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Socrates

Miralem Pjanic

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1947398563_Juve2017.jpg.deced29b2cf9e3431d7268c59c8dcc63.jpgMIRALEM PJANIC  1675541255_Juventus2004-2017.jpg.83e3431016e175d8bac0dc7167a12c81.jpg      

 

Pjanic: Juventus in great shape

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Miralem_Pjanić

 

 

Nazione: Bosnia Bosnia ed Erzegovina

                              Lussemburgo Lussemburgo
Luogo di nascita: Tuzla
Data di nascita: 02.04.1990
Ruolo: Centrocampista
Altezza: 178 cm
Peso: 72 kg
Nazionale Bosniaco
Soprannome: Mire - Il Pianista - Giotto - Il Piccolo Principe

 

 

Alla Juventus dal 2016 al 2020

Esordio: 10.09.2016 - Serie A - Juventus-Sassuolo 3-1

Ultima partita: 07.08.2020 - Champions League - Juventus-Olympique Lione 2-1

 

178 presenze - 22 reti

 

4 scudetti

2 coppe Italia

1 supercoppa italiana

 

 

 

Miralem Pjanić (Tuzla, 2 aprile 1990) è un calciatore bosniaco con cittadinanza lussemburghese, centrocampista dello Sharjah e della nazionale bosniaca.

 

Cresciuto calcisticamente in Lussemburgo, muove i primi passi nel FC Schifflange 95 per poi passare nelle giovanili del Metz, squadra con la quale debutta tra i professionisti. Nel 2008 si trasferisce all'Olympique Lione, dove si afferma come una delle migliori promesse del calcio europeo. Nel 2011 si accasa alla Roma, squadra in cui rimane per cinque stagioni guadagnandosi l'attenzione della Juventus, club quest'ultimo in cui milita dal 2016 al 2020 raccogliendo i maggiori successi della carriera con quattro Scudetti consecutivi (dal 2016-2017 al 2019-2020), due Coppe Italia (2016-2017 e 2017-2018) e una Supercoppa italiana (2018). Nella stagione 2021-2022 veste la maglia del Barcellona, con cui vince una Coppa del Re (2020-2021), mentre nella seguente milita nel Beşiktaş, con cui trionfa nella Supercoppa turca (2021).

 

Con la Bosnia ha disputato il campionato del mondo 2014, anno in cui la nazionale balcanica ha preso parte alla competizione per la prima volta nella sua storia.

 

Miralem Pjanić
20150331 2025 AUT BIH 2130 Miralem Pjanić.jpg
Pjanić con la nazionale bosniaca nel 2015
     
Nazionalità Lussemburgo Lussemburgo
Bosnia ed Erzegovina Bosnia ed Erzegovina
Altezza 178 cm
Peso 72 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Centrocampista
Squadra   Sharjah
Carriera
Giovanili
2000-2004 600px Giallo e Verde (Strisce).png FC Schifflange 95
2004-2007   Metz
Squadre di club
2007-2008   Metz 32 (4)
2008-2011   Olympique Lione 90 (10)
2011-2016   Roma 159 (27)
2016-2020   Juventus 178 (22)
2020-2021   Barcellona 19 (0)
2021-2022 →   Beşiktaş 20 (0)
2022-   Sharjah 33 (4)
Nazionale
2006 Lussemburgo Lussemburgo U-17 4 (5)
2006-2007 Lussemburgo Lussemburgo U-19 3 (1)
2007-2008 Bosnia ed Erzegovina Bosnia ed Erzegovina U-21 3 (1)
2008- Bosnia ed Erzegovina Bosnia ed Erzegovina 115 (17)

 

Biografia

Suo padre giocava nella seconda divisione jugoslava, Pjanić è in possesso di due cittadinanze: bosniaca e lussemburghese; si rifugiò in Lussemburgo con la sua famiglia poco dopo lo scoppio della guerra in Bosnia. Parla fluentemente sei lingue.

