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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
huskylover ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Terza stella Juve: Abete (l)a pecora davanti all'Agnelli Sconcertante apertura di Giancarlo Abete, presidente della FIGC, all'ipotesi di terza stella sulle maglie della Juve in caso di scudetto Paolo Cola - BlogosfereSport e Motori (milantropia) -27-04-2012 A differenza di qualche suo giocatore, Massimiliano Allegri dice di credere ancora nello scudetto. E fa bene: la biblioteca alessandrina del pallone è colma di fragorosi crolli e folgoranti rimonte. Ma è chiaro che servirà qualcosa di molto simile a un cataclisma, con tanto di mutamenti climatici incorporati, per strappare alla Juventus un tricolore (meritatissimo) che, loro sì!, vollero sempre, e fortissimamente vollero. Servirebbe molto meno, invece, per strappare dalle maglie bianconere la terza stella che il principe della Restaurazione monarchica - Andrea Agnelli - vorrebbe appuntarsi sul petto il prossimo anno, in barba a ogni regola scritta e di buon senso. Basterebbe un po' di coraggio e un minimo senso di rispetto per il ruolo che si ricopre. Troppa roba, se riferita a Giancarlo Abete Interrogato sulla possibilità di vedere la Juventus campione d'Italia con tre stelle sulla maglia, come a celebrare il 30esimo scudetto della sua storia e non il 28esimo, Giancarlo Abete, presidente della putrida FIGC, ha gracidato: "Se si porrà il problema ne discuteremo, stando attenti al rispetto delle regole" Mentre perfino Don Abbondio si è dissociato, le mie orecchie hanno spiccato il volo e attualmente stanno orbitando attorno a Saturno. Ma di cosa diavolo vuole discutere, Abete? Dei due scudetti che la Juve (anche giustamente, da un certo punto di vista) reclama a gran voce da anni, e che lui stesso ha rifiutato di rimettere in gioco, con la pilatesca non-decisione dell'estate scorsa? Ha compreso, Abete, che la terza stella significherebbe esattamente questo? Riprendersi forzatamente quello che la giustizia sportiva e la FIGC ufficialmente non gli vogliono dare? Che sia giusto o meno - non ne discutiamo in questa sede - la Juve ha 27 scudetti, e i due che le mancano le sono stati tolti dalla FIGC. Non sono spariti nel nulla. O forse Abete ha compreso benissimo, e in cambio della simbolica terza stella la Juve ritirerà il ricorso da 400 milioni di euro contro la FIGC. Una proposta che non si può rifiutare, insomma. Una testa di cavallo tra le lenzuola. Un presidente della Federcalcio con la spina dorsale più consistente di quella di una vongola avrebbe respinto sdegnosamente un'oscenità del genere. Avrebbe difeso la propria posizione e quella dell'istituzione da lui rappresentata, giusta o sbagliata che sia. Ma non staremmo parlando di Abete, la pecora che s'inginocchia davanti all'Agnelli. *** Terza stella Juventus: Zanetti e Abete ne parlano, il Milan ghigna per la gufata Gufate più o meno volute, frasi fuori tempo, decisioni che sarebbero state da prendere mesi fa. Il Milan sogna il golpe e intanto prepara diavolerie (sennò, che Diavolo sarebbe) per fare il sorpasso. Alessandro Pignatelli - BlogosfereSport e Motori (wonderjuve) -27-04-2012 Terza stella sì o no? Ne parla il capitano dell'Inter Javier Zanetti e sinceramente la cosa fa sorridere perché i nerazzurri vedono la Juventus e quella terza stella solo con un telescopio molto molto preciso. Ergo, la bandiera dell'Inter non ne dovrebbe proprio parlare. Ne parla il presidente della Figc, Giancarlo Abete, e in questo caso è una cosa che gli compete. Ma come scrive anche Paolo Cola, qualche mese fa se n'era lavato le mani dei titoli sottratti ai bianconeri e ora non può dare un colpo di spugna come se niente fosse: "Ne discuteremo a tempo debito". Tra i due chiacchieroni, il terzo ...ghigna. In questo caso il Milan che sogna la doppia gufata. A quattro turni dal termine, con tre punti di ritardo, tutto è ancora possibile. I rossoneri faranno il possibile per non avere rimpianti da qui alla fine. Intanto, se sono gli altri a tirare in ballo una cosa che, eventualmente, si vedrà a matematica acquisita, tanto meglio. Non si devono sporcare le mani inutilmente. D'altronde, sarebbe un po' paradossale che arrivassero proprio da casa rossonera frasi del tipo: "Se la Juve vuole mettere la terza stella, lo faccia". Sarebbe alzare bandiera bianca in pieno inseguimento in mare. Meglio, molto meglio che siano i cugini a parlarne. Meglio, molto meglio che sia la Federazione italiana giuoco calcio a discuterne. Loro, i milanisti, se ne stanno là dietro a gufare in silenzio. **** Juventus terza stella, Moratti: "E' una provocazione" Il presidente dell'Inter non ci sta: "E' una scelta di buon senso. Sarebbe una cosa con poca logica la terza stella". Alessandro Pignatelli - BlogosfereSport e Motori (wonderjuve) -27-04-2012 Massimo Moratti si unisce al coro di chi vede l'ipotetica terza stella della Juventus come qualcosa di "provocatorio". Il presidente dell'Inter appoggia dunque la tesi del suo capitano, Javier Zanetti. In realtà, però, da Torino nessuno ha parlato di terza stella sulla maglia e nello stemma (anche perché, scaramanticamente, si preferisce attendere la matematica). E allora? Allora sinceramente questa levata di scudi da Milano è abbastanza sospetta. E, in ogni caso, mettere la terza stella sulla nostra maglia sarebbe legittimo. Mentre qualcun altro ha utilizzato la prescrizione per salvarsi e mantenere in bacheca tanti bei cartoni. Queste le testuali parole del petroliere: "La terza stella? Mi pare sia solo una provocazione e penso che quello che ha detto Zanetti ieri sia saggio ("Se la mettono, contenti loro, che lo facciano pure, è inutile commentare" le parole dell'argentino; n.d.a.). E poi bisogna vedere che ne pensa la Figc, credo sia un problema di buon senso (della Juventus; n.d.a.). È una cosa che ha poca logica". Tutte queste parole nerazzurre arrivano dopo un bel po' di silenzio. Silenzio dettato dalla pessima stagione disputata dalla squadra. Ora che sono di nuovo in lotta per un traguardo importante, riecco i chiacchieroni che tornano a fare quello che gli riesce meglio: parlare a sproposito. -
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IL CASO La tentata truffa alla Roma Il pm interroga Luciano Moggi L'ex dg della Juventus ha convocato la "Iena" Paolo Calabresi nello studio del suo avvocato. Il motivo? Un mistero. "Volevo solo rifiutare un'intervista che mi era stata chiesta tempo prima, tutto qui" ANGELA MARIA ERBA - La Repbblica - 27-04-2012 La "Iena", il presunto complotto ai danni della Roma e gli eterni nemici ai tempi di Calciopoli. A rimettere in fila i tasselli di questa strana storia, ci ha provato ieri il pubblico ministero Paola Filippi. Che nella tarda mattinata ha interrogato per quasi due ore l'ex direttore generale della Juventus Luciano Moggi, il suo avvocato Maurilio Prioreschi e il socio Camillo De Nicola. Sarebbero stati loro a convocare misteriosamente lo scorso 12 marzo la "Iena" Paolo Calabresi, proprio nei giorni in cui il giornalista di Italia Uno stava girando il filmato che avrebbe poi smascherato il finto dossieraggio contro il dg giallorosso Franco Baldini. Il grande accusatore di Moggi nel 2006, quando scoppiò lo scandalo del calcio. Perché, si sa, nella tentata truffa alla nuova proprietà made in Usa del club potrebbero non esserci solo i "nostalgici" della vecchia gestione targata Sensi. Una vicenda finita sotto la lente dei magistrati di piazzale Clodio, che hanno iscritto nel registro degli indagati, con l'accusa di ricettazione, il giornalista Roberto Renga, il figlio Francesco e le due voci radiofoniche Giuseppe Lo Monaco e Mario Corsi, detto "Marione", per aver tentato di infangare il direttore generale di Trigoria Baldini. "Volevo soltanto dire di no a un'intervista che mi era stata richiesta qualche tempo fa da Calabresi, per questo l'ho fatto venire nello studio del mio avvocato. Per comunicargli il mio rifiuto, tutto qua. Del resto non so niente" avrebbe spiegato ieri Moggi, convocato in procura come persona informata sui fatti. Una versione identica a quella poi fornita da Prioreschi e De Nicola, sentiti immediatamente dopo l'ex dg bianconero. I tre, quindi, avrebbero organizzato l'incontro con la "Iena" solo per declinare un invito? Una circostanza anomala, secondo gli inquirenti. E non solo perché sarebbe bastato alzare la cornetta e fare una semplice telefonata. Ma anche per la coincidenza dei giorni, esattamente a ridosso del video che ha poi fatto esplodere il caso. Il primo a non vederci chiaro, del resto, è stato proprio lui, Calabresi. "Gioviale, simpatico, ha esordito chiamandomi cardinale, ripensando allo scherzo che gli avevo fatto qualche anno fa. Però mi sono chiesto cosa voleva da me - aveva raccontato circa un mese fa - Insomma la telefonata era stata strana. Non mi aveva mai chiamato prima, mi ha fatto andare in uno studio legale ma per non dirmi nulla. Però mi è sembrato strano che questa telefonata fosse arrivata proprio nei giorni in cui stavo girando i filmati sulla vicenda". -
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Ci mancava soltanto la terza stella... Stefano Dolci - pallonate - eurosport - 27-04-2012 L'estate che il calcio italiano si appresta a vivere, se qualcuno non l'ha ancora capito, sarà davvero rovente. Il processo sportivo per il calcioscommesse ridisegnerà quasi certamente le classifiche di tutti i campionati e come se non bastasse nei prossimi mesi bisognerà risolvere il caos in Lega Calcio, stipulare il celebre contratto collettivo fra Aic e Lega Calcio, per scongiurare nuovi spiacevoli tira e molla e scioperi ad agosto inoltrato, e si spera risolvere una volta per tutte il problema degli stadi e del tifo violento per evitare che si ripetano scene vergognose come quelle di Marassi di una settimana fa. Si è già intuito però che il vero nodo cruciale dei prossimi mesi sarà (purtroppo o per fortuna?) un altro. Se la Juventus, il 13 maggio prossimo si laureerà campione d'Italia, avrà o no il diritto di cucirsi sulle proprie maglie la terza stella? Il tema è delicato ma è già imploso ieri quando Giancarlo Abete, presidente della Figc, ha fatto capire che sarà sviluppato nelle prossime settimane: "E' prematuro discuterne ora, vediamo comefinisce la stagione e valuteremo. Però certamente se ne parlerà". Sono bastate queste parole d'apertura per far esplodere il vespaio. E' giusto che se ne parli? Se la Juve prenderà questa via si tratterà di una forzatura oppure di cui buona e giusta? Difficile rispondere anche se le parole del numero due della Federcalcio Demetrio Albertini rilasciate a Panorama un paio di giorni fa sono le più condivisibili: "Se la Juve decidesse di andare avanti con la terza stella sarebbe una forzatura senza valore. Ci sono regolamenti e sentenze della giustizia sportiva che hanno determinato alcune situazioni e anomalie come succede nello sport. Non mi metto a dire chi ha ragione e chi no perché non sono un magistrato però dico che Ben Johnson non ha vinto l'oro olimpico a Seul". Come ricorda Albertini non va mai dimenticato fino a prova contraria che Luciano Moggi e Antonio Giraudo, gli uomini che per un decennio e oltre sono stati deus ex machina della dirigenza bianconera, sono stati radiati per l'affaire Calciopoli sia dalla Commissione disciplinare Nazionale che dall'Alta Corte Nazionale del Coni (terzo e ultimo grado della giustizia sportiva). Le sentenze da che mondo e mondo si possono condividere o meno però vanno sempre rispettate. Il punto però è un altro: il calcio per uscire dai suoi problemi e recuperare credibilità a livello nazionale ed europeo ha bisogno di tutto tranne che di veleni. E giusto dividersi e far scattare il solito polverone all'italiana per una questione assolutamente secondaria come la terza stella? Il buon senso direbbe di no. -
