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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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I veti In un clima formalmete sereno è stato impossibile stilare un documento che mettesse d'accordo tutti

A gambe all'aria

Calciopoli è viva e fa fallire il tavolo della pace

Della Valle: «Siamo vittime e non colpevoli»

Moratti: «Chissà quante volte siamo stati truffati»

di ALESSANDRO BOCCI (CorSera 15-12-2011)

ROMA — Calciopoli è un mostro che sputa fuoco e ti azzanna alla gola, una

guerra di religione che mette all'angolo Gianni Petrucci e rischia di

paralizzare il calcio italiano. «Ognuno è rimasto sulle proprie posizioni», ha

raccontato con franchezza Diego Della Valle dopo la lunga riunione nella sala

Giunta del Palazzo H, la sede del Coni, a due passi dallo stadio Olimpico.

Quattro ore e 36 minuti in cui il capo dello sport italiano, nella veste di

padrone di casa, ha tentato di cancellare gli attriti e avvicinare le

posizioni. Tutto inutile. Chi credeva che Calciopoli fosse morta e sepolta con

la sentenza di Napoli (primo grado), vive di illusioni: è più vivo che mai. Un

mostro che alimenta la diffidenza, innesca reazioni, divide vecchi amici che

adesso quasi non si sopportano.

La durata dell'incontro aveva fatto sperare in qualcosa di diverso. Ma non è

possibile guardare avanti, se prima non si chiude con il passato.

Nessuno ha abdicato o rivisto le proprie posizioni. Diego Della Valle,

azionista di riferimento della Fiorentina, è stato il più chiaro e diretto:

«Sto ancora aspettando di capire perché la mia famiglia e la mia società sono

stati coinvolti in una storia in cui siamo vittime e non colpevoli». Parole

sufficienti a far capire agli invitati, soprattutto a Coni e Federcalcio

(rappresentati rispettivamente da Petrucci e Pagnozzi, Abete e Valentini), che

la mattinata di lavoro non avrebbe prodotto i frutti sperati. Altro che

parlare della legge 91 e di quella sugli stadi o delle proposte da presentare

al nuovo governo Monti. Ognuno aveva un macigno sullo stomaco.

Petrucci ha tentato di far passare un documento che tenesse conto delle

posizioni contrapposte. Ma è stato impossibile individuare un testo che

mettesse tutti d'accordo: o era troppo duro o troppo morbido, a seconda dei

punti di vista. La prima bozza, quella del Coni, è stata considerata «generica

e poco chiara» da Della Valle, scritta in un politichese che non avrebbe

sgombrato il campo dagli equivoci. E le proposte di modifica avanzate dal

proprietario della Fiorentina (il riconoscimento che la giustizia sportiva

all'epoca dei fatti si era mossa troppo frettolosamente) sono state bocciate

da Moratti. Per il presidente dell'Inter le puntualizzazioni di Della Valle

rappresentano un attacco diretto a Ruperto e alla prima sentenza di

Calciopoli. Lui non vuole guardare indietro: lo scandalo ha prodotto delle

sentenze che non vanno discusse. E parlando del famigerato scudetto dei veleni,

tolto alla Juve e assegnato all'Inter, Moratti ha allargato i confini della

tensione: «Chissà quante volte, prima del 2006, sarò stato truffato?». Pronta,

su questo argomento, è arrivata la replica di Galliani: «Guarda che in quegli

anni vinceva il Milan perché aveva la squadra più forte».

Difficile trovare un accordo in queste condizioni. Ma la discussione non è

mai degenerata e alla fine i partecipanti si sono salutati stringendosi la

mano. «La forma tra di noi non è mai mancata, ma i problemi vanno risolti

nella sostanza», ha detto ancora Della Valle, appena fuori dal Palazzo H. Il

proprietario della Fiorentina resterà in trincea: «Per noi niente è cambiato e

non faremo passi indietro. Calciopoli si chiuderà soltanto quando verranno

riconosciute le nostre ragioni».

Gli altri protagonisti sono andati via silenziosi. Rimanendo fermi sulle

proprie posizioni: Andrea Agnelli non ha intenzione di rinunciare alle

battaglie legali, andrà avanti con i ricorsi e chiede parità di trattamento

con l'Inter. Per Moratti la sua società non c'entra niente e, casomai, si

sente economicamente danneggiata. De Laurentiis è stato preso in contropiede:

era convinto che si sarebbe parlato del futuro e invece si è trovato nel mezzo

di una discussione che non lo riguardava: «Cosa sono venuto a fare?», si è

domandato con un filo di ironia.

Galliani, abituato al mare in tempesta, non si era fatto illusioni: «Credo

che Petrucci abbia fatto tutto il possibile per mettere d'accordo i

contendenti. Calciopoli è un caso aperto e ciascuno di noi farà ciò che

riterrà opportuno per tutelare il proprio club».

Tutto come prima. Le distanze, la rabbia, l'orgoglio.

I
MPOSSIBILE
S
EDARE
L
E
G
UERRE
D
I
R
ELIGIONE

di MARIO SCONCERTI (CorSera 15-12-2011)

Il tavolo della pace è finito nel niente perché non è mai stato altro

che niente. Era debole anche come atto di buona volontà. Portato

avanti in modo ingenuo da gente non ingenua, quindi destinato a

insospettire. Non era un brindisi di Natale tra vecchi nemici, doveva

essere l'inizio di una discussione impossibile sulla rivalutazione

delle parti e una specie di nuovo inizio per il Tutto. Troppe pretese

per essere vere, per essere credibili e perfino per essere legittime.

Davvero anni e anni di astio, di energie, di accuse, di vere guerre di

religione, si possono cancellare con una riunione dalle 9 alle 13, 36

alla vigilia di Natale? Tanto valeva mettersi in posa per una foto

sotto l'albero con un calice in mano, ci sarebbero stati più sorrisi,

sarebbe sembrato almeno una tregua. Così i massimi dirigenti del

calcio hanno fatto finta di scambiare il calcio per una merce

qualunque, sconosciuta e fredda, senz'anima né coinvolgimenti. È

invece la sua fedeltà al dolore che rende il calcio diverso, il non

saper discutere la propria idea, renderle omaggio e basta, difenderla

sempre. E quando la vita dimostra con evidenza la nostra colpa, a quel

punto diventare finalmente vittime. Se fosse razionale, a cosa

servirebbe il calcio? Ma sono cose, queste, che sanno tutti,

figuriamoci se non le sanno al Coni o in Federcalcio. Il calcio non

può cercare compromessi, perché non sa accettarli. La differenza con

l'avversario deve sempre rimanere netta, costi quel che costi. Siamo

stanchi di questa intransigenza, vogliamo provare a cambiarla? Per me

è impossibile, ma cosa c'entra un tavolo di quattro ore e mezza con

invitati personalizzati, quindi discutibili, pochi giorni dopo la

sentenza più dura su Calciopoli e poche ore dopo l'annuncio del

ricorso al Tar della Juve? Non solo, ma se si voleva discutere del

calcio di domani partendo dagli errori di quello di ieri, perché solo

cinque società al tavolo? Il vantaggio di un rapporto, nel calcio

diventa sempre lo svantaggio dell'avversario. Anche questo è

sorprendente?

Presidente amaro Il n. 1 del Coni costretto a gettare la spugna: «Ma prima o poi dovremo pensare al futuro»

Petrucci, il giorno più lungo

«Ho provato in tutti i modi

e volevo un finale diverso»

di FABIO MONTI (CorSera 15-12-2011)

ROMA—Ci ha provato, ma è andata male. Si è esposto in prima persona, per

dovere istituzionale, ma la pace resta lontanissima. Per Gianni Petrucci

quella di ieri è stata la giornata più lunga e difficile da quando guida il

Coni (29 gennaio ’99). A chi stava seduto con lui intorno al tavolo nella sala

della Giunta non chiedeva di rinnegare il passato o di dimenticarlo. Avrebbe

voluto che, in qualche modo, si potesse voltare pagina. Non è stato possibile,

nonostante la lunghezza del vertice lasciasse immaginare un epilogo sofferto,

ma diverso. E ha ammesso che è finita male.

«È stato un incontro cordiale e corretto, ma devo dire con grande onestà che

le scorie di Calciopoli sono ancora molto ingombranti; la realtà è semplice:

ognuno è rimasto sulle proprie posizioni ». Ha provato anche a caricare di

responsabilità il professor Guido Rossi, da lui nominato commissario Figc a

causa e durante Calciopoli (da maggio a settembre 2006): «Stiamo parlando di

un periodo di gestione commissariale, in assenza di un organismo democratico

come il consiglio federale. In questo momento non serve a niente parlare del

passato e l’ho fatto presente anche durante la discussione. Ma non posso

coartare le menti di persone che sono state colpite duramente».

Petrucci ha cercato di spiegare così il suo stato d’animo: «È una sconfitta?

Non lo voglio dire, è stato un tentativo pieno di buona volontà da parte mia e

del presidente della Figc, Abete; ora sarebbe demagogico dire che è una

sconfitta per il calcio. Quando gli argomenti sono così pesanti, le

conseguenze non possono andare oltre, ma ammetto che mi aspettavo un esito

differente. Ho fatto mio un appello di Agnelli che chiedeva di parlare del

futuro del calcio, non posso rimproverare nessuno. Io e Abete ci abbiamo messo

impegno e quando si è a posto con la coscienza non ci si deve rimproverare

nulla. Per me non è stato un fallimento; quando il presidente del Coni riesce

a riunire intorno al tavolo persone che, almeno formalmente, non si sono più

incontrate da quel famoso periodo, allora vado a dormire sereno, sapendo che

di più non si poteva fare. Non me la sento di accusare i presidenti, di certo

io ci ho provato. In tutti i modi. Sarà assurdo, ma sono contento; il

risultato non c’è stato, ma c’è stata una discussione e un approfondimento e

vedrete che nel futuro passi avanti ce ne saranno. Si tratta di chiudere una

pagina che prima o poi deve essere chiusa». Di certo un vertice-bis non ci

sarà: «Ci penserò molto bene, prima di altre riunioni».

Petrucci si è mosso da numero uno dello sport italiano, quasi con spirito

olimpico, ma si è trovato di fronte «a interessi divergenti», da parte di chi

guida club, con grandi esposizioni finanziarie. Resta il tentativo di guardare

oltre la delusione del momento: «Anche senza aver raggiunto un risultato,

andrò avanti per la mia strada, presumo e mi auguro con il presidente Abete.

Rappresenteremo al governo le esigenze del calcio, non staremo fermi,

penseremo alle riforme che servono».

A sperare in un esito diverso era anche il presidente della Figc, Abete.

«Resta un conflitto su ferite profonde; prendiamo atto che questo sforzo non è

riuscito a sanarle. Speravamo in un esito diverso: il confronto è stato civile,

il rispetto è cresciuto, ma la situazione di conflittualità è rimasta». E

resta anche il ricorso al Tar del Lazio, con la richiesta milionaria di danni

della Juventus nei confronti della Figc. «Ho parlato a lungo con Andrea

Agnelli; i rapporti personali sono di grande serenità e trasparenza. C’è

questo ricorso al Tar, e faremo la nostra parte, contrastandolo in maniera

serena e civile sulla base delle nostre argomentazioni. Un eventuale passo

indietro della Juve? È una considerazione che farà la società bianconera, se e

quando lo riterrà opportuno. Noi siamo un organo super partes; abbiamo fatte

le cose in buona fede e con trasparenza. Calciopoli l’ho combattuta prima, e

ora mi trovo a combattere gli effetti. Non ci sono fondi stanziati per fare

fronte a questo ricorso, perché significherebbe fermare la federazione per due

o tre anni, considerando che gli introiti ammontano a circa 180 milioni di

euro all’anno. La forza dell’istituzione è nella solidità delle regole; le

regole ci sono e noi le rispettiamo».

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Fumata nera: il calcio senza pace

Petrucci non ce l'ha fatta:

Inter e Juve restano lontane

Niente firma sul documento unitario:

c'era ottimismo, ma poi vince il passato

di MAURIZIO GALDI & VALERIO PICCIONI (GaSport 15-12-2011)

La prova del nove non è riuscita. Il tavolo c'è stato, la pace no. Un bel po'

di istituzioni e di industria del pallone si è dato appuntamento al Foro

Italico come voleva il copione scritto dal presidente del Coni, Gianni

Petrucci. Ma è mancato il lieto fine. E sui titoli di coda il massimo che si

può leggere è il «non hai vinto, ritenta» che c'era sulle gomme americane di

qualche anno (o decennio) fa. Insomma, «le scorie di calciopoli sono ancora

scottanti», ha detto alla fine Petrucci in un'amara conferenza stampa. «C'è

stato un confronto civile fra posizioni che restano ancora molto distanti»,

aveva spiegato poco prima Diego Della Valle, il proprietario della Fiorentina,

l'unico a concedere qualche parola ai giornalisti dopo le quattro ore e 36

minuti di faccia a faccia fra istituzioni (con Petrucci c'erano Lello Pagnozzi,

Giancarlo Abete e Antonello Valentini), duellanti di calciopoli (con Della

Valle, Andrea Agnelli e Moratti) e potenziali mediatori (Galliani e De

Laurentiis) iscritti al poco popolare partito del «parliamo di futuro».

Stoccate? Certo non ci sono state mosse di taekwondo, anche se è passato

nella hall del Foro pure Mauro Sarmiento, argento di Pechino. E nonostante la

presenza dell'olimpionico Roberto Cammarelle, la Sala Giunta non è mai

diventata, a quanto si è saputo, un ring. Ma vedendo circolare anche Valentina

Vezzali, Andrea Cassarà ed Aldo Montano (c'era una giornata azzurra al Coni in

contemporanea per la prova delle nuove divise firmate Giorgio Armani), c'è

venuto da pensare che qualche stoccata a un corridoio di distanza stesse

arrivando. «Ma nessuno ha alzato la voce - assicura Petrucci - Agnelli e

Moratti si sono parlati pur restando sulle loro posizioni».

Niente passi avanti Soprattutto quando dal cilindro petruccian-pagnozziano è

venuta fuori la carta della pace. Un documento nero su bianco con la censura

della logica emergenziale con cui la Federcalcio e la sua giustizia sportiva

di allora affrontò calciopoli nel 2006. Un compromesso svanito, però. Con

Petrucci ad ammettere senza bluffare: «Non sono stati fatti passi avanti, la

buona volontà non è stata premiata». Detto però stavolta senza frecciate sul

«doping legale» e lo strapotere degli avvocati. Era impensabile a quel punto

rompere più di quello che s'era già rotto: se sei il padrone di casa non puoi

censurare gli invitati. «Certo prima o poi calciopoli è una pagina che dovrà

essere chiusa».

«Non riuscito» E pensare che qualche buon indizio c'era stato. La puntualità,

per esempio: l'ultimo ad arrivare era stato Massimo Moratti, alle 9. 03. Poi

l'apertura di un canale Agnelli-Abete, qualche minuto prima e anche dopo la

fine, nonostante i 444 milioni di euro di risarcimento chiesti dalla Juve alla

Federcalcio. Intanto cineoperatori e fotografi tornano dal minuto di riprese

prima del gong dell'inizio. Impressioni: Moratti ha la faccia di chi vorrebbe

stare in tutti i posti meno questo, Petrucci è concentrato ma anche un po'

preoccupato, Agnelli e Della Valle sembrano solidali e ciarlieri fra loro.

Intanto nell'atrio passavano pure le farfalle della ginnastica ritmica,

elegantissime. E persino un gruppo di studenti di architettura di Tor Vergata

venuti a studiare la zona del Foro Italico ignari degli impegni calcistici del

Palazzo. Alle undici e mezzo s'è diffusa una voce: «Sono al panettone».

Sicuramente non è stato mai stappato lo spumante. E ora Petrucci fa una grande

fatica a immaginare di riprovarci tanto presto. «Ci penserò bene ora prima di

fare altri incontri, ma resto ancora fiducioso. Diranno beato te, ma ci credo

ancora. Anche se molti erano scettici, sono venuti tutti gli invitati, e

nessuno si è alzato dal tavolo per quasi cinque ore». Per questo il presidente

del Coni non vuole usare i termini «sconfitta» o «fallimento», piuttosto parla

di «tentativo non riuscito».

Quanti silenzi Della Valle, ma è arrivata almeno qualche stretta di mano

scongelante? «Non è una questione di forma, ma di sostanza. E per esempio noi

della Fiorentina, dopo tutti questi anni non abbiamo capito perché ci siamo

dentro». Ognuno sulle sue posizioni, questo è il telegramma condiviso della

giornata. Pure il riepilogo di Abete ha questo tenore: «C'è stata serenità, ma

il conflitto è rimasto». C'era già stato il silenzio eloquente dei pontieri:

Galliani e De Laurentiis sono stati i primi ad apparire, in cima alle scale,

abbastanza, per non dire molto, imbarazzati. La loro voglia di parlare era

vicinissima allo zero. Da Moratti si è riuscito a tirar fuori con le tenaglie

un «tutto è sempre costruttivo». Pronunciato senza entusiasmo.

«Ferite» Io vulesse truvà pace, diceva una poesia di Eduardo De Filippo. Con

tutti i suoi guai, è davvero un proposito obbligato per il calcio italiano

l'uscita dal tunnel dei veleni. Ma le «ferite» sono ancora aperte, dice Abete.

Insomma, vorrei ma non posso. E calciopoli, nonostante l'ormai ricca

collezione di sentenze, non riesce proprio ad andare in soffitta. Con buona

pace di Eduardo. E di Petrucci.

Il
Retroscena
di
RUGGIERO PALOMBO
(GaSport 15-12-2011)

CRONACA DI UN FLOP

Fallimento? Sì, fallimento, e per capirlo basta vedere la faccia di Petrucci.

Al di là delle parole, dei sottili distinguo, delle recriminazioni su quel che

poteva essere e non è stato, di positivo alla fine restano le quasi cinque ore

di dialogo, le mancate strette di mano iniziali che si trasformano strada

facendo in un «diamoci del tu», tanta buona educazione, un'atmosfera che il

presidente del Coni, forse per consolarsi, si spinge a definire «rilassante».

Poca cosa guardando alle aspettative. Qualcosina, se uno pensa ai cambiamenti

climatici che può provocare lo scioglimento di un ghiacciaio.

Come in ogni fallimento che si rispetti, la palla delle responsabilità

rimbalza da un angolo all'altro del terreno di gioco o se preferite del

tavolo. Ne restano fuori solo Galliani, solido ma sconfitto tessitore, e De

Laurentiis, l'unico che abbia cercato magari in modo un po' troppo

avveniristico di pensare anche al calcio che verrà. C'è un piccolo «giallo»

sul documento che Petrucci & Pagnozzi avevano predisposto, con l'idea di

tirarlo fuori solo se le condizioni ambientali lo avessero consentito. Quel

documento sul tavolo ci è finito, segno che qualche passo avanti s'era

realizzato.

Nel chiuso della sala Giunta, c'è chi lo definisce «incomprensibile a mia

nonna, a mia nipote e soprattutto ai tifosi» e per qualcun altro è invece

«forte, fortissimo», sufficiente, se sottoscritto, a chiudere l'estenuante

querelle post-calciopoli tra Juventus e Inter. Un documento segreto ma non del

tutto, del quale trapelano, come da un sito archeologico, singoli frammenti.

Il più significativo sembrerebbe essere un «. . . adottando in qualche caso

provvedimenti che avrebbero pure potuto essere differenti...», che guarda alla

famigerata estate del 2006. Una frase e un modo di ripercorrere la storia di

calciopoli buoni a tutti gli usi: a togliere scudetti a tavolino, a modificare

sentenze, magari anche ad assolvere qualche condannato. Ma senza dirlo

esplicitamente.

Sul perché questo documento sia diventato carta straccia le versioni

divergono: secondo Coni e Federcalcio si era a un passo dallo storico accordo

sull'asse Agnelli-Moratti e a far saltare tutto sarebbe stato quel guastafeste

di Diego Della Valle che, dicono sempre Coni e Figc, puntava a una radicale

riscrittura delle sentenze di calciopoli. Da casa Moratti non smentiscono, ma

da casa Agnelli, dove era pregiudiziale mettere in discussione lo scudetto

2006 e le responsabilità della Federcalcio, sì: quel documento non era proprio

acqua fresca ma da qui a metterci sotto la firma ce ne passa. Quanto al

presunto «reo», la storia sarebbe assai diversa: la frase-chiave del documento

era stata apprezzata, ma Della Valle voleva sostituire al politichese una

formula più esplicita, che desse conto dell'intera inchiesta, delle

intercettazioni ignorate e del ruolo avuto dal commissario Guido Rossi

nell'assegnazione dello scudetto 2006. E qui si sarebbe messo di traverso

Moratti.

Versioni evidentemente inconciliabili. Di sicuro c'è che Della Valle al

tavolo ha preso di petto Petrucci senza tanti giri di parole («Ma allora che

ci siamo venuti a fare?») ed è stato poi l'unico tra i convitati ad

anticiparne ai media, non senza un pizzico di ironia, gli esiti: «Siamo

rimasti civilmente ognuno sulle proprie posizioni». Parole che sanciscono il

fallimento più di tutte quelle poi spese in conferenza stampa da un Petrucci

«dispiaciuto» ed in evidente difficoltà. Proprio lui, il numero uno dello

sport italiano che il 16 novembre aveva denunciato il «doping legale» che

avvelena il calcio, si vede ora costretto a riconsegnare palla agli avvocati,

imminenti protagonisti presso il Tar del Lazio di Juventus-Figc, una partita

da nientepopodimenoche 444 milioni di euro. E' una sconfitta. Ventotto giorni

per preparare il tavolo non erano pochi. Forse ne servivano di più. Forse

bastava qualche invitato in meno. O forse, più semplicemente, calciopoli non

finirà mai e qualcuno, tra una legge 91 e una sugli stadi, dovrà prima o poi

spiegarlo al nuovo Governo.

E la Juve riparte dai tribunali

Il Tar del Lazio deve pronunciarsi sul ricorso dei bianconeri, che chiedono 444 milioni alla Figc

di MAURIZIO GALDI & VALERIO PICCIONI (GaSport 15-12-2011)

Il tavolo di ieri non ha portato la pace, ma in ogni caso sarebbe stato

impensabile un colpo di bacchetta magica capace di cancellare le partite

legali ancora in sospeso, figlie dell'inchiesta di calciopoli.

Non competente Naturalmente la storia più conosciuta è quella della richiesta

di revoca dello scudetto 2006 assegnato a tavolino all'Inter. La campagna

della Juve era partita con il famoso esposto del 10 maggio 2010. Finora il

club bianconero ha incassato la «non competenza» del Consiglio federale contro

cui ha fatto ricorso al Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport (Tnas) e

da cui ha incassato un'altra «non competenza». Avrebbe a questo punto potuto

puntare all'Alta corte di giustizia sportiva, ma il ricorso sarebbe stato

tardivo. Per questo ha fatto rotta sulla richiesta danni al Tar del Lazio,

chiedendo contemporaneamente al Prefetto di Roma di commissariare la Figc. Ma

dal Prefetto è arrivata già una lettera con la quale si segnala l'ennesima

«non competenza»: dopo la riforma del Coni, l'autorità sportiva è infatti

l'unica ad avere il potere di controllo e anche di commissariamento delle

federazioni sportive.

