata sportiva

2005-2006 è immacolata, non c'erano più nemmeno Bergamo e Pairetto come

designatori. Questo deve far riflettere, ci sono società e persone fisiche che

hanno subito condanne: non si può far finta di nulla e dire "è stata giustizia

sommaria, andiamo avanti". Ci sono richieste danni per centinaia di milioni».

L'investigatore racconta perfino di un audio che potrebbe scagionare

Della Valle e di cui non c'è traccia: che ne pensa?

«Che ci sono troppe domande in attesa di risposta: dall'intervista emerge che

è stato commesso un reato, che sono state intercettate utenze internazionali

senza permesso, vien fuori che ci fu una lite per chiudere il caso o andare

avanti e sarebbe importante sapere perché si proseguì. Il 12 maggio 2006, il

presidente Abete dettò una dichiarazione che torna d'attualità: "Considerati

l'importanza e il rilievo che il calcio riveste nel nostro Paese anche sotto

il profilo sociale, riteniamo positivo che si faccia di tutto per

l'accertamento di quanto avvenuto, avendo come obiettivo prioritario quello di

garantire il massimo livello di chiarezza e trasparenza”».

C'è imbarazzo, da parte vostra, nel confronto quotidiano con la

Federazione?

«A livello politico, faccio fatica a confrontarmi in generale: ci sono le

stesse persone, più o meno, e hanno il dovere di mettere a disposizione degli

associati strumenti che garantiscano parità di trattamento».

Cosa pensa della denuncia di Della Valle a Guido Rossi?

«Non entro in personalismi: per me Rossi rappresentava la Federazione, ha

agito in suo nome e per suo conto».

Cosa sarebbe successo se Moratti avesse fatto un gesto distensivo,

rinunciando allo scudetto?

«La relazione è lì, ma non m'addentro: ognuno ha una sua coscienza e le sue

profonde convinzioni».

Che rapporti ha con il presidente nerazzurro?

«Di educazione e civiltà: devono rimanere tali e sarebbe bello se si

estendessero ai tifosi. Non siamo in guerra, il calcio è un grande spettacolo

di sport, e l'Inter è lì per caso: se fosse arrivata terza un'altra squadra,

avremmo chiesto comunque se era giusto assegnarle lo scudetto».

Ritiene sia stato frettoloso, al tempo, scaricare Moggi e Giraudo?

«All'epoca il quadro sembrava completo, con un impianto accusatorio

violentissimo e un'attenzione altrettanto violenta da parte dei media che

imponeva di decidere in fretta. Noi accettammo tutto, l'esposto è nato per

l'assegnazione dello scudetto: abbiamo chiesto se permanevano i requisiti

senza entrare nel merito della decisione del 2006. La nostra domanda è molto

semplice: "Fu giusto assegnarlo?" Ognuno, naturalmente, ha un'opinione».

Come finirebbe, secondo lei, un'ipotetica sfida tra l'Inter del

triplete e la Juventus di Capello?

«Nessun dubbio: vinciamo noi 3-0»

Quella fu l'ultima grande Juve, ma ora state tornando ai vertici. . .

«Sin dal mio primo giorno di presidenza lavoriamo per tornare a vincere sul

campo. Abbiamo trasformato la società, con dirigenti tutti nuovi, e cambiato

profondamente la squadra. Sapevamo che il primo anno sarebbe stato difficile e

il secondo di completamento: adesso c'è un buon impianto, possiamo ragionare

su uno o due inserimenti a stagione per crescere».

C'è stato un momento, in estate, in cui la Juve poteva diventare di

Mazzarri?

«E' stata sempre la Juve di Conte».

Chi ha scelto il vecchio capitano?

«Tutte le decisioni, con riferimento alla parte sportiva, vengono prese di

comune accordo con Marotta, Paratici e Nedved. Quando si è creata la

possibilità di ingaggiare Antonio, è stato chiaro a tutti che fosse una scelta

idonea. I risultati che ha ottenuto non mi stupiscono: lo conosco da vent'anni,

ne ho ben presenti qualità, doti umane e competenza».

Un suo difetto?

«Gli manca un filo d'esperienza, come manca a me. Ma entusiasmo giovanile ed

esperienza non possono coesistere».

Come è nata l'idea Pirlo?

