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Socrates

Giuseppe Meazza

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1998 Upper Deck Juventus F C #16 Giuseppe Meazza Front | Giuseppe meazza,  Upper deck, Juventus

 

MEAZZA Giuseppe: La favola di Peppin il folbèr | Storie di Calcio

 

 

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Juventus Cisitalia 1942-1943 - Wikipedia | Juventus, Calciatori, Calcio

 

Mundial fútbol | Giuseppe Meazza: De jugar descalzo a bicampeón mundial

 

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Giuseppe Meazza (Itália) | Giuseppe meazza, Best football players, Football  photography

 

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Quién fue Giuseppe Meazza y por qué el estadio de Milan e Inter lleva su  nombre | Goal.com Argentina
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1198277041_Juventus1931.jpg.a58c7374b3ef22a4bf86f46e70d2ef4a.jpg GIUSEPPE MEAZZA  

 

Giuseppe Meazza - Tutti Gli Uomini Della Signora - TifosiBianconeri.com

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Meazza

 

 

Nazione: Italia Italia
Luogo di nascita: Milano
Data di nascita: 23.08.1910

Luogo di morte: Lissone (Monza)

Data di morte: 21.08.1979
Ruolo: Attaccante
Altezza: 170 cm
Peso: 73 kg

Nazionale Italiano
Soprannome: Il Balilla - Peppín

 

 

Alla Juventus dal 1942 al 1943

Esordio: 18.10.1942 - Serie A - Juventus-Torino 2-5

Ultima partita: 25.04.1943 - Serie A - Juventus-Vicenza 2-6

 

27 presenze - 10 reti

 

Campione del mondo 1934 e 1938 con la nazionale italiana

 

 

 

«Averlo in squadra significava partire dall'1-0.»

(Vittorio Pozzo, in Campioni del mondo. Quarant'anni di storia del calcio italiano, Roma, CEN, 1968)

 

 

Giuseppe Meazza, detto Peppino o, in dialetto milanese, Peppìn (Milano, 23 agosto 1910  Lissone, 21 agosto 1979), è stato un calciatore, allenatore di calcio e dirigente sportivo italiano, di ruolo attaccante o centrocampista.

 

Considerato da alcuni esperti il più grande giocatore italiano di tutti i tempi nonché tra i migliori in assoluto, ha legato la sua carriera all'Inter, dove ha giocato per un totale di 14 stagioni, divenendone il miglior marcatore di tutti i tempi e conquistando in nerazzurro 3 titoli di campione d'Italia e una Coppa Italia, oltre a laurearsi per 3 volte capocannoniere sia del campionato italiano sia della Coppa dell'Europa Centrale. Con la nazionale italiana fu campione del mondo nel 1934 e nel 1938, rimanendo tuttora il secondo miglior marcatore della rappresentativa azzurra, dietro al solo Gigi Riva.

 

Ritiratosi dal calcio giocato, divenne giornalista e allenatore. Dopo la sua morte, il 2 marzo 1980 gli venne intitolato lo Stadio San Siro di Milano.

 

Giuseppe Meazza
Giuseppe Meazza 1935.jpg
Peppìn Meazza all'Ambrosiana nel 1935
     
Nazionalità Italia Italia
Altezza 170 cm
Peso 73 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex attaccante, centrocampista)
Termine carriera 1º luglio 1947 - giocatore
1957 - allenatore
Carriera
Squadre di club
1927-1940   Ambrosiana-Inter 349 (242)
1940-1942   Milano 37 (9)
1942-1943   Juventus 27 (10)
1943-1944   Varese 20 (7)
1944-1946   Atalanta 14 (2)
1946-1947   Inter 17 (2)
Nazionale
1930-1939 Italia Italia 53 (33)
Carriera da allenatore
1945-1946   Atalanta  
1946-1948   Inter  
1949   Beşiktaş  
1949-1951   Pro Patria  
1952-1953 Italia Italia Preparatore
1955-1957   Inter  
1957   Inter Giovanili
Palmarès
 
Julesrimet.gif Mondiali di calcio
Oro Italia 1934
Oro Francia 1938
Transparent.png Coppa Internazionale
Oro 1927-30
Argento 1931-32
Oro 1933-35

 

Biografia

Fu uno dei primi calciatori a godere di grande popolarità anche al di fuori del terreno di gioco.