Pendenti al Tar Sono comunque tre i ricorsi sui quali è chiamato a

pronunciarsi il Tar del Lazio. Innanzitutto c'è quello della Juventus che

chiede alla Federcalcio 444 milioni per i danni subiti con la sentenza

sportiva del 2006. Un ricorso che comunque rischia di essere dichiarato

«inammissibile» dalla terza sezione ter del Tar per due motivi: il più volte

invocato ne bis in idem, non si può giudicare due volte per la stessa vicenda,

ma soprattutto il precedente di una sentenza emessa dal Consiglio di Stato

sull'«arbitrato con accordo compromissorio ad hoc» su analogo ricorso

dell'Arezzo.

Ne bis in idem Nel 2006 la Juventus fece ricorso al Tar contro la sentenza

della Corte federale che l'aveva retrocessa in serie B con 17 punti di

penalizzazione. In seguito il club bianconero si rivolse alla Camera di

conciliazione e arbitrato presso il Coni e in base ad un arbitrato ad hoc ebbe

una riduzione della penalizzazione, ritirando contestualmente il ricorso al

Tar. Cioè: mi ridai 8 punti e io la chiudo qui.

Napoli e Bologna Gli altri due ricorsi sono in qualche modo «imparentati» con

calciopoli. Uno è del fallimento Vittoria (ex Bologna) contro la Federcalcio

per la vicenda dell'iscrizione della Reggina senza i requisiti; l'altro è del

fallimento del Napoli nel quale si sosteneva che il mancato ripescaggio in B

avrebbe provocato un danno in quanto De Laurentiis avrebbe pagato di più

l'acquisto della società allora in serie C.

Corte dei Conti La Juventus ha poi presentato un esposto alla Corte dei Conti

per «danno erariale» provocato allo Stato dalla Federcalcio che, retrocedendo

i bianconeri, avrebbe fatto maturare meno guadagni e conseguentemente meno

tasse allo Stato. Anche questo esposto è «sub judice» in quanto avrebbe una

sua validità solo nel momento in cui un tribunale condannasse la Figc a

risarcire la Juventus.

Altre pendenze In sede penale, resta aperto il fronte calciopoli sia per

l'appello alla sentenza del rito abbreviato (Giraudo, Pieri, Lanese e

Dondarini) che partirà a Napoli il 21 marzo 2012, sia per l'appello ancora da

fissare del primo grado del processo calciopoli (probabile arrivo delle

motivazioni a metà febbraio). Ma su tutti pende anche la richiesta delle parti

civili (Brescia, Bologna, Atalanta) che già con le sentenze di primo grado

possono agire in sede civile contro Fiorentina e Lazio, e per la sentenza di

primo grado del rito abbreviato, anche contro Giraudo e la Juventus.

Modificato da Ghost Dog

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Calciopoli, fallimento del tavolo della pace

Agnelli e Moratti al Coni disponibili a una mediazione, ma Della Valle fa saltare tutto

di FULVIO BIANCHI (la Repubblica 15-12-2011)

E dopo oltre quattro ore il tavolo della pace è saltato quando c´è stato da

scrivere il comunicato unitario: tutti d´accordo nel parlare di Calciopoli

come di un fenomeno "nato e sviluppatosi in un clima particolare" senza

entrare nel merito delle sentenze del 2006. L´unico ad opporsi, fieramente, è

stato Diego Della Valle: «Non se ne parla nemmeno». Il patron della Fiorentina

pretendeva che Coni e Figc disconoscessero la «correttezza dei processi

sportivi» (ma poi Petrucci avrebbe dovuto dimettersi…), e così niente

comunicato («perché non è accettabile un linguaggio in politichese, bisogna

scrivere in modo che capiscano anche i tifosi», sempre Della Valle). Addio

tavolo. Addio pace. Nemmeno una tregua. E pensare che sino allora era andato

tutto liscio. Agnelli e Moratti si erano scambiati una stretta di mano,

qualche battuta sul campionato e anche le sigarette: ma l´opera preventiva di

mediazione del Coni li aveva convinti a non litigare sullo scudetto 2006.

Giovanni Petrucci ha avuto il merito di averci provato: oltre quattro ore

(dalle 9,05 alle 13,27) per cercare di chiudere col passato e ripartire con

una stagione di riforme. Nove le persone riunite intorno al tavolo (rotondo)

della Giunta Coni: Petrucci e Pagnozzi (Coni), Abete e Valentini (Figc),

Andrea Agnelli (Juventus), Moratti (Inter), Diego Della Valle (Fiorentina),

Adriano Galliani (Milan) e Aurelio De Laurentiis (Napoli). Nove persone, e

tanti, troppi nemici. «Tempo perso…», ha sussurrato Diego Della Valle, prima

di andare a Porta a Porta. «Cordialmente, ognuno è rimasto sulle sue

posizioni», ha spiegato poi il patron viola. E´ seccato con Petrucci (a sua

volta seccatissimo con lui). E ha garantito che «ora la Fiorentina andrà

avanti per la sua strada, per noi questa storia si chiuderà solo quando

verranno riconosciute le nostre ragioni». Pure la Juve va avanti, anche se c´è

stato un momento che durante il tavolo si pensava davvero che Agnelli potesse

rinunciare al ricorso al Tar. In cambio, ovviamente, di un passo indietro

anche degli altri.

Ma adesso la stagione dei veleni non è per niente chiusa. Sono usciti alla

spicciolata dal Coni. Niente di niente da sottoporre al governo, sempre che il

governo possa interessarsi a loro con tutti i problemi che ha. Moratti è

rimasto deluso ma ha glissato («un incontro è sempre costruttivo, può essere

utile»): ha partecipato solo per rispetto nei confronti di Petrucci, ma non ha

discusso dello scudetto 2006 col giovane Agnelli, ma ha ricordato con toni

accesi (rivolto anche a Galliani) che: «In quegli anni ho speso tanti soldi

senza vincere mai nulla». L´unico intransigente, come detto, è stato Diego

Della Valle. Galliani è stato saggio, De Laurentiis ha spostato addirittura la

presentazione del film di Natale per restare sino alla fine. Ma bastava

guardare il volto di Petrucci per capire tutto. Tirato. Tiratissimo. Deluso.

Delusissimo. Ma onesto: «Sono molto dispiaciuto, non sono stati fatti passi

avanti: le scorie sono troppo fresche. Io ci ho provato, non sono pentito e ho

la coscienza a posto. Certo, ci penserò bene prima di fare altre riunioni… Ma

non sono caduto nel trappolone del mondo del calcio e non giudico i

presidenti». Un accenno critico anche alla gestione commissariale di Guido

Rossi. Per Abete, inoltre, «la ferita di Calciopoli resta aperta, ma il calcio

oggi non ne esce sconfitto: lo è solo quando sono sconfitte le sue regole».

Sul ricorso della Juve, ricorda infatti con fermezza come la Figc abbia «la

coscienza a posto, ha sempre fatto il suo dovere. Non abbiamo costituito

nemmeno un fondo rischi per fare fronte a questo ricorso al Tar,

significherebbe bloccare l´attività della Federazione per 2-3 anni, visto che

i nostri introiti sono di circa 180 milioni all´anno». Insomma, dal Coni al

Tar. Ma quando finirà? «Prima o dopo bisognerà pur chiuderla questa pagina»,

le ultime parole di Petrucci prima di andare alla Messa di Natale degli

sportivi.

PRIGIONIERI DEI TIFOSI

di FABRIZIO BOCCA (la Repubblica 15-12-2011)

La stretta di mano, anche cordiale, tra Andrea Agnelli e Massimo

Moratti c´è stata ma non contava nulla. «No, lo scontro non è mai

diventato personale tra i due e anzi ognuno ha esposto le sue cose con

civiltà» fanno sapere subito dopo. In ogni caso Juve e Inter, e con

loro due intere tifoserie, si detesteranno ancora a lungo. Le

possibilità di una tregua erano minime e il fallimento alla fine è

generale. Non soltanto loro, soprattutto se Della Valle ha sparso, a

quanto pare, benzina sul fuoco, interessato evidentemente a una

revisione totale della vicenda di Calciopoli e non solo alla questione

centrale, lo scontro sullo scudetto 2006. E meno male che era stata di

Della Valle l´idea qualche mese fa di un grande summit per trovare una

via d´uscita a Calciopoli e porre fine alla guerra Juve-Inter.

Ci ritroviamo così due grandi club e due grandi presidenti ancora

prigionieri del ruolo e di guerre di principio, schiavi dei tabù del

calcio per cui non puoi accusare cedimenti davanti ai tuoi tifosi. Ce

lo vedete Andrea Agnelli che dice: "Effettivamente con questa storia

dei 29 scudetti - il 29 è il simbolo della ribellione bianconera, ci

sono siti di tifosi che così si chiamano, 29 sono gli scudetti appesi

nel nuovo stadio - abbiamo stufato". E ce lo vedete Massimo Moratti

che ammette: ""E´ vero, con lo scudetto 2006 non c´entriamo nulla".

C´e un responsabile di questo epilogo negativo? La Federcalcio aveva

avuto la possibilità di mettere la parola fine a tutto ciò ma impiegò

più di un anno per rispondere al ricorso Juve (quello sui nuovi

dettagli emersi dal processo di Napoli) per poi buttare la palla in

fallo. Quello del Coni e del suo presidente Petrucci di mettersi in

mezzo come arbitro è stato un fallimento, certo, ma almeno ci ha

provato. Formalmente quello che ne guadagna di più è Moratti che si

tiene stretto quello scudetto avuto a tavolino.

Si è cercato di camuffare il tavolo della pace - definizione infausta

- con un sacco di chiacchiere e progetti sul futuro. Ma era ingenuo

pensare di girare intorno allo scoglio dello scudetto 2006, fonte

ancora di enormi scontri legali. Se dovesse vincere lo scudetto magari

la Juve tenterà di cucirsi addosso la terza stella e fra due titoli

l´Inter (ora a 18) risponderà certamente con due.

Lentamente, faticosamente e purtroppo anche solo parzialmente 5 anni

sono serviti almeno a ottenere una ricostruzione storica di

Calciopoli. La giustizia non è stata completa, né perfetta ma c´è

stata e la gente comunque ha potuto avere una verità che non è né

quella della Juve né quella dell´Inter. Forse Juve e Inter potranno

incontrarsi di nuovo (qualcuno pensa che il Coni possa riprovarci) e

trovare una soluzione testa a testa, di certo é ora che il calcio non

ne rimanga più sotto ricatto.

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CALCIOPOLI NON VA IN ARCHIVIO

Tavolo di fiele

Fumata nera dopo 4 ore e 36’: il vertice al Coni non porta nemmeno ad una tregua

Rottura sul documento: morbido per Della Valle, vuoto per Agnelli, inutile per Moratti

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 15-12-2011)

Come ad una partita senza pallone. Così si sono presentati gli invitati al

tavolo della pace e, nello stesso modo, sono usciti dopo quattro ore e 36

minuti. Il presidente della Juve Andrea Agnelli, quello dell’Inter Massimo

Moratti e, poi, l’azionista di riferimento della Fiorentina, Diego Della Valle,

e l’amministratore delegato del Milan, Adriano Galliani, senza contare

Aurelio De Laurentiis, patron del Napoli: ognuno per conto proprio, ognuno con

le proprie convinzioni che non sono quelle dell’altro.

La regia del gran capo del Coni, Gianni Petrucci, è dunque naufragata intorno

a un tavolo dove si è parlato di chiudere con il passato, senza trovare il pur

minimo punto di convergenza. La prima riflessione che la giornata di ieri al

Foro Italico offre è chiedersi se lo stesso Petrucci, una volta in archivio le

consultazioni dei giorni precedenti, non avesse fatto meglio ad aggiornare il

vertice a miglior data, se non ad annullarlo del tutto. Perché andare a

scoprire le carte a chi le ha mai nascoste, sbandierando a ogni occasione come

le ferite di Calciopoli siano ancora troppo vive per non condizionare i

riflessi? Petrucci ci ha voluto provare fino a sbattere la testa e a dover

ammettere che «il risultato non c’è stato come i tanto attesi passi in avanti»

verso la pacificazione del nostro calcio.

Naufraga il tavolo e lo fa in un clima di diffidenza e gelo. Nessun insulto,

ci mancherebbe, ma momenti di rottura sì. Agnelli e Moratti sono seduti uno di

fronte all’altro, al centro c’è Petrucci e il segretario generale del Coni

Raffaele Pagnozzi, alla sinistra del gran capo dello sport italiano il

presidente della Figc, Giancarlo Abete, e il suo direttore generale, Antonello

Valentini. «Ma cosa ci sto a fare io... », si sarebbe lasciato sfuggire De

Laurentiis dopo che, con il passare delle ore, il futuro del pallone italiano

appariva sempre più annacquato. Calciopoli e solo Calciopoli, il menù. Un

programma che, come prevedibile, si sarebbe potuto rivelare la trappola in cui

cadere e così è stato. Dopo le rispettose strette di mano («Non è una

questione di forma, ma di sostanza... », il punto di vista generale degli

invitati), ecco il documento del giallo. «Della Valle lo voleva meno generico

e più duro ed è saltato tutto...», è il j’accuse quando cala il sipario alle

13 e 36 minuti. Immediata la ricostruzione dal quartier generale della

Fiorentina: quel documento di Coni e Figc, o meglio bozza, avrebbe contenuto

un primo, e fondamentale, riconoscimento di come il processo nell’estate del

2006 si fosse svolto anche sull’onda dell’emotività e della frettolosità.

Concetti sottoscrivibili da Della Valle, purché ripuliti del lessico

politichese. Di sicuro c’è che il patron viola è stato il più fermo ed

intransigente nel voler chiarire l’ultimo quinquennio del nostro calcio

(«Spiegatemi perché siamo finiti dentro allo scandalo», avrebbe detto rivolto

a Petrucci) e che, in ogni caso, sia Juve sia Inter la firma sotto un foglio

giudicato dai bianconeri inconsistente e dai nerazzurri inaccettabile non

l’avrebbero mai messa. Agnelli non l’avrebbe sottoscritto perché per

rinunciare al ricorso al Tar (444 i milioni di euro chiesti dal club

bianconero alla Figc come risarcimento danni), l’Inter dovrebbe scucirsi di

dosso lo scudetto del 2006. E Moratti si sarebbe guardato bene dall’avallare

una ricostruzione «sibillina » dello scandalo del quale si sente vittima.

Quattro ore e 36 minuti per non fare nemmeno un passo avanti. «Visto come sono

andate le cose, ci penserò bene prima di fare altri incontri. Ci ho messo

cuore ed entusiasmo, nonmi va di considerarlo un fallimento. . . », così

Petrucci. Galliani ammette come «i punti di vista sianomolto diversi: la

vicenda di Calciopoli verrà scritta e riscritta nel tempo». Il presidente

federale Abete racconta di «aver parlato a lungo con Agnelli», puntualizzando

che «i rapporti personali sono di grande trasparenza. Il ricorso al Tar dei

bianconeri? Lo contrasteremo in modo civile: non ci sono fondi stanziati in

Figc per far fronte alla situazione perché significherebbe fermare la

federazione per due o tre anni considerando che i nostri introiti ammontano a

circa 180 milioni di euro a stagione».

Il tavolo è saltato non senza un pizzico di veleno. «Lo scudetto 2006? Non

restituiamo nulla - avrebbe detto Moratti - perché ci hanno truffato per

anni... ». «Non dirlo ame - ha ribattuto Galliani - a quei tempi eravamo

impegnati a vincere le Champions League». Tutto come prima, senza pace.

Il passato non si ricuce

A PERDERE È IL FUTURO DEL CALCIO

di MARCO ANSALDO (LA STAMPA 15-12-2011)

Per ricucire una ferita profonda come Calciopoli più che un tavolo

della pace sarebbero serviti un tavolo operatorio e chirurghi dotati

di un robusto filo di sutura. Invece Petrucci aveva in mano soltanto

l’arma della convizione e della dissuasione: fate i bravi e, per

favore, un passo indietro. Come tirare alle aquile con la

fionda.Neppure Berlusconi si sarebbe dimesso da primo ministro se

fosse dipeso dalla buona volontà e non dallo spread e dal buco del

bilancio. Serviva il timore di qualcosa di oggettivo per convincere i

litiganti a fare pace. Nè il Coni nè la Federcalcio avevano uno

spettro da agitare. Ciascuno seguirà la propria strada. Moratti non

mollerà lo scudetto che la Federazione commissariata gli assegnò

sbagliando perché se anche quel campionato fosse rimasto senza

vincitore, come il precedente, questa bega noiosa e sfibrante non

sarebbe mai nata. La Juve andrà avanti nelle cause. Della Valle

proseguirà a gridare all’ingiustizia e via via gli altri. Bisogna

accettarlo. Se davvero è bastato un aggettivo in più o in meno per far

saltare il documento che ammetteva quanto il processo sportivo fosse

stato frettoloso significa che in realtà nessuno lo voleva e non

soltanto Della Valle, il più barricadero tra i convitati.

Petrucci ne esce con una insolita sconfitta. Lui, superstite della

vera razza democristiana, è abituato a sedersi al tavolo già sapendo a

chi verrà servito il poker. Gli hanno spaiato le carte o non aveva

sondato bene gli umori. Su questa questione non ci sarà mai pace.

L’unico e timido effetto del lungo incontro è che i vecchi nemici

hanno ripreso a parlarsi. Moratti e Della Valle che non si guardavano

in faccia si sono scambiati il saluto. Andrea Agnelli ha usato modi e

toni meno duri di quanto ci si aspettasse. Forse servirà ai padroni

del calcio per trovare la compattezza su questioni enormemente più

vitali che uno scudetto dato a tavolino, o una penalizzazione di sei

anni fa. Le impuntature su Calciopoli hanno tolto spazio alla

discussione sulle strategie da adottare con il nuovo governo per

portare a compimento la legge sugli stadi, rimasta a metà strada. O

quella sulla tutela dei marchi per arginare la contraffazione che

toglie milioni di euro dai bilanci dei club. O la riforma della legge

91, per quanto la vediamo molto dura. Adesso che si è accertato

definitivamente che il passato non si ricuce, dei dirigenti illuminati

dovrebbero capire che è ben più necessario trovare la pace per il

futuro.

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E' IL PRIMO PASSO

di PAOLO DE PAOLA (Tuttosport 15-12-2011)

Non è andata male. Si poteva ottenere di più, ma il tavolo della pace

è stato un primo, significativo passo sulla strada della revisione di

un periodo difficile per il nostro calcio. La pietra miliare è stata

posta con l'ammissione da parte di tutti i partecipanti che

«Calciopoli fu giustizia frettolosa». Si è convenuto, attraverso un

documento non reso pubblico, ma letto durante la riunione, che

l'indagine fu troppo rapida e arrivò a sentenze, appunto, affrettate

senza consentire alle difese di esprimere compiutamente e

legittimamente il proprio ufficio. Era ora!

Sono le prime, clamorose conclusioni su quel pazzesco processo

sportivo che andrebbe finalmente e definitivamente collocato nella sua

giusta dimensione: un aborto giuridico. Certificato, oltretutto, dalla

relazione del procuratore federale Stefano Palazzi scritta lo scorso

1° luglio. ln quel documento, nelle 24 pagine dedicate all'Inter,

veniva sostenuto che quella del club nerazzurro sarebbe - se non

coperta dalla prescrizione - «una responsabilità diretta ad assicurare

un vantaggio in classifica in favore della società Internazionale,

mediante il condizionamento del regolare funzionamento del settore

arbitrale e la lesione dei principi di alterità, terzietà,

imparzialità e indipendenza in violazione del pre vigente articolo 6

del codice di giustizia in vigore all'epoca e oggi sostituito

dall'articolo 9». Per l'Inter, secondo Palazzi, «responsabilità

diretta e presunta». Per il presidente Moratti, invece, il rilievo

mosso è stato di violazione dell'articolo 1. D'accordo che su questo

caso sia intervenuta la prescrizione, ma a un tavolo di ricomposizione

di quei fatti non si poteva evitare di riconoscere il pasticcio

compiuto all'epoca (all'Inter venne assegnato persino uno scudetto a

tavolino in nome di un'etica che, secondo Abete, non dovrebbe andare

mai in prescrizione) e documentato, appunto, dalla relazione di

Palazzi.

Non tragga in inganno l'apparente amarezza con la quale si è concluso

il confronto al termine dì quasi cinque ore di discussione. Davanti

alle telecamere nessuno dei protagonisti ha mostrato ottimismo perché

su questo argomento c'è ancora molto da lavorare, ma la strada è stata

aperta. Critico il patron della Fiorentina Diego Della Valle che non

amando il potitichese avrebbe gradito la sottoscrizione di un

documento più coraggioso e comprensibile dalla gente. La disponibilità

c'è, come restano aperti i ricorsi con richiesta danni che il

presidente della Juventus Andrea Agnelli porta avanti con convinzione

e non per assecondare le velleità di qualche suo avvocato. Comunque ci

saranno tempi e modi per allontanare lo scontro dalle aule di un

tribunale. Lo scetticismo del presidente del Coni, Gianni Petrucci è

motivato più dalla mancata pubblicazione di un documento condiviso che

dall'effettivà bontà dell'incontro. Vero, le ferite sono profonde, le

posizioni radicallzzate, ma aver convenuto sul reale valore di quel

processo sportivo è una nuova prospettiva con la quale guardare al

futuro.

Il tavolo della pace poteva essere un flop, non lo è stato. Ora si

prosegua, ma tutti facciano un passo indietro rispetto

all'intransigenza delle proprie posizioni: lo compia Agnelli sulla

richiesta danni, lo realizzi Moratti sullo scudetto ricevuto a

tavolino, lo esegua Abete sul ruolo della federcalcio.

CALCIOPOLI IL TAVOLO DELLA PACE

Della Valle va in pressing

Il patron viola dopo 5 ore di riunione: «Al momento tutto è rimasto come prima»

«I prossimi passi? Lasciamo perdere... Buon Natale a tutti. Adesso vi saluto perchè devo andare a lavorare»

di GUIDO VACIAGO ft.STEFANO CARINA (Tuttosport 15-12-2011)

ROMA. Moratti, De Laurentiis e Galliani prima dell’incontro ROMA. Abete, n°1

della Figc e Petrucci, n° 1 del Coni ROMA. De Laurentiis, Della Valle e

Agnelli durante la discussione ROMA. Valentini dg della Figc e Galliani ad del

Milan ROMA. Un piccato Diego Della Valle dopo la riunione ROMA. Massimo

Moratti, presidente dell’Inter, in mezzo ai cronistiGUIDO VACIAGO

ROMA. «E adesso, scusate, devo andare a lavorare». La chiosa quasi sprezzante,

certamente seccata, di Diego Della Valle è la sintesi perfetta dell’opinione

che il proprietario della Fiorentina si è fatto dell’incontro: una sostanziale

perdita di tempo. Perché anche senza insulti o folklore polemico che in

passato ha caratterizzato, per esempio, certe assemblee di Lega, le quasi

cinque ore nella Sala Giunta del Coni non hanno portato a nulla di

immediatamente concreto. E Della Valle, che se lo aspettava, non cerca neppure

di nascondere il suo disappunto: «Sì, il clima era civile, ma quella è forma,

per noi contava la sostanza».

TUTTO FERMO E la sostanza è che nessuno ha fatto passi. Avanti o indietro:

«Siamo rimasti civilmente sulle nostre posizioni. Non è stato un tavolo della

pace, è stata una riunione in cui ognuno ha ribadito davanti al presidente del

Coni le proprie opinioni. Tutto è rimasto come prima». Evidentemente

infastidito, Della Valle è stato il primo a lasciare il palazzo del Coni, poco

dopo le tredici e trenta, non appena l’incontro voluto da Petrucci è

terminato. Non è rimasto ad approfondire o chiacchierare con nessuno, ha

salutato colleghi e i rappresentanti delle istituzioni, poi è filato verso

l’auto che lo doveva riportare a Fiumicino. Lì lo attendeva un volo per Milano,

da dove in serata ha partecipato alla trasmissione televisiva “Porta a porta”,

ma questa volta in veste di industriale.