Caratteristiche tecniche

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Pjanić intento a battere un calcio piazzato per la Juventus nel precampionato dell'agosto 2019

 

Annoverato in giovane età fra i talenti più promettenti del calcio mondiale, Pjanić è un centrocampista abile nel dribbling e dotato di un buon tiro dalla distanza. Grazie alla sua visione di gioco, la precisione nei passaggi, l'abilità nel fornire assist per i compagni e le sue qualità di impostazione, può ricoprire sia il ruolo di interno di centrocampo, sia quello di trequartista o di regista; è stato anche impiegato come mezz'ala, per la sua capacità di effettuare inserimenti offensivi.

 

Considerato uno dei massimi specialisti della sua generazione nei calci piazzati, quando giocava nell'Olympique Lione si allenava spesso a tirare le punizioni col brasiliano Juninho, del quale è stato considerato l'erede nelle file della squadra transalpina.

Carriera

Club

Gli inizi

Inizia la sua carriera nel FC Schifflange 95, club della prima divisione lussemburghese, dopo vari infortuni che lo hanno relegato spesso in tribuna. Già allora l'allenatore del club nota il suo talento e decide di inserirlo in prima squadra nonostante la giovane età.

 

Giunge al Metz nel 2004 e, dopo alcune stagioni nelle squadre giovanili, fa il suo debutto il 18 agosto 2007 contro il PSG, gara terminata 0-0. Il 15 dicembre realizza contro il Sochaux, rete che non servirà a evitare la sconfitta ai granata. Conclude la sua stagione totalizzando 38 presenze e 4 reti.

Olympique Lione

Il 1º agosto 2008 si trasferisce a titolo definitivo all'Olympique Lione per 7,5 milioni di euro. Fa il suo debutto il 2 agosto contro il Bordeaux. Il 24 febbraio 2009 fa il suo debutto in Champions League contro il Barcellona, partita terminata 1-1, chiudendo la sua prima stagione con 24 presenze, senza alcuna rete all'attivo.

 

Nella stagione successiva, si afferma come uno dei migliori giovani sul palcoscenico europeo, anche grazie al compagno di squadra Juninho Pernambucano, dal quale apprende specifiche qualità balistiche nel calciare le punizioni. Il 19 agosto 2009, nel giorno del suo debutto stagionale, segna il suo primo gol in Champions League contro l'Anderlecht partita valevole per i Preliminari di Champions League, gara vinta dai francesi 5-1. Pochi giorni dopo, il 22 agosto, segna nella gara vinta 3-0 contro l'Auxerre il suo primo gol in campionato con la maglia dell'OL. L'11 marzo 2010 segna inoltre il gol del pareggio contro il Real Madrid nel ritorno degli ottavi, rete che permette alla sua squadra di passare ai quarti di finale. Termina la stagione con 53 presenze e 11 reti. Nel periodo successivo, disputa un'altra stagione su buoni livelli, senza però ripetere l'exploit di quella precedente.

 

Conclude la sua esperienza a Lione con 121 presenze e 16 reti in totale.

Roma

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Pjanić alla Roma nel 2012

 

Nell'agosto 2011 viene ceduto, per 11 milioni di euro, alla Roma. Esordisce in Serie A l'11 settembre, nella partita persa all'Olimpico contro il Cagliari (1-2). Il 20 novembre realizza la prima rete, risultando decisivo per la vittoria contro il Lecce. Nel lustro in giallorosso, pur non vincendo alcun trofeo, si dimostra un giocatore importante per gli equilibri della squadra. Con i capitolini disputa complessivamente 185 partite, mettendo a segno 30 gol (molti dei quali su calcio di punizione).

Juventus

Nel giugno 2016 si trasferisce alla Juventus, che investe 32 milioni di euro per il suo acquisto. Il 10 settembre 2016 segna la sua prima rete in campionato con la maglia bianconera in occasione della vittoria casalinga contro il Sassuolo (3-1), mentre il 27 dello stesso mese realizza la sua prima marcatura in Champions League con i torinesi nella sfida vinta per 4-0 in casa della Dinamo Zagabria. Il 23 dicembre disputa da titolare il match di Supercoppa Italiana a Doha, sempre contro il Milan, dove la Juventus viene sconfitta ai calci di rigore (la gara era terminata con il punteggio di 1-1 dopo i tempi supplementari). L'11 gennaio 2017 realizza il suo primo gol in Coppa Italia con i bianconeri (su calcio di rigore) nella partita casalinga vinta per 3-2 contro l'Atalanta, valida per gli ottavi di finale. Il 17 maggio vince per la prima volta la coppa nazionale italiana (la terza consecutiva per i torinesi) in finale contro la Lazio (vittoria bianconera per 2-0), pur non giocando il match per squalifica. Quattro giorni dopo arriva anche il suo primo scudetto (il sesto consecutivo per la Juventus) grazie alla vittoria casalinga per 3-0 contro il Crotone. Il 3 giugno disputa inoltre da titolare la sua prima finale di Champions League, che vede però i piemontesi sconfitti per 4-1 dal Real Madrid a Cardiff.