 

Morì all'età di 68 anni a Lissone, in seguito a un tumore del pancreas (organo che gli era già stato parzialmente asportato chirurgicamente), aggravato da problemi cardiocircolatori. La notizia fu diramata per sua volontà a funerali avvenuti, e ciò causò non pochi fraintendimenti su luogo e data di morte. Meazza venne inizialmente tumulato al Cimitero Monumentale di Milano; nell'autunno 2004 la salma venne traslata nella cripta del Famedio del medesimo cimitero.

Caratteristiche tecniche

«Grandi giocatori esistevano già al mondo, magari più tosti e continui di lui, però non pareva a noi che si potesse andar oltre le sue invenzioni improvvise, gli scatti geniali, i dribbling perentori e tuttavia mai irridenti, le fughe solitarie verso la sua smarrita vittima di sempre, il portiere avversario.»

(Gianni Brera, Peppìn Meazza era il fòlber, in il Giornale Nuovo, 24 agosto 1979)

 

Eccellente tiratore, rapido nei movimenti e avvezzo a giocate acrobatiche, era dotato di notevoli qualità tecniche, che sfociavano in una spiccata propensione a eludere il diretto avversario con delle finte: a detta di Giovanni Arpino, i virtuosismi di Meazza mettevano in tale difficoltà i difensori che questi ultimi, ritenendo di avere poche chance di fermarlo, tendevano a contrastarlo senza convinzione. Sicuro dei propri mezzi, era solito iniziare il match in sordina, per poi alzare all'improvviso i ritmi di gioco. Andava frequentemente in gol saltando il portiere, una rete denominata «alla Meazza» o «a invito»; era inoltre piuttosto abile nel gioco aereo, a dispetto di una statura relativamente ridotta. Non di rado si incaricava della battuta dei calci di rigore — riuscendo spesso a spiazzare l'estremo difensore avversario —, e delle punizioni, sia per concludere a rete che per servire i compagni di squadra. Nel corso della sua carriera ha ricoperto i ruoli di centravanti e mezzala.

Carriera

Giocatore

Club

Inizi

Nato nel popolare quartiere di Porta Vittoria, iniziò a giocare a sei anni sui campi di Greco Milanese e Porta Romana in un gruppo di bambini che lui definì i Maestri Campionesi inseguendo una palla fatta di stracci. Ottenuto finalmente il consenso della mamma (il padre era morto nel 1917 nella Grande Guerra), all'età di dodici anni inizia a giocare sui campi regolari con i ragazzi uliciani del Gloria F.C., dove un ammiratore gli regala quelle scarpette che tanto desiderava (e lui non poteva comprare) e che il "Brigatti" vendeva in Corso Venezia all'equivalente di circa tre stipendi.

L'affermazione nell'Ambrosiana-Inter
170px-Giuseppe_Meazza_1927.jpg
 
Un diciassettenne Meazza in azione con la maglia dell'Inter

 

Scartato dal Milan a causa del fisico mingherlino, a quattordici anni compiuti entrò a far parte dell'Inter disputando il campionato ragazzi. Fu Fulvio Bernardini a scoprirlo e a insistere presso l'allenatore nerazzurro, Árpád Weisz, affinché lo inserisse in prima squadra: Bernardini — il quale sarebbe diventato in seguito un importante allenatore e avrebbe scoperto numerosi altri giocatori, tra cui un altro che diventerà poi egli stesso centravanti dell'Inter, Alessandro Altobelli — si fermava sempre più spesso, al termine degli allenamenti, a osservare estasiato, tra i ragazzi delle giovanili, quel ragazzino che con il pallone tra i piedi faceva meraviglie. Bernardini, si narra, fu tanto insistente e convincente che alla fine Weisz volle visionarlo personalmente. Weisz si rese conto che Bernardini non aveva esagerato: a sedici anni il ragazzo fu aggregato in prima squadra, e un anno dopo Meazza esordiva nell'Inter, nella Coppa Volta.

