andrea
Tifoso Juventus-
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l'importanza del pressing https://x.com/alecro99/status/1859547695385321687?t=eCr6ixX8wGL8rfoKg_uBTA&s=19
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«De Zerbi, che colpo Guardo 7 partite al giorno Marsiglia è un laboratorio» Il presidente 38enne ex Juve sta rivoluzionando l’Om Di Monica Colombo · 21 nov 2024 ” La gavetta in Italia All’Atalanta ho imparato i metodi di scouting Al Sassuolo i rapporti, la Juve è stata l’università Il maxi-schermo De Zerbi ha voluto un maxi-schermo tipo quelli degli stadi per la tattica «Quando ero ragazzo avevo capito che le mie gambe non mi avrebbero garantito una carriera da calciatore. Mentre il cervello mi avrebbe spalancato le porte per inseguire il sogno». Pablo Longoria, soprannominato «El Chico de la Play» agli albori della carriera per la passione e il consumo di Fifa e Football Manager, ha 38 anni, presidente dell’olympique Marsiglia da quasi quattro, vicepresidente della Lega francese nonché membro dell’eca. «Da quando ho tredici anni guardo partite di calcio, anche sei o sette al giorno. Il mio obiettivo era quello di diventare uno scout. A 16 anni ho mandato il primo curriculum al Psv Eindhoven, ma senza successo». Non ha dovuto però attendere molto prima di entrare nel mondo del calcio dalla porta principale. «A 18 anni avevo compreso che la mia passione poteva trasformarsi in un lavoro. Avevo tanta fiducia nelle mie capacità e sono stato fortunato a incontrare un agente, Eugenio Botas, che mi aiutò a lavorare con il Recreativo Huelva». L’ascesa del ragazzo di Oviedo che ha trascorso l’adolescenza fra paraboliche e videoregistratori è fulminea. «Prima di diventare guida dell’Om, ho lavorato in Spagna, Inghilterra e Italia. Ho cercato di assorbire ogni conoscenza per aumentare il mio patrimonio di informazioni». Pablo Longoria è a Roma per partecipare a un convegno sul calcio: parla sei lingue, ha dei baffi sottili decisamente inusuali, una padronanza della materia che stride con la carta di identità, un entusiasmo per il lavoro intatto. In genere ci si immagina la figura di «vecchio saggio» per il ruolo di presidente. «Il Marsiglia ha una proprietà americana che crede alla leadership. Abbiamo per il club un progetto di rilancio su base triennale: l’obiettivo è diventare l’anti-psg. Intanto siamo l’unica squadra francese ad aver vinto la Coppa dei campioni». Per consentire all’Om di tornare agli antichi splendori («ma non possiamo paragonarci all’epoca di Tapie: rispetto ad allora è cambiato il mondo») ha fatto tesoro dei percorsi professionali italiani. «All’Atalanta ho imparato una metodologia di scouting. Nel Sassuolo i rapporti umani hanno rappresentato l’aspetto migliore. E la Juventus è stata l’università: quella Juve, intesa come assetto societario, era una macchina da guerra. A Fabio Paratici devo la vita, Andrea Agnelli era il modello da seguire». Magari non per tutto. Per tornare in Champions League ha strappato alla concorrenza di mezza Europa, dal Manchester United al Borussia Dortmund, l’allenatore considerato l’erede di Pep Guardiola. «erano i giorni in cui ero alla ricerca di un tecnico. Un amico mi chiama e mi dà la soffiata: “La prossima settimana De Zerbi si dimette dal Brighton. Non usare l’informazione”. Metto giù e telefono a Edo Crnjar, agente di Roberto, e gli dico: “So che è impossibile ma ci provo”». D’accordo, ma come lo ha convinto? «Con trasparenza, passione e con il progetto. Roberto ha seguito il suo cuore, credo che l’entusiasmo di una città e di una tifoseria come quella del Marsiglia, 49 mila abbonati, abbiano inciso». Come tutti i geni, avrà qualche mania eccentrica. «Un giorno mi ha chiesto quale fosse il budget per acquistare una lavagna elettronica per spiegare gli schemi. Ho risposto che non c’erano problemi, convinto che avrebbe comprato un ipad. Mi sono ritrovato al campo di allenamento un maxi-schermo, come quelli che vengono adottati negli stadi». Longoria ha dato anche all’organigramma un’anima italiana, dal consigliere Fabrizio Ravanelli al ds Medhi Benatia fino a Giovanni Rossi, club manager. «E per aumentare l’impronta juventina è arrivato in estate Rabiot. Devo ammettere che il lavoro diplomatico di Benatia con Adrien e sua mamma è stato grandioso». In passato era stato Gattuso a sedersi sulla panchina dell’olympique. «È arrivato in un momento difficile, ha speso tante energie per debellare certi atteggiamenti sbagliati nello spogliatoio. Alla fine era svuotato». La Superlega è uno spettro da allontanare? «Sono per la meritocrazia. Ritengo che il sistema calcio possa essere migliorato ma con il contributo di tutte le parti in causa, al fine di trovare un punto di equilibrio fra la necessità di generare più introiti e quella di proteggere la qualità dello spettacolo». L’augurio per il calcio francese? «Che possa essere visto anche nel vostro Paese. Tutti gli stranieri che arrivano in Francia dicono che il livello della Ligue 1 è altissimo ma evidentemente siamo un campionato sottovalutato se i diritti tv non sono stati venduti in Italia. Eppure siamo fra i maggiori esportatori di giocatori in Europa».
