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Degenerato Bianconero

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  1. senza il norvegese scontato finisse così...ormai abbiamo capito, fa cacare nella prima manche e nella seconda fa il demonio risultato storico meritato per Ryding, è stato bravissimo...Gross uscito veramente male, peccato
  2. bella vittoria e solita buona risposta dopo una scoppola verranno trasferte e test più seri, staremo a vedere
  3. ormai si domina sulla Streif terza vittoria nelle ultime cinque discese più un secondo posto Paris è un animale da gara, si esalta con la competizione e su questa pista riesce a tirare fuori tutto...2 vittorie e un 2° posto, possono dargli la cittadinanza onoraria fantastico anche Fill, peccato per il podio sfumato di poco, i due francesi hanno tirato fuori le gare della vita è andata anche bene che Reichelt e Feuz si siano autoeliminati, scendevano come treni...ma questa è una pista che non perdona
  4. solo storytelling? Ce n'erano anche altre, già per brand si sarebbe incazzato
  5. Perché la Juventus ha cambiato logo: parlano gli ideatori Manfredi Ricca di Interbrand e Silvio Vigato di Juventus ci hanno spiegato la filosofia che sta dietro al cambio di immagine Ne hanno parlato tutti: lunedì sera il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano ha ospitato l’evento Black and White and More, targato Juventus. Il club bianconero ha voluto riunire esponenti di punta provenienti dal mondo della moda, della musica e ovviamente dello sport per annunciare formalmente il proprio cambio di look. Che come tutti i cambi di look non è mai solo un cambio di look, ma sottende qualcosa di molto più studiato e significativo. Ne abbiamo parlato con Manfredi Ricca, Chief Strategy Officer EMEA & LatAm di Interbrand, azienda leader nella brand consultancy che si è aggiudicata il bando per la realizzazione della nuova immagine di Juventus, e con Silvio Vigato, Head of Brand, Licensing and Retail e Co-Chief Revenue Officer di Juventus. Che ci spiegano innanzitutto cosa rappresenti il brand per una squadra di calcio: «È ciò che lega tifosi e appassionati permettendo loro di riconoscervi i propri valori e la propria identità. Gestire il brand di Juventus significa salvaguardarne i 120 anni di tradizione riuscendo al contempo a guardare al futuro: molte squadre vivono nel passato, dimenticandosi di essere anche aziende da proiettare nel domani» spiega a Wired Silvio Vigato. Dello stesso parere Manfredi Ricca: «Il brand è il punto d’incontro tra passione e business, è un catalizzatore di crescita dalla gestione particolarmente complessa, soprattutto per una squadra sportiva: il calcio è l’unica categoria in cui la fedeltà non è mai messa in discussione. La performance può essere negativa, i giocatori possono cambiare ma il brand, inteso come sintesi di valori, rimane immutato». A cosa dobbiamo, quindi, l’idea di Juventus di cambiare faccia? «Il cambio del logo è un po’ come il cambio d’abito: lo si fa per adattarsi a una nuova realtà, per veicolare un nuovo messaggio» ci racconta Silvio Vigato. «Un messaggio che parla non tanto di cambiamento quanto di comprensione del mondo circostante, a cui necessariamente consegue la necessità di evolversi, di ampliare il brand in diversi mercati e in diversi Paesi. Tutti elementi che derivano dal piano strategico elaborato da Juventus per i prossimi cinque anni, e dalla volontà di renderlo sostenibile». La vecchia signora era quindi in cerca di uno storytelling diverso, di unnuovo modo di raccontarsi, intellegibile in ogni parte del mondo, che potesse arrivare quanto più trasversalmente ad accaldati tifosi, tiepidi appassionati e freddi estimatori. Per queste ragioni ha indetto una gara tra diverse agenzie, sia italiane che estere, al fine di raccogliere quante più risposte possibili alla domanda:“Stiamo andando lì, come ci vestiamo?”