 

Fu in quell'occasione che gli fu dato il soprannome di "Balilla". Quando l'allenatore Weisz lesse nello spogliatoio la formazione, annunciando la presenza in squadra di Meazza fin dal primo minuto, un anziano giocatore dell'Inter, Leopoldo Conti, esclamò sarcastico: «Adesso facciamo giocare anche i balilla!»; l'Opera Nazionale Balilla, che raccoglieva tutti i bambini dagli 8 ai 14 anni, era stata costituita nel 1926 e così allo scherzoso "Poldo" venne naturale apostrofare in quel modo il giovane esordiente. Ma si sarebbe ricreduto presto: Meazza, in quella partita giocata contro la US Milanese, segnò tre gol, assicurando all'Inter la vittoria e facendo capire a tutti che era nata una stella. "Peppìn", come veniva chiamato in dialetto meneghino, seguitò a giocare nel ruolo di centravanti nell'Ambrosiana — com'era stata ribattezzata l'Inter in epoca fascista dopo la forzata fusione con la Milanese. Iniziò subito a farsi notare a suon di gol e per la sua classe sopraffina, tanto che, non ancora ventenne, guidò la sua squadra alla conquista del neonato campionato di Serie A nel 1929-1930 conquistando il titolo di capocannoniere con ben 31 reti.

 

Nel 1935-1936 si laureò nuovamente capocannoniere, con 25 reti, impresa che ripeté anche nel 1937-1938 guidando per la seconda volta l'Ambrosiana-Inter alla conquista dello scudetto.

Milano, Juventus e gli ultimi anni
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Articolo de Il Calcio Illustrato del gennaio 1940, che racconta la degenza casalinga di Meazza a seguito del cosiddetto "piede gelato".

 

L'annata 1938-1939 segnò l'inizio del declino di Meazza, a causa di un infortunio — il famoso "piede gelato", un'occlusione dei vasi sanguigni al piede sinistro — che lo tenne poi lontano dai terreni di gioco per oltre un anno. Nell'autunno 1940 tornò al calcio giocato, stavolta con la maglia del Milano — nome allora adottato dalla squadra rossonera per questioni politiche —, ma non si trattava più del campione di un tempo, minato dall'infortunio occorsogli.

 

Dopo due stagioni in rossonero passò quindi per un'annata alla Juventus con cui tornò un'ultima volta su buoni livelli realizzativi, chiudendo il campionato 1942-1943 in doppia cifra (10 reti in 27 partite) e formando, assieme a Riza Lushta e Sentimenti III, il più prolifico reparto d'attacco del torneo. Seguì poi il cosiddetto campionato di guerra 1943-1944 disputato tra le file del Varese (7 gol in 20 partite) e una breve permanenza all'Atalanta nel 1945-1946, anno in cui ricoprì per un breve periodo anche il ruolo di allenatore, prima di un'ultima stagione giocata con la maglia della sua carriera, quella dell'Inter.

Nazionale

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Meazza agli esordi con la nazionale, nei primi anni 1930.

 

Esordì in nazionale non ancora ventenne il 9 febbraio 1930 a Roma in Italia-Svizzera terminata 4-2 con le sue due reti. Tre mesi più tardi, l'11 maggio dello stesso anno, alla sua quarta presenza in maglia azzurra, Meazza appose la sua prima firma in campo internazionale, in una delle giornate più gloriose del calcio italiano. Tre prodezze del Balilla spianarono la strada alla nazionale guidata da Vittorio Pozzo verso il primo grande trionfo della sua giovane storia: l’Italia superò l'Ungheria a Budapest con un netto 5-0, in quella che, di fatto, era la finale della prima Coppa Internazionale. Era quella anche la prima vittoria italiana in casa dei maestri danubiani, trasferta che, fino ad allora, aveva restituito memorabili rovesci, e il nome del diciannovenne fuoriclasse di Porta Vittoria irruppe nel novero delle grandi stelle del calcio continentale. L'eco dell'impresa, in Italia, fu enorme. La partita, seguita alla radio da un pubblico incredulo, rappresentò momento di svolta per il calcio, non più vassallo delle scuole mitteleuropee, e, dopo quella partita, Meazza sarà l'eroe di tutti gli sportivi italiani.

 

La sua carriera in azzurro fu di assoluto rilievo: guidò l'Italia alla conquista del suo primo campionato del mondo, nell'edizione casalinga del 1934, realizzando 4 reti, di cui 2 nel preliminare contro la Grecia, una agli Stati Uniti negli ottavi di finale e quella fondamentale nella ripetizione contro la Spagna dei quarti di finale; quest'ultima partita venne rigiocata poiché il giorno prima si era conclusa in parità dopo i tempi supplementari (allora non erano previsti i tiri di rigore Meazza si dice fu "sbloccato" dopo che il tecnico spagnolo non schierò misteriosamente il suo spauracchio, il celebre portiere Ricardo Zamora, considerato all'epoca tra i migliori al mondo nel suo ruolo. Nel corso della competizione Meazza ricoprì, come sempre più spesso gli accadeva, il ruolo di interno in luogo di quello di centravanti di inizio carriera.