«Il compito dell'area sportiva è monitorare le occasioni di mercato che si

creano. Se devo essere sincero, mi ha stupito l'iniziale scetticismo: oggi

piovono complimenti, ma in estate si sussurrava "è rotto" oppure "è vecchio"».

Il Milan portò via il regista all'Inter e costruì un ciclo vincente:

la storia si ripete in bianconero?

«La qualità di Pirlo è assoluta, ma io ho una convinzione: in campo si va in

undici e un solo campione, per quanto straordinario, non fa la differenza».

In diciotto mesi di presidenza, c'è un calciatore che ha cercato con

forza e non è riuscito a prendere?

«No, perché abbiamo lavorato in emergenza, avviato la rifondazione senza

avere ancora una strategia. Rimpianti potranno esserci soltanto dall'anno

prossimo, quando potremo muoverci con serenità sul mercato e completare, con

pochi innesti, l'organico».

Da presidente tifoso, le capita di "innamorarsi" d'un fuoriclasse e

suggerirlo ai suoi dirigenti?

«Mi innamoro solo della squadra. E se si assumono professionisti è per

attribuirgli responsabilità e lasciarli lavorare».

Con il senno di poi, l'annuncio dell'addio di Del Piero non meritava

una maggiore solennità?

«A me spiace che un gesto d'affetto sia stato interpretato come un atto

ostile. Fu Del Piero, al momento delle firme, a dire che era il suo ultimo

contratto con la Juve: perché tanto stupore se cinque mesi dopo viene chiesto

un tributo? Lui è la storia, come Boniperti e Platini».

Pensate già alla partita d'addio?

«No, pensiamo a Lecce-Juventus dell’8 gennaio».

Qual è il ruolo di Nedved in società? Non sembra ben definito. . .

«Ho fiducia nei suoi giudizi e ho voluto coinvolgerlo nel progetto, ma aveva

smesso di giocare da appena un anno e non ha voluto una carica definita.

Essere consigliere di amministrazione significa abbracciare la società nella

sua interezza: Pavel, per quel che rappresenta, è prezioso anche nel

commerciale, però la sua inclinazione è sportiva».

Lo scudetto è un duello Juve-Milan? O una lotta a quattro con Lazio e

Udinese? Oppure a sette con Roma, Inter e Napoli?

«A sette: mancano ventidue partite e tutto è aperto»

La Champions League è una priorità?

«E' un traguardo perché dà accesso a voci di ricavi importanti, ma non è

giusto dire che l'obiettivo della Juve è arrivare terza. Crediamo in noi

stessi, pur senza illudere nessuno: veniamo da stagioni tribolate e tumultuose,

non possiamo dire di essere i più forti. Abbiamo gli stessi punti del Milan,

ma i campioni d'Italia sono favoriti per definizione. Udinese, Napoli e Lazio

hanno un'ottima organizzazione di gioco. L'Inter sta rientrando. La Roma è in

una situazione simile alla nostra: ha cambiato molto e sta trovando

l'amalgama».

Contro il Novara, avevate dieci italiani in campo: orgoglio, scelta o

casualità?

«Un po' tutto: non è che non vogliamo giocatori stranieri, ma non possiamo

permetterci di sbagliare né concedere a più calciatori tempo per adattarsi».

A gennaio arriverà Borriello?

«Valuteremo le opportunità del mercato. Quello invernale è particolare, se

una squadra vuol liberarsi di un giocatore significa che ci sono problemi e

quindi bisogna stare attenti: con Barzagli, però, abbiamo fatto un ottimo

affare».

Krasic partirà?

«Può capitare, per mille motivi, di perdere fiducia in se stessi: magari

diventerà il nostro miglior acquisto di gennaio»

Che idea s'è fatto della brutta storia delle scommesse?

«Bisogna aprire un capitolo ampio, chiedersi perché avviene tutto questo. In

Italia ci sono più squadre professionistiche che in qualsiasi Paese, le

classifiche delle categorie minori sono punteggiate da penalizzazioni, il

calcio e lo sport non funzionano, le riforme latitano. Sia chiaro, non

giustifico chi sbaglia, però osservo che chi batte i campi minori e non prende

lo stipendio da mesi può trovarsi in situazioni difficili e cadere in

tentazione. E' il momento di intervenire, di ragionare su chi governa e sullo

statuto, di rivisitare le norme sugli impianti sportivi, sulla tutela dei

marchi, sui diritti tv. Anche in Europa ci sono situazioni su cui riflettere:

continuiamo a perdere posizione nel ranking Uefa, ma è giusto che Europa

League e Champions diano lo stesso coeficiente? Ha senso avere due

competizioni? Non è meglio una sola che assegni maggiori posizioni ai Paesi

che più contribuiscono ai ricavi Uefa? Oggi c'è troppa aleatorietà e non

partecipare alla Champions League è più dannoso che retrocedere in B».

