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Raf15

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  1. rincara la dose : “In caso di alleanza con la Lega chi sarebbe il presidente del Consiglio?”, chiede una giornalista australiana. “Non siamo disposti a tradire il voto popolare”, risponde Di Maio. “Noi siamo inevitabilmente proiettati al governo. Chi viene verso di noi venga con proposte. Vogliamo un’interlocuzione sui temi e su questo non ho visto avanzare neanche una proposta”. si è anche alterato per il fatto che nessuno avanza proposte
  2. " A un giornalista che gli chiede su quali temi il M5S è disponibile ad aprirsi a un dialogo, Di Maio ha risposto che potrà dirlo quando arriveranno proposte dalle altre forze politiche e che finora non ne sono arrivate. " https://www.tpi.it/2018/03/13/di-maio-conferenza-stampa-associazione-stampa-estera/ ma non avevano vinto loro?
  3. https://www.leftwing.it/2018/03/12/cartoline-dallopposizione/ Cartoline dall’opposizione Francesco Cundari | 12 marzo 2018 [...] Prigioniero del ruolo, il Pd è diventato come uno di quei genitori di cui i figli non smettono un minuto di dire peste e corna, ben sapendo che non per questo smetteranno di portare il pane a casa e pagare le bollette. E così da un lato si rimprovera al Pd un atteggiamento paternalistico e supponente, dall’altro però si continua a pretendere che si faccia carico del governo del paese, quasi che gli spettasse per diritto di nascita, indipendentemente dall’esito delle elezioni. Come se tutti gli altri partiti non fossero mai abbastanza grandi per cavarsela da soli, e rispondere in proprio, una buona volta, delle loro parole e delle loro azioni. L’effetto collaterale più sgradevole è però quello che potremmo chiamare una desemantizzazione degli insulti a dirigenti, militanti ed elettori del Pd. I quali sono tenuti a prenderle senza reagire, proprio come ci si aspetta che faccia un genitore con un bambino di due o tre anni (già a quattro non sarebbe consentito). Dare loro dei mafiosi, dei corrotti o semplicemente dei dementi è considerato ormai, da un’ampia fascia di intellettuali e commentatori, quasi doveroso. Mentre qualsiasi replica da parte delle vittime di questa incessante gragnuola di contumelie è immediatamente stigmatizzata come arroganza, dimostrazione di un carattere orgoglioso e antipatico, chiusura al dialogo e al confronto. La campagna per spingere i democratici a sostenere un governo Di Maio è un esempio eclatante di questa deriva, e merita una risposta educativa forte. Se il Pd non vuole passare il resto della sua vita a raccogliere da terra i calzini dei suoi avversari, farà bene a prendersi una bella vacanza all’opposizione, lasciando che tanti cortesi avversari e tanti amabili commentatori si cucinino da soli la ricetta di governo che preferiscono. Sapendo però che stavolta dovranno anche mangiarsela.
  4. Tralasciando per un attimo la fattibilità del reddito di cittadinanza, un modesto aumento dell'inflazione sarebbe positivo perché l'inflazione stimola gli investimenti e la produzione. Se un imprenditore sa che potrà vendere domani un oggetto ad un prezzo più alto del prezzo attuale, dovrebbe avere un maggiore interesse a produrre. Quindi da una parte avresti una riduzione del potere d'acquisto (i 700 euro di oggi varranno un po' meno di 700 euro domani), ma dall'altra dovresti riuscire a far ripartire l'economia grazie allo stimolo del settore produttivo Il punto è che questo accade sicuramente in un'economia chiusa (0 export e import), mentre il quadro si complica se analizziamo un sistema economico reale. Se i cittadini che ricevono il reddito di cittadinanza consumano un quantitativo maggiore di beni provenienti dall'estero rispetto ai beni prodotti nello Stato in cui vivono, oppure se decidono di risparmiare parte di quella cifra, l'effetto reale sui prezzi potrebbe essere molto ridotto. Quindi, probabilmente, il problema dell'inflazione potrebbe non essere il problema principale di questa politica.
  5. già. il punto è che anche se potessero dare da mangiare, c'è una situazione di incentivi così distorti da aver paralizzato l'economia. Quindi è un cane che si morde la coda.