TUTTO APERTO Come patron viola, invece, non ha lasciato spazio alla

diplomazia o ai giri di parole. Quasi volesse recuperare il tempo che ha avuto

l’impressione di perdere, è stato secco con chi gli chiedeva quando si

chiuderà Calciopoli. «Noi la riterremo chiusa quando ci verranno riconosciute

le nostre ragioni e oggi non ci sono state riconosciute. Quelle della

Fiorentina sono nette, nettissime e le difenderemo ad oltranza e nel modo

migliore, senza spostarci di una virgola dalle nostre posizioni».

TUTTO CHIARO Posizioni che sono poi quelle espresse più volte fin da

quest’estate, quando proprio lui aveva lanciato l’idea di un tavolo dove

discutere di Calciopoli e dei suoi derivati. Non tornano i conti a Della Valle,

non capisce perché nel caotico trambusto del 2006 alcuni abbiano pagato e

altri no e in particolare l’Inter, che da quelle vicende ha pure avuto modo di

guadagnarci uno scudetto e non solo. Non accetta, il patron viola, che la

Fiorentina abbia subito condanne (con i danni che ne sono conseguiti, vista

l’esclusione dalla Champions League 2006/07, conquistata sul campo, e la

partenza nel campionato successivo con 15 punti di penalizzazione), a parità

di violazioni con l’Inter, le cui violazioni sono certificate dalla relazione

Palazzi dell’1 luglio, nella quale il procuratore Figc mette nero su bianco a

carico del club di Moratti un bel po’ di “articoli 1” e un paio di “articoli

6”.

TUTTO FALSO La speranza di Della Valle, che comunque era arrivato a Roma

piuttosto disilluso, era di ottenere da parte del Coni almeno una

dichiarazione politica in cui si ammettessero i gravi errori commessi durante

i processi di Calciopoli. La via d’uscita per lui sarebbe stata solo e

soltanto l’ammissione di colpa da parte di Abete o Petrucci che avrebbero

dovuto dichiarare ufficialmente che i processi del 2006 sarebbero da

invalidare. Oltre che una generale condanna alle squadre che sono uscite

rafforzate da Calciopoli, uno scandalo che - secondo Della Valle - ha colpito

troppo selettivamente certi club.

TUTTO FINITO Petrucci, evidentemente, non gli ha dato soddisfazione. Pur

cercando di mediare e pur riconoscendo certe manchevolezze da parte delle

istituzioni. Troppo poco per Della Valle che per chiudere l’argomento

Calciopoli vuole ben altro. Vuole, per esempio, uscirne senza strascichi

penali dopo la condanna di Napoli. E contro quella farà ricorso non appena

usciranno le motivazioni della sentenza. E vuole scardinare il famigerato

articolo 22 delle Noif che lo sospende dai ruoli ufficiali in ambito sportivo,

dopo la condanna penale. Su queste due strade andrà avanti, mentre è probabile

che difficilmente si farà nuovamente coinvolgere da iniziativa istituzionali

come quella di ieri. Anzi, quasi ridacchia quando gli viene ipotizzato:

«Prossimi passi? Quali passi? Ma torniamo a lavorare. Buon Natale a tutti». Le

sue ragioni e quelle della Fiorentina ha deciso di tutelarle altrove, dopo

essere uscito dal palazzo del Coni con l’etichetta - subito cucitagli addosso

nel chiacchiericcio “post partita” - di uomo che ha fatto saltare il tavolo.

TUTTO DECISO Etichetta, per altro, inesatta. Perché Della Valle è stato solo

il più deciso e incisivo nel delineare le posizioni, stracciando il linguaggio

da Prima Repubblica di taluni, con concetti trancianti. Ma la sua

intransigenza era la stessa di Agnelli o di Moratti nel difendere le

posizioni. E l’assenza di Della Valle non avrebbe certamente favorito un

risultato dell’incontro, ma ne avrebbe solo allungato l’agonia.

___

Motivazioni di Napoli

il prossimo passaggio

di GUIDO VACIAGO (Tuttosport 15-12-2011)

ROMA. Calciopoli non si sarebbe comunque chiusa ieri. Perché l’iter

giudiziario iniziato cinque anni fa ha davanti a sé un percorso che potrebbe

durare ancora un paio di anni, il tempo per arrivare alle sentenze penali di

secondo grado e per risolvere tutte le altre pendenze.

RADIAZIONI La prima a essere presa in considerazione sarà la questione delle

radiazioni di Luciano Moggi, Antonio Giraudo e Innocenzo Mazzini, i cui

ricorsi contro la decisione della giustizia Figc verranno presi in

considerazione dall’Alta Corte del Coni nelle prime settimane di gennaio. Nei

prossimi giorni verrà probabilmente fissata una data dopo che tutte le memorie

verranno depositate.

MOTIVAZIONI Ai primi di febbraio (probabilmente il 6 o il 7) dovrebbero

invece arrivare le motivazioni della sentenza penale del processo di Napoli,

nel quale Moggi è stato condannato a cinque anni e quattro mesi. Fra le pieghe

di quelle pagine, che sta preparando il giudice Teresa Casoria, potrebbero

esserci degli elementi interessanti in chiave appello (a cui Moggi ricorrerà)

e anche in chiave strategia Juventus. Perché se la Casoria riconoscesse che

Moggi agiva non per conto della società ma per fini personali, la

dissociazione organica potrebbe diventare un grimaldello per dimostrare

davanti al Tar che la Juventus è stata danneggiata ingiustamente dai processi

sportivi.

APPELLI E a proposito di Tar e del ricorso milionario dei bianconeri contro

la Figc (443,7 milioni di euro), la questione dovrebbe essere presa in esame

entro un anno, quindi molto probabilmente subito prima o subito dopo la

prossima estate. Prima di allora ci sarà modo di conoscere la sentenza

d’appello del processo a Giraudo (che viaggia parallelo a quello di Moggi in

conseguenza della scelta del rito abbreviato da parte dell’ex ad bianconero),

che verrà celebrato a partire dal 21 marzo e dovrebbe finire entro maggio con

tre o quattro udienze al massimo.

___

Moratti sereno «Un incontro costruttivo...»

di SIMONE DI STEFANO (Tuttosport 15-12-2011)

ROMA. «La svolta deve farla il tavolo, non l’Inter: entro qui con lo spirito

di ascoltare, collaborare per costruire qualcosa di meglio». Così si augurava

Massimo Moratti poco prima di varcare la soglia del palazzo H del Coni e

immergersi in quasi cinque ore di discussione su Calciopoli. Alla fine gli è

riuscita la prima parte del proposito iniziale: ha ascoltato e detto la sua,

ma costruito davvero pochino. E alla fine dribbla: «Sinceramente mi sembra

maleducato parlare prima del Coni, ve ne parlerà Petrucci di quello che è

emerso dal tavolo. Se è stato costruttivo? Direi che tutto è sempre

costruttivo, ma ripeto, parlerà il presidente del Coni». E poco dopo il

presidente del Coni ha sostanzialmente autocertificato gli scarsissimi

risultati della lunga mattinata. Moratti ha poi ripreso il suo aereo privato

ed è tornato a Milano nel pomeriggio. In fondo, è forse l’unico che ha vinto,

perché il mantenimento dello status quo significa per lui tenersi il

contestatissimo scudetto 2006. Come dire: un altro scampato pericolo di una

anche solo parziale revisione di Calciopoli.

NATALE AL CONI Più deluso, invece, De Laurentiis che pare abbia borbottato

uscendo dal Coni: «Ma che cosa ci sono venuto a fare?». Si aspettava di

parlare di futuro, si è trovato invischiato in un vortice di recriminazioni su

un passato lontanissimo da lui. E c’erano pure la Ferilli e De Sica che lo

aspettavano in un albergo romano per la presentazione del cinepanettone. Il

suo “Natale al Coni” è stato invece un polpettone di cinque ore, più simile a

un fantozziano film cecoslovacco sottotitolato in russo. E pensare che era

arrivato gasatissimo: «Lo chiamate tavolo della pace, io preferisco chiamarlo

tavolo della ripartenza: basta con le chiacchiere, il calcio italiano ha

bisogno di un attestato di credibilità. Chi non è stato invitato? Non so,

chiedete a lui, per quanto mi riguarda non sono sorpreso della mia

convocazione, sono un rappresentante del calcio italiano e ho sempre parlato

di innovazione».

___

Petrucci: «Non basta la buona volontà»

Il presidente del Coni: «Le ferite sono ancora troppo profonde ma non è stato un fallimento»

di GUIDO VACIAGO (Tuttosport 15-12-2011)

ROMA. La delusione lo travolge fino quasi a incrinargli la voce mentre

racconta il fallimento del tavolo. Alla fine della maratona, solo la buona

fede e l’ottimismo sorreggono il presidente del Coni Gianni Petrucci, che se

fosse un allenatore potrebbe sostenere di essere stato sconfitto dal risultato,

ma non dal gioco espresso. Perché, in fondo, portare quei cinque intorno a un

tavolo e farli parlare per quasi cinque ore di per sé rappresenta un traguardo

e, forse, un timidissimo semino gettato per il futuro. Certo, nell’immediato,

il fallimento dell’incontro è assai più lampante e le parole di Della Valle

non lasciano dubbi all’interpretazione.

VICOLO CIECO Tant’è che lo stesso Petrucci inizia una mesta conferenza stampa

spiegando: «Passi in avanti non ce ne sono stati, la buona volontà purtroppo

non è stata premiata. Sarebbe demagogico e facile definirla come la sconfitta

del calcio italiano, ma non voglio farlo, anche perché ho la coscienza a posto,

avendo messo cuore ed entusiasmo e non me la sento di prendermela con i

presidenti che da parte loro si sono comportati con civiltà. Certo, le

posizioni sono inconciliabili e anche dopo cinque ore di discussione non è

stato possibile avvicinarle. Evidentemente le ferite sono ancora troppo

profonde e le conseguenze di quelle ferite hanno avuti pesanti ricadute».

Quasi spaesato dal vicolo cieco in cui si è ritrovato, il presidente del Coni

mantiene l’ottimismo («Magari qualcuno penserà che sono matto, qualcuno dirà

ironicamente: beato te, ma io sono convinto che qualcosa è stato comunque

fatto e magari in futuro si potrà fare ancora qualcosa»), ma sui prossimi

passi è incerto. Ride amaro: «Certo prima di organizzare un altro incontro ci

penserò un bel po’. Anche perché mi aspettavo un esito diverso, quando avevo

fatto mio l’appello di Andrea Agnelli».

INDIETRO Con qualche velato riferimento alla gestione commissariale del 2006,

che vista alla luce dei fatti non risulta del tutto brillante neppure agli

occhi di Petrucci, il discorso del presidente del Coni prosegue fra rimpianti,

riflessioni a voce alta e citazioni dal Vangelo: «Nessuno che ha messo mano

all’aratro deve guardarsi indietro», sospira con il riferimento alla

stragrande maggioranza del tempo trascorso riuniti a discutere di eventi del

passato, ma poi riconosce: «L’obiettivo numero uno era di chiarire quegli

argomenti e quindi è giusto esserci soffermati così a lungo. Anche senza aver

raggiunto un risultato proveremo a guardare avanti è stato un tentativo non

riuscito e basta. Detto questo, il passato deve essere chiuso e bisogna

pensare al futuro. Andrò avanti per la mia strada, presumo e mi auguro con il

presidente Abete, ma è chiaro che sono molto dispiaciuto, anche se non ho

nulla da recriminare e per questo sono sereno. Non è una grande soddisfazione

perché avrei voluto un altro risultato finale, ma ci proverò finché avrò la

responsabilità dello sport italiano».

AVANTI A questo punto, per lui, si presenta la spinosa circostanza di doversi

presentare davanti al Governo senza poter portare con sé qualche risultato

dall’incontro di ieri. Alla vigilia del tavolo aveva incontrato il ministro

dello sport Gnudi che gli aveva espresso vivo interesse per il tavolo. Le

istanze del calcio italiano davanti al nuovo governo, dalla riforma della

Legge 91 alle problematiche relative a stadi e diritti tv, avrebbero

sicuramente avuto maggiore peso e spessore se fossero arrivate sull’onda di

una pax ritrovata. Petrucci, tuttavia, non è scoraggiato: «Mi presenterò al

governo con la faccia di ha provato a trovare una soluzione, senza nessuna

vergogna per non aver ottenuto il risultato». D’altra parte, pace o non pace,

i problemi del calcio italiano rimangono quelli e il futuro di cui parla

Petrucci deve, effettivamente, essere costruito. Sarà solamente più difficile

farlo sull’accidentato terreno delle questioni irrisolte e non per la

testardaggine o la follia di qualche presidente, ma per la cortina fumogena

alzata dalla politica e dalla giustizia sportiva con lo strumento

dell’incompetenza. Per la cronaca, ieri sera Gnudi e Petrucci si sono

incontrati alla Messa di Natale degli sportivi, una coincidenza a suo modo

simbolica per sperare nel futuro.

___

Abete: «Un confronto civile»

art.non firmato (Tuttosport 15-12-2011)

ROMA: «Ho parlato a lungo con Andrea Agnelli, e posso dire che i rapporti

personali sono di grande serenità e trasparenza. Certo, c’è questo ricorso al

Tar, e noi faremo la nostra parte, contrastandolo in maniera serena e civile

sulla base delle nostre argomentazioni. Un eventuale passo indietro della

Juve? È una considerazione che farà la società bianconera, se e quando lo

riterrà opportuno. Non c’è una situazione stressata». Così il presidente della

Federcalcio, Giancarlo Abete, ha risposto a proposito del ricorso al Tar

avanzato dalla Juventus, che chiede alla Figc 443 milioni di euro. «Noi siamo

un organo super partes Abbiamo la coscienza a posto, abbiamo fatte le cose in

buona fede e con trasparenza. Calciopoli l’ho combattuta prima, e ora mi trovo

a combattere gli effetti. Non ci sono fondi stanziati per fare fronte a questo

ricorso, perché significherebbe fermare la federazione per due o tre anni,

considerando che gli introiti ammontano a circa 180 milioni di euro l’anno.

Inoltre se la Figc costituisse un fondo rischi ad hoc, questo evidenzierebbe

una preoccupazione per un percorso che finora è stato di grande linearità».

Sull’incontro, Abete ha poi aggiunto: «Dello scudetto del 2006 si è parlato

solo in modo incidentale perché il problema è collegato ad una situazione che

ha determinato il commissariamento della Federcalcio. C’è stata grande civiltà

e serenità di confronto. Il rispetto è cresciuto, ma la situazione di

conflitto con posizioni differenziate è rimasta».

___

IL TAVOLO DELLA PACE

La Juve non molla

Resta il ricorso milionario ma Agnelli vede ancora una soluzione

di GUIDO VACIAGO (Tuttosport 15-12-2011)

ROMA. La Juventus va avanti per la sua strada. Anzi, le sue strade: i ricorsi

restano lì e la squadra deve vincere contro Novara e Udinese per chiudere

l’anno in testa alla classifica. E non è un caso che Andrea Agnelli inizi la

sua giornata al Coni per discutere di Calciopoli e la chiuda a Vinovo per

parlare alla squadra, ribadendo concetti già espressi nelle ultime ore:

«Sapete cosa dovete fare, andate avanti così». Il passato e il futuro

abbracciato in poche ore, con uno sguardo ottimista. Perché nel fallimento del

tavolo, Andrea Agnelli ha comunque intravisto la possibilità di trovare una

via d’uscita a Calciopoli. Questione di punti di vista, forse di sensazioni,

perché come gli altri protagonisti anche il presidente della Juventus ha

dovuto constatare che risultati concreti non se ne sono raggiunti. Ma a mente

fredda e con un po’ di buona volontà, Agnelli, ispirato dalle quasi cinque ore

di discussione, ha immaginato un passo indietro di tutti i protagonisti che

spingerebbero lui a farne anche due, o - meglio - 444 milioni.

DOCUMENTO Forse anche più dello stesso Petrucci , parso quasi sconsolato nel

dopo incontro, è Agnelli a interpretare come un evento positivo anche solo il

fatto di aver messo intorno a un tavolo i protagonisti di Calciopoli,

sdoganando per la prima volta certi argomenti. A partire dal fatto che i

processi del 2006 furono tutt’altro che una cosa seria. Perché su questo

argomento c’era addirittura la disponibilità del Coni a stilare e firmare un

documento. Per certi versi un passo avanti clamoroso, perché l’ammissione che

5 anni fa non fu fatta piena giustizia da parte del capo dello sport italiano

è una svolta epocale, anche se attutita dal politichese con la quale veniva

espressa. Tant’è che è proprio sulla forma che il documento si è incagliato,

finendo accartocciato nei cestini. «Scriviamolo in modo che possa essere

compreso anche da un tifoso della curva», ha detto Della Valle , criticando la

fumosità politica con cui il Coni voleva formulare i concetti. Ma, ovviamente,

di fronte a frasi più nette si è impuntato Moratti , che ha sempre difeso la

sua linea del Piave del «ci sono state delle sentenze e vanno rispettate». E

il naufragio del documento fa sbuffare Della Valle, getta il seme della

speranza in Agnelli che prende e porta casa la disponibilità delle istituzioni

a riconoscere almeno una parte delle storture e delle contraddizioni,

contenute nelle sentenze del 2006.

CAPITALE Lo stesso Galliani , nella discussione, pare abbia buttato lì frasi

in appoggio alle teorie bianconere: è ancora per colpa delle sentenze di

Calciopoli, la Juventus ha messo insieme due settimi posti, il concetto

espresso dall’ad rossonero. «Se per questo pure 2 aumenti di capitale da oltre

100 milioni l’uno», ha aggiunto con amara ironia Agnelli. D’altronde, si sono

trovati parecchie volte dalla stessa parte il presidente della Juventus e

Galliani. A un certo punto, quando la discussione divampava sullo scudetto

2006 e si chiedeva a Moratti di rinunciarvi in virtù della relazione Palazzi ,

pare che l’interista abbia detto che quel titolo era un risarcimento per il

‘98 e il 2001 e in generale per i campionati falsati. Al che, sempre senza

eccedere nei toni, Galliani ha ricordato a Moratti che “quella Juve” e “quel

Milan” erano squadre che disputavano la finale di Champions. . .

LA FIGC Spigolature del tavolo, che in ogni caso ha trovato in Agnelli e

Moratti i partecipanti forse più attenti a non trascendere nelle

rivendicazioni e diplomatici nel porre tutte le questioni. Si sono perfino

scambiati le sigarette, entrambi fumatori, con un gesto che a volerci ricamare

poteva essere interpretato il calumet della pace. D’altra parte Agnelli ha

ribadito più volte come lui e la Juventus non ce l’abbiamo con l’Inter, di

nuovo battezzata un «danno collaterale», ma con chi, fra le istituzioni

sportive, non ha saputo dare una risposta alla richiesta bianconera di equità.

Agnelli, insomma, ce l’ha soprattutto con la Figc, con le sue decisioni

frettolose del 2006 e le sue lentissime non decisioni degli anni a seguire.

RISARCIMENTO E forse è anche di questo che ha parlato con Abete al termine

della riunione. Argomento fondamentale il ricorso da oltre 400 milioni al Tar.

Apparentemente la Figc non è preoccupata, visto che non ha previsto nessun

accantonamento o assicurazione per coprire l’eventuale risarcimento, ma un po’

di turbamento c’è. D’altra parte, c’è chi mormora che qualora arrivasse

un’altra condanna nel processo d’appello di Giraudo (il 21 marzo) la stessa

Figc potrebbe citare la Juventus per danni, mettendosi “in pari” con l’altro

ricorso. Ma sull’aereo che lo ha riportato a Torino, Agnelli è riuscito a

caricare pure la speranza che i capi di Stato (cioè i presidenti) riescano a

trovare un accordo. E’ il solito problema dei passi indietro: qualcuno deve

fare il primo perché inizi la danza. E per ora non è partita neppure la

musica.

___

Aumento di capitale: la Consob autorizza

art.non firamto (Tuttosport 15-12-2011)

Ieri la Consob ha autorizzato la pubblicazione del Prospetto Informativo

relativo all’Offerta in opzione e all’ammissione a quotazione sul mercato

telematico azionario organizzato e gestito da Borsa Italiana S.p.A. di azioni

ordinarie di Juventus Football Club S.p.A. rivenienti dall’aumento di capitale

di massimi € 120 milioni deliberato dall’Assemblea straordinaria del 18

ottobre 2011 (“Offerta”).

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Niente pace, per fortuna

Il tavolo di Petrucci non chiude la questione Calciopoli né il caso scudetto 2006. Meglio così: le rivalità storiche continueranno ad infiammare il campionato

Alessandro Dell'Orto (Libero, 15-12-2011)

MILANO, 15 dicembre 2011 - Non si sono messi d’accordo, pace. Nel senso di pazienza. Ce ne faremo una ragione. Chissenefrega. Anzi, a pensarci meglio per fortuna. Il tavolo della pace è fallito e possiamo festeggiare, è la sopravvivenza del football italiano. Juventus (Andrea Agnelli), Inter (Massimo Moratti), Milan (Adriano Galliani), Fiorentina (Diego Della Valle) e Napoli (Aurelio De Laurentiis) si sono sedute ieri, nella sede del Coni, alla tavolata apparecchiata da Gianni Petrucci (presidente Coni), Raffaele Pagnozzi (segretario generale), Giancarlo Abete (presidente della Figc) e Antonello Valentino (direttore generale Figc). Cinque ore cinque di riunione, discussioni, mediazioni e un solo argomento. Calciopoli. «Siamo rimasti tutti civilmente sulle nostre posizioni, che sono chiare, precise e coerenti», ha spiegato alla fine Della Valle, presidente onorario della Fiorentina.

ACCUSE E TRIBUNALI. Evvai, nessun cin cin finale. Perché al di là della stucchevole e addirittura noiosa questione (per chi non è tifoso di Juve o Inter, naturalmente) dello scudetto di cartone del 2006, una pace tra rivali storici sarebbe stata deludente. Ma sì, dài. Vi immaginate Moratti e Agnelli a braccetto, felici e d’accordo, senza più battute al veleno, senza più appelli e ricorsi ai tribunali più strampalati del pianeta? Sarebbe quasi un’immagine fastidiosa e contraria alla storia, un po’ come se Gentile non avesse mai strappato la maglia a Maradona nei Mondiali del 1982, oppure se Pasquale Bruno detto o’ animale non avesse mai rifilato stecche condite a minacce a Van Basten. Per poi essere sbeffeggiato dal famoso balletto dopo l’autorete in Milan-Torino. No, il bello del calcio - del nostro calcio - è da sempre la sfida. La rivalità. Pure un pizzico di odio sportivo che anima le altrimenti mosce interviste dei protagonisti e le serate al bar tra amici-nemici-tifosi.

Il tavolo della pace (a proposito, che brutto nome: anche solo per questo avrebbe meritato di fallire) ci ha lasciato il football che ci piace, per fortuna. Tutto come prima. Tutti a lamentarsi. Tutti ad attaccare.