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[ E. B. A. T. ] Essere Bianconeri a Torino III
andrea ha risposto al topic di Homer_Simpson in Juventus Forum
Aramu:"Sono granata, dissi no alla Juve" Scusate, ma chi c**** è Aramu? https://www-toronews-net.cdn.ampproject.org/v/s/www.toronews.net/mondo-granata/lex-granata-mattia-aramu-con-il-toro-legame-unico-per-questo-il-no-alla-juve/amp/?amp_gsa=1&_js_v=a9&usqp=mq331AQGsAEggAID#amp_tf=Da %1%24s&aoh=17321927918248&csi=0&referrer=https%3A%2F%2Fwww.google.com&share=https%3A%2F%2Fwww.toronews.net%2Fmondo-granata%2Flex-granata-mattia-aramu-con-il-toro-legame-unico-per-questo-il-no-alla-juve%2F -
Dicono che senza Vlahovic Motta punterà sullo spazio, come Elon Musk
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SSC Napoli 2024/25: ormai è fatta per lo scudetto
andrea ha risposto al topic di Homer_Simpson in Off Juve
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Non solo Skriniar, contatti per Antonio Silva 20 nov 2024 La vera priorità della Juventus per gennaio resta la difesa. Contatti, sondaggi e incontri continuano e sarà così almeno per 30-40 giorni, quando il dt Cristiano Giuntoli saprà con più certezza quali opportunità potrà cogliere. Probabilmente un paio di colpi. Accanto a Milan Skriniar, che sta giocando poco nel Psg e continua a guardarsi intorno, spunta un nuovo candidato: si tratta di Antonio Silva del Benfica. Stesso agente (Jorge Mendes) dello juventino Francisco Conceicao. In questo momento, in realtà, la lista è pure più allargata: da Kiwior (Arsenal) a Badiashile (Chelsea), dall’ex Dragusin (Tottenham) a Bijol (Udinese).... E non potrebbe essere diversamente vista la sfortuna dell’ultimo periodo. Non siamo ancora a Natale e Thiago Motta ha dovuto salutare in anticipo già due difensori: prima Gleison Bremer (a inizio ottobre) e poi Juan Cabal (nei giorni scorsi) si sono lesionati il legamento crociato anteriore del ginocchio. Il brasiliano è già finito sotto i ferri e ha già cominciato la riabilitazione, mentre il colombiano verrà operato la prossima settimana.
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EMERGENZA ATTACCO GIUNTOLI SI MUOVE PER IL JOLLY CECO COME VICE VLAHOVIC Oltre a due colpi in difesa, i bianconeri pensano a una punta tecnica per gennaio: nel mirino l’ex Roma Di Filippo Cornacchia TORINO · 20 nov 2024 Patrik può giocare in più ruoli: centravanti, seconda punta ed esterno. Alla Continassa fiutano l’occasione L’attaccante gioca poco con Xabi Alonso e la Juve ci pensa visti i guai di Milik, ancora out dopo l’infortunio di giugno Si ferma Dusan Vlahovic in nazionale e la Juventus si ritrova senza un vice di ruolo per San Siro. È successo dopo sedici partite ufficiali, ma sarebbe potuto capitare anche prima di novembre. E soprattutto il problema potrebbe ripresentarsi anche più avanti visto che la stagione terminerà soltanto a luglio con il Mondiale per club americano. Un po’ perché il bomber serbo (9 gol in 1295’) ha bisogno di rifiatare come tutti e un po’ perché sulla carta un’alternativa di ruolo manca attualmente nella rosa di Thiago Motta. Se Arkadiusz Milik è fermo da giugno (problemi al ginocchio) e nella migliore delle ipotesi tornerà tra fine dicembre/gennaio dopo setto o otto mesi di inattività, Nico Gonzalez è ai box da quasi sessanta giorni e dall’infortunio di Lipsia in Champions. Per tutti questi motivi, il direttore tecnico Cristiano Giuntoli pensa a rinforzare anche l’attacco – e non solo la difesa (orfana di Bremer e Cabal, stagione finita) – in vista di gennaio. Alla Continassa, già da un po’, tengono le antenne dritte sugli attaccanti tecnici e duttili avvicinabili anche a metà stagione. La pista del momento è una “vecchia” conoscenza della Serie A: Patrik Schick del Bayer Leverkusen. Quasi… juventino Il 28enne ceco, in passato protagonista con Sampdoria e Roma, è già stato juventino per un giorno, almeno virtualmente. Già, nell’estate 2017 il trasferimento in bianconero di Patrik saltò dopo il giallo delle visite mediche, quando si aspettava soltanto l’annuncio ufficiale. All’epoca si vociferò di test fisici non superati completamente, ma in realtà il giocatore non si è mai dovuto fermare ed è ripartito immediatamente dalla Roma. Tanto che in molti, nei salotti delle trattative, sospettarono più un dietrofront di mercato. Sette anni dopo, il nome del connazionale di Pavel Nedved torna nei radar della Signora. Schick, nel frattempo, si è costruito una nuova vita in Germania: prima il Lipsia e poi il Bayer Leverkusen, con cui nel 2023-24 ha vissuto una stagione storica. Trionfo in Bundesliga e Coppa di Germania, con l’Europa League sfuggita soltanto nella finale contro l’Atalanta di Gian Piero Gasperini. In tutto 13 gol e 3 assist in 33 presenze. L’ex Roma e Sampdoria non è un bomber classico, ma la scorsa annata ha sfruttato l’infortunio del centravanti Victor Boniface per ritagliarsi maggiori spazi e arrivare in doppia cifra. Chiusa un’annata magica, se ne è aperta