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IL BLOG DI MISTER X La terza stella della Juve fa cosi' paura alla Figc che Abete prepara la ritirata Xavier Jacobelli - calciomercato.com - 27-04-2012 E' proprio vero, il vento sta cambiando e gonfia le bandiere juventine. A tal punto che in via Allegri, se la stanno gia' facendo sotto. Lo dimostra l'ultima, sconcertante sortita di Giancarlo Abete, presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, per 4 volte campione del mondo e per una volta campione olimpica. Se la squadra di Conte vincera' lo scudetto, la sua dirigenza ha gia' annunciato che sulle maglie cucira' la terza stella, non accettando le sentenze della giustizia sportiva su Calciopoli, per le quali il club di Agnelli e' sceso in guerra contro la Figc, chiedendole 440 milioni di euro a titolo di risarcimento danni. Agnelli aveva scelto lo scontro frontale per reagire all'atteggiamento ponziopilatesco del consiglio federale, che il 18 luglio 2011 decise di non decidere sul ricorso bianconero, presentato dopo il rapporto Palazzi. Nel suo dettagliato resoconto sugli ultimi sviluppi della giustizia ordinaria in materia di Calciopoli, fra le altre cose il procuratore federale dichiarava il non luogo a procedere nei confronti dell'Inter per sopraggiunta prescrizione. Lo stesso Palazzi demandava al Consiglio Federale il pronunciamento sulla revoca dello scudetto 2006, assegnato a tavolino all'Inter dall'allora commissario Guido Rossi, nonostante i Tre Saggi gli avessero detto che, a norma di regolamento, il titolo sarebbe potuto non essere attribuito a nessuno, stante le manifeste irregolarita' accertate. Il Consiglio Federale se ne lavo' le mani e la guerra continua. La Juve fa benissimo ad adire ogni via legale che le consenta di tutelare i propri interessi, anche alla luce della sentenza di primo grado del processo penale di Napoli, che ha escluso ogni responsabilita' diretta della societa' nello scandalo. Nella stessa misura, l'Inter si trincera dietro la possibilita' di non rinunciare alla prescrizione e non molla il titolo 2006. Ognuno ha il diritto di comportarsi come meglio crede, ma, il problema, oggi non e' ne' la Juve e nemmeno l'Inter. Il problema e' che, in un sistema regolato da norme chiare e precise, il presidente della Federazione, non puo' uscirsene affermando: "La Federazione comunque sarà sempre attenta sul sistema delle regole. Attendiamo che questo campionato si concluda in maniera positiva e serena, senza i traumi che ci sono stati in serie B per la morte di Morosini e in serie A per i fatti di Genova. E poi vedremo i risultati del campionato e valuteremo. Se si porra' il problema della terza stella, ne discuteremo". Queste cose, Abete, le ha pure dette a margine del convegno 'Le regole, il rispetto, la reputazione', organizzato dalla Lega di serie B a villa Necchi Campiglio a Milano. Tradotto in italiano, delle due l'una: o la Federcalcio ritiene che le sentenze di Calciopoli siano state giuste e allora, per la stessa Federazione, la Juve conta 27 scudetti e la sola terza stella che puo' cucirsi sul petto e' quella d'argento, se il 20 maggio a Roma i bianconeri conquistano la decima Coppa Italia. Oppure - e questa sarebbe la notizia dell'anno - anche alla luce della sentenza napoletana di primo grado, la Federazione ha cambiato idea, sconfessa se stessa e il suo sistema di regole, pensa che la Juve abbia ragione, le restituisce due titoli e, se conquistano il titolo 2011-2012, i bianconeri hanno tutto il diritto di cucirsi la fatidica terza stella dorata. Tertium non datur, come ammonivano gli antichi padri. O meglio, un'altra ipotesi ci sarebbe. Che Abete e il Consiglio Federale vadano a casa prima possibile. Per fare tabula rasa e dare una chance di rinascita al calcio italiano. -
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Quando Guariniello spiegò agli spagnoli il doping... Sporthouse - repubblica.it -26-04-2012 E’ accaduto due giorni fa, in Spagna. Dove il magistrato, già titolare dell’inchiesta sulla Sla nel calcio, è stato invitato da AS ad un forum sul doping. Guariniello ha ribadito che la lotta ai farmaci illeciti, senza l’aiuto degli strumenti penali, resterà persa. Il pubblico ha ascoltato e apprezzato. Chissà se qualche suo collega spagnolo metterà in pratica i suoi consigli: l’intera Spagna sportiva, come sappiamo, è da tempo nel mirino di quelli dell’antidoping. -
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"Una missione, un condottiero e un popolo: anche la storia gioca con la Juve. Troppi dimenticano Boniperti e ricordano solo Moggi" Mario Sconcerti - Corsera- 26-04-2012 MILANO, 26 aprile 2012 - E' difficile andare contro il destino di questa Juventus perché ha tutte le condizioni storiche dalla propria parte. L’importanza della missione, un condottiero ortodosso, un popolo sparso per il Paese, che significa aver riempito tutto quello che è stato lasciato libero dallo spirito delle singole città. Conte è stato bravo fin dove era impensabile, nel fare il leader giudizioso, l’uomo di contatto tra la squadra e la nazione, nel cavalcare il senso popolare della Juventus. Molti dimenticano cosa sia stata la Juve, la memoria di tanti comincia solo al tempo di Moggi. Non hanno coscienza di Boniperti, della rivoluzione industriale-aristocratica di Gianni Agnelli, del tempo contadino di Trapattoni. Mentre questo scudetto che sta salendo è esattamente figlio della storia, della profondità dell’energia bianconera. Non è uno scudetto inventato, viene dalla sua struttura, cresce dalle sue basi. La Juve è l’unica squadra nazionale, esattamente come la Fiat è stata l’unica industria nazionale. Berlusconi ha dato un colpo individuale al calcio. Ma la Juve è sempre stata l’effetto trascendente dell’emigrazione, una redenzione divertita e necessaria davanti alla fatica di tutti i giorni, dove sembrava che per i meridionali d’Italia faticare a Torino fosse meglio che non fare niente a casa propria. Conte, pugliese, combattente della vita, un po’ istruito e un po’ genio popolare, era il condottiere giusto per questo tuffo nel passato, lì dove c’era anche l’energia del nuovo. Ma è stata questa la forza della Juve, l’abitudine a se stessa. Nel Milan di Allegri è mancata la storia. Anzi, è stato Allegri il primo che la storia ha dovuto respingerla. Allegri ispira la società nella cessione di Pirlo, un errore che in un’azienda vera nei risultati commerciali, significherebbe il cambio di un’intera generazione di dirigenti. Allegri ha preso il Milan avendone una semplice coscienza sportiva, non capendo cosa significasse quello che stava dimenticando dal punto di vista della storia, della responsabilità sociale, del divertimento nazionale. Berlusconi sbaglia quando vuole un Milan come il Barcellona perché prima dovrebbe acquistare i giocatori del Barça. Ma un allenatore sbaglia quando accetta di mettersi tra la società e il suo limite. Allegri ha promesso che il Milan sarebbe bastato. Non era così. Ora Conte si è messo il Milan sulle spalle come fosse un trofeo e lo sta portando in giro per l’Italia. È questo piacere dell’esibizionismo che cambia il cammino delle cose. Credo che il Napoli arriverà terzo e che l’Inter di Stramaccioni meriti un piccolo onore. Il calcio è da un’altra parte, ma il giovane tecnico ha fatto il suo. Affonda la Roma come uno psico-dramma naturale, mentre la zona retrocessione ha un risvolto nuovo. Si lotta anche per il penultimo posto sapendo che le scommesse possono ribaltare tutto. -
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Scommesse, chi accusa, chi minimizza; ma alcune verità Mario Sconcerti - lo sconcerto quotidiano - corriere.it -24-04-2012 Ora che il campionato sta finendo sembra quasi esserci una spinta perché i media si occupino di scommesse. Petrucci oggi è stato chiaro: “Nessuno ne parla eppure sta per succedere di tutto”. E’ curioso che il presidente del Coni si lamenti visto che quello che è uscito sulle scommesse è uscito solo attraverso i giornali, il mondo dello sport non ha detto niente. A chi va allora il rimprovero di Petrucci se non a se stesso? Se vogliamo sia un’operazione corretta, dobbiamo cominciare dubitando di tutti e ricordando che l’onere della prova d’innocenza spetta a chi è accusato. Ci si può chiedere se chi avrebbe ascoltato di combine e non ne parlato con nessusno abbia responsabilità concrete, pur non avendo fatto niente. Secondo me no. Ma se uno allena una squadra il cui presidente compra giocatori avversari è più difficile non sapere niente. Ci sono in sostanza molti punti da chiarire, senza caccia alle streghe, solo capendo che un’indagine così vasta non può essere stata preparata contro nessuno. Molto più semplice che stia implodendo. E se scoppia, macchia molti. Ai molti è dovuto un proceso corretto, a noi è dovuta chiarezza. Chiunque siano i colpevoli. -