PETRUCCI FLOP. Risultato, nessuna noia e campionati che si infiammano. Moratti continuerà a dire che non regala scudetti alla Juve e non dimentica il passato, Agnelli continuerà a spiegare che la Juve ha sempre rispettato le regole chiedendo che vadano rivisti tutti i fatti dal 2006 a oggi. Della Valle e Galliani continueranno a raccontare che la giustizia sportiva non è stata uguale per tutti. Petrucci, il padrone di casa, naturalmente sperava in un esito differente. «Passi in avanti non ce ne sono stati, la buona volontà purtroppo non è stata premiata. Devo essere onesto e sincero, Calciopoli brucia ancora e ognuno è rimasto nelle proprie posizioni. Non è una sconfitta del calcio e non è un fallimento, anche perché ho la coscienza a posto, avendo messo cuore ed entusiasmo. È stato un tentativo non riuscito e basta. Visto come sono andate le cose, ci penserò bene ora prima di fare altri incontri, ma resto ancora fiducioso». Anche Giancarlo Abete, il presidente della Figc, è deluso. «Resta un conflitto su ferite profonde, prendiamo atto che questo sforzo non è riuscito a sanarle. Speravamo in un esito diverso. Il rispetto è cresciuto, ma la situazione di conflitto con posizioni differenziate è rimasta».

SILENZI E FUGHE. E loro, i protagonisti, che hanno commentato? Agnelli e De Laurentiis sono stati in silenzio, Moratti se ne è andato sussurrando solo «un incontro è sempre costruttivo, tutto può essere utile», mentre Galliani ha dribblato tutti con un «ci sarà la conferenza del presidente del Coni». Della Valle ha subito rilanciato il clima dei vecchi tempi: «Noi volevamo sapere perchè eravamo finiti in Calciopoli, per noi la questione si chiude quando ci verranno riconosciute le nostre ragioni». Per fortuna si continua così. Senza pace.

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Luciano Moggi: "Il Tavolo della pace come il Gattopardo. Dov'era Guido Rossi e perchè c'era De Laurentiis? Faremo il Tavolo della Verità"

TuttoJuve.com

l nulla di fatto sfociato dal tanto decantato Tavolo della Pace ha sopreso molti addetti ai lavori, ma non coloro che gravitano nell'universo Juventus. Per capire i motivi del fallimento del meeting organizzato dal Presidente del Coni, Gianni Petrucci, TuttoJuve.com ha intervistato in esclusiva l'ex Direttore Generale bianconero Luciano Moggi.

Direttore, tanto fumo e niente arrosto...

"Il niente arrosto era ampiamente prevedibile così come che Moratti si trincerasse dietro la prescrizione per non restituire lo Scudetto 2006. Tutto troppo scontato, peccato che qualcuno credesse potesse andare diversamente...".

Come all'epoca del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: tutto deve cambiare, perchè tutto rimanga com'è...

"Condivido in pieno questa citazione e le dico di più: sono stati commessi gravi errori nell'allestimento di questo Tavolo della Pace".

Che errori sono stati commessi?

"Il primo errore è stato quello di non invitare il Presidente della Lega Calcio al quale sommerei invece l'aver fatto partecipare Aurelio De Laurentiis, che nella vicenda non c'entrava nulla. Questa cosa rappresenta una grave disparità di trattamento nei confronti degli altri club. Perchè il Napoli e De Laurentiis invitati e gli altri club di Serie A esclusi?".

Come si potrebbe ovviare a queste mancanze?

"Io proporrei, anzi sono fortemente tentato dall'organizzarlo un Tavolo della Verità. nel quale devono partecipare il Colonnello Auricchio, i pm Narducci e Beatrice, il dott. Guido Rossi, Moratti e poi estenderei l'invito a tutti coloro che appartenendo al mondo del calcio vogliono esserci e dire la loro. Magari sarà un uno contro tutti, ma magari potrebbe invece dar vita a qualcosa di concreto".

Guido Rossi ieri ha declinato l'invito, definendo il Tavolo della Pace una stronz***a: che ne pensa?

"La definisce così, perchè in passato ha attribuito lo Scudetto all'Inter sulla base di valori etici. Ebbene per etica sul dizionario si intendono comportamenti passati e presente e nel corso degli anni l'Inter ha perduto la sua verginità etica, perciò non aveva affatto diritto di appropiarsi dello Scudetto 2006. Non bisogna dimenticare che l'Inter prima di Calciopoli fu condannata per i passaporti falsi e fu implicata in situazioni poco etiche. Le stesse situazioni descritte da Palazzi in un fascicolo post Calciopoli di ben cinquantadue pagine".

Guido Rossi, qualora avesse partecipato, quale ruolo avrebbe assunto?

"Sarebbe stato sicuramente interessante la sua presenza al tavolo, ma non credo avesse molto da dire. Tutto sommato dunque ha fatto meglio a non presentarsi".

A distanza di anni dal caos Calciopoli è cambiato qualcosa nel calcio italiano?

"Le rispondo con le parole che disse Guido Rossi, quando fu esautorato dal ruolo di commissario della Federcalcio: mi dissero di far fuori i dirigenti della Juventus per estirpare il male del calcio, perchè solo così il calcio italiano sarebbe potuto cambiare. Ebbene non è cambiato nulla, perchè nel calcio a parte Moggi sono rimasti tutti gli altri, che sono più che mai avidi di potere. Questo l'ha detto Guido Rossi qualche anno fa e se l'ha detto lui che certamente non è un mio amico...".

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Più farsa che guerra

di ROBERTO BECCANTINI dal blog "Beck is back" 15-12-2011

Guerra e farsa, avevo scritto il primo dicembre. Era troppo facile anticipare

come – e dove – sarebbe finito lo strombazzatissimo tavolo della pace. Non

ditemi che qualcuno di voi ci era cascato. Ricapitolo per sommi capi (anche se

non ne vedo, di capi sommi). Andrea Agnelli, presidente della società i cui

dipendenti sono stati condannati in primo grado a svariati anni di reclusione

per «associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva» contro Massimo

Moratti, presidente-padrone della società prescritta sul piano sportivo per

illecitoarticolosei, il massimo, e gratificata di uno scudetto non già da una

sentenza ma dal parere di tre saggi, ignari, all’epoca, di certe telefonate.

Poi, in ordine sparso, una scorza di Galliani (che si inventò lo spinga spinga

prima del bunga bunga), un goccio di Della Valle (noi, così casti e così

indifesi) e l’aceto (balsamico?) di De Laurentiis, convocato, suppongo, per

trasformare cotanto sinedrio in un «Amici miei» da operetta.

Nei Paesi normali, Calciopoli sarebbe stata risolta in maniera normale. E

cioé: aspettando i verdetti d’appello e promuovendo una indagine seria per

fare luce sulla scomparsa di determitate bobine, nell’estate del 2006. Inoltre,

dopo un simile fiasco, in un Paese normale i Petrucci e gli Abete avrebbero

tolto il disturbo. Di solito, persino dal più rozzo dei confronti esce lo

straccetto di un ciclostilato allusivo e lassativo. Stavolta, zero. In attesa

che il Tar si pronunci sui 444 milioni della guerra Juve-Figc, il presidente

del Coni non ha avuto la forza di ricordare ad Agnelli quanti siano gli

scudetti, mentre il suo pupillo non ha avuto il coraggio di decidere sul

tavolino interista.

Questi siamo. Gianni Petrucci, il competente del giorno dopo. Giancarlo Abete,

l’incompetente del giorno prima. Per concepire sul serio un calcio nuovo,

urge la pillola del giorno stesso.

___

Al tavolo della pace l’amaro è Petrucci

di MARCELLO DI DIO (Il Giornale.it 15 dicembre 2011, 08:00)

Roma Fallimento, flop, sconfitta. I termini negativi si sprecano quando cala

il sipario su un lungo (e inutile) tavolo della pace. Il tentativo del

presidente del Coni Gianni Petrucci, che offre casa e mediazione per

rasserenare il clima avvelenato del nostro calcio, naufraga miseramente di

fronte al passato incombente e mai cancellato: le sentenze del 2006 su

Calciopoli.

«Un tentativo non riuscito, le posizioni di Calciopoli sono ancora molto

scottanti, blufferei se non dicessi che mi aspettavo un esito diverso... », le

parole del numero uno dello sport italiano. Che rifiuta le parole fallimento o

sconfitta, tenta di nascondere il dispiacere con un sorriso e con la frase:

«Sono a posto con la coscienza, la buona volontà non è stata premiata».

Sottolineando però che «ci penserò molto bene prima di fare altre riunioni,

anche se non vorrei ce la metterò tutta. Ora non si dica che sono caduto in un

"trappolone" del mondo del calcio».

Trappolone o no (l'idea del tavolo nacque da Andrea Agnelli il 16 novembre

scorso e fu sposata da Petrucci, che ha poi scelto i «commensali» e ha svolto

presumibilmente un lavoro diplomatico nei giorni di avvicinamento all'incontro,

ndr), la sensazione è che qualcuno nel corso della riunione avrebbe fatto

saltare il banco. La disposizione del tavolo (Moratti da una parte, Agnelli e

Della Valle dall'altra, gli altri rappresentanti di club erano Galliani e De

Laurentiis) fotografava una situazione più che conosciuta. Lo scafato

presidente del Coni, meritevole dell'impresa di aver messo attorno a un tavolo

i vertici di Juve, Inter, Milan, Fiorentina e Napoli insieme al segretario

generale del Coni Pagnozzi, al presidente Figc Abete e al dg Valentini

(«nessuno ci credeva»), ha dato la parola a tutti nelle 4 ore e mezzo di

confronto pacato e ciascuno degli interlocutori ha messo sul piatto le proprie

idee. Scelta democratica, che ha operato una sorta di disgelo tra chi non si

parlava da mesi o non si chiamava più per nome (vedi Agnelli e Moratti).

Ma senza seguito sarebbe alla fine rimasta la stesura di un documento per

chiudere con il passato e voltare pagina. Con un passaggio importante, nel

quale di fatto Coni e Figc avrebbero riconosciuto, a proposito della celerità

delle sentenze 2006, l'onda emotiva travolgente e una frettolosità del momento

legata anche alla pressione dell'Uefa per avere una classifica e iscrivere

così le squadre italiane alla Champions. Qualcuno (sembra Della Valle) avrebbe

contestato la forma più che la sostanza di tale documento, chiedendo che il

testo fosse comprensibile anche per i tifosi e non stilato in «politichese». A

quel punto, niente accordo nemmeno sulla sostanza. «Siamo rimasti tutti

civilmente sulle nostre posizioni chiare, precise e coerenti, noi siamo

disposti a discutere di tutto ma prima continueremo la battaglia finch´ non

saranno riconosciute le nostre ragioni», la linea del patron della Fiorentina,

che rompe il patto del silenzio dei suoi colleghi e arrabbiato (bersagli il

commissario Figc di allora Guido Rossi e il presidente Abete) per quella

condanna di primo grado nel processo di Napoli.

Dunque se l'intento era quello di scrivere nuove regole e cancellare il

passato, dire stop a polemiche e al «doping legale» (Petrucci dixit), pensare

a un domani non più costruito solo sui diritti tv e rendere magari

presentabile il movimento agli occhi del nuovo governo, la mission del numero

uno del Coni è fallita.

«C'è stato grande rispetto ma è rimasto il conflitto, le posizioni sono

sedimentate», così il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete. Si

racconta anche di un siparietto Moratti-Galliani. «Nessun passo indietro, non

sai quanti scudetti mi hanno rubato» avrebbe detto il patron nerazzuro. «Non

dirlo a me...» la risposta dell'ad del Milan. Comunque, la Juve andrà

probabilmente avanti con la sua battaglia legale al Tar (e richiesta di 443

milioni di euro). «Il club bianconero tutela i propri interessi, Coni e Figc

tutelano le proprie regole», ricorda Petrucci. «Il rapporto con Andrea Agnelli

è sereno e trasparente, con lui ho parlato a lungo anche durante e dopo il

tavolo - sottolinea Abete -.

Di fronte al Tar noi faremo la nostra parte, contestandolo in maniera civile

sulla base delle nostre argomentazioni». Il nuovo passo toccherà ora a gennaio

alla commissione dei 7 saggi, istituita dal Coni per capire come difendersi

dai continui ricorsi alla giustizia ordinaria. Ma il calcio non vuole ancora

girare pagina.

===

Ma c’è qualcuno che festeggia: l’ultrà

di MARIO CELI (Il Giornale.it 15 dicembre 2011, 08:00)

Il fallimento del «cavolo della pace», lapsus di Sara Benci su SkySport24

immediatamente twittato dal suo impietoso co-conduttore, la dichiarazione di

illegittimità della tessera del tifoso proprio alla vigilia di quel

Catania-Palermo con vittima annessa che fu l'avvio per determinarne

l'applicazione, il gol più lungo della storia (gli 11 giorni intercorsi per

concludere Padova-Torino e giocare 14' in uno stadio deserto) e gli

immancabili (e giustificati) ricorsi. Concomitanza di fatti che stanno a

dimostrare una cosa sola: il calcio è nel caos e chi ne è padrone o dovrebbe

governarlo va alla cieca, sembra una falena impazzita, trova espedienti più

che soluzioni. «Dovevamo parlare del nostro futuro», lamenta Galliani. E nulla

si è detto a proposito. Il capo dello sport italiano, Gianni Petrucci, pecca

di eccesso di ottimismo e commette quella che per un uomo navigato come lui è

un'incomprensibile ingenuità: non aver considerato la possibilità del

fallimento. Se vuoi tentare di conciliare posizioni inconciliabili devi avere

la forza di imporre ad entrambe le parti un passo indietro. Se non se ne è in

grado, non si acquista credibilità annunciando a conclusione del nulla di

fatto che «le scorie di Calciopoli sono ancora molto scottanti, per cui ognuno

è rimasto nelle proprie posizioni». Petrucci ci ha provato, è andata male. Se

c'è da ricercare una responsabilità non va neanche addossata al presidente del

Coni ma alla sciagurata decisione del 18 luglio scorso quando Giancarlo Abete,

presidente di quella Federcalcio che nel 2006 ha deciso di creare una

grottesca commissione di saggi per assegnare quello scudetto, sostanzialmente

decise di non decidere e lasciò in chiesa sostanzialmente chi era stato

dimostrato non fosse poi così santo.

È difficile individuare come si possa uscire da questo impasse con un sistema

sportivo che la Figc ha dimostrato di non saper governare. A gioire del

fallimento, bastava farsi un giro nei vari siti web dei tifosi, sono gli ultrà,

quelli per cui con il «nemico» non si scende a patti, l'inciucio non è

contemplato, niente accomodamenti, non si parli di soluzioni «tecniche». Gli

juventini ritengono che la loro squadra abbia conquistato due scudetti sul

campo e gli interisti sono convinti che il tricolore 2006 spetti loro di

diritto per le «schifezze» ordite dalla triade bianconera. Posizioni

inconciliabili come quelle dei due presidenti ultrà Agnelli e Moratti.

Resta poi un altro dubbio: perché Moratti è l'unico partecipante al tavolo a

viaggiare su un'auto con il lampeggiante blu?

___

La pace sotto le scarpe

di STEFANO OLIVARI dal blog "Guerin Sportivo" 15-12-2011

Abete, Agnelli, De Laurentiis, Della Valle, Galliani, Moratti, Pagnozzi,

Petrucci, Valentini, elencati in ordine alfabetico: troppi personaggi con

troppi autori, che hanno creato una maionese impazzita che alla fine tutti

hanno penosamente definito ‘confronto civile’. Sull’inutilità del cosiddetto

tavolo della pace nessun bookmaker accettava scommesse, ma l’inutilissima

riunione tenutasi al Coni si presta a diverse riflessioni a mente fredda. E’

il caso di farle, visto che chi nelle settimane scorse ha sottolineato la

profonda ipocrisia di questa rappresentazione è stato trattato come un

guerrafondaio.

Primo: nessuno degli intervenuti aveva in mente un obbiettivo preciso. Forse

solo Abete ha tratto beneficio personale da qualche foto ricordo e in generale

dal mostrare come nel 2011 la federazione possa essere ancora la camera di

compensazione di esigenze molto diverse. Di sicuro Juventus, Inter, Milan e

Fiorentina non si aspettavano nulla e anche per questo nulla hanno avuto.

Secondo punto: le posizioni si sono ormai sedimentate, al di là di sentenze

sportive giuste o ingiuste. Si è creata una situazione in cui una marcia

indietro o meglio ancora un guardare avanti sarebbero visti dalla propria

tifoseria come un tradimento mortale. Vale soprattutto per Inter e Juventus,

ovviamente, Moratti e Agnelli se preferite. Il Milan che tutto sommato se l’è

cavata con poco ha tenuto il solito profilo basso, mentre dopo la sentenza di

Napoli (di primo grado, anticipiamo i web-giuristi che noi del Guerino, nella

nostra infinita tolleranza, non banniamo) ascoltare le parole di Della Valle

provoca soprattutto ilarità. Anche perché pare sia stato soprattutto lui a far

saltare la stesura di un doumento pacificatorio.

Terza considerazione: la pace non può arrivare se qualcuno ti punta una

pistola addosso. Una pistola da 443 milioni di euro, quelli che attraverso il

Tar la società degli Agnelli ha chiesto alla Figc. Stando alle sentenza finora

disponibili, la logica diche che dovrebbero essere le società danneggiate (o

addirittura la stessa Figc) a chiedere i danni alla Juventus e agli altri

condannati.

Quarto punto: dello scudetto 2005-2006 non si è parlato, mentre si è discusso

molto di aggettivi. Ore perse a discutere se ‘frettolose’ andasse associato

alle sentenze del 2006, alla ricerca di una soluzione all’italiana: diciamo

una cosa, però può anche essere l’altra. I nostri opinionisti di fiducia

sapranno come regolarsi.

Quinto e secondo noi decisivo punto: Calciopoli e il post Calciopoli servono

a tutti. Per giustificare i fallimenti del passato (quelli dell’Inter fino al

2004 e quelli della Juventus dopo il 2006, per citare le solite due che

generano click) e guadagnarsi crediti per il presente, con la consapevolezza

che masse acritiche ti verranno sempre dietro.

Conclusione? La mitica memoria condivisa non può esistere, né sulla

Resistenza né su Moggi (ma vale anche per Tenco o Mike Bongiorno), in un paese

che ha nello spirito di fazione (anche nostro, che non siamo né americani né

uzbeki) la sua forza ma anche la sua debolezza.

===

Tavoli amari/2

di MATTEO MARANI dal blog "Guerin Sportivo" 15-12-2011

Ma guarda che strano: è saltato il tavolo della pace.

E chi l’avrebbe detto che finiva con un clamoroso insuccesso?

Per la cronaca, è il terzo o quarto capolavoro di fila messo insieme aella

Federcalcio italiana. Il primo è avere pasticciato tutto e di più su

Calciopoli, scontentando chiunque, il secondo è stato riuscire a perdere due

volte di fila la candidatura all’Europeo (primato mondiale di sputtanamento),

adesso questa brillante invenzione del tavolo della pace, che già dal nome

portava piuttosto male.

In realtà, più che il solito Giancarlo Abete, la figuraccia odierna è firmata

da Gianni Petrucci, che si sente il Gianni Letta dello sport, con il piccolo

dettaglio che quello vero si è eclissato alle sue spalle. Ma già la decisione

del Coni di mettersi nel mezzo, oscurando il ruolo della Federcalcio, decreta

la sconfitta, l’ennesima sconfitta, di via Allegri.

Ho letto un po’ di resoconti stamani, sempre molto buoni con l’illuminato

Diego Della Valle. Se tutti i protagonisti hanno riconosciuto l’insuccesso, mi

chiedo cosa si siano detti davvero nel segreto della stanza. Sono volati i

coltelli? O semplicemente i bicchieri?

Se dopo aver montato sta colossale e pagliaccesca sceneggiata, non hanno

sentito nemmeno il bisogno di coprirla in pubblica, significa che là dentro è

successo qualcosa. Non ce lo diranno mai.

Sono contento che il Consiglio di Stato si sia pronunciato contro la Tessera

del Tifoso e proprio su un aspetto non marginale: la marchetta parabancaria

che sta dietro a quelle card. Perché per andare allo stadio, oltre al mio nome,

codice fiscale e documento (in attesa delle impronte digitali), devo anche

farmi una carta di credito con una banca privata? Oh, avessi letto o sentito

qualcuno dire oggi che è una scelta giusta. Poteri forti, ragazzi.

___

LUCIANO MOGGI FARÀ…IL TAVOLO

DELLA GIUSTIZIA E VEDIAMO

CHI DIRÀ NO A PARTECIPARE!!!

di CESARE POMPILIO dal blog "iosonopompilio" 14-12-2011

Quante volte, tante volte ho lanciato un messaggio crudo e netto:” Calciopoli

è una ferita che sanguina ancora”. Ecco allora tutti pronti a sorridere;

esagerato, in fondo è solo il gioco del calcio, i problemi della vita sono

altri ecc.. ecc. . Insomma da un lato ero da compatire dall’altro da

ridicolizzare. Ora che il termine “ferita” è stato usato dal Presidente del

CONI Gianni Petrucci, ecco che i turiferari si appropriano del significato e

lo usano per dire agli altri che calciopoli rischia di restare una ferita

eternamente aperta. Diceva un mio professore di lettere Walter Lionti, che :”

Mediocri si diventa”. Avrei voluto sentire nuove soluzioni, avrei voluto

vedere le facce dei partecipanti al tavolo distesi, impegnate. Invece le

solite dichiarazioni di routine. Nessuno , neppure tra i turiferari, c’era chi

avesse una bozza di risoluzione, uno straccio di soluzione, anche urticante,

anche impraticabile…Nessuno. Eppure qualcosa avrebbero potuto tirar fuori.

Partiamo dagli invitati: cosa c’entra De Laurentis col tavolo della Pace? Il

tavolo avrebbe dovuto avere i protagonisti tutti di quel famigerato 2006, dico

tutti: da Moggi a Guido Rossi, passando per Franco Carraro. Tutti avrebbero

dovuto essere guidati da un autentico politico alla Andreotti. Non ho detto

Andreotti ma alla Andreotti, allora chi meglio di Franco Carraro. Come nella

stanza della Pallacorda, i presenti avrebbero dovuto giurare che nessuno

sarebbe uscito da quella stanza se prima non si fosse trovata una soluzione a

calciopoli, quanto meno stemperare gli animi. Le persone che hanno autorità

per farlo c’erano, gli errori di gestione pure…E allora non c’è stata la

volontà politica. Allora arridateci Carraro. Abete è indifendibile, caro

Petrucci. Commissaria la Federcalcio!!!

___

IL GRAFFIO di Emilio Marrese (Repubblica.it 14-12-2011)

Aggiungi un mostro a tavola

BREAKING NEWS Al tavolo della pace è arrivata la coda alla vaccinara

===

IL GRAFFIO di Emilio Marrese (Repubblica.it 15-12-2011)

Aggiungi un mostro a tavola/2

Ma tu guarda un po' , ma chi l'avrebbe mai detto: il tavolo della pace

è servito come una pizzata a Gaza. Per fortuna Petrucci ha pronte

altre brillanti iniziative: una gita tutti insieme allo zoo di Fasano,

una tombola a casa di Letta alla vigilia di Natale, un torneo di

Subbuteo per giocarsi lo scudetto 2006, la settimana bianca sul

Terminillo, una caccia al tesoro a Villa Borghese e, ultima chance,

pellegrinaggio in torpedone a San Giovanni Rotondo (guida Moggi).