un’altra. Poco spazio Ma l’inizio del 2024-25 si sta rivelando più complicato tanto per il Bayer Leverkusen (quarto in campionato a -9 dal Bayern capolista) quanto per Schick. L’attaccante ceco sta trovando meno spazio del previsto: 14 presenze tra Bundesliga e Coppe. Ma soltanto 5 passerelle dal primo minuto: 2 nella Coppa di Germania, 2 in campionato e una sola in Champions League. Complessivamente 503’, 4 gol (uno solo in campionato)e un assist. Troppo poco per Patrik e per il suo entourage, che infatti ha cominciato a guardarsi intorno in vista del mercato invernale. Se per Xabi Alonso non è intoccabile, per Giuntoli è più che un’idea. A patto di riuscire ad ottenere condizioni vantaggiose dai tedeschi. Meglio se in prestito o con formule creative. Alla Continassa hanno buttato diversi ami in questo periodo, uno proprio nella città dell’Aspirina. I prossimi 43 giorni saranno determinanti per capire se Schick potrà diventare prima un progetto concreto e poi una vera e propria opportunità a partire dal 2 gennaio. Dipenderà da Xabi Alonso e dall’eventuale apertura del Bayer Leverkusen al prestito, ma anche dalle cessioni bianconere e dalla disponibilità economica di Giuntoli, che nutre ancora speranze nel recupero di Milik e ha come priorità la ristrutturazione della difesa con un paio di colpi: da Milan Skriniar (Psg) ad Antonio Silva (Benfica). Tecnico e... duttile Le questioni economiche si intrecciano a quelle tecniche. Se la Juventus sta annusando l’occasione Schick non è soltanto per la situazione in bilico del ceco a Leverkusen, ma anche per un’altra serie di fattori. L’ex Roma e Sampdoria è Under 30, ha uno stipendio in linea con i nuovi parametri della Signora, conosce la Serie A e soprattutto è un attaccante tecnico e duttile. Patrik può agire da centravanti di manovra, un po’ come Zirkzee nel Bologna della passata stagione di Thiago Motta, ma pure da seconda punta che attacca gli spazi e all’occorrenza da attaccante esterno. Un mix di eclettismo e qualità che, almeno sulla carta e a livello di caratteristiche, non faticherebbe a sintonizzarsi sulle frequenze mottiane. Schick potenzialmente potrebbe sostituire Vlahovic al centro, ma anche aggiungersi al serbo in certe partite o in determinati momenti della gara per aumentare il peso offensivo e i centimetri in area. Senza contare la possibilità di schierare l’ex Sampdoria anche largo facendo rifiatare a turno uno tra Kenan Yildiz, Francisco Conceicao, Timothy Weah e Nico Gonzalez, atteso in squadra nel giro di una settimana dieci giorni dopo il lungo stop.
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Dusan Vlahovic: verso la stagione del riscatto per il serbo
andrea ha risposto al topic di dal1982 in Juventus Forum
Non ha nulla: rientra a gennaio -
«Guarii dalla depressione anche grazie a Chagall Così legai subito con Totti Dissi a Conte di Ilaria» Di Aldo Cazzullo · 19 nov 2024 Gianluigi Buffon, quando ha esordito in Nazionale? «Non avevo ancora compiuto 15 anni. Fui convocato con la Under 16 per giocare a Edimburgo, contro la Scozia. Era la prima volta in uno stadio britannico: gli spalti in legno, tifo indiavolato, un muro di trentamila persone addosso. Nebbia. Ero in panchina. Si mise a nevicare. Prato tutto bianco. Il mister mi chiamò: “Buffon, tocca a te”». La prima volta. «Giocai pochi minuti e bloccai un solo pallone, ma me lo portai dietro in un tuffo sulla neve. Alla fine racimolai un po’ di monete per chiamare i miei genitori, a casa, a Carrara. Ma per sbaglio feci il prefisso del Friuli, dove abitava la nonna». Perché? «Perché da bambino passavo l’inverno in Friuli dai nonni. I miei avevano già due figlie, lavoravano, non potevano badare a me. I primi ricordi sono i campi innevati. Mi piaceva l’idea di questo velo bianco che ridava purezza a tutto. Così mi ci tuffavo dentro. Non sapevo che a tuffarsi nella neve ci si bagna». La sua autobiografia che esce oggi, scritta con Mario Desiati e pubblicata da Mondadori, si intitola «Cadere, rialzarsi, cadere, rialzarsi». «C’è qualcosa di masochista, nel portiere. I campi della mia giovinezza erano gli stessi degli anni 70: l’area dura come il cemento. I vecchi portieri li riconosci dalle mani ferite, dai fianchi dolenti, dalle tante volte che sono caduti fino a sanguinare. Ho avuto un solo procuratore nella vita, Silvano Martina. E l’ho scelto perché aveva le mani piene di cicatrici. Mani da portiere». A leggere il libro, pare che nel portiere ci sia anche una vena di follia. Almeno in lei. «Sì, una vena di follia ce l’ho. Il portiere parla da solo. Parla con i suoi guantoni. Soprattutto, ho sempre avuto una buona dose di strafottenza. Senza di quella, non sarei sopravvissuto». Perché? «Provi lei a esordire in serie A a 17 anni, a San Siro, con il Parma primo in classifica, contro il Milan a pari merito». Era il 1995. «Nel sottopassaggio incrociai gli sguardi di Weah, Boban, Costacurta, Baresi. A un certo punto sentii una pacca sulla spalla. Era Paolo Maldini, che mi incoraggiava. Anche