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Juve: 443 milioni di motivi per mettere la terza stellalaterza.stella - panorama.it - 25-04-2012 Terza stella sì, terza stella no. Il campionato è tutt’altro che chiuso ma tutti ormai parlano di ciò che potrebbe accadere se lo scudetto tornasse a Torino dopo sei anni (e soprattutto dopo Calciopoli). Se il vice presidente della Figc, Demetrio Albertini, considera l’ipotesi di una terza stella cucita sulle maglie bianconere della stagione 2012-2013 come “una forzatura senza valore”, Andrea Agnelli sembra fare pretattica: “È abitudine di casa Juve affrontare i problemi quando si creano”, ha commentato il presidentissimo bianconero. In realtà, nonostante la dichiarazione appaia piuttosto prudente e sobria, siamo convinti che la risposta a questa domanda in Corso Galileo Ferraris ci sia già: se la Juve vincerà questo scudetto sarà il trentesimo della sua storia, senza “se” e senza asterischi. Lo pensiamo noi, tifosi juventini, ma lo pensa in cuor suo anche Agnelli. Tifoso anch’egli e anche molto di più. Legato alla Juventus da un vincolo che va ben oltre quello affettivo, quello sportivo e quello manageriale. Andrea Agnelli era presidente della Juventus ben prima dell’incarico ufficiale. Era il presidente del popolo bianconero. Lo era per acclamazione, per genesi, per vocazione. Andrea Agnelli ha iniziato la sua crociata contro la revoca degli scudetti e contro l’atteggiamento rinunciatario, per non dire colpevolista, della gestione Cobolli-Blanc-Elkann ben prima di insidiarsi alla presidenza. Era il primo marzo 2009 e al Sole 24 Ore diceva: “Non ho condiviso la scelta di azzerare il vertice della Juventus. Avrei difeso la Triade fino all’ultimo grado di giudizio”. Da allora nulla è cambiato nelle idee, molto nei fatti. Andrea Agnelli è presidente e anima della nuova Juventus. Ha iniziato una battaglia legale con Federazione e Lega Calcio per ri-ottenere gli scudetti. Ha depositato un ricorso al TAR del Lazio contro la FIGC con una richiesta danni per oltre 443 milioni di euro. Nuove intercettazioni hanno rivelato telefonate dell’Inter che, secondo la procura federale, costituirebbero illecito sportivo. Ma nulla è cambiato su quelle della Juventus che a norma di regolamento sarebbe dovuta essere penalizzata per ripetuta violazione dell’art.1, ma mai dell’art. 6. Quindi nè retrocessione, nè revoca degli scudetti. Anche in campo le cose sono molto diverse. La timida Juventus che come massima ambizione poteva avere quella di essere la “rompiscatole del campionato” (copyright Claudio Ranieri) ha lasciato il posto a quella di Antonio Conte che non ha paura di pronunciare la parola scudetto. E che proprio per questo lo vincerà (al diavolo la scaramanzia, noi lo diciamo da tempi non sospetti). E così un cerchio sembra chiudersi. A questo punto non resta che riformulare una domanda che a suo tempo fece Christian Rocca , attuale direttore de IL Magazine - Il Sole 24 Ore a Giovanni Cobolli Gigli dalla prima pagina di Tuttosport, e che non ebbe mai risposta: “Signor presidente, quanti scudetti ha vinto la Juventus”? La risposta di Andrea Agnelli, a differenza di quella del suo predecessore, la conosciamo:ventinove. Ma cosa dice la Lega Calcio? “Una squadra può mettere quante stelle vuole sulla sua maglia, non esiste un regolamento che definisce la questione e non è la Lega che impone o dispone sull’argomento”, ha spiegato a suo tempo a a Tuttosport il vice-segretario della Lega Fabio Santoro.“Diciamo che è una questione etica. Se la Juventus volesse mettere la terza stella nel momento in cui rivincesse un campionato sarebbe una sua scelta, non certo una violazione delle regole. L’unica cosa che va però ricordata è che per quanto riguarda l’albo d’oro ufficiale della Lega Calcio gli scudetti dei bianconeri sono 27 e non più 29″. Insomma, mettere o non mettere la stella è una decisione completamente nelle mani della Juventus, sempre che Lega o Figc non decidano di rivedere la normativa, ma ci soprenderemmo non poco se anche su questo tema alla fine non si dichiarassero tutti incompetenti. E quindi ci piace citare ancora una volta Andrea Agnelli: “Questo non è il tempo della burocrazia, questo è il momento della sostanza”, cioé è davvero inutile interrogarsi su quante stelle avrà la prossima maglia della Juve; ci sembra più utile interrogarsi su quali effetti potrebbe sortire questa decisione sui vincitori, sui vinti e su quella never-ending-story chiamata Calciopoli. Sicuramente le tre stelle sulla maglia della Juve sancirebbero indelebilmente la diversità di vedute sulla questione tra la società più importante d’Italia e il resto del mondo calcistico. E porterebbero laquerelle ben fuori dai confini nazionali, mettendo i vertici del calcio italiano in una condizione ridicola e paradossale. Insomma una piccola stella gialla su un maglia bianconera potrebbe sortire più effetto del tavolo della pace di Petrucci. Oppure non accadrà nulla, la Figc e la Lega faranno finta di non vedere, Moratti sì dirà indignato e Juventus e Calcio Italiano continueranno la loro vita da separati in casa. -
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ESCLUSIVO - Albertini: “Terza stella? Forzatura. La Juve non ha vinto quegli scudetti” di Giovanni Capuano - panorama.it - 24-04-2014 La terza stella sulla maglia della Juventus in caso di scudetto? “Una forzatura senza valore” risponde senza esitazioni a Panorama.it il vicepresidente della Figc, Demetrio Albertini: “Ci sono regolamenti e sentenze della giustizia sportiva che hanno determinato alcune situazioni e anomalie come succede nello sport. Non mi metto a dire chi ha ragione e chi no perché non sono il magistrato, però dico che Ben Johnson non ha vinto la medaglia d’oro”. Quindi la Juventus non ha vinto quegli scudetti… “Per le sentenze sportive no”. Il ritorno della Juventus al tricolore rischia di creare un momento di forte imbarazzo ai vertici sportivi italiani. Cosa accadrebbe se davvero Agnelli decidesse di festeggiarlo mettendo la terza stella sulla maglia e considerando così ‘veri’ e non ‘virtuali’ i due titoli cancellati dal ciclone di Calciopoli? Non è una domanda da poco considerato il disagio che accompagnò ad esempio la presenza del presidente federale Abete alla cerimonia di inaugurazione dello Juventus Stadium in cui lo stesso Agnelli attaccò le istituzioni. E nei corridoi degli spogliatoi continuano a far mostra di sè anche gli scudetti 2004-2005 (revocato) e 2005-2006 (assegnato all’Inter). Albertini come la prenderebbe una scelta di questo genere? “Sinceramente a oggi rimango ai regolamenti sportivi che dicono una cosa differente”. Che ne ha vinti 27 e sarebbe il numero 28… “Il regolamento sportivo dice questo”. Sarebbe una forzatura? “Sarebbe una forzatura secondo me senza valore, pur nella stima che ho della società. Ci sono regolamenti e sentenze della giustizia sportiva che hanno determinato alcune situazioni e anomalie come succede nello sport. Non mi metto a dire chi ha ragione e chi no perché non sono il magistrato, però dico che Ben Johnson non ha vinto la medaglia d’oro”. Quindi la Juventus non ha vinto quegli scudetti… “Per le sentenze sportive no”. Si può fare un richiamo ad Agnelli a fare eventualmente una scelta di buon senso? “Ripeto, sarebbe una forzatura”. Anche se nei regolamenti non esiste nulla in merito… “Sarebbe una provocazione. Uno può fare la maglietta come vuole e solo lo scudetto o la Coppa Italia vanno messe in caso di vittoria”. E’ pensabile che la Figc faccia un passo anche informale entro la fine del campionato per evitarsi l’imbarazzo? “Ad oggi non possiamo basarci su quello che potrebbe accadere ma bisogna aspettare i fatti. Personalmente se dovesse accadere la riterrei una forzatura ma non posso fare considerazioni su un’ipotesi di una terza stella sulla maglietta. Credo che la Juventus stia facendo un percorso importante e stia dettando i passi del rinnovamento del nostro calcio partendo dalla stadio e dalla gestione sportiva. Rispetto e stima nella nuova dirigenza”. Agnelli farebbe bene a sfruttare l’eventuale vittoria dello scudetto per chiudere anche a livello simbolico con il passato? “Sceglieranno loro le strategie giuste. Non le conosco”. Il ritorno della Juventus a questi livelli è in ogni caso una bella notizia? “E’ una società che ha puntato su un progetto sportivo e non solo gestionale lasciandolo ad allenatore, Marotta e giocatori. Raccogliere i risultati fa parte dello sport. E poi ha puntato su tanti italiani e la storia insegna che le grandi squadre sono nate sempre dal proprio settore giovanile”. Molti criticano oggi la risposta del mondo del calcio e delle istituzioni ai fatti di Genova. E’ stata adeguata? “E’ il primo passo e andrà fatto altro. Quello che è accaduto è la conseguenza delle libertà esagerate lasciate negli stadi per tanti anni”. Il presidente dell’Aic Tommasi ha detto che ci sono gruppi di ultras che mirano a gestire le società… “Non so se sia così, ma che vogliano essere protagonisti può essere e Tommasi non ha torto anche se non penso ci si riferisca ai fatti di Genova”. Preziosi e tanti altri stanno evocando il modello inglese con processi rapidissimi e carcere per gli ultras. Dobbiamo fare un altro salto in avanti? “Noi abbiamo una situazione strana perché la difficoltà ad acquistare biglietti non ha pari nel resto d’Europa e in più gli stadi non sono adeguati. Però in Inghilterra si tratta solo di rispetto delle regole e delle sanzioni”. In Italia ci sono undici Daspo per i tifosi identificati. Servirebbe il modello inglese? “Io non vedo nei fatti di Genova, che sono condannabili, gli estremi per parlare di carcere. I tifosi hanno parlato con i giocatori, non sono entrati in campo. Il gesto della minaccia e della resa delle maglie è da condannare ma abbiamo assistito a fatti ben più gravi e non solo in Italia”. Petrucci parla di punto di non ritorno… “Me lo auguro. Dovremo guardare con umiltà a quello che succede all’estero e per noi rimane un sogno e un punto d’arrivo con le nostre prerogative. Ci sono situazioni di rispetto dei doveri e dei diritti che all’estero sono maggiori”. Sculli è un eroe da applaudire o un calciatore da criticare per la vicinanza con quegli ultras? “Chi vive il mondo del calcio sa che la conoscenza tra giocatori e tifosi esiste. Non si tratta di convivenza negli atteggiamenti, ma condivisione di una fede. Quindi Sculli ha avuto il coraggio di andare a spiegare ai tifosi che cosa sarebbe potuto accadere dal punto di vista disciplinare…”. Quindi è una figura positiva? “In ogni squadra c’è chi ha la possibilità di parlare con i tifosi. Il problema è che secondo me non doveva farlo lui ma la società. Bisognava rispettare il regolamento”. Doveva essere il presidente Preziosi? “C’era il presidente, la sicurezza, gli steward. Non bisognava cedere al ricatto. Io non avrei mai tolto la maglia”. Preziosi ritiene di non aver avuto solidarietà dal mondo del calcio… “Non capisco cosa significhi. Penso che chiunque ha convinto i giocatori a togliersi la maglia ha commesso un errore e il resto è venuto di conseguenza”. Petrucci continua a criticare i presidenti del calcio italiano. Ieri ha addirittura detto che ‘chi è stato condannato non può parlare di etica’. Non sta esagerando? “Petrucci cerca di fare da stimolo chiedendo di tornare a pensare a un progetto sportivo e non solo economico e gestionale. Si parla solo di diritti tv, legge sugli stadi, marketing, bilanci e stipendi e mai di una costruzione di un progetto anche dove girano centinaia di milioni di euro. Altrove non succede così”. Quindi è una buona notizia che la Lega Calcio non abbia partorito una proposta di revisione immediata della norma sulla responsabilità oggettiva… “E’ come iniziare a giocare un campionato e dire che alla fine vince il terzo in classifica. Non si possono cambiare le regole in corso”. E’ consolante che ci siano arrivati? “Il problema è che la Lega deve essere consapevole del suo ruolo. Si è creato un muro con le istituzioni che non capisco. Si parla di cambiamenti e ci limitiamo alla semplice gestione”. -