 

La prima partita con la nazionale campione del mondo fu la celebre battaglia di Highbury, così denominata perché si disputò nello stadio londinese di Highbury, in casa dei presunti "Maestri" dell'Inghilterra (che non disputavano la coppa del mondo perché si arrogavano il titolo di "inventori del calcio"). La partita cominciò molto male per l'Italia, che subì nei primi 12 minuti 3 reti e perse per infortunio il centromediano Luis Monti, ma nella ripresa fu proprio Meazza a risollevare le sorti italiane con una doppietta. Tuttavia, la sconfitta per 3-2 in inferiorità numerica contro gli inglesi, in una partita molto dura e maschia come non mai, è tuttora ricordata non certo come un'onta.

 

Il 9 dicembre 1934, in una partita contro l'Ungheria, segnò il gol numero 25 (in 29 partite) con la maglia azzurra, affiancando Adolfo Baloncieri in vetta alla classifica marcatori della nazionale. Nella partita seguente contro la Francia, del 17 febbraio 1935, fece altri 2 gol che gli consentirono di balzare al comando della classifica in solitario.

 

Nel 1938, agendo in posizione di centrocampista, fu il capitano degli azzurri alla Coppa Rimet disputatasi in Francia: il secondo, prestigioso successo che portò l'Italia ai vertici del calcio mondiale e che permette di ricordare quella squadra come una delle più forti di tutti i tempi. Il 16 giugno, a Marsiglia, nella semifinale del torneo iridato, mise a segno al Brasile il gol numero 33, una rete decisiva, l'ultima della sua carriera in nazionale (passata alla storia poiché a causa della rottura dell'elastico dei pantaloncini tirò un calcio di rigore tenendoli con una mano); in seguito giocherà altre 7 partite in maglia azzurra senza andare in gol. Il suo record sottorete sarà raggiunto dal solo Gigi Riva il 9 giugno 1973, sempre contro i brasiliani in un'amichevole, e quindi superato il 29 settembre dello stesso anno contro la Svezia. Da bomber azzurro, Meazza vanta la seconda permanenza più lunga al primo posto: 38 anni, 3 mesi e 23 giorni.

Allenatore

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Meazza (estrema destra) in veste di preparatore della nazionale nel 1952.

 

Dopo le esperienze da giocatore-allenatore maturate a Bergamo e Milano nell'immediato secondo dopoguerra, da tecnico guidò la Pro Patria, ancora l'Inter in varie circostanze, mentre nel biennio 1952-1953 fece parte della commissione tecnica della nazionale affiancando, in qualità di preparatore atletico, l'allenatore Piercarlo Beretta; fu anche il primo italiano a guidare una squadra straniera, il Beşiktaş, rimanendo in Turchia per cinque mesi a partire dal gennaio 1949. In seguito divenne responsabile del settore giovanile dell'Inter.

 

Palmarès

Giocatore

Club

Nazionale

Individuale

 

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1198277041_Juventus1931.jpg.a58c7374b3ef22a4bf86f46e70d2ef4a.jpg GIUSEPPE MEAZZA  

 