lui aveva esordito in A da ragazzino: sapeva cosa voleva dire. Non ho mai dimenticato quel gesto. Paolo Maldini non è stato soltanto un calciatore immenso; ha le due qualità che ammiro di più in un uomo, lealtà e coraggio». A fine partita lei è sempre andato ad abbracciare gli avversari. Tutti amici? «No. Ricordo un attaccante del Benfica che mi diede un calcio terribile alla mano, palesemente apposta, mi fece un male tremendo, e mi guardò senza nessuna intenzione di chiedere scusa». Chi era? «Giuro: l’ho rimosso. Se lo rivedessi ci farei due parole, è per me un punto d’onore essere educato con tutti. Ma le persone negative le dimentico». Chi è stato il più forte contro cui ha giocato? «Ho giocato con tre generazioni, come faccio a dirlo? Zidane, Ronaldo, Messi, CR7, Iniesta...». Ne scelga uno. «Neymar. Per il giocatore e il ragazzo che è, avrebbe dovuto vincere cinque Palloni d’oro». Avete giocato insieme al Psg, dove lei inseguiva il suo sogno: la Champions. «Avevamo vinto 2-0 a Manchester con lo United. Capivo che non stavamo preparando in modo giusto il ritorno. Ma non lo dissi: in fondo ero l’ultimo arrivato, forse avevo ancora una mentalità provinciale, in fondo quelli erano tutti campioni, Mbappé aveva appena vinto il Mondiale... Prendemmo gol subito per un errore difensivo, il secondo fu anche colpa di una respinta imprecisa, beccammo il terzo e fummo eliminati. Non avevamo preparato in modo giusto il ritorno». Perché la Juve non vince quasi mai la Champions? «Parlo delle mie tre finali. Il Barcellona del 2015 e il Real Madrid del 2017 erano le squadre più forti degli ultimi vent’anni. E nel 2003 avevamo comunque di fronte il Milan di Shevchenko». Perdeste ai rigori. E qualche mese dopo, rivela nel libro, lei cadde in depressione. Come andò? «Era la fine del 2003, il campionato era cominciato bene, poi cominciammo a perdere colpi e stimoli. Eravamo reduci da due scudetti di fila: dopo l’up, il down. Mi si spalancò davanti il vuoto. Cominciai a dormire male. Mi coricavo e mi prendeva l’ansia, pensando che non avrei chiuso occhio». Poi accadde anche in campo. «Un attacco di panico. Sentivo una pressione al petto, non riuscivo a respirare, pensai che non avrei mai voluto essere lì e non avrei mai potuto giocare la partita». Una partita decisiva? «No. Juve-reggina, in casa. Andai dall’allenatore dei portieri, che era un grande: Ivano Bordon. Lui mi tranquillizzò: “Gigi, non devi giocare per forza”. Ripresi fiato. Guardai scaldarsi il secondo portiere, Chimenti, che è un mio carissimo amico. E pensai che ero davanti a una sliding door, a un passaggio decisivo della mia carriera, della mia vita». Perché? «Mi dissi: Gigi, se tu non entri in campo stavolta, crei un precedente con te stesso. Magari ti succederà una seconda volta, e poi un’altra ancora. E non potrai più giocare. Così entrai in campo. Feci subito una buona parata. Che salvò il risultato, perché poi vincemmo 1-0. Ma il problema rimaneva. Il dottor Agricola fece la diagnosi, poi confermata dalla psicoterapeuta: depressione». Come ne è uscito? «Rifiutai i farmaci. Ne avrei avuto bisogno, ma temevo di diventarne dipendente. Dalla psicoterapeuta andai solo tre o quattro volte, ma mi diede un consiglio prezioso: coltivare altri interessi, non focalizzarmi del tutto sul calcio». Quali altri interessi? «Fu allora che scoprii la pittura. Andai alla Galleria d’arte moderna di Torino. C’era una mostra di Chagall. Presi l’audioguida. Davanti alla Passeggiata rimasi bloccato per un’ora. È un quadro semplice, raffigura Chagall con la moglie Bella mano nella mano; solo che lei vola. Il giorno dopo, tornai. La cassiera mi disse: guardi Buffon che è la stessa mostra di ieri. Risposi: grazie, lo so, ma voglio rivederla». Non si guarisce così facilmente da una depressione. «Certo. Ma la mia vita è stata davvero così: cadere, rialzarsi. Ho fatto errori, come tutti, e non li ho mai nascosti». Quali altri errori? «Avevo il complesso di non essermi diplomato. Mi sentivo in colpa verso i miei genitori, volevo iscrivermi all’università. Stavo facendo un massaggio defatigante, e i due massaggiatori, due Lucignolo, mi dicono che ci pensano loro, che tutti i calciatori fanno così... Insomma, mi procurarono un diploma falso. Un’ingenuità incredibile. Che ho pagato». Dissero che era fascista, per la maglietta con la scritta «boia chi molla» e il numero 88. «Non avevo la minima idea che per qualcuno evoca Heil Hitler, essendo la H l’ottava lettera dell’alfabeto; per me voleva dire avere quattro palle». La famosa strafottenza. «E non avevo la minima idea che “boia chi molla” fosse un motto neofascista. Un giorno l’allenatore del Parma, che era Ulivieri, mi convoca e mi fa trovare un busto di Lenin». Ulivieri è uomo di sinistra. «Il Parma si giocava la finale di Coppa Italia, e io avevo insistito perché scendesse in campo il secondo portiere, Guardalben, che aveva disputato tutta la competizione. Ulivieri mi disse: tu Gigi non sei fascista, sei