 

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Pjanić in maglia juventina nell'estate 2018 per l'International Champions Cup

 

Il 13 agosto gioca da titolare la sfida di Supercoppa italiana contro la Lazio, dove la compagine torinese viene sconfitta per 3-2 dai biancocelesti. Il 26 novembre, nella vittoriosa partita casalinga contro il Crotone (terminata 3-0), ottiene la 200ª presenza in A. Termina la stagione con 5 reti segnate, e l'anno successivo, il 9 maggio 2018, vince la sua seconda Coppa Italia (la quarta consecutiva e tredicesima nella storia del club bianconero) in finale contro il Milan (4-0). Quattro giorni dopo, grazie al pareggio a reti bianche in casa della Roma, si aggiudica matematicamente anche il suo secondo scudetto (il settimo consecutivo per la Juventus). Come l'anno prima ha realizzato 5 gol in campionato.

 

Nella stagione successiva, il 19 settembre 2018, realizza la sua prima doppietta in Champions League nella sfida vinta per 2-0 in casa del Valencia (entrambe le reti vengono realizzate su calcio di rigore). Il 16 gennaio 2019, invece, disputa da titolare il match di Supercoppa italiana, che vede i bianconeri prevalere sul Milan (1-0) a Gedda; in quest'occasione fornisce anche l'assist per la rete decisiva di Cristiano Ronaldo. Si tratta del primo successo in questa competizione per il centrocampista bosniaco. Il successivo 20 aprile, grazie alla vittoria casalinga contro la Fiorentina (2-1), si aggiudica lo scudetto per la terza volta consecutiva (l'ottava consecutivo per il club bianconero) con cinque giornate d'anticipo.

Inizia subito bene la stagione 2019-2020 andando a segno per tre volte nei primi otto turni di campionato; tuttavia quelle resteranno le uniche marcature stagionali del bosniaco, che a fine annata si aggiudica il suo quarto scudetto consecutivo.

Barcellona, Beşiktaş e Sharjah

Il 29 giugno 2020, a campionato di Serie A ancora in corso, viene ufficializzato il prossimo trasferimento di Pjanić al Barcellona a decorrere dalla stagione sportiva seguente, per 60 milioni di euro più 5 di bonus, nell'ambito di uno scambio con Arthur Melo. In Catalogna colleziona 30 presenze totali nel corso dell'annata 2020-2021, senza trovare mai la rete e con un minutaggio abbastanza scarso; partecipa alla vittoria della Coppa del Re, ma sul piano personale è una stagione negativa per il bosniaco che finisce presto ai margini della squadra titolare, incapace di integrarsi con l'ambiente blaugrana, scavalcato nelle gerarchie del centrocampo ed entrato pesantemente in rotta col tecnico Ronald Koeman.

 

Il 3 settembre 2021 viene ceduto in prestito ai turchi del Beşiktaş. Al termine della stagione fa ritorno in Spagna, dopo aver collezionato 26 presenze con la maglia della squadra turca.

 

Inizia la stagione 2022-2023 con i catalani, senza trovare spazio nelle prime partite di campionato. Questo porta alla risoluzione del contratto e al suo passaggio agli emiratini dello SharjahIl 9 settembre 2022, all'esordio con la nuova maglia, trasforma un rigore nella vittoria 3-0 sul Baniyas.