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Cannoniere di purissima razza, molto dotato tecnicamente, è uno dei giocatori più completi della ricca storia del nostro calcio. Soprannominato Balilla, è l’inventore del famoso goal a invito: tarda il tiro, lascia la prima mossa al portiere e lo infila freddamente sull’uscita. Meazza, è tre volte capocannoniere del campionato (nel 1930 con trentuno goal, nel 1936 con venticinque e nel 1938 con venti) e al termine dell’attività i suoi bersagli sono 267 che lo collocano sui gradini più alti dei cannonieri della Serie A.
Proprio a Meazza è legato il periodo più aureo della storia della Nazionale della quale è a lungo l’autentico fiore all’occhiello. Dal 1930 al 1939 in azzurro gioca cinquantatré partite e realizza trentatré reti che fino all’avvento di Gigi Riva ne fanno il bomber assoluto. Con la Nazionale si assicura la Coppa Internazionale nel 1930, il titolo mondiale nel 1934, nuovamente la Coppa Internazionale nel 1935 e ancora il Mondiale francese del 1938.
Nel 1940, dopo quasi un anno di lontananza dai campi di gioco per un intervento chirurgico (causato da un’insufficiente circolazione sanguigna verso gli arti inferiori), approda al Milan dal quale si separa dopo un paio di stagioni per accasarsi alla Juventus.
Il Pepp di Porta Romana (lì era nato, nel cuore della Milano popolare) aveva oramai trentadue anni, anche se lo chiamavano ancora Balilla. Erano molto lontani i tempi di una canzoncina molto in voga: «La donzelletta vien dalla campagna, leggendo la giornalaccio rosa dello Sport e come ogni ragazza, lei va pazza per Meazza, che fa reti a tempo di fox-trot». La sua lunga storia, che faceva parte del costume italiano anni Trenta, aveva subito brusche svolte: prima il piede gelato, poi l’incredibile passaggio sulla sponda rossonera, al Milan, anzi al Milano come si diceva allora, dove aveva disputato un campionato e mezzo.
Firmò il contratto per la Juventus sdraiandosi, per scrivere meglio, sull’erba del Comunale torinese dopo aver interrotto l’allenamento, già in maglia bianconera. Il suo debutto (18 ottobre 1942) avvenne in un derby. Il Torino era all’alba della sua memorabile stagione e schierava già il mitico attacco, da Menti a Ferraris. Si era alla terza giornata, nelle prime due la Juventus aveva solo pareggiato. Meazza scese in campo con il numero otto, aveva intorno vecchi compagni del Mondiale vinto a Parigi (Foni e Locatelli), Carletto Parola, un centravanti albanese (Lushta), il più giovane dei Varglien, l’altra mezzala era Sentimenti III, fratello del portiere Cochi.
Non fu un esordio molto felice. Meazza era poco allenato, sembrava addirittura ingrassato, lento nei movimenti. Così quando entrò in area a tu per tu con il portiere Cavalli, mentre la folla si aspettava uno dei suoi celebri goal a invito, non ebbe la necessaria rapidità di movimenti e finì per perdere ingloriosamente il pallone. La partita fu poi vinta dal Torino 5-2.
Le cose andarono meglio in seguito, Meazza si spostò al centro dell’attacco e regalò alla Juventus dieci goal: ne segnò due anche alla sua Ambrosiana e quello che fece all’Arena fu quasi uno sberleffo alla nostalgia. Disputò ventisette partite su ventotto: l’addio fu un disastro collettivo, la Juventus, terza in classifica, fu travolta a Torino dal Vicenza che doveva salvarsi. Un incredibile 6-2 al quale non badò nessuno: era l’ultima domenica di calcio e la guerra stava per cancellare il campionato, insieme a tante altre cose della vita di tutti i giorni.