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I compari del calcio Massimo Gramellini - lastampa.it - 24-04-2012 Chiunque di noi sparasse fumogeni in una via del centro sarebbe circondato dai passanti e arrestato. Allo stadio rimane impunito e diventa un personaggio». Era l’incipit di un Buongiorno datato 14 aprile 2005. Sette anni fa. In Italia i problemi non si risolvono mai. Invecchiano come il buon vino in botti di rovere, però a differenza del buon vino non diventano barolo ma aceto, lasciando in bocca il sapore acidulo della resa. La gogna di Genova è l’ultima vergogna. Giocatori che infischiandosene del pubblico perbene si tolgono la maglia sotto la minaccia dei violenti, riconoscendo loro uno status di tifosi «più tifosi degli altri» che essi rivendicano ma che non meritano. L’incredibile Sculli che abbraccia uno di questi tipacci e gli parla all’orecchio, da compare a compare. Sculli che andrebbe squalificato a vita solo per questo. Tranquilli, non succederà. Non succede mai nulla. Solo retorica a vagonate. Troppi dirigenti del calcio sono pavidi e mediocri, farebbero fallire qualunque società «normale» di cui per disgrazia diventassero i manager. Quanto ai reggitori della Federcalcio e della Lega appaiono come funzionari grigi del potere politico ed economico. Di loro non si ricorda un gesto, uno slancio vitale. Incapaci persino di proporre riforme ovvie come il campionato a 16 squadre e l’introduzione dei playoff, che fra un po’ sarà la tv a pretendere perché le troppe partite fra brocchi hanno nauseato il pubblico (tranne quello degli scommettitori). Tutti in prima fila nell’indignarsi e nell’auspicare, ma alla fine gli ultrà resteranno dove sono, a bordo campo, liberi di lanciare fumogeni e bombe carta, mentre a me e voi gli steward dello stadio continueranno a sequestrare il tappo dell’acqua minerale. Si aspettava la risposta dura delle istituzioni. Eccola: due giornate di squalifica al campo del Genoa. Più che altro un regalo al presidente Preziosi: gli hanno risolto il problema fino al termine del campionato. Poi si vedrà. Intanto il testone pelato che a Marassi sbraitava a favore di telecamera mica è stato arrestato, nonostante fosse in flagranza di reato. E neppure i cinquanta scalmanati che hanno preso in ostaggio migliaia di spettatori normali. Quando la smetteranno i questori, per non avere grane, di lasciar circolare a piede libero dei teppisti conosciuti nome per nome? Il sospetto che i giocatori si vendano la partita o pezzi di essa, scommettendo sul numero dei gol o dei calci d’angolo, si è trasformato in uno splendido pretesto per scatenare la furia vendicatrice degli ultrà, smaniosi di ergersi a grandi sacerdoti della religione tifosa. Fra questi giovanotti col fisico da buttafuori ci sono fanatici in buona fede, seriamente convinti di incarnare i valori del «Gladiatore», onore e dignità. La retorica del dodicesimo uomo in campo, colpevolmente alimentata da noi giornalisti, ha contribuito ad accrescere la loro convinzione di essere i custodi supremi della Purezza della Maglia. Un feticcio che va onorato ogni maledetta domenica con qualsiasi mezzo, compresi la minaccia e la violenza. Accanto a questi templari del pallone, talmente compresi nella loro missione salvifica da avere ormai espulso dalle curve le armi benedette dello sberleffo e dell’ironia, si muovono personaggi ancora più torbidi. Razzisti, nazifascisti e autentici malviventi che si mescolano ai perdigiorno che nel tifo organizzato hanno trovato una professione ben remunerata. Pascolano intorno al campo di allenamento, fanno parte del panorama. I giocatori e le società li usano come camerieri o come scorta, compensandoli con biglietti e magliette che quelli poi si rivendono traendone utili consistenti. E’ un rapporto ambiguo, dove i ruoli di schiavo e padrone cambiano di continuo e il confine fra lecito e illecito risulta impalpabile. Ma è un rapporto vero e profondo, che fa parte dell’economia calcistica come le relazioni con la mafia fanno parte dell’economia di moltissime regioni italiane. Come se ne esce? Vorrei poter dire: con la cultura sportiva. Trento ha perso lo scudetto della pallavolo all’ultimo punto dell’ultimo set per un errore clamoroso dell’arbitro, eppure il presidente del club ha accettato il responso del campo e fatto i complimenti agli avversari. In un prato simile l’erbaccia degli ultrà non riuscirebbe a crescere. Ma il calcio non è uno sport, lo sappiamo fin troppo bene noi che ne frequentiamo gli isterismi. Perciò si impone un cambiamento più spiccio. Società che denuncino i violenti e poliziotti che li sbattano fuori dagli stadi: una due tre dieci volte, finché si troveranno un altro passatempo, speriamo meno remunerativo. Ci saranno ritorsioni? All’inizio sì: nessun cambiamento è indolore. Ma è proprio per scansare la sofferenza che in Italia non si cambia mai nulla, condannandosi alla putrescenza. -
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Genoa-Siena, moralismi sfrenati. Io sono dalla parte degli Ultras - CONTROCORRENTE Cesare Lanza - panorama.it - 23-04-2012 Nuova ondata di retorica e di indignazione moralistica, pressochè unanime, nel mondo del calcio. Sotto accusa, con processo sommario, gli ultrà del Genoa, colpevoli di aver provocato l’interruzione della partita col Siena (0-4 al momento della sospensione) e di aver intimato ai calciatori del Genoa di togliersi la maglia perchè “indegni di indossarla”. Al grido di “vergogna!”, “delinquenti”, “arrestateli”, “non entrino più in uno stadio di calcio!”, una impressionante invettiva contro quei tifosi esaperati. Ilaria D’Amico - elegante e sobria di consueto, la presentatrice mia preferita - dagli studi di Sky si è spinta a definire l’incidente genovese una sorta di “stupro del calcio”. Per favore, non esageriamo. Mi schiero con gli ultrà o, almeno, vorrei sostenerne le ragioni, ignorate fino ad ora da tutti. Il mondo del calcio è diventato ormai, da tempo, ANCHE (non solo, specifichiamo bene) un orribile luogo di cinismi, malaffare, pasticci e imbrogli d’ogni genere, accordi illegali per truccare le partite, ecc. C’è un interesse supremo, ovviamente quello dei soldi. In un oceano di guadagni o speculazioni sguazzano i calciatori, molti avventurieri che guidano alcuni club al solo scopo di arricchirsi, i procuratori che governano un mercato senza fine, le televisioni che accontentano ogni curiosità morbosa, anche minima, di milioni di cosiddetti appassionati, i dirigenti incapaci di restituire al calcio i connotati nativi di un fenomeno pulito, trasparente, sportivo, giornalisti che si eccitano ed eccitano, stigmatizzano e deprecano, cambiando umore come banderuole al vento; e potrei continuare a lungo, se si volesse entrare nei meandri delle strumentalizzazioni, delle sponsorizzazioni, o dei farmaci che hanno ucciso fior di giovani inconsapevoli di essere sfruttati e logorati fino all’ultimo respiro. Pur di sbattere il mostro in prima pagina, ho letto sciocchezze autentiche: per dimostrare la “maledizione” di Genova e del Genoa, si è arrivati a rievocare un Genoa-Milan (accoltellato e ucciso un tifoso del Genoa) e la sospensione della partita della Nazionale (gli incidenti furono provocati dai tifosi serbi!). In questa infernale cornice ci sono - gli unici, sicuri innocenti - i tifosi - non solo quelli, straordinari, del Genoa. Pagano un biglietto, quasi sempre salato, e sognano di veder la propria squadra vincente o, quanto meno, questo è il punto, impegnata a sudare e lottare, per il migliori risultato possibile. E tra i tifosi ci sono gli ultrà, gli estremisti: se commettono violenze, sono il primo a infuriarmi e a pretendere - inutilmente, visto come funziona la giustizia - che siano puniti e condannati in modo esemplare. Ma se non commettono violenza, anche io, da sessant’anni, sono un ultrà, per il sentimento del tifo. In particolare, sono un ultrà genoano: cioè legato, per misteriose motivazioni (se interessa, ne parleremo un’altra volta) alla propria squadra, storicamente ormai sofferente e perdente da decenni. In maniera indissolubile. Se non fosse per ragoni di età e di salute, e perchè vivo a Roma e non più a Genova, ogni domenica in cui il Genoa gioca in casa, sarei lì, allo stadio, confuso tra gli ultrà, a gridare il mio entusiasmo e le mie speranze. Noi genoani siamo una specie unica: siamo quelli che hanno imbandierato la città il giorno della beffarda retrocessione in serie C, quando avevamo appena riconquistato la serie A. Siamo quelli che hanno applaudito la nostra squadra - pochi anni fa! - quando a Genova è stata messa sotto dall’Inter di Mourinho con un punteggio superiore a quello che ci ha inflitto il Siena. Ricordo perfino uno 0-8 (otto gol in casa!) presi dal Milan di Nordhal negli anni cinquanta. Ricordo uno 0-5 incassato dall’Udinese di Zico. Ebbene? Mai si è avuta, nella storia del Genoa, una protesta popolare come quella di domenica. Perchè oggi, allora? Perchè domenica si è passato il segno. Era, per il Genoa e per il Siena, la partita della salvezza. E i toscani l’hanno affrontata con cuore, con aggressività sportiva, consapevoli dell’importanza dei punti in gioco. E i nostri? Poveracci, presi a legnate dagli avversari, senza capacità nè di lotta nè di reazione. Una vergogna, questa sì. E cosa hanno fatto gli ultrà? Qual è stata la loro colpa? La sola ”violenza” è stata quella di provocare l’interruzione di una mezz’ora… Dov’erano i dirigenti, il presidente, l’allenatore? Dov’erano le forze dell’ordine? Gli ultrà hanno preteso che i giocatori si togliessero le sacre maglie rossoblù. Ebbene, da qualche annO il Genoa non è una squadra di calcio: è diventata una pensioncina dalle porte girevoli, in cui i calciatori entrano ed escono, a decine ad ogni stagione, i più deboli restano, i più forti vanno via: Milito, Thiago Motta, Borriello, El Sharawy, solo per citare i primi che mi vengono in mente. Addrittura alcuni, come Bonucci e Boateng li abbiamo visti in transito, neanche un giorno vissuto a Genova, acquistati per essere subito ceduti, dirottati alla Juventus e al Milan. Qual è l’identità della squadra, qual è il valore della maglia? Esiste forse il valore della maglia genoana per i dirigenti del club, per le televisioni che infuriano e insultano, per i giornali, per i procuratori, per i calciatori? Ma via! Che gliene frega ai migliori calciatori, un Palacio o a un Gilardino - che probabilmente sono già venduti o certamente saranno venduti - di togliersi di dosso la maglia, o ad altri che vanno e vengono come pacchi postali? Il valore della maglia contava - conta - solo per noi ultrà, per tutti gli altri tifosi d’accordo con gli ultrà. E perciò è partita l’intimazione di togliersela, quella maglia, con una manifestazione che può diventare di grandiosa importanza per chi ama il calcio. Non per quelli che ci sguazzano, nel calcio, per convenienza e interessi a volte perfino impronunciabili. Ma per chi ama davvero il calcio, come gli ultrà, gli ultimi mohicani romantici. Viva gli ultrà! Si è oltrepassato il limite del diritto di protesta? Forse. Ma sono orgoglioso che dal mio Genoa parta finalmente una rivendicazione popolare dai toni forti: è il tifoso che può reclamare i suoi diritti, è il tifoso l’unico che ancora paga, e crede, in questo sport, diventato e deformato come un business-show. -