Nazionale

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Miralem Pjanić in azione con la Bosnia nel 2015

 

A causa dell'infanzia passata in Lussemburgo, Pjanić ha iniziato a rappresentare il Lussemburgo a livello giovanile. Con la selezione Under-17 ha partecipato al campionato europeo di categoria, al quale la nazionale lussemburghese partecipò come paese ospitante. Durante l'Europeo, Pjanić segnò l'unico gol della nazionale, durante la partita d'apertura persa per 1-7 contro la Spagna. Successivamente ha dichiarato di voler giocare per la Bosnia ed Erzegovina, debuttando con l'Under-21.

 

Il 20 agosto 2008 fa il suo esordio con la nazionale maggiore bosniaca nell'amichevole contro la Bulgaria, gara finita con la vittoria dei bulgari per 2-1 risultando, a 18 anni, il più giovane esordiente della nazionale. Durante un'altra gara amichevole vinta 2-1, questa volta contro il Ghana, il 2 marzo 2010 segna la sua prima rete in nazionale.

 

Il 3 giugno 2014 viene inserito nella lista dei convocati della nazionale bosniaca che ha partecipato per la prima volta al campionato del mondo, senza tuttavia superare la fase a gironi. Conclude la competizione con 3 presenze e una rete, segnata nel successo per 3-1 contro l'Iran.

Il 12 ottobre 2019, alla 90ª presenza con la maglia della nazionale bosniaca e alla prima da capitano, segna la sua prima doppietta, nella partita interna vinta per 4-1 contro la Finlandia, valevole per le qualificazioni al campionato d'Europa 2020.

 

Il 31 marzo 2021 raggiunge quota 100 presenze in nazionale in occasione della sconfitta per 0-1 contro la Francia.

Palmarès

Club

Individuale

 

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1947398563_Juve2017.jpg.deced29b2cf9e3431d7268c59c8dcc63.jpgMIRALEM PJANIC  1675541255_Juventus2004-2017.jpg.83e3431016e175d8bac0dc7167a12c81.jpg      

 

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«Respira Mire, questo è il ritornello che mi ripeto nella mente, nei momenti decisivi di una partita. Ed è quello che continuo a ripetermi ora, mentre provo a scrivere quello che sto provando in questo momento. Sono arrivato quattro anni fa per provare a vincere tutto. Perché anche quando non ci riesci, questo è ciò che deve provare a fare sempre un calciatore della Juventus.
Sono stati 4 anni intensi, vissuti al fianco di grandi professionisti ma soprattutto di amici veri, con i quali ho condiviso vittorie e record, ma anche amare sconfitte ad un passo dal traguardo. Sono stati anni in cui sono maturato come uomo e come padre. Questa è la città dove Edin è cresciuto, diventando il primo tifoso di questa squadra, e dove con la mia famiglia abbiamo costruito i più bei ricordi della nostra vita.
Penso che non si dica mai a sufficienza grazie, e quindi: Grazie alla Famiglia Agnelli. Grazie a tutti i compagni che hanno condiviso con me questo percorso. Grazie a tutti i dipendenti e i membri dello staff, che mi hanno aiutato a crescere. Grazie ai tifosi che ogni giorno mi hanno fatto sentire speciale.
Perché se c’è una cosa che ho imparato, è che non esiste un tempo minimo per innamorarsi. Alla fine è molto semplice: indossa questa maglia come una seconda pelle, dai sempre tutto e, non sbaglierai mai. Ora però abbiamo poco tempo da perdere e molto da andare a vincere fino al termine della stagione.
E quindi respira Mire, perché quello che oggi ti sembra così triste, da domani sarà uno splendido ricordo che porterai nel cuore per tutta la vita».
 
