Da giulemanidallajuve.com
Partigiano. Sì, di bieca faziosità
Di F.Del Re e M.Rocca
L'accorata lettera d'addio di Carlo Verdelli alla redazione di Repubblica si chiude con la classica, stantia, ode alla libertà, di stampa in questo caso, ornata dal solito, stantio, richiamo inappropriato, nel contesto e nei modi, ai valori della Resistenza, buoni, per certi personaggi, per condire ogni situazione del vivere umano, anche quelle più banali, come un normale rapporto di lavoro che normalmente si va a concludere.
Mi chiedo, perché non lo ricordo, se anche i suoi predecessori si fossero espressi con toni simili di rutilante mestizia, quasi di condanna per l'atto subito, tanto inutilmente retorici nell'evocare sotto traccia la lotta di libertà contro l'editore-padrone.
Chissà se il buon De Benedetti, ex uomo FIAT, ex manager di quella famiglia Agnelli che oggi Verdelli critica fra le righe per la decisione presa, si sia mai dovuto sorbire un pistolotto di retorica simile da Scalfari, da Mauro o da Calabresi. Perché si sa: nella vita c'è padrone e padrone. Ma non è questo che ci interessa, quanto la sua involontaria "confessione" di partigianeria. Non intesa, come egli scrive, nella forma "sacra e laica" di lotta di liberazione, da cosa poi?, quanto nel senso strettamente etimologico del termine, ovvero come appartenenza cieca e faziosa, quindi bieca, ad una posizione precostituita, quindi "partigiana".
E noi lo sappiamo bene. Lo sappiamo da almeno quattordici anni. Dal primo Maggio del 2006, quando egli, al pari di tanti suoi "illustri" (illustri...) colleghi, immediatamente si schierò "partigiano" contro la Juventus che stava venendo fatta a pezzi dal cosiddetto "sentimento popolare" di cui egli, insieme a tanti suoi "illustri" (illustri...) colleghi, propagandò costantemente e incessantemente il mostruoso messaggio durante la stagione più buia del calcio italico.
Costui è stato il Direttore della giornalaccio rosa dello Sport dal gennaio 2006 fino al 2010, ideatore e manovratore della grande campagna "dell' orientamento del sentimento popolare" contro la Juventus e della campagna mediatica che porterà a farsopoli.
E' dalle pagine di quel giornale, non pulito, rosa che il 29 aprile un suo algido scribacchino dal cognome pesciaro, imbeccato dagli inquirenti, darà il via alle danze di quella ignobile pantomima con l'articolo che titolava "Ehi, furbetti del pallone attenti all'estate..." .
Dalle risultanze del Processo Penale in quel di Napoli, noto come contro Ambrosino e altri, emergerà che un giornalista roseo tal Galdi partecipò attivamente alle indagini. Pare fosse costui a suggerire al minore Auricchio le statistiche farlocche che all'epoca dovemmo confutare.
Articoli giornalieri come quelli squallidi e fuorvianti contro gli arbitri Dondarini, Pieri poi assolti fanno ancora concorrenza oggi al Pinocchio di Collodi.
Nella sua Direzione gazzettara si distinse anche come chiromante: Indovinò le motivazioni delle sentenze sportive con la precisione di un Branko con la coda a ricciolo.
Servì bene ed è stato servito bene, da un Padrone che da qualche giorno ha deciso di cambiare animale da compagnia.
La libertà, caro Verdelli, è una cosa seria. Non è una frase da Bacio Perugina buona da appiccicare dove fa comodo. E il giornalismo, quello serio, quello scevro dalla partigianeria, è una delle sue voci, mentre la partigianeria è solo la cassa di risonanza di un potere, di una dipendenza, di un lacciuolo illiberale, sia esso di partito come di fede calcistica. Una voce faziosa, invece, è una voce stonata; una voce "partigiana" non è mai una voce libera e in quanto tale non ha diritto di rivendicare la presunta libertà che gli viene negata, perché tale libertà se l'è compromessa da solo.
E a ben vedere chi solleva dall'incarico un "partigiano" lo fa proprio per rispetto alla libertà che l'essere "partigiani" tale libertà inevitabilmente lede e limita.