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Dov'e' finita la bellezza di giocare? Calcio italiano, il giocattolo si e' definitivamente rotto I fatti di Genova hanno dato il colpo di grazia Luca Innocenti - voced'italia.it - 23-04-2012 Genova - Il calcio italiano è passione. No, non stiamo parlando dell'amore dei tifosi nei confronti della propria squadra, ma di passione cristiana, di fustigate, corone di spine e croci portate a fatica dal Calcio, quello vero, quello con la "c" maiuscola. Il paragone è ardito, quasi blasfemo, ma le umiliazioni che sta subendo il pallone nostrano sono troppe e troppo gravose per potere di far finta di nulla. Umiliazione numero uno: calciopoli. Fenomeno non totalmente chiarito, condito dai risvolti più vari, tra gli insulti di moggiana memoria verso il compianto Facchetti, all'omertà di alcune persone circa i metodi poco ortodossi di alcuni dirigenti. In più, la guerra per un campionato che vale poco o nulla, se non tanti litigi tra Moratti e il rampollo Agnelli, presidente di una Juventus piuttosto diversa in termini di eleganza da quella di nonno Gianni. I tempi sono cambiati e battibeccare per un titolo dal nullo valore è persino imbarazzante. Umiliazione numero due: il calcioscommesse. A trent'anni di distanza, la macchia si ripresenta. All'epoca, aveva fermato un certo Paolo Rossi, che due anni più tardi divenne Pallone d'Oro. Oggi il fenomeno sembra enormemente più ampio. Per ora, ha fermato l'ex capitano dell'Atalanta, Cristiano Doni, alcuni calciatori "minori" (ma molto dannosi) come Carlo Gervasoni e Filippo Carobbio, l'ex portiere del Napoli, Matteo Gianello, oltre che Andrea Masiello, vero e proprio centro del sistema criminoso. Questi sanno e stanno facendo molti nomi. Nomi che si sono resi colpevoli di silenzio, il quale, per la giustizia sportiva, porta alla squalifica e, a parte le cifre ricevute dai giocatori sopracitati, sembra che i personaggi che sapevano ma non parlavano fossero moltissimi. I nomi sono piuttosto pesanti: Antonio Conte, Stefano Mauri, Cristian Brocchi, Giuseppe Sculli, Paolo Cannavaro. Detto ciò, non c'è alcuna certezza che essi, come altri, conoscevano le diverse combine, ma la tempesta sembra davvero dietro l'angolo. Umiliazione numero tre: i fatti di Genova. Non bastava che a Marassi si presentasse tal Ivan Bogdanov, l'energumeno serbo che rovinò la reputazione di tutta una nazione, sempre molto attenta al calcio, durante Italia - Serbia, ma dovevano aggiungersi un centinaio di delinquenti che imponessero le loro leggi. "Via le maglie!", ordinano. E i giocatori obbediscono. Premettendo che la paura (chiara nelle lacrime del genoano Mesto) è comprensibile, le domande sono tante. Perché dare a questi "tifosi" certe soddisfazioni? Dov'era la polizia? Perché non si è interrotta la partita? Mille domande, tutte legittime, ma probabilmente solo una è realmente pertinente: perché permettere a pochi di imporre condizioni, regole e tempistiche di una gara che dovrebbe durare novanta minuti? Ci vuole coraggio, ma oggi è venuto meno. A parte ad uno: Enrico Preziosi. La conferenza stampa del dopo-partita è stata decisa, sfacciata, quasi cattiva: che trasmetta questa rabbia a tutti i suoi "dipendenti". Umiliazione numero quattro: oggi la giornata doveva essere dedicata a Piermario Morosini. Invece, si sono viste minacce e situazioni che definire "ributtanti" è riduttivo, per chi ama questo sport. La sua memoria, ad una settimana dalla sua morte in diretta, è già stata infagata: bravi, fatevi un bell'applauso. -
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IL CASO Calciopoli, sanzionata la Casoria diceva ai colleghi: "Mi abboffate le palle" La Cassazione ritiene il comportamento di Teresa Casoria scorretto e ingiurioso. Comminata la censura repubblica.napoli.it 24-04-2012 Confermata, dalla Cassazione, con l'accusa di aver tenuto un "comportamento abitualmente e gravemente scorretto, e in alcuni casi anche ingiurioso" verso i colleghi, la sanzione disciplinare della censura a carico di Teresa Casoria, il presidente della nona sezione del Tribunale di Napoli che ha guidato il processo a 'Calciopoli'. La decisione della Suprema Corte è stata pubblicata oggi con la sentenza 6328. Tra gli addebiti mossi al magistrato, compaiono le parole della Casoria che durante una camera di consiglio del processo che ha condannato Luciano Moggi, avrebbe iniziato ad urlare, essendo sorti disaccordi nel collegio, dicendo che "non occorreva fare le cose perbene" poichè "il sistema della giustizia non funziona ed è inutile impegnarsi". Quindi si rivolgeva a uno dei giudici a latere e lo apostrofava con un "ma tu che ca... vuoi? Che ca... devi leggere? Vuoi fare le cose alla perfezione? Tanto qui finisce sempre tutto con dichiarazioni di prescrizione! ... Mi avete abboffato le palle!". Senza successo, il presidente Casoria, ha cercato di difendersi chiedendo che le sue sfuriate fossero giustificate in nome dello stress provocatole dal processo. La Cassazione le ha risposto, però, di non poterla scusare perchè Calciopoli non c'entra, essendo stata accertata la "abitualità" del suo comportamento sfociato in "mancanza di controllo, aggressività verbale e impiego di espressioni particolarmente offensive nei confronti dei colleghi". -
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Abete, Beretta e Preziosi troppo tardi per protestare Aligi Pontani - Tempo scaduto - repubblica.it - 23-04-2012 Ci ha pensato bene, lo sport italiano, alle cose da dire su quanto accaduto a Genova. Il presidente del Coni Gianni Petrucci, che dello sport è il capo supremo, ha voluto parlare per ultimo, a tarda serata, mettendo a fuoco lo slogan a effetto da usare: "Vergogna, vergogna, vergogna", come se quel triplicare il concetto, divenuto ormai figura retorica italiana buona per ogni stagione, bastasse per chiarire l'enormità dell'accaduto. Giancarlo Abete, invece, capo solo del calcio, ha visto in tv lo scempio dei giocatori passare sotto le forche caudine, piangere, cedere, umiliarsi, ha preparato il suo comunicato di dura condanna (si dice così) e ha fatto sapere che avrebbe aspettato la fine della partita per divulgarlo. Parole di fuoco: mai più quella gente in uno stadio. Di Maurizio Beretta, capo della Lega calcio, proprietaria dello spettacolo andato in scena ieri a Marassi, si sono invece perse le tracce fino a quando, rintracciato da un'agenzia di stampa, ha chiarito il suo pensiero: episodio grave e triste, ha detto, ma il calcio italiano è forte e si rialzerà. Evviva. Hanno naturalmente ragione tutti e tre: una vergogna pazzesca, quegli avanzi da galera vanno fatti sparire dagli stadi, serve un rinascimento del pallone. Resta da capire dove fossero, tutti, mentre il presidente di un club professionistico affiliato alla Lega di cui Beretta è presidente, decideva di accettare il rito della svestizione, mandando al macero definitivamente l'immagine di uno sport ridotto a contenitore del peggio. Resta da capire perché nessuno, non solo le forze dell'ordine, pure pagate per far rispettare una legalità ieri calpestata - come si comporterebbero se un qualsiasi lavoratore fosse costretto, mentre lavora, a spogliarsi in un luogo pubblico da una trentina di persone poco più che vocianti? - ma soprattutto nessuno del calcio, dirigenti, presidenti, giocatori, arbitri, abbia saputo dire la più semplice delle cose: no. Così no. Così mai. Nessuno, durante quegli interminabili 40 minuti di incredibili trattative in diretta, ha pensato che stava morendo la dignità. Tutti a guardare Sculli (Sculli, sì, proprio lui) discutere con la banda ultrà, di fatto legittimandola, addirittura parlare all'orecchio con il capo: magari risolve lui, avranno pensato. Sculli. Ora lo dicono tutti: così mai più. Ma, ancora una volta, è troppo tardi. E' tardi per chi ha guidato il calcio italiano nella in questa stagione di disastri, dal vertice di una federazione troppo spesso assente, passiva, in balia dell'anarchia imposta dai club professionistici e incapace di proporrre in tanti anni lo straccio di un programma di rinnovamento, di cambiamento, crivellato dagli scandali, dalle liti, dai fallimenti sportivi. E' tardi per chi continua ostinatamente a scaldare una poltrona, quella della Lega, pagato uno sproposito per non esserci mai, né quando si ferma tutto come per Morosini, né quando tutto continua come a Marassi. Lui non c'è, non telefona, non decide, non sa. E' tardi per chi aveva raccontato che la tessera del tifoso avrebbe cambiato tutto, cacciato i mostri e fatto entrare gli angeli negli stadi. I mostri invece non solo ci sono ancora, schedati, pochi, arrabbiati, ma sono ormai gli unici clienti di luoghi spettrali dove le famiglie non si azzardano a mettere piede: anche perché, come accaduto ieri, non ci sono tornelli e tessere in grado evidentemente di evitare che i mostri passino da un settore all'altro, picchino gli steward, dettino le loro condizioni. E' tardi per i presidenti, come Preziosi, che quella gente hanno coltivato per anni, e che più in generale non hanno alcuna idea di cosa sia lo sport, ma proprio nessuna: sanno come si fanno affari col mercato dei giocatori, come si spremono soldi dalle tv, come si licenziano gli allenatori - e infatti, per dire, Preziosi subito dopo l'osceno show (la sera stessa, capite?) ne ha licenziato un altro - come si triplica il prezzo dei biglietti per una finale o una partita importante. E sanno anche che gli ultrà sono clienti, per loro, anche se sommergono di cori razzisti quelli di colore, anche se alla vigilia del 25 aprile fanno cori antisemiti, anche se capita che aspettino i giocatori fuori dallo stadio per pretendere "un confronto". Loro, i presidenti, sono sempre stati zitti. Sempre. Per anni, e ancora oggi, il calcio ha chiuso gli occhi prima e gridato alla vergogna dopo. In mezzo, un romanzo degli orrori che adesso si è arricchito dell'ultimo capitolo: quello della resa. Per sperare in un lieto fine, bisognerebbe cambiare paese, lingua, facce. Noi ci terremo le nostre. Domani si gioca. -