ALESSANDRO BISETTO, CATENACCIOECONTROPIEDE.IT DEL 28 GENNAIO 2020
La Bosnia degli anni Novanta, quelli della guerra per i paesi dell’ex Jugoslavia, non rappresenta di certo uno di quei contorni ideali per crescere un figlio e garantirgli un futuro sereno. Tra i tanti che lasciarono in quegli anni i Balcani per cercare una vita migliore, ci sono anche Fatima e Fahrudin Pjanic, che il 2 aprile del 1990 diedero alla luce Miralem, in quel di Tuzla, terza cittadina per grandezza della Bosnia.
Fahrudin allora militava nel FK Drina, squadra di terza divisione jugoslava che fornì a lui e alla sua famiglia, dopo una serie di numerosi rifiuti, il visto per lasciare il Paese e fuggire in Lussemburgo, lontano dagli orrori della guerra che di lì a poco avrebbe messo in pericolo i suoi affetti più cari e con la possibilità, quindi, di ricominciare nuovamente una vita che d’un tratto si era fatta buia e senza futuro.
Miralem fin dai primi anni cresce a pane e pallone: cerca sempre di seguire il padre sia agli allenamenti che alle partite e si fa notare per la sua voglia di calcio. A sette anni inizia a tirare i primi calci nelle giovanili dello Schifflange – squadra nella quale militava il padre –, dimostrando da subito grandi qualità e un’attitudine al gioco degna di nota. Il calcio europeo non poteva che essere una conseguenza e l’occasione si concretizza a Metz – città geograficamente molto vicina al confine tra Francia e Lussemburgo – anche grazie ai consigli di Guy Hellers, centrocampista della nazionale lussemburghese, passato proprio nel Metz nel corso della sua carriera e che all’epoca garantì per Pjanic dopo averlo visto brillare nel Granducato.
Servono quattro anni al ragazzo per scalare le gerarchie del club francese e presentarsi al cospetto della prima squadra, nella quale esordisce da subentrato all’età di 17 anni in un Metz-PSG terminato 0-0. Il suo primo contratto da professionista diviene realtà pochi mesi più tardi: un triennale firmato con i Grenats, come vengono soprannominati per il colore della loro maglia. Un contratto festeggiato con il primo gol della sua neonata carriera, verso la fine del 2007, su rigore – e non è un dettaglio da dimenticare così facilmente – contro il Sochaux, che permette a Pjanic di inserire il suo nome tra i più giovani marcatori della Ligue 1.
Chiude l’annata con 38 presenze, accompagnate da 5 gol tra campionato e coppa – nella quale il club peraltro non sfigurò affatto in quella stagione, anche grazie alle prestazioni dello stesso Pjanic –, non sufficienti però a evitare la retrocessione della squadra granata, costretta così a vedere partire buona parte dei suoi giovani più talentuosi, attratti dalle sirene del calcio europeo più affermato.
Tra questi ovviamente non può non essere inserito Pjanic, che il 6 giugno del 2008 ufficializza il suo passaggio al Lione, per la “modica” cifra di 7,5 milioni di euro. La squadra viene da una serie di annate fantastiche, forse le più gloriose vissute all’ombra dello Stade de Gerland – oggi non più utilizzato –, e sta ancora festeggiando il settimo titolo nazionale consecutivo, conquistato pochi mesi prima. L’OL ha bisogno di una mini-rifondazione tecnica, palcoscenico ideale per far crescere un giovane affamato come Miralem, che nella sua stagione iniziale ha la possibilità di studiare da uno dei maestri del centrocampo brasiliano e mondiale, Juninho Pernambucano, specialista assoluto dei calci piazzati.
La sua prima stagione a Lione non inizia nel migliore dei modi: Pjanic infatti, in uno dei suoi primi match di campionato, subisce un grave infortunio al perone per una brutta entrata di Dalmat – centrocampista passato anche in Italia, all’Inter tra le altre – e si rivede in campo solamente a metà stagione, nella quale vuoi per adattamento in un nuovo club o per le precarie condizioni fisiche, non ha inciso come ci si aspettava.
