Chi decise?
Ecco la risposta, la voglio dare io. Nel mio piccolo, da calciopoli in poi, ho dovuto scavare dentro il minestrone torinese alla ricerca di ogni singolo ingrediente presente, per cercare di trovare i motivi del disastro, e penso di poterla dare con una certa cognizione, visto che ho cercato di studiare tutto un po' da tutti i punti di vista possibili...
Limitiamoci a ciò che è più o meno noto, e su cui c'è vasta letteratura, e aggiungiamoci un po' di buon senso.
Decisero entrambi.
Uno era l'erede punto e basta, e l'altro era una figura di secondo piano, che sapeva perfettamente di doverlo essere, e che aveva accettato fin da subito di doverlo essere.
A questo potrei aggiungere che l'ingresso di Umberto nel sistema fu opera di Gianni stesso, che alle prime buone cose fatte dal giovane Umberto, addirittura diceva "l'ho costruito io".
Problema semmai è stato che in effetti Umberto, ad un certo punto, pur con meno charme e carisma, (per coloro che capiscono un po' di impresa, di organizzazione aziendale, e di capitalismo stretto stretto e non legato al sistema e alle compiacenze politiche), a molti forse ha cominciato a sembrare decisamente imprenditorialmente più bravo del fratello più celebre e affascinante. Tra le altre cose fin da subito, a 22-23 anni, e non a 40 o 50.
Ma Umberto nel suo piccolo ha saputo restare nelle retrovie e ha saputo costruire il suo piccolo impero distaccato dal gruppo (quello di cui oggi gode suo figlio Andrea), senza disturbare il grande capo, e all'occorrenza ha saputo lavorare con discrezione e con precisione chirurgica per dare una mano all'insieme (e non solo al suo ).
E all'illustre Gianni ovviamente andava bene così.
Esisteva un certo equilibrio.
Equilibrio tale che, per esempio, il delfino di Gianni, tale Luca di Monprezzemolo, partecipò all'organizzazione della cavalcata elettorale inaspettatamente vincente di Umberto, alle elezioni metà anni 70, che lo videro diventare senatore.
http://www.lettera43.it/foto/umberto-agnelli_4367519869_1.htm
Eletto, per la precisione, nella regione Lazio!
Dove andò a conquistarsi il voto uno per uno. Mentre quando ci provò Gianni a candidarsi, lo fece a Torino centro, e ne uscì clamorosamente sconfitto.
Per dire...
C'era rivalità, ma questa era calmierata dal fatto che lo scettro lo portava in mano uno solo, mentre l'altro coscienziosamente e in modo lungimirante faceva in modo che il suo lavoro non fosse troppo vistoso e che non potesse ostacolare la costruzione del proprio mito fatta dall'altro.
Decisero entrambi, caro Signor Feltri. Decisero entrambi.
Se tutto questo fu un bene per la Fiat, è difficile dirlo a bocce ferme, perché col senno di poi è sempre troppo facile parlare.
Riconosco comunque una certa ragionevolezza nel sostenere l'idea che con Umberto più presente in tante scelte, forse molte cose sarebbero state migliori. Certe cose, Signor Feltri, sembrano a favore di questa tesi. Prenda per esempio la faccenda Marchionne...
Se c'è un Marchionne, che ha fatto quello che ha fatto, è perché ce lo ha portato Umberto.
Allo stesso tempo però, in tempi precedenti all'era Marchionne, in famiglia era il dott. Umberto Agnelli a volere uscire per sempre dal mondo dell'auto, svendendo a qualche gruppo straniero, per occuparsi sempre di più della meno imprenditorialmente impegnativa finanza, (molto più redditizia).
Come vede, Signor Feltri, dipende come uno la vuole vedere...
Per come la vedo io, comunque, per quello che può valere la mia opinione, decisero entrambi il ruolo che entrambi dovevano recitare nella farsa surreale che è la vita. Farsa per tutti, s'intende, anche la nostra, of course, ci mancherebbe....