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IL COMMENTO Il segreto Juve: l'obbedienza totale al tecnico Mario Sconcerti - corriere.it - 23 -02 - 2012 Il Milan ha le sue consolazioni, per esempio anche ieri c'è stato un gol cancellato dagli arbitri, ma la Juve sta ormai dimostrando di avere qualcosa di più. La storia cambia dalla trasferta di Firenze quando finisce la Juve dei pareggi. Si passa da 8 reti in sette partite, a 18 reti in 6 gare. Un cambio verticale, con la stessa formazione, un ritorno di condizione molto forte, soprattutto un ritorno ai suoi livelli di Pirlo dopo una pausa di stanchezza. Il campionato non è finito, ma è molto ben orientato. Soprattutto sono rovesciate le convinzioni, oggi è chiaro che la Juve ha di più e che il Milan non basta. Non è chiaro se la Juve sia migliore del Milan, Allegri ha per esempio un giocatore capace di segnare 14 reti più del miglior attaccante della Juve. È chiaro però che la Juve gioca meglio, ha una velocità diversa. Si vede nella Juve un'innocenza che è fuori dal calcio, l'obbedienza totale verso un allenatore. Non giocano secondo istinto ma secondo regola. O meglio, sono riusciti a forza di sudditanza al tecnico, a far diventare regola il proprio istinto. Non c'è dubbio che questa sia la Juve di Conte. Si sapeva che fosse bravo, nel calcio lo dicevano in molti. Non era chiaro fosse così bravo. Forse la Juve è il suo elemento, si aiutano a vicenda. Forse si ragiona da juventini tutta la vita se si è rimasti tanto nella Juve e altrettanto si è vinto. Dovrebbe a mio parere, smetterla di dire che le notizie del calcio scommesse nascono per destabilizzare lui e la Juve. Destabilizzano almeno una ventina di società e un centinaio di calciatori. È evidente che la storia non è stata inventata per Conte. Né si può scambiare per un pettegolezzo anti-juventino, un verbale compilato in procura. Di questo Conte dovrebbe tener conto, oppure scegliere di ignorare tutto e lasciare le cose in mano ai suoi avvocati. Ma non mescolare le acque patriottiche. Meglio una voce come questa o tre gol dentro la porta annullati come è successo al Milan? È giusto recuperare la realtà e vincere con la coscienza dei forti, senza vittimismi. La Roma è alla quarta trasferta in cui subisce quattro reti, segno di una squadra mai nata. Qualcuno deve dire a Luis Enrique che 50 punti la Roma li aveva fatti raramente negli ultimi vent'anni. Due anni fa, con progetti di molta più sopravvivenza, aveva 18 punti in più ed era prima. Il problema è la mancanza di crescita, si è data importanza a giocatori che non sanno reggerla. L'Inter fa quello che può, il problema non è il presente, è ricostruire. E bisogna dare atto a Stramaccioni che quattro partite senza perdere all'Inter quest'anno erano capitate solo un'altra volta. Resta la lunga volata per non retrocedere. Il Genoa oggi ha rilanciato, ma c'è ancora molta strada per tutti. -
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DOSSIER - Milan ancora penalizzato, ma senza errori arbitrali la Juve sarebbe a + 4 Giovanni Capuano - panorama.it - 23-02-2012 Una stagione combattuta a colpi di dossier, nessuno depositato eppure tutti sbandierati per rivendicare i torti subiti dimenticando magari qualche vantaggio. Un dossier che il Milan dopo il pareggio stentato contro il Bologna tiene chiuso in un cassetto ma che secondo Adriano Galliani si è arricchito di un nuovo e decisivo capitolo con l’errore dell’assistente Alessandroni in occasione del gol annullato a Ibrahimovic e che avrebbe regalato al Milan un secondo tempo all’assalto. Rabbia in silenzio. “Quest’anno siamo stati sfortunati” ha abbozzato Allegri. E Galliani ha lasciato San Siro scuro in volto, forse consultando il cellulare dove - lo aveva confermato anche venerdì all’assemblea dei soci - conserva i filmati dei gol di Muntari e Robinho che secondo i vertici rossoneri hanno indirizzato stagione e scudetto verso Torino. Ha ragione? Panorama.it ha provato a mettere in fila torti e favori delle duellanti e ha scoperto che senza sviste alla fine sarebbe la Juventus a guadagnarci. In una classifica ideale i bianconeri (che oggi hanno 71 punti) ne avrebbero 75 mentre il Milan (oggi a quota 68) salirebbe fino a 71. Prima avvertenza: nell’elenco non troverete e non è stata valutata la sfida di San Siro del 25 febbraio, quella del gol di Muntari non visto da Romagnoli e Tagliavento. Quella sera la Juve si lamentò per una rete di Matri ingiustamente annullata per fuorigioco. Il raddoppio di Muntari avrebbe chiuso la partita come sostiene il Milan? Ai lettori il giudizio. FAVORI ALLA JUVENTUS - La galleria inizia alla 4° giornata in Juventus-Bologna (1-1 il finale): il gol di Vucinic scaturisce da una punizione battuta con palla in movimento da Pirlo. C’è anche il rigore concesso e poi cancellato per fallo di Portanova su Chiellini: il difensore è in fuorigioco. Alla 7° a Verona contro il Chievo finisce 0-0 ma i veneti hanno ragione a lamentarsi per un gol annullato misteriosamente a Thereau da De Marco: avrebbe spinto Pirlo recuperando il pallone. Le immagini smentiscono. Il 4 dicembre 2011, 14° giornata, è il giorno dell’unico rigore a favore dei bianconeri. Accade in Juventus-Cesena (2-0) e si tratta di un clamoroso errore perché Antonioli tocca il pallone prima di abbattere Giaccherini. Viene anche espulso ma la svista di Doveri non incide sul risultato. Il 21 dicembre nel recupero della 1° giornata Udinese-Juventus (0-0) Tagliavento grazia Barzagli per una spinta a Di Natale in area di rigore. Il nuovo anno si apre con le polemiche per Juventus-Cagliari (1-1): Guida non fischia due falli di mano abbastanza evidenti di Bonucci su colpo di testa di Larrivey e Pirlo su conclusione dalla distanza di Cossu. Entrambi erano meritevoli di calcio di rigore. Passa una settimana e in Atalanta-Juventus (0-2) Denis protesta per una trattenuta di Chiellini alle sue spalle. Poteva essere penalty ma la vittoria cancella tutto. Nel recupero della 21° giornata Parma-Juventus (finale 0-0) ci sono i due episodi che scatenano Conte ma manca anche un penalty per i locali (spinta di Barzagli su Giovinco) ed è la Juventus a potersi lamentare di più. In Juventus-Catania (3-1) alla 24° giornata è da annullare il vantaggio di Chiellini che si appoggia a Bergessio. Ininfluente perché mediato anche da un rigore su Padoin di Gomez non visto. Alla 26° in Juventus-Chievo (1-1) De Ceglie è in fuorigioco mentre realizza la rete dell’1-0 poi pareggiata da Dramè che avrebbe però dovuto essere espulso in precedenza da Gervasoni. Bocciato. FAVORI AL MILAN - La prima partita discussa per i fischi pro-Milan arriva all’(° giornata ed è Lecce-Milan (3-4): sarebbe da annullare il secondo gol di Boateng per un fuorigioco attivo di Aquilani, ma è anche inesistente il rigore per i salentini nel primo tempo chiuso sul 3-0 per il Lecce. Alla 10° inMilan-Roma 2-3 è in leggerissimo fuorigioco Ibrahimovic quando realizza la rete dell’1-3. Errore veniale ma che vale un paio di punti. Completamente falsata invece Bologna-Milan (2-2). Rocchi la sbaglia da cima a fondo ma i rossoneri sembrano leggermente favoriti dalla giornata-no del direttore di gara che grazia Seedorf per un netto fallo di mano (accadrà anche al bolognese Morleo) e non vede il fuorigioco di partenza di Pato nell’azione del rigore su Ibrahimovic che lo stesso Allegri definisce “generoso”. Manca anche un rigore ad Aquilani. In Milan-Inter del 15 gennaio (finale 0-1) è buono il gol di Thiago Motta annullato su segnalazione di Copelli. Alla fine l’Inter vince comunque. In Novara-Milan (0-3) sarebbe da cancellare il raddoppio nato da un controllo di mano di Nocerino. Non influisce. Da discutere il fischio di Mazzoleni che concede rigore in Milan-Roma (2-1): nessun dubbio sul fallo di mano preceduto però da un’entrata pericolosa di El Shaarawy su Heinze. Il 7 aprile in Milan-Fiorentina il rigore del vantaggio rossonero (blanda trattenuta di Nastasic su Maxi Lopez) è più che generoso. Alla fine risulta non decisivo e bilanciato dall’atterramento di Cassano nel finale che viene invece lasciato correre. TORTI CONTRO LA JUVENTUS - Le proteste e i sospetti di Conte iniziano subito all’alba del campionato. E’ l’11 settembre 2011 in Juventus-Parma (4-1): manca un rigore a Matri al quale viene anche negato un gol regolare. Ininfluenti. A San Siro in Inter-Juventus (1-2) Rizzoli nega un netto penalty con espulsione per un intervento scomposto di Castellazzi su Marchisio. La Juventus vince ugualmente. Non è decisiva nemmeno la disattenzione di Bergonzi in Lecce-Juventus (finale 0-1) con un’entrata da rigore di Oddo su Vucinic perdonata. E’ l’ultima volta che accade. Alla 22° giornata in Juventus-Siena (0-0) il mani di Vergassola su traversone di Chiellini non fischiato da Peruzzo costa due punti e le proteste di Marotta che chiede “arbitri esperti”. Poi c’è la rabbia di Parma-Juventus (0-0) con i rigori non visti su Giaccherini e Pirlo su cui si discute davanti alla moviola ma che lasciano la sensazione di ingiustizia e provocano lo sfogo di Conte in sala stampa (”Gli arbitri hanno paura a fischiare a nostro favore perché condizionati ancora da Calciopoli”). Nel recupero della 23° Bologna-Juventus (1-1) c’è un rigore su De Ceglie non concesso che fa infuriare Conte espulso e squalificato pur senza aver profferito insulti su indicazione del quarto uomo Bergonzi. Si va a Marassi e Genoa-Juventus (0-0) è la partita del gol regolare annullato a Pepe per un fuorigioco inesistente in una gara in cui bianconeri possono discutere anche per la trattenuta (peraltro reciproca) di Carvalho su Matri. TORTI CONTRO IL MILAN - L’elenco comincia con Napoli-Milan (3-1) alla 3° giornata: su cross di Nocerino c’è un tocco di braccio non visto di Cannavaro. Alla 12° in Fiorentina-Milan (0-0) Mazzoleni e i suoi assistenti ne combinano di tutti i colori: mancano due rigori (mani di Behrami e fallo di Nastasic su Pato) e a Seedorf viene annullato un gol regolare per fuorigioco. Alla 21° giornata inLazio-Milan (2-1) c’è il giallo del rigore per fallo di mano di Dias prima concesso da Damato e poi ritrattato su segnalazione dell’assistente. Aveva ragione l’arbitro. Proteste laziali su un possibile rigore di Thiago Silva. Pesa molto l’errore di Rizzoli in Milan-Napoli (0-0) alla 22°: c’è rigore per un’entrata scomposta di Gargano su Robinho e anche in occasione dell’espulsione di Ibrahimovic manca il rosso ad Aronica. Si arriva a Catania-Milan (1-1). Il gol fantasma di Robinho fa discutere: per Galliani è un errore inaccettabile ma il presidente dell’Aia Nicchi e alcune moviole iper-tecnologiche dicono il contrario e promuovono la scelta di Ghiandai e Bergonzi di non assegnare la rete. Poi la gara contro il Bologna e il fuorigioco inesistente di Ibra segnalato da Alessandroni con i felsinei in vantaggio ma una bella fetta di secondo tempo da giocare. Errore pesantissimo, forse decisivo. -