La stagione successiva per Pjanic è quella della svolta: la prima novità riguarda il lato tattico e vede il ragazzo prendere in mano le chiavi del centrocampo dei Gones, visto anche l’addio di Juninho – migrato verso i ricchi lidi del Qatar, dopo aver realizzato 100 reti con il club, 44 da calcio piazzato –, dal quale prende in eredità anche il numero 8. In un avvio di stagione a dir poco brillante, arriva anche il primo gol, lo segna in Champions League e, per lo strano gioco di destini che contraddistingue questo magico sport, viene realizzato su calcio di punizione, con indosso la maglia del suo maestro predecessore. In quell’annata non sarà l’unico nella competizione – cinque in totale a cui si aggiungono sei reti in campionato –, che vede il suo club arrivare fino alla semifinale poi persa nettamente contro il Bayern Monaco, dopo aver eliminato il Real Madrid agli ottavi.
L’annata a venire, quella 2010/2011, sarà per lui l’ultima in terra francese. La decisione di lasciare il Lione non è influenzata, come spesso accade, da un cambio di guida tecnica – che rimane saldamente nelle mani di Puel, a cui Pjanic deve molto della sua maturità e intelligenza tattica –, quanto piuttosto per l’ingombrante presenza di un altro talento francese – mai veramente sbocciato – che in quella stagione diventa suo compagno di squadra, Yoann Gourcuff. I due assieme in campo si vedono raramente e il bosniaco inizia così a vedere molto spesso la panchina, relegato ai margini del progetto dallo stesso club che lo ha visto diventare grande tra i grandi.
L’addio è cosa fatta l’anno seguente, dopo 121 presenze, 16 reti e 21 assist, cambia Paese e approda in Italia, alla Roma, per 11 milioni di euro, nell’anno in cui Luis Enrique approda sulla panchina giallorossa. Con l’allenatore spagnolo, proveniente dalle giovanili del Barcellona, Pjanic trova da subito spazio in un calcio fatto di tecnica e fraseggio prolungato con la palla tra i piedi. Un concetto forse troppo astratto e mal visto in un campionato come quello italiano, che alla fine della stagione vede la Roma non qualificarsi dalle coppe europee dopo 15 anni, con il conseguente esonero del tecnico dopo una sola annata.
Le sue stagioni nella Capitale hanno visto una serie di alti e bassi dovuti anche e soprattutto ai continui cambi di allenatore: come detto Luis Enrique, seguito dopo una sola stagione dal romantico ritorno di Zeman – tecnico con cui lo stesso Pjanic non ha mai avuto un grande feeling e che nel corso della stagione lo ha relegato molte volte in panchina –, cacciato anch’egli dopo un solo anno per far posto a Rudi García. Il francese intuisce finalmente le potenzialità dell’incantatore bosniaco, che infatti nella stagione 2013/2014 – la terza in giallorosso – gioca quasi tutte le partite di campionato e soprattutto le disputa da grande campione, così come ci si poteva aspettare dopo averlo visto nei suoi primi anni in terra transalpina.
Impiegato da interno di centrocampo nel 4-3-3 o da trequartista nel 4-2-3-1, il suo livello di calcio si alza notevolmente: memorabile il suo gol contro il Milan nell’aprile del 2014, dopo aver saltato da solo tutta la difesa rossonera e spiazzato con un tocco delizioso l’incolpevole Abbiati. Quel che colpisce è la fluidità del fraseggio e la facilità con cui intuisce linee di passaggio proibitive per chiunque altro, il tutto accompagnato da un piede sopraffino che gli permette di realizzare diverse reti dalla distanza e da calcio piazzato, la specialità della casa.
Nei suoi tre anni con Garcia in panchina saranno 23 le reti messe a segno e 27 gli assist forniti ai compagni, con la ciliegina sulla torta della doppia cifra in entrambe le specialità raggiunta nel 2015/2016. Numeri che gli valsero l’attenzione delle grandi d’Europa: il piccolo principe – come veniva soprannominato a Roma – era finalmente diventato re, ed era giunto il momento di indossare la corona, cingendosi dei trofei assenti dalla sua bacheca fino a quel punto.
Quello che porta il giocatore a Torino, sponda Juventus, è un trasferimento che fa scalpore: la squadra bianconera rappresenta per Pjanic l’occasione di vincere, celebrando una carriera brillante ma allo stesso incompiuta. Viene pagata la clausola di 32 milioni di euro – messa nero su bianco dalla Roma durante il rinnovo del calciatore nel 2014 – e uno dei più forti centrocampisti della Serie A di quel periodo cambia clamorosamente maglia.
 