La situazione è di stallo...

«Siamo parecchio indietro: si parla, ma non si fa. Il sistema e chi ha un

ruolo nel sistema deve muoversi: se vogliamo bene al calcio e allo sport,

dobbiamo ascoltare le esigenze di riforma e lavorare per ridare competitività

al movimento».

Con la costruzione dello stadio, la Juve ha dato un esempio. . .

«In nove giornate, è sempre stato esaurito: se l'impianto è accattivante, la

gente si avvicina. E il valore dell'abbonamento diventa sicurezza di assistere

allo spettacolo» .

C'è un fuoriclasse che sogna di vedere nel nuovo stadio con la maglia

bianconera?

«In questo momento conta l'equilibrio di squadra: il sogno è tornare presto a

vincere sul campo, perché quel giorno si chiuderà un cerchio».

Cosa vuol dire ai tifosi della Juve?

«Che è bellissimo vedere lo stadio pieno, è bellissimo sentirli cantare ed è

bellissimo stare tutti insieme a casa nostra».

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L’intervista Il numero uno della Juventus celebra la sua squadra in testa alla classifica, affronta tutte le questioni legate a Calciopoli.

Rivoluzione

Agnelli

«Manca un sistema di regole e di governo che permetta al calcio di

svilupparsi. Ci sono anche troppe squadre pro, 40 basterebbero»

di DANIELE DALLERA & ROBERTO PERRONE (CorSera 24-12-2011)

TORINO—Il bambino di nome Andrea con i calzoni corti è in piedi vicino alla

panchina dove siede suo padre Umberto e guarda avanti. Distanti un paio di

metri, ma la direzione degli occhi è la stessa. Sulla panchina, accanto al

padre Umberto c’è un signore. «Mi hanno detto chi è, ma non ricordo il nome, è

qualcuno di Villar Perosa». Juventus dinastica e popolare. La foto l’ha

trovata rivoluzionando (anche) l’arredamento della sede sociale. Andrea

Agnelli, il rinnovatore.

È stato allora che ha pensato: farò il presidente della Juventus?

«Non l’ho mai pensato, gli eventi si evolvono e possono portare ad assumere

certe responsabilità. Il fatto che ci sia stato l’impegno diretto di uno della

famiglia dimostra quanto la Juve stia a cuore a tutti noi».

Come affronta questo peso?

«Uno un po’ ci cresce, ti motivano. Una medaglia ha sempre due facce,

privilegi e responsabilità ».

Dopo un anno e mezzo da presidente, com’è la bilancia?

«L’elemento che mi ha colpito di più è la totale assenza di un sistema di

governo e di regole che possa permettere al calcio di svilupparsi. Mi sono

confrontato con un sistema in stallo che paghiamo col ranking Uefa e la

difficoltà a proporci in Europa come organizzatori di grandi eventi. Al pari

del Paese, anche il sistema dello sport ha necessità di riformarsi». E invece

per quello che riguarda la Juventus? «Qui siamo padroni del nostro destino.

Quello che non si vede è stato il profondo rinnovamento della società. Uno

semina, lavora e dopo arrivano i frutti».

I frutti già si vedono, la Juve è prima.

«Ha ragione Conte: se l’avessero detto a luglio che a dicembre saremmo stati

primi in classifica e imbattuti nessuno l’avrebbe creduto. La direzione è

giusta. Da qui possiamo cominciare a costruire inserendo, in un impianto

esistente, uno o due giocatori all’anno».

Perché ha scelto Conte?

«La sua determinazione, la sua competenza, la sua grinta, la sua voglia di

far bene sposavano appieno il cambiamento che io ho portato in Juventus. Il

rapporto con lui è vecchio di vent’anni, l’ho rivisto e ho capito cosa poteva

trasmettere».

Discute le sue scelte tattico-tecniche?