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Imbarazzo Viminale per polizia a Genova di Fulvio Bianchi - SPY CALCIO - repubblica.it - 22-04-2012 Mai più in uno stadio", si augura Giancarlo Abete, n.1 della Figc. "Vergogna, vergogna", tuona Gianni Petrucci, presidente del Coni. Enrico Preziosi, presidente del Genoa, spera addirittura nella mano dura, oggi, del giudice sportivo Giampaolo Tosel: "Così, con Marassi squalificato, potremo giocare in trasferta più sereni". Probabili due giornate di stop, anche se nei casi gravi è prevista pure la penalizzazione in classifica. Ma nel vergognoso pomeriggio di Marassi l'indice è puntato anche nei confronti della questura di Genova, che, anche stavolta, ha gestito malissimo l'ordine pubblico. Abete ricorda le "gesta" degli ultrà serbi, e del loro leader Ivan il terribile, che portarono allo stop della gara con la Nazionale. Ma anche quest'anno ci sono stati problemi: un agguato di alcuni teppisti nei confronti dei tifosi del Milan, vanificata tutta l'opera di riappacificazione fatta da Preziosi e Galliani dopo la morte del tifoso genoano Spagnolo. Adesso viene messa in discussione la gestione della gara col Siena: "Possibile ci fossero solo dieci poliziotti a fronteggiare un centinaio di tifosi?", si chiede Preziosi. E' vero che i poliziotti hanno consigliato i genoani di obbedire al ricatto dei tifosi e togliersi la maglia? Il questore di Genova lo nega, Massimo Mazza: "Noi eravamo contrari a Preziosi e lo avevamo sconsigliato a fare togliere le maglie ai giocatori". Una polemica nel caos della giornata. "Il Daspo non basta, serve la galera", rincara Preziosi, furibondo con gli ultrà. "Si vergognino". E Abete aggiunge: "Le norme ci sono, basta applicarle". Al Viminale c'è imbarazzo. La questura genovese è in discussione. Probabile, a questo punto, una risposta "esemplare" nei confronti dei violenti: verranno valutare le immagini, e le ipotesi di reato (partita interrotta, lancio di fumogeni, violenza privata nei confronti dei giocatori, eccetera). Probabile un centinaio di Daspo, con il massimo previsto dalla legge (solo in Inghilterra c'è la "radiazione" dagli stadi): cinque anni, con obbligo della firma. Ma è altrettanto probabile che il Viminale prenda provvedimenti nei confronti dei dirigenti della questura genovese. -
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DOPO IL LUTTO E LA SOLIDARIETA' PER MOROSINI, ECCO IL PEGGIO DEL CACLIO: CHIUDERE LE CURVE AGLI ULTRAS di Fabrizio Bocca - Bloooog- repubblica.it - 22-04.2012 I buoni sentimenti e i buoni propositi sono durati lo spazio di appena una settimana. Appena il calcio è tornato a giocare ha mostrato il peggio di se stesso. Piermario Morosini è morto in campo appena una settimana fa, e in quell’occasione il calcio si è fermato, travolto dal dolore, ma sono stati anche giorni pieni di sentimento, di solidarietà, di dolori che ci hanno costretto a ragionare sui problemi veri, importanti, autentici. I tifosi avevano intrecciato le loro sciarpe al funerale, sembrava esserci veramente un’aria nuova, più pulita, migliore, meno avvelenata. E invece, smesso di piangere, il peggio è subito tornato in campo, confermando che il calcio italiano si è ormai infilato in un tunnel buio dal quale chissà quando potrà uscire. Rancori, veleni, intimidazione, totale mancanza di cultura e di sportività, violenza. Quanto avvenuto a Genova è veramente lo sprofondo del pallone, la vittoria della sua anarchia completa e assoluta, la sua incapacità di saper perdere una partita, di accettare la sconfitta. Che poi è alla base di uno sport. Qualcuno in un campionato inevitabilmente perde, deve perdere, qualcuno finisce inesorabilmente per retrocedere. Gli ultrà hanno impedito che la partita che il Genoa stava perdendo malamente contro il Siena proseguisse, hanno costretto l’arbitro a sospenderla, e addirittura con la costrizione dei giocatori a togliersi la maglia, perché indegni. Indegni di che cosa? Che cosa dà loro il diritto di fare i giudici, di dare patenti di dignità o indegnità? E addirittura minacciando cioè di fare anche di peggio, e quindi usando la violenza e il ricatto. Sono state le stesse scene di Italia Serbia, di un anno e mezzo fa, quando gli ultrà serbi comandati dal famigerato Ivan il Terribile impedirono che la partita della nazionale si svolgesse regolarmente. Per quale motivo certa gente si ritiene in diritto di sequestrare uno stadio intero? Ci si augura che i responsabili paghino adesso con adeguato carcere. Ma forse l’unica soluzione sono gli stadi a porte chiuse, con quelle curve di intolleranti chiuse agli ultras. Gente che non sa vivere il calcio, che non lo rispetta, che lo violenta e che deve più frequentare uno stadio. -
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Miiii, quant'è dura la vita questa news Ju29ro l'ho scritta io (perché per il momento, ancora per poco, sono io che scrivo le news) Moggi: Agnelli riporterà a casa gli scudetti - Ma Luciano Moggi è stato intervistato anche dal sito arabo juventusmania.net, i cui responsabili lo hanno premiato e gli hanno testimoniato tutto il loro apprezzamento (per lui e per la Juve). E con loro lui ha parlato del futuro suo e della Juventus. Per quanto lo riguarda Moggi ha spiegato che il suo futuro è legato "all'esito del processo di appello, ma credo non vi siano problemi, perché ormai è stato acclarato agli occhi di tutti, se mai fosse stato necessario, che sono innocente". Per quanto riguarda la Juventus, afferma che "Andrea Agnelli dovrà recuperare i due scudetti, anche perché il tribunale ha dimostrato che nel campionato il cui titolo è stato tolto alla Juve ogni cosa era stata regolare". Quanto ai tempi: "Loro hanno proposto un ricorso e sarà necessario quindi un po' di tempo, però credo che nel giro di un anno tutto possa risolversi e i titoli possano tornare". Ma gli arabi sono notoriamente scaltri e hanno posto una domanda maliziosa: 'Elkann è sparito dalla circolazione, Cobolli ha accettato la serie B. E' possibile che qualcuno volesse congiurare per mandare via Moggi dalla Juve?' Moggi a questo punto non ha fatto altro che sorridere scuotendo la testa e dicendo solo, in un sospiro: "E' probabile..." di là, sul forum, dove non vado per non finire in guai peggiori di quelli in cui mi trovo hanno scritto che il titolo è sbagliato (Agnelli riporterà a casa gli scudetti). Certo che no.... "Andrea dovrà riportare a casa gli scudetti Loro hanno proposto un ricorso e credo che nel giro di un anno i titoli possano tornare" Mi chiedo: chi li avrà riportati? Guido Rossi o Andrea Agnelli? Il sillogismo questo sconosciuto.... (il titolo deve riassumere tutta la news, mica volevo orientare l'opinione pubblica...) Scusate lo sfogo... -
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Forbes analizza il valore delle prime 20 squadre di calcio 18/04/2012 | Filed under: Bilanci Squadre Calcio,News | Posted by: Tifoso Bilanciato Come tutti gli anni la rivista Forbes stila una classifica delle prime 20 squadre di calcio, cercando di dare un valore di mercato a ciascuna di loro. Nel 2012 vince il Manchester United, con un valore di 2,23 miliardi di USD, pari a circa 1,7 miliardi di Euro. E’ di pochi giorni fa la notizia di un suo possibile collocamento alla Borsa di Singapore, iniziativa che era stata fermata nell’autunno scorso a causa delle sfavorevoli condizioni di mercato. 1. Manchester United Owner: Glazer family Value: USD 2,235 mil. Per chi volesse dare un’occhiata, sul sito sono presenti anche i bilanci. 2. Real Madrid Owner: club members Value: USD 1,877 mil. 3. Barcelona Owner: club members Value: USD 1,307 mil. 4. Arsenal Owner: Stan Kroenke Value: USD 1,292 mil. 5. Bayern Munich Owner: club members Value: USD 1,235 mil. 6. AC Milan Owner: Silvio Berlusconi Value: USD 989 mil. 7. Chelsea Owner: Roman Abramovich Value: USD 761 mil. 8. Liverpool Owner: John Henry Value: USD 619 mil. 9. Juventus Owner: Agnelli family Value: USD 591 mil. 10. Schalke 04 Owner: club members Value: USD 587 mil. 11. Tottenham Hotspur Owner: Joseph Lewis Value: USD 564 mil. 12. Inter Milan Owner: Massimo Moratti Value: USD 490 mil. 13. Manchester City Owner: Sheikh Mansour bin Zayed Al Nahyan Value: USD 443 mil. 14. Borussia Dortmund Owner: Bernd Geske Value: USD 394 mil. 15. Olympique Lyonnais Owner: Jean-Michel Aulas Value: USD 385 mil. 16. Hamburg SV Owner: club members Value: USD 355 mil. 17. AS Roma Owner: Neep Roma Holding Value: USD 354 mil. 18. Olympique Marseille Owner: Margarita Louis-Dreyfus Value: USD 349 mil. 19. Valencia Owner: club members Value: USD 288 mil. 20. Napoli Owner: Aurelio De Laurentiis Value: USD 283 mil. Link: Forbes Sport -
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Zeman: «Morosini? Non si poteva evitare la morte» Il tecnico del Pescara: «Farmaci e integratori? Ce ne sono ancora tanti, speriamo facciano bene…» Tuttosport - 19-04-2012 PESCARA - Zeman torna a parlare in sala stampa al centro sportivo di Poggio egli Ulivi, prima della partenza per la trasferta del Pescara a Padova. Zeman, s’è fatto tutto il possibile per evitare la morte di Piermario Morosini? "Sulla morte di Morosini voglio dire che il mio parere personale è che non si potesse fare nulla più di quanto fatto. Il fatto che sia morto in campo ha chiaramente un effetto mediatico molto forte". Ci sono ancora molti farmaci nel calcio? "Nel calcio ce ne sono ancora tanti, soprattutto integratori, ne escono ancora ogni giorno di nuovi tipi. La mia speranza è che non facciano male…" Ma lei vede qualche squadra che corre troppo? "Non posso dirlo, dovrei vedere che fanno in allenamento gli altri. Anche delle mie squadre s’è detto talvolta che correvano troppo. Ma i miei giocatori sono dopati di gradoni…" Ci sono voci di mercato che la vorrebbero dt all’Inter con Stramaccioni allenatore. "Io non lo so e non ne parlo, ma io mi sento allenatore". Lei sempre sempre distante da queste voci di mercato che la accostano all’Inter: ha perso la voglia di puntare ad un top team? "Anzi: mi sento molto competitivo e vorrei misurarmi contro le squadre più forti come ho fatto in passato. Spero che possa capitare presto col Pescara, però". Scommessopoli sta per sconvolgere i campionati? "C’è una corsa esasperata ai soldi nel calcio, oggi. Chi può prenderli ne approfitta e c’è una esasperazione del concetto di vittoria e se non ce la fai coi mezzi propri, si provano tutte le altre strade. Ecco i risultati". S’ è fatta polemica sul mancato rinvio di Pescara-Bari dopo la morte di Franco Mancini? "Non conta chiedere il rinvio. Anche il Livorno l’ha chiesto dopo la morta di Morosini. Queste cose dipendono dalla sensibilità della Lega di B". -