ALBERTO FASANO, DA “HURRÀ JUVENTUS” DELL’OTTOBRE 1979
Peppino Meazza aveva il genio del calcio, aveva il calcio nel sangue. Se ne accorsero immediatamente coloro che, dal 1924 al 1926, lo videro giocare sui campetti della periferia milanese, a Porta Romana e Porta Vittoria: nessuno gli aveva insegnato nulla, ma il suo controllo di palla con entrambi i piedi era facile, morbido, naturale, assoluto. Non era nemmeno molto alto, ma aveva una scelta di tempo eccezionale, con stacchi portentosi: cosicché a quei tempi, quando giocava da terzino, era difficile sorprenderlo sui palloni alti. Alcuni osservatori del Milan, pur estasiati dalla tecnica personale del ragazzino, non lo presero in considerazione a causa della gracilità del suo fisico. Maggiore fiducia ebbero quelli dell’Ambrosiana-Inter, allenata a quei tempi dall’ungherese Árpád Weisz il quale, profeta del calcio danubiano tanto in voga a quell’epoca, non perdeva occasione per vedere giocare lo smilzo Peppino nelle squadre minori neroazzurre. La partita che in certo senso consacrò Meazza come campione autentico e genuino fu quella giocata nell’aprile del 1927 a Como; c’era in palio la Coppa Volta e avversaria dei neroazzurri era l’Unione Sportiva Milanese. Il diciassettenne Meazza giocò come centrattacco e firmò entrambe le reti del successo dell’Inter.
Da quel giorno il Peppino prese il volo verso la gloria, verso il mito. Nessuno gli tolse più il posto al centro dell’attacco dell’Ambrosiana; anzi costruirono e fecero giocare la squadra proprio in funzione del suo campione, per esaltarne le doti e caratteristiche tecniche. La compagine neroazzurra giocava compatta a ridosso del portiere Degani e tutti, dai terzini ai mediani, cercavano il rilancio lungo e immediato sul quale si scatenava il guizzante Meazza. Un rapido controllo della sfera, una finta di corpo, un dribbling e poi l’affondo sicuro verso la porta, con serpentina stretta e infine un arresto improvviso per invitare il portiere avversario a venirli incontro. Alla mossa del portiere, Meazza rispondeva con un tiro non forte, estremamente preciso, di piatto, e deponeva il cuoio in uno degli angoli bassi della porta. Questi erano i goal alla Meazza. Ma sapeva segnare anche di testa; ed erano goal di squisita fattura, per l’eleganza dell’esecuzione dopo lo stacco portentoso. Non c’era molta potenza nella sua incornata, ma uno stile inconfondibile, con leggera deviazione del pallone con le parti laterali della fronte, mentre il corpo manteneva la massima coordinazione.
Malgrado le doti che lo avevano segnalato nella misura più lusinghiera all’attenzione dei tecnici e, ovviamente, a quella di Vittorio Pozzo, commissario tecnico degli azzurri, ci fu qualcuno che, almeno all’inizio, esternò qualche dubbio su Meazza, ponendo l’accento sulle sue non formidabili qualità fisiche. Ricordo a questo proposito una lettera anonima che un gruppo di sportivi spedì a Pozzo, alla vigilia di una trasferta della Nazionale a Budapest per affrontare quella squadra magiara che, a quei tempi, dettava legge, insieme all’Austria, in tutta l’Europa. Questo il tenore della missiva: «Caro Pozzo, siete un pazzo se volete portare Meazza in Ungheria: è un soldo di cacio e gli ungheresi se lo mangeranno in un boccone, lasciatelo crescere!». Naturalmente Pozzo non tenne in alcun conto il desiderio di quei tifosi: portò il Peppino a Budapest e lo fece giocare sull’infame terreno del Ferencváros, reso sdrucciolevole dalla pioggia. In quell’occasione la squadra italiana colse la sua più consistente affermazione in trasferta sulla rappresentativa d’Ungheria; e in quell’indimenticabile 5-0 Meazza fece la parte del leone, scaraventando tre imprevedibili palloni alle spalle del portiere magiaro.
Ho ricordato quest’episodio della carriera azzurra di Meazza, ma vorrei rievocarne almeno altri due. Il primo porta la data del 14 novembre 1934 e si riferisce alla sconfitta subita a Highbury dalla squadra italiana opposta all’irresistibile Nazionale di Inghilterra di allora. Si tratta dell’incontro nel quale Monti riportò alle prime battute la frattura dell’alluce del piede destro e nel quale la nostra difesa, malgrado Ceresoli avesse parato un rigore, incassò tre goal nel primo quarto d’ora di gioco. Alla fine del primo tempo l’Inghilterra vinceva dunque per 3-0; ma nella ripresa, sotto la regia di Meazza salito in cattedra al cospetto di un pubblico inglese incredulo prima e poi ammutolito, la squadra azzurra recuperò quasi tutto lo svantaggio. Il Peppino segnò due goal, uno più bello dell’altro, e mise sui piedi di Guaita la palla del pareggio; purtroppo Guaita fallì l’occasione.
Dopo Budapest e Londra, ecco Parigi. Siamo nel 1938 e la Nazionale Italiana, partecipante ai Campionati del Mondo, dopo aver superato la Norvegia e la Francia, gioca a Marsiglia contro il Brasile. È abbastanza noto che i dirigenti brasiliani avevano rifiutato di cedere all’Italia l’unico aereo in partenza per Parigi, anche nel caso (non realizzabile, secondo i Carioca) che gli azzurri fossero usciti vincitori dal confronto diretto. Pozzo riferì ai calciatori italiani il particolare del colloquio avuto con i brasiliani e ricordò l’assurda intransigenza per la faccenda dell’aereo. Meazza promise a Pozzo che avrebbe fatto vedere ai Carioca che cosa potevano fare gli italiani sul campo di gioco. In quella circostanza il Pepp giocò forse la sua migliore partita in azzurro, mettendo praticamente in crisi la difesa avversaria con i suoi perfetti lanci a Biavati, Colaussi e Piola. Presa nella ragnatela di due registi azzurri, Ferrari e Meazza, la squadra brasiliana si innervosì e l’arbitro fu costretto a concedere un calcio di rigore agli azzurri per un fallo di Domingo su Piola. Il risultato era sull’1-1. Realizzare il rigore voleva dire ipotecare la vittoria e spalancare alla squadra la porta della finalissima con l’Ungheria. Al momento di sistemare il pallone sul dischetto del rigore, a Meazza si ruppe l’elastico dei calzoncini. Che fare? Cambiarli e rischiare di perdere la concentrazione o battere ugualmente il penalty, sia pure in condizione di emergenza? Meazza optò per la seconda soluzione: piegò i calzoncini sul lato sinistro e li afferrò saldamente con la mano, si avvicinò con calma assoluta al pallone e lo spedì con un tocco da artista nell’angolo opposto a quello in cui, sbilanciato dalla finta, si era gettato il portiere.
Molti altri episodi potrei citare, ma il discorso si farebbe troppo lungo e, d’altra parte, nulla servirebbe ad aumentare la fama di quello che va considerato il più classico e popolare calciatore italiano di tutti i tempi. Come ho detto all’inizio, Meazza, neroazzurro innamorato dell’Inter, giocò anche per il Milan e per la Juventus, dopo aver superato una crisi dovuta a una malattia che gli impediva una regolare circolazione sanguigna al piede sinistro. Nel dopoguerra, quando il presidente interista Masseroni lo chiamò per dare una mano alla vecchia squadra caduta in zona retrocessione, Meazza accorse immediatamente, rispolverò l’antico repertorio e con i suoi goal (al Bari e alla Triestina) salvò l’Inter.
Ho cercato di rievocare la leggendaria figura di calciatore e vorrei ancora ricordare l’uomo. Peppino, oltre ad essere stato un giocatore di classe superiore, era anche un gran bel ragazzo: si può dire che se fu ammirato dagli sportivi, fu anche idolatrato dalle donne; dal 1930 al 1940, per dieci anni buoni, fu la passione delle ragazze milanesi e non solo di quelle. Era snello, con occhi azzurri, lo sguardo un po’ languido, i capelli lisci e impomatati alla Rodolfo Valentino; quando metteva piede in una sala da ballo veniva letteralmente assediato dalle donne. E lui non si tirò mai indietro; la sua classe, il suo rendimento in campo non risentirono mai in alcun modo delle scappatelle sentimentali.