  6. la componente "reddito di cittadinanza" ha influito certamente al sud, ma non è la sola. Forse, in alcune zone, non è nemmeno la più importante. Per esempio la classe politica regionale influisce moltissimo sul voto al sud. Vi linko un articolo abbastanza chiaro: https://ilmondosommerso.it/2018/03/06/pd-sud-italia-calabria/ Non saprei dire quale tra le numerose cause ipotizzate da commentatori e analisti in queste ore, sulla base dei risultati elettorali, sia da ritenere la più determinante o plausibile ragione dell’insuccesso del Partito Democratico alle elezioni politiche del 4 marzo. Trattandosi di una perdita molto consistente (almeno due milioni di voti), è probabile che ciascuna di quelle ragioni sia valida: disapprovazione del lavoro svolto dal governo uscente, risentimento alimentato da subentrate o persistenti difficoltà economiche degli elettori, contestazione nei confronti dei dirigenti nazionali. Nessuna tra queste mi sembra però del tutto appropriata al caso del collegio in cui ho votato, e mi chiedo se e quanti casi come questo si siano verificati nel Sud Italia. Dal mio punto di vista di elettore della provincia di Cosenza posso soltanto annotare quello che è accaduto qui, in un territorio compreso nel collegio plurinominale della Calabria in cui proprio non c’è stata partita (al contrario dell’altro, in cui la coalizione del centrodestra ha preso complessivamente solo qualche migliaio di voti in meno del M5S). Lo scrivo anche come banale promemoria personale: tanto per non scambiare, ripensandoci tra vent’anni, il 2018 con il 2013. Ho ragione di credere che mai come stavolta abbia prevalso nel collegio uninominale in cui voto un’intenzione in larga parte misurata sull’identità dei candidati (soprattutto quelli da non-votare), più che sui partiti, sulle coalizioni e sui loro leader nazionali. E magari è giusto che sia così sempre. Fatico quindi a stabilire connessioni sensate tra i risultati molto netti emersi in questo collegio e le molte analisi del voto su scala nazionale basate sulla valutazione delle campagne elettorali dei partiti e sulla valutazione delle cose dette o fatte dai vari Grillo, Renzi, Berlusconi o Salvini. Trovo piuttosto molto significativo e in qualche misura allarmante il fatto che le ragioni del successo del M5S – oggetto di approfondite e complesse analisi sul piano nazionale – appaiano invece di sconcertante ovvietà, da anni, ad amici, colleghi e familiari della città in cui voto e con i quali a volte mi capita di parlare di queste cose. [...] Nel dibattito nazionale ho sentito anche questa: “al Sud, a causa della disoccupazione, il M5S ha stravinto grazie alla promessa del reddito di cittadinanza”, dice. Forse è una lettura superficiale ma può anche essere, e ci mancherebbe. Dico solo che nel caso specifico del collegio in cui votavo io la promessa del reddito di cittadinanza mi sembra un dettaglio marginale rispetto, per esempio, alla straordinaria e condivisa impopolarità dei candidati uninominali della coalizione di centrodestra e soprattuto di quella del centrosinistra. Senza nemmeno contare l’impopolarità crescente di altri rappresentanti inseriti nelle liste proporzionali, candidati per la terza o quarta volta consecutiva. Scrive Ivan Scalfarotto, deputato del PD eletto in Lombardia nel 2013, elencando le ragioni della sconfitta e i punti da cui ripartire: Dovremo ripartire dalle cose che funzionano. Nella mia Milano, in città, il PD prende il 27% e la Bonino l’8% e conquistiamo 3 collegi uninominali su 5 alla Camera. A Milano, una città che tutto il mondo ci invidia, c’è una giunta di centrosinistra che funziona. C’è un Partito Democratico che funziona: pieno di giovani; un partito che non si occupa tanto del potere ma di avere delle cose da dire e che proprio per questo vince; un partito plurale ma con una visione riformista assolutamente condivisa, e quindi non spaccato e inutilmente litigioso. Ho abitato e lavorato a Milano per alcuni anni, compreso il periodo immediatamente successivo alle politiche del 2013. Se abitassi ancora lì oggi, probabilmente le parole di Scalfarotto mi suonerebbero largamente condivisibili: di sicuro posso condividerle limitatamente alla mia esperienza di Milano durante la prima parte della scorsa legislatura. Probabilmente, se votassi a Milano, voterei il Partito Democratico – pur con tutte le perplessità e incertezze descritte da Francesco Costa e da Luca Sofri – non soltanto per condivisione dei principî del partito, in senso generale e astratto, ma anche per tutte le ragioni concrete che oggi, da lontano, mi fanno apparire invidiabile il modello regionale descritto da Scalfarotto. E forse – al netto di eventuali disapprovazioni particolari, rispetto a un candidato o due – riuscirei pur sempre a intravedere una qualche continuità tra le mie inclinazioni politiche e i candidati incaricati di rappresentarle. Ma – detta senza giri di parole – in nessun modo e in nessuna forma la descrizione del partito data da Scalfarotto si adatta alla classe dirigente locale del PD presente da oltre un decennio nella città in cui voto oggi. Credo sia una parte del problema.
  7. Al posto di dire "sbaglio come gli altri", evita di sbagliare. Per il resto segnala eventuali messaggi di offese.
  8. Se uno dice "di maio e i grillini sono scemi" è una cosa, se un utente scrive ad un altro "sei una testa di cxxxo" è un'altra. In questa discussione cerchiamo di moderare con una certa flessibilità, però il secondo esempio è inaccettabile.
  9. e appunto, hanno inventato il vaffa day per questo e secondo te a nessuno importava? Travaglio ci ha costruito una carriera.
  10. ma cosa c'entra? Lui è andato via dicendo che il PSG era una squadra più adatta alla CL. Quale è la relazione con il suo palmares?
  11. non è questo il punto. Se un partito fa il piano nei territori in cui la mafia è più presente, è bene porsi qualche domanda. Può darsi che sia un voto di protesta anche quello (cittadini vessati dalla mafia si ribellano), però non è detto.
  12. Però non capisco la convenienza per loro. Perché votarli?
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