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INDISCRETO - Champions a rischio per Lazio e Napoli, ma la norma Uefa ‘anti-scommesse’ non colpirà le italiane Giovanni Capuano - Panorama.it - 18-04-2012 Pronostico semplice: quella in arrivo sarà un’estate torrida per il calcio italiano che rischia di ripiombare nel clima di tutti contro tutti giù vissuto nelle settimane calde di Calciopoli nel 2006 con forte imbarazzo della nostra Federcalcio nei confronti dell’Uefa. I processi sportivi saranno solo uno dei capitoli sul tavolo. Club e Figc dovranno infatti anche garantire a Platini l’integrità morale delle società iscritte alle coppe europee per non incorrere nel bando previsto dall’aprile del 2007 da una norma costruita proprio dopo il caso del Milan, iscritto contro voglia alla Champions malgrado le penalizzazioni per Calciopoli. Attenzione, però, perché a differenza di quanto circola in questi giorni in ambienti sportivi sarà quasi impossibile per l’Uefa rifiutare l’iscrizione di chi avrà conquistato sul campo e difeso nei processi la qualificazione a Champions League ed Europa League. La norma sulla ‘non iscrivibilità’ alle competizioni in caso di “coinvolgimento diretto o indiretto” in episodi di corruzione o di attività volte ad influenzare i risultati del campo non ha trovato, infatti, sinora alcuna applicazione concreta e nel caso italiano - almeno secondo quanto emerso sinora dai verbali delle procure interessate trasmessi al pm federale Palazzi - ci si trova davanti a società già danneggiate dal comportamento fraudolento di loro tesserati. A rischio per la responsabilità oggettiva (che non sarà in nessun modo cancellata ma verrà applicata con il tariffario ‘attenuato’ giù utilizzato la scorsa estate per l’Atalanta e le altre), ma difficilmente punibili con una censura anche morale. emmai la battaglia sulle posizioni buone per qualificarsi alla prossima Champions League edEuropa League si combatterà nei processi sportivi perché la situazione attuale di classifica dietro aJuventus e Milan assomiglia a un’ammucchiata in cui anche pochi punti di penalizzazione potranno determinare la perdita di posizioni. Dunque chi rischia (Lazio, Napoli e Udinese secondo le informazioni in possesso in questo momento anche se tutte hanno negato un loro coinvolgimento) rischia grosso perché scendere dal terzo al quarto posto può ‘costare’ una ventina di milioni di euro. E chi insegue (Inter e Roma in particolare) può ancora sperare. La certezza è che il primo giugno la Figc non consegnerà all’Uefa la lista completa delle partecipanti italiane alle coppe europee 2012-2013. Ci saranno Milan e Juventus di diritto nei gironi Champions e poi una serie di ‘ics’. Quello dell’1 giugno del resto non è un termine perentorio e si replicherà quanto vissuto nell’estate del 2006 quando la comunicazione arrivò a fine luglio con l’ormai celebre documento in cui il commissario straordinario Guido Rossi sanciva l’assegnazione dello scudetto all’Inter. Perché poi non scatterà la norma Uefa sul bando delle società comunque coinvolte? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Mattia Grassani, esperto di diritto sportivo. “Intanto non esistono precedenti e criteri interpretativi. E poi va ricordato che lo Statuto Uefa parla di ‘possibilità’ di rifiutare l’iscrizione mentre i regolamenti delle competizioni trasformano la possibilità in obbligo. Una contraddizione che rende la norma difficile da applicare in automatismo”. Esiste una gerarchia di importanza tra Statuto e regolamenti? “No, nessuna gerarchia anche se lo Statuto è per definizione la norma cornice di tutta l’attività”. Dunque le italiane non rischiano nulla? “Nel caso delle società italiane c’è anche l’eventuale attenuante che si tratta di club già danneggiati dall’attività fraudolenta di tesserati spesso all’insaputa dei club stessi. Non pare ci sia alcuna componente dirigenziale coinvolta”. Quindi si tratterebbe di una pena durissima e doppia? “E’ certo che prima di adottare un provvedimento di questo genere Figc e Uefa devono risolvere il problema dell’interpretazione della norma. Sarebbe una sanzione ulteriore rispetto alle penalizzazioni dei processi sportivi e sarebbe contrario a qualunque logica di proporzionalità della pena”. In ogni caso si andrà ad estate inoltrata… “Bisogna tenere a mente cosa accadde nel 2006 con Calciopoli. L’esempio è quello e alla fine la Figc sarà in grado di fornire all’Uefa una lista adeguata”. -
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IL BUONO E IL CATTIVO DEL CALCIO: LA STORIA MALEDETTA DI CARLO PETRINI Fabrizio Bocca - Bloooog! - repubblica.it -16-04-2012 Un giorno Piermario Morosini e due giorni dopo Carlo Petrini. E’ inutile chiedersi come e perché accadano le cose, accadono e basta. E anche in maniera assurda, impossibile, in una sequenza che nessuno può immaginare. Non esiste un senso nella maniera in cui le cose accadono, o forse esiste e siamo noi a non capirlo. Un giorno parliamo dela dolcezza di un ragazzo che tutti noi abbiamo abbracciato mentre moriva in maniera fulminante, tragica e inaccettabile e subito dopo siamo qui a parlare del suo esatto contrario, del male del calcio. Nessuno si commuoverà probabilmente per la morte di Carlo Petrini, perché è l’esatta antitesi dell’uomo per cui abbiamo pianto sabato e domenica, il diavolo (se esiste), un calciatore che non solo è finito nel baratro ma ci si è buttato, e la sua vita l’ha trasformata più o meno consapevolmente in un inferno. Il doping, le scommesse, gli scandali, le partite truccate, un fango fuoriuscito dai suoi racconti e dai suoi libri talmente nero e violento da chiedersi se fosse mai possibile. Il mito degli anni 70 e 80 spezzato, calpestato, addirittura violentato. Era un buon attaccante Petrini, che ha oscillato tra serie A e B, passando anche per squadre importanti dal Milan al Toro, dalla Fiorentina alla Roma, ma quello che ha confessato ha ovviamente macchiato gran parte della sua carriera, per non dire tutta. Ho letto molto dei suoi libri, il più famoso è il primo “Nel fango del dio pallone”, dove ricostruiva le pratiche del doping forse all’origine del glaucoma che lo ha reso cieco e del tumore che alla fine lo ha ucciso a 64 anni; le scommesse e le partite truccate – con tanto di racconto del famoso Bologna-Juventus del 13 gennaio 1980 – che ne determinarono la squalifica e il susseguente disastro professionale come calciatore; una vita maledetta finita in pezzi e culminata con una fuga all’estero senza nemmeno avere il coraggio di rientrare in Italia per andare al capezzale del figlio Diego morto a 19anni anche lui di tumore. Credo che non possa esistere quasi niente di peggio. Non mi sono mai fidato fino in fondo dei suoi libri, non ho mai capito quanto fossero sinceri i suoi racconti, non ho mai capito se non cavalcasse ad arte le nefandezze di se stesso e del calcio che raccontava, appunto per propria stessa convenienza. Non lo so, forse era un pentito realmente affidabile e noi preferivamo chiudere almeno in parte gli occhi. Però credo anche che ultimamente, cieco e ormai malato senza quasi speranza, fosse effettivamente diventato più sincero. Ci sono molti documenti su di lui, interviste, pièce teatrali e anche film, come “Centravanti Nato” del regista Claudio Guiducci, prodotto da Barbara Balzaretti. E sempre su YouTube potete trovare una bella intervista del giornalista Hervé Bricca in cui Petrini, fisicamente segnato dalla malattia, ripercorre la sua vita con qualche lettura dai suoi libri, in particolare “Nel Fango del dio pallone”. Una vita maledetta e in larga parte disprezzata, conclusa con rassegnazione dopo aver ritrovato un filo di speranza e di luce. Non solo il fango almeno, per sua buona pace: “Io oggi vivo sereno, qualunque cosa mi succederà non ha più importanza”. -
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Lo sconcerto quotidiano IL SEGRETO INVINCIBILE DI JUVE E FIAT Mario Sconcerti - corriere.it - 10-04-2012 La crisi dell’auto ha fatto perdere il 40% del venduto alla Fiat in Italia; si torna a chiedere aiuti allo Stato e si torna quindi a domandarsi quanto questo potrà incidere sulla Exor e sui soldi da mettere nella Juve. Credo sia una domanda legittima, ma ormai molto più che superata. La situazione rispetto agli altri anni, ai tanti anni del rapporto Fiat-Juve, è anzi rovesciata. Non è più la Fiat che spinge la Juve, sono i quindici-venti milioni di juventini che spingono la Fiat. Nessuna azienda al mondo ha una massa commerciale così vasta e così fanatica. E nessuna grande azienda potrebbe permettersi di deluderla a priori. Moratti non ha questo vantaggio, non ha un pubblico di clienti. Berlusconi fu il primo a capirlo, ma usò il Milan soprattutto come prima base elettorale. La differenza adesso è molto grande. Moratti (e Berlusconi) spendono, tirano fuori soldi per il calcio che non riavranno se non in soddisfazioni eventuali. Bruciano in sostanza continuamente denaro. La Fiat nella Juve, non spende, investe. E non sono più i soldi di un capriccio, ma quelli di una grande azienda che pianifica e cerca di soddsisfare la grande massa potenziale dei suoi clienti. Se lo capiranno, è la vera svolta. -
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SI', CE LA POSSIAMO FARE" Boniperti "Conte fantastico. Ma saranno 7 partite da vincere col batticuore" Marina Salvetti - Tuttosport 10-04.2012 L’età non gli fa cambiare l’approccio, molto sabaudo, del low profile e anche la scaramanzia gli impedisce di usare toni enfatici. Ma, in cuor suo, il presidentissimo Giampiero Boniperti abbraccia virtualmente la Juventus tutta, dal presidente Andrea Agnelli fino all’ultimo dei panchinari per la gioia dei due gol rifilati al Palermo che lo hanno fatto sussultare sulla poltrona e hanno regalato alla Juventus il ritorno in vetta alla classifica. «Adesso i ragazzi non devono fermarsi» è la prima esternazione-preoccupazione del simbolo bianconero. Che guarda al sodo: resistere in testa al campionato fino alla fine. «Saranno sette partite da vivere con il batticuore, sette sfide in cui si soffrirà, in campo, sugli spalti e davanti alla televisione. Io so cosa vuol dire, l’ho provato tante volte quando giocavo…». IL CONDOTTIERO E proprio da Boniperti parte il monito per la Juventus che verrà: non mollare proprio adesso. «Beh, da come andavano le cose si aspettava soltanto un passo falso del Milan. E’ arrivato, ma sono stati bravi i bianconeri a essere lì, pronti ad approfittarne». Operazione sorpasso centrata per il godimento collettivo. «Che soddisfazione, ora bisogna continuare su questa strada». Meglio lepre che inseguitori, comunque. E meglio non lasciarsi andare a troppi facili ottimismi: lo scudetto è ancora da conquistare. «Meno se ne parla, meglio è» la filosofia bonipertiana. Che però non si trattiene dall’elogiare il condottiero Antonio Conte. «Ma chi se lo aspettava così, è stato fantastico ciò che ha fatto con questa squadra. Bravo lui e straordinari i ragazzi. Se si arriverà primi sarà una stagione da ricordare a caratteri cubitali». LA PROMESSA Comunque vada, l’annata sarà da incorniciare perché nessuno quest’estate dava favorita la Juventus. Lo stesso vertice del club aveva posto come obiettivo l’accesso alla zona Champions. Ora però bisogna osare e credere nel titolo che manca nella bacheca bianconera dal 2006. Ma se Conte centra lo scudetto alla prima stagione sulla panchina della Juventus Boniperti vedrebbe esaudita anche l’ultima richiesta di Gianni Agnelli: «Cucire la terza stella sulle nostre maglie prima che le milanesi cuciano la seconda» il sogno da tifoso dell’Avvocato condiviso anche dal presidentissimo perché in cuor suo questo titolo sarebbe il trentesimo. «Se sarà scudetto, il 13 maggio sarò allo Juventus Stadium» si sente di promettere senza troppa insistenza Boniperti, pronto ad applaudire Alessandro Del Piero – alla sua penultima apparizione in bianconero (c’è ancora la finale di coppa Italia) – che alza il trofeo e a festeggiare insieme con la squadra. Una presenza significativa, come sarebbe la celebrazione «per la terza stella…».