VALERIA ARENA, JUVENTIBUS.COM DEL 29 GIUGNO 2020
Ho scritto un necrologio persino per la vendita di Hernanes, figuriamoci se posso esimermi dal salutare per sempre Miralem Pjanic.
Pochi giorni fa dissi ad alta voce, e per alta voce intendo che pigiai a caso le lettere della tastiera del cellulare, che una delle missioni di questo anno sgangherato sarebbe stata quella di determinare quale membro della coppia si fosse disinnamorato per primo, quindi se Pjanic della Juve o se la Juve di Pjanic, mentre a individuare il momento esatto in cui la magia sarebbe evaporata, ho rinunciato pressoché da subito, perché, come canta bene il poeta, quando finisce davvero l’amore ancora nessuno lo sa. E lo so che state tutti aspettando che vi urli la parola Cardiff per difendere la mia reputazione, ma no, non credo che nessuno si sia disinnamorato di qualcun altro dopo quella partita, a parte Dani Alves, ovvio.
Avanzando a tentoni per pregiudizio, punterei tutto sulla Juve, d’altra parte è (quasi) sempre la Juve che si disinnamora per prima, è (quasi) sempre la Juve che ti mostra la porta, sia per entrare che per uscire, è (quasi) sempre la Juve che ti saluta e si volta dall’altra parte, eccetto per Dani Alves, ovvio. Sarebbe quindi da stupidi non rendersi conto che la dipartita di Pjanic è il tassello numero uno, anzi due se consideriamo anche Sarri, di un cambiamento che la società ha già annunciato lo scorso anno. Insomma, pare esserci un nuovo centrocampo in town, per cui forse Babbo Natale può anche stracciare i quintali di letterine che abbiamo scritto in questi anni e che lui ha prontamente ignorato.
Il centrocampo, dicevamo, la spada di Damocle che ha iniziato a pressare sulla ferita sin dallo smembramento di quell’ottava meraviglia del mondo che era ritrarre in successione Vidal, Pogba, Pirlo e Marchisio. Ed è qui che inizia il necrologio dedicato a Pjanic, perché, purtroppo per lui, non si può procedere su questa strada ignorando chi e cosa è stato chiamato a sostituire.
Fateci caso, tutto ciò che c’è da dire su una questione, è già stato spiegato per bene da quelli bravi, come quel “magari avessimo avuto noi questi attaccanti qui” di Andrea Pirlo, che lascia presupporre un altrettanto “magari questi attaccanti qui avessero avuto noi”. Una sintesi perfetta che, per la sua spietata semplicità, possiamo custodire gelosamente nei giorni a venire e poi con sfregio ignorare perché, a conti fatti, il risultato finale è stato praticamente identico. Per arrivare alla volta celeste e trafiggere le stelle bastava solo un po’ di tempismo e una anagrafica che giocasse a favore nostro.
Torniamo però a Pjanic. Il necrologio, d’altra parte, dovrebbe essere il suo, ma qui non se ne vede ancora traccia, a dimostrazione di quanto sia difficile dibattere di lui senza citare in modo compulsivo Pirlo. E allora colgo l’occasione per trasformare questo elogio funebre in una lunga e tenera carezza a tutti quelli che sono chiamati a occupare i posti lasciati vuoti dagli Dei, a sostituire i fuoriclasse e persino a non farceli rimpiangere, pure se molto bravi. Non credo avremo difficoltà a ricordare Pjanic positivamente, d’altronde la sua carriera e la bacheca dei trofei, ossia la presunzione scesa sulla terra e fattasi carne, parlano abbastanza chiaro, così come non credo che saremo in grado di negare che, se di quelli come Pirlo non ci stanchiamo mai, di quelli come Pjanic, bravi come solo sanno essere gli umani, e ciò pieni zeppi di idiosincrasie, presto o tardi ci stufiamo.
Il più grande regalo che possiamo fargli, quindi, è ricordarlo per quello che è stato, e cioè Miralem Pjanic, e non per quello che non è stato, un Pirlo a metà con un altro nome, e che probabilmente non sarà mai. Magari finalmente disimpareremo a cercare come degli ossessi gli eredi di e inizieremo a focalizzarci sull’unicità di ogni giocatore, nel bene e nel male.
Ricordiamoci di Pjanic per i suoi pregi, tanti, e per i suoi difetti, tantissimi. Anche perché, parliamoci chiaro, Pjanic non sarebbe Pjanic senza quell’indolenza tutta sua, senza quella volontà di sbattersi il meno possibile, senza quelle giocate che fanno cadere nel dimenticatoio ogni fesseria o svogliatezza pregressa. Probabilmente sarebbe un altro giocatore e noi un’altra squadra.
Ora ci aspettano due mesi di separazione in casa con il pensiero fisso di un altro inizio nella testa per entrambi e un grattacapo mi aleggia dentro la scatola cranica: la passione è proprio finita o ci sarà spazio per gli ultimi fuochi?
 