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MEGLIO COSI'

di ALESSANDRO VOCALELLI (CorSport 15-12-2011)

Molto meglio così. Meglio che i presidenti si siano alzati

e, salutandosi magari non troppo cordialmente o comunque

con qualche domanda ancora in tasca, abbiano lasciato il

palazzo del CONI. Chiariamo subito: benissimo ha fatto

Petrucci a convocare il tavolo, lodevole è stato il suo

tentativo di mettere insieme simpatie e rancori, comunque

resterà il germoglio di quanto fatto ieri mattina. Ma non

è adesso il momento né di imprecare alla sconfitta e né

maledire il momento in cui è saltato il possibile

comunicato condiviso.

Dicevamo: molto meglio così. Molto meglio che fuori dalle

ipocrisie, i presidenti, con Della Valle in testa, abbiano

spiegato il loro punto di vista. Che poi, credeteci, è un

punto di vista condiviso. Quello che dice Della Valle, e

cioè che Calciopoli è una pagina con troppi punti

interrogativi, da cui qualcuno è uscito a pezzi

esageratamente e dunque ingiustamente, è quello che

pensano tutti. Lo pensano le Istituzioni, lo pensano le

società, lo pensa addirittura chi da quello scandalo non è

stato toccato o megllo ancora è stato beneficiato. Lo

pensano tutti, ma non si può dire ufficialmente, perché in

quei giorni c'erano tutti e con il passato oggi, ancora

oggi, si va a braccetto. O comunque non si può far finta

che quel passato non esista e non sia mai esistito.

Meglio insomma che, almeno questa volta, il calcio, dopo

essersi lodevolmente parlato, non abbia fatto finta di

trovare un accordo. Sarebbe stato due volte sbagliato e

due volte pericoloso, sarebbe stato, ribadiamo, ipocrita

ed in linea con il calcio di tanti anni fa che è poi stato

il padre di Calciopoli. Sì, perchè ci si vedeva, si

facevano i patti, era tutto un fiorire di sorrisi, ci si

spartivano torte e designatori, per poi uscire da saloni

affrescati e studiare come fregarsi. Allmeno adesso la

questione è chiara, le posizioni sono chiare, i personaggi

sono chiari ed autorevoli perché rappresentano l'elite

italiana in giro per il mondo, dal petrolio al cinema,

dall'industria alla moda.

E poi, non dimentichiamolo, Calciopoli è stato qualcosa

che - molto più di un calcio di rigore - ha inciso

profondamente non solo su bilanci e patrimoni, ma più

ancora su animi e coscienze. Normale che, a distanza di

cinque anni e mezzo, ancora ci si chieda se giustizia è

stata fatta. Pienamente.

IL SUMMIT AL FORO ITALICO

L’incontro si è risolto con un nulla di fatto:

le parti sono rimaste sulle proprie posizioni

Il tavolo senza pace

Petrucci sperava di concludere il vertice con una dichiarazione congiunta d’intenti

La discussione si è arenata su Calciopoli e sulla gestione commissariale della Figc

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 15-12-2011)

ROMA - L’umore tradisce il senso della giornata, le parole finali ne sono la

sintesi: «Le scorie di Calciopoli sono ancora troppo scottanti». E con quelle

scorie si è bruciato anche lui, il presidente del Coni, Gianni Petrucci. Dopo

oltre quattro ore e mezza di confronto, il “tavolo della pace” è crollato.

Eppure, c’è stato un momento in cui si è avuta l’impresione che potesse

reggere ai vecchi dissidi, agli umori malmostosi, alle tensioni. L’ha

azzoppato Diego Della Valle, patron della Fiorentina: «Ma allora, a cosa serve

questa riunione?» , ha buttato lì, alla fine di un intervento durissimo.

Chiedeva una dichiarazione con la quale La Federazione “democratica” di

Giancarlo Abete sconfessava la Federazione “commissariale” di Guido Rossi. Una

richiesta evidentemente inaccettabile per la Federazione. Petrucci si è arreso

e gli autisti hanno messo in moto le aute parcheggiate nel piazzale antistante

il Foro Italico. Sono scesi alla spicciolata, significativamente: prima

Adriano Galliani, Aurelio De Laurentiis e Massimo Moratti; qualche minuto dopo

Diego Della Valle; infine, Andrea Agnelli.

PIANO - Petrucci aveva un piano preciso: uscire dal vertice con una

dichiarazione di intenti “politica” sottoscritta dai partecipanti alla

riunione. «Superiamo Calciopoli, pensiamo al futuro. Firmato...» Il presidente

del Coni aveva piallato il tavolo in maniera tale che non ci fossero

fastidiosi bitorzoli. La presenza di De Laurentiis in qualche maniera

rassicurava l’Inter, un po’ perché in buoni rapporti con Moratti, un po’

perché esponente di un club rimasto fuori dai dibattimenti di Calciopoli.

Insomma, la riunione non era un Processo ai Processi. Andrea Agnelli, che pure

a nome della Juventus ha fatto ricorso al Tar e chiesto un risarcimento alla

Figc, teneva un atteggiamento cauto, evitava di far salire i toni sullo

scudetto del 2006 mentre, dall’altra parte, né Petrucci né Abete forzavano la

mano sul versante del ritiro della richiesta risarcitoria. Massimo Moratti

ascoltava con la consueta sobrietà. Aurelio De Laurentiis provava a spostare

il confronto sul futuro chiedendo ad Abete, semmai anche con un atto di

imperio, di ridurre a sedici le squadre della serie A e di “pressare” Platini

sul tema del campionato europeo. Il tempo passava e gli invitati, alcuni dei

quali non si incontravano da tempo, da prima del ciclone Calciopoli, restavano

lì, seduti e attenti. Segnali che suscitavano un cauto ottimismo. Poi, è stato

il turno di Della Valle.

ATTACCO - Uscendo dal Coni, il patron della Fiorentina ha consegnato ai

cronisti in attesa la fotografia finale, la foto di gruppo che accompagna i

grandi vertici mondiali ed europei: «Siamo rimasti civilmente sulle nostre

positizioni» . Quello snocciolato da Della Valle è stato un vero e proprio

atto d’accusa. Sul banco degli imputati ha chiamato Guido Rossi e la sua

gestione commissariale; e poi i processi sportivi istruiti in grande fretta,

in dispregio, a suo parere, dei diritti della difesa; ancora: Beatrice e

Narducci, gli inquirenti di Napoli, Auricchio, l’uomo delle intercettazioni,

Palazzi, il procuratore federale: il patron della Fiorentina ha annunciato che

aspetterà le motivazioni della sentenza di Napoli e poi chiederà a queste

persone lauti risarcimenti. Amaramente, non nascondendo una certa irritazione,

Petrucci ha ingoiato il rospo: non si attendeva una presa di posizione tanto

dura dall’uomo che per primo ha lanciato l’idea del tavolo pacificatorio.

FUTURO - La filippica di Della Valle ha convinto il presidente del Coni che a

quel punto era inutile chiedere quella dichiarazione di intenti che avrebbe

voluto far sottoscrivere. Se ne riparlerà quando i tempi saranno migliori, le

scorie più tiepide. Ci riproverà, non subito ovviamente. «Ci penserò molto

bene prima di convocare altre riunioni». Qualcosa di questa lunga mattinata

rimane: un miglioramento dei rapporti personali, del clima generale. Un po’

poco, probabilmente: «Non dimentichiamo che qui parliamo di vicende che

bruciano ancora sulla carne di alcuni protagonisti» , sottolineava Abete. Ma,

come cantava Sergio Endrigo, per fare un albero ci vuole un seme.

IL PATRON VIOLA

Della Valle: Alla fine resto della mia idea

«Devo ancora capire perché la Fiorentina è stata coinvolta in Calciopoli: andremo avanti»

di EDMONDO PINNA (CorSport 15-12-2011)

ROMA - Deciso, sereno, l’unico che ha avuto voglia di parlare a lungo alla

fine dell’incontro, durato quattro ore e mezza. Sorpreso, invece, in serata,

quando i rumor che si sono rincorsi per tutto il pomeriggio lo hanno

accreditato come colui che aveva fatto saltare il tavolo della pace. Partiamo

dall’inizio, ore 13.42, Diego Della Valle esce dopo De Laurentiis, Galliani e

Moratti, mentre Andrea Agnelli è ancora dentro e Gianni Petrucci sta per

cominciare a dare corpo alle sue amarezze. «Civilmente, ognuno è rimasto sulle

proprie posizioni» . Comincia così Diego Della Valle, che a questa giornata si

era avvicinato chiedendo un chiarimento, soprattutto, di quanto era accaduto

nel 2006. «La posizione della Fiorentina è sempre quella ed è netta: vogliamo

capire perché siamo finiti dentro Calciopoli. Siamo disponibili a parlare di

tutto, ma solo dopo aver chiarito cosa accadde in quei giorni. Noi, comunque,

andiamo avanti per la nostra strada» .

CIVILTA’ - I toni non si sarebbero alzati, lo ha ribadito anche il patron

viola: «E’ stato un incontro civile, ci siamo confrontati per ore con grande

civiltà su posizioni, però, che rimangono distanti» . Chissà cosa sarà

successo fra Moratti ed Agnelli, se ci sarà stata, magari lontano dai

fotografi, la tanto attesa stretta di mano: «Le strette di mano? Dovevamo

risolverla nella sostanza, non nella forma. Perché la forma non è mai

mancata» . Quattro ore e mezza non sono bastate per avvicinare le parti:

«Personalmente resto della mia opinione, in maniera civile e coerente» .

SOPRESA - Nel giro di poche ore, però, qualcosa stava cambiando. I rumor in

arrivo dalla Capitale parlavano di un Della Valle che aveva fatto saltare le

“trattative” con la sua posizione. Da fonti vicine alla Fiorentina, però,

trapelava tutta la sorpresa del patron viola. Disposto e disponibile anche a

sottoscrivere un punto comune su quello che accadde cinque anni fa - i

processi sportivi seguenti allo scoppio dello scandalo - purché si evitasse il

“politichese” e si parlasse al cuore della gente, dei tifosi. Un motivo, si fa

notare, che è stato preso a pretesto dagli altri per dichiararlo inaccettabile

LE REAZIONI DI INTER E MILAN

Moratti: «Ogni incontro è costruttivo e utile...»

Galliani: «Nulla di fatto»

art.non firmato (CorSport 15-12-2011)

ROMA - Non ha parlato a caldo, all’uscita dal Palazzo H del Coni, primo piano,

dopo il tavolo della pace. Ha sceso le scale con Moratti e De Laurentiis, ha

tirato dritto fino alla macchina che l’attendeva all’esterno ed è andato via.

Poi, una volta rientrato a Milano, Adriano Galliani, plenipotenziario del

Milan, ha commentato l’esito dell’incontro voluto dal presidente dello sport,

Gianni Petrucci: «Non è successo nulla. E per quello che potrà accadere in

futuro, non faccio l’indovino. Ognuno farà i suoi ricorsi. Ci sono punti di

vista molto differenti, la storia di Calciopoli verrà scritta e riscritta per

molto tempo».

MORATTI - Poche parole anche da Moratti, che ha evitato di parlare a lungo

«per una questione di rispetto nei confronti di Petrucci. E’ da maleducati

parlare prima di lui. Il tavolo? Ogni incontro è costruttivo, tutto può essere

utile».

IL SUMMIT AL FORO ITALICO

L’amarezza del presidente del Coni per l’epilogo dell’incontro

C’è ancora bisogno di tempo per chiudere un capitolo delicato

PETRUCCI

«Ho fatto ciò che potevo»

«Non posso bluffare: tentativo non riuscito

Non è stato fatto alcun passo in avanti:

le scorie di Calciopoli sono ancora fumanti»

di EDMONDO PINNA (CorSport 15-12-2011)

ROMA - E’ amareggiato, deluso, non era così che doveva andare. E’ onesto,

Gianni Petrucci, perché, sia pure fra un’ammissione e una piccola marcia

indietro, fra qualche giro di parole, ammette che è stata una sconfitta. «Ma

vado a dormire tranquillo, io, perché più di quello che ho fatto non potevo

fare» . Non c’è astio nelle sue parole, quasi rassegnazione, anche se non si

piega mai, neanche all’evidenza di una riunione che avrebbe dovuto far

ripartire il calcio ed invece lo lascia ancora avvolto nel maleodore di

Calciopoli.

Presidente Petrucci, francamente: non è andata...

«Il risultato è quello che è, non sono stati fatti quei passi avanti nei

quali speravo. Le scorie di Calciopoli sono ancora scottanti».

Definiamo, alla fine, cosa è stato questo tavolo della pace: un

fallimento? Un trappolone?

«Sarebbe demagogico dire che è una sconfitta, così come non credo sia un

fallimento, il presidente del Coni ha messo attorno ad un tavolo persone che,

formalmente, non si erano più incontrate da quel periodo. E non parlerei di

trappoloni».

Insomma, una sconfitta...

«Diciamo un tentativo non riuscito.... Non c’è stato il risultato.. . Insomma,

non posso bluffare. Ho una dignità anche io».

Perchè è fallito?

«La buona volontà ce l’abbiamo messa, io e il presidente Abete, Pagnozzi e

Valentini. Ma non posso accusare i presidenti. La verità è che le scorie di

Calciopoli erano ancora fumanti».

Cosa dirà, adesso, al Governo, nel momento in cui andrà a fare le sue

richieste?

«Andrò con la faccia di chi ha provato a chiudere con il passato. Cito spesso

il Vangelo, e allora dico: Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge

indietro è adatto per il regno di Dio. Più di quello che ho fatto, però, non

potevo fare. Di cosa mi devo vergognare?».

Deluso?

«Dispiaciuto. Volevo un altro risultato»

E’ pronto a pensare ad un’altra riunione, ad un altro confronto?

«Non smetto mai di provarci, ma è chiaro che ci penserò bene. . . ».

Il Coni aveva chiesto un parere a sette saggi: a che punto è la

relazione?

«Sono già state svolte più di due riunioni, i primi di gennaio saremo in

grado di produrre i primi risultati».

Ma ci sono ancora troppi avvocati nel mondo del calcio?

«Il doping legale, come l’ho definito, c’era e c’è pure oggi».

Domanda provocatoria: ma come poteva sperare in un tavolo della pace

quando c’è una società (la Juventus) che ha chiesto al Tar un

risarcimento dalla Federcalcio?

«Ognuno rispetti i propri regolamenti».

Tornando indietro, rifarebbe le stesse cose?

«Non ho alcuna recriminazione da fare. Avevo parlato con tutti prima di

questo incontro, ma con ferite che hanno colpito duramente le persone, non

potevo far appello ai singoli».

Si sarebbe dovuto parlare di futuro, di riforme, del presidente della

Lega. E’ stato fatto?

«Abbiamo parlato poco di futuro. E l’argomento del presidente di Lega è stato

solo sfiorato...»

Il presidente federale

Abete: Calcio ko solo se

vengono sconfitte le regole

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 15-12-2011)

ROMA - «Il calcio viene sconfitto solo quando vengono sconfitte le regole» .

Giancarlo Abete, presidente federale, siede accanto a Gianni Petrucci mentre

il presidente del Coni illustra la sua delusione. Sognavano, tutti e due, una

giornata diversa. Nella sostanza, una risposta indiretta alle accuse lanciate

da Diego Della Valle e che, alla fine, hanno reso impossibile la firma se non

di un trattato di pace, almeno di un solido armistizio. Il patron della

Fiorentina avrebbe voluto uno “smarcamento” dell’attuale Figc da quella che

organizzò i processi cinque anni e mezzo fa. E un messaggio criptico lo lancia

anche Petrucci nel momento in cui afferma di «non poter lanciare appelli ai

singoli protagonisti» , che i fatti risalgono «a un periodo in cui la Figc era

retta da una gestione commissariale, un periodo in cui mancava il Consiglio

Federale» . Situazioni complesse che rischiano di cristallizzarsi se vengono

affrontate da posizioni di chiusura.

RISPETTO - Qualcosa, a parere di Abete, si è mosso; l’obiettivo della pace

non è stato raggiunto, ma una semina è avvenuta. Dice il presidente federale:

«Ieri mattina c’è stato tanto rispetto, ma è rimasto il conflitto». E un

capitolo di questo conflitto è la richiesta di risarcimento avanzata dalla

Juventus: 433 milioni per i danni provocati dalle decisioni della giustizia

sportiva. Spiega il presidente federale: «L’obiettivo della riunione non era

quello di bloccare le iniziative legali avviate dai club ma quello di

rilanciare la capacità del sistema calcistico di trovare soluzioni ai suoi

problemi» . Al tavolo, su questo argomento, nessuno ha forzato la mano: «Noi

siamo un organo super partes, abbiamo la coscienza a posto, abbiamo fatto le

cose in buona fede e con trasparenza». E se la Figc fosse costretta a pagare?

«Non abbiamo stanziato fondi anche perché con i nostri ricavi che ammontano a

180 milioni dovremmo bloccare l’attività per due o tre anni».

SPERANZE - Condivide la delusione di Petrucci: anche lui si attendeva

qualcosa di più. Sottolinea: «L’incontro è stato sereno, si è svolto in un

clima di cordialità per nulla formale. Confidavamo in una giornata migliore ma

non mi sento sconfitto perché il calcio viene sconfitto solo quando vengono

sconfitte le sue regole» . Al centro del confronto anche lo scudetto del 2006,

quello revocato alla Juventus e assegnato all’Inter. Rivela Abete: «Dello

scudetto del 2006 si è parlato in modo incidentale perché il problema è legato

a una situazione che ha portato al commissariamento della Federazione».

IL PRESIDENTE DEL CLUB AZZURRO

De Laurentiis: Niente che mi interessasse

«Si è parlato di vicende che riguardano gli altri, non me e non certo il Napoli»

di ANTONIO GIORDANO (CorSport 15-12-2011)

ROMA - La pace sia con lui: perché mentre fuori il mondo va normalmente di

fretta e c’è un (altro) universo che l’attende impaziente, convocato per

l’occasione, dentro di sé Aurelio De Laurentiis è un vulcano che implode. Il

tavolo imbandito a vuoto è un concerto di voci estranee alla sua storia, ad un

calcio da lui distante: estate 2006, arsenico e antichi scudetti avvolti nei

veleni, con IL Napoli ch’è in piena fase di decollo, freschissimo di

promozione dalla serie C alla serie B, strategicamente abbracciato alla

propria filosofia e - in quegli istanti - semplice osservatore (però già)

disincantato di ciò che sta accadendo altrove. «Ma io che ci sto a fare qua» .

Cinque ore tormentate ad intrecciar le dita, a pestarsi i pollici, ad

ascoltare il nulla, a rigirarsi sulla sedia mentre altrove - dieci minuti di

strada più in là - la stampa attende di togliere i veli a Vacanze di Natale a

Cortina; e alle undici e trenta, s’intuisce che bisogna far scivolare

l’appuntamento in seconda convocazione. «Scusatemi ma ho impegni che si stanno

protraendo: spostiamo di un’ora, almeno di un’ora» .

ATTESA - Il tam tam del Foro Italico è un chiacchiericcio sul passato, un

braccio di ferro sull’asse Milano-Torino, con deviazioni in direzione Firenze;

e a quel punto d’una giornata uggiosa, con gli appuntamenti che slittano e

l’anteprima “Capitale” che viene posticipata via sms o con telefonate lampo,

l’ultima frontiera di Aurelio De Laurentiis resta un bottone del doppiopetto

da tormentare ad oltranza e sino al triplice fischio finale, restando

impassibile in quel niente in cui è costretto a galleggiare, presidente d’un

Napoli estraneo ai fatti: «S’è parlato di vicende che riguardano altri, non me,

non certo il Napoli. Che vi devo dire? Perdonate, ho altre esigenze in questo

momento, devo scappare via, sono in ritardo» .

IRONIA - Ciak, si rigira l’auto e si riparte, provando a sprizzare serenità

tra Galliani e Moratti, scappando via leggeri per fendere la folla di cronisti

e lanciarsi sul cinepanettone guarnito per la circostanza da una scatto

d’apprezzabilissima ironia di Luigi De Laurentiis, l’erede designato, che

valutata la pesantezza dell’aria irrespirabile al Foro Italico, s’è

catapultato nel clima goliardico della celluloide per rallegrar lo spirito:

«Speriamo che stavolta papà non torni di nuovo in sella ad un motorino» . Pace

e bene.

Modificato da Ghost Dog

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MA QUALE PACE

SU CALCIOPOLI

SI LITIGA ANCORA

Il tavolo voluto dal Coni tra le big del calcio è stato un fallimento

Pesa la posizione della Fiorentina e il braccio di ferro Inter-Juve

di SIMONE DI STEFANO (l'Unità 15-12-2011)

Alla fine il titolo lo suggerisce proprio Petrucci: «Lo so già, direte che è

stato il fallimento di Petrucci, ma io sono sereno perché ho fatto il

possibile, i presidenti li capisco, ognuno difende le proprie ragioni». È

stanco come mai visto prima, il presidente del Coni che tanto aveva speso per

l'atteso tavolo della pace che tuttavia, alla messa in onda, ieri non ha

prodotto altro che quasi cinque ore di confronto serrato, a tratti teso ma mai

fuori le righe, eppure ancora senza un lieto fine.

Il calcio italiano resta bloccato su Calciopoli, l’argomento principe che ieri

per la prima volta metteva di fronte Moratti e Agnelli, Inter e Juve, i

presidenti coltelli che si contendono lo scudetto della discordia del 2006.

Oltre a loro, e al presidente della Figc, Giancarlo Abete (e il segretario

Valentini), c’erano il passato e il futuro in rappresentanza dell'Italia

pallonara, Diego Della Valle (Fiorentina), Adriano Galliani (Milan) e Aurelio

De Laurentiis (Napoli), ognuno con una finestra da aprire o da chiudere, gli

ultimi due soprattutto sul futuro. Ma il calcio resta congestionato su

posizioni che Della Valle (l'unico che ha veramente voglia di parlare

all'uscita) ritiene fermissime: «Qualcuno deve ancora spiegarci perché siamo

stati tirati in ballo dentro Calciopoli, finché non ci sarà chiarezza su

questo punto, restiamo fermi sulle nostre posizioni e ci difenderemo ad

oltranza. Quella della Fiorentina è una posizione netta, nettissima».

Il riccio si è ritratto, poco dopo è la volta di Petrucci nel salone d'onore,

e senza mezzi termini illumina il quadro: «Non voglio dire che è una sconfitta

del calcio, e in ogni caso sono a posto con la coscienza. Non lo considero un

fallimento, ho messo cuore ed entusiasmo. Anche senza aver raggiunto un

risultato proveremo a guardare avanti. Dovevamo lenire una ferita ancora

aperta. È un tentativo non riuscito e basta». Dalla sua il merito di averli

messi per la prima volta assieme, faccia a faccia, per parlare di “quello” e

basta, tanto che De Laurentiis è quello più corrucciato quando esclama

all'interno: «Ma io che ci sono venuto a fare... ».

CIVILMENTE

All'ingresso gli auspici erano altri: «Chiamiamolo il tavolo della ripartenza,

serve una nuova era nel calcio. Io sono qui perché ho sempre parlato di

innovazione». Che però lo stesso Petrucci ammette dopo di averla toccata

pochissimo, qualche spicciolo sui diritti tv, sulla legge 91, il grosso, la

“ciccia” era Calciopoli. E lì si sono fatte le due del pomeriggio senza

muovere un passo. Moratti esce che spiega: «Tutto è costruttivo, ma chiedete a

Petrucci...». De Laurentiis schiva tutti e se ne va senza proferire parola,

Galliani idem, e anche Agnelli. Juve e Inter si sono sfiorate, ma non

abbracciate, e se il feticismo mediatico porta a chiedere se almeno la stretta

di mano tra i due c'è stata?