«Non esiste che un presidente dica: facciamo giocare questa formazione.

Esistono responsabilità e competenze. E mi comporterei allo stesso modo se

parlassimo di una fabbrica di bulloni. Dopo si commenta».

Ha paura di gennaio, il mese nero della Juve?

«Non sono scaramantico. A Tokyo, prima della finale della Coppa

Intercontinentale del 1996 comprai una giacca. Mi sono chiesto: la metto o non

la metto? L’ho messa. Se bastasse mettere o non mettere una giacca per vincere

o non vincere saremmo campioni tutti gli anni ».

Chi era lo juventino della sua adolescenza-giovinezza?

«Sono cresciuto prima con Gentile e poi con Montero. Nessuna finezza in campo.

Sono un difensore, ho giocato fino ai giovanissimi, poi sono andato in

Inghilterra e ho continuato lì. E continuo ancora».

Ah, la famosa partitella del giovedì con Nedved.

«Con venti persone tra cui anche Pavel».

Milan-Juve, foto d’altri tempi.

«Non c’è solo ilMilan. Si gioca partita dopo partita e i conti si fanno a

maggio».

La sorpresa del campionato?

«È un campionato altamente incerto, con squadre medio-piccole che stanno

facendo bene anche grazie alla redistribuzione dei diritti tv: il Chievo con

il solo differenziale dei diritti tv paga tutto il monte ingaggi».

Questo per voi «grandi» non è giusto.

«Non è questione di giusto o sbagliato, tolta la Spagna, tutte le altre

nazioni viaggiano su un principio di diritti collettivi. Il fatto è che l’anno

scorso con accordi presi e documenti già firmati, una delibera ha modificato

il sistema di quantificazione del bacino d’utenza: 200 milioni. Noi avevamo

una pianificazione di un certo tipo e ci è cambiata in corsa ».

Lei sarebbe per una riduzione delle società professionistiche?

«Drastica. Io sarei per allinearci alla Spagna, 40, 42. Serie A, serie B, una

riga qua. Quando uno fa dalla A alla B già ha degli sconquassi, dalla B alla C

non ne parliamo. Prendete la classifica della Lega Pro: accanto a metà delle

squadre c’è l’asterisco: 2, 3, 4 punti di penalizzazione. Non giustifico

nessuno ma quando si scommette sugli avvenimenti sportivi e io non ti pago lo

stipendio, poi è più facile rubare».

Inevitabile capitolo sullo scudetto 2006 e dintorni. A che punto siamo?

«Sono uscite delle notizie importanti, anche se da verificare. Nell’esposto

nel maggio del 2010 chiedemmo se sussistevano le condizioni per le quali il

commissario straordinario assegnò lo scudetto all’Inter. La relazione di

Palazzi dice di sì, l’intervista pubblicata dal Corriere dello Sport ieri

svela che l’inchiesta fu sommaria. Non ci si rende conto di quello che ha

determinato il 2006 per noi. Abbiamo richieste, le più diverse, di

risarcimento danni per circa 600 milioni di euro. Con la nostra siamo a quasi

unmiliardo che pende. Chiudere con "fu giustizia sommaria ci spiace", come si

voleva fare con il documento non firmato al tavolo del Coni, non è

semplicissimo».

Lei difende i 29 scudetti della Juve, parla di squadra che vinceva

sul campo, ma non menziona mai i dirigenti.

«Innanzitutto scomponiamo. Noi abbiamo un anno sotto inchiesta, il 2004-2005.

Il 2005-2006 è pulito: subiamo la penalizzazione su un anno in cui non c’è

niente e i designatori arbitrali sono cambiati. Se il capo dello sport e

quello del calcio mi parlano di giustizia sommaria, quali che fossero i

dirigenti, fu giustizia sommaria. E poi siamo entrati in un procedimento

penale: i giudizi li possiamo dare solo alla fine».

Ma lei non crede che, comunque, quel sistema in cui controllati e

controllori erano tutti amici e commensali fosse da estirpare?

«Sì. Ma di arbitri si parla ancora adesso e poi, conoscendo il carattere

delle persone, c’è chi è più riservato e c’è chi è più colorito, anche quando

parla al telefono».

Altra obiezione. Le telefonate di Moggi sono molto diverse, nei toni,

da quelle di Facchetti.