VLADIMIRO CAMINITI
Musica maestro, ed era musica. Voglio dire il calcio del fabuloso Balilla detto dagli amici, un esercito di amici, un mare di amici e di ammiratori, Pepp, vincitore della classifica marcatori nel campionato a girone unico (il primo) 1929-30, con trentuno goal, nella sua Ambrosiana tricolore, e in onore del quale i milanesi alla vecchia Arena intonavano una canzone apprezzatissima dall’interessato, cui le ragazze piacevano: “Una ragazza per Meazza”.
Giorni di onirica semplicità, se vogliamo, quelli di Meazza. Due scudetti, due Campionati del Mondo, un asso assoluto e conclusivo, anche da mezzala, un asso unico, forse il più magno centrattacco dell’intera storia della pedata italica.
La Juventus lo ebbe nei giorni dolorosi e affranti della guerra, oramai si cibava del suo mito, senza per questo rinunziare a prodezze tipiche del suo impareggiabile repertorio di finisseur e goleador. Il goal alla Meazza, con l’invito al portiere, scartato per depositare la palla a destinazione, mentre la folla plaudiva estasiata.
Il fascismo volle farne l’araldo di tutta la sua politica, gli fu appioppato quel Balilla guerresco. In realtà, Pepp amava poco allenarsi, si allenava beatamente tra le donne, era un ragazzo semplice e modesto, che in campo si sublimava delle sue doti naturali di attaccante universale. Io lo rivedo a Rapallo, nel 1978, ridotto a un seggiolone, abbandonato da tutti nel delirio della città dei cementi. Non riuscì a spiccicare parola. Mi toccò raccontare l’amaro crepuscolo di un fuoriclasse dimenticato.
 
 
Modificato da Socrates

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