«Si sono parlati – rivela Petrucci - il rapporto è stato sereno, mai nessuno

ha alzato la voce, nessuna incomprensione, solo ognuno ha ribadito le proprie

posizioni e non è stato possibile trovare un accordo». Pacato il commento di

Abete: «Con Agnelli ho parlato civilmente, noi abbiamo fatto le cose in buona

fede e con trasparenza, Calciopoli l'ho combattuta prima e mi trovo a

combattere gli effetti oggi». Merito di questo Coni averli messi insieme,

forse sottovalutando il tunnel in cui si sarebbe finiti: «Ma io non escludo

altri tavoli», rivela Petrucci.

Anche se Della Valle se la ride all’idea e altre cinque ore di nulla non

servono a nessuno. Ma quello che ci si attendeva, forse, era una presa d’atto

pulita e decisa, da una parte o dall'altra, che il Coni non ha voluto, o potuto

decretare. Certo Petrucci avrebbe sperato di presentarsi alla messa serale

degli sportivi con qualcosa di più concreto da offrire all'altissimo, un gesto

di pace tra i litigiosi presidenti di calcio, uno «scordiamoci il passato».

Non può essere definito neanche un tavolo della tregua, perché se qualcosa di

buono può aver prodotto è stato solo un rompere il ghiaccio, nulla più. Resta

la guerra (diventata ormai fredda, di 5 anni) sullo spigolo Calciopoli, resta

lo scudetto che l'Inter non consegnerà mai di sua spontanea volontà, resta una

richiesta di oltre 400 milioni di danni mossa dalla Juve alla Figc, che i

bianconeri difficilmente ritireranno. Ce ne sarebbe di tempo per discutere, ma

la domanda è: ne avranno voglia?

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FANGO E NEVE

Il narco-calcio da Padovano a Bergamini

La parabola della punta juventina, condannato a 8 anni e 8 mesi per

spaccio, si intreccia con la morte sospetta del giocatore del Cosenza

di MALCOM PAGANI & ANDREA SCANZI (Il Fatto Quotidiano 15-12-2011)

Nel fango del dio pallone si prega di fare silenzio. Coprendo i rumori di

fondo che disturbano il quadro. Tagliando i fili con i portatori sani. “Mi

trattano da lebbroso” dice oggi Michele Padovano e sembra un bambino. Ora che

gli anni sono 45, le maglie impolverano in un cassetto e i ricordi (Juve,

Napoli, Nazionale) sono una condanna quasi peggiore degli 8 anni e 8 mesi di

solitudine per associazione a delinquere finalizzata al traffico di

stupefacenti. L’infanzia, l’amicizia con un trafficante, i panetti di hascisc,

le fumate a casa dell’erede Grande Stevens, la maledizione del padre di un suo

ex compagno, Mark Iuliano, solo l’ultima luce di una galleria di altarini

spenti sotto la “neve” da Maradona a Pagotto, da Bachini a Flachi. Iuliano

senior sostiene che Padovano fosse il diavolo. “Un cancro da estirpare” che

passava la droga al figlio e riforniva mezza Juventus. Ha rotto con Mark, che

lo smentisce chiamandolo “il signor Alfredo” e senza sorprendere nega le

ricostruzioni pubblicate su Facebook. Alfredo Iuliano tira in ballo anche

Vialli. L’ex campione che correva sull’erba e la consumava sporadicamente “fin

dai tempi del Chelsea”. Il “Luc Besson” intercettato nel 2004 mentre intima a

Padovano “abbondante, eh”.

LO STESSO che in un cortocircuito virtuale minimizza su Twitter e più che il

“Luc Besson” delle telefonate preferisce recitare da comparsa vanziniana: “Con

Padovano, ma già si sapeva, solo qualche canna da ragazzi. Sbalordito dalla

sentenza e dalle parole di Iuliano padre. Abbasso la droga viva la gnocca!!”.

Su Padovano si dicono tante cose. Basta fare due passi a Reggio Emilia, dove

ha giocato ed è stato dirigente, per sentire nere storie sul suo conto. Forse

vere, magari false. Padovano, ora, giura di essere “un ingenuo”, lamenta

l’emarginazione e rigetta l’allusione più violenta di Alfredo Iuliano. Quella

su Donato “Denis” Bergamini, il “calciatore suicidato”, del libro meritorio (e

censurato) di Carlo Petrini, l’ex calciatore che più che dribblare la verità

l’ha inseguita. Non si può capire la parabola di Padovano senza affrontare il

mistero Bergamini. Morì sabato 18 novembre 1989 a Roseto Capo Spulico

(Cosenza). Il suo cadavere venne rinvenuto all’altezza del km 401 della

statale Ionica ai bordi di una piazzola fangosa da dove si vede il mare.

Travolto da un camion per decine di metri, mentre pioveva, a dar retta alla

versione ufficiale. Portato in zona solo in seguito secondo la ragionevolezza

e le limpide ruote della sua Maserati trovata a pochi metri. Aveva 27 anni ed

era compagno di squadra, stanza d’albergo e appartamento di Padovano al

Cosenza. Padovano vide Bergamini ricevere la telefonata che forse ne accelerò

la fine. Nella stanza non c’era nessun altro. Ha sempre raccontato di averlo

visto sconvolto dopo quel colloquio, senza però aggiungere altro. Limitandosi

ad affermare che non ha mai creduto al suicidio e alle troppe versioni fornite

dall’ex fidanzata di Denis (altra figura chiave), ancora viva, in zona e

sposata con un poliziotto. Si è detto che quando Bergamini abbandonò di

nascosto il Cinema Garden di Rende, l’allenatore Gigi Simoni e i compagni per

andare incontro alla morte, Padovano fosse il solo a intuire dove era diretto.

O forse no. Venne ucciso. Da chi? Non si sa. Il caso Bergamini è un domino

infinito, “Chi l’ha visto?” gli ha dedicato una puntata anche ieri sera (erano

presenti i familiari e Gallerani, il legale dei Bergamini) confutando gli

orari del decesso. Denis fu vittima di un delitto d’onore?

OPPURE venne assassinato perché aveva scoperto di essere coinvolto in un

traffico di stupefacenti e ne voleva uscire? La trasmissione che ha già

dedicato molte puntate (incasellando querele) alla vicenda ha mostrato le

incongruenze sull’orario della morte, la posizione della Maserati e gli

“errori” grossolani del brigadiere Barbuscio (il primo ad occuparsene). Nei

giorni scorsi, grazie al lavoro da pistard di Francesco Mollo del Quotidiano

della Calabria si è scoperto che il camionista considerato in principio

responsabile dell’uccisione involontaria di Bergamini, Raffaele Pisano, due

volte assolto per omicidio colposo, non era morto come si supponeva. È vivo,

ha 73 anni e un figlio, Bruno, pesantemente coinvolto nella più recente e

importante operazione antimafia della locale Dda e il suo legale – Domenico

Malvaso – fa sapere che non c’è nulla da aggiungere: “La famiglia non vuole

più tornare sul tema e desidera dimenticare perché la ferita è troppo

dolorosa”. Malvaso è subentrato da poco. Non ha conosciuto il padre di Donato,

Domizio Bergamini. La sua ostinazione. Non ha seguito il caso dall’inizio. Non

vede collegamenti con Padovano che in onore di Bergamini chiamò Denis il

figlio, pianse ai funerali calabresi (10. 000 persone) e indossò la numero 8

del Cosenza (quella di Bergamini) dedicandogli il gol, il giorno dopo la morte

violenta di Denis, contro il Messina. Malvaso era altrove. Difende padre e

figlio con atona professionalità: “Il mio cliente non si è mai finto morto. Fu

un errore della stampa e suo figlio, pur coinvolto in storie non edificanti,

all’epoca della tragedia Bergamini aveva solo sei anni”. Se insisti o adombri

mafiosità ereditarie e contro deduzioni, Malvaso le bolla come ‘ congetture’.

Oppone un garbato rifiuto su qualunque altra ipotesi pur specificando che le

atroci foto pubblicate dalla Ģazzetta dello Sport nel ventennale della morte

di Bergamini (il corpo, pasoliniano, deturpato su un solo lato ma non

sfigurato) lui non le ha mai viste: “Non capisco perché vi stupiate. Io sono

abituato a lavorare sugli atti e non sui giornali sportivi. Per ora non siamo

stati convocati, ma se riapriranno il caso, il mio assistito deporrà ancora

una volta. La sua posizione? È cristallizzata nelle dichiarazioni di allora”.

Ventidue anni fa.

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Caso Sion, TAS dà ragione alla UEFA

Il Tribunale arbitrale di Losanna ha reso nota la propria decisione in

merito alla controversia tra la UEFA e il Sion, in forza della quale

il club elvetico non sarà reintegrato nella UEFA Europa League 2011/12.

di UEFA News Giovedì, 15 dicembre 2011, 17.00CET

Il Tribunale arbitrale per lo Sport (TAS) ha pubblicato oggi alle ore 15. 00

una nota in cui comunica la propria decisione in merito alla controversia UEFA

vs FC Sion, che segue la lunga udienza del 24 novembre 2011.

Nella sentenza, il TAS afferma: "La richiesta [presentata dalla UEFA] di

confermare l'esclusione dalla UEFA Europa League 2011/12 dell'OLA [Olympique

des Alpes SA] è ammessa e confermata”.

Inoltre, la sentenza aggiunge che "le misure provvisorie adottate dal

Tribunale Cantonale Vallese (Cour Civile) il 5 ottobre 2011 vanno annullate” e

che “l'OLA è tenuto a versare 40. 000 franchi svizzeri (quarantamila) nelle

casse della UEFA a titolo di risarcimento per le spese legali sostenute nel

corso del presente arbitrato”.

Con questa decisione il TAS conferma che la UEFA ha applicato legittimamente

il regolamento FIFA e che gli organi disciplinari UEFA hanno decretato

legittimamente perse a tavolino le partite dell'FC Sion in UEFA Europa League.

Inoltre, il TAS ha revocato ogni altra misura provvisoria decisa dal

Tribunale Cantonale Vallese il 5 ottobre 2011. Queste misure erano state

adottate sul merito nell'attesa della decisione.

Mentre la UEFA aveva preparato vari scenari per l'eventuale reintegrazione,

la decisione del TAS sta a significare che l'FC Sion non verrà reinserito

nella UEFA Europa League 2011/12.

Il rispetto delle regole, le stesse per tutti i club che partecipano alle

competizioni europee, è di primaria importanza per la giustizia nel calcio.

Questo rispetto delle regole deve essere applicato su tutti i livelli:

giocatori, club, campionati e in tutte le competizioni, per difendere quelli

che sono i valori del calcio.

Qui l'intera decisione dell’arbitrato e il comunicato stampa del TAS

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Il no del Tas di Losanna al Sion che interessa anche la Juventus

di GIOVANNI CAPUANO dal blog "Calcinfaccia" 15-12-2011

Avviso alla Juventus e alla sua volontà di rilanciare sulla strada dei ricorsi

al di fuori della giustizia sportiva: l'ordinamento calcistico continua a

essere impermeabile e nemmeno la guerra legale dichiarata dal Sion sembra

destinato a scalfirlo. La notizia che il Tas di Losanna ha respinto il ricorso

del club svizzero chiudendogli definitivamente le porte dell'Europa League

suona, infatti, come avvertimento. Michel Platini ha fin qui vinto il braccio

di ferro con il presidente Constantin che ora andrà avanti rivolgendosi al

tribunale federale ma che, intanto, incassa una sconfitta pesante e quasi

certamente si troverà al bivio tra la permanenza nei sentieri della giustizia

ordinaria e l'uscita dagli stessi a rischio di penalizzazioni.

La vicenda è nota da tempo. L'Uefa aveva escluso il Sion dall'Europa League

per aver schierato nel preliminare del 25 agosto contro il Celtic Glasgow sei

giocatori non eleggibili perché acquistati mentre al club era vietato operare

sul mercato a causa di una 'squalifica' Fifa risalente all'aprile 2009. Gli

svizzeri e i sei calciatori si erano rivolti al tribunale cantonale di Vaud

per affermare il principio del diritto all'attività lavorativa e il tribunale

aveva ordinato all'Uefa di riammettere il club alla competizione nel frattempo

iniziata con il Celtic al posto del Sion. Da qui la decisione di Platini di

non ottemperare all'ordine e il via libera di Constantin al Tas di Losanna con

l'annuncio preventivo che, in caso di sconfitta, sarebbe comunque andato

avanti.

Il comunicato con cui il Sion ha confermato l'intenzione di procedere al di

fuori della giustizia sportiva suona come un attacco definitivo

all'ordinamento calcistico: "Il Tas non presenta garanzie di indipendenza e

viola molteplici norme di diritto nazionale e internazionale" con riferimento

all'articolo 6 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo. La posta in

gioco, dunque, è altissima. Se vince il Sion scrive la parola fine al concetto

di giustizia sportiva così come inteso e interpretato negli ultimi

cinquant'anni. Se vince l'Uefa le porte a ogni genere di valutazione

extracalcistica si chiudono per sempre.

Cosa c'entra la Juventus? C'entra, eccome. Il ricorso al Tar del Lazio è

legittimo perché verte sul risarcimento danni e lo stesso accadrà con il certo

passaggio davanti al Consiglio di Stato. Ma se Agnelli dovesse decidere di

chiedere conto alla magistratura ordinaria anche dei verdetti del processo del

2006 il discorso cambierebbe e siccome ha più volte spiegato di voler andare

fino in fondo prima o poi si troverà davanti al bivio che ha appena superato

Constantin. Come si muoverà? E' certo che anche l'Uefa guardasse con

attenzione e speranza al tavolo della pace di Petrucci poi fallito. Un accordo

avrebbe fatto comodo anche dalle parti di Nyon. Non è arrivato.

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IL CASO / ROCCHI

GIACCHETTA

GRIGIA

Assolto, ancora indagato, contestato

È giusto che continui ad arbitrare?

di GIANCARLO PADOVAN (Il Fatto Quotidiano 16-12-2011)

L’arbitro che cammina sui pezzi di vetro lasciati da Calciopoli,

miracolosamente illeso e inspiegabilmente protetto, si chiama Gianluca Rocchi

ed è di Firenze. Domenica, a Bologna, non ha visto almeno tre rigori (ma il

più clamoroso, il fallo di mano di Seedorf, era contro il Milan) e ne ha

concesso uno, quantomeno dubbio, ai rossoneri (ma nel dubbio la maggioranza

degli arbitri sa con chi stare e cosa fare). Tanto da far dire a Massimiliano

Allegri, allenatore milanista, che Ibrahimovic si era buttato. Negli

spogliatoi, affranto, Rocchi si è spiegato con il tecnico del Bologna, Stefano

Pioli: “Se ho sbagliato, chiedo scusa”, facendo scattare una mezza causa di

beatificazione mediatica. L'arbitro che chiede scusa, un evento che ha ridotto

e sbiadito al giurassico l'ammissione di Lo Bello negli studi della Domenica

Sportiva: “Il giocatore è stato più furbo di me”. Lo Bello fu civettuolo,

Rocchi era divorato dal senso di colpa.

MERCOLEDÌ, su questo giornale, ho scritto che “chiedere scusa non basta” e

che Rocchi è un “ tipico caso di sdoppiamento di personalità”. Chi lo vede

arbitrare all'estero (è internazionale) sa che è un buon elemento. In Italia

non funziona più. E non funziona perché non è più credibile. Gli errori (gravi

anche quelli in Inter-Napoli con un rigore assegnato al Napoli nonostante il

fallo fosse vistosamente fuori dall'area di rigore) non ne sono la causa, ma

l'effetto. E il nodo non è solo sospendere Rocchi per quello che sbaglia in

campo, ma casomai domandarsi quello che qualcuno dovrebbe spiegare: perché in

campo ci vada ancora. Infatti l'arbitro di Inter-Napoli e di Bologna-Milan

tecnicamente è ancora un imputato. Assolto in primo grado, al processo di

Napoli, dal reato di frode in competizioni sportive, ma in attesa del giudizio

d'appello. La prima udienza c'è stata il 16 novembre, la prossima sarà il 21

marzo 2012, la sentenza è prevista il 18 aprile. Nonostante questo, Rocchi non

è mai stato sospeso, neppure quando Calciopoli infuriava e i suoi colleghi

venivano opportunamente fermati, in via cautelativa, dall'Aia, l'associazione

italiana arbitri, il cui presidente è Marcello Nicchi, eletto il 6 marzo 2009.

Un altro toscano, aretino per la precisione. Ma, forse, questo è un caso.

Rocchi finisce dentro l'inchiesta di Calciopoli per Chievo-Lazio del 20

febbraio 2005. La Lazio vince 1-0 e a segnare il gol decisivo è un altro

Rocchi, Tommaso. Niente di strano, è solo un'omonimia. Nel finale ci sono tre

espulsioni: Brighi del Chievo per insulti all'arbitro, Baronio e Couto per due

falli definiti poco più che veniali. A inguaiare il Rocchi arbitro è

un'intercettazione nella quale Lotito parla con Innocenzo Mazzini, allora

vicepresidente della Federcalcio. Prima della partita, a un presidente

angustiato per la classifica della sua squadra, Mazzini assicura: “Non ti

preoccupare, ti mando un arbitro toscano come me”. Il sorteggio (?) conferma

l'anticipazione di Mazzini. “Millantavo ” dirà al processo l'ex

vicepresidente. Resta il mistero, ma nemmeno troppo, dell'azzeccata (?)

estrazione. Prosciolto dalla giustizia sportiva, Rocchi viene incriminato dai

pm Narducci e Beatrice che ne chiedono il rinvio a giudizio per frode sportiva,

in concorso con l'allora presidente della Federcalcio, Franco Carraro

(prosciolto dal Giudice dell'udienza preliminare), con Mazzini, Bergamo,

Pairetto e Lotito. Rocchi chiede di essere giudicato con il rito abbreviato di

fronte al Gip di Napoli, Edoardo De Gregorio. Nella sentenza di due anni fa,

era il 14 dicembre 2009, l'arbitro viene assolto ai sensi dell'articolo 530,

secondo comma, del codice di procedura penale: “Il giudice pronuncia sentenza

di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la

prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto

costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputa bile”. In

pratica una formula che richiama la precedente insufficienza di prove. Perché

Rocchi è ancora imputato?

Perché la sentenza che lo assolve è stata impugnata dalla Procura di Napoli. E,

in vista dell'appello, un aspetto certamente non secondario, è il trattamento

che, nel frattempo, è stato riservato dalla Corte con la sentenza dell'8

novembre: Bergamo, Pairetto, Mazzini e Lotito, i coimputati di Rocchi, sono

stati tutti condannati. In particolare Lotito che, guarda caso, rispondeva di

frode sportiva solo in relazione a Chievo-Lazio, la partita di Rocchi. Si è

visto affibbiare una pena di un anno e due mesi (oltre a 25 mila euro di multa)

che lo ha fatto decadere da tutte le cariche: quella di presidente della

Lazio, di consigliere di Lega e di consigliere federale, in base alle norme

interne della Figc, peraltro contestate dallo stesso Lotito e da altri

presidenti di club.

ROCCHI, dunque, non solo non fu sospeso all'epoca della deflagrazione dello

scandalo (e, in quel caso, Nicchi non c'entra), ma nemmeno dopo (e questa

volta Nicchi c'entra). Davvero al presidente dell'Aia e al designatore,

Braschi, sembra opportuno contare su un arbitro che domenica ha diretto il

Milan, cioè una società coinvolta nel processo sportivo di Calciopoli? Decenza,

più che etica e opportunità, esigerebbe il contrario.

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Mi pare che...

Dopo il flop del tavolo della pace

organizzerò il tavolo della verità

di LUCIANO MOGGI (Libero 16-12-2011)

Ci sembra abbastanza evidente, e ce ne dispiace, che Petrucci abbia fallito in

questo “tavolo della pace”: chiare appaiono le speranze mal risposte e anche

gli errori fatti. Il sì al tavolo da parte di Agnelli e Moratti doveva essere

preso per tale o poco più, non certo come remissione di posizioni

precostituite. Il resto è stato tutto molto confuso: l’elenco dei partecipanti,

chi doveva esserci ma non c’era, chi non si sapeva perché ci fosse, allo

stesso tempo le rassicurazioni che chi doveva sapere sapeva, con l’idea,

fattasi largo tra molti, che il capo del Coni avesse forse un asso nella

manica. E ragionando proprio sui dubbi, qualcuno si era convinto che non si

sarebbe affatto parlato dello scudetto 2006, poi l’indiscrezione clamorosa (e

fallace): Agnelli, a seguito di pressioni ricevute all’interno del club,

avrebbe fatto un passo indietro rispetto alle posizioni radicali di partenza.

Ciò che ne è venuto fuori sgombra il campo da queste supposizioni, esalta il

temperamento di Agnelli, rimuove le inquietudini del popolo bianconero,

dimostra che Petrucci ha portato avanti il tentativo senza avere nessuna carta

valida in mano. Il che significa che il presidente del Coni non ha pesato

adeguatamente gli strascichi di Calciopoli, che nessun tavolo potrà rimuovere

senza che sia fatta vera giustizia e senza che sia revocato lo scudetto 2006

all’ Inter.

Tutto inizia nel 2006

Ricordiamo i termini della questione: nel 2006 tra processi farsa,

intercettazioni sparite o dirette in un’unica direzione, il commissario della

Figc Guido Rossi interpreta a suo uso il parere di “saggi” da lui nominati e

trasferisce all’Inter lo scudetto di quell’anno, senza preoccuparsi del

conflitto d’interessi che nasceva dalla carica di componente del Cda che aveva

ricoperto all’interno del club nerazzurro; giustificando quel regalo con

presunti valori etici che l’Inter avrebbe avuto, e c’era già invece una

condanna per il club e un suo dirigente per falsificazione dei documenti di

Recoba. Sono passati degli anni ed è occorso un improbo lavoro prima che la

verità venisse alla luce, mettendo allo scoperto, con le intercettazioni

ritrovate, i comportamenti tenuti dalla dirigenza dell’Inter, da Facchetti e

Moratti, punibili per illecito sportivo, mai addebitato alla Juve, per la

quale dovette essere inventato addirittura un illecito strutturale. La

configurazione di questi illeciti è stata fatta dal Procuratore Palazzi al

termine di un’inchiesta sulle nuove fonti di prova ma non si è potuto

procedere ai rinvii a giudizio per prescrizione. Intanto in quei giorni il

presidente della Figc Abete aveva detto che «l’etica non va in prescrizione»,

suggerendo a Moratti di rinunciarvi, ricavandone quasi sberleffi. La Juve

allora si muove, chiede che lo scudetto 2006 venga revocato, e a quel punto si

scopre che tutti sono incompetenti.

Ora è il caso di parlare chiaro: se l’etica non va in prescrizione e lo

scudetto 2006 è nella bacheca dell’Inter solo per prescrizione, è evidente che

non può rimanerci per cui Abete, invece di inventarsi nuovi gradi di giudizio,

avrebbe dovuto assumere un semplice provvedimento conseguenziale. Non succede

invece niente, Petrucci non fa un passo e Moratti con tono sarcastico ci mette

del suo, quello scudetto non lo restituirà mai.

Chi ci sta?