. «Abbiamo ricevuto da Juventus il mandato di provare a essere come loro: coraggiosi, senza compromessi, votati all’eccellenza» spiega Manfredi Ricca. «Non serviva un semplice ritocco, un’operazione di cosmesi. Serviva arrivare al cuore dell’essenza Juventus, facendo raccontare al brand l’espansione verso cui la società è proiettata. Tutto ciò mantenendol’equilibrio tra il rispetto per i tifosi e la visione che la società ha per il futuro». Non chiamatelo rebranding: come ci spiega Vigato, Interbrand ha vinto proprio perché ha saputo cogliere il profondo obiettivo di Juventus. Che non era cambiare il logo perché aveva improvvisamente smesso di piacere, ma intraprendere un percorso volto a comunicare la crescita, commerciale e sportiva, cui Juventus punterà: «Interbrand ha compreso la globalità del progetto, correndo insieme a noi il rischio di un cambiamento che deriva non dal fatto che le cose vadano male (il bilancio è in utile da due anni, i risultati in campo parlano da sé) ma finalizzato al farle andare sempre meglio». Il frutto è un logo che rompe gli schemi più tradizionali, quelli che vedono scudi, scudetti ed elementi di araldica campeggiare sui pettorali dei giocatori. «Espandersi significa rappresentare i valori ispirati dal calcio producendo un distillato che però riguardi tutta l’esperienza Juventus», spiega Manfredi Ricca, che ci descrive gli elementi del logo elaborato da Interbrand: le immancabili strisce bianconere, la lettera J, tanto inusuale nell’alfabeto italiano quanto cara all’avvocato Agnelli (che aveva ammesso di emozionarsi ogni qualvolta la trovasse scritta su un giornale), e la stilizzazione dello scudetto, che rimandi al vigore e alla determinazione sportiva della storia di Juventus. Seppur made in Italy, il nuovo logo è perfettamente in linea con le scelte stilistiche dei più grandi colossi internazionali: essenzialità e minimalismo, linee semplici per trasmettere un messaggio complesso e significativo. Peculiare è stata anche la scelta di ambientare l’evento a Milano anziché a Torino: «La scelta di Milano deriva da un mix di diverse ragioni» ci risponde Silvio Vigato. «Innanzitutto logistiche, perché molto più prossima a determinati eventi e personalità. Inoltre il Museo della Scienza e della Tecnologia, un edificio recuperato con stili del passato, rappresenta il perfetto connubio tra tradizione e innovazione. Era il giusto punto d’incontro tra gli universi di moda, arte, musica in cui solitamente non entriamo. Abbiamo voluto comunicare che siamo anche noi cultura, a un target più ampio possibile». Cosa preveda in concreto, a livello retail, il piano strategico di Juventus è ancora piuttosto top secret. Silvio Vigato ci ha però parlato dell’apertura diun nuovo megastore a Torino, con raddoppiamento di metratura per poter accogliere più prodotti: come lo stadio è fatto di tifoserie diverse, così anche il merchandising deve potersi adattare ai gusti e alle disponibilità di tutti, spaziando da sciarpa e cappellino agli sci in carbonio. Non solo: il megastore, collegato al museo, includerà una libreria, dove sarà possibileavvicinarsi alla storia del calcio da un’angolatura più ampia, a portata anche dei meno esperti. Ma tutta questa espansione non risulterà difficile da digerire ai tifosi più stoici (e storici)? No, secondo Manfredi Ricca: «Juventus ha una credibilità tale da non incarnare soltanto lo spirito di una città, ma una filosofia capace di esprimersi in qualsiasi luogo e ambito. Juventus è il coraggio di essere i primi a infrangere le convenzioni, è puntare all’eccellenza in ogni campo, è pensare che vincere sia l’unica scelta possibile, che non esista perdere ma solo imparare. Juventus è calcio ma non è solo calcio, per questo credo che non si debba tifare Juventus quanto piuttosto vivere Juventus». wired
  6. pensate al logo su delle polo farà concorrenza a lacoste e fred perry
  7. le strisce prima o poi le levano...cominciate a metabolizzare o comunque non saranno più un dogma fisso
  8. brainstorming come se non ci fosse un domani in quest'azienda
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