«Perché allora si accusa la Juventus di articolo 1 e l’Inter di articolo 6?

Se io sto a quello che è l’impianto accusatorio del procuratore federale, nei

confronti dell’Inter è molto più severo. Questo è Palazzi, risponde lui».

Proposta di pace: la Juve rinuncia ai due scudetti e l’Inter a quello

a tavolino. Amen.

«No. Credo che ci sia la necessità di fare chiarezza, quando avremo il quadro

completo si potrà passare a una negoziazione politica».

Lei e Moratti che rapporti personali avete?

«A monte di tutto c’è l’educazione e la civiltà. Abbiamo posizioni diverse,

ma senza astio o mancanza di rispetto».

Nessun astio neanche con Del Piero, da lei prepensionato?

«A me affascina, lo confesso, il sistema di prendere delle affermazioni e

rivoltarle. Fu Alex, cinque mesi prima, a dire che avrebbe firmato il suo

ultimo contratto con la Juve».

Per il popolo Del Piero è ancora il supereroe.

«Il bello di Del Piero è che lo sarà sempre un supereroe della Juve».

E il suo, in questa squadra?

«Il supereroe è sempre la squadra, il gruppo».

Ma chi si avvicina a Gentile e Montero?

«Un duro come Chiellini».

Quanto tempo dedica alla Juve?

«La mia giornata lavorativa va dalle 8 alle 20 e la Juve in questo momento

prende nove, dieci ore».

Da suo padre dirigente che cosa ha ereditato?

«Le due epoche sono troppo diverse. Per quello che riguarda il resto anche il

fatto che mi dicano che gli assomiglio è già moltissimo ».

Ha appena avuto il secondo figlio, che cosa spera per i suoi bambini?

«Uno per i figli spera sempre il meglio, non pensa al contesto. A proposito:

Giacomo Dai è Davide in gaelico. Mia moglie ha questa origine. Non è una

stranezza».

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IL ROMPI PALLONE DI GENE GNOCCHI (GaSport 24-12-2011)

Moratti pronto a un accordo con la Juve: «Sono disposto a restituire

lo scudetto a patto che Agnelli restituisca le sopracciglia a Bergomi».

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CALCIOPOLI

il caso

La bomba anonima sull’inchiesta di Auricchio & C.

Un ex carabiniere accusa: indagine manipolata,

sparito un audio pro-Della Valle. Teste credibile

o millantatore? La magistratura se ne occupi

di ANDREA MONTI (GaSport 24-12-2011)

Calciopoli, la sorpresa di Natale: ora c’è una gola profonda. Un testimone

anonimo, ma sicuramente partecipe della vicenda, sostiene che l’inchiesta del

procuratore Narducci e del colonnello Auricchio fu gravemente manipolata. I

fatti: qualche giorno fa, l’uomo - certamente uno dei 12 addetti alle

intercettazioni, probabilmente un ex carabiniere che si è allontanato o è

stato allontanato dall’Arma - convoca alcuni giornali, tra cui non c’è la

Ģazzetta dello Sport, e sgancia la bomba. Una Bomba N, uno di quei nuovi

ordigni atomici al neutrone, che lascia intatto lo scheletro delle sentenze ma

polverizza gli uomini, le storie e le poche, faticose certezze che ci stanno

dentro. La tesi di fondo dell’innominato, infatti, è che «di veramente

importante nell’inchiesta non c’è niente, la maggior parte degli imputati è

stata condannata ingiustamente o con pene troppo pesanti».

In sintesi, i punti chiave della testimonianza che traggo dal Corriere dello

Sport. Dopo aver ricostruito il sistema dei baffetti colorati con cui veniva

segnalato il grado d’importanza delle telefonate riportate nei brogliacci,

l’anonimo sostiene che erano solamente Auricchio e il maresciallo Di Laroni a

stabilire cosa inserire e cosa omettere nelle informative da inviare ai

magistrati. E le intercettazioni che riguardavano l’Inter dove sono finite?