In conclusione Petrucci fallisce un po’ per sopravvalutazione del suo ruolo,

sicuramente per colpe non sue ma di Abete e di Moratti, il primo colpevole di

non aver adottato una semplice revoca avallando anzi un modo di procedere del

tutto abnorme da parte della Figc, il secondo perché avendo capito il gioco,

non ha voluto restituire uno scudetto che non gli appartiene, né sul campo, nè

fuori, perché dovunque la collochiamo, l’etica non abita in casa nerazzurra.

Abete definisce la Figc «un organo super partes» e poi sproloquia di

«coscienza a posto», e di «buona fede e trasparenza». Se la trasparenza è il

sotterfugio usato per adottare e poi nascondere la radiazione già comminata e

poi cancellata a Preziosi, Abete dovrà misurarsi proprio con quella coscienza

che ritiene a posto. Non è un palazzo di vetro la Federcalcio, va avanti per

decisioni di cui forse si vergogna, tanto che le nasconde.

Visto e sentito quanto successo con il “tavolo della Pace”, noi ne proponiamo

un altro, “Quello della Verità” al quale far sedere i Sig. Guido Rossi, Franco

Baldini, Giancarlo Abete, Auricchio e Narducci da una parte, il sig. Moggi

Luciano dall’altra assieme alle tante intercettazioni che sono state rinvenute

nonostante... Attendiamo conferma delle adesioni per fissare data e ora.

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CALCIOPOLI CLAMOROSO RETROSCENA

«I provvedimenti potevano

avere contenuti diversi»

Il testo finale condiviso da Agnelli e Moratti

smentiva chiaramente le sentenze del 2006

Il delicato lavoro del Coni ha portato le parti a un passo dalla

pacificazione. Una missione che proseguirà. Petrucci: «Agnelli è una bella

persona, lavora per il bene della Juve e di tutto il calcio italiano»

di ALVARO MORETTI (Tuttosport 16-12-2011)

eccoildoc.jpg

ROMA. «...Convinti che il fenomeno chiamato Calciopoli - contraddistinto da

comportamenti deliberati o solo indotti da clima di quel periodo e a

prescindere dalle sentenze e dalle decisioni sin qui assunte dagli organi

competenti - rappresenta nel suo insieme il periodo più oscuro nella storia

del calcio italiano considerato che gli stessi organi federali di allora

seguirono le logiche condizionate dal momento, adottando in qualche caso

provvedimenti che in circostanze diverse e con analisi più complete e

approfondite, avrebbero potuto avere forme e contenuti differenti». 484

caratteri (il cuore del comunicato), virgolette escluse, che avrebbero fatto

la rivoluzione, non la revisione di Calciopoli: è il testo finale del

comunicato congiunto che Gianni Petrucci voleva e poteva far firmare alle

parti al tavolo politico (perché la pace ci può essere solo se c’è giustizia).

Aveva ragione, Diego Della Valle primogenitore dell’idea del tavolo: la parola

“frettoloso” accanto al riferimento ai processi sportivi del 2006 manca,

eppure proprio quel termine e il sostantivo da cui deriva l’aggettivo,

«fretta» è stato il leit motiv della convention di 300 minuti al Coni. Un leit

motiv condiviso, anche implicitamente da tutti gli astanti. La parola

«frettoloso» non l’avrebbe firmata mai, Moratti, perché le parallele senza

convergenza possibile sono sembrate quelle del patron interista e del suo ex

consigliere d’amministrazione in nerazzurro e amico, Diego Della Valle. Che è

imbelvito da questa estate per la scoperta di telefonate sparite fino alla

prescrizione, di baffi spuntati e tagliati prima del loro inserimento in

quelle informative che hanno inchiodato anche la sua Fiorentina. E lasciato a

goderne Inter, Roma e Messina. Va fatta un’esegesi, però, di quelle 7 righe

dattiloscritte che Tuttosport è in grado di fornirvi nella versione definitiva

eppure abortita al Tavolo. Va anche radicata, ogni singola frase, nella storia,

riletta alla luce di quanto successo prima, durante e dopo il periodo

maggio-luglio 2006. Ricordando sempre la figura centrale nella vicenda di

Guido Rossi .

«NEL SUO INSIEME» Dopo l’intro che certifica il fatto che di Calciopoli si

tratti, e che intende diversificare il tipo delle responsabilità e dei

comportamenti («deliberati o solo indotti») e delle sentenze rese (con

relative decisioni, anche quella dello scudetto 2006), la prima svolta

semantica partorita dal Coni di fronte alla federazione protagonista e

interessata (al tavolo c’erano Abete e il dg Valentini ). Quel periodo «nel

suo insieme» rappresenta la pagina più oscura nella storia del calcio

italiano: nel suo insieme ricomprende - oltre ai fatti sanzionati: perché la

Juve ha scontato! - il modo in cui si indagò, in cui si esclusero indizi di

prova per un processo purificatore del calcio tutto, si selezionò. Rileggetevi

interrogatori (cfr. Bergamo all’Ufficio indagini, 8 giugno 2006: «Parlavo con

tutti» e fa i nomi), interviste come quelle di Tavaroli , Cipriani e Nucini

(maggio-giugno 2006: indagine in corso), passi delle stesse informative

(Bergamo parla con la Fazi di incontri con Moratti, Spinelli e con Pairetto

dei rapporti con Governato emissario di Corioni ).

«LOGICHE DEL MOMENTO» Altro passaggio che deve far mangiare le mani a

qualcuno - rileggendo oggi il ricorso al Tar della Juve dell’agosto 2006 (i

riferimenti del professor Vinti ad altre telefonate non disponibili per

difendersi era chiarissimo) - è quello in cui si scrive che gli «stessi organi

federali», ovvero il professor Guido Rossi e la macchina messa su in fretta

con le nomine al volo di giudici o investigatori utilizzati quasi solo per

Calciopoli, «seguirono le logiche condizionate dal momento». E come non

ricordare, allora, che nel 2006 Mario Serio , professore di diritto e membro

della Corte federale, scrisse le condanne del 2006 e le giustificò dicendo:

«Abbiamo cercato di interpretare un sentimento collettivo, abbiamo ascoltato

la gente comune e provato a metterci sulla stessa lunghezza d’onda». Erano

parole del 2006 quando Moratti, allora, diceva del commissario Rossi «è

interista e ha fatto parte della nostra società. Meglio, essere interista è

garanzia di onesta, non certo motivo di imbarazzo». Le logiche del momento

sono quelle che facevano sembrare giusto tutto questo, perché non si era

indagato e approfondito e si dava per scontato che il punto 20 del parere dei

tre saggi impalmasse l’Inter, quando invece la esponeva alla contro-indagine

condotta da Tuttosport fin dal 2007. E che la Juve oggi venga vista in ben

altra luce lo attestano proprio le parole di Petrucci nei confronti del suo

presidente: «Andrea Agnelli ha sempre agito nell’interesse, certamente della

Juve, ma anche dello sport italiano. Lo sto conoscendo bene in questi giorni,

è una bella persona».

«CONTENUTI DIFFERENTI» Alla faccia di chi critica Palazzi per aver indagato

nel 2010 - con tempi lunghi e diversi, con garantismo sulle fonti diverso dal

2006 - sui fatti ascritti all’Inter, ma anche a Cagliari, Livorno, Udinese,

Chievo, Palermo, Brescia, Empoli ecco il passaggio finale del documento che

rivede implicitamente Calciopoli, che la “attualizza” stando alla definizione

dell’Alta Corte presso il Coni. «In qualche caso» - si scrive - sono stati

adottati «provvedimenti (sentenze, effetti anche sul mercato oltre che sulla

classifica, ndr) che in circostanze diverse e con analisi più complete e

approfondite» cioè con tutte le telefonate, le società e i tesserati a

disposizione nel processo sportivo «avrebbero potuto avere forme e contenuti

differenti». Quello che teorizziamo dalla scoperta delle telefonate interiste:

se l’esclusività del rapporto coi designatori era il presupposto “associativo”

e dunque il motivo della enorme sanzione a carico della Juve, le telefonate

sulle griglie e gli interventi sugli arbitri di altri impuniti fanno cadere il

presupposto. E le mancanze (negate) della Federazione di Guido Rossi, al quale

s’è aggrappato Abete il 18 luglio ultimo scorso, sono al centro di questo

documento, che non sarà stato firmato, che sarà criptico, ma che esiste, è

vivo e lotta insieme a noi.

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Per le frasi dette in tv

Facchetti jr querela Moggi

Chiesto il rinvio a giudizio

art.non firmato (CorSera 16-12-2011)

MILANO— Il giudice del Tribunale di Milano Paola Di Lorenzo ha fissato per il

7 febbraio 2012 l’udienza preliminare sulla richiesta di rinvio a giudizio

depositata dal pm Elio Ramondini, dopo la querela presentata da Gianfelice

Facchetti contro Luciano Moggi, accusato di aver diffamato il padre, Giacinto,

ex presidente dell’Inter, durante la trasmissione di Sportitalia «Notti

magiche». L’episodio si riferisce alla puntata del 23 ottobre 2010. Luciano

Moggi, affermando di rivolgersi a Zanetti, aveva detto: «... Quello che emerge

dal processo di Napoli e quello che emergerà ancora, cioè le telefonate del

tuo ex presidente che riguardano le griglie e la richiesta a un arbitro di

vincere la partita di Coppa Italia con il Cagliari, e l’arbitro era Bertini.

Ci sono le telefonate intercettate sue, le telefonate di Moratti e la

telefonata di imbarazzo di Bertini, i pedinamenti e le intercettazioni

illegali, i passaporti falsi e quindi stai zitto, Zanetti: è meglio per te ed

è meglio per l’Inter». Gianfelice Facchetti aveva deciso di querelare e ora è

venuto il momento del primo confronto in tribunale.

___

DIFFAMAZIONE

Facchetti junior contro Moggi in tribunale

art.non firmato (GaSport 16-12-2011)

Il giudice del Tribunale di Milano Paola Di Lorenzo ha fissato per il 7

febbraio 2012 l'udienza preliminare relativa alla richiesta di rinvio a

giudizio depositata dal pubblico ministero Elio Ramondini dopo la querela

presentata da Gianfelice Facchetti contro Luciano Moggi, accusato di aver

diffamato lo scomparso Giacinto, presidente dell'Inter, nel corso di una

trasmissione televisiva andata in onda sui canali di Sportitalia.

L'episodio che ha determinato il risentimento di Facchetti jr è accaduto

nella puntata del 23 ottobre del 2010 di «Notti magiche». Luciano Moggi,

affermando di rivolgersi a Zanetti, aveva detto tra l'altro: «.. . Quello che

emerge dal processo di Napoli e quello che emergerà ancora, cioè le telefonate

del tuo ex presidente che riguardano le griglie e la richiesta a un arbitro di

vincere la partita di Coppa Italia con il Cagliari, e l'arbitro era Bertini.

Ci sono le telefonate intercettate sue, le telefonate di Moratti e la

telefonata di imbarazzo di Bertini, i pedinamenti e le intercettazioni

illegali, i passaporti falsi e quindi stai zitto Zanetti è meglio per te ed è

meglio per l'Inter».

Gianfelice ritenendosi offeso, sporse querela a tutela della onorabilità del

padre e al termine dell'iter processuale siamo giunti al primo confronto in

tribunale.

___

L’ALTRO FRONTE

Moggi davanti ai pm per offese a Facchetti

di STEFANO PASQUINO (Tuttosport 16-12-2011)

MILANO. Nuovo capitolo della battaglia legale tra la famiglia Facchetti e

Luciano Moggi. L’ex dg della Juventus è stato invitato a comparire dal pm per

aver offeso la reputazione dell’ex presidente dell’Inter (con annessa recidiva)

nella trasmissione tv “Notti Magiche” del 23 ottobre 2010. Il provvedimento è

scattato per una frase pronunciata da Moggi rivolta a Javier Zanetti, capitano

dell’Inter: «... Quello che emerge dal proceso di Napoli e quello che emergerà

ancora. Le telefonate del tuo ex presidente che riguardano le griglie e la

richiesta a un arbitro di vincere la partita di coppa Italia col Cagliari e

l’arbitro era Bertini. Ci sono le telefonate intercettate sue (ovvero di

Facchetti, ndr), le telefonate di Moratti e la telefonata di imbarazzo di

Bertini, i pedinamenti e le intercettazioni illegali, i passaporti falsi e

quindi stia zitto Zanetti. È meglio per te e per l’Inter. . . ». L’udienza

preliminare in relazione alla richiesta di rinvio a giudizio depositata dal pm

si terrà il 7 febbraio negli uffici del palazzo di Giustizia di Milano.

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Calciopoli Le ferite restano, il patron viola invita l’ex commissario a uscire allo scoperto

Della Valle dopo il tavolo

«Ora Rossi dica tutto»

La replica: parlano le sentenze sportive e penali

di FABIO MONTI (CorSera16-12-2011)

MILANO — Il giorno dopo il tavolo della pace mancata, l’azionista di

riferimento della Fiorentina, Diego Della Valle, ha voluto ringraziare il

presidente del Coni, Gianni Petrucci, per aver cercato di superare i contrasti

legati a Calciopoli e ha chiamato direttamente in causa Guido Rossi, già

commissario della Figc da metà maggio a metà settembre 2006, dopo le

dimissioni di Franco Carraro. A Roma, mercoledì, per una riunione durata

quattro ore e 36 minuti, si erano ritrovati insieme con Petrucci e il

segretario Pagnozzi (Coni), Abete, presidente della Figc e il d. g. Valentini

più Agnelli (Juve), De Laurentiis (Napoli), Della Valle (Fiorentina), Galliani

(Milan) e Moratti (Inter).

Questo il comunicato firmato da Della Valle: «In merito all’incontro avuto

mercoledì nella sede del Coni, voglio ringraziare il presidente Petrucci per

l’invito e per il tentativo di pacificazione che, anche se non ha raggiunto

l’obbiettivo desiderato, ha comunque aperto un percorso. Come ho detto

personalmente a lui e alle persone presenti, la condivisa volontà di tutti nel

voler pacificare gli animi deve prima passare attraverso una analisi chiara e

onesta di quanto a suo tempo accaduto. Serve che i protagonisti di allora

facciano pubblicamente chiarezza. Per quanto mi riguarda è Guido Rossi primo

tra tutti che deve pubblicamente spiegare che cosa è realmente accaduto allora,

assumendosi le proprie responsabilità. È lui che ha il dovere di ricostruire

i fatti e darne spiegazione pubblica a tutti quelli che vogliono conoscere la

verità».

La riposta di Guido Rossi non si è fatta attendere. Un’ora dopo ha detto

attraverso l’Ansa: «Adempio volentieri all’invito di Della Valle. Calciopoli è

in ambito sportivo quanto accertato dalla giustizia federale e da quella del

Coni; in ambito penale quanto deciso dalla magistratura penale; in ambito

amministrativo quanto pronunciato dalla giustizia amministrativa. Il rispetto

nelle istituzioni e nel loro corretto operare mi esime da ulteriori commenti.

La mia personale esperienza è comunque stata in ogni caso dettagliatamente

illustrata in Parlamento e al presidente del Coni, Gianni Petrucci».

La posizione di Della Valle era già emersa durante e dopo il vertice di

mercoledì, quando l’azionista della Fiorentina aveva spiegato: «Sto ancora

aspettando di capire perché la mia famiglia e lamia società sono stati

coinvolti in una storia in cui siamo vittime e non colpevoli». In questo senso,

si era discusso della possibilità di inserire nel documento, che si stava

cercando di elaborare, un riferimento alla frettolosità della giustizia

sportiva. Una soluzione che aveva trovato l’opposizione da parte dei vertici

dello sport italiano, per convinzione istituzionale e perché avrebbe aperto la

strada a rivendicazioni di ogni tipo, soprattutto da parte di chi a quel

tavolo non era seduto. Abete, invece, aveva sottolineato in privato (nella

riunione al Coni) e in pubblico (dopo il vertice), che le decisioni prese

durante Calciopoli erano avvenute nella prima fase del regime commissariale e

non con un Consiglio federale insediato, visto che lui era stato eletto

soltanto il 2 aprile 2007. Le parole di ieri sera del prof. Rossi non

sorprendono, perché il 7 dicembre a Milano, aveva detto: «Sono stufo di queste

cose. Quello che è successo nell’estate 2006 ormai è storia».

___

DOPO IL VERTICE AL CONI

Il numero uno della Fiorentina torna sul tavolo della pace per chiarire il suo punto di vista. E scaturisce un botta e risposta

Scontro Della Valle-Guido Rossi

Il patron viola: «Su Calciopoli è lui che deve chiarire». L’ex commissario: «Parlano le sentenze»

di ALESSANDRO RIALTI (CorSport 16-12-2011)

FIRENZE - La sua battaglia comunque non è certo finita, tumulata su quel

tavolo traballante; la continuerà ancora, laddove possibile, Diego Della

Valle. Ieri era amareggiato per aver visto da alcune parti interpretazioni

secondo le quali quel tavolo della conciliazione sarebbe saltato proprio per

la sua posizione dura, intransigente. Una lettura che lo ha irritato e così

ieri sera ha fatto diramare dalla Fiorentina questo comunicato: «In merito

all’incontro avuto ieri nella sede del Coni voglio ringraziare il Presidente

Petrucci per l'invito e per il tentativo di pacificazione che anche se non ha

raggiunto l'obbiettivo desiderato ha comunque aperto un percorso. Come ho

detto personalmente a lui e alle persone presenti ieri la condivisa volontà di

tutti nel voler pacificare gli animi deve prima passare attraverso una analisi

chiara e onesta di quanto a suo tempo accaduto. Serve che i protagonisti di

allora facciano pubblicamente chiarezza. Per quanto mi riguarda è Guido Rossi

primo tra tutti che deve pubblicamente spiegare che cosa è realmente accaduto

allora assumendosi le proprie responsabilità. E' lui che ha il dovere di

ricostruire i fatti e darne spiegazione pubblica a tutti quelli che vogliono

conoscere la verità» .

La risposta dell'ex commissario della Figc è arrivata in tarda serata

all'Ansa. «Adempio volentieri all'invito di Della Valle. Calciopoli è in

ambito sportivo quanto accertato dalla giustizia federale e da quella del Coni;

in ambito penale quanto deciso dalla magistratura penale; in ambito

amministrativo quanto pronunciato dalla giustizia amministrativa. Il rispetto

nelle istituzioni e nel loro corretto operare mi esime da ulteriori commenti.

La mia personale esperienza è comunque stata in ogni caso dettagliatamente

illustrata in Parlamento e al presidente del Coni, Gianni Petrucci» .

L’ARGONAUTA - Lo scontro con Rossi è oramai datato dal 2006, nei momenti di

massima battaglia quando si arrivò alle penalizzazioni per Calciopoli ed è

stato senza esclusione di colpi, Della Valle lo indicò senza farne il nome e

indicandolo come... l’Argonauta : «Rossi parla, disse l’allora presidente

onorario del club viola, come uno che vive tra la Nazionale e Dio. . . » . E

Rossi subito dopo replicò: «Sto in alto per non sentire il raglio degli

asini» . E ancora Della Valle: «Il calcio va riscritto da chi conosce il

pallone non da un avvocato di 75 anni, travolto da una passione senile per un

mondo che di colpo gli ha dato un’immensa popolarità» .

VERITA’ ALLA GENTE - Ma per Della Valle quella che reputa un’indispensabile

chiarificazione non deve restare nel salotto buono del calcio, non deve essere

una sorta di abbraccio generale fra ex contendenti, bensì una elemento di

verità per la gente, per i tifosi, per tutti i tifosi che da quella vicenda

sono usciti con ferite che ancora oggi non sono state suturate. Da qui la

richiesta a Guido Rossi di fare pubblica chiarezza , per storicizzare quella

vicenda, solo così davvero tutto potrà essere tumulato. Il calcio, continua a

insistere da tempo mister Tod’s, ha bisogno di una rifondazione, ma deve

ripartire su basi di verità. Ci vogliono fondamenta solide, basi forti che non

possono coesistere ancora i tarli di una mancata verità.

___

Tavolo, prove di riapertura

E Della Valle attacca Rossi

«E' lui che deve spiegare». L'ex commissario: «Parlano le sentenze»

Petrucci loda Agnelli: «Una bella persona». Si lavora per ricucire

di MAURIZIO GALDI & VALERIO PICCIONI (GaSport 16-12-2011)

Petrucci elogia Agnelli. Della Valle ringrazia Petrucci e attacca Guido Rossi.

Guido Rossi ribatte dicendo che parlano le sentenze. Sintesi della giornata

che balla fra i segnali di riapertura del tavolo della pace non trovata

mercoledì e il botta e risposta fra il proprietario della Fiorentina e l'ex

commissario federale su calciopoli: perché le telefonate degli «altri», Inter

in primis, non furono tirate fuori?

Guido Rossi, ci spieghi Fino al tardo pomeriggio, sono i toni soft di

Petrucci a prendersi la copertina. Poi Diego Della Valle diffonde un

comunicato. Ringrazia il numero del Coni «per l'invito e per il tentativo di

pacificazione». E spiega il suo atteggiamento fra i nove: «Come ho detto

personalmente a lui e alle persone presenti la condivisa volontà di tutti nel

voler pacificare gli animi deve prima passare attraverso una analisi chiara e

onesta di quanto a suo tempo accaduto. Serve che i protagonisti di allora

facciano pubblicamente chiarezza». I protagonisti, ma soprattutto uno: «Per

quanto mi riguarda è Guido Rossi primo tra tutti che deve pubblicamente

spiegare che cosa è realmente accaduto. E' lui che ha il dovere di ricostruire

i fatti e darne spiegazione pubblica a tutti quelli che vogliono conoscere la

verità».

«Parlano le sentenze» Guido Rossi risponde a stretto giro di agenzia l'Ansa.

Già a luglio aveva inviato un fax in federcalcio per dire «noi di quelle

telefonate non sapevamo niente». Poi il procuratore capo di Napoli

Giandomenico Lepore aveva detto: «Demmo tutto a Rossi e a Borrelli». Chiarendo

comunque che «le telefonate dell'Inter non erano penalmente rilevanti». Rossi

sceglie una reazione didascalicamente «istituzionale»: «Adempio volentieri

all'invito di Della Valle. Calciopoli è in ambito sportivo quanto accertato

dalla giustizia federale e da quella del Coni; in ambito penale quanto deciso

dalla magistratura penale; in ambito amministrativo quanto pronunciato dalla

giustizia amministrativa. Il rispetto nelle istituzioni e nel loro corretto

operare mi esime da ulteriori commenti. La mia personale esperienza è comunque

stata in ogni caso dettagliatamente illustrata in Parlamento e al presidente

del Coni, Gianni Petrucci».

«Agnelli bella persona» Già, Petrucci. Che è ripartito da Torino, dov'era

impegnato con Carraro e Pagnozzi in un incontro con il sindaco Fassino per la

candidatura del capoluogo piemontese a capitale europea dello sport. Petrucci

non s'è alzato dal tavolo. Inondando di lodi Andrea Agnelli. «In questi ultimi

giorni ha sempre agito nell'interesse certamente della Juve ma anche dello

sport italiano. Lo sto conoscendo bene in questi giorni, è veramente una bella

persona e lui alla Juventus farà bene, perché oltre che un grande amore ha una

grande sensibilità umana». La sensazione è che lo stato d'animo del presidente

del Coni sia cambiato in queste ore: non tutto è perduto, ipotesi irrobustita

da qualche telefonata con i diversi protagonisti. Insomma, la fumata nera di

mercoledì, ieri s'è ingrigita. Ma per arrivare al bianco dovranno esserci

diversi altri segnali. E forse qualche altro botta e risposta.