MASSIMILIANO MINGIONI JUVEATRESTELLE.IT DEL 29 GIUGNO 2020
Dunque è arrivata l’ufficialità, nel mese pertinente, visto che di solito è dedicato al calciomercato, ma in pieno svolgimento della coppa Covid: Miralem Pjanic, pur continuando a esserlo, non è più un giocatore della Juventus. Il singolare frangente rende arrischiato un bilancio, perché ci sono ancora parecchie partite da giocare, e tuttavia la sensazione diffusa è quella di un epilogo fatale, scontato, per cui già da tempo il nostro 5 aveva come scritta addosso la parola “ex”.
Pur sperando di poter aggiornare il palmares entro agosto azzardiamo quindi un résumé del quadriennio da juventino del bosniaco; e tanto per non farci mancare un cliché, spariamo subito un “luci e ombre”. Arrivato con la fama di calciatore di sopraffina qualità tecnica ma con la preoccupante tendenza a svaporare nelle partite ad alta intensità agonistica, Mire ha sostanzialmente confermato il ritratto pur vivendo, in modo positivo, una decisa trasformazione tattica, da trequartista elegante ma talvolta frivolo a concreto, puntuale regista di centrocampo.
Trasformazione fortemente voluta da Massimiliano Allegri, e quindi controversa nello strampalato clima di contestazione permanente accesosi nei secondi due anni e mezzo di gestione del livornese, malgrado la ricca messe di trofei. Cui, diciamolo, Pjanic ha contribuito in modo sostanziale, aggiungendo al bagaglio già noto (aperture raffinate, tocchi eleganti, punizioni micidiali) in particolare una robusta crescita in fase di interdizione, di protezione della difesa, di “legna”, a volte persino con qualche eccesso nei falli per mancanza del “tempo” mentale da medianaccio; a uno di questi falli, non sanzionato con il massimo della pena in un noto Juve-Inter, è legata la più recente delle 12000 leggende nere sulla Juve che ne inficerebbero l’albo d’oro dal 1905.
Molto bene i primi due anni (è lui, con Khedira, a formare il centrocampo che ci porta fino a Cardiff), decisamente in ribasso i successivi, con vistosa crisi quest’anno: i “150 palloni da toccare a partita”, pomposamente auspicati da Sarri, non si sono materializzati, e quelli toccati lo sono quasi sempre stati a cortissima gittata; forse un rapporto non sbocciato col tecnico, forse un’insofferenza al ruolo di mero smistatore di corrispondenza, certamente la frustrazione per essere stato estromesso dal ruolo di tiratore principe da un Ronaldo ingordo quanto (da fermo) inefficace, sta di fatto che il Pjanic di questa stagione non ha mai inciso, talvolta ha irritato, quasi sempre ha dato l’impressione che il suo ciclo fosse concluso.
Inspiegabilmente, allenatori con decenni di esperienza non hanno raccolto lo struggente appello di alcuni tecnici da tablet che, contro ogni evidenza umana, invocavano per Mire una trasformazione in mezzala alla Lampard: vedremo se al Barcellona (non proprio una destinazione da fine carriera, per un giocatore secondo certe tesi “rovinato” dal solito noto) sarà colto questo inesplorato spunto o se anche i catalani andranno appresso, con burocratico grigiore, alla realtà.
Pjanic ci lascia una plusvalenza sostanziosa, il ricordo di alcune giocate sublimi, e però la sensazione, sommessa ma tenace, di una rosa non del tutto colta, di un talento non del tutto consacrato, di un “quasi”, che sarebbe potuto diventare il top del ruolo con un po’ di personalità in più. E, diciamolo, con dei colleghi di reparto un po’ migliori: ma questa non è certo colpa sua.
Speriamo non stacchi definitivamente la spina in questo strano scorcio di stagione ancora da giocare, e per il dopo gli auguriamo “quasi” ogni bene: eccetto, si capisce, quello che auguriamo, ahinoi invano da tanti anni, a noi stessi.
 

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