comunista, perché hai fatto un gesto straordinario per un tuo compagno». Ma lei Buffon come la pensa veramente? «Di sicuro non sono fascista, tanto meno razzista. Ho chiamato il mio primogenito Louis Thomas, che ora gioca attaccante nelle giovanili del Pisa, in onore dell’eroe della mia infanzia: Thomas N’kono. Sono stato l’unico europeo ad andare in Camerun per il suo addio al calcio: un ricordo stupendo». Le pagine su N’kono sono tra le più belle del libro. Ma, ripeto: lei come la pensa? «Sono un anarchico conservatore. Carrara, la mia città, è terra di anarchici. Credo profondamente nella libertà, e ho pagato un prezzo per questo. Abbraccio i giornalisti, ma non ho mai cercato la loro complicità. E i giornali, i social, contano molto nel nostro ambiente». Mi faccia un esempio. «Avevo già lasciato la Nazionale, quando Gigi Di Biagio, subentrato a Ventura, mi propone di tornare, per aiutare l’inserimento di Donnarumma. Accetto volentieri. Torno nella stanza 209 di Coverciano. Ma sui giornali e sui social comincia una campagna contro di me: Buffon è vecchio, ma non vuol farsi da parte... Fabbricavano meme in cui io, rugoso, proclamavo: punto ai Mondiali del 2500! Era tutto palesemente orchestrato da qualcuno, forse un procuratore. Così rinunciai». Dopo 176 presenze nella Nazionale maggiore, più 24 nelle giovanili. Record forse imbattibile. «Il presidente Gravina gentilmente mi offrì di organizzare una partita di addio. Risposi che non ce ne sarebbero state». Ma ha continuato a giocare. «Mi voleva l’atalanta. Gasperini mi scrisse un Whatsapp: “Con te vinciamo la Champions”. Fu Pirlo a convincermi a restare alla Juve». La carriera la chiuse a Parma. «Avevo un’offerta dal Barcellona come secondo portiere: l’idea di giocare con Messi, dopo CR7, mi piaceva. Un giorno però stavo guidando, e alla radio danno una canzone di Jovanotti che ho amato molto e non sentivo da dieci anni: “Bella”. Alzo lo sguardo, e vedo il casello di Parma. Un segno. Chiudere dove tutto era cominciato». Che tipo è Messi? «Finale di Champions del 2015. Intervallo. Sento una mano sulla schiena: “Gigi, ce la scambiamo adesso la camiseta?”. Era Messi. I veri grandi non se la tirano mai». E Cristiano Ronaldo? «Abbiamo sempre avuto un bellissimo rapporto: confidenze, giudizi sulle nuove leve. Vedevo in lui una grande forza e anche una fragilimia tà, legata all’assenza del padre, al percorso duro che ha dovuto affrontare». Chi è stato il suo vero compagno di strada? «Quel ragazzo anche lui un po’ strafottente, con l’accento romano, due anni più grande di me, che conobbi nella Nazionale under 16: Francesco Totti. Si creò subito una forte empatia. Francesco è un cavallo di razza: va amato e protetto». Le scommesse. «Parliamone». È la sua debolezza. «Lo è stata, fino a quando non ho trovato il mio centro. Per qualcuno è un vizio. Per me era adrenalina. Di una cosa sono certo: non ho mai fatto nulla di illegale. Infatti non sono mai stato indagato, non ho mai ricevuto un avviso di garanzia. Perché non ho mai scommesso sulla Juve o sulla Nazionale o sul calcio. Ho sempre e solo scommesso sul basket americano e sul tennis. Ora al massimo vado due o tre volte l’anno al casinò. Ma non ne sento il bisogno». Ogni tanto però la cosa torna fuori. «È successo due volte. La prima nel 2006, al tempo di Calciopoli, quando nel mirino c’era la Juve. Ero a Coverciano, solita stanza 209, ritiro premondiale. Venne da me il nostro dirigente accompagnatore, con cui avevo un rapporto speciale, Gigi Riva: “Se hai fatto qualche cazzata, dimmelo”. Risposi, con una punta di sadismo: “Gigi, mi conosci. Quindi conosci già la risposta”. Qualche giorno dopo venne a dirmi: “Ho preso la mie informazioni. Avevi ragione tu”». La seconda volta? «Era il 2012, prima dell’europeo. Dormivo beatamente nella stanza 209, quando arrivò la polizia. Nel ritiro della Nazionale, alle 5 del mattino, con le telecamere fuori: i giornalisti erano stati avvertiti. Erano lì per Criscito. Lo trovai ingiusto, e lo dissi. Criscito non ebbe un giorno di squalifica; intanto però perse l’europeo. Io fui convocato in procura. Ero talmente sicuro di non aver fatto nulla che andai da solo, senza l’avvocato. E ci rimasi male nel vedermi torchiato. Sempre con le stesse domande. Alle quali ho sempre dato le stesse risposte. La verità: non ho mai scommesso sul calcio». In quell’europeo l’italia arrivò in finale. Con Cassano e Balotelli. Di Cassano si raccontava che lei fosse la vittima designata. «Tutto falso. Siamo sempre andati d’accordo. E in un ritiro che dura un mese, Antonio è un compagno perfetto: tiene su il gruppo, crea energia, riempie i vuoti. L’ho sempre detto anche a lui, però: in una stagione lunga un anno, non so se l’avrei sopportato...». (Buffon ride). E Balotelli? Si è perso, o non era così forte come credevamo? «Si è un po’ perso, perché ha smarrito la concentrazione sul vero obiettivo: diventare il campionissimo che in potenza era. Però vederlo a 34 anni al Genoa, a provarci ancora, mi