___

Il falco Della Valle contro Guido Rossi

"Spieghi cosa è successo su Calciopoli". La replica. "Parlano le sentenze"

di FULVIO BIANCHI (la Repubblica 16-12-2011)

Il giorno dopo il fallimento del tavolo della pace, ecco che i veleni di

Calciopoli tornano prepotentemente a galla. Diego Della Valle, patron della

Fiorentina, sicuramente fra i protagonisti più vivaci mercoledì al Coni,

attacca l´ex commissario Figc, Guido Rossi. «Deve spiegare cosa è realmente

accaduto, assumendosi le proprie responsabilità». Pronta la replica del

Professore, seccatissimo, che ricorda le sentenze già emesse: «Adempio

volentieri all´invito di Della Valle. Calciopoli è in ambito sportivo quanto

accertato dalla giustizia federale e dal Coni; in ambito penale quanto deciso

dalla magistratura penale; in ambito amministrativo quanto pronunciato dalla

giustizia amministrativa. Il rispetto nelle istituzioni e nel loro corretto

operare, mi esimono da ulteriori commenti. La mia personale esperienza è

comunque stata in ogni caso dettagliatamente illustrata in parlamento e al

presidente del Coni, Gianni Petrucci». Il processo sportivo ha sancito la

responsabilità di Andrea e Diego Della Valle (condannati a 1 anno e un mese di

sospensione l´uno e 8 mesi l´altro) e della Fiorentina (che nel 2007 perse la

Champions League e partì da -15 in campionato); mentre quello penale ha visto

la condanna di entrambi i Della Valle a un anno e tre mesi di carcere.

E proprio Diego Della Valle, al tavolo Coni, era stato in prima fila per

respingere il documento scaturito dal lungo vertice perché si aspettava una

presa di posizione netta contro l´intero percorso di Calciopoli e soprattutto

contro quelle che lui considera «condanne-farsa» del 2006, con il

coinvolgimento del suo club. Più conciliante invece la posizione di Andrea

Agnelli e Massimo Moratti nel sottoscrivere il testo "soft" studiato a lungo e

preparato da Petrucci e Pagnozzi, tanto che ieri, a Torino, il n.1 del Coni ha

avuto parole di forte elogio nei confronti del presidente bianconero. Ma Della

Valle è stato intransigente, così come ribadito ieri: «Ringrazio Petrucci, ma

la condivisa volontà di tutti nel voler pacificare gli animi deve prima

passare attraverso una analisi chiara e onesta di quanto a suo tempo accaduto.

Serve che i protagonisti di allora facciano pubblicamente chiarezza. Per

quanto mi riguarda è Guido Rossi primo tra tutti che deve pubblicamente

spiegare che cosa è realmente accaduto allora assumendosi le proprie

responsabilità. È lui che ha il dovere di ricostruire i fatti e darne

spiegazione pubblica a tutti quelli che vogliono conoscere la verità».

Registrata la replica di Rossi, non resta che darsi appuntamento alla prossima

puntata del tormentone Calciopoli. Che è prevista per febbraio, quando il

tribunale di Napoli depositerà le motivazioni della sua decisione. Nell´attesa,

un altro rinvio a giudizio per Moggi: «Diffamò Facchetti».

___

IL COMUNICATO DEL PATRON VIOLA

Della Valle: «Guido Rossi dica la verità»

L’ex commissario replica: «Parlano le sentenze». E’ fermo al 2006

di ALVARO MORETTI (Tuttosport 16-12-2011)

ROMA. Il nome che non c’è nel documento pensato al Tavolo Politico è quello

del personaggio chiave: Guido Rossi, il commissario Figc dei giorni di

Calciopoli, è sempre stato assai parco di spiegazioni sul fatto che nel 2006

nulla si sapesse e pensasse delle responsabilità di altri club, a partire

dall’Inter della quale è stato consigliere d’amministrazione. Diego Della

Valle con un comunicato durissimo lo invita e costringe ad uscire allo

scoperto: altro che lettera di malleva consegnata ad Abete per avvalorare la

scelta di incompetenza sullo scudetto dato all’amica Inter.

«ROSSI, PARLA» Della Valle va al cuore delle liti: «In merito all’incontro

avuto ieri nella sede del Coni voglio ringraziare il Presidente Petrucci per

l’invito e per il tentativo di pacificazione che anche se non ha raggiunto

l’obbiettivo desiderato ha comunque aperto un percorso - scrive Della Valle -.

Come ho detto personalmente a lui e alle persone presenti ieri la condivisa

volontà di tutti nel voler pacificare gli animi deve prima passare attraverso

una analisi chiara e onesta di quanto a suo tempo accaduto. Serve che i

protagonisti di allora facciano pubblicamente chiarezza. Per quanto mi

riguarda è Guido Rossi primo tra tutti che deve pubblicamente spiegare che

cosa è realmente accaduto allora assumendosi le proprie responsabilità. E’ lui

che ha il dovere di ricostruire i fatti e darne spiegazione pubblica a tutti

quelli che vogliono conoscere la verità».

LUI PARLA E NON DICE Guido Rossi risponde attraverso l’ Ansa, glissando sugli

atti mancati e su quanto emerso nel 2010, proprio quello che oggi viene messo

in discussione. Risponde oggi come fosse il 2006, al solito il professore.

«Adempio volentieri all’invito di Della Valle. Calciopoli è in ambito sportivo

quanto accertato dalla giustizia federale e da quella del Coni; in ambito

penale quanto deciso dalla magistratura penale; in ambito amministrativo

quanto pronunciato dalla giustizia amministrativa. Il rispetto nelle

istituzioni e nel loro corretto operare mi esime da ulteriori commenti. La mia

personale esperienza - conclude Guido Rossi - è comunque stata in ogni caso

dettagliatamente illustrata in Parlamento e al presidente del Coni, Gianni

Petrucci». Ma Rossi aveva detto, 10 giorni fa: «Non sapevo niente delle

telefonate dell’Inter (e i suoi inquirenti chiedevano? Ndr). Le telefonate

dell’Inter ? Non le conosco. Io sono stufo di questa cosa e quelli che dicono

queste s********e vanno fatti tacere (come? Ndr). In ogni caso non sarebbe

cambiato nulla, da quello che so io». Bastava chiedere ad Auricchio o anche ai

pm del teste Coppola, interrogato il 20 maggio 2006.

PETRUCCI-ROSSI Un capitolo a parte, però, su questo lo merita Petrucci: con

mille spinte politiche, individuò Rossi come commissario a maggio 2006; ma è

sempre Petrucci che si impose - con la forza - perché recedesse il 19

settembre 2006 dall’idea di fare il commissario Figc e insieme il presidente

della Telecom, in pieno affaire Tavaroli (arrestato il 20 settembre 2006).

Alla luce dei fatti emersi, decisione tra le più sagge di sempre, quella del

19 settembre. Riflessa nel documento del 14 dicembre. Che nelle parti

anti-Rossi non piaceva a Moratti, ovviamente.

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Lamentismo, le origini del tifo interista

di ANTONIO CASTALDO dal blog "GIORNALISTI NEL PALLONE" 16-12-2011

Le origini del tifo interista si fanno risalire al 673 a. C. Lo

testimonierebbe un frammento attribuito al lirico della Magna Grecia

Archiloco di Nocera Inferiore, rinvenuto di recente dal filologo

portoghese José Mortinho in uno scantinato di via Turati.

La breve strofa, che farebbe parte di un più vasto poema composto da

3. 675 quartine, richiama uno dei caratteri distintivi della fede

interista. Innanzitutto il lamentismo, che come già indicava Lotario

Momsen, è il pattern distintivo dei nipotini di Rummenigge. Ma anche

l’inguaribile e ingiustificato slancio ottimistico, che si riaccende

ad ogni minimo segnale di vitalità. Di seguito i versi giambici

scampati alle avversità della storia.

O tu fanciullo dai modi tristi e con la sciarpa nerazzurra,

non ti esaltare in modo aperto,

né vinto, devi gemere prostrato nella tua casa

Gioisci delle rare conquiste e delle batoste in gran copia incassate

affliggiti, ma senza eccedere

e soprattutto senza abbuffare l’altrui guallera

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Gli ultrà invadono

i forum del calcio

Minacciano pestaggi e il “furto

dello striscione” avversario

Sono frutto di un tifo sempre

meno organizzato, sul modello

degli hoolingan (sic!) inglesi

di NICOLA BOCCOLA (Il Fatto Quotidiano - Saturno 16-12-2011)

QUESTI SITI generalisti sono più popolari dei siti ufficiali dei club

arrivando al 1. 200. 000 visitatori mensili e ai 75 mila iscritti di

ƔecchiaŞignora; il business è quello della pubblicità, affidata a Google

Adsense che veicola imprese locali o scommesse sportive. Per le squadre

maggiori, come nel caso di Milan e Napoli, si assiste alla proliferazione di

siti non ufficiali, mentre i siti non ufficiali singolarmente dedicati a

squadre minori, come Solobari. it, sono in numero più ridotto e registrano

molti più utenti.

Sui siti non ufficiali la conversazione è molto più libera e c’è chi

riferisce di avvistamenti di calciatori, con relative fantasiose ipotesi sullo

stile di vita, ci sono le soffiate sulle notti brave di Ronaldinho a Milano

seguite con feroce passione, mentre l’ex nazionale italiano Langella ha dovuto

sopportare a lungo l’etichetta di etilista dopo che una sua memorabile caduta

per le scale, sotto i fumi dell’alcool, fu raccontata in un forum. In fase di

calciomercato c’è anche chi giura di aver visto quel calciatore avversario

visitare un appartamento o firmare un contratto di affitto nella propria città,

anticipando in qualche caso i giornalisti sportivi, per cui i forum sono una

preziosa risorsa. Gli avatar degli utenti spesso raffigurano nudità femminili

e sodomizzazioni di umanoidi con i colori sociali delle squadre rivali.

Nei forum, specie quelli di squadre di provincia, ci si esprime volentieri

nel dialetto locale, capace di cementare i sentimenti campanilistici di

appartenenza ed evitare di essere letti e capiti dai rivali (in particolare

quando si parla della scarse qualità di un giocatore sgradito in odore di

cessione). Le società hanno approcci molto diversi con i siti non ufficiali a

loro dedicati, leggendoli però sempre con attenzione per tastare il polso

della tifoseria; tra le più friendly l’Inter, che partecipa alle iniziative

premiando i giocatori più votati nei forum, e la Juventus. Stesso discorso per

i calciatori, che in qualche caso non esitano a iscriversi ai forum sotto

falso nome per riferire le proprie versioni sulle liti da spogliatoio. Le

sezioni più toste, dedicate al tifo organizzato, sono spesso accessibili solo

dagli utenti registrati: si dibatte di simpatie e rivalità con i diversi

gruppi ultrà, si narra la loro storia e quella dei relativi incontri /

scontri.

Le contrapposizioni nord-sud o regionali sono a monte, ma anche episodi

specifici di slealtà secondo la “mentalità ultrà”, che ad esempio osteggia gli

scontri molti contro uno. Non mancano gli apprezzamenti per le tifoserie

minori: sono valutate la capacità di portare molti supporter in trasferta

rispetto al blasone della squadra, mostrarsi compatti in curva (specie nelle

“sciarpate”) e cantare anche in caso di sconfitta. È in queste sezioni che i

moderatori devono operare il maggior sforzo di censura rispetto ai commenti

troppo forti degli utenti (« Gli facciamo l’agguato », « Li prendiamo a

mazzate », « Al ritorno gli rubiamo lo striscione », impresa molto ambita, e

così va): i forum sono controllatissimi dalla Digos, che negli anni passati si

basava su quanto scritto per prendere misure straordinarie di ordine pubblico.

È raro (ma possibile) che la polizia utilizzi i video pubblicati nei forum o

su Youtube per indagini sulle violenze perché preferisce utilizzare quelli

delle telecamere interne dello stadio o quelle della televisione per la

tempistica rapida nenecessaria a far scattare la fattispecie penale della «

flagranza differita ». I siti dedicati agli ultrà sono invece strutturati come

blog e più politicizzati, rivolgendosi ai membri di ogni fazione in nome delle

battaglie comuni, come quelle contro la tessera del tifoso e la polizia;

LaPadovaBene. is (is, ovvero il domino dell’Islanda dove curiosamente si trova

il loro server), uno dei più attivi, mostra in homepage news sugli scontri tra

ultrà e polizia in Spagna e Bulgaria, prima ancora delle notizie sulla propria

squadra. Lo conferma Lorenzo Contucci, avvocato penalista di riferimento per

gli ultrà e webmaster dal ‘ 99 di uno dei primi siti a loro dedicati,

AsRomaUltras. org. « Gli eventi tragici legati alle morti di Filippo Raciti,

l’ispettore di Polizia ucciso negli scontri tra ultrà del Palermo e del

Catania nel febbraio 2007, e Gabriele Sandri, l’ultrà della Lazio ucciso nel

novembre dello stesso anno – afferma Contucci – hanno acuito la frattura tra

ultrà e forze dell’ordine, e sono stati l’occasione per realizzare illiberali

sperimentazioni legislative, come la tessera del tifoso o l’arresto in

flagranza differita. Così gli ultrà stanno cominciando a disertare gli stadi

smembrando i loro tradizionali gruppi ». Si va verso il modello inglese degli

hooligan, che a differenza degli ultrà italiani sono cani sciolti, senza

alcuna struttura alle spalle e dunque meno controllabili. Secondo Contucci, i

violenti che disertano gli stadi cominciano a unirsi in bande di quartiere

fuori dal controllo dei gruppi di tifosi organizzati: « Anche il proliferare

dei forum e dei social network sta favorendo l’individualismo e le azioni

inattese, da non sottovalutare ». Il potere eversivo di questi fenomeni è noto

e può assumere aspetti più o meno pericolosi: dal famigerato nazionalismo ai

moti egiziani anti-Mubarak, partiti proprio dagli ultrà delle due squadre di

calcio del Cairo, lo Zamalek e l’Al-Ahly ». Contucci chiude: « Non mi piace il

calcio piegato agli interessi televisivi, come uno show mediatico americano.

Mi piace cantare sugli spalti: il mio più grande orgoglio è quello di aver

riscoperto un canto romanista degli anni ’ 30, la Canzone di Testaccio: l’ho

digitalizzato e caricato sul sito, e da allora è diventato un coro della Curva

Sud ».

Modificato da Ghost Dog

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Gli ultrà invadono

i forum del calcio

Minacciano pestaggi e il “furto

dello striscione” avversario

Sono frutto di un tifo sempre

meno organizzato, sul modello

degli hoolingan (sic!) inglesi

di NICOLA BOCCOLA (Il Fatto Quotidiano - Saturno 16-12-2011)

Sono un ultrà a mia insaputa.

--

Ghost Dog Scajola

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La sceneggiata del tavolo della pace

spia del malessere del nostro calcio

di GIUSEPPE CERETTI (Il Sole24ORE.com 16-12-2011)

Un deludente anche se del tutto prevedibile nulla di fatto. È finito nel

peggiore dei modi il tanto invocato tavolo della pace organizzato per porre

fine al clima avvelenato di Calciopoli.

Per volontà del presidente del Coni Petrucci si sono trovati in nove: sei

cosiddetti pacieri e tre contendenti, Agnelli, Moratti e Della Valle.

Un dialogo tra sordi: "Che giorno è? "Io faccio le 12: non è ora

d'andarsene?". Persone ragionevoli avrebbero chiuso la querelle da tempo.

Le registrazioni non entrate nel processo chiamano in causa lo scomparso

Giacinto Facchetti. Si tratta tuttavia di dialoghi inopportuni con il

designatore arbitrale, ma che nulla hanno da spartire con il sistema di

corruttela messo in atto da Moggi e soci. Quanto ai due principali contendenti,

il giovane rampollo della casata Agnelli dovrebbe finirla con la stucchevole

tiritera dei 29 scudetti, seguito da Massimo Moratti che dovrebbe per primo

lasciar perdere lo scudetto 2006, in omaggio al principio che, al di là delle

sentenze, qualsiasi risarcimento è meglio vada sancito entro il terreno di

gioco.

Pura fantascienza. Non accadrà mai perché quando c'è di mezzo il calcio ogni

elemento di razionalità viene bandito e scagliato in una sorta di calderone

alimentato dalle braci del tifo e nel quale bollono senza sosta vecchi

rancori. Perciò il calcio si trasforma in faida.

Vane sono dunque state le sollecitazioni, alla vigilia del confronto, a un

atto di responsabilità. C'è chi sostiene che tale atto sia impossibile perché

il calcio italiano è per definizione e a qualsiasi livello scontro, fazione

contro fazione, tifoseria contro tifoseria e la guerra di tutti contro tutti è

nel codice genetico di questo sport.

Il male procurato al pallone non è tuttavia nel mancato accordo tra

l'accolita di potenti che s'è ritrovata di mala voglia a Roma. Sono piuttosto

le risposte mai date ai tanti problemi irrisolti per i quali al contrario non

si aprono tavoli di qualsivoglia figura geometrica e in alcun luogo.

Quali? La legge sugli stadi, ferma da due anni in Parlamento che impedisce di

generare fatturato e benefici indotti, come dimostra l'unica e significativa

eccezione della Juventus; i criteri di ripartizione dei proventi tv; le norme

che disciplinano i trasferimenti dei calciatori; i campionati con troppe

squadre, dalla A alle Leghe e troppe società con i bilanci in disordine. Una

complessa situazione alla vigilia dell'applicazione delle regole finanziarie

che ci metteranno alla prova in Europa.

C'è di più. Sarebbe giusto che i signori del pallone s'occupassero di

questioni che riguardano la convivenza civile, che non è solo affare di

polizia di Stato e di repressione e che fossero i primi a condannare e

reprimere il razzismo imperante nelle curve italiane, che si riverbera con

bagliori sinistri nelle nostre città, dall'eccidio di Firenze all'assalto al

campo rom di Torino.

Non si contano poi le accorate lettere a direttori di quotidiani che

denunciano un clima violento e intollerante in molti stadi nei quali non è

rispettato il basilare diritto di sedersi al posto prenotato e pagato in nome

di una banale legge dello spettacolo. Il rispetto sembra dovuto in compenso

solo a regole assurde quanto spietate, come dimostrano i casi di punizioni

inflitte in tragiche circostanze, in nome del totem chiamato regolamento.

Invece questi signori si prestano all'oscena sceneggiata senza nulla offrire

e tornano in fretta a casa con i propri immutati, vecchi rancori. Tutti si

ritengono vittime di soprusi e sono in perenne attesa di risarcimenti, non

solo per via degli imbrogli di Calciopoli. C'è il famigerato sgambetto in area

che costò lo scudetto, il fallo di mano, il gol non gol: sono le figure

retoriche ripetute sino alla noia di un calcio incapace di cancellare i suoi

fantasmi e che vive in un progressivo e inarrestabile degrado su spalti

sovente infrequentabili per chi ama davvero questo sport.

N.B.

Il fascino è nella coda di questo turno di campionato con gli incontri di

domenica sera tra Lazio e Udinese e tra Napoli e Roma. Match clou nella

capitale dove arriva la capolista friulana, fresca della promozione ai

sedicesimi dell'Europa League. Un'eventuale vittoria di una delle due sarebbe

l'ulteriore smentita a chi pensa che la lotta per lo scudetto resti comunque

un affare tra Milan e Juve.

Napoli e Roma puntano al rilancio dei loro progetti. I partenopei, esaltanti

in Champions, cercano l'appoggio del San Paolo per non farsi staccare dal

gruppo di testa sempre più lontano. I giallorossi sono alla caccia di punti e

soprattutto di conferme sulla linea giovane del loro progetto e sulla bontà

del condottiero spagnolo.

Buon campionato a tutti.

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Carraro: «Calciopoli? La Juve sta sbagliando»

Tuttosport.com

«I bianconeri sbagliano a considerare nella propria bacheca 29 scudetti. Non fu Calciopoli ma "arbitropoli"»

ROMA - "Nel 2004 commisi un errore di politica sportiva, volevo sostituire Bergamo e Pairetto con Collina, il quale rimandò il passaggio a designatore. Avrei evitato lo scandalo, però mi dimostrai pigro". Si apre così l'intervista concessa da Franco Carraro alla trasmissione televisiva 'La Signora in Giallorosso' (la versione integrale andrà in onda questa sera alle 23 su T9). "Non fu Calciopoli, ma arbitropoli, almeno stando alle sentenze attuali - prosegue Carraro -. La responsabilità oggettiva è un male necessario nello sport: il comportamento dei dirigenti della Juve non offusca il valore della società, ma oggi i bianconeri sbagliano a considerare nella propria bacheca 29 scudetti. Così l'Inter potrebbe chiedere anche lo scudetto del rigore su Ronaldo e la Roma quello del fuorigioco di Turone. La Juve fa parte di un sistema, quindi gli scudetti sono 27".

GUIDO ROSSI - Il dirigente soprannominato 'Poltronissimo' torna sul Mondiale del 2006 e sulla gestione di Guido Rossi: "Con lui ammetto di non avere un rapporto idilliaco, però devo riconoscere che è stato in grado di far partire i campionati e ha portato fortuna al Mondiale. Dico fortuna, perchè quel torneo lo preparammo noi, anche attraverso rapporti internazionali che non erano finalizzati ad avvantaggiarci ma a non danneggiarci. Dopotutto Lippi, come Berzot, gli scelsi io".

LA ROMA AMERICANA - L'attuale commissario della Fisi, interpellato sulle vicende della Roma, ha ricordato il presidente Sensi come "l'uomo che con la sua famiglia ha investito e rimesso più soldi nella storia del calcio. I fenomeni oggi sono quelli che ci rimettono poco. Gli americani? Sarà interessante capire se riusciranno a fare in Europa come negli Usa: con lo sport non ci rimettono mai".

ALTRI SCANDALI - Il nostro Paese è destinato a vivere altri scandali? "Temo di sì - risponde Carraro -, e per questo suggerisco un rimedio: indagini cicliche a campione su dirigenti, calciatori e arbitri, in modo da farli sentire costantemente sotto controllo. Altrimenti siamo destinati ad altri scandali".

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PROCESSI SPORTIVI DELL’ESTATE 2006: DIEGO DELLA VALLE DENUNCIA GUIDO ROSSI

16/12/2011 20:08

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Diego Della Valle, a proposito dei processi sportivi legati allo scandalo di Calciopoli, ha rilasciato questa importantissima dichiarazione: “Ho conferito mandato ai miei legali di agire, nelle sedi competenti, nei confronti dell’allora Commissario Federale Guido Rossi e di altri per la gestione assunta dagli stessi durante il processo sportivo di Calciopoli celebrato nell’estate 2006. Le azioni legali verranno avviate per censurare i comportamenti assunti dagli stessi nella gestione del processo sportivo”.

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PROCESSI SPORTIVI DELL’ESTATE 2006: DIEGO DELLA VALLE DENUNCIA GUIDO ROSSI

16/12/2011 20:08

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Diego Della Valle, a proposito dei processi sportivi legati allo scandalo di Calciopoli, ha rilasciato questa importantissima dichiarazione: “Ho conferito mandato ai miei legali di agire, nelle sedi competenti, nei confronti dell’allora Commissario Federale Guido Rossi e di altri per la gestione assunta dagli stessi durante il processo sportivo di Calciopoli celebrato nell’estate 2006. Le azioni legali verranno avviate per censurare i comportamenti assunti dagli stessi nella gestione del processo sportivo”.

Bene così forse potremo scoprire chi ha raccontato bugie tra Rossi e Lepore.

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