«Evidentemente nell’inchiesta non ci dovevano andare…». Ancora: storie di

server che misteriosamente cadono cancellando decine di intercettazioni, le

famose schede svizzere di Moggi su cui poi non si registra alcun traffico, il

ruolo del segretario della Can Manfredi Martino che al primo interrogatorio

dice tremando di non sapere nulla poi diventa uno dei principali testi

dell’accusa, le «cenette» degli inquirenti con non meglio specificati

«personaggi che hanno segnato quel periodo di Calciopoli». E via bombardando…

Ma l’elemento forse più succoso nelle verità dell’innominato è la

ricostruzione dell’incontro dei fratelli Della Valle con Bergamo e Mazzini in

un ristorante sulle colline fiorentine. Un episodio enormemente discusso, non

l’architrave dell’accusa (che ha spinto soprattutto sul significato delle

intercettazioni) ma comunque importante, e sempre contestato dai protagonisti.

Di quel pranzo in cui si sarebbe stabilito il patto per salvare la Fiorentina,

abbiamo solo la documentazione video ma non l’audio, perché quella volta non

furono piazzate microspie. E qui il testimone ci va giù pesante: «Con il

microfono direzionale, a 50 o 100 metri, senti tutto quello che uno dice. Però

’sta voce non s’è mai sentita. Io so che l’hanno sentita. E questa cosa è

importante perché io so che là non hanno parlato di niente. Magari pensi che

Della Valle abbia detto a Mazzini: "Dai, famme vince...". Invece niente. Hanno

dato rilevanza alle immagini e non hanno fatto sentire l’audio ». Dunque,

secondo il testimone, sarebbe sparito un audio che scagiona i Della Valle?

«Non secondo me. L’audio c’è. Sicuro». Un botto terrificante.

Il colonnello Auricchio, oggi capo di Gabinetto del sindaco di Napoli De

Magistris, ha negato in sede processuale che quell’audio esistesse e ora,

raggiunto dalla giornalaccio rosa, chiosa seccamente: «Non ritengo sia necessario

rispondere a dichiarazioni anonime che, fra l’altro, non corrispondono al

vero. Servirebbe solo ad alimentare un’eco mediatica di fatti su cui la

giustizia sia ordinaria, in primo grado, sia sportiva, in via definitiva, ha

già giudicato». Nessun commento, invece, da parte dei Della Valle che si

limitano ad affiggere sulla bacheca del sito viola le interviste con

l’innominato. Come dire, leggete e ci troverete quanto abbiamo sempre

sostenuto. Ma sulle ragioni che lo hanno spinto a parlare come sulla sua

identità, c’è palese prudenza.

In realtà, la strategia di Diego Della Valle è di più ampio raggio. E, nel

suo stile, non ha fatto nulla per nasconderla. Condannato a Napoli con una

pena che, pur lieve, pesa sulla sua figura di uomo e di imprenditore, dal 2006

e con più forza oggi ribadisce una linea che si riassume nel mantra: «Fatemi

capire ». Le sue domande rappresentano certamente una difesa aggressiva, ma

toccano zone d’ombra che sarebbe opportuno illuminare, se non altro per

togliersi ogni dubbio. Ci furono degli ispiratori occulti all’inizio

dell’inchiesta? Perché la Fiorentina fu coinvolta e altre squadre tra cui

l’Inter no? Guido Rossi ricevette le intercettazioni di Moratti e Facchetti

dalla procura di Napoli? E se sì, perché non indagò?

Personalmente, e mi è capitato di scriverlo più volte, non considero

l’inchiesta di Calciopoli un monumento all’infallibilità investigativa.

Presenta contraddizioni e qualche visibile buco. Insomma, di certo avrebbe

potuto esser fatta molto meglio. Ma ha retto in diversi giudizi sportivi e

penali. Ora, delle due l’una: o l’innominato dice il vero anche su un solo

episodio e allora occorre buttarla via per intero, oppure l’innominato mente e

allora è un millantatore che va severamente punito. In un paese civile, c’è

una sola strada per stabilirlo, e spetta alla giustizia percorrerla. Un

solerte procuratore, su questo fronte non stiamo scarsi, apra un fascicolo

sulle affermazioni gravissime che avete letto in questo articolo, ripercorra

l’inchiesta passo dopo passo e dica una parola definitiva all’opinione

pubblica, ai tifosi e alle persone coinvolte. Per quanto riguarda la Ģazzetta

dello Sport, solo giornalismo. Seguiremo con molta attenzione gli sviluppi di

questa vicenda, pronti a raccogliere e consegnare ai lettori la voce di ogni

testimone significativo. Purché, come è regola della casa, abbia un nome e un

cognome.

Modificato da Ghost Dog

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