emoziona». Come avete vinto il Mondiale 2006? «Si era creata un’atmosfera straordinaria, di fiducia e unità, che era mancata quattro anni prima in Corea, dove pure eravamo fortissimi». Nel 2006 Francia e Brasile erano più forti di noi. «Non siamo mai andati ai Mondiali da favoriti. Forse solo nel 1990 e nel 1994 avevamo la squadra migliore. Nel 2006 siamo cresciuti partita dopo partita. Anche per dimostrare, in piena Calciopoli, chi eravamo davvero». Chi era davvero Luciano Moggi? «Una persona simpatica e controversa, un dirigente che ha sempre avuto successo, un carismatico che teneva a distanza i calciatori ma li sapeva prendere». Alla Juve è costato due scudetti. Revocati. «Chi c’era sa che sul campo li abbiamo vinti noi. In un ambiente dove i puri che potevano scagliare la prima pietra erano pochissimi». Nella finale con la Francia fu lei a far espellere Zidane per la testata a Materazzi. «Richiamai l’attenzione dell’arbitro, perché temevo che Marco non si rialzasse. Avevo appena parato un colpo di testa di Zidane che pareva una sassata: per poco non mi piega la mano. Soltanto dopo trenta secondi ho realizzato, non lo nego, che l’espulsione dell’avversario più forte sarebbe stata un vantaggio». Come ricorda l’avvocato? «La Juve aveva venduto Zidane al Real e investito duecento miliardi per me, Pavel Nedved e Lilian Thuram. Agnelli ci invitò a Villar Perosa. Ci accolse sorridendo: ecco i nostri miliardi che camminano! Dopo, forse vedendo Lilian, chiese cosa pensassimo del caso Milingo». L’esorcista che aveva perso la testa per una donna, per poi chiedere perdono al Papa. «Thuram, che è uomo di mondo, abbozzò una risposta. Nedved lo guardava allibito: palesemente non aveva mai sentito nominare Milingo in vita sua». Qual è l’allenatore più forte che ha avuto? «Sono stato fortunato. Ho avuto i sergenti: Scala, Capello, Conte. Quelli che scuotono i calciatori. E ho avuto gli psicologi, quelli che li calmano: Ancelotti, Allegri». Mi faccia l’esempio di un sergente. «Avevo fatto una partita strepitosa, una sequela pazzesca di parate, cadere rialzarsi, cadere rialzarsi. Capello mi convoca. Mi fa vedere il filmato della partita. E mi dice: Gigi, proprio non ci siamo. Ci rimasi malissimo». E un esempio di psicologo? «Abituati a Conte, che ci faceva cazziatoni terribili, Allegri ci parve un angelo. Alla vigilia di una partita, sulla lavagna degli schemi scrisse solo: 3. “Siete tre volte più forti degli avversari. Ora andate in campo e vincete”». E Lippi che tipo era? «Una via di mezzo. Dopo il fallimento ai Mondiali in Sudafrica ci disse: “La colpa non è vostra. La colpa è mia, che sono così co*****e da aver portato ai Mondiali proprio voi”». Ma chi tra loro è l’allenatore più forte? «Ognuno è l’uomo giusto in un determinato momento. Quando ho saputo che Conte sarebbe andato al Napoli, ho detto: quest’anno il Napoli arriva o primo o secondo». Cosa rispose Conte, quando lo avvisò che si era innamorato di Ilaria D’amico? «Un fuoriclasse sta con una fuoriclasse». Come vi siete conosciuti? «Dopo la partita con il Milan che decise lo scudetto del 2012, quella del gol non convalidato a Muntari, Ilaria mi fece una domanda capziosa: “Buffon, se si fosse accorto che la palla era entrata, l’avrebbe detto all’arbitro?”». E lei? «Non sono mai stato un ipocrita. Risposi che non mi ero accorto che la palla fosse entrata, e se me ne fossi accorto non credo che l’avrei detto. Scoppiò un putiferio». Insomma, tra voi era iniziata male. «Tempo dopo ci siamo trovati in un ospedale, a un evento di beneficenza. Abbiamo cominciato a parlare. E ho capito che la donna algida che vedevo in tv era in realtà dolcissima». Lei stava con Alena Seredova. «Era una storia ormai alla fine, attraversata da una crisi profonda. Ma mi ha dato un grande dolore farla soffrire, far soffrire i nostri figli, Louis Thomas e David Lee, che chiamo Dado. Oggi sono felice che Alena abbia un’altra famiglia: ha fatto una figlia, ha un uomo al suo fianco». Alessandro Nasi. «Credo che Alessandro abbia reso i miei figli persone migliori di come sarebbero stati se fossi rimasto a casa con le nostre infelicità; così come Ilaria ha fatto molto per i miei. Lei aveva già Pietro, insieme abbiamo avuto Leopoldo». Famiglie allargate. «Un tempo non ci credevo. Ora ho capito che sono un arricchimento. A patto di avere generosità e pazienza». Ma un allenatore pippa l’ha avuto? Malesani? «Guardi che con Malesani il Parma vinse Coppa Italia, Supercoppa e Coppa Uefa! Una volta ci raccontò la sua vita, il padre operaio, i sacrifici. Ci commosse. Tutti, anche quel matto di Tino Asprilla». Com’era Asprilla? «Uno che sparava in aria per festeggiare i compleanni degli amici; ma resta tra i più forti che abbia mai visto». Lei crede in Dio? «Molto, fin da ragazzo. A Parma andavo spesso a pregare nel Battistero, vivevo in collegio, sembravo un monaco. Ancora oggi vado a messa tutte le domeniche. Qui a Milano a San Nazaro». Come immagina l’aldilà? «Sarà una magnifica sorpresa».
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Arti marziali e golf Ecco Rouhi, l’idea mancina di Motta Lo svedese regala assist con l’Under 21 e il tecnico lo vede bene per sostituire Cabal TORINO f.d.v. · 18 nov 2024 Le passioni Da piccolo faceva taekwondo come Ibrahimovic, ora si rilassa sul green con l’amico Yildiz Da piccolo la sua passione era il taekwondo, arte marziale praticata anche dal connazionale Zlatan Ibrahimovic. Adesso Jonas Rouhi nel tempo libero si rilassa col golf, scoperto a Torino qualche mese fa insieme al compagno e amico Kenan Yildiz. Classe 2004, 183 centimetri, il terzino svedese di origini marocchine si candida come sostituto naturale di Juan Cabal. D’altronde la sua avventura in Serie A è iniziata così, subentrando al colombiano nei minuti finali di Verona-Juventus, prima che Thiago Motta lo lanciasse titolare col Genoa. Da allora solo un minuto nella sconfitta in casa contro lo Stoccarda, ma adesso con l’emergenza in difesa Rouhi può diventare un’arma in più per l’allenatore, che lo apprezza, lo ha già lanciato dall’inizio e ha dimostrato di non avere paura a puntare sui giovani. Assistman con la Svezia Rouhi si sente pronto e in questi giorni sta scaldando il motore con l’Under 21 svedese, di cui è diventato un punto fermo: sempre titolare nella doppia amichevole contro l’Irlanda del Nord, ha impreziosito buone prestazioni con svariati assist. Uno in particolare ha mandato in estasi i tifosi della Juventus: il video della galoppata con cui ha propiziato il 2-0 per i suoi è diventato virale. Il miglior biglietto da visita per ripresentarsi alla Continassa nella settimana di Milan-Juventus, quando Motta dovrà fare i conti con la raddoppiata emergenza in difesa. Rouhi è un terzino mancino che può fare anche il centrale e questa sua duttilità è un valore aggiunto per Motta, che ama i giocatori poliedrici. D’altronde anche Cabal è stato preso perché in grado di fare il doppio ruolo e Thiago lo stava provando come difensore prima che si rompesse il crociato. Il colombiano mancherà per tutta la stagione, così come Bremer, e in difesa la coperta è sempre più corta. Per questo i giovani diventano ancora più una risorsa. Rouhi è arrivato alla Juventus a 16 anni dopo essere stato svezzato al Brommapojkarna, la stessa squadra di Dejan Kulusevski, esterno offensivo con passato bianconero che però a Torino non ha vissuto stagioni esaltanti. Dal barbiere con Yildiz Jonas ha un gran fisico e anche una buona propensione offensiva. Allegri lo aveva notato in Next Gen la scorsa stagione, Motta è rimasto colpito dal ragazzo svedese durante il ritiro in Germania e lo ha voluto con sé in pianta stabile. Che la Juventus punti su di lui lo dimostra il rinnovo di contratto fino al 2028 di inizio agosto, con il contestuale annuncio del suo passaggio in prima squadra. Con Yildiz è scoccata subito la scintilla, in campo e fuori: nel 2022, quando erano insieme in Under 19, fu lui a fare l’assist a Kenan per il gol del 4-3 del derby della Mole. E prima dell’ultimo Juve-Toro i due amici sono andati insieme dal barbiere di fiducia. Un rito che ha portato fortuna, visto che Yildiz ha realizzato il 2-0. Ora Kenan aspetta un altro assist di Rouhi in prima squadra, per festeggiare in coppia.
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PSG SU FAGIOLI LA JUVE CI PENSA PUÒ ESSERE L’ASSO PER IL DIFENSORE Giuntoli potrebbe sacrificare il centrocampista per arrivare al centrale, che vorrebbe evitare il prestito di 6 mesi di Fabiana Della Valle TORINO 18 nov 2024 Nuova formula Nicolò valutato 25 milioni, con quei soldi si può pensare a un prestito con diritto per Skriniar Mancano ancora 44 giorni all’inizio del mercato invernale ma in casa Juventus le grandi manovre sono già iniziate. Gli infortuni di Gleison Bremer e di Juan Cabal (entrambi rottura del crociato, entrambi out per tutta la stagione) hanno costretto Cristiano Giuntoli a guardarsi intorno con urgenza per uno/due giocatori da portare alla Continassa a gennaio. Il nome più caldo è quello di Milan Skriniar, ex interista ora al Psg, dove fatica a trovare spazio. Nei giorni scorsi l’uomo mercato dei bianconeri ha fatto un primo passo incassando il sì del difensore a trasferirsi a Torino, la novità che potrebbe dare un’ulteriore spinta alla trattativa è l’interessamento del Psg per Nicolò Fagioli. Il centrocampista può diventare l’asso nelle mani di Giuntoli per imprimere un’accelerata all’operazione. Sarebbe un sacrificio doloroso, perché Fagioli è un prodotto del settore giovanile che la Juventus ha tenuto stretto e protetto nei momenti difficili della squalifica per scommesse, ma allo stesso tempo utile per sistemare un reparto troppo in emergenza. Nuova pista La stagione di Fagioli finora è scivolata via tra alti e bassi. Nico ha raggiunto il picco nella serata magica di Lipsia, quando ha illuminato la Red Bull Arena con il suo talento, e sembrava essersi preso il posto da titolare, invece nell’ultimo periodo è stato più in panchina che in campo. Fagioli ha bisogno di giocare con continuità dopo una stagione di quasi totale inattività a causa della squalifica e alla Juventus in mezzo c’è tanta concorrenza. Con il nuovo tecnico le gerarchie possono cambiare in fretta, però in questo momento Motta sta puntando molto su Thuram e Locatelli come coppia di centrocampo, con Koopmeiners intoccabile sulla trequarti. Perciò non si può escludere che Fagioli possa cambiare aria a gennaio, soprattutto se si presenterà un club di livello. Tra i suoi agenti e il Psg c’è già stato un primo contatto, a Parigi hanno già avuto Verratti in mediana e sono intrigati dal play della Signora. Con la sua cessione il club farebbe una bella plusvalenza (Nico è cresciuto nel vivaio della Juventus) e potrebbe trovare i fondi per finanziare il mercato di gennaio. Facile immaginare che nei discorsi per Fagioli possa rientrare Skriniar, che il Psg ha preso a zero ne l l ’ e s t a t e 2023 ma non un stipendio elevato (intorno ai 10 milioni di euro). Il centrale con un passato in nerazzurro preferirebbe una soluzione meno precaria rispetto al prestito di soli sei mesi che al momento sarebbe disposta a mettere sul piatto la Juventus. In più i bianconeri vorrebbero una partecipazione allo stipendio da parte del club francese. Non solo prestito Anche Fagioli, come Skriniar, non vorrebbe muoversi in prestito e la stessa Juventus, avendo necessità di fare cassa, se dovesse decidere di privarsene (al centrocampista è stato rinnovato il contratto fino al 2028 durante la squalifica, un segnale di fiducia nei confronti del ragazzo) preferirebbe una cessione a titolo definitivo. Logico che un suo passaggio al Psg potrebbe favorire l’approdo di Skriniar in bianconero, magari con una formula diversa, come un prestito con diritto/obbligo di riscatto, a patto che il giocatore sia disponibile a ridursi l’ingaggio. E magari nei discorsi con Luis Campos, direttore sportivo del Psg, Giuntoli proverà ad approfondire anche la situazione di Randal Kolo Muani, attaccante francese approdato al Psg nell’estatenell’ del 2023 per quasi 100 milimilioni ma in questo momentomento pocop utilizzato (416 minutinuti tra Ligue L 1 e Champions League).gue). Il suo s nome è finito nei radardar bianbianconeri e anche se la Juventus ha deciso di dare la priorità alla difesa per gennaio, però concontinua a restare vigile per eventuali eventual occasioni legate al reparto offensivo, visto che Milik è attualmente infortunato e sul suo rientro (previsto a metà/fine dicembre) non ci sono ancora certezze. Riflessioni Il prossimo mese e mezzo sarà decisivo per capire se Fagioli si lascerà tentare dalla corte del Psg e se la Juventus sceglierà di sacrificarlo per arrivare a Skriniar. Molto dipenderà anche da quanto spazio riuscirà a ritagliarsi con Motta. Di sicuro il centrocampo è il reparto dove c’è più abbondanza e Fagioli uno dei nomi più spendibili sul mercato. Mancano ancora 44 giorni all’inizio della sessione invernale e tutto può ancora succedere. La Juventus però è già al lavoro da tempo per tamponare l’emergenza in difesa.
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Il monte ingaggi https://x.com/capuanogio/status/1858161993410101404?t=6V9XneVBJ9OeAHLhDGYI9A&s=19
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Nefandezze mediatiche e antijuventinismo vario
andrea ha risposto al topic di Homer_Simpson in Juventus Forum
Poesia https://x.com/sissio78/status/1857843461614928263?t=CC1yi0lwdpCkd7Jb2ZT-bw&s=19